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EMMA E IL PIOPPO

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<strong>EMMA</strong> E <strong>IL</strong> <strong>PIOPPO</strong><br />

Giro sempre al largo dal pioppo quando passo per raggiungere la riva del fiume.<br />

Mi fa paura e mi attrae nello stesso tempo.<br />

In quell´albero vive Emma, Emma é quell´albero, il suo corpo il tronco, le braccia i<br />

rami, le gambe le radici.<br />

Nessuno lo sa, né potrebbe saperlo. Io sí, lo so, io solo lo so.<br />

Ma oggi é diverso, c´é qualcosa oggi nel cielo, nell´aria, un´atmosfera di tempo grigio,<br />

una minaccia di tempesta mi fa ricordare...<br />

Mi fa ricordare quel giorno.<br />

Anche l´odore dolciastro delle gemme e delle infiorescenze di pioppo degli inizi di<br />

primavera mi scende giú ai polmoni , ai bronchi, agli alveoli polmonari. È un profumo<br />

sontuoso, provocante, osceno addirittura come quello di una femmina in calore che<br />

vuol darsi, darsi a qualunque costo. Il desiderio di maternitá la domina, l´avvince, la<br />

tormenta.<br />

Il profumo delle tue mutandine, Emma.<br />

Dopo tanto tempo ancora le ho, gelosamente nascoste nel fondo del cassetto. E hanno<br />

conservato il profumo di te.<br />

Mi fanno ricordare il giorno, quel giorno.<br />

Oggi non vado a sedermi sull´argine e meditare sul passato. Oggi mi avvicino al<br />

pioppo, e seggo col dorso appoggiato al tronco.<br />

Debbo parlarti, Emma, ed é qualcosa di molto importante.<br />

Mi risponderai con lo stormire delle fronde, io ti capisco, Emma, so quello che stai<br />

tentando di dirmi da tanto tempo. E oggi ti daró la risposta che aspetti da allora, da<br />

tanto tempo, da quel giorno.<br />

Svegliandomi da un sonno profondo apro appena gli occhi socchiudendo le palpebre. Non mi vedo nella<br />

mia stanza, non capisco dove sono. Provo a parlare. Dalla gola fuoriesce un suono indefinito, rauco,<br />

quasi un lamento.<br />

Una voce al mio fianco<br />

-Sorella, si é svegliato.-<br />

Premurosa una figura vestita di bianco si avvicina, guarda<br />

-Finalmente, figliolo, sono tre giorni che aspettiamo. Come ti senti?-<br />

Ancora confuso comincio a capire, mi trovo in una camera d´ospedale, la donna é una suora infermiera.<br />

Ma come son finito qui?<br />

Il dottore mi esamina, osserva il fondo dell´occhio proiettando una lucina, tocca qua e lá, fa qualche<br />

domanda, conclude<br />

-Sta bene, ancora mezzo intontito ma sta bene. Possiamo avvisare il maresciallo.-<br />

Una decina di minuti e il maresciallo Sallino siede accanto al letto. Lo conosco. Non perde tempo, mi<br />

tratta con bonaria familiaritá<br />

-Dimmi, com´é successo?-


Hanno giá scoperto tutto, qualcosa nel fondo mi avvisa. La realtá sta per venire a galla. Ma quale<br />

realtá? Comunque emergendo dalla confusione l´istinto mi avverte, mettiti sulla difensiva<br />

-Cosa é successo, che?-domando<br />

Ma non era quel che confusamente temevo senza riuscire ad immaginare cosa fosse.<br />

-Come hai fatto a salvarti? Tutti quelli che si trovavano nella corriera sono annegati nel Canalone dei<br />

Cinghiali, nessuno é riuscito a salvarsi, solo tu. Ma come, se i finestrini erano chiusi? Eppure eri lí<br />

dentro, il biglietto l´avevi in tasca, bagnato sí, ma ancora leggibile. Suor Gertrude mi ha detto che le tue<br />

mani sono ancora piene di ferite, le unghie sporche di terra. Ti devi essere inerpicato su per le pareti<br />

scoscese del canalone a forza di braccia -<br />

Non ci capisco nulla, comunque intuisco che meno parlo meglio é.<br />

-Maresciallo, a dire il vero non ricordo niente di niente. Solo che mi ritrovavo nella piazza di Tremonti<br />

aspettando la corriera, poi piú nulla. Un buio completo. Mi dica qualcosa Lei, chissá che non cominci a<br />

ricordare.-<br />

Piazza del Mercato di Tremonti, compro il biglietto di ritorno per Montarsolo e lo infilo<br />

in tasca. Il cielo é scuro, non si scorgono nemmeno le montagne lontane completamente<br />

coperte da nuvoloni neri.<br />

Il giornalaio commenta<br />

-Il fiume é in piena, potrebbe straripare.-<br />

Adoro il Fiume Nero, quando é in secca e ancora di piú quando é in piena. Mi affascina<br />

in ispecie gonfio e le acque torbide scendono violente trascinando ogni sorta di cose.<br />

Non voglio perdermi lo spettacolo, Montarsolo non é lontana, seguendo il fiume<br />

percorrendo l´argine potrei arrivarci prima della corriera che fa un lungo giro deviando<br />

un paio di volte per raggiungere paesetti sperduti.. Minaccia pioggia, pazienza, mi<br />

bagneró.<br />

Un quarto d´ora e sono sull´argine, lo spettacolo impressionante, acqua rasa al ciglio, da<br />

un momento all´altro potrebbe superarlo ed invadere la piana che si stende verso<br />

oriente. Mi trascinerebbe con sé fin chissá dove, dove sorge il sole, una morte splendida<br />

alla luce di un´alba che mai finirá.<br />

Desiderio morbido di morte mi assale, stupendo morire ucciso dal fiume, dal Fiume<br />

Nero, il mio fiume. Perché non buttarmi nella corrente lasciandomi trascinare dalle<br />

acque furibonde color caffellatte, come quell´albero che precipita a valle, incautamente<br />

cresciuto troppo vicino a riva e sradicato dall´impeto del fiume che non perdona le<br />

sfide?<br />

Mi identifico col Fiume Nero, nella morte ne verrei a far parte per sempre.<br />

Il desiderio di morte ingigantisce, diviene insopportabile, uccidere od essere ucciso.<br />

Vivere o non vivere. In realtá vivere non é altro che attesa della morte. Il problema é<br />

questo.<br />

Mi prende lo scoramento. È sempre cosí. Come chi si lascia ipnotizzare dall´oscillio del<br />

pendolo, cosí guardare la corrente scorrere mi lascia in uno stato quasi ipnotico e mi fa<br />

vivere in un altro mondo, un mondo di incubi, un mondo popolato da fantasmi.<br />

E quando a tutto questo si aggiunge l´abbattimento che la bassa pressione atmosferica<br />

provoca in me, sempre accade quando il fiume é in piena, accade sempre, come oggi, i<br />

neuroni entrano in collasso, perdo il dominio dei miei atti, del mio comportamento ed


alla prima contrarietá esplode una crisi furiosa fuori del controllo della volontá. Non so,<br />

forse sono neuroni, onde celebrali o checché sia, non saprei definirle meglio, che<br />

seguono la direzione dell´acqua correndo verso il mare, fino ad infrangersi contro la<br />

scatola cranica per ritornare urtandosi con altri neuroni che sopraggiungono e creare<br />

cosí il caos, il marasma.<br />

In questo momento divengo un altro, una specie di dottor Jekill, é l´ultima cosa che<br />

percepisco chiaramente. Quell´altro si impossessa del mio corpo e della mia anima.<br />

Una furia assassina mi domina, implacabile.<br />

Mi costringe ad uccidere. Devo uccidere, distruggere, togliere la vita a qualsiasi essere<br />

incontri nel mio cammino, grillo, rospo, farfalla, lucertola.<br />

Lacerarli ancora vivi, dilaniarli, farli a pezzi, calpestarli, solo questo riesce a ridarmi pace,<br />

luciditá, calma<br />

Come quella volta che tolsi la vita a Taras.<br />

Lo avevo visto trotterellando sul ciglio della strada, cucciolotto bastardo dai cento padri che si erano<br />

avvicendati sulla cagna in calore.<br />

Lo avevo rincorso, si era lasciato prendere, aveva leccato la mia mano, linguina morbida, liscia e tiepida<br />

conquistando il mio cuore.<br />

Affamato, me ne accorsi da come si buttó sulla scodella di pane e latte che gli avevo porto non appena a<br />

casa.<br />

Lo chiamai Taras, non so perché, Taras Bulba, nome avventuroso.<br />

Non mi lasciava mai, dovunque andassi. Era cresciuto vivendo ogni minuto accanto a me. Neanch´io<br />

potevo fare a meno di lui, eppure, eppure quel giorno lo uccisi.<br />

Il fiume in piena, seduto sull´argine tra i cespugli fitti di rovo brulicanti di fruttine violacee mature dal<br />

colore dai mille riflessi, migliaia di minute immagini dell´acqua che corre verso il mare lontano.<br />

Comincia.<br />

Il gioco preferito, lanciare un qualcosa, uno stecco, una pantofola, un oggetto. Correva a riprenderlo,<br />

tornando fiero e scodinzolante per deporlo ai miei piedi e guardami<br />

–Hai visto cone son bravo?-<br />

Ci divertivamo in quel giochetto semplice e ingenuo fino a stancarmi, io, non lui che avrebbe continuato<br />

chissá per quanto.<br />

Sentivo la crisi sopraggiungere, la corrente sembrava mi lavasse il cervello lasciandolo vuoto. Volevo<br />

riempirlo, lanciai uno stecco nel fiume con il solito gesto imperioso. Va!<br />

Taras andava sempre, si tuffava per abboccare l´oggetto e me lo riportava scrollandosi l´acqua di dosso<br />

bagnandomi tutto. Sembrava si divertisse e anch´io mi divertivo.<br />

Anche quella volta si lanció in acqua, la corrente impetuosa lo travolse trascinandolo. Un vortice lo<br />

spinse verso il basso. Mi sembró un´eternitá, alla fine riemerse annaspando disperatamente verso la<br />

salvezza della sponda.<br />

Vi riuscí, sdraiato al suolo vomitó tutta l´acqua che era stato costretto ad ingurgitare, esausto, spossato,<br />

terrorizzato dalla tremenda esperienza.<br />

Non ebbi pietá di lui, lanciai nuovamente un ramoscello nella corrente -Va!-<br />

Ma stavolta non andó, guardandomi supplichevole a dirmi ma non vedi in che stato mi trovo?<br />

Ormai Jekill si era impadronito di me, dalla mia mente, del mio cuore.<br />

La rabbia mi invase, la grossa pietra biancheggiava ai miei piedi, l´afferrai e colpii con tutte le forze<br />

moltiplicate dalla rabbia.


Si accasció al suolo, infierii su di lui fino a rendergli il cranio una poltiglia informe.<br />

Non affidai alla corrente il corpo privo di vita.<br />

Carponi al suolo cominciai a scavare, le mani nude, il terreno cedevole, la fossa fu pronta quasi prima di<br />

riuscire a rendermene conto.<br />

Tornai a casa ancora incosciente di quel che era accaduto.<br />

Fu mia madre a riportarmi alla realtá non appena a casa<br />

-E Taras?-<br />

Mentii, non potevo dirle la veritá<br />

-Il Fiume Nero se l´é portato con sé. Non ha resistito alla corrente.-<br />

Mia madre era stata sempre burbera con Taras, non gli aveva mai fatto una carezza, peró mai aveva<br />

lasciato la sua scodella vuota. Lo faceva brontolando ma non se ne dimenticava mai.<br />

In effetti era affezionata al cane, anche se non lo dimostrava apertamente. Gli occhi le si riempirono di<br />

lacrime, cominció a piangere.<br />

Solo allora capii quel che avevo fatto e piansi anch´io, piansi a lungo, singhiozzando.<br />

Ancora una volta quell´altro sta per impadronirsi di me, ne sento la minaccia nell´aria<br />

pesante, greve, un attimo di luciditá, la coscienza dell´inevitabile, debbo fuggire prima,<br />

prima che sia troppo tardi.<br />

Quell´acqua quasi tracimando é come mi risvegliasse, debbo fuggire, fuggire. Mi<br />

precipito giú dall´argine, inciampando, cadendo, rialzandomi.<br />

Mi avvio di corsa sul sentiero tra i pioppi, quasi la calma.<br />

Poi vedo le biciclette, l´una sull´altra, in terra, fanno l´amore.<br />

Come possono far l´amore due biciclette in un boschetto di pioppi? Eppure sono lí, i<br />

manubri allacciati, i sellini che si sfiorano, i telai intrecciati.<br />

La bicicletta di Emma, la riconosco, nichelata e scintillante e su di lei un mostro a due<br />

ruote, nero, minaccioso, la sovrasta, la domina, la possiede.<br />

E finalmente li scorgo, i capelli biondo cenere di Emma non permettono che mi illuda, é<br />

lei, stretta, avvinta come la bicicletta rilucente a quella specie di gigante che infierisce.<br />

Non posso aver dubbi, perché non ti difendi, Emma? Perché non lo respingi, Emma?<br />

Perché lo lasci fare tutto quel che vuole sotto le tue vesti, Emma?<br />

Qualcosa mi paralizza, come nell´incubo di un sogno orribile. Vorrei gridare ma non<br />

riesco a far uscir suono dalla gola.<br />

I piedi incollati al suolo mi bloccano, non mi permettono di correre verso i due che<br />

stanno contorcendosi appoggiati al tronco, per separarli, per porre fine a quell´amplesso<br />

mostruoso, la bella, il mostro.<br />

Hanno finito, si ricompongono, poi lui si accosta alle biciclette, stacca l´una dall´altra,<br />

monta su quella nera e si avvia a grandi pedalate lungo il sentiero. È Silvio, il professore,<br />

un uomo di quarant´anni, sposato con quattro figli.<br />

Come hai potuto, Emma, concederti ad un uomo di quarant´anni, sposato e con quattro<br />

figli?<br />

Stai venendo verso di me, ora, sorridi felice nalla tua incoscienza. Sei tra le nuvole,


cammini danzando al suono di una melodia che non posso ascoltare. La musica ti<br />

prende tanto che non riesci a vedere me malamente nascosto dalla ramaglia del<br />

cespuglio.<br />

Sono vicino, quasi potrei toccarti, ma tu non mi vedi.<br />

Ti giri per accucciarti a terra e sedere. Rimani lí, chiaro, devi lasciar passar tempo, per<br />

non destare i sospetti della gente.<br />

Tu e Silvio, il professore, nessuno deve sospettarlo.<br />

Se fossi venuta con me, Emma, saremmo tornati insieme, le biciclette affiancate, il mio<br />

braccio attorno la tua spalla e il tuo a circondare la mia, liberi, allegri, felici.<br />

In paese tutti sanno di noi due, tutti pensano che metteremo su famiglia.<br />

E invece tra me e te non é mai esistito nulla al di lá di una grande amicizia, almeno da<br />

parte tua, perché io ti amo, Emma, ti adoro, Emma.<br />

Fin da ragazzetto.<br />

Vicini di casa giocavamo sempre insieme e allora, sí, mi dicevi –Ci sposeremo, Stefano, e avremo tanti<br />

bei bambini...<br />

Ma tutto cambió quel giorno, avevi dodici anni, stavamo giocando con i nostri compagni, ad un tratto<br />

divenisti pallida portando la mano al ventre come se qualcosa ti avesse colpita, e corresti verso casa con<br />

una smorfietta di dolore sul viso.<br />

Ti aspettammo a lungo, finché tua mamma apparve e venne verso di noi<br />

-Ragazzi, é inutile che rimanete qui ad aspettare, Emma non sta bene.-<br />

Tutto cambió da quel giorno, quando ti rividi era come se fossi un´altra, non piú la compagna di giochi<br />

spensierata, ma una signorinella compita. Qualche tempo dopo compresi, in quel momento eri divenuta<br />

donna.<br />

-Mi sposerai, Emma?-<br />

-Certo che ti sposeró.- continuavi a promettere, ma lo dicevi senza l´entusiasmo di una volta, lo dicevi<br />

come qualcosa di ovvio, inevitabile, non era amore nelle tue parole.<br />

-Quando? Ma quando?- chiedevo a mezza voce, timoroso<br />

-Siamo giovani. Che fretta c´é?- l´immancabile risposta.<br />

Non ti lasciavi neanche prender la mano, solo a volte, per qualche secondo.<br />

Quando tentavo di baciarti<br />

-No! Sei ancora come un fratello per me, sembrerebbe un incesto. Lascia passare il tempo, il tempo<br />

sistemerá ogni cosa.-<br />

Ineluttabile, fatale, solo aver pazienza e saper attendere, saper attendere il momento giusto.<br />

Da qualche mese avevi cominciato a cambiare. Ti vedevo diversa nell´atteggiamento e nelle parole, non<br />

eri piú tu.<br />

Non riuscivo a capire se eri felice, a volte sembravi.<br />

L´aria trasognata, tu sempre positiva e pratica, eri divenuta la fanciulla romantica che si lascia<br />

trasportare dal sogno.<br />

Ora so che non c´era posto per me in quel sogno, il posto era di un altro, il professore, l´uomo di<br />

quarant´anni con moglie e quattro figli.<br />

Come hai potuto, Emma?<br />

È arrivato qui da qualche mese appena, quale incantesimo ha usato per stregarti, per strapparti a me<br />

che ti sto adorando si puó dire fin da quando sei nata?


Ora capisco il perché e il percome di quella tua insinuazione di qualche settimana prima<br />

–Forse se ti allontanassi per qualche tempo, al tuo ritorno tutto potrebbe essere diverso tra noi, la tua<br />

assenza potrebbe non farmiti vedere piú come un fratello, ti guarderei sotto un aspetto diverso...- e<br />

continuavi insinuante facendo balenare davanti agli occhi la prospettiva di poter finalmente realizzare il<br />

sogno della mia vita.<br />

Solo dopo che ti ho vista attorcigliandoti all´amante appoggiata al pioppo é che ho capito che tentavi di<br />

allontanarmi per essere piú libera di incontrarti col tuo ganzo, la mia presenza ti infastidiva, era un<br />

pericolo, ti rendevi conto che da un momento all´altro avrei potuto capire. E allora?<br />

Sapevi che il romanzo col professore aveva il destino segnato.<br />

Durante la mia assenza avresti vissuto le ore frenetiche dell´insensata tragica felicitá e al mio ritorno<br />

avresti infine permesso che si compisse il fato ineluttabile che ci perseguiva da quando eravamo nati.<br />

Mi avresti detto – Sono pronta finalmente.-<br />

Ti avrei sposata anche se avessi saputo che avevi il figlio di un altro nella pancia.<br />

Sí, perché da quel che vidi nella vostra furia d´amore sarebbe stato quasi impossibile che non ci<br />

rimanessi.<br />

Me lo avresti confessato<br />

-Ho dovuto farlo. Ho dovuto farlo per rompere l´incantesimo, la maledizione che mi impediva di amarti<br />

come donna. Dovevo farlo per dare una scossa alla situazione che si era cristallizzata e con certezza lo<br />

sarebbe rimasta per sempre, ti avrei sempre voluto bene ma senza mai poterti amare come avrei voluto.<br />

Per questo mi sono invischiata in un amore impossibile, un amore che non sarebbe durato piú di quel<br />

tanto da provocare la scossa psicologica e trasformarmi nella donna che ti avrebbe finalmente amato<br />

come desideravo da sempre senza mai poterci riuscire.<br />

Per questa ragione, Stefano, ho compiuto il sacrificio, sí, perché per me é stato un grosso sacrificio.-<br />

Non esser ipocrita, Emma, non mentire, Emma. Non erano certo di dolore i tuoi urli mentre ti<br />

attorcigliavi come edera a quel gigante.<br />

-Mio caro, il nostro corpo é quello che é, indipendente dal sentimento. Le forze della natura sempre<br />

finiscono col prevalere, forse non sai che molte donne godono anche se non vorrebbero mentre vengono<br />

violentate. Sí, anche lo stupro puó provocare l´orgasmo, non lo sapevi?-<br />

Né lo sapevo, né ci credo. Come potrei crederti?<br />

Eri a un passo da me e canterellavi felice.<br />

Poco alla volta, sempre piú abbattuto andavo rassegnandomi, la calma cominciava a<br />

ritornare, avvilito, apatico, stavo per arrendermi, rinunciare al grande sogno<br />

Fu nel momento in cui scorsi qualcosa di cilestrino nella tua mano, un qualcosa di<br />

indefinibile fin quando non apristi il pugno e vidi che erano le tue mutandine, Emma.<br />

Le mantenevi con la punta delle dita agitandole trionfante come un vessillo. Le<br />

mutandine che lui ti aveva tolte, Emma.<br />

La ragione che stava tornando mi abbandonó definivamente.<br />

Di nuovo la rabbia mi aveva dominato, lo spezzone di ramo strappato dal vento, era ai<br />

miei piedi. Afferrarlo e colpirti alla testa fu un attimo. Perdesti immediatamente i sensi,<br />

almeno cosí mi parve, senza poterti render conto di quel che era accaduto.<br />

Ti colpii un´altra volta e poi un´altra ancora e ancora e ancora. Mi fermai solo quando<br />

mi accorsi di averti sfondato il cranio.<br />

Eri passata dall´amore alla morte in pochi minuti, poco prima ti contorcevi e urlavi di


piacere, poco dopo un corpo senza vita. Almeno cosí pensavo fino ad accorgermi che il<br />

tuo corpo ancora viveva, il tuo cuore ancora palpitava. Ma non saresti sopravvissuta, i<br />

miei colpi ti avevano spappolato il cervello.<br />

La furia non era svanita, tenendoti per i piedi ti trascinai sotto il pioppo che qualche<br />

minuto prima era stato testimone della tua nefandezza, del tuo tradimento.<br />

L´ira aveva moltiplicato le energie, il terreno attorno all´albero molle e arenoso, scavai<br />

come un ossesso con le mani nude, scavai e scavai fino a formare la fossa nella quale<br />

deposi il tuo corpo, ancora tiepido e palpitante, con la testa infilata fra le radici.<br />

Avevo appena fatto in tempo a ricoprirti di terra quando udii il rombo.<br />

La furia della piena aveva rotto gli argini, una massa d´acqua precipitava nella pianura<br />

travolgendo ogni cosa.<br />

Mi afferró strappandomi al tronco al quale disperatamente mi aggrappavo<br />

trascinandomi sempre piú lontano e lontano.<br />

Un colpo alla testa e tutto finí.<br />

Quando ripresi i sensi mi trovavo nell´ospedale di Montarsolo<br />

Premurosa una figura tutta vestita di bianco si avvicina, guarda<br />

-Finalmente, figliolo, sono tre giorni che aspettiamo. Come ti senti?-<br />

Ero tornato alla vita. Ma cos´é la vita senza te?<br />

Come fossi morto anch´io sotto il pioppo, come te, ancor piú di te.<br />

Fu una primavera di grandi piogge quella e calda piú del solito. Il tepore sciolse le nevi,<br />

il Fiume Nero si gonfió due volte ancora, l´argine sfondato lasciava passare le acque che<br />

invasero la piana.<br />

Il tuo sepolcro, coperto da tre strati di limo, non fu mai scoperto.<br />

In Montarsolo nessuno seppe spiegarsi la tua scomparsa, é rimasta un mistero per tutti,<br />

ma non per me, naturale.<br />

Io solo conosco la veritá e so che il Fiume Nero non ti ha trascinata fino al mare, come<br />

la gente finí col pensare.<br />

Nessuno ti aveva visto uscir di casa, nessuno ti aveva visto pedalare sulla strada che<br />

porta al fiume.<br />

Solamente il professore, il ganzo, avrebbe potuto dare l´indizio da dove partire per la<br />

ricerca, ma si guardó bene dal parlare.<br />

Poco alla volta tutto si placó, i tuoi genitori si rassegnarono ma la speranza di vederti<br />

riapparire da un momento all´altro rimase in fondo al cuore.<br />

Mi diceva sempre tua madre<br />

-Non disperare, Stefano, vedrai che tornerá, da un momento all´altro la vedremo<br />

tornare sulla bicicletta nichelata.-<br />

Poverina, le aveva dato di volta il cervello, il dolore fa a volte di questi scherzi crudeli e<br />

pietosi nello stesso tempo.<br />

Mia madre intuiva in me qualcosa che non riusciva capire, mi vedeva rassegnato, senza


speranze, troppo in contrasto con il mio carattere.<br />

Sentiva forse che sapevo qualcosa del tuo destino, Emma? Piú di quanto non volessi<br />

ammettere?.<br />

Neppure tentó di consolarmi pur sapendo quanto ti amassi. Ma qualche sua domanda<br />

mi faceva comprendere che non era convinta del tutto.<br />

Per lei ho continuato a vivere, Emma, per mia madre.<br />

Mamma, mamma, non ci sei piú. Stamattina ti abbiamo seppellita nel piccolo cimitero di Montarsolo,<br />

parenti e amici hanno assistito alla triste cerimonia tra marmi e lapidi.<br />

Ma a che valgono marmi e lapidi e monumenti funebri all´ombra dei cipressi?<br />

Evitano forse il dissolversi del corpo nella putredine della decomposizione negli orrendi cassoni di legno?<br />

Tu invece, Emma, sei tornata alla madreterra che ti generó, hai pagato il tuo debito<br />

restituendo quel che avevi avuto durante il ciclo drammatico della vita.<br />

Sono addolorato, ma non triste, sereno anzi , Emma.<br />

So che oggi vi raggiungeró, te e mia madre.<br />

Vedi questa corda, Emma? É lunga e robusta.<br />

Sai a che serve, Emma?<br />

Tu lo immagini, perché sei viva in questo pioppo che svetta al cielo.<br />

Il tuo sangue si é trasformato nella sua linfa, il tuo corpo nel suo tronco, braccia e<br />

gambe nei suoi rami e radici, il tuo viso nelle fronde, le foglie mi vedono e mi sentono,<br />

mi parlano allo stormire del vento come sempre in questi anni di attesa che non<br />

terminavano mai.<br />

Mi arrampicheró fino a quella biforcazione, lassú, ben in alto e a quella biforcazione<br />

annoderó fermamente uno dei capi di questa corda lunga e robusta.<br />

Dell´altro capo ho formato un nodo scorsoio, enorme cravatta nella quale infileró la<br />

testa.<br />

Mi lasceró cadere, il vuoto non mi spaventa, mi attrae., mi affascina.<br />

Un colpo secco e saremo di nuovo insieme, Emma, per sempre, Emma, fino alla fine<br />

della fine dei tempi, Emma.<br />

FINE


<strong>IL</strong> MAL DI TESTA<br />

Giorgio Quattrocchi era preoccupatissimo quella sera.<br />

Matilde sua moglie, stava soffrendo di un mal di testa sempre e sempre piú forte, fino<br />

a divenire insopportabile, almeno a quanto lei diceva.<br />

Matilde Quattrocchi, un donnone sulla settantina, alta e massiccia rasentando il<br />

quintale, piú o meno il doppio del marito, magro come un chiodo e che somigliava ad<br />

un Woody Allen invecchiato, aveva settantacinque anni infatti e li dimostrava.<br />

Il mal di testa era sempre stata l’arma preziosa di Matilde, la teneva permanentemente<br />

a portata di mano. Un’arma infallibile, carica, sempre pronta.<br />

L’aveva scoperta durante il viaggio di nozze, quarant’anni prima.<br />

Giá a quei tempi era una donna florida, fin troppo per la sua etá, muscolosa<br />

direi, piú brutta che bella, i lineamenti piuttosto marcati decisamente le davano un’aria<br />

di virago, accentuata da un paio di baffetti sottili, di peli morbidi ma lunghi e<br />

nerissimi.<br />

Aveva giá trent’anni quando Giorgio Quattrocchi l’aveva chiesta in sposa, era il primo<br />

a farlo e fu anche l´ultimo.<br />

In realtá non aveva alcuna voglia di prender marito, non ci aveva quasi mai pensato,<br />

non ne avvertiva il bisogno né il desiderio e del resto nessuno le aveva nemmeno<br />

fatto la corte fino a quel giorno.<br />

Giorgio Quattrocchi, allora un giovane smilzo di media statura, che somigliava<br />

sorprendentemente a Woody Allen, lo stesso profilo, naso sporgente, gli stessi<br />

occhiali dalla montatura nera, lo stesso sguardo ingenuamente stupefatto.<br />

Non saprei dire nemmeno se ne fosse consapevole e se quella somiglianza<br />

accentuasse di proposito, in tal caso vi riusciva perfettamente.<br />

Da tempo aveva adocchiato Matilde.<br />

Uscendo dal lavoro passava sotto al balcone dove la giovane sedeva per godersi il<br />

fresco della sera e guardare i passanti, rallentava il passo quasi a fermarsi guardando in<br />

su.<br />

Matilde non aveva mai notato quel giovanotto dall’aria trasognata, che somigliava<br />

tanto a Woody Allen, del resto nemmeno sapeva chi fosse questo Woody Allen, e che<br />

rallentava fin quasi a fermarsi a guardare in su covandosi con gli occhi quegli ottanta<br />

chili come aspettando di vadere cader giú le trecce per arrampicarsi e dichiarare<br />

l’amore che lo divorava.<br />

Perché proprio ottanta chili giá pesava a quei tempi Matilde e per Giorgio che<br />

valutava le donne a peso, ottanta chili di femmina rappresentavano il paradiso su<br />

questa terra.<br />

Ottanta chili di morbidezze dove sognava di poter rannicchiare il suo corpo magro e<br />

ossuto, d’inverno, al riparo dal freddo durante le gelide notti di gennaio,<br />

dimenticando il problema dei diluvi di sudore durante le torridi notti estive.


