1909TRA - Caroline Imbert
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to, decorato in manganese, blu e verde, con un leone araldico coronato, la cui coda termina<br />
in tre “fleurs-de-lis”, emblema degli Angioini, da mettere in relazione con la decorazione<br />
del bordo interno che presenta, alternati, rosette e stemmi “with six fleurs-de-lis of France<br />
ancien”. Proviene dalla raccolta del marchese de Talleyrand, poi Schiff, quindi, dal 1946,<br />
Metropolitan Museum of Art di New York (cat. 6.6.5). Il de Ricci, curatore del catalogo<br />
Schiff, avverte che, sebbene “several connoisseurs have ascribed this magnificent example<br />
to the workshop of Orvieto”, dopo un attento esame di vasi orvietani è portato a credere<br />
che il bacino possa avere un’origine fiorentina, anzi che sia “one of the most earliest known<br />
specimens of Fiorentine ceramic art”; Otto Mazzucato, nel 1993, esclude che possa trattarsi<br />
di “una manifattura medioevale”, per la “concezione moderna nell’impianto delle figure,<br />
degli animali e dei vari elementi naturalistici-geometrici”. La complessità del catino,<br />
sia tecnica, sia iconografica con la decorazione interna della tesa che richiama i motivi decorativi<br />
del portale del Palazzo dei Priori di Perugia, evidenzia l’attenzione avuta nei primi<br />
anni del Novecento verso tali produzioni medievali: forse si è di fronte, in ceramica, a qualcosa<br />
di analogo al falso “morelliano” descritto da Chastel in pittura 440 .<br />
Mr. J. Pierpont Morgan alone possesses<br />
La Prima guerra mondiale chiude la stagione del collezionismo americano personificato<br />
nella figura di J. Pierpont Morgan ma, tanta era la forza evocativa del personaggio 441 , che,<br />
forse, quel mondo si era chiuso mesi prima delle dichiarazioni di guerra, con la morte a<br />
Roma, il 31 marzo 1913, del magnate americano.<br />
Alexandre <strong>Imbert</strong> non era riuscito a vendere la propria collezione, ma aveva ottenuto ben<br />
altro. Così, mentre Morgan interrompeva l’acquisto delle ceramiche, l’antiquario francese,<br />
come si è visto, stava diventando, anche agli occhi dello stesso magnate americano, uno dei<br />
più noti e apprezzati marchand-amateur di ceramiche. Due fattori sono indispensabili per<br />
la comprensione di tale passaggio: il libro sulle Ceramiche orvietane del 1909 e la mostra<br />
parigina del 1911. L’impostazione del libro dovette impressionare Morgan, soprattutto nella<br />
caratteristica struttura di vero e proprio ‘saggio critico’ e non più di catalogo. Il formato<br />
sarà riproposto, infatti, nelle pubblicazioni delle collezioni del magnate americano stilate<br />
da firme autorevoli, già a partire dal catalogo dei bronzi, scritto da Bode e pubblicato dal-<br />
Sackler (Important Italian, 1994, lot. 3). Con un risultato meno riuscito, ma allo stesso tempo ugualmente<br />
significativo, all’ambito culturale che ha prodotto il piatto, oggi a Londra, o il grande catino oggi a New<br />
York, potrebbe essere collegato anche il boccale, oggi al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza<br />
(inv. 21440). Il boccale (cat. 6.6.2) presenta una complessa decorazione – stemmi anomali nell’araldica medievale<br />
orvietana e incongruenze nella distribuzione decorativa – che fa ipotizzare possa trattarsi di “un abilissimo<br />
esempio di revival”, Fiocco - Gherardi, 1989, pp. 542-543. Analoga lettura potrebbe essere fatta<br />
per la ciotola oggi al Museo di Schwerin (cat. 6.14.8), con, sul fondo, un animale fantastico con testa di<br />
uomo dai caratteri tipici di un dandy anni Dieci del Novecento.<br />
441 Ferrazza, 1994, p. 112 indica Morgan come “la punta di diamante, il simbolo dei miliardari americani<br />
grandi collezionisti d’arte antica”.<br />
442 Riccetti, 2001, p. 22 e nota 46 (correggo qui alcune imprecisioni date nella nota).<br />
443 Il 27 dicembre 1911, lo stesso editore aveva informato Morgan di aver iniziato la lavorazione del catalogo<br />
in base alle istruzioni fornite dall’antiquario francese: “D’apres les instructions que m’a donnees Mr.<br />
133<br />
L. Riccetti