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1909TRA - Caroline Imbert

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“Un centro abitato con caratteristiche di lunga durata, come è il caso di moltissimi dei centri<br />

storici o delle aree archeologiche, si presenta con un diversificato e ricchissimo quadro di<br />

sedimenti archeologici e strutturali […]. È quindi ovvio che una seria indagine storicoterritoriale<br />

non possa prescindere dall’utilizzazione di varie ottiche di ricerca”.<br />

Con queste parole Riccardo Francovich, uno dei creatori della nuova archeologia medievale<br />

italiana, introduceva nella primavera del 1985 l’esposizione orvietana della imponente serie<br />

di reperti medievali provenienti dai “butti” di Palazzetto Faina. Si era in quegli anni nella<br />

città di Orvieto – grazie anche agli interventi resi possibili dalle leggi speciali per la<br />

salvaguardia della rupe –, alle prime esperienze di un’organizzata “archeologia urbana”, che<br />

ha dato eccellenti risultati, consentendo il recupero di stratigrafie pressoché intatte che dalle<br />

fasi più recenti scendevano fino all’arcaismo etrusco, in un’ininterrotta successione di<br />

elementi caratterizzanti.<br />

Se fino ad allora alla ceramica e agli altri manufatti di età postclassica, e in particolare a<br />

quelli medievali, non si dava grande importanza archeologica e storica, limitandone la<br />

raccolta a quanto vi era di esteticamente migliore, negli ultimi decenni, invece, anche grazie<br />

all’impegno costante delle Soprintendenze, ciascuna per i propri ambiti istituzionali, la<br />

quantità di materiali e le modalità scientifiche di tale recupero hanno permesso di<br />

ridisegnare, talvolta in modo sostanziale, gli accadimenti di una fase peraltro centrale della<br />

storia orvietana.<br />

La presentazione del ricco gruppo di ceramiche oggetto dell’attuale mostra, uscite dalla<br />

penisola a breve distanza dalle prime leggi di tutela di un secolo fa e già illustrate da Pericle<br />

Perali (nel suo rapporto con <strong>Imbert</strong> quasi un precursore di certa moderna “gray archaeology”,<br />

come del resto anni prima il suo maestro bolognese Gherardo Ghirardini nel suo segreto<br />

rapporto con Pietro Ercole Visconti per la pubblicazione del Catalogo delle statue antiche<br />

della Collezione Torlonia), è ora l’occasione per attrarre l’attenzione del pubblico su questo<br />

patrimonio disperso e migrato lontano, che, se pur ormai irrimediabilmente<br />

decontestualizzato, ci fa riflettere, una volta di più, sulla necessità d’insistere in un’attenta<br />

azione di tutela anche in questo settore dell’archeologia.<br />

Da ciò l’auspicio degli scriventi affinché possa realizzarsi ad Orvieto il progetto di una<br />

sezione museale dedicata proprio alle testimonianze archeologiche, spesso umili sì, ma non<br />

più “minori”, dello splendido Medioevo della città, a completamento delle straordinarie<br />

collezioni per lo più concernenti altri periodi storici, già esposte nei grandi musei attorno alla<br />

piazza del Duomo.<br />

Di tale interesse, infine, si consideri segno concreto da parte della nostra Soprintendenza<br />

la messa a disposizione dei propri laboratori per il restauro delle maioliche giunte in prestito<br />

– e in frammenti – dal brasiliano Museo di San Paolo e della sede espositiva per la mostra di<br />

Orvieto.<br />

Gabriele Baldelli<br />

Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Umbria<br />

Paolo Bruschetti<br />

Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Orvieto

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