Francesca, la madre di Matilde, rimasta vedova appena poco dopo la nascita<br />

della prima e unica figlia, il suo cruccio piú grande il pensiero di morire lasciando<br />

Matilde affrontar la vita sola nel mondo, e gli anni passavano e continuavano a<br />

passare inesorabili, nessuno mai aveva posato gli occhi sulla figlia, grassa, brutta,<br />

ingenua e apparentemente sciocca.<br />

Sapeva che Giorgio era un uomo serio, onesto, lavoratore, non avrebbe mai sperato<br />

che si invaghisse di Matilde, e invece proprio questo Giorgio le disse, senza perder<br />

tempo.<br />

Era entrato col discorso imparato a memoria sulla punta della lingua e lo snoccioló<br />

tutto di un fiato, quasi senza nemmeno dir buona sera, sapeva che se avesse appena<br />

appena esitato qualche secondo, non sarebbe piú riuscito a pronunciare le fatidiche<br />

parole.<br />

Ancora piú rapida la futura suocera diede il suo consenso, sorpresa e senza<br />

preoccuparsi di cosa ne pensasse la figlia, non si concesse nemmeno il tempo di<br />

pensare e sbottó in un precipitoso sí, che fece a Giorgio sentire le ginocchia piegarsi e<br />

rimanere senza fiato per l’emozione.<br />

Matilde, presa anche lei alla sprovvista, non appena lo seppe rimase interdetta,<br />

frastornata e alla fine costernata. Era cresciuta senza amiche, sempre protetta dalla<br />

gonnella della madre che mai aveva accennato all’eventualitá di un matrimonio, non<br />

era andata mai al di lá di qualche vaga ipotesi.<br />

Francesca se ne vergognava, non avrebbe mai e poi mai toccato quell’argomento alla<br />

presenza di Matilde né di qualsiasi altra persona. L’argomento sesso era un tabú e<br />

doveva rimanere per sempre sepolto nel silenzio.<br />

Lei stessa del resto ne sapeva ben poco, non appena sposata era rimasta incinta, la<br />

buonanima di Attilio non aveva perso tempo e nelle prime settimane di matrimonio,<br />

era stato insistente e insaziabile. Buon per lui averne approfittato durante quei primi<br />

tempi perché non appena si era accorta di essere gravida, Francesca aveva<br />

inesorabilmente chiuso bottega decisa a riaprirla solo dopo la nascita del figlio.<br />

Ma questo finí col non accadere, il buon Dio richiamó a sé l’anima di Attilio qualche<br />

settimana dopo il lieto evento.<br />

Per Matilde la notizia che Giorgio aveva chiesto la sua mano era esplosa come<br />

nitroglicerina, fino a quel momento il pensiero del matrimonio non l’aveva nemmeno<br />

sfiorata, nel suo inconscio rifiutava drasticamente persino di accettarlo come ipotesi.<br />

Si sentí persa come di fronte a qualcosa di sconosciuto, non sapeva come e con chi<br />

confidarsi, almeno per liberarsi di un poco di quell’ambascia che aveva cominciato a<br />

tormentarla.<br />

Confidarsi con chi? Fino ad allora non aveva mai toccato un argomento del genere,<br />

né con la madre, per la vergogna che ne avrebbe provato, né con qualche amica, ne<br />

aveva poche e ne sapevano tanto quanto lei, cioé niente e forse anche meno.<br />

Alla fine si decise, si sarebbe confidata col suo confessore.<br />

Padre Luciano avrebbe potuto informarla discretamente sui misteri del<br />

matrimonio e suggerirle il comportamento piú adeguato, considerando specialmente<br />

che lei non sapeva nemmeno come cominciare.<br />

Padre Luciano era un prete arguto e comprensivo, durante anni ed anni ne aveva


sentite di cotte e di crude in confessione e si era formato una invidiabile esperienza,<br />

purtroppo solo teorica, se ne rammaricava nel gran segreto dell’intimo.<br />

Le domande candidamente ingenue di Matilde lo lasciarono interdetto e<br />

stupito, non avrebbe immaginato che potesse ancora esistere una creatura ignorante a<br />

tal punto sui fatti della vita e del sesso. Non dubitava della sinceritá della giovane, la<br />

conosceva da troppo tempo, la sua non era ipocrisia.<br />

Era al corrente delle vicende familiari di Matilde perché anche Francesca si<br />

confessava con lui, ma non avrebbe mai potuto immaginare che la loro astrazione dal<br />

mondo della realtá fosse sul limitare dell’assurdo.<br />

Si accinse a spiegare, nella maniera piú discreta possibile, in cosa consistesse il<br />

matrimonio dal punto di vista fisico accorgendosi subito dopo le prime parole, e<br />

senza ombra di dubbio, che Matilde era condizionata da una assoluta mancanza di<br />

cultura in quel campo specifico, tanto da non riuscire ad intendere la molteplicitá<br />

delle funzioni di determinati organi, organi che fino a quel momento aveva<br />

considerati esclusivamente destinati ad eliminare le impuritá del corpo.<br />

Era condizionata a tal punto da rifiutarsi testardamente di associare tali funzioni al<br />

matrimonio, all’amore e al concepimento.<br />

-Ma é una cosa terribile, Padre Luciano...-protestó - ...mi fa...mi fa ...- avrebbe voluto<br />

dire schifo, poi pensandoci meglio finí con l’attenuare il concetto -...ribbrezzo. Ma<br />

come il Buon Dio ha potuto permetterlo?.-<br />

-Cosa siamo noi, figlia mia, per giudicare quel che Nostro Signore ha determinato<br />

nella sua saggezza infinita. E del resto quella é la maniera attraverso la quale siamo noi<br />

tutti venuti al mondo. Solo Adamo ed Eva ebbero una origine differente e solo<br />

perché non avrebbe potuto essere altrimenti.<br />

Non abbiamo assolutamente da vergognarcene, sarebbe un peccato mortale, un atto<br />

di superbia, un ribellarsi alla volontá suprema di Dio.-<br />

Ritornando verso casa con il fardello di quelle rivelazioni che le sembrava<br />

insopportabile, Matilde non fece altro che riflettere su quel che il prete le aveva detto,<br />

le sembrava un incubo. Quel che la tormentava piú di ogni altra cosa era il non<br />

riuscire a togliersi dalla testa l’immagine di suo padre e sua madre dandosi da fare per<br />

metterla al mondo, qualcosa di orribile, tanto orribile che avrebbe preferito non<br />

essere mai nata.<br />

Non appena giunta in casa corse a rifugiarsi nella sua stanza passando come un lampo<br />

avanti alla madre che la guardava sbalordita, senza dire nemmeno una parola.<br />

Sola che fu nella sua cameretta si fermó davanti al cassettone dove troneggiava la<br />

fotografia del padre, austero con i suoi baffoni che sembrava volessero nascondere<br />

un lieve sorriso,.<br />

La fotografia era sempre stata lí, illuminata da una piccola lampada permanentemente<br />

accesa, l’aveva sempre vista fin da quando poteva risalire nel passato coi suoi ricordi.<br />

Ogni volta aveva guardato quel ritratto con la stessa venerazione che riservava alle<br />

immagini sacre, un essere puro, immacolato che dall’alto dei cieli in ogni momento la<br />

stava osservando e proteggendo.<br />

Non riusciva ad immaginare come quando era in vita avesse potuto abbandonarsi ad<br />

atti cosí volgari e, peggio ancora, insieme a Francesca, che invece di accettarli<br />

passivamente avrebbe dovuto opporsi con tutte le sue forze. Evidentemente non


l’aveva fatto, altrimenti lei non sarebbe nata, il che, concludeva immancabilmente<br />

Matilde, sarebbe stato molto meglio.<br />

E adesso lei avrebbe dovuto fare le stesse cose con quel tal Giorgio Quattrocchi,<br />

inorridiva al solo pensarci, ma non poteva opporsi e rifiutare di sposarsi. Il solo fatto<br />

che avrebbe dovuto rivelare alla madre le vere ragioni della sua ripulsa, la terrorizzava<br />

al punto da rassegnarsi. Era piuttosto disposta ad affrontare il sacrificio, o per meglio<br />

dire, il martirio, come dentro di sé lo definiva.<br />

Vide sempre piú angosciata il tempo passare ad un ritmo vertiginoso fino a che<br />

giunse il giorno del matrimonio.<br />

Fortunatamente vi era stata qualcosa che era riuscita a renderle meno insopportabile<br />

l’attesa.<br />

Durante il periodo del fidanzamento, Giorgio veniva a visitarla religiosamente tutte le<br />

sacrosante sere e ogni volta passavano un’oretta insieme, sempre sotto gli occhi vigili<br />

di donna Francesca.<br />

Sotto sotto il giovanotto finí col piacerle, anzi le sembró persino di provare un<br />

incipiente sentimento di amicizia, non di piú naturalmente, ma questa circostanza in<br />

un certo senso valeva giá a rasserenarla. Vedendolo cosí umile, sottomesso e gentile,<br />

cominció a nutrir la speranza di riuscire a convincerlo a non compiere quegli atti<br />

abominevoli che Padre Luciano le aveva descritto.<br />

Aveva fiducia in Padre Luciano, gli credeva in tutto, del resto un sacerdote, un servo<br />

del Signore, come lui stesso usava definirsi, come avrebbe potuto sbagliare?<br />

Ma non riusciva a credergli quando la rassicurava -Con la grazia del Signore vedrai<br />

che finirá col piacere anche a te.- Questo non lo avrebbe mai creduto, cosa poteva<br />

saperne di queste cose un sacerdote? Questa eventualitá Padre Luciano gliela aveva<br />

prospettata ogni volta che andava a confessarsi.<br />

Da quel primo giorno infatti aveva preso l’abitudine di farlo almeno una volta alla<br />

settimana, malgrado non avesse proprio nulla da confessare. Ma per lei era un<br />

sollievo poter parlare ed esprimere i suoi timori e i suoi dubbi, dopo si sentiva meglio,<br />

anche se non credeva alle prospettive rosee che il buon Padre le faceva intravedere, o<br />

almeno tentava di riuscirvi con tutta la buona volontá di questo mondo.<br />

Quando ormai mancavano due settimane al matrimonio riuscí finalmente a trovar<br />

pace. Qualche giorno prima Padre Luciano, la cui pazienza poco a poco stava<br />

esaurendosi, le aveva detto un poco seccato dalla sua insistente petulanza - Ma credi<br />

forse di essere una Maria Goretti?-<br />

Incuriosita andó facendo domande qua e lá e riuscí a sapere chi era stata Maria<br />

Goretti e come aveva preferito morire piuttosto che cedere alle voglie turpi di un<br />

uomo.<br />

Si sentí una nuova Maria Goretti e ispirandosi alla vicenda della santa fanciulla, pensó<br />

di aver trovata la maniera di sottrarsi al sacrificio, si sarebbe negata alle voglie dello<br />

sposo. Gli avrebbe detto<br />

-Uccidimi pure, se vuoi, ma non saró mai tua né di qualsiasi altro uomo.-<br />

In realtá non credeva che sarebbe arrivata fino a quel punto, ogni giorno di piú le<br />

sembrava che Giorgio fosse un giovane mite e ben disposto, gli avrebbe parlato con<br />

franchezza, cuore in mano, e sarebbe certamente riuscita a convincerlo a vivere<br />

insieme a lei una vita casta e pura, anche se questo avrebbe significato non poter


avere figli.<br />

Ormai il solo pensiero di dover fare un figlio la disgustava ripensando a tutta la trafila<br />

alla quale evrebbe dovuto assoggettarsi, se poi Giorgio ci teneva proprio molto,<br />

avrebbero benissimo potuto adottarne uno, perché no? Avrebbero compiuto<br />

un’opera meritoria, dato un focolare ad una povera creatura che stava pagando le<br />

colpe dei padri, ed elencava tra sé e sé una lunga serie di altre ragioni, una piú<br />

consistente dell’altra.<br />

Ritrovata cosí la pace, trascorse serenamente gli ultimi quindici giorni che mancavano<br />

al matrimonio.<br />

Alla vigilia ci pensó Padre Luciano a riportarla bruscamente sul terreno della realtá.<br />

Aveva deciso di comunicarsi durante la cerimonia nuziale, nulla al mondo avrebbe<br />

potuto distoglierla da quel proposito e il giorno prima si era confessata<br />

-Figliola carissima - le aveva detto il prete- Sono felice di vederti finalmente tranquilla<br />

e serena, e ne sono orgogliose e soddisfatto come sacerdote, perché penso di essere<br />

riuscito a portare la pace e l’amore nel tuo animo. O forse mi sbaglio?-<br />

-Non Vi sbagliate, Padre...-cominció a spiegare Matilde e finí col rivelargli i suoi<br />

propositi di castitá. Il buon prete stupito espresse i suoi dubbi<br />

-Ma come sei riuscta a convincere Giorgio e come fai ad essere sicura che saprá<br />

rassegnersi ad una castitá forzata per il resto della vita?-<br />

-A dire il vero, Padre, Giorgio ancora non lo sa, glielo diró domani sera...- fu costretta<br />

ad ammettere.<br />

Padre Luciano alzó gli occhi al cielo emettendo un lunghissimo sospiro di impazienza<br />

e la interruppe<br />

-Ragazza mia, devi essere proprio impazzita...-protestó -Giorgio non accetterá mai<br />

una tal condizione e se ti rifiuterai a lui commetterai peccato mortale. Sarebbe stato<br />

diverso se lo aveste concordato tutti e due insieme, di amore e di accordo, prima del<br />

matrimonio, sareste giunti all’altare con questo proposito. Ma cosí?... stai<br />

commettendo un sacrilegio, e non posso assolverti. Se vuoi l’assoluzione per poterti<br />

comunicare domani, devi prima desistere fermamente da questo proponimento<br />

assurdo.-<br />

E cosí l’unica speranza di Matilde rimase quella di riuscir a convincere Giorgio a<br />

vivere come due buoni amici, due fratelli, e nulla piú.<br />

Ma questa speranza si dissolse poco dopo la cerimonia, quando salirono sul taxi che li<br />

avrebbe portati alla stazione.<br />

D’improvviso le sembró che Giorgio fosse divenuto un’altra persona, pur rimanendo<br />

cortese come al solito, era divenuto da un momento all’altro eccessivamente<br />

affettuoso, sembrava addirittura che gli fossero spuntate decine di mani e di braccia.<br />

Si sentiva afferrare da tutti i lati e tentava disperatamente di rifugiarsi nell’angolino<br />

dell’auto, il che era praticamente impossibile data la sua mole. Bene o male, sotto gli<br />

occhi del guidatore che li osservava dallo specchietto e scambiava per abbracci<br />

amorosi quelle che erano in realtá delle brevi colluttazioni, giunsero alla stazione e<br />

salirono sul treno per Roma.<br />

Erano in anticipo e lo scompartimento vuoto. Giorgio, impaziente, attaccó subito.<br />

Matilde pur arretrando fino a toccare colla schiena il vetro del finestrino alla fine non<br />

poté sottrarsi all’abbraccio dell’ardente sposo che la bació sulla bocca, o per lo meno


lo tentó, perché le labbra di lei si contrassero fin quasi a sparire al tocco umido della<br />

bocca del compagno, ma non riuscí ad evitare che una mano l’afferrasse saldamente<br />

alle natiche attirandola in modo che i due corpi aderirono come incollati.<br />

Era la prima volta nella vita che Matilde avvertiva il contatto del corpo di un uomo e<br />

se lo scrolló immediatamente di dosso. Giorgio stava per tornare all’attacco ancora<br />

piú focoso di prima quando la porta si aprí, entrarono due passeggeri e fu costretto a<br />

contenersi.<br />

Matilde momentaneamente rilassata non si tranquillizzó, aveva ormai visto svanire<br />

ogni speranza di convincere Giorgio ad aderire ai suoi propositi.<br />

Comprese che avrebbe dovuto fatalmente rassegnarsi all’inevitabile, ma tentó in tutti i<br />

modi di procrastinare il momento di quel che considerava un grande sacrificio, tanto<br />

che dopo cena, sebbene fosse molto stanca e non ne avesse alcune voglia, volle<br />

andare a passeggio, solo per guadagnar tempo.<br />

Ritornarono in albergo, prima di coricarsi volle disfare le valige, disporre tutto<br />

nell’armadio e la tirava in lungo il piú che poteva. Giorgio, dominato dall’impazienza,<br />

aveva l’impressione che il tempo non passasse mai, entró nella stanza da bagno,<br />

indossó il pigiama e si sdraió sul letto rimanendovi a guardare la sposa che si<br />

muoveva con lentezza esasperante.<br />

Capí che Matilde era impaurita e tentava guadagnar tempo. Alla fine le disse ridendo<br />

-Vai pure con calma, la notte deve ancora cominciare e prima o poi dovrai pur venire<br />

a coricarti qui, vicino a me.-A Matilde quelle parole non parvero affatto spiritose e<br />

aumentarono la sua confusione, invece di rispondere andó a rinchiudersi nella stanza<br />

da bagno. Vi rimase quasi per un’ora intera e forse piú.<br />

Il ritardo non preoccupó Giorgio né lo irritó, si dispose ad attendere con calma. Era<br />

estate, faceva caldo, tolse il pigiama e rimase nudo sul letto, fantasticando su quel che<br />

avrebbe fatto da lí a qualche minuto, quando avrebbe avuto al suo fianco<br />

quell’infinito di delizie. Era sempre piú eccitato, quando sentí aprirsi la porta del<br />

bagno la sua eccitazione, ormai giunta al colmo era tanto evidente che Matilde ne<br />

rimase terrorizzata, nemmeno nelle sua peggiori previsioni aveva immaginato che un<br />

uomo potesse essere fatto in quel modo.<br />

Ma ormai preparata spiritualmente al sacrificio, chiuse gli occhi per non vedere<br />

quell’orrore minaccioso e si avvicinó tentoni al letto, non fece neanche in tempo a<br />

raggiungerlo che Giorgio giá l’afferrava strappandole di dosso la lunga camicia da<br />

notte.<br />

Era rassegnata, non reagí e poggió spontaneamente la testa sul ceppo come in attesa<br />

che la mannaia le spiccasse il capo dal collo, si sentiva una novella Maria Stuarda in<br />

attesa della morte, proprio come in quel film che l’aveva fatta tanto piangere.<br />

Non fu una cosa tanto orribile come aveva temuto, comunque molto fastidiosa<br />

e la consideró perfino umiliante, finí col paragonarla ad un intervento chirurgico e<br />

come tale la consideró da quella notte in avanti, l’unica differenza’era la mancanza<br />

dell’anestesia.<br />

Finché qualche giorno dopo durante il pomeriggio cominció ad avvertire un<br />

mal di testa, lieve, nulla di insopportabile ma il pensiero che, malgrado il malessere,<br />

dopo qualche ora avrebbe dovuto sopportare inevitabilmente gli amplessi<br />

dell’insaziabile marito, la rese di un malumore sempre crescente tanto che Giorgio,


che se ne era accorto durante la cena, le domandó<br />

-Cos’hai, tesoro? Ti vedo strana, non sei del tuo solito umore, ti senti bene?- Gli<br />

confessó allora che un orribile mal di testa la stava tormentando, dandosi nello stesso<br />

tempo arie di martire. Lo aveva fatto ingenuamente, era sua abitudine drammatizzare<br />

i suoi mali, sempre lo faceva, anche con la madre. Francesca ci si era ormai abituata e<br />

non vi faceva piú caso, ma per Giorgio era la prima volta, ne rimase colpito e<br />

preoccupato. Divenne ancora piú premuroso del solito e la circondó di attenzioni. Si<br />

precipitó a comprare un analgesico, la sera rinunció a qualsiasi velleitá amorosa e<br />

questa fu la cosa piú importante.<br />

Quella notte finalmente poté dormire tranquilla, un poco per il sollievo e un<br />

poco anche per l’effetto del medicinale che l’aveva lasciata mezza intontita.<br />

La mattina si sveglió di buon umore. Guardando Giorgio addormentato accanto a lei<br />

provó una certa gratitudine per aver rispettato il suo malessere, d’altro lato il senso di<br />

liberazione che ne era stata la conseguenza, nel mentre la rendeva esultante, nello<br />

stesso tempo le faceva capire che il mal di testa, vero o finto che fosse, era stato<br />

provvidenziale e avrebbe potuto approfittarne ogni qualvolta le fosse apparso<br />

necessario.<br />

Per aver la certezza che il trucco avrebbe sempre funzionato nel futuro e non si era<br />

trattato di un caso isolato, quando Giorgio si sveglió e le chiese come si sentiva,<br />

rispose che stava meglio ma che il mal di testa ancora rondava minacciosamente<br />

attorno al capo pronto a riapparire piú forte di prima alla prima occasione.<br />

Il che accadde puntualmente alla sera costringendo Giorgio a riporre nuovamente le<br />

armi e lasciarla dormire tranquillamente.<br />

Non volle esagerare e la terza sera annunció di sentirsi bene e Giorgio finalmente<br />

poté godersi di nuovo gli ottanta chili della moglie.<br />

Mal gliene incolse perehé stavolta il mal di testa fu la conseguenza dell’amplesso.<br />

Subito dopo infatti Matilde lo avvisó che le era improvvisamente tornato, certamente<br />

in conseguenza delle sforzo amoroso.<br />

Queso fatto nuovo lasció Giorgio ancora piú insicuro, il mal di testa poteva essere un<br />

avversario palese, ma poteva essere anche un nemico occulto pronto a colpire a<br />

tradimento, il che era ancora peggio, perché non avrebbe mai saputo come regolarsi.<br />

Quando la moglie dichiarava di avere l’emicrania, la soluzione era facile, avrebbe<br />

rinunciato al piacere e tutto sarebbe finito lí. Ma quando il mal di testa attaccava a<br />

tradimento subito dopo l’amore, finiva col lasciare un senso di colpa a tormentarlo<br />

fino a non veder tornare il sorriso sul faccione di Matilde.<br />

Non avrebbe saputo come comportarsi da quel momento in avanti, era una specie di<br />

lotteria, una puntata alla roulette, rosso o nero, fate il vostro gioco.<br />

Matilde, esultante per la preziosa scoperta, fu abbastanza saggia da non<br />

esagerare. Dopo qualche giorno avvisó che aveva scoperto come accorgersi se il mal<br />

di testa era in agguato e pronto a divampare. Erano piccolissimi segnali che<br />

l’organismo le lanciava e dai quali poteva dedurre cosa sarebbe accaduto. Comunque,<br />

sapendo che non era giusto sottrarsi continuamente ai suoi obblighi, stabilí che<br />

avrebbe dato via libera agli ardori maritali piú o meno una volta per settimana, era il<br />

massimo che poteva concedere. E in tal modo amministró le sue emicranie, o<br />

piuttosto i fantasmi delle sue emicranie, quasi sempre assolutamente immaginarie.


Giorgio era rimasto molto infastidito e deluso durante le prime settimane, ma<br />

in seguito accadde qualcosa che mutó completamente la sua vita amorosa.<br />

In quei tempi era magazziniere in una grande fabbrica di biancheria femminile il cui<br />

personale era costituito in grande maggioranza da donne.<br />

Prima che si sposasse le operaie lo trattavano amichevolmente, ma quasi come se non<br />

fosse un uomo, lo vedevano piccolo, magro e mansueto e non lo consideravano un<br />

maschio pericoloso.<br />

Ma al ritorno dal viaggio di nozze qualcosa cambió, forse in lui che aveva assunto<br />

un’aria disinvolta da malandrino, o forse per l’interesse suscitato dalla curiositá, certo<br />

é che alcune cominciarono a guardarlo con altri occhi, in maniera diversa,<br />

scherzavano, facevano domande indiscrete, impertinenti, commenti salaci e<br />

ridacchiavano fra loro quando lo vedevano apparire.<br />

La piú impertinente di tutte era Annetta, una ragazza, piccola come lui ma niente<br />

affatto magra, anzi piuttosto in carne lá dove ci voleva.<br />

Era entrata nel suo sgabuzzino per fargli firmare una bolletta di entrata di prodotti<br />

finiti e vi si soffermó facendogli una serie di domande maliziose alle quali Giorgio<br />

rispondeva altrettanto maliziosamente. Ad un certo punto Annetta dopo averne detta<br />

una piú grossa delle altre fuggí ridendo perché lui aveva minacciato di sculacciarla.<br />

Erano soli nel capannone, Giorgio la inseguí, lei non si sforzó eccessivamente nella<br />

fuga, si lasció raggiungere, e le sculacciate si trasformarono in carezze.<br />

Era la prima volta che Giorgio aveva a che fare con una donna che non fosse una<br />

prostituta o una balena corpacciuta e inerte come Matilde. Annetta era una ragazza<br />

piena di brio e di sensualitá, il sangue caldo delle donne giovani e sane. Si lasció<br />

docilmente trascinare dietro un grosso blocco di casse piene di reggipetti e<br />

mutandine.<br />

In quel luogo oscuro scoprí che Giorgio era piccolo di statura ma eccezionalmente<br />

ben dotato proprio di quello che era stato il terrore di Matilde e, al contrario di<br />

questa, non ne rimase affatto terrorizzata e seppe apprezzarlo come meritava.<br />

Ma non fu tanto accorta da mantenere il segreto, la voce si sparse e non furono<br />

poche quelle che, spinte dalla curiositá piú femminile che possa esistere, vollero<br />

assicurarsi personalmente se la fama corrispondeva alla realtá.<br />

Da allora in avanti la vita di Giorgio e Matilde ebbe una evoluzione positiva su<br />

nuove basi di convivenza.<br />

Giorgio era divenuto un uomo sessualmente soddisfatto, rientrava in casa con i sensi<br />

placati e se di quando in quando cercava l’amore della moglie era soltanto per un<br />

punto d’onore, quasi a dare un significato al matrimonio, altrimenti sarebbe stato<br />

come vivere con una madre o una sorella sebbene in effetti fosse proprio quella la<br />

realtá.<br />

La loro convivenza divenne piacevole, praticamente libera dalle complicazioni del<br />

sesso. Anche i rari amplessi erano divenuti ben piú sopportabili per Matilde , quasi<br />

una formalitá burocratica. Senza impulsi incontenibili, Giorgio era ormai un uomo<br />

sazio da questo lato, non nel matrimonio, ma paradossalmente a causa del<br />

matrimonio.<br />

Se non avesse preso moglie sarebbe rimasto quell’ometto insignificante che era prima<br />

e che di quando in quando era costretto a ricorrere alla desolazione delle


professioniste dell’amore.<br />

Si affezionarono sempre piú l’uno all’altro, divennero una coppia unita, giunsero a<br />

comprendersi persino senza parlare come se un filo invisibile collegasse i loro cervelli.<br />

Comunque Matilde non aveva rinunciato ai mal di testa, le erano rimasti preziosi.<br />

Oltre ad evitarle le noie del letto, servivano a mantenere un Giorgio premuroso e<br />

sempre preoccupato per la sua salute.<br />

Passarono gli anni, Giorgio aveva smesso di lavorare divenendo un modesto<br />

pensionato, ma l’appartamento era di loro proprietá e riuscivano a cavarsela<br />

abbastanza bene con i proventi della pensione, sempre peró attenti alle spese e<br />

sforzandosi in ogni modo a far quadrare il bilancio mensile.<br />

Ormai Matilde rasentava i cento chili, forse piú di lá che di qua, e una pigrizia mortale<br />

l’aveva invasa. Non aveva voglia di far niente, sdraiata sul letto o su di una poltrona<br />

non faceva altro che guardare la televisione dalla mattina alla sera.<br />

Proprio per questo non aveva abbandonato i suoi mal di testa, se ne serviva come un<br />

dolce ricatto per costringere il marito a sbrigare le faccende di casa.<br />

-Giorgio, amore, oggi il mio mal di testa non mi dá pace. Per favore metti in ordine la<br />

nostra stanza, rifai il letto e dai una spazzatina, tanto per togliere il grosso.-<br />

-Oggi non mi sento proprio di far da mangiare. Prepara qualcosa tu, per piacere.-<br />

-Giorgio, per favore, c’é un mucchio di biancheria sporca nella cesta, mettila nella<br />

lavatrice. Grazie, tesoro.-<br />

E Giorgio rassettava, rifaceva il letto, andava a fare la spesa, preparava instancabilmente<br />

pranzo e cena, mentre Matilde si limitava a trascinare il suo quintale abbondante dal<br />

letto alla poltrona e dalla poltrona al letto con qualche puntatina nella stanza da bagno,<br />

proprio perché non poteva farne a meno, altrimenti anche di questo avrebbe incaricato<br />

Giorgio.<br />

Non avevano avuto figli, la causa probabilmente era stata l’obesitá di Matilde ed il suo<br />

squilibrio ormonale, ma forse anche la circostanza che i rapporti erano stati tanto poco<br />

frequenti che le loro cellule germinali avevano avuto ben poche probabilitá di<br />

incontrarsi al momento opportuno.<br />

Quella famosa sera di tanti anni dopo, Quattrocchi era preoccupatissimo,<br />

Matilde da qualche ora soffriva di uno dei soliti mal di testa, questa volta piú forte del<br />

solito fino a divenire insopportabile, almeno a sentir lei.<br />

-Che tu voglia o no, telefono al dottor Mascherpa e gli chiedo di venir qui.- diceva in<br />

quel momento<br />

-A un’ora come questa? Per caso sei impazzito, Giorgio? Lo sveglieresti, sono giá le<br />

undici e mezzo. Il dottor Mascherpa va a letto presto, e tu lo sai, certamente sta giá<br />

dormendo. Aspettiamo almeno domani mattina. Non moriró fino allora, Giorgio, e a<br />

mezzanotte potró prendere un’altra dose di analgesico, saranno passate quattro ore<br />

dall’ultima volta.-<br />

Ma Giorgio non volle sentir ragioni, afferrato il telefono formó il numero del medico<br />

-Sono Quattrocchi, dottor Mascherpa, scusi se l’ho svegliata a quest’ora, ma mia<br />

moglie sta soffrendo un mal di testa atroce, come non l’aveva mai avuto, dice che non<br />

ce la fa a resistere. Cosa si potrebbe fare, dottor Mascherpa ?-


Dall’altro lato della linea un lungo silenzio, poi la voce assonnata del dottore, tra uno<br />

sbuffo e un’altro<br />

-Vediamo un pó, Quattrocchi, sua moglie divenne mia cliente circa trentanni fa<br />

proprio a causa di un mal di testa, che giá a quel tempo era atroce, insopportabile e da<br />

allora ritorna, mese sí, mese no, sempre piú forte di prima. Dovrebbe essere divenuto<br />

qualcosa di infernale.- commentó ironicamente- Ma purtroppo in questo momento e<br />

a quest’ora non potrei far nulla. Domani mattina, caso mai, provvederemo ad un<br />

encefalogramma, alle radiografie e su queste basi si studierá il da farsi. Per il momento<br />

le dia quaranta gocce di Buscofort per bocca e le faccia subito dopo una iniezione di<br />

due centimetri cubici di Buscofort iniettabile. Buona notte, signor Mascherpa!-<br />

Giorgio non ebbe nemmeno il tempo di replicare, con la cornetta in mano guardava<br />

la moglie, desolato<br />

-E dove lo prendo a quest’ora il Buscofort iniettabile? In casa non ne abbiamo ed é<br />

quasi mezzanotte. Quale farmacia sará aperta stanotte?- sfoglió il giornale - C’é quella<br />

del Gallo, non é molto lontana da qui, in dieci minuti ci arrivo, in mezz’ora al<br />

massimo vado e torno.-<br />

-Sei pazzo, Giorgio, uscire in piena notte, e se ti rapinano?-<br />

-Se mi rapinano al massimo potranno togliermi quei quattro soldi che mi troveranno<br />

addosso, che potrebbero farmi di piú? Stuprarmi?-<br />

Faceva finta di scherzarci sopra, in realtá moriva di paura al solo pensiero di dover<br />

uscire di casa e camminare in piena notte per le strade deserte.<br />

-Esco cosí come mi trovo, con questi vecchi bermuda, le scarpe di tela, una maglietta<br />

logora. Si renderanno conto che sono un povero diavolo e mi lasceranno in pace.-<br />

Prese poi il portafogli e lo svuotó lasciandovi solo un documento di identitá e<br />

banconote per diecimila lire, si tolse una delle scarpette di tela e vi collocó il<br />

rimanente del denaro che era in casa e avrebbe dovuto servire a raggiungere la fine<br />

del mese, una unica banconota da centomila, poi la calzó di nuovo dicendo<br />

-Se mi ruberanno, almeno questi li salvo.-<br />

Andó in cucina, mise un poco di zucchero in una tazzina, la riempí a metá di<br />

acqua, rigiró con un cucchiaino e vi fece cadere le quaranta gocce di Buscofort,<br />

ripensandoci sopra ne aggiunse altre dieci -Faranno piú effetto.- disse fra sé e sé.<br />

Tornando nella stanza da letto posó la chicchera sul comodino lasciandovi accanto la<br />

boccetta di Buscofort. Avvisó la moglie di avervi giá messo lo zucchero, la bació sulla<br />

fronte e facendosi il segno della croce si accinse ad uscire.<br />

Appena il marito chiuse la porta Matilde vide la tazzina con l’acqua zuccherata e il<br />

flaconcino di Buscofort a lato, non sospettando che il marito giá vi avesse messo il<br />

medicinale a sua volta fece gocciolare le quaranta gocce come il dottor Mascherpa aveva<br />

raccomandato, ripensandoci sopra ne aggiunse di propria iniziativa altre dieci, inghiottí il<br />

liquido zuccherato e rimase in attesa dell’effetto, senza immaginare di averne ingerito<br />

cento gocce, piú o meno il triplo della dose normale. Era una dose violenta, ma non<br />

pericolosa, l’effetto fu quasi fulminante e la donna in capo a qualche minuto dormiva<br />

profondamente.<br />

Prima di uscire Giorgio aveva preso dall’attaccapanni uno sdrucito berrettino a


visiera e se lo era infilato in testa canticchiando allegramente -...mise l’elmo sulla testa<br />

per non farsi troppo mal e partí la lancia in resta a cavallo di un caval...- e percorrendo<br />

il corridoio per giungere alla porta dell’ascensore aveva persino accennato ad un<br />

sgroppata. In realtá non era affatto allegro, tutt’altro, ma tentava di ingannarsi per<br />

darsi coraggio.<br />

Infatti quel poco di baldanza, che aveva cavato chissá da dove, svaní non appena<br />

mise piede sulla strada.<br />

Si avvió lungo il corso cammminando il piú possibile rasente ai muri e guardandosi<br />

attorno sospettosamente per controllare se qualcuno lo seguisse, solo agli incroci<br />

girava al largo per non farsi sorprendere da qualche malintenzionato eventualmente<br />

appostato dietro l’angolo. L’illuminazione era scarsa, le ombre vaghe e indistinte dei<br />

pochi passanti si muovevano e si intrecciavano sul terreno come fantasmi minacciosi.<br />

La piazzetta della farmacia era ben piú illuminata, si sentí riconfortato al vedere le luci<br />

e i due commessi in camice bianco dietro ai banconi. Vi entró con un lungo sospiro<br />

di soddisfazione cercando di non pensare che dopo pochi minuti avrebbe dovuto<br />

uscirne di nuovo ed affrontare i pericoli della strada.<br />

Si guardó attorno per scoprire elementi sospetti, insieme a lui due soli clienti, pagato il<br />

conto si allontanarono. Giorgio chiese al premuroso commesso il flaconcino di<br />

Buscofort iniettabile, una siringa di plastica e due aghi, uno di riserva, non si puó mai<br />

sapere.<br />

Mentre il commesso incartocciava il Buscofort e la siringa, entrarono due giovani,<br />

immediatamente gli parvero sospetti e li paragonó a due uccelli di rapina, un gufo e<br />

un falco.<br />

Erano due rapinatori, l’avrebbe giurato, e avevano senza dubbio l’intenzione di<br />

derubarlo. Come fare per distoglierli dal loro proposito?, l’unica cosa era di far capire<br />

che non valeva la pena assaltarlo perché non aveva nulla nelle tasche. Aperto<br />

ostensivamente il portafogli fece in modo che si vedesse che era vuoto e aggiunse ad<br />

alta voce rivolto al commesso<br />

-Ho solo diecimila lire con me, spero che bastino.- in effetti era convinto che fossero<br />

piú che sufficienti. Rimase allibito al sentirsi rispondere<br />

-Fanno tredicimila e cinquecento, signore.-<br />

Si sentí mancare, non sapeva come comportarsi, mettere mano alla riserva avrebbe<br />

fatto automaticamente capire che poco prima aveva mentito. Fingendo di voler<br />

guardare alcuni articoli, si allontanó di qualche metro riuscendo a nascondersi dietro<br />

una scaffalatura, si tolse rapidamente la scarpa e ne tiró fuori il bigliettone da<br />

centomila tenendo sempre d’occhio i due. Ad un tratto uno di loro scomparve,<br />

riusciva a vedere solo l’altro, il gufo, che avvicinatosi al commesso gli parlava quasi<br />

all’orecchio<br />

-Forse lo stará minacciando avvisandolo di guardarsi bene dal dare l’allarme quando<br />

mi rapineranno...o forse anche il commesso é d’accordo e poi divideranno il<br />

bottino...mio Dio aiutami tu!- Tremava verga a verga e il cuore gli batteva alla gola piú<br />

forte che mai.<br />

Si tranquillizzó al vedere che il commesso passava al cliente una confezione di<br />

profilattici, ma fu per poco perché mentre stava piegando la banconota per metterla<br />

nella tasca dei bermuda e poterla passare alla cassa ben piegata nella mano in modo


che non si potesse vedere, guardandosi attorno vide all’altra estremitá dello scaffale il<br />

falco che gli teneva gli occhi addosso<br />

-Mio Dio, mi ha visto, e ha visto anche i centomila.- pensó terrorizzato e gli pareva<br />

che le gambe si piegassero, subito dopo gli si piegarono per davvero e solo facendo<br />

uno sforzo sovrumano riuscí a non inginocchiarsi quando vide il gufo dirigersi verso<br />

di lui<br />

-Uno mi attacca di fronte e l’altro mi prende alle spalle, a tenaglia! Non ho scampo.<br />

Meglio arrendersi subito ed evitare il peggio. E tese la banconota al gufo che si<br />

trovava ormai ad un paio di metri. Il gufo guardó incuriosito lui e la banconota, poi lo<br />

dribbló e andó a raggiungere l’amico.<br />

Ma neanche questo riuscí a tranquillizzarlo<br />

-Non hanno voluto farlo alla presenza del personale della farmacia, ormai sanno quel<br />

che ho e mi attaccheranno appena fuori. Che debbo fare? Rimanermene ancora qui<br />

dentro aspettando che se ne vadano? E quelli certamente mi aspetteranno lá fuori.-<br />

