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numero 1/2009 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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EditorialeLo stato moderno, secondo una consolidata tradizione, si costituiscesulla base di tre elementi essenziali: il popolo, il territorio,la sovranità. È popolo un insieme di individui che si sentonolegati da un’esperienza di riconoscimento reciproco, che è a untempo effetto e sostegno di una comunanza di lingua, religione,costumi, di tutto ciò insomma che sedimenta una memoria, unastoria, quella comprensione di senso dell’agire e dell’agire quotidianonella quale Max Weber individuava “il presupposto piùelementare della formazione di una comunità”. Per lungo temposi è considerato naturale, scontato il rapporto fra popolo eterritorio. Diciamo più facilmente “noi” con coloro con i qualicondividiamo la prima e fondamentale esperienza dell’abitare,del coltivare e amare una terra, pronti magari a difenderla dallaminaccia degli “altri”, di coloro che vivono appunto al di là deiconfini. Il concetto di sovranità completa la dottrina dello statocon il vincolo di un ordinamento politico e giuridico che è tale inquanto superiorem non recognoscens. Che si tratti del monarcaassoluto di Hobbes, della volontà generale di Rousseau o dellepiù recenti versioni della democrazia rappresentativa come formuladella sovranità popolare, il presupposto rimane quello diun potere che risponde solo a se stesso e le cui leggi non sonosoggette al giudizio di altre autorità, di altri re o parlamenti.Si può essere facilmente tentati di concludere che è propriosulla base di questa definizione che la forma-stato appare il prodottodi una precisa epoca storica e che la suasolidità è ormai scalzata da dinamiche che imporrebberodi immaginare e realizzare nuovimodelli. Le grandi religioni monoteistiche,così come le diverse figure del cosmopolitismorintracciabili nella storia del pensiero,hanno sempre conservato, accanto a quella diidentità politiche separate e potenzialmenteconflittuali, la prospettiva almeno ideale diuna comunità di tutti gli uomini, che ha trovatonuovo slancio in Carte e Dichiarazioni deidiritti, la più importante delle quali è senz’altroquella approvata dalle Nazioni Unite nel1948. Ad un livello diverso e tuttavia pervasivo operano i molti,spesso spontanei fattori di quella che Habermas ha definito unanuova “costellazione post-nazionale”: organizzazioni non governative,internet, movimenti cresciuti intorno a rivendicazioniideali, stili di vita, espressioni della creatività artistica. Tutto ciò,insomma, che consente oggi di sentirsi contemporaneamenteparte di diversi “popoli”, mentre i più tradizionali criteri di appartenenzavengono spesso guardati con sospetto proprio perchétendono a produrre divisioni che, se anche non sfociano nellaviolenza di vere e proprie guerre, alimentano tensioni all’internodegli stessi stati, in particolare quando i confini di questi ultimisono stati tracciati a tavolino dalle potenze coloniali. Il casodell’Iraq è emblematico: uno stato e tre identità (i curdi, i sunnitiLo stato moderno sicostituisce, secondouna consolidatatradizione,sulla base di treelementi essenziali:il popolo, il territorio,la sovranità.e gli sciiti), che faticano a trovare la via della pace e della concordiasotto un’unica bandiera.Ma è la stessa idea di sovranità a diventare problematica.Da una parte perché sottendeva un principio di uguaglianzatanto rigoroso sotto il profilo formale quanto astratto alla provadei fatti e cioè dei concreti rapporti di forza fra i singoli stati. Cisono e ci saranno i più grandi e i più piccoli, i più ricchi e i piùpoveri, con il risultato che la sovranità dei secondi sarà sempreesposta al rischio di essere una sovranità limitata, per riprenderel’espressione usata per decenni a indicare il rapporto fra i paesidell’Europa orientale e l’Unione Sovietica. G8, G20, Consigliodi sicurezza dell’Onu: sono tutti “perimetri” che includono alcunied escludono altri, quasi a ribadire che non tutti sono uguali. Lacircolarità di sovranità e stato viene però fortemente sollecitata,se non spezzata, anche dagli esiti dei grandi processi della globalizzazione.Neppure i paesi più importanti, come hanno traumaticamenteconfermato le vicende di questi ultimi mesi, sono ingrado di governare da soli le conseguenze di una crisi finanziariaed economica, proprio perché la finanza e l’economia non conosconoconfini di “territori”. Occorre il contributo e il sacrificiodi tutti per vincere le sfide ambientali, sanitarie e di giustizia chehanno una dimensione planetaria e che sarebbe quindi illusoriopretendere di imbrigliare nelle leggi di uno stato. L’Unione Europeaè il tentativo forse più interessante di rispondere a questeesigenze avviando, almeno in una delle grandi“regioni” del mondo, una ricomposizione sulivelli diversi e articolati dello stesso potere difare le leggi e di farle rispettare.Perché, allora, continuare a parlare di stato?Una prima risposta, ovvia e non per questomeno legittima, è che appunto lo stato rimanecomunque la cornice principale all’internodella quale si producono le decisioni politicamentee giuridicamente vincolanti per i cittadini,si amministra la giustizia, si riconosconodiritti e si impongono doveri. Non è venutomeno il principio per il quale occorrono ragioniparticolarmente serie per giustificare l’interferenza negli“affari interni” di un altro paese. Ecco perché dalla solidità delleistituzioni e dal loro orientamento più o meno democratico continuanoa dipendere in larga misura la libertà e il destino dellepersone. Può esserci però un’altra ragione. Proprio il necessarioripensamento del significato assoluto della sovranità implica unanuova concettualizzazione del potere e dei suoi meccanismi, aun tempo più attenta all’autonomia degli individui e delle societàintermedie e più sensibile alle responsabilità di una cittadinanzache tende a farsi globale. La frontiera fra noi e gli altri è semprepiù aperta. Idee, valori ed esperienze non possono più muoversia senso unico.Stefano Semplicipanorama per i giovani • 3

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