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1909TRA - Caroline Imbert

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se per ora non cesserà il ritorno alla luce di sempre vari ed eccellenti esemplari”; b) sebbene<br />

alcuni pezzi importanti, quali il catino con “Edipo e la Sfinge” e la c.d. Coppa d’Angiò<br />

“non siano più in Orvieto” (come visto, ricompaiono nel catalogo della collezione Volpi<br />

e in quella Canessa), “una ricchissima raccolta di ceramiche medioevali orvietane, policromate<br />

ed a rilievi, ancora non ha emigrato dalla città, per quanto in mano di privati<br />

[leggi la collezione Marcioni, nda]. Essa è formata da più di seicento eccellenti esemplari,<br />

i quali dal X secolo scendono al XVI”; c) ma anche di destare un po’ di curiosità nell’ipotetico<br />

lettore/acquirente accennando all’interesse dei musei italiani e stranieri per la ceramica<br />

orvietana: “ed ora, […] una domanda: È almeno vero che a Firenze, nella Galleria<br />

degli Uffizi per cura del dott. Giovanni Poggi, si va formando una piccola collezione di<br />

queste ceramiche primitive? Perché finora […] in America ed in Germania le si son credute<br />

cose pregevoli, mentre in Italia la scienza ufficiale o non le ha curate, o le ha giudicate<br />

alla stregua di qualunque altro coccio rotto”.<br />

Quest’ultima affermazione è utile al Perali per fare un po’ di autopromozione; nel totale<br />

disinteresse per la ceramica orvietana – anche se questo si coniuga male con la voracità degli<br />

scavi –, soltanto lui ne apprezza l’importanza: “occasionalmente io le vidi e suggerii di<br />

ricercare appunto questi primitivi, quasi sconosciuti nella storia della ceramica italiana.<br />

Nello stesso tempo mi davo a ricerche archivistiche [l’incarico <strong>Imbert</strong>, nda], in base alle<br />

quali potei stabilire che si trattava di ceramiche fabbricate in Orvieto sicuramente dalla<br />

seconda metà del XII secolo, e forse anche prima, fino a tutto il secolo XVI”. Lo studioso<br />

orvietano richiama, inoltre, il mandato avuto dal Comune di Orvieto a effettuare alcuni<br />

saggi di scavo nelle proprietà comunali alla ricerca di ceramiche medievali (1908), “incarico<br />

che per altre occupazioni dovetti declinare” (e, per i più accorti, tali occupazioni altro<br />

non erano che il lavoro avuto dall’<strong>Imbert</strong>) e si autoproclamava l’unico in grado di seguire<br />

l’evolversi della “febbre degli scavi dei pozzi” che aveva invaso la città: “ciò non ostante<br />

ebbi modo di vedere e di fotografare molti pezzi bellissimi”.<br />

L’attività di autopromozione avrebbe dato i suoi frutti. Il 30 ottobre 1912, il collezionista<br />

e bibliofilo orvietano Domenico Tordi scriveva a Perali, da Firenze, “Se c’è qualche novità<br />

archeologica me la comunichi. Se c’è qualche bella cosa da comprare me la indichi –<br />

soprattutto di cose orvietane che procurerei di conservare” 358 . Al contrario, sarà Tordi a<br />

parlare a Perali di una particolare ceramica, un vascello, “della fine del secolo XIII”, con lo<br />

stemma di Lapo di Manno Riccomanni, “cavato da un butto o pozzo medioevale orvietano<br />

nei pressi della chiesa di S. Maria dei Servi di Orvieto, centro allora della colonia<br />

commerciale e bancaria fiorentina” nella cittadina umbra (cat. 4.3.4). L’oggetto era particolarmente<br />

importante per il bibliofilo orvietano perché Lapo era il cognato di Dante Alighieri<br />

359 . La conversazione è sunteggiata da Perali nei suoi Diari in data 1° novembre<br />

1914 (cat. 4.3.3) 360 :<br />

Il Tordi mi parla lungamente dei doc(umenti) da lui trovati intorno ai Riccomanni parenti di<br />

Dante in Orvieto. Ha anche una ceramica dell’epoca (1281-82) con lo stemma dei Ricc(omanni)<br />

trovata verso le case distrutte di via Pustierla.<br />

361 Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, Archivio, 2273, ora edita in Satolli, 2003, p. 249, doc. 31.<br />

362 Di una collezione di ceramica medievale appartenuta a Domenico Tordi non c’è traccia, benché Luigi Fumi,<br />

nel suo volume Orvieto, del 1918, la inserisca fra le collezioni più importanti: “La bella raccolta del signor<br />

111<br />

L. Riccetti

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