Rimase indeciso studiando la miglior tattica per evitare la manovra e alla fine concluse<br />

che l’attacco migliore é la sorpresa.<br />

I due stavano ancora passando in rassegna gli scaffali, era il momento di fuggire, pagó<br />

in gran fretta, infiló le ottantaseimila e cinquecento lire di resto nella tasca dei<br />

bermuda e si precipitó verso l’uscita a grandi passi, quasi di corsa.<br />

Pochi metri e aveva il fiatone, il cuore battendo all’impazzata, rallentó quasi a<br />

fermarsi.<br />

-Se mi portano via questi pochi soldi, come faremo ad arrivare alla fine del mese?- Il<br />

pensiero sembró sferzarlo e gli fece ritrovare le forze per riprendere a camminare a<br />

passo accellerato, o almeno cosí gli sembrava, in realtá con le gambe tremanti e le<br />

ginocchia che gli si piegavano sotto, riusciva a mala pena ad avanzare.<br />

Come Dio volle raggiunse il primo incrocio e pensó di aver raggiunto ormai la<br />

salvezza<br />

-Non sapranno se ho proseguito lungo il corso o se ho preso la destra o la<br />

sinistra...era la sua speranza, ma prima di svoltare l’angolo diede un’occhiata<br />

all’indietro e vide i due uscire dalla farmacia guardando verso di lui...ormai mi hanno<br />

visto, giovani come sono mi raggiungeranno in un batter d’occhio. Li imploreró,<br />

lasciatemi almeno le medicine per mia moglie, é questione di vita o di morte, forse<br />

riusciró ad impietosirli...e riprese il cammino verso casa.<br />

Realmente i due l’avevano visto e l’osservavano con una certa curiositá, ma per<br />

ragioni ben diverse da quelle che Giorgio immaginava<br />

-Giulio, hai visto quel vecchio?..-stava dicendo uno di loro -Si comporta in un modo<br />

piuttosto strano. É uscito dalla farmacia quasi correndo, ma ho visto attraverso la<br />

vetrina che si é immediatamente fermato appoggiandosi al muro, come se non ce la<br />

facesse a tenersi in piedi. Forse si sente male, poveretto, e non ce la fa a tornare a<br />

casa. Teniamolo d’occhio, puó aver bisogno d’aiuto, tanto sembra che faccia la nostra<br />

stessa strada.-<br />

-Non so, Peppino, non so. Ma potrebbe anche darsi che abbia qualche rotella fuori<br />

posto. Nella farmacia ha fatto un gesto strano, mi ha mostrato una banconota da<br />

centomila, sembrava quasi che volesse darmela. Comunque manteniamolo in vista,<br />

tanto, come hai detto tu, sembra che faccia la nostra strada, ed é ancora presto,


Renata ed Elsa ci aspettano solo tra mezz’ora.-<br />

Lo seguirono ad una trentina di metri di distanza, rallentavano se lui rallentava,<br />

accelleravano il passo se lui lo accellerava facendogli sempre piú credere che lo<br />

stavano seguendo per attaccarlo alla prima occasione favorevole.<br />

Come Dio volle giunse davanti al portone di casa, quasi non ce la faceva piú, si<br />

attaccó disperatamente al bottone del citofono aspettando che Matilde rispondesse<br />

per chiederle di azionare il dispositivo di apertura.<br />

Ma in quel momento la moglie dormiva profondamente, ci sarebbe voluto ben<br />

altro che il suono della cicala per risvegliarla, solo le cannonate ci sarebbero riuscite.<br />

Colla coda dell’occhio vide i due avvicinarsi sempre piú, finché furono ad un paio di<br />

metri. La paura divenne terrore e gli fece perdere il controllo della vescica, un flusso<br />

di liquido tiepido cominció a scorrergli lungo la gamba, un filetto caldo raggiunse<br />

l’orlo della bermuda e cadde verso terra suddividendosi in una serie di gocce che<br />

brillavano riflettendo le scarse luci della strada e finendo col formare un laghetto ai<br />

suoi piedi.<br />

Nel vano tentativo di trattenersi aveva portato le mani premendo disperatamente<br />

sull’inguine, quasi a fermare il flusso, lasciando cadere il sacchetto di plastica che<br />

conteneva il Buscofort e la siringa.<br />

Peppino mormoró verso il compagno, soffocando le risa<br />

-Si é pisciato sotto. Non stava male, come pensavi tu. Gli scappava e si contorceva<br />

tutto per trattenersi e arrivare a casa in tempo.-<br />

Giorgio li vide passare ed allontanarsi, respiró sollevato, ma si sentiva a disagio ed era<br />

preoccupatissimo<br />

Perché Matilde non risponde? Forse sta male al punto da non riuscire a raggiungere<br />

l’uscio di casa?. E ora che faccio? Debbo cambiarmi urgentemente e lavarmi il piú<br />

presto possibile, non posso rimanere in queste condizioni in mezzo alla strada.-<br />

Continuava a mantenersi con le gambe divaricate per evitare di calpestare il<br />

laghetto che luccicava tra i suoi piedi e col dito premendo il pulsante del citofono.<br />

Rimase cosí per qualche minuto sempre piú preoccupato per il fatto che Matilde non<br />

rispondeva e terribilmente infastidito dalla sensazione di umiditá che gli proveniva dai<br />

bermuda bagnati e da una delle scarpette di tela inzuppate dalla sua stessa urina.<br />

Fu uno dei suoi vicini di casa a tirarlo fuori da quella situazione. Era il ragionier<br />

Jannacci, un ometto che sembrava vivesse nel secolo scorso, sempre vestito all’antica,<br />

estate e inverno, con un panciotto pieno di bottoni di madreperla e con la luccicante<br />

catenina d’oro dell’orologio andando da un taschino all’altro sulla pancetta<br />

prominente che portava avanti con sussiego su di un paio di gambe storte e<br />

traballanti.<br />

Aveva un viso rotondo e roseo, su cui facevano spicco due lunghe basette e un paio<br />

di occhiali a pince-nez che lo facevano assomigliare a Camillo Benso di Cavour.<br />

Poco mancó che il conte Cavour andasse a finire con i piedi nel laghetto prodotto<br />

dalla incontinenza di Giorgio, lo scavalcó arricciando il naso in una smorfia di<br />

disgusto e disapprovazione, infiló la chiave nella toppa ed entró nell’atrio dirigendosi<br />

verso l’ascensore seguito da Giorgio che preoccupandosi del proprio stato preferí<br />

quello di servizio.


Le chiavi dell’uscio dell’appartamento le aveva con sé, entró rapidamente in casa e si<br />

diresse verso la stanza da letto, immaginando di trovarvi la moglie agonizzante.<br />

Invece russava, profondamente addormentata. Ma doveva farle l’iniezione e tentó di<br />

svegliarla, ma non era affatto una impresa facile, sotto l’effetto della tripla dose di<br />

Buscofort Matilde dormiva profondamente, la scrolló ripetutamente fino a che decise<br />

di farle l’iniezione cosí, mentre dormiva. Tiró da parte il lenzuolo, sollevó la camicia<br />

mettendo allo scoperto l’enorme deretano. Preparó la siringa, la posó sul comodino<br />

con l’ago rivolto in fuori per evitare il contatto, poi prese la bottiglietta dell’alcool, vi<br />

inzuppó un batuffolo d’ovatta e si accinse a disinfettare l’area dove avrebbe infilato<br />

l’ago.<br />

Mentre faceva tutto questo, poiché si trovava in equilibrio precario, con le gambe<br />

divaricate e col corpo ritratto tutto all’indietro nel tentativo di non sporcare le<br />

lenzuola con la bermuda bagnata, la bottiglietta si inclinó pericolosamente e ne uscí<br />

un rivoletto, che scorrendo lungo la insondabile linea oscura che separava le due<br />

immense natiche, giunse al punto piú sensibile causandovi una insopportabile<br />

sensazione di bruciore che destó immediatamente la proprietaria.<br />

Matilde, ancora insonnolita, si mise a sedere sul letto come se avesse ricevuto una<br />

scossa elettrica, guardava il marito in un primo momento senza riuscir a capire quel<br />

che stava accadendo e senza ricordarsi di nulla. Nondimeno si accorse della macchia<br />

scura che spiccava sulla parte anteriore della bermuda<br />

-Buon Dio! Te la sei fatta addosso!! É la prima volta, stai proprio diventando vecchio,<br />

non ti era mai successo prima. Vatti subito a cambiare e lavati bene.-<br />

-Prima devo farti la siringa.-<br />

-La siringa?... Che siringa?..-ancora intontita non ricordava<br />

-La siringa di Buscofort, come ha raccomandato il dottor Mascherpa.-<br />

-Giá, il Buscofort. Ma ora non serve piú, il mal di testa mi é passato. Vatti a lavare e<br />

vienitene a dormire che sto ancora morendo di sonno.-<br />

Giorgio rimase con la siringa in mano, l’ago rivolto verso l’alto, la sua<br />

avventura notturna era divenuta del tutto inutile, si sentí ridicolo al solo pensare alle<br />

vicissitudini dell’ultima ora.<br />

Ma non avrebbe lasciato la cosa finire cosí, sarebbe stato frustrante, troppo<br />

frustrante. Sollevó il lembo della sua stessa maglietta, abbassó la bermuda e con una<br />

torsione del corpo, che gli fece dolere tutte le ossa del torace, si mise nella condizione<br />

di infilare l’ago nella parte laterale della sua propria natica, poi premendo lentamente<br />

lo stantuffo vi iniettó la dose di Buscofort che era destinata alla moglie.<br />

In primo luogo avrebbe evitato uno spreco di tempo e di quattrini e poi avrebbe<br />

evitato il sorgere di un mastodontico mal di testa i cui segni premonitori stavano<br />

aleggiando minacciosamente attorno al capo.<br />

*****************


VIRGINIA<br />

Discese dall'autobus guardandosi d’attorno ansiosa, finalmente riuscí a<br />

scorgere Paolo. Ancora stava lí, aspettandola. Gli corse incontro e si gettó fra le sue<br />

braccia, senza preoccuparsi che qualcuno li potesse vedere.<br />

-Grazie a Dio mi hai aspettato, avevo paura di non incontrarti piú.-<br />

-Avrei aspettato anche per tutta la giornata, ma che ritardo! Piú di un'ora...Ero<br />

preoccupato. Tuo marito ha sospettato qualcosa?-<br />

-No, no. Ho inventato che andavo a trovare mia sorella e lui ha detto addirittura che<br />

era una ottima idea, poi mi ha guardato: come ti sta bene questo vestito!...ha detto, mi<br />

ha afferrato, baciato e... sai come vanno a finire queste cose...dopo due minuti<br />

eravamo di nuovo a letto, eppure la notte avevamo giá..., dopo fui costretta a farmi di<br />

nuovo il bagno, truccarmi un'altra volta e finii col perdere un sacco di tempo, ma<br />

adesso sono qui, tutta per te...-<br />

-Sí, sí!...tutta per me, tutta per me, ma con le batterie scariche, non potevi farne a<br />

meno, proprio poco prima di incontrarti con me? Ormai te ne sará passata la voglia.protestó<br />

imbronciato<br />

-Non preoccuparti, la mia riserva non termina mai e poi Eugenio finisce tanto presto<br />

che non mi da quasi nemmeno il tempo di cominciare. Ma da questo lato anche tu...<br />

non é poi che duri molto!-Lei lo rassicuró approfittandone per una tiratina di<br />

orecchie.<br />

Si avviarono verso la Metropolitana, lei di tacchi alti, tutta ticchettante e<br />

dimenando i fianchi, con una gonnella attillatissima che la costringeva ad avanzare<br />

passetti a passetti e le modellava il sederino arrogante, ben carnuto, in contrasto con<br />

le forme esili di bambolina.<br />

Lui, scarpe da tennis e jeans<br />

-Sembra che Norberto ci stia seguendo.-<br />

-Norberto? Chi é Norberto?-<br />

-Il mio capufficio. Fu lui a licenziare tuo marito. Quell'omone colla testa pelata, di<br />

camicia azzurra, che sta camminando sull'altro marciapiedi e ci guarda. Lo conosci?<br />

-Non l'avevo mai visto prima, ma nemmeno lui sa chi sono io.-<br />

Improvvisamente l'uomo scomparve.<br />

Salirono sul vagone della metropolitana, si trovavano vicino all’uscita e non si<br />

accorsero di Norberto, seduto verso il fondo della carrozza.<br />

Alla seconda stazione scesero dirigendosi in tutta fretta verso un alberghetto da<br />

quattro soldi nascosto nel fondo di un vicolo cieco.<br />

Un quarto d'ora dopo erano sul letto in piena azione, Paolo, ingelosito, e<br />

insieme eccitato dal pensiero di Virginia tra le braccia di Eugenio poco prima di<br />

incontrarsi con lui, non vedeva l’ora, tutto pronto, era sul punto, ma non fece in<br />

tempo a varcare le colonne d’Ercole. Qualcuno batté alla porta, batté piú forte<br />

un'altra volta e poi ancora.<br />

Virginia spaventatissima -Mio Dio...Eugenio ha scoperto tutto...-<br />

Paolo si fece coraggio e domandó -Chi é?-


Non era Eugenio. La voce concitata di Norberto dall'altro lato chiedeva che aprissero<br />

-Apri, presto, se no faccio uno scandalo, apri subito, ti dico.-<br />

Paolo esitó, poi preoccupatissimo perché l'uomo aveva cominciato ad alzare sempre<br />

piú la voce, aprí appena un pochino, il sufficiente per far apparire la pelata di<br />

Norberto, che rapidissimo infiló il piede tra la porta e il battente impedendo che si<br />

richiudesse, poi spinse ed entró di prepotenza.<br />

Norberto era un omaccione alto e robusto. quasi il doppio di Paolo rimasto in<br />

silenzio, tutto nudo, tremando di paura, il suo vessillo qualche istante prima<br />

sventolando gloriosamente al vento, aveva ripiegato in una prudente ritirata<br />

scomparendo quasi del tutto.<br />

A questo punto Virginia non sapendo che fare, ad ogni buon conto si tiró le<br />

coperte sopra la testa.<br />

-É inutile che ti nascondi, so molto bene chi sei!- avvertí Norberto.<br />

La ragazza balzó fuori dalle lenzuola gridando<br />

-Come puoi sapere chi sono se non mi avevi mai visto prima?-<br />

-Ti sbagli, mia cara! Ricordi quando alla vigilia di Natale aspettavi Eugenio sul<br />

marciapiedi avanti alla porta dello stabilimento? Rimasi a guardarti dalla finestra per<br />

piú di dieci minuti, ti mangiavo con gli occhi, ti mangiavo. Da quel momento non<br />

sono piú riuscito a levarmi dalla testa il tuo corpicino. Alla prima occasione licenziai<br />

tuo marito e, quando venne a supplicarmi di riconsiderare la mia decisione, gli risposi<br />

che mandasse te a tentar di convincermi perché ci saresti certamente riuscita e, chissá,<br />

ci sarebbe scappata anche una promozione.<br />

L'imbecille si sentí offeso e volle saltarmi addosso, immagina, quella pulce..., lo<br />

afferrai per la collottola e con un ben appioppato calcione nel sedere lo feci volare<br />

per tutto il corridoio. Come avrei potuto immaginare che gli fai le corna?. Del resto<br />

un corno in piú o uno in meno non fa molta differenza, cornuto una volta, sempre<br />

cornuto.<br />

Non perderó questa occasione per tutto l'oro del mondo.<br />

Tu, Paolo, stattene buono buono, se no, oltre a prenderle di santa ragione, domani ti<br />

troverai sul lastrico e Eugenio saprá tutto.-<br />

Si spoglió rapidamente e infilatosi nel letto riprese i lavori al punto nel quale Paolo li<br />

aveva interrotti.<br />

Virginia era tanto spaventata da non aver la forza di reagire, ma era una donna<br />

di sangue caldo, con i motori giá ben su di giri, non riuscí a resistere e finí col<br />

partecipare. In pochi momenti stava aggrappandosi a lui emettendo gridolini che<br />

sfociarono in un acuto finale seguito da un gemito sommesso mentre Norberto<br />

terminava gagliardamente la sua vigorosa esibizione.<br />

Abituata com'era a piccoletti come Paolo e Eugenio, Virginia aveva provato<br />

una eccitazione insolita, perduta tra le braccia di quella specie di armadio vibrando<br />

poderosi colpi di maglio che sembrava non avessero mai fine.<br />

Norberto la bació sulla bocca a lungo solo dopo aver finito, poi le disse<br />

-Sei tanto gustosa quanto bella. Eugenio é un uomo fortunato, per averti nel mio letto<br />

ogni notte sopporterei tutte le corna di questo mondo.- Si rivestí, fece un inchino e


aggiunse<br />

-Ancora grazie per l'ospitalitá, i miei piú sentiti omaggi per Eugenio.- e se ne uscí<br />

dicendo a Paolo -Adesso é di nuovo tutta per te.-<br />

Paolo, ancora nudo in piedi accanto al letto, balbettava<br />

-Tu, eh! Non me lo sarei mai aspettato...-<br />

-Io?..-fu la risposta di Virginia - e io, cosa avrei potuto fare, io? E tu? Che uomo sei?<br />

Non hai protestato, non mi hai difeso, non hai mosso un dito, sei rimasto a guardare<br />

tremando di paura, senza dire una parola.-<br />

Paolo accusandola a sua volta<br />

-Non hai reagito, non hai nemmeno tentato di resistere, penso addirittura che ti é<br />

piaciuto, anzi sono sicurissimo che ti é piaciuto.-<br />

-Certo che mi é piaciuto, nelle condizioni in cui mi trovavo...e poi, oltre a questo, il<br />

pelato é in gamba, ci sa fare, e non é come te o Eugenio, che quasi prima di<br />

cominciare avete giá finito, come il gallo.-<br />

Rimasero qualche tempo in silenzio, poi Virginia batté la palme della mano sul<br />

letto invitandolo<br />

-Vieni qua, quel che é stato é stato, Norberto non ha portato via nessun pezzo di me,<br />

ancora sono intera intera, con tutto quello che ti piace tanto, e nei posti di sempre. Ti<br />

é passata la paura e tornata la voglia, come si vede dal tuo affare che sembra sul punto<br />

di esplodere, che aspetti?-<br />

Il ragazzo, con tutti gli ormoni circolando vorticosamente nel sangue, non se lo fece<br />

ripetere e si tuffó nel letto.<br />

Due ore dopo, prima di uscire, Paolo commentava<br />

-Povero Eugenio, non le merita proprio le corna di Norberto, non riesco a farmene<br />

capace.-<br />

La ragazza si mise a ridere e tra le risate balbettó<br />

-E le tue corna, quelle le merita?-<br />

Paolo rimase in silenzio, concludendo poi<br />

-É completamente diverso, io sono il miglior amico di Eugenio e poi gli voglio bene,<br />

ma Norberto!......<br />

***********************


GIGI E LE SUE TRE MOGLI<br />

Spaparanzato su di una comodissima seggiolona di vimini all’ombra della<br />

veranda del bungalow fatto di canne ed erbe palustri, alla maniera indigena, mi<br />

rilassavo ammirando le acque calme dell’Oceano Indiano e le onde docili disfarsi<br />

mansamente sulla bianchissima rena della spiaggetta incastonata tra il mare e la<br />

foresta mentre piú lontano la lunga striscia dell’onda spumosa frangendosi sulla<br />

scogliera corallina indicava l’inizio del mare aperto.<br />

Ci trovavamo nell’isola di Bali, volontariamente sperduti in una insenatura<br />

incantevole, che si poteva raggiungere solamente via mare, a meno di non voler<br />

assoggettarsi ad un paio di giornate di duro cammino inerpicandosi su e giú tra<br />

montagne impervie e valli scoscese.<br />

Alvina, a pochi metri da me, completamente nuda, si trastullava tormentando<br />

con una lunga canna di bambú un incauto granchio che era venuto fin lí a curiosare,<br />

forse per rendersi conto di chi fossero quegli sconosciuti che da qualche giorno<br />

turbavano la tranquilla solitudine di quell’angolo di paradiso.<br />

Io non ero nudo, indossavo uno slip, ne avrei fatto volentieri a meno, ma dovevo<br />

nascondere i miei attributi per proteggere l’innocenza di Kaiká, la servetta balinese<br />

che avevamo portato con noi per darci una mano a mantenere pulita la capanna e<br />

cucinare, sebbene che fosse innocente non ci avrei messo un dito sul fuoco, e tanto<br />

meno la mano.<br />

Adolescente, la pelle di un incredibile bronzo dorato, indossava un sarong dal disegno<br />

vivace che la copriva dalla cintola in giú, lasciando allo scoperto l’ombelico e due<br />

mirabili seni in fiore, che al camminare della loro padroncina si mantenevano fermi<br />

come fatti di alabastro.<br />

In quel momento Kaiká si avvicinava, portando un bicchierone colmo di una mistura<br />

di acqua di cocco e di un fortissimo liquore dall’aroma inconfondibile, ottenuto dagli<br />

indigeni facendo fermentare la linfa di una palma nana. Aveva addolcito quella<br />

miscela esplosiva con succo di canna e l’aveva completata con ghiaccio triturato. Un<br />

piccolo frigorifero nel quale il freddo, in apparente controsenso, veniva ottenuto a<br />

mezzo del calore di una fiammella, ce ne forniva ogni giorno una certa quantitá<br />

sufficiente comunque se usata con parsimonia.<br />

-Grazie, Kaiká.- le dissi non riuscendo a distogliere lo sguardo dai due splendidi<br />

capolavori in miniatura. Alvina mi osservava sorridendo, non era gelosa, sapeva<br />

molto bene, per esperienza personale, che le minorenni non mi fanno gola e me ne<br />

tengo lontano.<br />

Ci trovavamo sulla spiaggetta da poco piú di una settimana. Una vita primitiva,<br />

alla Robinson Crusoé, tanto per intenderci, il ghiaccio era l’unico lusso, oltre<br />

naturalmente alle provviste che giorno sí e giorno no un indigeno ci portava dal piú<br />

vicino villaggio, dopo di aver remato un paio di ore su di una minuscola barchetta,<br />

che non riusciró mai a capire come non affondasse, cosí come navigava col bordo<br />

letteralmente a pelo d’acqua.<br />

Giornate deliziose passate nel piú dolce dei far niente al punto da non aver


nemmeno voglia di scegliere quello che avremmo voluto non fare, tanto per rendere<br />

l’idea della pigrizia che ci aveva invaso.<br />

Difficile e faticoso ci sembrava perfino percorrere quella trentina di metri di morbida<br />

sabbia per immergerci nel mare calmo, ancor piú difficile e faticoso era poi uscirne e<br />

trascinarci nuovamente nella capanna dove ci rimpinzavamo delle leccornie che la<br />

maestria gastronomica di Kaika aveva preparato per noi. Era capace di cucinare il riso<br />

in un numero infinito di modi, usava spezie a noi sconosciute, erbette che lei stessa<br />

raccoglieva sotto gli alberi, piccole fruttine silvestri che spremeva e mescolava nella<br />

pentola, e chissá cos’altro ci metteva dentro.<br />

Sapeva persino pescare, mentre io e Alvina ci riposavamo della fatiche della giornata,<br />

o meglio della nottata, perché quello era il periodo della nostra unica attivitá fisica,<br />

riforniva la dispensa di pesci dai mille colori sgargianti, gamberi e granchietti che<br />

cucinava poi insieme ai polli, ci infilava pezzetti di banane e ananas, e alla fine copriva<br />

di pepe.<br />

Probabilmente era quel rinforzo alimentare pizzicante che ci permetteva di passare la<br />

notte in bianco nel tentativo di scoprire se era piú lunga la corda o piú profondo il<br />

pozzo, o chi di noi due era piú resistente. Alvina era sempre la vincitrice, sul far<br />

dell’alba io non ce la facevo piú ma lei sarebbe stata pronta a ricominciare tutto<br />

daccapo.<br />

Avevamo lasciato San Paolo per Londra sei mesi prima, traversato l’Europa,<br />

dall’Inghilterra alla Grecia, eravamo passati per la Turchia, Nuova Dehli, Sri Lanka,<br />

Giava, fino a scovare quell’angolino di paradiso dove finalmente potevamo riposarci<br />

dalle fatiche del viaggio.<br />

Tutto era cominciato quattro anni prima, in quella indimenticabile mattinata<br />

Guardavo la schedina, incredulo. Avevo giá controllato non so quante volte i<br />

numeri, corrispondevano tutti, uno per uno, 3, 7, 14, 19, 45, 46, tutti, tutti, tutti.<br />

Avevo vinto, ma ancora non riuscivo a crederlo. E se si fosse trattato soltanto di un<br />

banale errore di stampa? Comprai un altro giornale, poi un altro ancora, i numeri<br />

erano sempre quelli, cominciai finalmente a crederci.<br />

La testa mi girava vorticosamente, la vincita era alta, altissima, favolosa, e non avrei<br />

dovuto dividerla con nessuno, la mia vita cambiava, era cambiata completamente<br />

anzi, da un momento all’altro.<br />

Sul punto di correre a casa e dar la notizia a mia moglie qualcosa mi trattenne appena<br />

in tempo, e fu questo qualcosa che influí drasticamente sul mio futuro.<br />

Decisi di non andare al lavoro quel giorno, e del resto, che ci sarei andato a fare? Non<br />

erano necessari calcoli complicati, non avrei avuto piú bisogno dell’impiego che mi<br />

aveva dato da vivere fino ad allora.<br />

Mi venne il desiderio violento di mettere immediatamente le mani sul denaro, vedere<br />

quella cifra astronomica scritta sul mio estratto conto in banca nell’arido ma<br />

efficientissimo linguaggio dei numeri.<br />

Quanto mi avrebbe reso giorno per giorno? Un rapido calcolo, e conclusi che avrei<br />

potuto vivere comodamente per il resto della vita senza preoccupazioni, avrei potuto


finalmente godermela e fare tutto quello che avevo sempre sognato. Donne, donne,<br />

soprattutto donne.<br />

Di colpo il pensiero di Betty mi raggeló, possessiva e gelosa come era, mi avrebbe<br />

mantenuto sotto controllo per ventiquattrore al giorno, non avrei avuto piú<br />

nemmeno il pretesto di dovermi recare al lavoro per poter uscire di casa.<br />

Guidavo sovrappensiero mentre le idee formavano ghirigori nella mia mente.<br />

Quasi senza accorgermene ero finito nella periferia, una piazzetta ombrosa, oasi<br />

miracolosamente calma nel caos urbano, mi invitó a fermarmi.<br />

Seduto su di una durissima panchina di cemento, generosamente donata alla<br />

cittadinanza dalla Compagnia Paulista Commercio Non So Che, stando a quel che<br />

diceva la scritta sulla spalliera, cominciai a riordinare le idee.<br />

Giunsi rapidamente alla conclusione che la piú grande sciocchezza sarebbe stata<br />

quella di far sapere a Betty di aver vinto una fortuna, se l’avessi fatto sarei divenuto<br />

prigioniero a vita, nella mia stessa casa, sia pure in un ergastolo dorato. Mia moglie mi<br />

avrebbe controllato perfino nel pensiero.<br />

No, non le avrei detto nulla, avrei continuato ad uscirmene ogni mattina per recarmi<br />

al lavoro e mi sarei ritirato solamente di sera. Almeno questo avrei fatto credere a<br />

Betty.<br />

Me ne sarei andato invece in giro alla cattura di farfalle, quelle farfalle che piacciono a<br />

me, senza ali ma con cosce lunghe e polpose.<br />

Avrei inventato una promozione, da semplice venditore a Superintendente e per di<br />

piú con una grossa percentuale sulle vendite, almeno per giustificare il flusso di<br />

danaro che da allora in avanti avrebbe rinforzato il bilancio domestico.<br />

Non é che non la amassi, tutt’altro, era una buona moglie e anche bella, gustosa a<br />

letto, senza dubbio, ma gelosa, gelosa in maniera ossessionante.<br />

Non aveva tutti i torti del resto, modestamente ero un bell’uomo, anzi lo sono<br />

tuttora, simpatico, dalla parlantina sciolta e suadente. Mi piacevano le donne, come ad<br />

ogni uomo normale, o forse un pochino di piú, il problema era che anche io piacevo a<br />

loro e Betty giá dall’inizio aveva capito che avrebbe dovuto star bene attenta e<br />

difendersi il marito colle unghie e coi denti dall’attacco delle altre.<br />

Aveva stabilito regole ben chiare, per non dire ferree, casa e lavoro, lavoro e casa,<br />

cronometro alla mano, ogni minuto di ritardo esigeva una ben dettagliata<br />

giustificazione.<br />

Aveva finito col dominarmi completamente, e questo proprio non mi andava giú.<br />

Fu relativamente facile organizzarmi a modo mio. Betty, felice alla notizia della<br />

promozione e cominciando a godere di un tenor di vita ben migliore, aveva chiuso un<br />

pó gli occhi lasciandomi una certa libertá, i regali che le avevo fatto, abiti nuovi,<br />

nuovo arredamento della casa, tutti gli elettrodomestici possibili ed immaginabili,<br />

vittima dell’eterna vanitá femminile, si pavoneggiava con le amiche soddisfattissima<br />

dell’invidia che suscitava e aveva finito con l’abbassare la guardia.<br />

Continuavo ad uscire ogni mattina immancabilmente alla solita ora,<br />

ufficialmente per recarmi al lavoro. Me ne andavo invece a rifugiarmi in quel che<br />

chiamavo il mio quartier generale, una casa che avevo affittato ben lontano,<br />

all’estremo opposto della cittá, l’avevo ammobiliata a gusto mio e ci passavo tutto il


tempo nel quale non mi trovavo in caccia.<br />

Avevo escogitato un sistema efficace per scovare ed avvicinare le prede, esploravo<br />

tutte le fermate di autobus nell’ora nella quale operaie ed impiegate si recano al<br />

lavoro. Non appena individuato un soggetto interessante montavo sullo stesso<br />

mezzo, il piú delle volte non mi riusciva difficile attaccare discorso, e potevo<br />

rendermi conto della maggiore o minore disponibilitá. Su queste basi decidevo se era<br />

o non era il caso di continuare. Avevo quasi la certezza che l’indomani l’avrei<br />

ritrovata alla stessa ora e allo stesso posto.<br />

Non sempre i miei sforzi erano coronati dal successo completo, ma a volte mi<br />

riusciva e al secondo o terzo incontro con una scusa o l’altra, solo per salvare le<br />

apparenze, le invitavo in casa dove avveniva il fattaccio<br />

In genere facevo durar poco l’avventura, quattro o cinque incontri al massimo, poi<br />

sparivo. Tendevo le mie trappole lontano dalla base di operazioni, dove al momento<br />

opportuno le conducevo in auto senza dar loro modo di capire dove si trovassero né<br />

di leggere il nome della strada.<br />

Avevo affittato la casa a nome di mio fratello Silvestro. Silvestro quattro o cinque<br />

anni prima se ne era andato clandestinamente negli Stati Uniti, ormai aveva<br />

regolarizzato la sua posizione e non aveva la minima intenzione di tornarsene in<br />

Brasile.<br />

In fondo al cassetto di una scrivania, a suo tempo avevo trovato la sua carta di<br />

identitá e la tesserina fiscale e me ne ero servito per redigere il contratto di affitto.<br />

Anche per tutto il resto e a tutti gli effetti, in quella zona della cittá ero Silvestro<br />

Canovi, Gigi Canovi, che in realtá sarei io, era assolutamente uno sconosciuto.<br />

Rientravo in casa all’ora giusta, con una puntualitá matematica, accolto da una<br />

soddisfattissima Betty, che mi coccolava e raccomandava – Caro, non lavorare<br />

troppo!-.<br />

Di quando in quando, se avevo per le mani un soggetto particolarmente interessante,<br />

inventavo un viaggio di ispezione nel Nord Est o nel Sud rimanendo tranquillamente<br />

lontano da casa, da Betty e dai due figli per cinque o sei giorni. Potevo cosí passarmi<br />

le notti in compagnia della mia conquista, quando ne valeva la pena. L’unico<br />

problema si presentava al ritorno, dovevo dimostrare coi fatti la mia fedeltá dopo la<br />

presunta astinenza, e quella era la parte piú dura.<br />

In quei casi le mie energie erano sempre ridotte ad uno stato deplorevole mentre<br />

Betty, il cui temperamento focosissimo era stato messo a dura prova dalla settimana<br />

di digiuno, esigeva piú che mai.<br />

Fortunatamente la stessa natura mi aiutava, a secco come mi trovavo dopo di quelle<br />

maratone sessuali, riuscivo ad esibirmi in performances di durata strepitosa che<br />

lasciavano mia moglie felice, contenta e pienamente rassicurata sulla fedeltá del suo<br />

innamoratissimo marito, che in effetti in quei momenti era divenuto completamente<br />

insensibile, affetto da una forma di priapismo, come mi spiegó il mio medico<br />

personale al quale avevo chiesto la spiegazione del fenomeno senza eccessivi dettagli.<br />

Esisteva anche un’altro fattore, in un certo senso paradossale, a rendere Betty<br />

piú che soddisfatta da questo lato, cinque anni di matrimonio, due figli, le<br />

preoccupazioni del quotidiano avevano finito col far perdere alle mie esibizioni<br />

maritali quello smalto lucente del periodo iniziale. Negli ultimi tempi invece avevo


ipreso ad attaccarla con l’entusiasmo di una volta.<br />

Forse pensava che quel ritorno di fiamma era dovuto alle mutate condizioni di vita,<br />

specialmente alla tranquillitá finanziaria.<br />

In realtá non era nulla di questo, era solamente il fatto che si era invertito l’inevitabile<br />

processo di assuefazione, il mio corpo era ormai abituato a quello di lei e ne riceveva<br />

solamente i riflessi automatici che il contatto fisico inevitabilmente provoca, non<br />

esisteva ormai piú lo stimolo naturale della novitá che é poi quello che attira piú di<br />

tutto.<br />

Evidentemente anche le differenti condizioni di vita avevano infuenzato il mio<br />

comportamento, ma era soprattutto il fascino della varietá che dava nuovo vigore ai<br />

miei slanci. Stringere mia moglie tra le braccia appena qualche ora dopo averne tenuto<br />

un’altra, era come rinnovare un processo che era andato trascinandosi monotono e<br />

sempre uguale, anno dopo anno, era come se ogni volta stessi conquistando una<br />

donna nuova, e questo mi eccitava a tal punto che era come se fossi tornato ad<br />

innamorarmi di mia moglie come nei primi tempi.<br />

Ma non per questo smisi di tradirla, anzi! La tradivo assolutamente senza rimorsi,<br />

questo sí.<br />

Per un paio d’anni tutto corse a meraviglia fino a che non accadde l’imprevisto.<br />

