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Biennale 1976: la terra di mezzo per la terza cultura

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e l’umanità invece <strong>di</strong> essere <strong>la</strong>nda sconso<strong>la</strong>ta <strong>di</strong> eriche e rovi, con qua e là un raro Pino o una<br />

lontana Quercia, sarebbe una grande democratica Foresta <strong>di</strong> Alberi”. 41<br />

E questo avviene, sostiene Dewey proprio in virtù del modo <strong>di</strong> comunicare che solo l’arte riesce a<br />

realizzare. È un modo immaginativo e <strong>per</strong> questo non compreso né accettato da chi vive una vita<br />

mono<strong>di</strong>mensionale. È un modo immaginativo <strong>per</strong>ché l’imposizione a vivere in maniera<br />

schizofrenica e bipo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> nostra vita ci porta a pensare che <strong>la</strong> <strong>per</strong>fetta unione tra organismo e<br />

ambiente possa essere solo immaginata e non realizzata. Proprio <strong>per</strong> questo l’arte deve costituirsi<br />

come luogo me<strong>di</strong>ale, luogo in cui <strong>di</strong>mostrare che questa possibilità è applicabile e che il primo<br />

passo <strong>per</strong> una sua attuazione consiste nel<strong>la</strong> partecipazione e nel<strong>la</strong> con<strong>di</strong>visione. Questo <strong>di</strong>scorso che<br />

oggi può sembrare utopistico era al<strong>la</strong> base dell’o<strong>per</strong>atività estetica degli anni’70 ed il suo repentino<br />

abbandono con l’illusione <strong>di</strong> un nuova stagione edonistica con l’avvento degli anni ’80, ne sta ad<br />

in<strong>di</strong>care tutta <strong>la</strong> sua vali<strong>di</strong>tà. Tale sistema infatti mirava al<strong>la</strong> costruzione <strong>di</strong> una società cosciente,<br />

motivata e soprattutto curiosa, una società a<strong>per</strong>ta che rifiutava l’inserimento <strong>di</strong> logiche capitalistiche<br />

all’interno del vivere quoti<strong>di</strong>ano, che rifiutava il concetto <strong>di</strong> quantità=qualità, e che cercava nel<br />

contatto sociale una propria definizione. L’avvento degli anni’80 ha portato invece un ritorno, nel<br />

senso peggiore del<strong>la</strong> paro<strong>la</strong>, un ritorno “con <strong>la</strong> coda tra le gambe”, al<strong>la</strong> chiusura nel e del proprio<br />

specifico. Le promesse <strong>di</strong> un nuovo benessere hanno fatto sì che l’arte tornasse oggetto in quanto<br />

ven<strong>di</strong>bile ed esponibile. Tutto ciò a scapito <strong>di</strong> una ricerca sociale, a scapito del rischio che ogni<br />

artista deve prendersi nei confronti del<strong>la</strong> sua comunità, a scapito del rischio <strong>di</strong> una <strong>per</strong><strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

autocoscienza.<br />

41 J. Dewey, op. cit., p. 328.<br />

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