Conobbi Melanie, e immediatamente vidi in lei la donna che avevo sempre sognato<br />

L’avevo incontrata in un supermercato dove mi trovavo per rifornire di cibarie e<br />

leccornie il mio pied-a-terre. La notai subito, e fui notato a mia volta, ogni tanto gli<br />

sguardi si incrociavano, lei non riusciva a dominare i muscoli delle labbra che si<br />

ostinavano a voler sorridere senza obbedire ai divieti della proprietaria, sembrava<br />

quasi che la bocca le tremasse. Di quando in quando deliziose fossette agli angoli<br />

delle labbra ne tradivano l’emozione.<br />

La distanza fra noi diminuiva e diminuiva a vista d’occhio, formaggi<br />

-Signorina, secondo lei il nostro Camembert é all’altezza di quello francese?-<br />

Lei fu meno snob<br />

-Per dire la veritá, il Camembert francese io non l’ho mai nemmeno visto!-<br />

-Che dice mai! Se vuole parto immediatamente per Parigi e gliene vado a comprarne<br />

qualche tonnellata.-<br />

-In tal caso farei una gigantesca indigestione....-<br />

Fu cosí che cominciammo, come per gioco, e finimmo con l’innamorarci per<br />

davvero, uno piú dell’altro.<br />

Le cose si rivelarono ben piú difficili di quel che avevo previsto, Melanie era<br />

una ragazza seria, aveva avuto prima di me un solo innamorato e l’aveva lasciato<br />

perché lui pretendeva far l’amore prima del matrimonio, il che per Melanie era<br />

qualcosa di abominevole, una pretesa iniqua che la rivoltava al solo pensarci.<br />

Se Melanie non fosse stata Melanie, non ci avrei pensato due volte e sarei svanito da<br />

un giorno con l’altro, ma Melanie era appunto Melanie e non vi avrei rinunziato per<br />

tutto l’oro del mondo, dovevo farla mia, a qualsiasi costo. La consideravo la donna<br />

piú desiderabile dell’universo, una bellezza cosmica addirittura.<br />

E Melanie era davvero una gran bella ragazza, in lei quel che piú attraeva era il


contrasto tra il viso ed il corpo. Lineamenti angelici, di creatura celeste, eterea, occhi<br />

azzurro smaltato, capelli di un evanescente biondo cenere con riflessi dorati, un<br />

nasino affilato con le narici frementi, labbra morbide sempre sul punto di sorridere<br />

con le adorabili fossette ai lati, uno sguardo mite e sottomesso.<br />

Sotto quel viso d’angelo dilagava in diabolico contrasto un corpo voluttuoso, di quelli<br />

che quando li vedi ti par di sentir squillare le trombe del giudizio universale,<br />

sconvolgente.<br />

Tentai di tutto, usai i sistemi piú persuasivi, quelli che non avevano mai fallito, ma<br />

Melanie fu irriduttibile, era vergine e vergine sarebbe rimasta fino al giorno del<br />

matrimonio, non che le avessi detto di non avere l’intenzione di sposarla, senza<br />

dubbio l’avrei sposata, le giuravo, ma non ora, piú in lá, non appena avessi avuto la<br />

promozione che meritavo.<br />

Le avevo detto infatti di essere il funzionario responsabile per il sistema di vigilanza<br />

notturna in una grande impresa di trasporto valori con sede in San Bernardo. Un<br />

lavoro di grandissima responsabilitá che imponeva la mia presenza costante durante<br />

tutta la notte e fin dalla sera. Come avrei potuto sposarmi costretto com’ero ad una<br />

vita del genere? Meglio aspettare, in meno di un anno avrei avuto certamente<br />

l’incarico di Superintendente Generale dei Servizi di Sicurezza e sarei stato occupato<br />

solo di giorno.<br />

Meglio aspettare, e nel frattempo cosa ci sarebbe stato di male ad anticipare di<br />

qualche mese quella intimitá che sarebbe durata una vita intera? Ormai la verginitá é<br />

una istituzione sorpassata, nessuno ci bada piú, é un anacronismo in contrasto con la<br />

tendenza dell’essere umano di cercare il piacere a tutti i costi e dovunque sia.<br />

Melanie non si convinse, fu irreduttibile.<br />

Avevo ormai cominciato a perdere le speranze e stavo pensando addirittura di<br />

rinunciare e ritirarmi in buon ordine, quando avvenne qualcosa che mi fece tagliare il<br />

nodo gordiano e rompere ogni indugio, l’episodio di Guarujá.<br />

Ero stato invitato dalla sacra famiglia di Melanie, aveva finito infatti col presentarmi<br />

ai suoi nella veste di pretendente ufficiale. Fui invitato, stavo dicendo, a passare un<br />

fine settimana in quella localitá balneare, sarebbero andati padre, madre e fratello, uno<br />

spilungone lentigginoso piuttosto antipatico.<br />

Inventai lí per lí ad uso e consumo di Betty un improvviso viaggio di ispezione<br />

assicurandomi tre notti di libertá.<br />

Fu cosí che in un venerdí pomeriggio mi trovavo sulle curve della discesa della strada<br />

che porta a Santos nella mia Escort conversibile con l’amata a fianco, mentre il resto<br />

della famiglia ci tallonava a breve distanza su di una rilucente Versailles grigio argento.<br />

Se Melanie la pensava ancora all’antica in rapporto ai rapporti prematrimoniali<br />

era invece di idee modernamente avanzatissime sull’abbigliamento.<br />

La mattina dopo sulla spiaggia al togliersi il pareo a fiori che indossava sul costume da<br />

bagno lasció il sottoscritto esterrefatto, completamente senza fiato. Il costume da<br />

bagno praticamente non esisteva o almeno sarebbe stato invisibile senza l’ausilio di<br />

un potente microscopio.<br />

Una sessantina di chili della piú desiderabile carne di questo mondo vennero esposti<br />

ai raggi del sole e agli sguardi dei presenti, nonché del mio. Solo l’inneffabile Herr<br />

Hans Muller, la moglie Gertrude ed il figlio Horst non percepirono, o almeno


ipocritamente finsero di non percepire, il subbuglio che lo spogliarello della figlia<br />

aveva causato nei maschi, giovani e vecchi, stesi sulla spiaggia ad abbronzarsi. Chi<br />

stava a pancia al sole immediatamente fu costretto a rigirarsi per nascondere tra i<br />

granelli di sabbia il prodotto di tanta emozione.<br />

Avevo giá immaginato nella fantasia quel che doveva celarsi sotto le vesti castigate<br />

della mia amata, certi rilievi che premevano sulle stoffe e le tendevano<br />

pericolosamente nei punti chiave e qualche rapido e audace fallo di mano in area di<br />

rigore, mi avevano giá fatto intuire i tesori che quei panni nascondevano, malgrado<br />

questo non ero psicologicamente preparato a tanta grazia di Dio.<br />

A tutti i costi, pensai durante la giornata intera, a tutti i costi. Vuole il matrimonio? E<br />

avrá il matrimonio, anche se saró costretto a commettere un crimine ideologico, un<br />

crimine di falso in atto pubblico. Io sono giá sposato, é vero, ma Silvestro non lo é, é<br />

ancora scapolo, almeno per quanto io ne sappia. E lá, in Vila Mariana, io sono<br />

Silvestro Canovi.<br />

E poi quale giudice avrebbe il coraggio di condannarmi una volta che avessi<br />

presentato a mia difesa le fotografie di Melanie in costume da bagno sulle arene di<br />

Guarujá? Invocherei una legittima difesa, immediatamente assolto.<br />

Non volli perder tempo, il lunedí mattina ero giá sulla strada per Votuporanga, la mia<br />

cittá natale.<br />

Il titolare dell’Ufficio del Registro delle Persone Fisiche di Votuporanga si ricordava<br />

benissimo dei Canovi<br />

-Conoscevo tuo padre, eravamo buoni amici. Ricordo molto bene, tu e tuo fratello<br />

nasceste ad un anno di distanza l’uno dall’altro, trascrissi io stesso i vostri atti di<br />

nascita.- diceva sfogliando le pagine del grosso libro.- Ecco qui, Luigi. -continuando a<br />

sfogliare - Ed ecco Silvestro, Silvestro Canovi, che saresti tu e vorresti prender<br />

moglie, a quanto pare. Ma ci hai pensato bene, bene proprio? É vero che alla tua etá,<br />

specialmente quando si é appassionati, in questi casi per pensare il meno che si usa é<br />

la testa!-<br />

La sera stessa, munito di tutti i certificati possibili ed immaginabili, salivo sul<br />

pullmann di ritorno a San Paolo e due giorni dopo chiedevo a Melanie di marcare la<br />

data del matrimonio.<br />

Le avevo confessato che piuttosto di ardere in una insopportabile attesa, preferivo<br />

spegnere l’incendio adattandomi temporaneamente ad una vita matrimoniale<br />

imperfetta, almeno se lei non aveva nulla in contrario.<br />

Il giorno delle nozze ero uscito dalla casa di Betty con la valigia pronta per il<br />

proclamato viaggio di ispezione nel Nordest, dato che le vendite lassú stavano<br />

andando piuttosto male.<br />

La bugia era relativa, quella sera stessa infatti mi sarei trovato sull’areo per Fortaleza,<br />

solo che stretto accanto alla mia freschissima sposina, e le mie ispezioni sarebbero<br />

state localizzate in ben altre aree.<br />

Era stata una cerimonia emozionante, in chiesa e con tanto di prete. Avevo fatto le<br />

cose per bene e alla grande, ma durante l’intera giornata qualcosa mi aveva<br />

continuamente preoccupato. Vero é che San Paolo é una cittá mostruosa, e che Betty<br />

viveva in un quartiere molto distante, quasi in un’altra cittá, eppure non riuscivo a<br />

liberarmi dalla fastidiosa sensazione di vederla apparire all’improvviso da un


momento all’altro, con i due bambini, uno per mano e a voce spiegata<br />

-Fermate tutto, questo matrimonio non si puó fare!-<br />

Quel piccolo incubo mi aveva perseguitato il giorno intero e anche dopo la cerimonia,<br />

durante il ricevimento. Quasi non avevo bevuto, volevo essere ben sveglio e pronto a<br />

squagliarmela se avessi visto sorgere da qualche parte la minacciosa chioma rossa che<br />

Betty aveva inaugurato di recente.<br />

Respirai sollevato solo quando le ruote del jet si staccarono dal suolo.<br />

Atterrammo in Fortaleza all’una di notte, ci volle un’altra ora per sistemarci<br />

nella suite che aveva prenotato, nell’albergo piú lussuoso della cittá, ero stato molto<br />

chiaro per telefono<br />

-Voglio una suite dal quinto piano in su, e soprattutto che abbia una veranda con<br />

vista sul mare.-<br />

Non appena la porta si era chiusa alle nostre spalle le avevo detto<br />

-Sei stanca, io sono stanco. Abbiamo a disposizione tutto il tempo di questo mondo,<br />

non sciupiamo con la fretta queste ore che mai piú si ripeteranno nella nostra vita.<br />

Facciamoci prima una bella dormita e domani mattina...- non terminai la frase<br />

chiudendole la bocca con un bacio.<br />

Ci svegliammo freschi e riposati verso le dieci.<br />

In un trionfo tropicale di luce il cestino delle frutta dai vividi colori quasi sfacciati, i<br />

colori caldi e vibranti dei disegni delle lenzuola e della tappezzeria, delle piante che<br />

esponevano l´esuberanza dei fiori sulla veranda, finirono con l’ubriacarci.<br />

Dalla veranda l’oceano si mostrava scintillante al sole, col bianco delle strisce parallele<br />

della spuma delle onde sottili che si inseguivano sullo splendido azzurro delle<br />

profonditá rinnovandosi continuamente.<br />

La guidai sulla veranda piena di sole, potevamo vedere tutto e tutti, e non essere visti<br />

da nessuno.<br />

Le avevo raccomandato di portare il microscopico costume che aveva fatto scalpore<br />

sulle sabbie di Guarujá, le dissi di indossarlo mentre mantenevo gli occhi chiusi.<br />

Quando li riaprii la vidi dorata dal sole sullo sfondo dell’oceano e volli rivivere nella<br />

realtá il sogno di fantasia che avevo fatto quel giorno sul litorale paulista.<br />

Le tolsi lentamente il costume e l’amai per la prima volta lí, in piedi sulla veranda,<br />

appoggiata al parapetto, ispirandomi al movimento incessante delle onde che<br />

andavano e venivano.<br />

Subito dopo nuovamente, stavolta sul morbido del letto.<br />

Scoprii una Melanie insospettata, la vidi godere con una intensitá che non avevo mai<br />

visto e che mai avrei immaginato, il viso trasfigurato da una espressione di una assorta<br />

intensitá, fui addirittura preso dal timore che non potesse resistere fino alla fine<br />

dissolvendosi tra gli spasimi.<br />

Finí, Melanie non era una ninfomaniaca e si placó subito dopo.<br />

Si placó per un paio di giorni, il tempo di rinnovare le energie che aveva sprecato in<br />

quella selvaggia manifestazione, e fu pronta di nuovo, due sere dopo, a ripeterla con<br />

la stessa violenza.<br />

Melanie non diluiva il suo piacere in brevi orgasmi ripetuti, ma in uno solo,<br />

gigantesco e interminabile, che finiva col drenarla di tutte le energie. E allora si<br />

lasciava amare con dolce e tenera dedizione


-Anche cosí mi piace, mi tranquillizzava, mi piace sentirti dentro di me, forse<br />

addirittura mi piace di piú che non quando mi prendono quegli attacchi furibondi che<br />

mi fanno perfino star male.-<br />

Ce ne tornammo in San Paolo dopo una settimana e il giorno dopo cominciai a<br />

rendermi conto della trappola nella quale mi ero cacciato.<br />

La sera, tra sospiri e baci, ci salutammo. Sarei andato a riprendere il lavoro, almeno<br />

come lei credeva, in realtá dovevo ripresentarmi al focolare domestico numero uno.<br />

Fino allora era stato differente, salutavo Melanie qualche ora prima e me ne andavo a<br />

passare un certo tempo nella casa numero due. Avevo cosí il tempo di prepararmi<br />

materialmente e spiritualmente alla prova del fuoco, mi lavavo, esaminavo<br />

attentamente il mio abbigliamento, il contenuto delle tasche e cosí via.<br />

Giungevo da Betty sicuro di me stesso, come purificato da quel breve periodo di<br />

transizione.<br />

Da quel giorno in avanti, non piú, da quel giorno in avanti il passaggio da una<br />

situazione all’altra sarebbe stato brusco, completamente diverso, mi sarebbe potuto<br />

per esempio scappare un inopinato -Melanie, amore mio!- da un momento all’altro.<br />

Betty é una donna furba e, quel che é peggio, attenta osservatrice, non le scappa nulla.<br />

Non appena mi vide percepí che c’era in me qualcosa di diverso<br />

-Cos’hai?- mi chiese sciogliendosi dall’abbraccio -Qualcosa non va? Mi sembri strano.<br />

L’aria del Nordest deve averti fatto male.- mentre mi esaminava attentamento da capo<br />

a piedi, mi fiutava sul collo, sulle spalle, dappertutto, concludendo<br />

-Strano, hai un odore sul lato sinistro differente da quello che hai sul destro.continuando<br />

ad annusarmi come un cane da caccia.<br />

-Cosa vuoi che ti dica, mi difesi -Sono stato rinchiuso per ore ed ore in aereo, seduto<br />

fra una vecchia baldracca orribilmente truccata sulla mia destra e un grasso signore<br />

profumatissimo dall’altro lato e che doveva soffrire di tendenze omosessuali, almeno<br />

a giudicare da come mi si strofinava addosso ad ogni occasione.-<br />

Betty me la passó per buona, ma veramente convinta convinta non era, e questo<br />

mandó all’aria il piano di difesa che avevo preparato, ero stanco, mi tormentava un<br />

fastidiosissimo mal di testa, avrei avuto bisogno di una buona notte di riposo,<br />

eccetera eccetera.<br />

Stando cosí le cose, se mi fossi rifugiato in quelle scuse avrei finito col confermare i<br />

suoi sospetti, pertanto mi accinsi al sacrificio invocando l’aiuto del Signore che mi<br />

desse le forze per soddisfare gli appetiti coniugali di mia moglie.<br />

Mi si buttó addosso non appena ci trovammo sotto le lenzuola, se lo fece perché ne<br />

moriva dalla voglia o soltanto per mettermi alla prova, non so.<br />

In ogni modo il Signore ebbe pietá di me, o forse fu solo la sensazione differente che<br />

mi trasmetteva il contatto con i muscoli nervosi e guizzanti di Betty, abituato come<br />

mi ero negli ultimi giorni alla placida epidermide di Melanie.<br />

Fatto sta che come le labbra di mia moglie cominciarono a succhiare le mie e il suo<br />

corpo nudo a strofinarsi sul mio, mi trovai immediatamente sulla rampa di lancio<br />

prontissimo a tutte le prodezze. Non era la prima volta a capitarmi, dopo di una<br />

maratona sessuale parto al galoppo, lancia in resta, e nulla mi ferma piú, perdo ogni<br />

ogni capacitá di sentire e posso rimanere come un moderno Priapo per ore, senza<br />

cedere, ma anche senza provar nulla, come se fossi anestetizzato, persa ogni e


qualsiasi sensibilitá.<br />

Riesco in tal modo a fare la felicitá dell’amazzone di turno che voglia provare<br />

l’ebbrezza di una interminabile galoppata.<br />

Alla fine solo ricorrendo all’acqua fredda riesco a riportare le cose, o meglio, la cosa,<br />

alle dovute proporzioni.<br />

Dissipai in tal modo i dubbi di Betty, ma dopo non riuscivo ad addormentarmi,<br />

preso com’ero dalle preoccupazioni. Cosa avrei potuto fare nel futuro per evitare<br />

qualsiasi sospetto? Compito difficile il mio, dure prove mi aspettavano, non sarebbe<br />

stato facile organizzare la nuova vita secondo un rigido sistema, assoggettandomi ad<br />

inflessibili regole di sicurezza.<br />

Giá cominciavo a non sentirmi molto soddisfatto.<br />

Il giorno dopo, di prima mattina iniziai a realizzare quello che avevo progettato<br />

durante la notte.<br />

Tanto per cominciare, l’abbigliamento.<br />

Non potevo correre il rischio di presentarmi all’una o all’altra vestito in maniera<br />

diversa di quando l’avevo lasciata. Per evitare una tragedia presi una risoluzione<br />

drastica ma che purtroppo era l’unico modo di evitare pericolose sbandate. Mi sarei<br />

vestito sempre alla stessa maniera, come indossando una uniforme, non esistevano<br />

alternative.<br />

Mi precipitai a comprare sei pantaloni grigio scuri, quattro blazer blu, quattro paia di<br />

scarpe nere, calze, mutande, eccetera eccetera, ogni capo rigorosamente eguale<br />

all’altro, in modo da evitare errori o confusioni. Immaginai quel che poteva accadere<br />

se fossi uscito di casa con un vestito marrone e mi fossi ritirato con uno blu, o peggio<br />

ancora uscire con le mutandine celesti e ritirarmi con un paio bianche, un disastro<br />

sarebbe accaduto, un disastro, e d’altro lato avrei dovuto pur cambiarmi di quando in<br />

quando.<br />

Risolto il problema dell’abbigliamento affrontai un altro punto debole, i<br />

documenti. Fino ad allora avevo lasciati sempre quelli di Silvestro nella casa numero<br />

due, ma da quel momento in avanti li avrei mantenuti nel portaguanti dell’auto,<br />

religiosamente chiuso a chiave, in un portacarte insieme ai biglietti da visita e al<br />

libretto di assegni. La mattina uscendo di casa avrei messo nel ripostiglio il portafogli<br />

Gigi, e intascato il Silvestro, di colore completamente diverso e con una vistosa Esse<br />

come ulteriore misura di sicurezza e alla sera avrei rifatto il cambio, infilandomi in<br />

tasca di nuovo il Gigi.<br />

E i nomi? Dio me ne guardi avessi chiamato Betty di Melanie, avrei corso pericolo di<br />

vita.<br />

Anche in questo caso non esisteva altra soluzione se non tagliare la testa al toro. Non<br />

sarebbero piú esistite né Melanie né Betty, ma solamente tesoro, amore, cara, cuor mio e<br />

cosí via.<br />

Mi sottoposi immediatamente ad un corso intensivo di educazione verbale, mentre<br />

circolavo in automobile per le vie di San Paolo, continuavo a ripetere ad alta voce<br />

fino all’esaurimento tesoro, amore, cara, cuor mio, tesoro, amore, cara, cuor mio, tesoro, amore,<br />

cara, cuor mio, in tal modo speravo di avitare radicalmente ogni rischio di confusione.<br />

Dopo il matrimonio di Silvestro la mia vita divenne un incubo, uno stato di continua


tensione, quando stavo con l’una o l’altra delle mogli non potevo permettermi di<br />

rilassare, dovevo controllarmi perfino nei sogni, terrorizzato dall’idea che potesse<br />

scapparmi qualche frase compromettente.<br />

Mi rifugiavo nel sesso, era l’unica consolazione che mi restava nella vita.<br />

Amavo, amavo, letteralmente giorno e notte, di notte toccava a Betty sopportare i<br />

miei attacchi, e non é che le dispiacesse molto, di giorno era Melanie la quale peró,<br />

meno focosa, ad un certo punto cominció a dimostrare sintomi di stancheza<br />

psicologica, specialmente dopo di aver scoperto di essere incinta.<br />

Ben presto mi accorsi di un fenomeno paradossale, se di giorno avevo fatto l’amore<br />

con Melanie, alla sera mi riusciva facile ripetermi con Betty, ma quando avevo dovuto<br />

rinunciare ad inzuppare il biscottino nella ciotola di Melanie, mi riusciva difficile<br />

mettermi in condizioni di soddisfare le esigenze di Betty, che mi sottoponeva<br />

immediatamente ad un interrogatorio di primo grado -Perché oggi no? Cosa hai<br />

combinato prima di tornar qui?- e cosí via. Probabilmente la sua non era solo una<br />

esigenza fisica vera e propria, era piú che altro il bisogno di sentirsi tranquilla<br />

sottoponendomi alla quotidiana prova del fuoco.<br />

Il paradosso consisteva nel fatto che proprio quando le ero stato fedele mi<br />

mancavano le condizioni per dimostrarlo.<br />

Evidentemente la mia natura maschile si era ormai abituata all’alternanza delle<br />

sensazioni e in mancanza di quella entrava in sciopero bianco.<br />

Il desiderio di poter trascorrere qualche ora nella pace completa era andato<br />

sempre crescendo, finché giunsi alla decisione di affittare una terza casa, dove mi<br />

sarei rifugiato almeno una volta al giorno, quasi per purificarmi nella fase del<br />

passaggio da una moglie all’altra.<br />

Devo supporre peró che era intervenuto subdolamente anche un altro fattore a<br />

spingermi a prendere quella decisione. In effetti prima di Melanie avevo solo una<br />

moglie, é vero, ma vivevo in continuazione nuove avventure, brevi e sempre<br />

rinnovantesi, in un continuo caleidoscopio di varietá.<br />

C’era la gazzella timida dagli enormi occhi neri e mansueti, la gatta sorniona dalle<br />

unghie affilate che mordeva e si dibatteva nello spasimo dell’amore, la porcellina<br />

grassottella attirata da ogni nuova esperienza, l’oca giuliva deliziosa nella sua candida<br />

ingenuitá, la scimmietta che amava acrobaticamente, la leonessa che mi divorava non<br />

lasciandomi nemmeno il tempo di protestare, e cosí via. Sotto sotto ero stufo di due<br />

donne sole, sempre le stesse, Regina, Regina, sempre Regina, come diceva Luigi<br />

Quattordici o Quindici o Sedici al suo confessore che gli rimproverava di non<br />

mantenersi fedele a Sua Maestá.<br />

Non so quale fu la ragione o le le ragioni che mi spinsero a scegliere il quartiere<br />

giapponese, Liberdade, forse fu perché mi attirava quel marcato senso esotico che ne<br />

emanava, in certi punti si poteva credere di trovarsi per davvero in Giappone.<br />

Vi affittai la terza casa, sempre nel nome di Silvestro.<br />

Stabilito che ebbi il nuovo Quartier Generale, le cose migliorarono molto,<br />

specialmente dal lato psicologico. Fortunatamente Melanie era di una gelosia<br />

ragionevole e non eccessiva e mi riusciva facile ingannarla. La Liberdade é quasi sul<br />

cammino che dovevo percorrere ogni mattina, mi bastava fare una deviazione


insignificante, mi ci fermavo una mezz’oretta al massimo, poi raggiungevo Melanie<br />

che mi aspettava ancora a letto, di solito fingevo di aver sonno, mi ero tanto abituato<br />

a questo ciclo di vita che riuscivo perfino a dormire, almeno fino a mezzogiorno.<br />

Nel pomeriggio dopo pranzo me ne andavo in giro, alla ricerca di qualche soggettino<br />

interessante, non potevo ricorrere al sistema di una volta appostandomi alle fermate<br />

di autobus, ma anche cosí mi riusciva ogni tanto qualche buon colpo, specialmente<br />

gironzolando per i supermercati o gli Shopping Center.<br />

Alcune volte riuscivo a compiere la bravata di amare tre donne nella stessa giornata.<br />

Non mi riusciva eccesivamente difficile, ero riposato, non avevo nulla da fare, mi<br />

alimentavo bene e le forze non mi mancavano, e poi gli stimoli ogni volta rinnovati<br />

riuscivano a farmi sostenere il ritmo.<br />

Finché venne il giorno che la conobbi.<br />

La vidi da lontano, una trentina di metri avanti a me, dal modo di camminare capii<br />

che era una asiatica, ma non una giapponese, le giapponesi hanno il deretano basso e<br />

le cosce corte e grosse, quella aveva il sedere al posto giusto ed era di coscia lunga, e<br />

poi camminava lieve, come danzando sulle nuvole e non pestando rabbiosamente il<br />

terreno come le nipponiche. Vestiva una tunichetta bianca su di un largo paio di<br />

pantaloni, anch’essi bianchi, il che dava maggior eleganza al suo incedere giá elegante<br />

di per sé stesso.<br />

Ad un certo momento rallentó fermandosi per guardare la vetrina di un gioielliere. La<br />

raggiunsi, mi fermai al suo lato. L’immagine si rifletteva sulla lastra di vetro, un<br />

curioso effetto di luci faceva sembrare che la graziosa collana di pietre verdi esposta<br />

in vetrina le adornasse il collo lungo e sottile spiccando sul bianco del vestito in<br />

delizioso contrasto. Lei anche guardava divertita la sua immagine riflessa.<br />

Non persi tempo, mi lanciai all’attacco senza stare a pensarci su<br />

-Come starebbe bene il verde di quella collana sul bianco della sua tunica! Se lei<br />

accettasse, gliela regalerei, senza pensarci due volte.-<br />

-Cosa la porta a credere che io accetterei?-<br />

-E perché no?!- replicai senza esitare. Mi guardó con splendidi occhi obliqui<br />

-E in cambio, cosa vorrebbe in cambio?- mi chiese beffarda<br />

-Nient’altro che poterla ammirare.- Dichiarai nel tono piú sincero di questo mondo.<br />

Cominciava ad esitare, incerta tra il si e il no, una scintilla di cupidigia saettava nel suo<br />

sguardo, finalmente si dette per vinta, volle mettermi alla prova<br />

-E perché no?- copiando la mia risposta di poco prima.-Perché no?-<br />

Entrammo, un giapponese cerimonioso e sorridentissimo ci venne incontro, aveva<br />

tutta l’aria di essere il proprietario. Accettó senza batter ciglio la mia controfferta,<br />

tanto da farmi pensare che avrei potuto tirare ancora di piú sul prezzo. Mentre<br />

compilavo l’assegno disse diplomaticamente ad alta voce<br />

-La collana sta veramente bene al collo di sua moglie.-<br />

La ragazza che stava ammirandosi allo specchio fu ben pronta a controbattere<br />

-Non sono sua moglie.-<br />

-Almeno per ora.-ribattei senza perder tempo. Ridendo fece eco alle mie parole-<br />

Almeno per ora.-<br />

Usciti all’aperto la guardai meglio, era proprio bella, giovane e bella, non doveva avere<br />

piú di vent’anni, seppi poi che erano appena sedici. Probabilmente era indocinese,


una profuga vietnamita, due occhi nerissimi, quasi celati dall’incredibile ovale stretto e<br />

allungato delle palpebre, gli zigomi salienti delle orientali, due labbra carnose,<br />

ispirando pensieri piú che indecenti, scoprivano e coprivano a tratti due file di denti<br />

bianchissimi, la figura elegantemente slanciata, definitivamente una donna rara.<br />

Non me la sarei lasciata scappare se non dopo aver tentato il tutto per tutto. Avevo<br />

giá pranzato, e bene, nella casa di Melanie, ma ancora ci sarebbe stato posto per uno<br />

spiedino di gamberi.<br />

Fingendo di essere nuovo dell’ambiente le domandai se sapeva dove avrei potuto<br />

mangiare qualcosa di speciale, nel miglior ristorante a portata di mano, anche se<br />

carissimo, aggiunsi. Quando vi fummo davanti le chiesi<br />

-Perché non entra con me, mi terrá compagnia racontandomi un poco di lei, della sua<br />

vita, di dove é, come é arricata fin qui... magari davanti ad una bella aragosta alla<br />

griglia o alla Termidor...<br />

L’idea dell’aragosta dovette allettarla perché fece un’adorabile smorfietta e si accinse<br />

ad entrare al mio fianco.<br />

La sua storia era interessante, apparteneva ad una popolazione guerriera, i<br />

koawis, che vivevano sulle montagne del Vietnam in una zona selvaggia, foreste e<br />

giungla, lontana dalla civilizzazione.<br />

Il suo popolo aveva avuto nel passato una lunga storia di tradizioni, di gloria, di<br />

vittorie e di sconfitte, purtroppo aveva finito col decadere, senza peró lasciarsi mai<br />

dominare.<br />

Anche i francesi avevano finito col lasciarli in pace considerando che non valeva la<br />

pena sprecare vite, tempo e danaro per assoggettarli, anche perché i koawis non<br />

avevano nessuna pretesa di espansione, volevano soltanto essere lasciati in pace a<br />

guerreggiare tra loro.<br />

Il nonno di Hiem, cosí la ragazza aveva detto di chiamarsi, era stato un capo, quasi un<br />

re e aveva solo un figlio, Thiuc, il padre di Hiem.<br />

Successivamente anche i Viet Cong avevano tentato di dominarli, senza riuscirvi ed<br />

avevano anzi subito severe sconfitte, avevano peró catturato Thiuc e la sua giovane<br />

sposa.<br />

Nel trasferimento al Nord, verso Hanoi, vennero liberati da una pattuglia mista di<br />

americani e sudvietnamiti ed avviati in Saigon dove rimasero per un paio d’anni.<br />

Durante quel periodo gli americani distrussero praticamente le foreste dove vivevano<br />

i koawis irrorandole dall’alto con enormi quantitá di defogliante chimico. Privati in tal<br />

modo del loro habitat naturale i koawis rimasero senza alcuna possibilitá di difesa e i<br />

Vietcong ne approfittarono immediatamente per prendersi la loro rivincita,<br />

attaccarono senza pietá massacrando l’intera popolazione, un vero e proprio<br />

genocidio.<br />

In Saigon Thiuc si era adattato ben presto. Aveva una naturale tendenza al<br />

commercio e finí col guadagnar bene commerciando nel mercato nero, vendeva e<br />

comprava dagli americani, di tutto, dagli stupefacenti alle donne.<br />

Nel momento nel quale era venuto a conoscenza dello sterminio del suo popolo, ben<br />

sapendo che la vittoria finale dei Viet-Cong era ormai solo questione di tempo e che i<br />

Nordvietnamiti non appena si fossero insediati in Saigon una delle prime cose che<br />

avrebbero fatto sarebbe stata quella di catturare tutti i nemici che si erano rifugiati


nella cittá e farli fuori uno per uno, capí che non gli restava alternativa se non quella<br />

di espatriare prima che divenisse troppo tardi.<br />

Era riuscito a raggranellare un bel pó di quattrini, seppe usarli accortamente e riuscí<br />

ad ottenere un permesso di immigrazione in Brasile.<br />

Hiem era nata in San Paolo subito dopo e dopo qualche anno ancora la sorella<br />

minore, Sao.<br />

Hiem spiegó anche che i koawis erano stati un popolo in cui si era formata una<br />

mescolanza di culture, quella del passato lontano, quando avevano raggiunto un certo<br />

grado di civiltá e la cultura del presente, nella quale aveva nuovamente prevalso<br />

l’istinto di sopravvivenza quasi facendoli tornare ad essere quasi dei selvaggi.<br />

Era evidente in Hiem il contrasto delle due culture, si comportava impeccabilmente<br />

fino a portare il cibo alla bocca, ma da quel momento in avanti prevaleva in lei la<br />

selvaggia, masticava e inghiottiva con aviditá e rapidamente, come per evitare che un<br />

nemico sopraggiungendo all’improvviso dal folto della giungla glielo potesse togliere<br />

di bocca.<br />

Tornammo ad incontrarci regolarmente nei giorni successivi, capivo che Hiem veniva<br />

con me per i regali che le facevo e per mangiar bene, ma nello stesso tempo sentivo<br />

che non era solo quello, era anche attratta dalla mia personalitá.<br />

Dopo una settimana accettó finalmente l’invito ad entrare nella mia casa, si lasció<br />

stringere e baciare, ma nulla piú.<br />

Impazzivo tenendola tra le braccia, un giunco duttile e cedevole che aderiva al mio<br />

corpo come un’edera, mi carezzava con mani delicate facendomi correre per tutto il<br />

corpo brividi di piacere quando passava le sue mani dalla nuca in giú.<br />

Divenne sempre piú audace fino ad armeggiare con la lampo dei miei pantaloni ed<br />

impadronirsi di quel che le interessava. Le sue dita sembravano ali di farfalle<br />

movendosi con delicata sapienza fino a portarmi all’esplosione. Non avevo mai<br />

sperimentato una tecnica tanto raffinata e devo riconoscere che fu una sensazione<br />

nuova di benessere e distensione di nervi ineguagliabile, dolce e soave. In seguito<br />

seppi dove e come aveva acquistato siffatta abilitá.<br />

Ma piú di quello non riuscii ad ottenere<br />

-Sono vergine, mi disse, voglio e devo mantenermi tale fino a quando un uomo mi<br />

sceglierá per vivere con lui.-<br />

-Ti ho giá detto che non potrei sposarti, almeno per ora. Sono diviso da mia moglie,<br />

lei non vuol divorziare e per riuscirci sto affrontando una lunga e difficile battaglia<br />

giudiziaria che non so nemmeno quando finirá.-<br />

-Non é necessario tutto questo - volle spiegarmi -il nostro popolo ha un’altra usanza,<br />

basata su di un concetto assolutamente pratico.<br />

Una figlia fino a giungere all’etá di marito avrá mangiato sacchi e sacchi di riso, un<br />

certo numero di polli e uova, un certo numero di chili di carne di maiale, chissá quanti<br />

litri di latte di bufala, frutta, verdura e poi stoffa e altro. Quando un uomo si interessa<br />

ad una giovane e vuol farla sua, si presenta al padre e gli chiede quanti sacchi di riso,<br />

quanti polli eccetera eccetera vuole in cambio della figlia, come una specie di<br />

compenso per i sacrifici fatti per allevarla. Discutono, contrattano ed alla fine si<br />

mettono immancabilmente d’accordo, il pretendente si presenterá poi con tutto quel<br />

ben di Dio, o almeno una parte, impegnandosi a consegnare il resto piú tardi e si


porta via la figlia. É molto semplice e pratico.-<br />

Anche a me sembrava molto semplice e pratico, ma mi venne un dubbio<br />

-E se alla giovane desiderata il pretendente non piace?- domandai<br />

-Non esiste questo pericolo, i due si mettono d’accordo prima, la ragazza avvisa il<br />

padre, il quale altrimenti non accetterebbe nemmeno di parlare col pretendente.<br />

Comunque la ragazza si dará solo dopo il pagamento ed il permesso del padre. Fino a<br />

quel momento avranno fatto solo quel che io ho fatto a te.<br />

É importante che l’uomo si renda conto dell’abilitá della futura moglie, se é stata abile<br />

in quello, lo sará anche nel resto. Per tradizione le madri hanno sempre insegnato alle<br />

figlie come fare per riuscir a dare il massimo di piacere all’uomo e non lasciarlo<br />

deluso. Le lezioni cominciano non appena la bambina é divenuta ragazza, cioé subito<br />

dopo la prima mestruazione.<br />

Mi resi immediatamente conto che si trattava di una consuetudine<br />

lodevolissima e pratica. Nel nostro caso per esempio, dopo la convincentissima<br />

dimostrazione che Hiem mi aveva dato, era facilissimo prevedere le future delizie del<br />

letto matrimoniale. L’argomento era divenuto interessante e le domandai<br />

-Cosa dovrei fare allora, presentarmi a tuo padre con un autotreno carico di riso,<br />

polli, maiali, banane e altro ben di Dio e chiedergli se quello gli basta o se la figlia ha<br />

mangiato invece due autotreni di alimenti dal giorno nel quale é nata?-<br />

Rise a gola spiegata di un riso che mi sembrava musica<br />

-Non occorre tutto questo, non ci troviamo nelle foreste delle montagne del Vietnam.<br />

Qui esiste quella praticissima istituzione che é il danaro, di volume ridotto e facile a<br />

trasportarsi, e anche quei bigliettini verdi che vengono dagli Stati Uniti e che<br />

piacciono terribilmente a mio padre. Vuoi che gli parli e gli dica che tu hai gradito le<br />

mie carezze?-<br />

Fu cosí che il giorno dopo mi presentai al signor Thiuc e dopo il lungo<br />

preambolo di prassi, che Hiem mi aveva detto essere assolutamente indispensabile, gli<br />

chiesi appunto in termini metaforici quanti dollari aveva speso fino a quel giorno per<br />

alimentare la figlia, vestirla, farla andare a scuola eccetera eccetera. Mi aspettavo una<br />

richiesta astronomica, sta di fatto invece che Thiuc fu molto ragionevole nelle sue<br />

pretese, forse non si fidava molto nell’abilitá manuale della figlia.<br />

Raggiungemmo rapidamente l’accordo ed il giorno dopo un congruo mazzetto di<br />

dollari passó dalle mie mani alle sue, dopo di che me ne andai trionfalmente, felice e<br />

contento, al braccio di una Hiem radiante di felicitá.<br />

La mattina dopo ero giunto giá alla conclusione di non aver mai speso tanto<br />

bene i miei quattrini.<br />

Se la donna russa, a quanto dicono, é femmina due volte, le vietnamite lo sono cinque<br />

o sei, per lo meno. É quanto posso garantire personalmente dopo l’esperienza<br />

entusiasmante delle nottate passate tra le morbide braccia di Hiem.<br />

La prima emozione, finalmente vederla nuda, non vi ero riuscito fino a quel<br />

momento.<br />

Slanciata, le linee del corpo morbidamente disegnate dalle caviglie tornite su su fino al<br />

collo di gazzella lungo e sottile, senza sporgenze brusche, tutto soavemente<br />

raccordato in una successione di linee armoniche sulle quali le mie dita scivolavano


senza sapersi fermare.<br />

I seni, piccoli, ma non tanto, entravano giusti giusti nella coppa formata dalla mia<br />

mano, morbidi e nello stesso tempo sodi, dando la sensazione di una tenera<br />

consistenza, come le linee armoniose dei muscoli guizzanti che davano vita al piccolo<br />

deretano, divinamente proporzionato su di un paio di gambe, lunghe e affusolate che<br />

si muovevano su e giú per la stanza e sul letto con armonia incomparabile.<br />

Era vergine, verginissima anzi, e tale la volli lasciare ancora qualche ora, facendola<br />

donna poco a poco, aggiustando poco a poco l’imene fino a farlo giungere ad<br />

accomodarsi alle mie dimensioni. Mi aiutava, combattuta tra il desiderio di darsi e<br />

l’inevitabile timore dello sconosciuto. Finalmente quando fui tutto dentro di lei<br />

sospiró passandomi le braccia attorno al collo e mi bació a lungo.<br />

Avevo tempo a sufficienza, il terreno giá ben preparato con Betty e Melanie,<br />

sapevano che mi trovavo tra Natal e Manaus, sarei tornato solamente dopo una<br />

settimana.<br />

Ancora oggi, malgrado tutto quel che accadde dopo, sono convinto che quella<br />

sia stata la settimana piú dolce della mia vita, mai avevo provato e mai piú proveró le<br />

emozioni di quegli indimenticabili sette giorni e sette notti di amore, sesso e passione,<br />

ventiquattro ore su ventiquattro.<br />

Hiem era semplicemente fantastica, amava con intensitá, con fantasia sempre<br />

rinnovata, una arte sapiente che secondo me solo le cortigiane dell’antichitá<br />

conoscevano.<br />

Quando le domandai come e dove avesse appreso quei trucchi segreti di arte erotica<br />

non esitó<br />

-É stata mia madre ad insegnarmeli, era non solo una tradizione dei koawis, ma<br />

soprattutto una necessitá. Secondo l’usanza, il marito non soddisfatto aveva il diritto<br />

di riportare la sposa alla famiglia e pretendere la restituzione di tutto quello che aveva<br />

pagato. In quel caso oltre all’umiliazione, molto difficilmente la ragazza avrebbe<br />

trovato un altro pretendente, all’infuori di qualche anziano vedovo che aveva bisogno<br />

di qualcuno che si occupasse della casa.<br />

Ma il danno maggiore sarebbe stato il dover restituire il prezzo pagato a suo tempo, e<br />

poiché quasi sempre quei beni non esistevano piú, l’obbligo avrebbe rappresentato il<br />

piú delle volte la rovina economica. La famiglia evidentemente non voleva correre il<br />

rischio quasi mortale.<br />

Pertanto la madre addestrava la figlia secondo canoni e dettami trasmessi attraverso i<br />

secoli da generazione a generazione. La figlia veniva considerata pronta per il marito<br />

solo dopo di esser divenuta una perfetta amatrice, in teoria naturalmente. Ma doveva<br />

anche essere una ottima cuoca, perché é a tavola e sul letto che si incatenano gli<br />

uomini.-<br />

Effettivamente Hiem si riveló una cuoca perfetta, dotata di una inventiva da<br />

lasciarmi strabiliato per l’abilitá nel presentare ogni giorno un piatto nuovo ed<br />

originale, tale da permettere di rifarmi delle energie perdute in quella maratona di<br />

amore che avrei voluto non avesse mai fine.<br />

E mai potró dimenticarmi dei suoi amplessi. Qualcosa di magico.


Sempre, quando faccio l’amore per amore, e non solamente per soddisfare i miei<br />

istinti, amo non solamente col corpo ma anche con l’anima nelle proporzioni che<br />

volta a volta l’intensitá dei sentimenti impone, sempre finendo col prevalere<br />

l’intensitá della sensazione fisica.<br />

Con Hiem era diverso, completamente diverso. Era l’anima a prevalere dandomi una<br />

sensazione totale di abbandono e di seduzione con una violenza da provocarmi<br />

addirittura il male fisico. Non riusciró mai a spiegarlo bene, lo so, ma provavo<br />

qualcosa impossibile a tradurre in parole, qualcosa che mi prendeva completamente.<br />

L’unica maniera di renderne una pallida idea é che mi sembrava realmente di<br />

fondermi in lei, corpo e anima, forse piú l’anima che il corpo e che al momento di<br />

staccare il mio corpo dal suo mi dominava un tormento insopportabile, un’angustia<br />

senza fine come se realmente una parte di me stesse morendo con la separazione.<br />

Sospetto seriamente che la madre, oltre alla gastronomia ed alle arti erotiche, le avesse<br />

anche trasmesso la conoscenza di arti magiche, tanto vicino alla magia l’atmosfera che<br />

veniva a crearsi non appena i nostri corpi si univano, come se quella fosse la nostra<br />

vera natura, un essere costituito da due parti temporaneamente separabili ma che<br />

soffriva nella separazione e che si sentiva completamente realizzato solo quando le<br />

due parti delle quali era composto erano unite.<br />

Trascorsa la settimana dedicata alla mia terza luna di miele, il ritorno alla vita di<br />

tutti i giorni mi riuscí insopportabile nei primi tempi, anche perché le cose erano<br />

divenute ormai ben piú complicate, giá complicate con due donne, figuriamoci con<br />

tre.<br />

Riuscivo comunque a districarmi con diabolica abilitá, anche perché in effetti quello<br />

di destreggiarmi tra i miei amori era l’unica cosa che avevo da fare ed in questa arte<br />

ero divenuto un campione.<br />

Non avevo preoccupazioni finanziarie, economicamente ero un privilegiato, malgrado<br />

tutto non mi ero mai dato a spese pazze e il rendimento del mio capitale piú grande<br />

delle spese, tanto da accorgermi di diventare ricco ogni giorno di piú.<br />

Inevitabilmente i miei rapporti con Betty e Melanie si deteriorarono, sia pure<br />

impercettibilmente, e a poco a poco le due donne andarono rassegnandosi alla mia<br />

mancanza di entusiasmo senza soffrirne eccessivamente, o almeno cosí mi sembrava.<br />

Non era rimasto sorpreso nel caso della placida Melanie, data la sua indole pacifica e<br />

la sua dedizione al figlio.<br />

Melanie era andata ingrassando, ormai divenuta una donna fiorente, forse<br />

eccessivamente fiorente, scoppiava di salute, le carni le tendevano sempre piú la pelle<br />

rosea fino a farla divenire traslucida.<br />

Quando si rammaricava che la pinguedine stava invadendo il suo corpo, e mi<br />

esprimeva il timore che se troppo grassa non l’avrei piú amata, la rassicuravo<br />

dicendole di non preoccuparsi perché in tal caso ci sarebbe stata sempre piú ciccia per<br />

far l’amore.<br />

Non mentivo, quell’abbondanza rappresentava un diversivo per i miei sensi che<br />

avevano bisogno di stimoli sempre nuovi per poter sostenere il ritmo infernale della<br />

mia vita amorosa e far l’amore con Melanie era come trovare rifugio in una oasi di<br />

tranquillitá, come raggiungere una laguna di acque tiepide e calme dopo di aver<br />

nuotato a lungo tra le onde furiose dell’oceano in tempesta.


Fu differente nel caso di Betty, da un momento all’altro era divenuta<br />

scorbutica, scostante, discuteva con me per un nonnulla, quasi mai per gelosia, come<br />

era sempre stato fino allora, sembrava quasi fosse divenuta meno possessiva e meno<br />

sospettosa. Si attaccava invece alle piccole cose, criticava con commenti ironici, quasi<br />

sarcastici tutto quel che facevo e dicevo, quasi volesse scaricare in tal modo le sua<br />

insoddisfazione.<br />

Anche a letto era cambiata, non piú esigente come una volta, spesso trovava qualche<br />

scusa per sottrarsi quando la cercavo. Non poteva sapere che la avvicinavo piú che<br />

altro per non darle modo di alimentare sospetti.<br />

Giunsi perfino a pensare che il mutamento della sua personalitá dipendesse da una<br />

menopausa anticipata, ma era ancora troppo giovane per potersi prendere seriamente<br />

in considerazione un’ipotesi del genere.<br />

Anche Hiem si trovava in fase di muta, ma in un senso positivo, direi.<br />

Nei primi tempi della nostra unione si era data a grandi spese, chiedeva sempre<br />

danaro che le davo senza batter ciglio.<br />

Cominciai a preoccuparmene, ma non per le mie finanze che potevano facilmente<br />

sopportare le sue richieste. Mi preoccupavo piuttosto per lei, sapevo molto bene che<br />

la nostra avventura prima o poi era destinata a terminare, non avrei potuto sostenere<br />

per sempre la commedia, un giorno o l’altro avrebbe avuto fine e Hiem, ormai<br />

abituata a spendere e spandere, si sarebbe trovata molto male.<br />

Cominciai con sottili allusioni alla necessitá di un maggior controllo delle spese<br />

domestiche e all’importanza dell’economie. Hiem fu molto ragionevole, o almeno<br />

cosí io credetti, le sue richieste diminuirono sempre piú, fino che riuscí a contenere le<br />

sue spese in limiti sorprendentemente minori di quello che le avevo spontaneamente<br />

assegnato.<br />

Ma nelle faccende di amore non cambió, né io volevo che cambiasse, i nostri amplessi<br />

non avevano perso nulla della magica atmosfera iniziale e dell’intensitá delle<br />

sensazioni che penetravano in me fino al piú profondo dell’anima.<br />

Anche la circostanza di passare insieme poche ore al giorno contribuiva a mantenere<br />

freschezza nel rapporto non deteriorandosi nella desolazione dell’abitudine. Almeno<br />

cosí pensavo.<br />

Ma venne il giorno che tutto mutó nella mia vita e in maniera sorprendente e<br />

drastica.<br />

Quella sera Betty era stata piú scorbutica del solito, i suoi sarcasmi piú pungenti<br />

che mai, misteriose allusioni che non riuscivo a comprendere. Giunsi persino a<br />

sospettare che avesse scoperto qualcosa sulla mia doppia, o meglio, tripla vita ma<br />

nulla di quello che diceva mi portó a confermarlo.<br />

Conclusi che aveva soltanto una voglia matta di litigare, per il bisogno forse di dare<br />

uno sfogo a qualche amarezza che la tormentava, e volli accontentarla.<br />

Litigammo all’ultimo sangue, il risultato fu che poco prima della mezzanotte uscivo di<br />

casa sbattendo la porta e imprecando, anche il mio sistema nervoso aveva alla fine<br />

ceduto. Montai in macchina e uscendo dal cancello feci urlare gli pneumatici.<br />

Me ne andai per un poco a zonzo mentre tentavo di decidermi, Melanie o Hiem? Alla<br />

fine prevalse il desiderio di un rapporto poco impegnativo, trovare la tranquillitá in


una donna placida come Melanie, tra le pieghe morbide della sua carne avrei scaricato<br />

l’ardore dei nervi tesi.<br />

Feci tutto in gran silenzio, entrai col motore al minimo, chiusi cautamente lo<br />

sportello, non volevo correre il rischio di svegliare il piccolo Franz, avrebbe<br />

cominciato a piangere e a frignare come aveva fatto l’ultima notte che avevo trascorso<br />

lí, riuscendo a non farmi chiudere occhio. Forse avrei fatto meglio a rifugiarmi da<br />

Hiem, almeno lá non vi erano bebé piagnucolosi, pensai, ma ormai era tardi.<br />

Girata dolcemente la chiave nella toppa, varcai cautamente la soglia. Per non far<br />

rumore decisi di spogliarmi prima di infilarmi nella stanza da letto dove entrai giá<br />

nudo come un verme.<br />

Senza nemmeno accendere la luce mi diressi a tentoni verso il letto dal mio lato<br />

abituale, ma mi accorsi che giá vi si trovava Melanie. Girando attorno al letto mi<br />

apprestai a coricarmi dall’altro lato dove Melanie, forse accorgendosi della mia<br />

presenza, giá si era spostata. Tornai dal lato opposto e di nuovo avvertii il corpo di<br />

Melanie. C’é qualcosa di sbagliato, pensai e, Franz o non Franz, accesi la luce.<br />

Immediatamente un tizio con un pelosissimo torso nudo si rizzó a sedere nel mezzo<br />

del letto guardandomi con gli occhi ammiccanti, accecati dalla luce improvvisa. Aveva<br />

una espressione di sbalordita meraviglia che si rifletteva comicamente su di un<br />

faccione rotondo sul quale spiccavano due fierissimi baffoni alla Hindenburg, tanto<br />

che mi venne quasi da ridere malgrado proprio non ne avessi nenche un briciolo di<br />

voglia.<br />

Nello stesso tempo la voce lamentosa di Melanie si faceva udire<br />

-Spegni, Helmut, spegni, altrimenti il piccolo Franz si sveglia e comincia a piangere, e<br />

poi sai bene che la luce mi da fastidio!-<br />

Helmut, morto di paura, non riusciva a parlare limitandosi a scuotere Melanie girata<br />

dall’altra parte e ancora mezzo addormentata, finché sbucó dalle lenzuola mettendosi<br />

a sedere, anche lei a torso nudo, con i grossi seni che le ballonzolavano in petto.<br />

Quando i suoi occhi si abituarono alla luce e riuscí a vedermi rimase a bocca aperta<br />

con una smorfia ridicola, incapace di articolare una parola, quando alla fine vi riuscí,<br />

balbettó a malapena<br />

-Per favore, Silvestro, ascoltami prima di arrivare a conclusioni precipitate ... -<br />

Per incoerente che possa sembrare, la strana situazione stava finendo col divertirmi,<br />

replicai quindi calmissimo<br />

-Non giungeró a nessuna conclusione precipitata, aspetto solo che mi spieghi cosa sta<br />

facendo questo signore qui, tra le lenzuola del nostro letto.-<br />

Evidentemente non era una spiegazione facile, Melanie rimase a lungo in silenzio<br />

arzigogolando qualche storiella da ammannirmi come se io fossi un imbecille, alla fine<br />

con un filo di voce<br />

-Sai, ho paura a dormir sola e ho chiesto ad Helmut di tenermi compagnia, non c’é<br />

nulla di male, e cosí protegge anche il piccolo Franz.-<br />

Le scoppiai a ridere in faccia, voltai le spalle e me ne andai. Non mi avrebbe visto mai<br />

piú.<br />

Per scaricare la tensione nervosa accumulata pericolosamente, lanciai la<br />

macchina a tutta velocitá facendo cantare di nuovo i copertoni nelle curve. Mi calmai<br />

di botto solo quando in una curva la vettura sbandó e me la cavai a stento non senza


aver lasciato una striscia di vernice su di un muro. Di colpo raffreddai i miei calori e<br />

decisi di passare il resto di quella disgraziata notte nella casa di Hiem.<br />

Almeno lá non vi sarebbero stati bebé piagnucolosi e avrei potuto fare tutto il chiasso<br />

che volevo. Entrai senza preoccuparmi di fare o non far rumore. Da sotto la porta<br />

della saletta trapelava una luce fioca, Hiem si sará dimenticata di spegnerla, pensai<br />

entrando.<br />

Vidi subito un signore elegantemente vestito seduto sulla poltrona accanto<br />

all’abatjour con in mano una rivista. Mi preoccupai, sospettai che fosse un medico<br />

mandato a chiamare con urgenza da Hiem, forse stava male.<br />

-Buona notte - disse quel tizio, non appena mi vide, guardandomi con curiositá - Lo<br />

ha mandato il giapponese?- Esitai per un istante, perplesso, chi sará questo<br />

giapponese, volli scoprirlo e confermai<br />

-Sí. E lei? Anche lei é stato mandato dal giapponese?-<br />

-Certo. Ma il giovedí é sempre riservato a me, il giapponese se ne deve essere<br />

dimenticato. Hiem non riceve piú di un cliente per notte! Fa una eccezione solo per<br />

me e il mio socio, paghiamo qualcosa di piú e ci riceve tutti e due.-<br />

-Ma non vedo il suo socio, dov’é?- domandai mentre un dubbio atroce si faceva<br />

strada, un nodo alla gola che non voleva andare né su ne giú.<br />

-Dov’é? E dove vuole che sia, é in camera, nel letto insieme a Hiem. Sa, facciamo una<br />

settimana per uno, questa volta il primo é stato Maurizio, la prossima saró io. Mi<br />

chiamo Renato.- aggiunse a mó di presentazione.<br />

Rimasi per un bel pó in silenzio, le idee mi turbinavano in testa, Renato riprese<br />

-Faccia cosí, domani mattina torni dal giapponese e si faccia riservare una notte, non<br />

sará facile, l’avverto, perché di solito Hiem é sempre impegnata per una diecina di<br />

giorni almeno, ma il giapponese si riserva uno o due nottate libere e le cede a chi gli<br />

passa qualcosa sottomano.-<br />

La situazione era piú che chiara, eppure non volevo ancora crederci, mi sostenevo un<br />

filo di speranza, pur sapendo che era assurda. Per spazzare l’ultimo dubbio chiesi<br />

timidamente<br />

-Non che questo possa spaventarmi, ma é molto caro?-<br />

-Come?...Il giapponese non glielo ha detto? Sono cinquecento dollari a notte, ma ne<br />

vale la pena, le assicuro. É fantastica, incredibile, un vero e proprio Khama-Sutra<br />

vivente, non avevo mai provato una cosa eguale in tutta la mia vita.-<br />

Tacque perché si udirono dei passi nel corridoio, dopo qualche secondo apparve nella<br />

saletta un tizio con una faccia sorridente e soddisfatta, stava per cominciare a dir<br />

qualcosa, mi vide e tacque, dietro di lui sbucó Hiem. Rimase a guardarmi con la bocca<br />

spalancata, Renato stava per spiegare<br />

-Hiem, questo signore....<br />

-Giá lo conosco. Se permetti dovrei parlargli un minuto. -Si era giá ripresa e parló<br />

disinvolta, poi mi fece cenno di seguirla e si avvió verso la stanza da letto, entrata si<br />

voltó verso di me che ero rimasto fermo sulla soglia, rassegnato, quasi indifferente.<br />

Nulla piú ormai avrebbe potuto sorprendermi quella notte.<br />

Non potremo mai capire a fondo il pensiero degli orientali e ancor meno<br />

quello di una giovane discendente da una popolazione montanara di guerrieri che un<br />

tempo vivevano nelle foreste del Vietnam. Prese l’iniziativa


-Che te ne pare, non ti sembra una buona idea? Ti lamentavi tanto perché spendevo<br />

troppo e cosí ho pensato di guadagnare un pó di soldi in questa maniera. Ti sei<br />

accorto che da molto tempo non ti sto chiedendo quasi niente piú? Ho giá<br />

accumulato abbastanza, sempre con l’intenzione di dartene almeno la metá, od anche<br />

tutto, se cosí vuoi.-<br />

Ripeto, non riusciremo mai a comprendere a fondo quello che frulla nella testa degli<br />

orientali, come potevo sapere se parlava in buona fede o no? In ogni caso era<br />

qualcosa che andava infinitamente al di lá di ogni mia capacitá di comprensione e di<br />

sopportazione.<br />

Ero avvilito, affranto, il pensiero di Hiem tra le braccia di un altro mi riusciva<br />

assolutamente insopportabile. Nel caso di Melanie ero riuscito a mantenermi nella<br />

posizione neutra dell’osservatore, anche perché di Melanie ormai non me ne fregava<br />

piú niente, con Hiem era completamente diverso, l’amavo, sempre avevo saputo di<br />

amarla in un modo speciale, sebbene solo in quel momento avevo potuto<br />

comprendere quanto.<br />

Nello stesso tempo capii anche che l’avevo persa per sempre, irrimediabilmente, che<br />

mai piú avrei potuto sentire tra le mie braccia quel corpo tenero e cedevole che<br />

aderiva al mio come se fosse incollato.<br />

Avevo provato con Hiem una forma di amore di un livello mai conosciuto prima e<br />

che mai piú avrei conosciuto.<br />

La sensazione di perdita mi faceva male, molto male, soprattutto perché distruggeva<br />

tutte le mie illusioni, provavo la stessa sensazione di dolore che avrei provato se Hiem<br />

fosse morta, anche piú forse.<br />

Continuavo ad amarla e l’avrei amata per sempre, ma non quella che era lí in quel<br />

momento davanti a me. Amavo un’altra Hiem, una Hiem che non esisteva piú, che<br />

forse non era mai esistita, a non essere che per pochi mesi nella mia illusione.<br />

Non riuscivo a provar rancore, solo disperazione rassegnata, e pena, una pena infinita<br />

per la creatura che mi stava davanti.<br />

Ma la mia era forse una pena inutile, su di lei tutto quello che era accaduto sarebbe<br />

scivolato impunemente come acqua sulla pietra liscia. O forse no? Avrebbe compreso<br />

il mio dolore e la disperazione che si era impadronita del mio animo?<br />

Non avevo di fronte a me la mia Hiem, ma una sconosciuta. Non sapevo chi fosse né<br />

da dove fosse venuta, perció la domanda che le rivolsi era rivolta ad un’altra Hiem,<br />

quella magica Hiem che mi aveva incantato<br />

-Perché mi tradito, mia piccola koawis?- le chiesi alla fine<br />

-Non ti ho tradito. Come avrei potuto tradirti con tutto l’amore che provo per te? Chi<br />

stava nel letto con quegli uomini non era la tua Hiem, ma solo un corpo, un guscio<br />

vuoto, senza anima, l’anima rimaneva fuori della porta.-<br />

Potremo mai comprendere a fondo l’anima degli orientali?<br />

Chissá, forse nella sua ingenuitá era sincera, ma piú probabilmente mentiva<br />

spudoratamente, la sua aviditá di danaro era stata piú forte dell’amore.<br />

Me ne andai, non l’avrei vista mai piú, il solo pensiero mi faceva male, non mi<br />

sentivo liberato come era accaduto poco prima con Melanie.<br />

La dolcezza della Hiem creata dalla mia fantasia ormai circolava nel mio sangue e ne<br />

avrebbe fatto parte per sempre.


Non mi restava alternativa se non quella di tornarmene alle origini, a Betty, al<br />

focolare primitivo.<br />

Gli avvenimenti della notte mi avevano condizionato a tal punto che vi giunsi in<br />

preda all’ansia del dubbio. Avrei trovato un’altra sorpresa ad aspettarmi?<br />

Ma la sorpresa non ci fu. Mi infilai nel letto in silenzio, Betty svegliandosi mi accolse<br />

con due parole appena -Sei tornato?- e ricadde tranquilla nel sonno.<br />

Non dormii molto, quando mi svegliai era ancora addormentata. I miei nervi ancora<br />

eccitati dagli avvenimenti della notte reagirono prontamente quando percorsi con lo<br />

sguardo la curva morbida del suo fianco provocando una splendida erezione. Mi<br />

accostai baciandola sulla nuca, si giró verso di me accogliendomi con tranquillitá nel<br />

suo corpo, senza il vibrante entusiasmo dei bei tempi ma anche senza la passivitá<br />

delle ultime volte. L’amai gagliardamente, senza fronzoli ma con un vigore insolito,<br />

fatto di stoccate profonde e decise, finché la sentii reagire, aggrapparsi al mio collo e<br />

rispondere ai miei attacchi.<br />

Forse si pentí di aver ceduto senza combattere, alla fin dei conti la sera prima ci<br />

eravamo lasciati tra gli insulti piú atroci, ed era stata la prima volta. Avrebbe forse<br />

voluto che mi umiliassi chiedendole scusa e concedendomi magnanimamente il suo<br />

perdono e il suo amore.<br />

Fatto sta che nell’istante stesso che i suoi spasimi erano terminati, staccó<br />

immediatamente la sua bocca dalla mia mentre le altre volte in quel momento le era<br />

sempre piaciuto rimanere a succhiarmi le labbra fino al completo rilassamento.<br />

Guardó l’ora e si precipitó giú dal letto<br />

-É tardi, se non mi sbrigo non riusciró a portare i ragazzi a scuola in tempo per la<br />

prima ora di lezione.-<br />

Si vestí rapidamente, prima di uscire mi avvisó<br />

-Torneró verso le nove e mezzo, cerca di aspettarmi perché devo parlarti. É<br />

importante.-<br />

Rimasi nel letto, schiacciai un breve delizioso pisolino, risvegliandomi indugiai a<br />

scalpitare tra le lenzuola, mi sentivo nuovamente libero, non avrei dovuto piú star a<br />

guardare orologi ad ogni momento, non avrei dovuto attraversare la cittá tre o quattro<br />

volte al giorno, non avrei dovuto continuamente controllare le mie parole perché non<br />

mi scappasse qualche frase rivelatrice.<br />

Ne era valsa la pena, lo ammettevo, ma era ormai giunto il momento di fermarmi e<br />

trovare un altro modo di godermi la vita, anche se avessi dovuto ricadere nuovamente<br />

sotto il giogo di una moglie gelosa come Betty.<br />

Mi alzai, feci colazione e aspettai, sbarbato, profumato e finalmente vestito con<br />

un paio di jeans ed una camicia vistosamente colorata.<br />

Betty tardava, si presentó solo verso le dieci. Con lei era un uomo, alto piú di<br />

me, piú giovane di me, ben vestito e di bell’aspetto.<br />

Me lo presentó senza indugi con una brevissima frase che avrebbe scombussolato<br />

completamente la mia vita<br />

-Questo signore é Alfredo, il mio amante.-cosí, senza preamboli.<br />

-Smettila di scherzare e spiegami meglio.- replicai


-Come potrei essere piú chiara di cosí? Non sto scherzando affatto. Alfredo, il mio<br />

amante, non sai cosa significa? O non te lo aspettavi e pensavi che mi sarei<br />

accontentata per sempre di un limone spremuto come te?-<br />

Io, un limone spremuto? non feci in tempo a rifletterci sopra perché Betty continuava<br />

inesorabile<br />

-O pensi che solo tu avresti il diritto di tenerti due amanti? Io almeno mi contento di<br />

uno solo!- Dopo una risatina soggiunse<br />

-Va bene che Alfredo vale per due.-<br />

Non feci in tempo ad apprezzare lo spirito della battuta perché continuó imperterrita<br />

-O forse pensi che non sapevo? E allora sappi che un paio di mesi fa la mia amica<br />

Ernestina, sí, proprio lei, quella giapponesina piena di pepe che tu hai incontrato<br />

qualche volta qui, mi disse di averti visto due volte nella Liberdade in un’ora nella<br />

quale presumibilmente avresti dovuto trovarti in ufficio. E una volta in compagnia di<br />

una giovanissima bellezza indocinese. Siccome ti conosco molto bene, non volli<br />

perder tempo e in quello stesso giorno entrai in contatto con una agenzia di<br />

investigazioni.<br />

Il giorno dopo, mentre uscivi da qui, si misero alle tue calcagna. Scoprirono tutto,<br />

quasi immediatamente.<br />

Lá, in Villa Romana, ti fai passare per tuo fratello Silvestro e vivi con una certa<br />

Melanie Muller, che hai addirittura sposato, sempre nella veste di Silvestro e dalla<br />

quale hai anche avuto un figlio. Quella era la tua donna della mattina, poi c’era quella<br />

del pomeriggio, la bellezza indocinese, nella Liberdade, e alla fine della giornata ti<br />

presentavi da me, asciutto come un limone spremuto. Non ho perso tempo, occhio<br />

per occhio, dente per dente, uno dei detective era il signore qui presente, Alfredo, mi<br />

é piaciuto, gli sono piaciuta e siamo andati a letto quello stesso giorno, qui, proprio<br />

qui.<br />

Ti confesso che la novitá mi ha entusiasmato ed ho rimpianto tutto il tempo che<br />

avevo perso con te fino a quel momento.-<br />

Ebbi l’improntitudine di protestare<br />

-Il signor Alfredo non ha rispettato i principi dell’etica professionale, non é lecito<br />

coinvolgersi con una cliente.-<br />

Betty a questo punto pensó bene di avvertirmi<br />

-Sta attento a quel che dici perché Alfredo é cintura nera di judó ed é anche armato!-<br />

Non avevo l’impressione che Alfredo fosse un tipo irascibile, ma volli mettere le mani<br />

avanti<br />

-Non ho nessuna volontá né di litigare né di offendere, ho solo fatto un commento.<br />

Comunque, al punto al quale siamo, non mi rimane che chiederti quali sarebbero le<br />

tue intenzioni.-<br />

Sembrava che Betty fosse divenuta comprensiva da un momento all’altro, propose<br />

con grande liberalitá<br />

-Potremo separarci, divorziare o continuare cosí, tu con le tue amanti e io con un<br />

unico. Continueresti ad abitare qui, non avrei nulla in contrario, puoi scegliere quello<br />

che preferisci.-<br />

Volli punzecchiarla<br />

-Non hai paura che possa accadere di nuovo quel che é successo stamattina?-


-Non mi spaventa, variare ogni tanto fa bene ed evita la noia.-<br />

-E il signor Alfredo, che ne dice, dividerebbe la sua amata con un altro?-<br />

-Ma tu sei mio marito, Alfredo non avrebbe nulla in contrario. Il marito é come se<br />

non fosse un uomo, é semplicemente un marito.-<br />

-Io invece non sarei d’accordo, non divideró mai la mia donna con un altro, e d’altro<br />

lato, se lo vuoi sapere, ormai ho completamente rotto i rapporti con le mie amanti,<br />

come le chiami tu. Mi meraviglio che i tuoi segugi non te ne abbiano ancora<br />

informata.-<br />

-Ah, sí? E da quando?-<br />

Naturalmente non volli rivelarle che era appena da qualche ora, avrebbe perso<br />

completamente ogni effetto, e mi limitai a rispondere<br />

-Se i tuoi segugi sono tanto abili come dici, potranno scoprirlo da loro stessi.<br />

Comunque poiché mi hai concesso la facoltá di scegliere la soluzione, ti diró che<br />

preferisco divorziare, e non per sposarmi di nuovo. Questo mai piú.-<br />

Betty di certo aveva giá previsto una situazione come quella, pertanto aveva la<br />

risposta sulla punta della lingua<br />

-D’accordo, possiamo divorziare, se tu cosí vuoi, ma bisognerebbe stipulare le<br />

condizioni. Prima di tutto mi dovresti lasciare la casa, e poi le quote della Compagnia,<br />

devono renderti abbastanza da permetterti di mantenere tre donne, e anche bene,<br />

devo riconoscerlo.- Non immaginava che la fonte del mio benessere fosse ben altra,<br />

ma se avessi ceduto troppo facilmente, avrebbe potuto insospettirsi e pretendere<br />

chissá quanto, pensai, e risposi<br />

-Giá, e io poi come vivrei? Al massimo la metá...-battagliammo ancora su questo<br />

punto ma alla fine arrivammo ad un accordo che gli avvocati avrebbero provveduto<br />

in seguito a mettere in nero su bianco.<br />

In realtá stavo solo cercando di guadagnar tempo. Ultimamente mi ero dovuto<br />

abituare al ragionamento rapido, essere sempre pronto ad affrontare qualsiasi<br />

situazione e prendere decisioni fulminee.<br />

Mentre parlavo e ascoltavo, stavo giá pensando al futuro, ero ormai libero come un<br />

uccellino, o meglio come un grosso uccello migratore che, quando le condizioni<br />

ambientali in una data localitá diventano troppo difficili, prende il volo e se ne va a<br />

cercare un habitat favorevole. Quindi salendo sull’auto per andarmene giá sapevo<br />

quel che avrei fatto.<br />

Era giunta l’ora di Alvina.<br />

Alvina aveva appena sedici anni quando era entrata a far parte del personale della<br />

Compagnia, inizialmente con le funzioni di telefonista. Svelta e intelligente, in poco<br />

tempo aveva fatto carriera, era divenuta una funzionaria indispensabile, faceva un pó<br />

di tutto, dalla segretaria alla incaricata di intrattenere i clienti piú importanti nella sala<br />

di attesa mentre aspettavano di essere ricevuti, sceglieva i regali da far loro in<br />

occasione delle feste di fine anno e cosí via.<br />

Quando la conobbi ero ancora un semplice venditore. Non so cosa abbia visto<br />

in me, fatto si é che si prese immediatamente una cotta di quelle. Me lo faceva capire<br />

in tutti i modi, paroline, sorrisetti, sguardi assassini. E questo solo con me, perché con<br />

tutti gli altri era un modello di serietá.


Era molto graziosa e del resto lo era rimasta fino a quel momento. Piccola ma ben<br />

fatta, molto ben fatta, una miniatura di donna, una vera e propria Venere tascabile,<br />

come veniva chiamata tempo addietro un’attrice francese della quale non ricordo il<br />

nome.<br />

Era desiderabile, senza dubbio, ma non avevo mai potuto permettermi nemmeno di<br />

pensare ad un’avventura con lei, avrei messo in pericolo il mio impiego, in quel<br />

tempo indispensabile, e poi, minorenne com’era, avrei potuto avere noie di altro<br />

genere.<br />

D’altro lato non potevo lasciar che pensasse che fossi un misogino, o avessi paure<br />

delle donne, o peggio ancora, che fossi un invertito. Un giorno, approfittando di un<br />

momento nel quale eravamo soli, assunsi l’aria di uomo fatale e le dissi con voce roca<br />

-Mi piaci, piccola, ma non hai l’etá, come dice Gigliola Cinquetti, non hai l’etá per<br />

uscire sola con me. Quando l’avrai, chissá, forse potremo vivere una grande<br />

passione.-<br />

Rimase delusa, ma la mia messinscena le aveva resa meno amara la pillola, ridacchió e<br />

mi disse<br />

-Splendida la tua imitazione di Humphrey Bogart. Ma se é solo il problema dell’etá a<br />

proibirti questa grande passione, tutto bene, aspetteró. Ricordati sempre che ti basterá<br />

solo farmi un cenno e ti seguiró dovunque vorrai.-<br />

Durante quel tempo mi faceva sapere di tutto quel che accadeva nella<br />

compagnia, sapeva tutto di tutti, forse era la persona piú informata della ditta.<br />

Pur non lavorandovi piú, avevo continuato a farmi vedere quasi ogni giorno, ero<br />

amico personale dei soci, mi piaceva scambiare ogni tanto quattro chiacchiere e poi<br />

era bene sempre avere un alibi pronto. Se Betty avesse telefonato chiedendo di me, la<br />

centralinista non le avrebbe detto Guardi che il signor Canovi non lavora piú, qui ma<br />

le avrebbe comunicato -É stato qui fino a poco fa o Puó giungere da un momento<br />

all’altro.-<br />

Era anche stata Alvina ad avvertirmi di aver l’impressione che Antonio Bevilacqua, uno<br />

dei tre soci, volesse disfarsi delle sue quote, dandomi cosí la possibilitá di comprarle.<br />

Questo mi aveva dato modo di disporre di una sala dove rifugiarmi di quando in<br />

quando, il che rappresentava per me la cosa piú interessante.<br />

Alvina lo consideró un grande successo personale perché cosí aveva il modo di<br />

intrattenersi ogni tanto con me con una scusa o l’altra.<br />

In reltá la ragazza mi piaceva e molto, ma non vi sarebbe stato né posto né<br />

tempo per lei nella mia complicatissima vita di quel periodo.<br />

Mi piaceva in tutti i sensi, per il suo spirito, per il suo adorabile corpicino ma forse<br />

soprattutto perché la sua silenziosa adorazione stuzzicava la mia vanitá maschile.<br />

Uscendo dalla casa di Betty, da quel momento in avanti infatti sarebbe stata<br />

definitivamente solo la casa di Betty, decisi che era finalmente giunto il momento di<br />

fare quel cenno che Alvina aspettava da quasi sei anni. In fondo in fondo avevamo<br />

sempre saputo che quel giorno sarebbe fatalmente giunto.<br />

Sembrava che l’avesse previsto, la prima persona che vidi all’ingresso fu lei,<br />

come se mi stesse aspettando.<br />

Non ci fu bisogno di parole, mi diressi verso la mia sala e aspettai seduto nella


poltroncina di cuoio verde, dopo poco piú di un minuto faceva capolino<br />

-Posso entrare? Cosa ti é successo, hai qualcosa di completamente differente dal<br />

solito.- Sembrava quasi che avesse un presentimento. -Sará che finalmente la mia ora<br />

é arrivata?-<br />

-Dipende da te. - risposi - Che ne diresti di andarcene a fare la bvella vita in giro per il<br />

mondo, a zonzo, qua e lá, senza meta e senza programma?-


CAROLINA<br />

Avevo appena appena diciassette anni quando conobbi Carolina, che ne aveva<br />

diciotto.<br />

Carolina era una gran bella ragazza, sottile, alta, occhi e capelli nerissimi,<br />

lunghi, lisci, che insieme agli zigomi salienti le davano un non so che di orientale,<br />

misterioso.<br />

Mi innamorai... e come mi innamorai..!<br />

Esistevano peró due problemi, il primo era Olivio, il fidanzato, un giovane di<br />

ventidue anni con il quale stava per sposarsi; l'altro problema, una ragazza a diciotto<br />

anni é giá una donna mentre io, con i miei diciassette, ero ancora un adolescente.<br />

Potevo solamente sognare, immaginare, fantasticare... quante fantasie, solo, nella mia<br />

camera! Era l'unica maniera e mi consolavo cosí, con frequentissimi struggenti<br />

omaggi solitari alla mia fata.<br />

Eppure c'era qualcosa a darmi microscopiche briciole di speranza, piccole<br />

brecce ad alimentare i miei sogni.<br />

A volte la sorprendevo a guardarmi con intensitá; e vi era in questo qualcosa di strano<br />

perché, al rendersi conto che me ne accorgevo, distoglieva lo sguardo rimanendo<br />

confusa e interdetta.<br />

Solamente molti anni dopo riuscii a scoprire perché mi guardava.<br />

Si sposó, si trasferí in un'altra cittá, ma non la dimenticai, non smisi mai di<br />

pensare a lei, era come una idea fissa e mentre stavo con qualsiasi altra donna, sempre<br />

immaginavo di avere Carolina accanto a me.<br />

Anche io mi sposai, ma sempre, quando baciavo o amavo Silvia, mia moglie, stavo<br />

baciando o amando Carolina.<br />

Olivio e Carolina infine tornarono, ormai ero giá un uomo fatto, l'etá non<br />

sarebbe piú stato un problema, fu la prima cosa alla quale pensai.<br />

Olivio e io lavoravamo nella stessa impresa, divenne il mio capo.<br />

L´ossessionante obbiettivo divenne quello di conquistare Carolina, a qualsiasi costo.<br />

Per poter avere contatti frequenti con lei l'unica maniera sarebbe stato divenire amico<br />

intimo di Olivio.<br />

Ci volle piú di un anno, ma alla fine vi riuscii, con dedicazione totale al lavoro, senza<br />

risparmiarmi, riuscii a essere considerato da lui un collaboratore insostituibile, un vero<br />

alter ego.<br />

Cominciai a frequentare la loro casa insieme a mia moglie, divenimmo intimi e nella


stessa cerchia di amici; passavamo fin di settimana insieme, frequentavamo feste e<br />

riunioni di societá insieme, divenimmo praticamente indivisibili.<br />

Fui promosso ed ebbi una sala solo per me.<br />

Passó un altro anno e poco piú, il mio comportamento verso Carolina<br />

rimaneva assolutamente neutro; aspettavo pazientemente l'occasione propizia per<br />

attaccare, la mia passione non era diminuita, era anzi divenuta ossessione.<br />

Avevo in cuore la certezza che alla fine sarei riuscito e il fatto che avevo sorpreso a<br />

volte Carolina a guardarmi nello stesso modo di tanti anni prima, mi lasciava ancor<br />

piú fiducioso, anche perché lei, quando si accorgeva che me ne ero accorto, non<br />

distoglieva lo sguardo come allora, anzi continuava a fissarmi senza inibizioni, quasi<br />

come una sfida.<br />

Successe all'improvviso, una domenica, durante una festa in casa di amici.<br />

Si ballava, Olivio invitó mia moglie, rimanemmo soli, io e Carolina, guardandoci<br />

intensamente; ritenni che l'ora era quella, la invitai<br />

-Balliamo anche noi?-<br />

Era la prima volta che danzavo con Carolina, anzi era addirittura la prima volta che<br />

avevo un contatto fisico con lei, all'infuori delle strette di mano o di quegli sciocchi<br />

bacetti dei convenevoli d'uso.<br />

Il primo vero contatto con l'incarnazione dei miei sogni liberó in una volta sola<br />

tutti gli impulsi repressi in me durante anni e anni e ed ebbi quasi immediatamente la<br />

piú ovvia delle reazioni fisiche, Carolina se ne accorse e si strinse a me ancora di piú.<br />

L'emozione fu devastatrice, mi confusi e le pestai un piede, le chiesi scusa. Carolina,<br />

con un sorriso<br />

-Non importa, puoi farmi tutto quel che vuoi..<br />

-Che intendi dire?-<br />

-Esattamente quello che hai finito di ascoltare.-<br />

Non avrebbe potuto essere piú esplicita. Rimasi senza parole, il cuore mi batteva a<br />

mille, i pensieri in tumulto; in pochi secondi il mio mondo aveva dato la svolta che<br />

avevo tanto sognato.<br />

Rimasi in silenzio per il resto del pomeriggio, la notte quasi non riuscii a dormire.<br />

Il giorno dopo presi il coraggio a quattro mani e le telefonai; rispose<br />

immediatamente, le dissi senza indugio<br />

-La nostra conversazione di ieri...- non mi lasció finire<br />

-Vieni qui, ti spiegheró meglio.-<br />

-Quando?-<br />

-Alle due, saró sola.-<br />

Cinque minuti prima delle due battevo alla sua porta, aprí, un istante dopo<br />

eravamo afferrati l'uno all'altra, bocca a bocca...ero come un vulcano sul punto di<br />

esplodere.<br />

Rimasi fino alle cinque e andai via solo perché sapevo che era l’ora nella quale<br />

Olivio doveva star uscendo dall'ufficio; ero completamente esausto, naturalmente, ma<br />

nello stesso tempo l'uomo piú felice del mondo.


Continuammo ad incontrarci, mai piú nel suo appartamento, la passione fra<br />

noi era esplosa in tutta la sua violenza, mi amava come io l'amavo.<br />

Una volta mi confessó<br />

-Sai perché ti guardavo, allora, prima di sposarmi? Perché mi piaceva guardarti, non<br />

resistevo, eri tanto bello, troppo bello, appena un poco piú che un ragazzino, mi<br />

veniva voglia di tenerti in braccio, di farti mille moine, di baciarti per tutto il corpo,<br />

come se fossi il mio bambino, fino a lasciarti anche poppare, come ti piace fare<br />

adesso. Guarda, se tu fossi stato un poco audace...! Quando tornai e ti rividi,<br />

ricordandomi di quei giorni e di quei pensieri, ebbi come una premonizione, sapevo<br />

che un giorno o l'altro sarebbe fatalmente accaduto.-<br />

Dopo di un anno mi accorsi che Silvia sospettava, in realtá il mio<br />

comportamento verso di lei era cambiato, ero diventato freddo e distante, non<br />

riuscivo a fingere un ardore che non esisteva piú, inoltre aveva scoperto le mie<br />

inspiegabili assenze dall'ufficio.<br />

Attacchi di gelosia che anche Olivio stava avendo, come mi aveva detto<br />

Carolina.<br />

I nostri incontri si diradarono, mia moglie aveva cominciato a controllarmi in<br />

maniera da lasciarmi senza spazio di manovra.<br />

Tre mesi senza Carolina. Ci incontravamo, é vero, in societá, mai un istante da soli,<br />

non riuscivo a resistere.<br />

Studiai un piano, mi feci coraggio e le telefonai, anche lei moriva dalla voglia di<br />

incontrarmi e accettó di correre il rischio senza pensarci due volte.<br />

Il nostro gruppo di amici si riuniva due volte alla settimana, un giorno in casa<br />

dell'uno, un giorno in casa dell'altro, per un gioco di poker o di canasta; quando fu il<br />

nostro turno di ricevere, Olivio si presentó da solo.<br />

-E Carolina?- mia moglie domandó<br />

-Ha un tremendo dolor di testa, ha preferito imbottirsi di analgesico e rimanersene a<br />

letto.-<br />

Il primo passo del mio stratagemma era andato felicemente in porto.<br />

Lasciai passare qualche minuto e le telefonai, riagganciai al terzo squillo, era il segnale.<br />

Si giocava su due tavoli, in rotazione. C'erano un paio di giocatori in piú e di<br />

conseguenza sempre qualcuno rimaneva fuori, chiacchierare, vedere la televisione,<br />

lavarsi le mani o semplicemente rilassare bevendo qualcosa.<br />

Durante una pausa discesi in giardino. La casa aveva un vasto giardino con un<br />

cancello grande di fronte e una porticina sul fondo, accanto alla porticina un piccolo<br />

deposito di utensili, sacchi di terra concimata, cianfrusaglie.<br />

Entrai, Carolina mi stava aspettando nell'oscuritá.<br />

Non appena il telefono aveva terminato di squillare per tre volte, era uscita di casa,<br />

aveva preso un taxi e ne era scesa all'angolo della strada, aveva spinto la piccola porta<br />

che avevo lasciata appena accostata, era entrata e mi stava aspettando.<br />

Non fu un incontro amoroso, fu uno scontro, rapido, intenso, violento, nel quale<br />

sfociarono tutti gli insopportabili tre mesi di desideri dolorosamente repressi.<br />

Tornai su, partecipai a tre o quattro giri di poker, poi scesi di nuovo. Stavolta


fu un amore piú calmo, cosciente, ma egualmente di una densitá quasi insopportabile.<br />

Carolina sgusció attraverso la porticina e se ne tornó a casa, io mi rifugiai nella<br />

stanza da bagno dove passai acqua fredda sul viso per calmare l’agitazione dell’ultima<br />

ora, tornando poi tra gli amici come se nulla fosse successo.<br />

Ripetemmo questo giochetto altre volte, con prudenza, a intervalli ragionevoli;<br />

la vita di Carolina si trasformó in una farsa, fingeva continue emicranie, consultó<br />

medici specialisti, fece vari encefalogrammi, ebbe sedute con psichiatri. Tentarono<br />

varie cure e ricettavano medicinali che Carolina naturalmente non prendeva e gettava<br />

nella spazzatura.<br />

Una sera Olivio si era presentato a una delle riunioni con un'aria molto<br />

preoccupata<br />

-Carolina ha dolori di testa piú forti che mai. disse a Silvia - ha preso un nuovo<br />

medicinale e se ne é andata a letto; ha voluto assolutamente che io venissi qui per<br />

distrarmi, ma sono molto preoccupato.-<br />

Dopo quasi un'ora, non riuscendo a resistere, le telefonó; Carolina non rispose,<br />

chiaro, stava lí abbasso ad aspettarmi nello sgabuzzino.<br />

-Vado a casa per vedere quel che sta succedendo.-<br />

Cominciai a sudar freddo, grazie a Dio Giampiero protestó<br />

-Nel modo come stai vincendo non sarebbe giusto lasciarci cosí, da un momento<br />

all'altro, calmati, probabilmente é solo andata in bagno, aspetta qualche minuto poi le<br />

telefonerai di nuovo.-<br />

La sorte mi aveva dato un'occasione che non potevo perdere; scesi e avvisai Carolina<br />

-Corri subito a casa, tra poco Olivio stará lá!-<br />

Si gettó tra le mie braccia<br />

-Ancora una volta, chissá, forse é l'ultima!-<br />

Ci amammo disperatamente e rapidamente. Tornai su e passando vicino all'auto di<br />

Olivio svitai un pochino l'asta della valvola di una camera d´aria, l'anteriore sinistra.<br />

Olivio stava di nuovo telefonando, invano naturalmente.<br />

-Non posso piú aspettare, torno a casa.-<br />

Volli assolutamente andare con lui, per dargli appoggio in caso di necessitá, dissi, in<br />

realtá per controllare meglio la situazione.<br />

Per strada naturalmente ci trovammo con la ruota anteriore sinistra a terra, lo aiutai a<br />

cambiarla, mi confusi con il cric e con i dadi troppo stretti che non volevano svitarsi e<br />

cosí riuscii a dare a Carolina un po' piú di tempo per arrivare in casa e infilarsi nel<br />

letto.<br />

Arrivammo, Olivio si precipitó su per le scale. Dopo qualche minuto ne<br />

discendeva tranquillo.<br />

-Dormendo profondamente, aveva staccato il telefono, per questo non rispondeva.-<br />

Avrei voluto prendere un taxi per tornarmene, ma Olivio volle assolutamente<br />

riportarmi lui. Guidava pensoso, in silenzio. A mezza strada commentó<br />

-Eppure in tutto questo c'é qualcosa che non quadra, non riesco a capire cosa possa<br />

essere, ma c’é, lo sento.-<br />

Il giorno dopo arrivó in ufficio piú tardi del solito; entró nella mia sala e<br />

sedette di frontre a me, era abbattuto, avvilito, l'espressione apatica.


-Avevo ragione- disse -Qualcosa stonava e ho capito cos'era stanotte stessa, tornando<br />

a casa, quando arrivai...il rossetto...Carolina, quando ero uscito per venire a casa tua,<br />

stava senza rossetto, spettinata...quando tornai la trovai completamente truccata e ben<br />

pettinata... preoccupato com'ero non ci avevo fatto caso lí per lí. Carolina ieri sera<br />

uscí di casa mentre io ero da te. Ne ho avuto la prova stamattina, con la scusa che mia<br />

moglie aveva dimenticato la borsa in un taxi e che volevo localizzare questo taxi, ho<br />

chiesto al portiere se per caso ricordava l'ora in cui mia moglie era rientrata. Non<br />

seppe dirmelo, peró ricordava benissimo che era rientrata appena qualche minuto<br />

prima di me.<br />

Carolina era uscita per incontrarsi con qualcuno, a dire la veritá giá lo sospettavo da<br />

qualche tempo, ora ne ho la certezza.-<br />

Finsi di rimanere stupito e scettico, aggiunsi che era molto poco per una accusa<br />

tanto grave, certamente doveva esserci una spiegazione ben piú semplice su quello<br />

che era accaduto in reltá.<br />

Olivio mi rispose che stavo tentando di consolarlo, ma purtroppo episodi come<br />

quello giá erano successi altre volte, e Carolina gli aveva dato spiegazioni sempre<br />

meno plausibili. I fatti della sera precedente rappresentavano l'ultima goccia. A questo<br />

punto dissi<br />

-Se proprio sei sicuro, apri il gioco e metti le carte in tavola.-<br />

-Non voglio mettere le carte in tavola, ho perfino ringraziato Iddio per quella gomma<br />

a terra, altrimenti sarei arrivato prima di lei e sarebbe stato estremamente<br />

imbarazzante... in questo caso mi sarei comportato come un vigliacco...avrei accettato<br />

qualsiasi scusa, semplicemente perché non potrei vivere senza Carolina, la amo<br />

troppo...non posso vivere senza Carolina...non posso. In realtá mi sto comportando<br />

come un vigliacco, ma per lo meno lei non lo sa.-<br />

Mi causava una pena profonda, era disperato, sconfitto; ipocritamente tentai di<br />

confortarlo ancora una volta, ma lui continuava<br />

-E oltre a questo mi sento colpevole, Carolina é una donna frustrata, il suo desiderio<br />

piú grande é quello di avere almeno un figlio, si dispera, si sente una donna non<br />

realizzata e purtroppo non sa che non potrá mai realizzarsi, mai sará madre e il<br />

peggio, e che piú mi pesa sulla coscienza, é che la causa sono io, sono sterile,<br />

completamente, irrimediabilmente sterile e mai ho avuto il coraggio di confessarlo.<br />

Non lo sa ed é convinta che la causa é una deficienza sua, invece lei é perfetta<br />

anatomicamente, ormoni e tutto il resto in perfetto ordine e non lo sa, non lo sa<br />

perché l'ho ingannata...per questo non posso condannarla, non ho questo diritto, l'ho<br />

perso quando le ho nascosto la veritá.-<br />

La rivelazione colpendomi di sorpresa mi lasció attonito, per una singolare<br />

coincidenza i due uomini di Carolina soffrivano della stessa deficienza; anche io sono<br />

sterile, irrimediabilmente sterile.<br />

Caddi in una risatina sarcastica<br />

-Olivio, non é poi cosí tremendo, tu non lo sai, ma anche io sono sterile, non é una<br />

colpa, é una fatalitá; e la moglie deve accettare il marito come é, qualitá e difetti.<br />

Malgrado la mia deficienza io vivo la mia vita serenamente e, pensandoci bene, in<br />

questi casi esistono anche lati positivi.-<br />

-E Silvia? Silvia lo sa?-


-Lo sa.-<br />

-Vedi, questa é la differenza ed é una differenza enorme, tu sei stato sincero e non<br />

l’hai ingannata, ma io...-<br />

Alla fine commentó<br />

-Malgrado tutto, in questo per lo meno esiste un lato positivo, non avertene a male<br />

ma ti confesso che ero arrivato persino a sospettare che l'altro uomo eri tu. Perdere<br />

nello stesso tempo la moglie e l'amico piú caro sarebbe stato troppo. Grazie a Dio,<br />

ieri sera invece ho avuto la prova irrefutabile che non eri tu.-<br />

Se avesse potuto sapere...<br />

Un mese dopo Carolina e Olivio invitarono gli amici a una festicciola nella loro<br />

casa, era una domenica di primavera.<br />

Quando arrivammo mi accorsi che i due erano raggianti, sorrisi a trentadue denti,<br />

l'uno allacciato alla vita dell'altro. Provai una insopportabile fitta di gelosia.<br />

Olivio mi strinse la mano con una energia che sembrava aver perduto, almeno fino<br />

aqualche giorno prima, Carolina approfittó del momento in cui ci scambiavamo i<br />

soliti insulsi bacetti di benvenuto per sussurrare al mio orecchio<br />

-Amor mio...-<br />

A mezza festa Olivio avvisó i presenti che sua moglie avrebbe rivelato qualcosa<br />

di sensazionale.<br />

I camerieri servirono coppe di spumante. Carolina proclamó<br />

-Amici, sono la donna piú felice del mondo, in questi giorni ho saputo di essere<br />

finalmente incinta!-<br />

Gli invitati applaudirono, ma io rimasi gelato.<br />

Il mio mondo era crollato, esisteva dunque un "terzo uomo"?<br />

La guardai, stava sollevando il bicchiere, con gli occhi brillanti, piena di eccitazione;<br />

improvvisamente la vidi sotto una luce diversa, falsa, ipocrita, bugiarda.<br />

La odiai, aveva ingannato due uomini con un terzo, o forse ne esisteva un quarto, un<br />

quinto, un sesto?<br />

A questo punto tutto sarebbe stato possibile.<br />

Piú tardi, tornando a casa, notai in Silvia, al mio lato, qualcosa di insolito. Lei<br />

che quando sale sull'automobile comincia automaticamente a ciarlare e finisce solo<br />

quando ne scende, stavolta rimaneva silenziosa, le domandai<br />

-Che sta succedendo? E i tuoi abituali pettegolezzi? Non ne hai? Forse la clamorosa<br />

notizia che ha dato la tua amica ti ha commossa tanto da paralizzare le tua lingua<br />

sacrilega?-<br />

-Ne ho, sí, ma é un segreto, non so se posso rivelarlo proprio a te. Comunque ci<br />

penseró sopra e se sará il caso, lo faró piú tardi.-<br />

Arrivammo, volle fare un caffé per aiutare la digestione. Improvvisamente,<br />

guardandola mentre si dava da fare, mi accorsi di quello che non stavo piú notando<br />

da anni, quanto Silvia é graziosa, mi prese una improvvisa ondata di tenerezza, la<br />

strinsi a me e la baciai.


Mi guardó sorpresa<br />

-Che ti prende?-<br />

-Niente di nuovo, o non posso piú baciare mia moglie? Ti amo.-<br />

-Davvero? Sai da quanto non me lo dicevi?-<br />

-É per farti rivelare quel segretino...-<br />

-E va bene, se peró mi prometti di non andare a dirlo in giro...-<br />

-Promesso!-<br />

-E allora, stammi a sentire...Olivio é sterile.-<br />

-Bella novitá! Giá lo sapevo, me lo ha detto lui stesso, ma tu come fai a saperlo?<br />

Solamente Olivio, il suo medico e io lo sappiamo! Neanche Carolina lo sa.-<br />

-Questo lo pensi tu. Carolina lo sa benissimo, é stato il medico a rivelarglielo, me lo<br />

ha confessato, ma io non le ho rivelato che anche tu lo sei, giuro. E questo ci porta a<br />

un mistero, se Carolina é incinta, chi é il padre? Che abbia un amante lo avevo sempre<br />

sospettato, pensavo addirittura che fossi tu, adesso sono tranquilla perché ho la prova<br />

che non puoi esserlo. Chi sará stato allora..., il medico forse?-


CACCIA GROSSA<br />

-Fortunatamente, almeno per ora, non hanno attaccato nell’area di Nyeri, si sono<br />

sempre mantenuti nella zona di Nakuru, Kisumu e Naivasha, ma fino a quando durerà?-<br />

-Non per molto ancora -risposi- a meno che non riusciremo a schiacciarli prima.-<br />

Jeff non esitò a rispondere -Troppo tardi, ormai, avremmo dovuto stroncarli sul<br />

nascere, quando ancora erano pochi. Non sarebbe stato difficile. Il governo ha esitato,<br />

invece di prendere immediatamente provvedimenti radicali, come era imperiosamente<br />

necessario. Ha voluto giocare pulito, un fair play inopportuno e stupido, pensando di<br />

riuscire ad aver la meglio con chiacchiere e promesse. Ormai è troppo tardi, alla fine<br />

ancora per questa volta riusciremo a fermarli, ma quanto ci sarà costato in vite umane,<br />

dolori e miseria, solo Dio lo sa.-<br />

-Sempre così, i governi tardano ad intervenire, più che altro per pigrizia mentale, si<br />

decidono quando il male è ormai cresciuto troppo ed allora quello che poteva venire<br />

risolto tagliando la puntina di un dito, è divenuto una piaga che costringerà<br />

all’amputazione del braccio. Questo almeno dal nostro punto di vista, perchè dal loro è<br />

completamente diverso, più la situazione peggiora, meglio sarà, più sangue scorre e più<br />

impressioneranno l’opinione pubblica mondiale.-<br />

Allison intervenne -Mi avete rotto le scatole con queste discussioni. Ieri sera, la<br />

sera prima e quella ancora prima....basta, basta, per carità...E poi, son già le quattro e se<br />

Sandro non si muove, finiremo col non fare nemmeno oggi quelle benedette fotografie<br />

dei leoni che devo mandare a Hunting Wordl.-<br />

-Hai ragione, scusaci...-replicò Jeff alle proteste della sorella- Il fatto è che sono<br />

preoccupatissimo per Pamela e i miei genitori nella fattoria. Non appena sarò di ritorno<br />

li manderò a vivere in Nairobi, Pamela andrà a stare con i suoi, tanto i nostri figli già<br />

vivono con i nonni a causa della scuola. Non voglio attendere che i Mau Mau comincino<br />

ad attaccare anche nella nostra zona. Ho già aspettato troppo, avrei dovuto averlo giá<br />

fatto da tempo.-<br />

La Rover era pronta, i fucili nella rastrelliera, le valigette delle macchine<br />

fotografiche, gli obbiettivi, i cavalletti e i cofanetti delle pellicole che Allison usava erano<br />

giá disposti sul sedile anteriore. Mutwa aveva ben compreso i misteri degli attrezzi di<br />

miss Als, come la chiamava, tanto bene come conosceva i trucchi e i segreti dei miei<br />

fucili e di quelli di Jeff.<br />

Era pronto a venire con noi, con un’occhiata gli feci rapidamente cambiare idea, ormai<br />

mi capisce al volo, si sará meravigliato che non avevo voluto portarlo. Ci era rimasto<br />

male, me ne accorsi dalla sua espressione di cane bastonato.<br />

Un’ora più tardi mi sarei pentito di non aver Mutwa pronto e vigilante sul cassone della<br />

Land Rover, ma in quel momento quel che mi interessava era trovarmi da solo con Allie<br />

per misurarle la temperatura e cercar di sapere come andavano le cose tra lei e il cowboy.<br />

Qualche anno prima avevamo vissuto un grande amore, eravamo felici ed


avremmo fatalmente finito con lo sposarci, la nostra intesa era perfetta, ci capivamo con<br />

un gesto o con uno sguardo. Ma Allie fece un grosso errore, aveva vissuto qualche mese<br />

negli Stati Uniti frequentando un corso di specializzazione professionale, era già una<br />

ottima fotografa, ma non le bastava voleva divenire addirittura una fotografa top.<br />

Ritornò in compagnia di Katie, una biondissima californiana che aveva<br />

conosciuto durante la sua permanenza in America.<br />

Katie non era quel che si direbbe una bellezza classica ma al di là di ogni dubbio,<br />

voluttuosamente bella, emanava sensualità da ogni cellula del suo corpo, da ogni<br />

millimetro quadrato della sua pelle e da ogni parola che pronunziava con quella sua voce<br />

profonda e roca. Devo esserle andato a genio al primo colpo, me ne accorsi da come mi<br />

strinse la mano quando Allie me la presentò, sembrava non volesse più restituirmela.<br />

Allison se ne accorse e mi guardò in tralice con gli occhi semichiusi, la conoscevo bene,<br />

una leonessa pericolosamente sul punto di irritarsi.<br />

Forse attratta dal fascino che inspiegabilmente emana da un cacciatore di belve,<br />

sono un white hunter, o cacciatore bianco, che dir si voglia, di professione, mi chiamava<br />

Tiger Hunter, probabilmente gli americani pensano che il Bengala sia una regione<br />

dell’Africa, o forse per sottile perfidia perchè ero l’innamorato di una sua amica, o per<br />

qualche altra sconosciuta ragione, Katie mi fece silenziosamente una corte sottile ma<br />

spietata. Con ogni suo sguardo, ogni sua mossa, ogni suo gesto mi diceva<br />

continuamente -Portami a letto...Portami a letto...- Fui costretto a portarcela, provai le<br />

più segrete delizie delle arti amorose californiane, ma finii col pagare un prezzo troppo<br />

alto.<br />

Allison non ci mise molto tempo ad accorgersene, furba e sagace come era, e<br />

anche perchè la sua ineffabile amica non faceva nulla per nasconderlo, tutt’altro.<br />

Quando ne ebbe la certezza, e questo fu quando Katie mi chiese di portarla a visitare il<br />

National Park di Nairobi, non perse tempo, telefonò allo Stanley riservando un<br />

appartamento in nome di Katherine Bullett, infilò tutto il bagaglio dell’amica nelle due<br />

valige, le mise nel portabagagli dell’Austin, e attese.<br />

Quando Katie, di ritorno dal National Park, la chiamò attraverso il citofono per farsi<br />

aprire la porta d’ingresso, invece di aprirla, discese senza perder tempo, invitò<br />

l’americana a salire sull’auto e alla reception dello Stanley, la presentó dicendo<br />

-Questa è la signora Bullett, il marito probabimente arriverà più tardi- le volse le spalle<br />

senza darle tempo di ribattere nè di far domande e se ne tornò a casa dove rimase ad<br />

aspettarmi.<br />

Quando giunsi e mi aprì la porta indossava il camiciotto grigio da lavoro, aveva le<br />

maniche rimboccate e sembrava molto indaffarata, mi disse senza perder tempo<br />

-Abbi un pó di pazienza, sto terminando di sviluppare alcune foto che ho fatto oggi,<br />

senza dubbio sono le più clamorose della mia carriera. Saranno pronte fra qualche<br />

minuto.- e andò nuovamente a rinchiudersi nella camera oscura.<br />

Poco dopo ricompariva reggendo tra le mani un enorme ingrandimento, sorridendo in<br />

maniera piuttosto strana mentre me lo mostrava.<br />

Era un piccolo capolavoro fotografico, si poteva distinguere chiaramente il parabrezza<br />

di una Land Rover attraverso il quale si scorgevano due corpi allacciati in maniera da<br />

non lasciar dubbi su quel che stavano facendo.


Si distingueva perfettamente un dorso sul quale erano disordinatamente sparse<br />

lunghissime ciocche di capelli biondi e il profilo di una donna che mordeva il collo di un<br />

uomo dall’espressione estasiata e con gli occhi chiusi.<br />

L’uomo ero io, la donna, chiaro, era Katie. La fotografia era stata tirata qualche ora<br />

prima nel National Park.<br />

E ce n’erano altre, scattate in rapida successione e che non lasciavano il minimo dubbio<br />

su quel che era accaduto in quel pomeriggio.<br />

Katie aveva voluto a tutti i costi far l’amore nell’ambiente selvaggio del parco dove, a<br />

suo dire, avremmo scandalizzato leoni, leopardi, giraffe e scimmie... -Sarà estremamente<br />

eccitante.- aveva commentato, senza lontanamente immaginare che tra gli scandalizzati<br />

spettatori ci sarebbe stata una infuriatissima Allison che, piena di sospetti, ci aveva<br />

seguiti da lontano, si era appostata su di un’altura nascosta tra gli arbusti e usando uno<br />

di quei suoi teleobbiettivi bazooka che avvicinerebbero Alpha Centaurus come se fosse<br />

all’angolo della strada, aveva scattato foto su foto.<br />

Per lei, abituata a seguire e sorprendere leoni in accoppiamento, era stato un gioco da<br />

ragazzi.<br />

Tacqui religiosamente, nè sapevo quel che avrei potuto dire. Stavo per commentare che<br />

non era stata una gran bella cosa spiarci in quel modo, poi ripensandoci meglio, preferii<br />

tacere, realmente non mi trovavo in condizioni di accusare nessuno.<br />

Continuava a guardarmi con quello strano sorrisetto, tristemente sarcastico.<br />

Alla fine fu lei a rompere il silenzio, dicendo calmissima<br />

-Non ti condanno. Anzi dico che è stato un gran bene che questo sia successo prima<br />

che fosse troppo tardi. È evidente che tra noi non c’era nulla abbastanza forte da<br />

resistere alla prima tentazione ...No, è inutile che parli, so benissimo che è stata lei a<br />

provocarti, ma questa al massimo può essere una attenuante, non una giustifica. Ripeto,<br />

tutto sommato è stato un bene.-<br />

-Tu stessa riconosci che è stata lei a provocarmi ... -mi difesi -E io non son fatto di<br />

legno!-<br />

Rise sarcastica<br />

-Ah, no? ...Ma io pensavo che lo fossi, almeno per come ti sei comportato con me in<br />

questi due anni!-<br />

-Con te era diverso, ti rispettavo...-<br />

Non mi lasciò finire, chissà da quanto tempo avrebbe voluto dirmelo<br />

-E chi ti ha detto che volevo essere rispettata? Sono una donna normale, giovane e sana,<br />

fatta di carne ed ossa, forse non tanta carne come Katie - ironizzò con perfidia -Non<br />

sono una santa e non voglio esserlo...-<br />

Non la lasciai finire<br />

-Tu stessa mi avevi avvertito che eri vergine...-<br />

-Tutte siamo nate vergini, persino Katie forse un giorno lo è stata, ma generalmente non<br />

vediamo l’ora di non esserlo più...-<br />

A corto di argomenti balbettai<br />

-E poi, sei la sorella di Jeff ...-<br />

Stavolta fu lei ad interrompermi, cominciava ad irritarsi sul serio.<br />

-E se non fossi stata la sorella di Jeff, avresti invitato anche me a visitare il National Park<br />

un giorno o l’altro? Insomma, rispettavi me o Jeff? Probabilmente un po’ dell’uno e un


po’ dell’altro. Ti dirò di più, sono diventata quasi una sorella per te. Lo sospettavo da<br />

tempo e me ne sono definitivamente convinta oggi.<br />

Meglio che sia andata così, ripeto, o avrei dovuto vivere sempre col timore che apparisse<br />

di quando in quando una fraschetta che ti avrebbe fatto girare la testa, avresti vissuto<br />

un’avventura dopo l’altra e io a casa a allevare i figli e raccogliere di quando in quando i<br />

resti del banchetto. No, grazie.-<br />

Ero stato poco abile. Sentendomi perduto mi misi sulla difensiva<br />

-Non essere tanto radicale nel trarre conclusioni precipitate, il fatto che sei la sorella di<br />

Jeff è soltanto un particolare secondario...- poi tacqui pensando bene che la cosa<br />

migliore da farsi in quelle circostanze era battere in una prudente ritirata e lasciare che le<br />

cose si raffreddassero. Con una certa enfasi dissi che quel che di più decente avrei<br />

potuto fare in quel momento sarebbe stato salutare e andarmene. Ma Allie era<br />

imprevedibile<br />

-Niente di tutto questo. Non trasformiamo in melodramma quel che è accaduto, niente<br />

ci impedisce di rimanere amici, come eravamo prima. Non mi avevi forse invitato a<br />

mangiare l’aragosta al Nairobi Club stasera? Non vi rinuncerò a causa dei pruriti di<br />

Katie.-<br />

Malgrado un certo imbarazzo iniziale, finimmo col trascorrere una serata<br />

passabile, cordialmente compiti l’uno con l’altro, ci salutammo alla fine perfino con un<br />

casto e amichevole bacetto sulle guance.<br />

Nei giorni successivi non la rividi, ad ogni buon conto mi tenni prudentemente lontano<br />

dallo Stanley, finchè chiesi a Jeff notizie di Allie.<br />

-Non lo sai? -domandò meravigliato- L’altro ieri è partita per gli Stati Uniti. Si può<br />

sapere quel che è successo tra voi? Certamente c’è di mezzo l’americanina, flirtava<br />

sfacciatamente con te. Sei andato a letto con lei e Allie se ne è accorta, ci scommetterei<br />

l’osso del collo.-<br />

Tornò dopo sei mesi o poco più, aveva avvisato Jeff con un cablogramma<br />

sibillino facendo capire che avrebbe gradito la mia presenza all’aeroporto. Jeff era fuori<br />

in safari e andai da solo a prenderla, pieno di speranze.<br />

Speranze che rimasero amaramente deluse quando la vidi uscire dal controllo passaporti<br />

in compagnia di un tizio alto un paio di metri che indossava una camicia quadrettata,<br />

pantaloni attillati ed un paio di stivaletti di tacco alto, sul capo sfoggiava un cappello di<br />

paglia a tesa larga. Il tipico texano, travestito da cow boy. Me lo presentò, facendomi<br />

sentir la terra sfuggire da sotto i piedi<br />

-Questo è Walter, il mio innamorato.- L’innamorato mi tese la mano e me la stritolò<br />

facendola gagliardamente oscillare in su e in giù per un bel pezzo.<br />

Era di sabato mattina e Allie disse subito che avrebbe preferito passare il week-end nella<br />

fattoria. Prese posto sul sedile posteriore della Mercedes accanto al cow boy senza<br />

nemmeno attendere la mia conferma. Praticamente mi aveva ordinata di portarla<br />

immediatamente alla Treffles Farm. Frastornato com’ero in quel momento, le obbedii<br />

supinamente.<br />

I due si strofinarono, si accarezzarono, si baciarono senza tregua durante le due<br />

ore e mezzo del viaggio. Sbirciandoli sul retrovisore mi accorsi che lei, più che guardare<br />

l’innamorato, si preoccupava di controllare se li stavo osservando. Tre o quattro volte i


nostri sguardi si incontrarono sullo specchietto. Si stava prendendo la sua rivincita, una<br />

tutt’altro che sottile rivincita.<br />

Completò la sua vendetta quando giungemmo alla farm dove Pamela ci accolse sorpresa<br />

dalla presenza del texano e ancor più meravigliata quando la cognata disse ad alta voce,<br />

per avere la certezza che io ascoltassi<br />

-Non preoccuparti di preparare una stanza per Walter, dormirà con me, il letto è<br />

abbastanza grande per tutti e due.-<br />

Solo in seguito compresi che Allie non aveva voluto vendicarsi, aveva soltanto<br />

voluto creare l’irreparabile tra noi, evidentemente temeva di non riuscire a resistere se<br />

avessi tentato di farmi perdonare e voleva evitare che tutto tornasse come prima.<br />

Walter se ne tornó al suo Texas qualche settimana dopo e di lui non si parlò più. Era<br />

stato usato e gettato via. Ma rimaneva in me un dubbio, ogni anno Allie andava una o<br />

due volte in America, e se si incontrava là col texano?<br />

Mentre la Land Rover sobbalzava sul terreno accidentato studiavo la maniera di<br />

riuscire a saper qualcosa di più. Cercavo un appiglio per poter porre qualche domanda<br />

trabocchetto ma Allie, occupatissima, o fingendo di esserlo, con i suoi obbiettivi e le sue<br />

pellicole, rispondeva a monosillabi e non volle saperne di mordere alle mie esche più o<br />

meno abilmente lanciate.<br />

Scorgemmo lontano un gruppo di zebre, mi avvicinai il più che potevo. Gli animali<br />

smisero di brucare guardando diffidenti nella nostra direzione. fermai la camionetta<br />

lasciando il motore al minimo e mi defilai dietro un arbusto più grande degli altri, presi<br />

accuratamente la mira attraverso il canocchiale e premetti il grilletto, la pallottola centrò<br />

il bersaglio con un rumore sordo e ovattato paff, l’animale partì al galoppo, percorse<br />

qualche metro e crollò.<br />

Qualche chilometro piú in lá, di fronte a noi si parò la foresta dove il capo Masai ci<br />

aveva assicurato viveva un numeroso gruppo di leoni.<br />

Si stendeva come una parete scura senza fine.<br />

A trecento metri misi la Land Rover in una direzione parellela al bosco rallentando<br />

l’andatura. Ogni tanto fermavo per esplorare coi binocoli tra gli alberi al margine della<br />

foresta. Improvvisamente Allie mormorò puntando il dito<br />

-Eccoli -<br />

Distinsi chiaramente una grossa famiglia, un maschio maestoso, due leonesse e un<br />

gruppetto di giovani leoni, alcuni quasi adulti, i maschi con la criniera appena accennata.<br />

Saltai giù dalla camionetta, assicurai al gancio posteriore una grossa catena lunga cinque<br />

o sei metri. Allie mi aiutò a spingere la carcassa della zebra fino a farla cadere sul terreno<br />

e a passarle l’altra estremità della catena attorno al collo a formare un cappio.<br />

Rimettendomi al volante e facendo un lungo giro mi avvicinai ad un centinaio di metri<br />

dalla macchia, rimettendomi in una direzione parallela passai nuovamente di fronte al<br />

gruppo, stavolta ben più vicino.<br />

Il vento soffiava trasversalmente verso la foresta portando con sè l’odore della zebra.<br />

Avanzavo pianissimo, in un primo momento nulla accadde, poi uno dei giovani, un<br />

maschio fino allora pigramente sdraiato, si alzò fiutando l’aria col muso proteso in<br />

avanti, gli altri lo imitarono cominciando ad avanzare verso la vettura che si allontanava


lentamente. Il maschio adultoe le leonesse non si mossero, limitandosi a sorvegliare con<br />

gli occhi i movimenti degli altri che continuavano ad avanzare seguendo la scia lasciata<br />

dal corpo della zebra strisciando sul terreno.<br />

Gradatamente rallentai fino a fermare a circa mezzo chilometro di distanza. I quattro<br />

animali continuarono ad avanzare fino ad una trentina di metri da noi, poi si fermarono<br />

rimanendo ad annusare l’aria e guardando sospettosi nella nostra direzione.<br />

Ripresi a muovermi facendo compiere alla vettura un quarto di giro sí da piazzarla<br />

trasversalmente alla direzione dei leoni, scesi cautamente dal lato opposto, mi avvicinai<br />

carponi alla zebra, sganciai la catena e sempre gattonando tornai alla Land Rover, la<br />

rimisi nella direzione di prima e mi allontanai lentamente fino a fermarmi ad una<br />

trentina di metri dalla carcassa.<br />

Per qualche minuto le giovani fiere rimasero ferme, esitando, poi i morsi della fame<br />

ebbero il sopravvento, avvicinandosi al corpo della zebra cominciarono a dilaniarla,<br />

continuando di tanto in tanto a lanciare occhiate nella nostra direzione.<br />

Strisciando attraverso il finestrino posteriore, Allie si era trasferita sul cassone e,<br />

acquattata lì sopra, cominciava a scattare foto su foto mentre io, ingranata la marcia<br />

indietro ridotta, muovevo lentamente la vettura avvicinandomi alle belve. Queste,<br />

insospettite, smisero di mangiare, rimanendo ferme a guardarci.<br />

Ebbi paura che se ne andassero e riportai la vettura più lontano.<br />

Ad Allie servivano fotografie prese dal livello del suolo, in modo che si vedessero<br />

i leoni dal basso, per ottenerlo occorreva che la macchina fotografica si trovasse allo<br />

stesso livello della carcassa della zebra.<br />

Ci eravamo già accordati su come comportarci, svitai i dadi a farfalla del vetro del<br />

parabrezza e lo sollevai, da lì strisciando sul cofano mi buttai giù tra le ruote anteriori,<br />

mi infilai sotto la vettura e di nuovo strisciando come un serpente passai dall’altro lato,<br />

sempre carponi riuscii poco alla volta ad avvicinarmi. Le belve, giovani e inesperte,<br />

affamate com’erano, non se ne accorsero. Avevo con me una macchina fotografica che<br />

Allie aveva giá messo a punto. Cominciai a scattare fotografie con il corpo della zebra in<br />

primo piano, attraverso il mirino della reflex vedevo i musi insanguinati delle fiere come<br />

se fossero ad un palmo dal mio viso, sarebbero state proprio le foto che Allie voleva.<br />

Sentii un lieve sibilo di avvertimento, era lei che mi avvisava di qualche pericolo,<br />

voltandomi con estrema lentezza mi accorsi che, puntando il mento, tentava di<br />

indicarmi qualcosa in una determinata direzione. Spostai lentamente gli occhi e a circa<br />

venti metri da me vidi una delle due leonesse adulte che si era avvicinata gattonando<br />

silenziosamente e stava guardandomi accucciata sul ventre, il muso appoggiato sulle<br />

zampe anteriori, quelle posteriori raccolte pronte per lo scatto.<br />

La leonessa poteva essere giunta solo per curiosare o perchè si era insospettita e voleva<br />

proteggere i figli. Nel primo caso la faccenda si sarebbe risolta da sola, bastava tenere i<br />

nervi a posto e non far movimenti bruschi, avrei dovuto indietreggiare lentamente fino<br />

alla macchina e rialzarmi. La seconda ipotesi invece avrebbe reso la situazione piuutosto<br />

pericolosa.<br />

Fu in quel momento che mi pentii amaramente che Matwa non fosse lì con me.<br />

Mi volsi lentissimamente all’indietro per veder come Allie si comportava; stava<br />

cautamente portando la mano destra all‘indietro in direzione della rastrelliera dei fucili


con movimenti al rallentatore. Tornando a guardare verso la leonessa per tentare di<br />

comprenderne le intenzioni, vidi che agitava la coda nervosa sbattendone il fiocco<br />

violentemente al suolo, indice allarmante, poteva attaccare da un momento all´altro, sul<br />

serio o solo fingere nel tentativo di spaventarmi, costringendomi ad allontanarmi dai<br />

giovani leoni i quali nel frattempo continuavano tranquillamente il loro pasto.<br />

Anche Allie doveva aver notato la coda sferzare minacciosamente l’aria;<br />

sbirciando con il canto dell’occhio vidi le dita della sua mano toccare il tubo di ferro<br />

della rastrelliera avvicinandole con movimenti impercettibili al dado a farfalla che<br />

assicurava il manicotto che manteneva il fucile in verticale, poi tenendo la canna tra il<br />

mignolo e l’anulare cominciò a far girare la farfalla con piccoli movimenti circolari del<br />

pollice e dell’indice.<br />

La leonessa, occupatissima a tenermi d’occhio e a decidere come comportarsi, non<br />

poteva accorgersi della manovra.<br />

Solo quando la cravatta di ferro, allentata ad una estremità, penzolò con un secco<br />

rumore metallico, emise un sordo brontolio accellerando i movimenti della coda<br />

irrigidita come una sbarra di ferro e sempre guardando fisso nella mia direzione.<br />

Un poco intravedendo con il canto dell’occhio, e un poco con l’immaginazione,<br />

percepii che Allie era riuscita a trattenere il fucile nella mano senza far rumore e sempre<br />

rimanendo sdraiata sul fondo del cassone aveva poggiata la canna sul bordo prendendo<br />

di mira la belva. Il mio dubbio era che non ricordasse che non vi era la cartuccia in<br />

canna, stavo escogitando come avvisarla quando udii il clic dell’innesto dell’otturatore e<br />

subito dopo un altro sibilo con il quale mi avvisava di essere pronta.<br />

Avanzando gattoni verso di me, la leonessa era ormai a meno di dieci metri, con<br />

movimenti lentissimi mi misi in ginocchio e cominciai ad indietreggiare, sempre fissando<br />

gli occhi della fiera e dicendo con voce calma e piatta -Non sparare...Non sparare...-<br />

Continuai indietreggiando carponi fino a giungere alla Land Rover, quando vi fui vicino<br />

mi alzai in piedi con un movimento lento e continuo. La belva che mi aveva seguito<br />

gattonando e mantenendosi sempre alla stessa distanza, si sollevò a metà sulle zampe,<br />

accennò una brevissima carica, poi soddisfatta di avermi costretto ad allontanarmi dai<br />

figli, emise un breve rauco ruggito e si allontanò in direzione della zebra mettendosi<br />

subito dopo a divorare la parte che le spettava.<br />

Emisi un sospiro di sollievo, passai una mano sulla fronte umida di sudore gelido,<br />

poi mi girai verso la camionetta e un attimo dopo mi ritrovavo una singhiozzante Allie<br />

fra le braccia, la strinsi nel tentativo di tranquillizzarla e lei mi baciò una e due volte<br />

voracemente sulla bocca. Per qualche attimo risposi ai suoi baci, poi staccandomi<br />

bruscamente mi misi al volante e ripartii dicendo molto prosaicamente -Che fifa,<br />

accidenti!-<br />

Chiacchierammo animatamente durante il tragitto di ritorno al campo, un poco per<br />

scaricare la tensione nervosa ed un poco per superare l’imbarazzo che quei due baci<br />

improvvisi avevano creato. Non vedevo l’ora di poter rilassare con un buona birra tra le<br />

mani.<br />

Ma non fu così. Al campo la prima cosa che vedemmo fu la Land Rover di Jeff,<br />

già carica e pronta per partire. Jeff stava aspettando davanti alla tenda passeggiando


nervosamente su e giù.<br />

Ascoltava il notiziario di Radio Nairobi. La radio di Jeff è un Grundig Ocean Boy,<br />

grossa come una valigia, con la quale può sintonizzare il mondo intero. Se ne serve<br />

specialmente per ascoltare i notiziari del Kenya, della Rhodesia, di Johannesburg,<br />

eccetera.<br />

Prima che smontassimo ci corse vicino dicendo concitatamente<br />

-Hanno cominciato ad attaccare nella nostra area, stanotte hanno massacrato Charles<br />

Moreland e la famiglia e hanno fatto strage nella fattoria di Tom Kirkengard, che per<br />

fortuna si trovava con la moglie ed i figli in Nyeri. Non voglio perdere neanche un<br />

minuto, se partiamo immediatamente saremo a Mweiga domani mattina all‘alba.-<br />

Lasciammo a M’Daodi il compito di smontare il campo e di tornare alla base con la mia<br />

Rover ed il camion e partimmo di gran carriera verso il nord.<br />

Fu un viaggio allucinante a velocità sostenuta durante tutta la notte. Io e il mio amico ci<br />

alternavamo alla guida, mentre Allison sul sedile posteriore ogni tanto riusciva perfino<br />

ad appisolarsi nei tratti dove la strada lo permetteva. Passammo nell’appartamento di<br />

Allie in Nairobi per telefonare alla fattoria, rinfrescarci il viso e farci un caffè che ci<br />

tirasse su.<br />

Nessuno rispose alla chiamata, il telefono era muto<br />

-Hanno tagliato i fili interrompendo il circuito, fanno sempre così quando attaccano, per<br />

isolare l’intera zona.- commentò Jeff.<br />

Attraversammo Nyeri sempre a tutta velocità, l’ansia di arrivare era andata via via<br />

aumentando, fino a divenire insopportabile dopo il vano tentativo di telefonare, un<br />

incubo che cresceva minuto a minuto.<br />

La strada polverosa era punteggiata nell’oscurità della notte dal riflesso degli occhi di<br />

mille night-jar, un uccello notturno simile al succiacapre, di quando in quando davanti a<br />

noi qualche lepre correva balzelloni immobilizzandosi alla luce dei fari.<br />

Avevamo appena lasciato Mweiga alle spalle quando il cielo alla nostra destra cominciò a<br />

schiarirsi leggermente fino a rendere visibile il profilo frastagliato del Monte Kenya.<br />

Poco dopo, sulla sinistra, la strada di accesso alla Treffles Farm, giù per un lieve e corto<br />

declivio, la traversata di una piccola foresta, poi la ripida discesa a svolte tortuose fino al<br />

ponticello sul fiume quasi in secca. Nella stretta vallata, ancora avvolta nell’oscurità,<br />

scorgemmo le sagome di un gruppetto di vacche.<br />

-Strano- pensai, mentre a sua volta Jeff esclamava<br />

-Diavolo, cosa stanno facendo qui a quest’ora? Dovrebbero rimanere chiuse nel recinto<br />

fin dopo la mungitura!-<br />

Più avanti sulla salita che mena alla sede incontrammo altre due mucche,<br />

-Maledizione!- imprecò Jeff e accellerando ancora di più fece slittare le ruote della Rover<br />

sulla ghiaia dei tornanti. Appena giunti alla siepe che circonda la casa padronale<br />

vedemmo sulla destra lo chalet degli ospiti, la porta era spalancata.<br />

La grande casa biancheggiava ad una trentina di metri, mentre la pallida luce<br />

dell’alba la faceva risaltare sullo sfondo delle montagne lontane. Jeff avventò la<br />

camionetta sul vialetto fino a frenarla quasi contro la parete. La porta era aperta, le<br />

finestre con le imposte sfasciate.<br />

Saltammo giù, il cuore in gola.<br />

Di traverso, sulla soglia, nuda e coperta di sangue, Matuko, la servetta Wakamba, la


giovane sorella di Matwa, giaceva con il viso poggiato al suolo.<br />

Pamela era quasi nuda, distesa supina sul lungo tavolo, le gambe spalancate, il<br />

ventre e le cosce coperte di sangue raggrumato, un braccio penzoloni fino a toccare<br />

terra. Il collo era squarciato da una orribile ferita, il capo, che rimaneva attaccato al<br />

corpo solo per un lembo di pelle e tessuti dal lato della nuca, pendeva dal tavolo sì che il<br />

viso era rovesciato verso il basso completamente ricoperto dal sangue che scorrendo<br />

lungo gli indimenticabili capelli biondi aveva formato una pozza scura che risaltava<br />

drammaticamente sul parquet di legno chiaro.<br />

La madre di Jeff si trovava come inginocchiata sul divano, col corpo appoggiato<br />

alla spalliera, il capo e le braccia penzoloni dall’altro lato. Un orrendo squarcio le<br />

spaccava la schiena, dalla nuca all’osso sacro.<br />

Sangue, sangue in quantità enorme si era rappreso lungo le gambe e sul sofà.<br />

Il vecchio Harold era seduto in un angolo della sala; corde lo tenevano legato, i piedi<br />

avvinti alle gambe della sedia, le braccia dietro la spalliera e il torace alla spalliera stessa.<br />

Era morto, ma intatto. Il viso contratto in una smorfia spasmodica, gli occhi sbarrati e la<br />

bocca spalancata come per urlare, sembrava volesse gridarci che aveva dovuto assistere<br />

immobilizzato ed impotente all’orrore di quel che accadeva sotto i suoi occhi, sì che era<br />

certamente morto per la violenza della disperazione.<br />

Ci guardammo in silenzio, Matwa cominciava a piangere inginocchiato accanto al<br />

corpo della sorella, Jeff corse fuori, appoggiandosi al tronco di un albero vomitò tutta la<br />

bile cha aveva accumulata nello stomaco, lo raggiunsi e gli passai un braccio attorno alle<br />

spalle per confortarlo.<br />

Si girò verso di me, era incredibilmente pallido, i muscoli delle mascelle contratti in una<br />

smorfia spasmodica.<br />

Dalla siepe sbucò il cuoco, M’Kara, coperto dal sangue che gli usciva da una ferita<br />

alla spalla, balbettava -Kadogo, Kadogo, Mau Mau...- poi spiegò ansante che la sera<br />

prima, verso le dieci, mentre si trovava in cucina, sentendo rumori confusi e grida<br />

provenienti dalla sala, era accorso e aveva visto dalla soglia un gruppo di neri, armati di<br />

panga e di fucili, afferrare Pamela e i due vecchi. Anche Kadogo faceva parte del<br />

gruppo, doveva essere stato lui ad aprire una delle porte che il bwana Harold, non<br />

appena scuro, aveva chiuso e sprangato accuratamente come era solito fare negli ultimi<br />

tempi. Poi aveva visto Motuko che strillava disperatamente dibattendosi nella stretta di<br />

due Mau Mau, uno di loro si era slanciato contro di lui con il panga sollevato<br />

colpendolo mentre fuggiva e spariva nel buio della notte riuscendo a nascondersi nel<br />

bosco, la sua ferita era profonda e ancora sanguinante, ma non aveva leso nessun<br />

organo vitale.<br />

I Mau Mau si erano trattenuti nella casa per una mezz’ora, dileguandosi poi<br />

nell’oscurità, con loro se ne erano andati cinque o sei giovani kikuyu che facevano parte<br />

del personale della fattoria. Prima di allontanarsi erano entrati nel recinto delle vacche,<br />

aveva ascoltato i muggiti degli animali spaventati e ne aveva visti alcuni passare al<br />

galoppo sul sentiero al di là del giardino.<br />

Jeff e io ci guardammo, il viso di Jeff stava riprendendo colore, i lineamenti tirati, le<br />

labbra strette, gli occhi lampeggiavano, ma era calmo, di una calma gelida.<br />

-Forse hanno razziato il bestiame. Voglia Dio che l’abbiano fatto. Se l’hanno fatto, li


aggiungo e li ammazzo come iene.-<br />

Il resto del personale della fattoria, uomini, donne, vecchi e bambini, che la notte<br />

prima erano fuggiti a nascondersi nella macchia, stavano riapparendo a due o tre per<br />

volta, ancora terrorizzati si stringevano attorno a Jeff come a cercar protezione.<br />

Improvvisamente mi accorsi che Allie non era con noi, corsi alla casa per<br />

confortarla e vedere se aveva bisogno di qualcosa. Non si era lasciata prendere dal<br />

panico nè dalla disperazione, il senso professionale aveva preso il sopravvento, stava<br />

nella sala scattando fotografie su fotografie, quando mi vide sorrise amara<br />

-Il mondo intero vedrà cosa sono stati capaci di fare questi quattro selvaggi lasciati liberi<br />

di dare sfogo ai loro istinti. Le farò pubblicare sulle principali riviste, così che si sappia<br />

quel che succede qui e continuerà a succedere in tutta l’Africa, o quasi. Prima<br />

ammazzerano noi, poi si uccideranno tra loro-<br />

Dopo qualche minuto Jeff ci raggiungeva, erano con lui Gumana, il capo dei<br />

vaccai, suo figlio Bokato e i due trattoristi. Aveva ripreso il pieno controllo di sè stesso<br />

-Li raggiungerò facilmente, hanno razziato una diecina di animali e li stanno<br />

conducendo verso gli Aberdares. Abbiamo scoperto le orme di un gruppetto di vacche<br />

che avanzavano al passo, ben riunite. Io li inseguo. Qui è rimasta ormai solo gente<br />

Wakamba e Kavirondo, di loro mi fido. Le due famiglie Kikuyu sono scomparse. Non ci<br />

sarà pericolo, almeno fino a stasera. Allie andrà a Mweiga per tentar di telefonare al<br />

commissario delle MMFF a Nyeri e avvisarlo dell’accaduto, se non ci riesce dovrà<br />

raggiungere Nyeri.<br />

Saprà lei quel che deve fare. Non ho tempo da perdere in chiacchiere, devo raggiungere<br />

quegli assassini e far giustizia, debbo vendicare mia moglie e i miei genitori.-<br />

Mi guardò come per chiedermi se sarei andato con lui, assentii con un lieve cenno del<br />

capo, e allora continuò<br />

-Verrannno con noi Matwa e Bulo Burti, porteremo due fucili 267 e due automatici<br />

Remington con cartucce a pallettoni.-<br />

Appena fuori del recinto del bestiame erano impronte di zoccoli dappertutto e in<br />

tutte le direzioni, lasciate dagli animali in preda al panico, ma poco lontano, sul sentiero<br />

che portava alla macchia, ve ne erano aggruppate di una piccola mandria che si muoveva<br />

in direzione ben definita.<br />

Commentai<br />

-Gli Aberdares, sono andati sugli Aberdares per portar carne fresca ai compagni.-<br />

Gli Aberdares, sui quali in quel momento il sole nascente batteva in pieno, si<br />

stagliavano a perdita d’occhio sulla nostra sinistra, splendidi nel loro color azzurrino<br />

sfumato, le pendici più vicine una diecina di chilometri dal punto nel quale ci<br />

trovavamo. Era risaputo che nelle immense foreste di bambù sulla vetta a tremila metri<br />

e più, si annidavano Mau Mau a centinaia.<br />

Seguire le piste al principio non fu difficile, per guadagnare tempo avevano tagliato<br />

attraverso i campi di frumento, alla luce della luna era stato agevole per loro mantenere<br />

il branco riunito. Anche per noi fu facile non perdere le tracce.<br />

Le difficoltà cominciarono all’entrare nella boscaglia, Bulo Burti ora perdeva e ora<br />

ritrovava la pista, avevamo fretta, dovevamo raggiungerli prima dell’oscurità, per non<br />

perderli definitivamente.


Bulo Burti, era un somalo magrissimo, un tracciatore eccezionale che Jeff aveva scovato<br />

durante un safari nel Northern Territory in un villaggio sperduto nella savana non<br />

lontano da Garba Tula. Ci volle tutta la sua abilità per non farci perdere troppo tempo.<br />

I Mau Mau avevano su di noi sette o otto ore di vantaggio, ma di certo pensavano<br />

di averne molte di più. Alla fattoria chiunque avesse dato l’allarme non l’avrebbe potuto<br />

se non a giorno fatto, avevano messo fuori uso la jeep e le biciclette che si trovavano<br />

nella farm, sì che solo a piedi si poteva raggiungere Mweiga, in non meno di due ore di<br />

cammino a passo veloce, un altro paio d’ore al minimo avrebbe impiegato la pattuglia<br />

delle MMFF di stanza a Nyeri per raggiungere Treffles, e sarebbe già stato mezzogiorno;<br />

se avessero voluto inseguirli non avrebbero potuto farlo se non dopo almeno un’altra<br />

ora e in quel momento il gruppetto di fuggitivi sarebbe stato ormai irraggiungibile, già<br />

ben in alto sulle pendici degli Aberdares.<br />

Noi invece a mezzogiorno ci trovavamo già ai primi contrafforti e penetravamo nella<br />

foresta dove l’inseguimento sul terreno umido divenne facilissimo. Per quasi due ore<br />

seguimmo le tracce tra gli alberi fino ad incrociare la strada, in verità poco più di un<br />

sentiero appena tracciato tra le piante, che levava alla cresta dei monti. Certi ormai di<br />

non correre più alcun pericolo avevano preso a seguire la pista sgombra di vegetazione<br />

per guadagnar tempo, qualsiasi inseguitore motorizzato si sarebbe del resto tradito da<br />

lontano con il rombo del motore.<br />

La strada andava snodandosi in stretti tornanti che potevamo agevolmente<br />

tagliare aprendoci il cammino nella foresta e guadagnando facilmente terreno, sì che<br />

verso le quattro, circa tre ore prima del tramonto, li avevamo ormai raggiunti, erano a<br />

non più di una cinquantina di metri avanti a noi.<br />

Ci portammo rapidamente più in alto fermandoci in un punto da dove potevamo<br />

scorgere un breve tratto di strada. Dopo qualche minuto giá li vedevamo chiaramente.<br />

Erano in sette od otto e spingevano su per la montagna almeno una dozzina di capi.<br />

Avanzavano lentissimi, erano evidentemente molto stanchi, gli animali più che gli<br />

uomini,<br />

Jeff li osservò col binocolo, emise una soffocata imprecazione -Maledizione...Eccolo!<br />

Canaglia traditore...vigliacco..- il viso contratto in una smorfia rabbiosa.<br />

Anch’io avevo riconosciuto Kadogo, Jeff aveva tutte le ragioni di questo mondo di<br />

essere furibondo, lo aveva accolto in casa che era poco più di un ragazzino sperduto, lo<br />

aveva sempre trattato con affetto quasi paterno, lo aveva fatto studiare, non capiva<br />

come quel ragazzetto, accolto nella sua casa dieci anni prima, potesse essersi trasformato<br />

in un traditore e un brutale assassino. Di sicuro erano questi i pensieri che ribollivano in<br />

quel momento nella sua testa.<br />

Avremmo potuto appostarci nella foresta e attaccarli di sorpresa, ma in questo<br />

caso al massimo ne avremmo fatti fuori due o tre, gli altri sarebbero immediatamnte<br />

spariti nella boscaglia e non avremmo avuto più il modo di raggiungerli, correndo`per di<br />

più il rischio di trasformarci da cacciatori in selvaggina, tutti loro erano armati. E noi<br />

volevamo sterminarli senza lasciarne vivo uno solo.<br />

Il nostro grande vantaggio era conoscere a fondo la parte di foresta nella quale ci<br />

trovavamo, vi eravamo stati innumerevoli volte alla ricerca di leopardi o di bongo, nella<br />

zona ce n’erano molti ed enormi.


Pensai come sorprenderli in un tratto aperto dove avremmo potuto tenerli sotto mira<br />

per almeno una ventina di secondi.<br />

Dissi sottovoce a Jeff -Quel bufalo gigantesco al quale non tirammo perchè aveva un<br />

corno senza punta, ricordi?-<br />

Annuì. Lo avevamo incontrato l’anno prima in una valletta acquitrinosa che la pista<br />

attraversava discostandosi dalla foresta lungo un tratto di un centinaio di metri. Mi<br />

aveva capito al volo, domandó<br />

-Quanto sará distante da qui?-<br />

-È vicinissima,-risposi - dall’altro versante di questo monte. Per arrivarci seguendo la<br />

strada debbono fare un giro ben lungo, noi invece abbiamo tutto il tempo di tagliare<br />

attraverso il bosco, scavalcare la cresta e poi appostarci. È l’unico punto dove possiamo<br />

tendere un’imboscata e farli fuori tutti, uno per uno.-<br />

La salita era durissima, in alcuni punti fummo costretti ad inerpicarci con l’aiuto<br />

delle mani attraverso la fitta macchia di arbusti spinosi, agevole invece la discesa, su quel<br />

versante la foresta era costituita da alberi di alto fusto, il terreno ricoperto di foglie<br />

marcescenti, vi si camminava come su di un tappeto.<br />

Poco dopo raggiungevamo la valletta paludosa che si stendeva ai nostri piedi<br />

Ci appostammo su di una sporgenza naturale della montagna che formava come un<br />

promontorio proteso verso la strada, da cui distava non più di trenta metri.<br />

Con pochi gesti ci accordammo sul come procedere, il piano venne eseguito con<br />

precisione chirurgica.<br />

Apparve per prima una grossa mucca dal manto color mogano, dietro a lei le altre, a<br />

passo lentissimo, erano completamente esauste. I Mau Mau le incitavano sferzandole e<br />

stimolandole con un lungo pungolo di ferro acuminato che uno di loro usava senza<br />

posa.<br />

Erano in undici, cinque dal lato opposto a quello dove noi ci trovavamo, gli altri sei tra<br />

noi e gli animali.<br />

Mi ero sistemato appoggiando la schiena ad un albero, davanti a me un grosso<br />

tronco caduto mi nascondeva, offrendo per di più un fermo appoggio alla canna del<br />

Mannlicher, Matwa accucciato alla mia sinistra reggeva il Remington pronto a<br />

passarmelo, Jeff era appostato ad una decina di metri, sulla mia sinistra.<br />

Cominciarono a sfilare di fronte a Jeff, aspettammo fin quando il primo uomo a sinistra<br />

si trovò in direzione perfettamente perpedicolare alla mia posizione, mirai alla testa e<br />

premetti il grilletto, udii distintamente il ciak della pallottola che colpiva il bersaglio,<br />

manovrai automaticamente l’otturatore e feci fuoco sul secondo che era rimasto per un<br />

attimo interdetto, poi mirai al terzo, ma questo cadde un istante prima che io sparassi,<br />

Jeff lo aveva fatto prima di me. Jeff è un tiratore eccezionale, io non sono da meno, in<br />

un paio di secondi avevamo eliminati i primi cinque.<br />

I colpi rimbombarano nella vallata moltiplicandosi negli echi, così che i sei che si<br />

trovavano tra noi e gli animali non riuscirono a capire da dove provenissero, comunque,<br />

vedendo piombare al suolo i compagni dall’altro lato, pensarono che era da lì che veniva<br />

il pericolo e si gettarono in fuga disperata nella direzione opposta, verso la macchia, in<br />

cerca di salvezza, senza sapere che stavano gettandosi nelle fauci del lupo.<br />

L’intesa tra me e Matwa era perfetta, mentre gli passavo il Mannlicher colla


sinistra, il Remington si trovava già nella mia destra, cartuccia in canna, pronto per l’uso,<br />

vidi Kadogo correre ad una ventina di metri da me, istintivamente mirai al basso ventre,<br />

la cartuccia a pallettoni è micidiale e l’uomo ruzzoló in avanti, sospinto dall’impeto della<br />

corsa cadde a terra con una capriola, in rapida successione tirai agli altri due colpendoli<br />

al petto con una coppiola.<br />

L’unico rimasto vivo era Kadogo, avevo sparato istintivamente in maniera da non<br />

farlo morire d’immediato, infatti viveva ancora quando mi accostai.<br />

Giaceva col viso premuto al suolo, lo girai col piede. Mi guardó, digrignando i denti, il<br />

viso sconvolto dal dolore, il ventre squarciato dai pallettoni, ebbe ancora la forza di fare<br />

un gesto come volesse azzannarmi.<br />

Non mi faceva pena, pensai a Pamela distesa sul tavolo senza vita, coperta di<br />

sangue, pensai a quel che aveva passato negli ultimi momenti prima di morire.<br />

Voltando le spalle a Kadogo mi allontanai augurandogli una morte lenta, la più lenta<br />

possibile.


LA VACCA CON GLI OCCHIALI<br />

Dopo sei interminabili mesi di permanenza nella regione di Brakvic nella Slovenia<br />

nord orientale, ci rimandarono finalmente alla base del reggimento nella cittá di M. per<br />

un periodo di sospiratissimo meritato riposo.<br />

Erano stati sei mesi duri, durissimi, i partigiani di Tito avevano appena appena<br />

cominciato ad organizzarsi, Roma non ne aveva compresa l’importanza né previsto le<br />

dimensioni che avrebbero raggiunto in tempo sorprendentemente breve.<br />

Ritenevano il nostro comando allarmista dando eccessiva importanza ad un fenomeno<br />

superficiale e certamente passeggero. Per questa ragione nessuna misura efficace venne<br />

presa, non furono inviati i rinforzi né gli armamenti adeguati che erano stati<br />

disperatamente richiesti. E cosí pure la domanda del nostro comando di provvedere<br />

almeno ad una efficace osservazione aerea, che in un certo qual modo avrebbe<br />

permesso un controllo preventivo dei movimenti dei ribelli, non fu nemmeno presa in<br />

considerazione.<br />

Per Roma i partigiani nella Slovenia erano semplicemente un prodotto della<br />

immaginazione dei soldati e degli ufficiali di stanza in quella regione.<br />

Ma non erano di certo prodotti della mia fantasia quelle pallottole che fischiavano<br />

rabbiose alle mie orecchie nel migliore dei casi e avevano giá ferito e ucciso alcuni dei<br />

miei commilitoni.<br />

Vivevamo in uno stato di continua tensione, potevamo sentirci sicuri solo negli<br />

accantonamenti e rilassarci, almeno per poco tempo, ben protetti da un buon numero di<br />

sentinelle.<br />

Ma quando eravamo in ricognizione od in servizio di vigilanza, a piedi o motorizzati,<br />

non potevamo permetterci neanche un solo istante di distrazione. Dalle macchie ai<br />

bordi della strada da un momento all’altro una raffica di mitragliatore avrebbe potuto<br />

spazzar via l’intera pattuglia, quando eravamo in auto ci aspettavamo sentire dietro ogni<br />

curva l’improvviso crepitare delle pallottole che non sapevi da dove sarebbero giunte,<br />

dai lati, dalle spalle, di fronte, chissá.<br />

Tagliavano i fili delle linee telefoniche e si appostavano nelle vicinanze. Le prime<br />

volte avevano annientato le squadre di specialisti andate alle ricerca dell’interruzione.<br />

Non ne lasciavano vivo nemmeno uno, chi non era immediatamente morto<br />

nell’imboscata non veniva trattato come prigioniero di guerra, ma torturato, castrato, gli<br />

cavavano perfino gli occhi e alla fine l’ammazzavano senza pietá.<br />

Uno dei nostri, seriamente ferito, aveva assistito ad uno di quegli episodi, era<br />

sopravvissuto fingendosi morto, coperto dal corpo e dal sangue dei compagni caduti.<br />

Prima di allontanarsi i partigiani avevano nuovamente scaricato i mitra sui corpi dei<br />

caduti, dei feriti e dei moribondi.<br />

Non lo facevano solo per crudeltá, volevano terrorizzarci, distruggere il nostro morale e<br />

mandare un messaggio Andatevene o tutti farete questa fine.<br />

Ho voluto iniziare con tale premessa per far comprendere meglio il nostro stato


d’animo e come i come i nostri nervi fossero a fior di pelle quando finalmente<br />

tornammo in M.<br />

Tutti pervasi da un desiderio immenso, il bisogno impellente di entrare in contatto con i<br />

nostri connazionali civili, basta con soldati, basta con divise, basta con moschetti,<br />

mitragliatrici, bombe e baionette.<br />

Volevamo soprattutto parlare con le donne, per avere finalmente un contatto gentile,<br />

per ritrovare in loro le nostre madri, le nostre sorelle, le nostre innamorate.<br />

Prima di lasciarci uscire ci tennero chiusi in caserma per un mese intero, non<br />

volevano che entrassimo in contatto con la popolazione ancora scottati dalla recente<br />

sensazione di quel che avevamo visto e provato in quei sei mesi. Volevano prima che<br />

quei ricordi divenissero meno tragici, si raffreddassero, almeno un poco.<br />

Operarono in noi un vero e proprio lavaggio cerebrale, ci riunivano ogni giorno per ore<br />

e ore analizzando e rievocando quello che avevamo visto in termini ogni giorno piú<br />

smorzati. A poco alla volta realmente i ricordi cominciarono a sbiadire i contorni<br />

divenendo sempre meno drammatici.<br />

Nello stesso tempo la popolazione civile era stata preparata e condizionata dai giornali e<br />

dalla radio in modo che avrebbe ricevuto le notizie con scetticismo e incredulitá.<br />

Sí, i partigiani indubbiamente esistevano, non erano fantasmi ma nemmeno quegli esseri<br />

pericolosi e poderosi che si diceva fossero, soltanto quattro gatti sparuti, sparsi qua e lá,<br />

poco e male armati e che di quando in quando sparacchiavano qualche colpo innocuo<br />

tanto per farsi vivi e dar modo alla stampa alleata di far conoscere al mondo la loro<br />

esistenza.<br />

Un mercoledí sera ci concessero finalmente la libera uscita, quattro ore, dalle sei<br />

alle dieci. I portoni spalancti e gli uomini della compagnia, sfilando col saluto militare<br />

avanti alla sentinella, si avviarono lungo la stretta via che porta al centro della cittá.<br />

Un folto gruppo, percorsi i primi cinquecento metri, con un ben sincronizzato fianco<br />

dest-dest, imboccó l’angusto vicolo che mena all’entrata de La Favorita, il postribolo che<br />

solitamente accoglie gli impulsi sessuali non soddisfatti dei giovani soldati, cioé un<br />

casino, come a quei tempi veniva chiamato un locale come quello.<br />

Mi trovavo anch’io tra i numerosissimi componenti del gruppo del fianco destdest,<br />

pur non avendo affatto l’intenzione di andarmi a rifugiare tra le braccia accoglienti<br />

di una prostituta a smaltirvi le linfe vitali accumulate durante i lunghi mesi di forzata<br />

castitá. Vi stavo andando solo per accompagnare Roberto Piagnoni, un caro amico mio,<br />

il quale invece avvertiva il bisogno impellente di farsi una scopata gigante, per dirla con le<br />

sue parole. Sapeva molto bene che io non avevo nessunissima intenzione di imitarlo, ma<br />

disse egualmente<br />

-Non preoccuparti, faró come il gallo, rapidissimo, su e giú in pochi secondi, non so<br />

neanche se avró il tempo di entrare in camera... Poi ce ne andremo al Centrale a mettere<br />

finalmente sotto i denti qualcosa di decente e non le solita brodaglia con la pagnotta o<br />

quella sbobba di minestrone con una fetta di mortadella fatta di pezzi di grasso con<br />

attorno un pó di carne di ciuco.-<br />

Il Centrale era il ristorante dove andavamo a rifocillarci non appena ci si trovava con<br />

quattro soldi in saccoccia.<br />

Il problema fu che i galli erano molti e le malcapitate pollastrelle poche, quattro o cinque


al massimo. Il risultato, una fila che terminava sulla strada, tanto che il portone de La<br />

Favorita per un certo tempo rimase spalancato.<br />

Roberto non era né fra i primi né fra gli ultimi, non sapevo se aspettare lí o andarmene a<br />

spasso per la cittá e poi attenderlo pú tardi al Centrale. Per rendermi conto di quanto<br />

avrei dovuto attendere entrai nella sala andandomi a sedere su di uno dei divani che<br />

correvano lungo le pareti. Ero l’unico occupante dei quattro lunghi sofá, i ragazzi<br />

preferivano rimanere in piedi nella fila per paura di perdere il posto.<br />

Era un ottimo punto di osservazione, riuscivo a vedere per intero la fila degli aspiranti<br />

amatori, la coda arretrando fino all’ingresso e la testa del lungo serpente snodandosi fin<br />

sulla scala terminando all’ultimo gradino sulla soglia di un lungo ballatoio sul quale si<br />

aprivano le porte delle camere. Ogni quattro o cinque minuti una porta si apriva<br />

lasciandone uscire un soldato ancora finendo di vestirsi e alle sue spalle una donna<br />

vistosamente truccata che indossava una vestaglia sotto la quale evidentemente non<br />

esisteva altro indumento. Pronta per l’uso, pensai, agitare prima dell’uso.<br />

Ma non le davano neanche il tempo di fare il.primo passo fuori della porta che giá<br />

un’ombra grigioverde si infilava fulminea nella camera e l’uscio chiuso nuovamente.<br />

Francamente ancora non riesco a capire come si possa far l’amore in quelle<br />

condizioni e nemmeno se quel rapporto possa venir chiamato amore, o piuttosto<br />

soltanto il servirsi di una donna come ci si serve di un apparecchio igienico per<br />

raccogliere i rifiuti del proprio corpo.<br />

Meglio, molto meglio il mio sistema, quando le vescicole e i canalicoli sono pieni e non<br />

ho via d´uscita, mi libero del soverchio in splendida solitudine, almeno evito di umiliare<br />

quelle povere creature che devono assoggettarsi a farsi sbattere su di un letto per quattro<br />

soldi alla volta.<br />

Ma questo é un altro discorso, a questo punto interviene il fatto economico, uno<br />

scambio, la vendita di un prodotto o piuttosto di un servizio professionale contro il<br />

corrispettivo in danaro. Vero, ma non per questo meno degradante, secondo me.<br />

L’argomento é troppo complicato, meglio lasciarlo da parte, del resto questo commercio<br />

funziona da migliaia di anni, chi sono io a pretendere di giudicarlo?<br />

A me non va, é vero, ma nessuno me lo impone, quindi quel che fanno questi soldati e<br />

quelle donne lassú é affar loro e non ho nessun diritto di ficcarci il naso.<br />

Immerso in queste riflessioni mi guardavo attorno, l’ambiente non era del tutto<br />

sgradevole in veritá, vi predominava una certa eleganza, un pó pesante e cafona,<br />

discutibile ma non insoportabile.<br />

Ai muri, ricoperti di una carta da pareti dal tono lievemente dorato, erano appesi quadri<br />

intonati all’ambiente, nudi e nudi di donne, naturalmente.<br />

Giovani dalle forme procaci, la maggior parte nella posa nella quale si fotografano i bebé<br />

di pochi mesi, a pancia sotto e con il sedere guardando verso l’alto.<br />

Un quadro piú degli altri attiró la mia attenzione, rappresentava Leda e il cigno, era<br />

evidentemente una copia, ma l’originale doveva essere senza dubbio un capolavoro, non<br />

saprei dire chi ne fosse stato l’autore, l’espressione di godimento che irradiava dal viso di<br />

Leda era di una intensitá senza eguali, le dita del piede sinistro incurvate in una mossa<br />

trasudante di sensualitá. Solamente un artista, un grande artista, sarebbe riuscito a<br />

trasmettere quella ineguagliabile sensazione di piacere.<br />

Mentre esaminavo i quadri uno ad uno, cosí, tanto per passare il tempo, riuscii a


scorgere di sfuggita attraverso la porta che dava nella saletta accanto, una figura di<br />

donna sedendosi su di un divanetto, tutta vestita di celeste o piuttosto di veli celesti.<br />

Incuriosito mi diressi verso di lei, volevo vedere chi era e perché si era appartata in quel<br />

modo, come disprezzando la fila dei giovani stalloni in attesa.<br />

Lo intuii non appena vicino, era piuttosto vecchiotta per la sua professione,<br />

dimostrando almeno un trentacinque anni e probabilmente non molto lontana dai<br />

quaranta.<br />

Decisamente bruttina aveva una espressione desolata che l’imbruttiva ancora di piú. Ma,<br />

a parte il trucco pesante e l’abito scollacciato, non aveva affatto l’aria di essere una<br />

prostituta, anche perché portava gli occhiali, che decisamente stonavano in<br />

quell’ambiente.<br />

Per di piú mi ricordava stranamente la mia insegnante di matematica al liceo.<br />

Sempre piú incuriosito le sorrisi. Mi sorrise a sua volta, con i lineamenti distesi sembrava<br />

perfino meno brutta. Evidentemente doveva aver frainteso il mio atteggiamento perché<br />

si alzó e mi fece cenno di seguirla, pensando con certezza di aver conquistato un cliente.<br />

Non ebbi il coraggio di disilluderla, provai un senso di pena e finii col seguirla<br />

passivamente sebbene non avessi la minima intenzione di approfittare delle sue grazie.<br />

Sfilai pieno di vergogna lungo la fila in attesa e su per le scale seguito dagli sguardi<br />

ironici e dalle risatine sommesse dei presenti, qualcuno perfino fischió. Roberto mi<br />

guardava esterrefatto, chissá cosa stava pensando in quel momento, indubbiamente che<br />

mi aveva dato di volta il cervello.<br />

Non appena entrati in camera si spoglió dei veli che la ricoprivano senza<br />

nemmeno darmi il tempo di avvisarla che era del tutto inutile. I due seni precipitarono al<br />

suolo come due lunghe fiasche vuote fermandosi nella caduta all’altezza dell’ombellico,<br />

per contrasto i fianchi erano floridi, ben delineati e le gambe passabili.<br />

A questo punto mi affrettai ad avvisarla<br />

-Rivestiti pure, perché non ho nessuna intenzione di far l’amore, almeno per oggi.-<br />

Delusa, domandó in un tono melodrammatico, che mi parve addirittura comico<br />

-Non ti piace il mio corpo? Non desideri la mia carne?-<br />

Mi venne da ridere e stavo per risponderle che ero vegetariano ma pensai che non era il<br />

caso di fare dell’ironia e risposi<br />

-Non é questo, é che oggi non me la sento.-<br />

-E allora perché mi hai scelta?-<br />

-Non saprei. Forse perché da otto o nove mesi non vedevo una donna, non parlavo con<br />

una donna, non udivo il suono della voce di una donna. Ne ho avvertito il desiderio<br />

forte e improvviso, una gran voglia di compagnia femminile, di un amica, di una sorella.<br />

E anche, se vuoi proprio saperlo, perché mi ricordi tanto una mia bravissima<br />

professoressa di matematica.-<br />

Un sorriso di sorpresa le illuminó il volto<br />

-Dici davvero? Che combinazione! E allora ti diró che sono professoressa di lettere, o<br />

almeno lo sono stata nel passato, insegnavo in un liceo. Puoi credermi, é proprio vero.<br />

Hai l’aria di essere un giovane istruito, fammi tutte le domande che vuoi sulla letteratura<br />

italiana e latina se non mi credi, e vedrai se dico o non dico la veritá.-<br />

Realmente, in tutto l’insieme e da come parlava, con proprietá, senza nessuna<br />

intonazione dialettale o cadenza regionale, le si poteva credere, la tranquillizzai


-Ti credo, e perché non dovrei? Ma allora che ci fai qui, si vede perfettamente che<br />

questo non é posto per te.-<br />

-É vero, ma non ho alternative, e per colpa mia, purtroppo. É una storia strana e poco<br />

edificante.-<br />

-Racconta.- la incoraggiai - Racconta!-<br />

Non si fece pregare,e cominció<br />

-So di non essere bella e non lo sono mai stata, anche da giovanissima ero piuttosto<br />

bruttina ed in conseguenza timida e retriva. A ventotto anni ancora vergine, non avevo<br />

avuto neanche un solo innamorato.<br />

Ma non ne sentivo la mancanza, il sesso non mi interessava.<br />

Mi consideravo una donna realizzata, completamente dedicata alla mia professione, che<br />

adoravo. Sono stata sempre appassionata di arte ed ero felice e soddisfatta quando<br />

riuscivo a trasmettere questo amore ai miei alunni.<br />

Non guadagnavo molto, solo il sufficiente per i miei bisogni, malauguratamente un<br />

giorno ritenni che era giunta l’ora di arrotondare le mie finanze dando lezioni private.<br />

L’errore iniziale fu quello di accettare di dar lezione ad un alunno della mia classe, stavo<br />

cosí violando le regole dell’etica professionale, ma ci passai sopra, non lo ritenni tanto<br />

grave.<br />

Lo studente era un giovane di sedici anni, un ragazzone robusto e simpatico, non amava<br />

studiare, sarebbe stato bocciato con certezza e per tale ragione la famiglia mi aveva<br />

proposto di dargli lezioni private. Accettai e fu il primo passo del lungo cammino che mi<br />

ha portato fin qui.<br />

Arturo, cosí si chiamava il mio alunno, era un pessimo studente, aveva l’istinto di<br />

un’avventuriero e cominció a farmi una corte silenziosa, ma spietata. Mi si accostava,<br />

come per caso, mentre eravamo seduti alla scrivania fianco a fianco, sfiorava la mia<br />

mano ad ogni occasione, mi guardava negli occhi con intensitá. Cominciai a perdere la<br />

mia sicurezza e lui se ne accorse.<br />

Il giorno che per combinazione rimanemmo soli in casa, non perse tempo, mi passó il<br />

braccio attorno ai fianchi attirandomi a sé e mi bació. Era il primo bacio della mia vita,<br />

la sensazione mi sconvolse completamente, non riuscii a resistere, la tentazione era<br />

troppo grande, avevo perso completamente la testa. Ne approfittó e io, dominata da un<br />

desiderio violento e improvviso, mi diedi senza protestare. Quei pochi minuti<br />

cambiarono drammaticamente la mia vita.<br />

Fu l’unica volta nella quale ci trovammo soli, da quel giorno in avanti sempre vi era<br />

qualcuno in casa durante le lezioni.<br />

Amavo per la prima volta nella mia vita, bruciavo di desiderio, mi sentivo impazzire<br />

quando mi prendeva la mano o mi dava rapidi baci.<br />

Venne il giorno che nessuno dei due ebbe la forza di resistere e facemmo una pazzia<br />

arrischiando il tutto per tutto.<br />

La madre ci sorprese mentre stavamo facendo l’amore, lui in piedi, io quasi sdraiata sulla<br />

scrivania. Lo scandalo fu enorme, venni denunciata come corrutrice di minorenni, per<br />

plagio e altro ancora. Processata e condannata, persi il posto, non avrei mai piú potuto<br />

insegnare.<br />

Ma il peggio fu che in quell’unica volta ero rimasta incinta.<br />

Ma é stata per davvero una sfortuna o non lo é stata? In realtá quello che accadde se da


un lato ha rovinato la mia vita dall’altro mi ha dato l’unica cosa che mi rimane, un figlio,<br />

che rappresenta tutto quello che ho e mi é prezioso, molto piú prezioso che la mia stessa<br />

vita<br />

Malgrado questo, ricordando il passato, non riesco ad evitare di rammaricarmi per quel<br />

momento di debolezza, non riesco a non pentirmene, ma nello stesso tempo mi sembra<br />

di commettere un delitto atroce perché starei indirettamente desiderando che mio figlio<br />

non esista, mio figlio, quel che amo di piú al mondo, la cosa piú preziosa che ho.<br />

Mi sembra di ucciderlo per davvero col mio desiderio di cancellare il passato.<br />

Da questo mio drammatico dubbio, Eschilo ne avrebbe ricavato una grande tragedia, in<br />

effetti peccai allora o sto commettendo adesso un peccato ancor piú grave, maledicendo<br />

la vita che faccio e ripudiando quel momento di amore e in conseguenza la stessa<br />

esistenza di mio figlio?<br />

Vivo senza pace in una angoscia continua.-<br />

Era emozionata e faceva fatica a parlare, lasciai che si calmasse, poi le chiesi<br />

-Quanto tempo sei rimasta in carcere?-<br />

-In pratica non vi sono mai stata perché fui condannata con la condizionale, i giudici<br />

ebbero pena del figlio che portavo dentro di me. Ma ero ugualmente una donna finita,<br />

non avrei mai piú potuto insegnare, non sapevo fare nulla d’altro, nessuno volle darmi<br />

un impiego, anche se avrei accettato anche i lavori piú umili.<br />

Ormai ero segnata, non potevo dare referenze, la colpa mi perseguitava dovunque<br />

andassi.<br />

La mia famiglia mi aveva ripudiato, l’avvocato si era mangiato quelle poche economie<br />

che avevo da parte, ero rimasta senza nemmeno un soldo. Cosí che, quando mi fu<br />

proposto questo lavoro, finii con l’essere costretta ad accettarlo, non avevo scelta.<br />

Nei primi tempi, sebbene fu durissimo adattarmi, le cose non andarono troppo male<br />

finanziariamente, sono brutta di viso, lo so, ma la maternitá aveva arrotondato le mie<br />

forme e dalla cintola in giú non ero da buttar via. Guadagnai qualcosa e la misi da parte<br />

finché riuscii a comprare un piccolo appartamento, cosí almeno da garantire un tetto<br />

sulla testa di mio figlio.<br />

Col passar del tempo le cose peggiorarono sempre piú, finché sono finita qui.<br />

Il grande problema é che ormai i clienti mi prendono in giro, si divertono alle mie spalle,<br />

oggi non é successo nulla di tutto questo perché i ragazzi non pensano ad altro se non<br />

aspettare impazienti che giunga il loro turno. Ma se tu tornassi qui stasera, ti renderesti<br />

conto di quel che é divenuta la mia vita. I clienti abituali, quelli che vengono quasi tutti i<br />

giorni, anche solo per passare il tempo, a far flanella, come si dice in gergo, si divertono<br />

facendomi ogni sorta di scherzi, sai come mi chiamano? La vacca con gli occhiali!-<br />

-E tu perché non te li togli? Non puoi proprio farne a meno?- domandai<br />

-Non posso, sono cieca quasi come una talpa. Ho provato, é stato peggio, mi sono<br />

sentita sperduta, come avvolta in una fitta nebbia, ne approfittavano per giocarmi i tiri<br />

piú crudeli.-<br />

Non avrei voluto neanch’io essere crudele, ma la curiositá fu piú forte e le chiesi<br />

-Ma se le cose stanno cosí e quindi non hai clienti, perché rimani ancora?-<br />

La sua risposta fu sorprendente, una vera e propria lezione di vita<br />

-Perché la vita offre mille possibilitá di sopravvivenza a chi sa adattarsi. Le mie colleghe<br />

mi aiutano, é una caritá pelosa a dire il vero, non é altruismo, ma in ogni modo mi


danno almeno qualche possibilitá.<br />

Esiste un certo tipo di frequentatori di questo locale, signori distinti, in generale dai<br />

quaranta ai sessant’anni, ben vestiti ma con gusti particolari, che le mie compagne si<br />

rifiutano assolutamente di soddisfare. Nello stesso tempo li avvisano che ci sarebbe<br />

qualcuna disposta ad accontentarli e questa qualcuna naturalmente sarei io. Quasi<br />

sempre finiscono con l’accettarmi, rimangono soddisfatti e quando ritornano, in<br />

mancanza di meglio, chiedono direttamente di me, assicurandomi in tal modo un<br />

guadagno discreto e continuo per di piú.-<br />

Malgrado le mie domande non volle assolutamente dirmi in cosa consistevano quei gusti<br />

particolari e dovetti affidarmi alla immaginazione. Continuó<br />

-Ma non é ancora tutto, c’é dell’altro. Devi sapere che in locali come questo chiunque<br />

puó entrare e la donna scelta non potrá mai rifiutarsi. É un specie di codice d’onore, se<br />

cosí puó chiamarsi, che viene rispettato in tutte le case di tolleranza.<br />

La Favorita, come del resto le altre case del genere, viene frequentata anche da storpi,<br />

paralitici, gobbi, esseri deformi, mostricciattoli che ispirano ripugnanza al solo vederli.<br />

Vengono ricevuti in una saletta riservata ed anche in questi casi le mie colleghe mi<br />

concedono il privilegio di presentarmi da sola, loro preferiscono non farsi vedere, hanno<br />

schifo, per dirla senza peli sulla lingua.<br />

Questi clienti non sono esigenti, né potrebbero esserlo, finiscono con l’accettarmi,<br />

brutta e vecchia come sono. Ma una volta venuti con me ritorneranno sempre perché li<br />

tratto come persone normali, come se fossero bei giovanotti. Abituati come erano ad essere<br />

tollerati e sopportati a stento e con disgusto, come per miracolo, dai rospi ributtanti che<br />

erano, si sentono trasformati in principi e sono felici per quei minuti che hanno passato<br />

con me e continueranno ad esserlo anche dopo rivivendoli nella fantasia.<br />

Mi dedico totalmente a loro come una espiazione, come fossi destinata alla missione di<br />

spargere la felicitá tra i derelitti e gli esclusi, come del resto sono anch’io.<br />

Provo un intenso desiderio di punirmi del mio peccato di pensiero, é come se trovassi<br />

un momentaneo sollievo al dubbio che mai mi abbandona, che mi tortura, mi considero<br />

una madre snaturata perché mi sembra di uccidere mio figlio con il pensiero, ogni<br />

giorno, quando maledico la vita che sono costretta a fare a causa sua, perché tutto per<br />

me sarebbe ben diverso se lui non ci fosse.<br />

Come in tutte le cose di questo mondo esistono lati buoni anche nelle situazioni piú<br />

antipatiche. La maggior parte di questi clienti non solo mi paga quasi sempre piú di<br />

quanto dovrebbe, ma ritorna non appena puó, e mi raccomanda ai suoi compagni di<br />

sventura. Si é cosí venuto a formare un gruppo di persone che mi frequentano<br />

regolarmente, ogni giorno ne ricevo uno o due riuscendo in tal modo a mettere da parte<br />

qualcosa che mi servirá per quando saró costretta a smettere questa vita.-<br />

Continuava a lamentarsi, la comprendevo, ma ne avevo avuto abbastanza. Si fece<br />

udire un campanello, stavano avvisandoci che il tempo concesso era terminato e se non<br />

fossi uscito immediatamente avrebbe avuto inizio un nuovo periodo. Sarebbe stato<br />

l’appiglio che mi serviva per uscirmene da quella specie di trappola nella quale mi ero<br />

cacciato, ma non ebbi il coraggio di approfittarne e rimasi, anche perché una punta di<br />

curiositá mi spingeva ad ascoltare tutto quello che aveva ancora da contarmi.-<br />

Ne fu commossa<br />

-Sei buono, ci sono poche persone al mondo come te. É stato Dio a mandarti!-


Proseguí raccontandomi delle sue peripezie, dei suoi problemi, volle descrivermi<br />

com’era il figlio, dove e come viveva e continuó su questo tono per un bel pezzo.<br />

Il campanello avvisó nuovamente che stava per scadere il tempo stabilito, stavolta mi<br />

congedai, anche perché secondo i miei calcoli, Roberto doveva giá aver soddisfatto le<br />

sue voglie o stava per terminare di farlo.<br />

Maria Maddalena, era il suo nome di battaglia come mi aveva confidato, prima di<br />

uscire dalla camera mi chiese ansiosa<br />

-Tornerai? Per favore torna, mi hai fatto passare le ore piú belle di questi ultimi tempi,<br />

forse le uniche.-<br />

Non volevo fare una promessa che non avevo nessuna intenzione di mantenere, d’altro<br />

canto mi faceva pena, non avrei voluto lasciarla frustrata e delusa, pertanto le dissi una<br />

pietosa bugia<br />

-Tornerei volentieri ma purtroppo non potró farlo. Sono stato trasferito per un luogo<br />

molto lontano da qui e domani mattina partiró per raggiungerlo.- il che assolutamente<br />

non era vero, solamente una piccola innocua bugia.<br />

Poco dopo ne dissi un’altra a Roberto che stava ad aspettarmi seduto sul divano<br />

con un sorrisetto sornione, tra l’annoiato e il divertito<br />

-Chi l’avrebbe detto! Non avrei mai immaginato che avevi gusti del genere. -commentó-<br />

Ma ti sei divertito almeno?-<br />

Se gli avessi detto la veritá non mi avrebbe creduto, per essere creduto fui costretto a<br />

mentire, gli risposi secco secco con una nuova bugia -Molto!- facendogli intendere di<br />

non avere alcuna intenzione di dilungarmi sull’argomento.<br />

Il fatto di dover mentire per essere creduto potrebbe sembrare un paradosso, ma<br />

non lo é, accade molto piú spesso di quanto si possa pensare.<br />

D’altro lato, nel caso molto ipotetico che Roberto mi avesse creduto, certamente non mi<br />

avrebbe capito e allora a che sarebbe servito avergli detto la veritá?<br />

Al Centrale, mentre mi trastullavo con uno stuzzicante antipasto, istituzione<br />

gastronomica della quale avevo perfino perduto il ricordo, meditavo su quell’altra<br />

utilissima istituzione dell’uomo, la bugia, della quale poco prima mi ero servito.<br />

A volte la veritá é una necessitá imperiosa ma, piú spesso ancora, una onesta bugia ben<br />

detta al momento giusto é molto piú necessaria.<br />

Presi poi a riflettere su qualcosa d’altro, il patema d’animo di Maria Maddalena ed il<br />

pensiero che la tormentava. Nel suo intimo aveva la certezza che se avesse avuto la<br />

possibilitá di cancellare dalla sua vita quei pochi minuti che avevano segnato il suo<br />

destino avrebbe fatalmente finito col farlo, sebbene nello stesso tempo sapesse che<br />

questo avrebbe significato ineluttabilmente la condanna a morte del figlio o piuttosto la<br />

sua condanna a non nascere.<br />

Si accusava di una colpa assolutamente ipotetica, che non avrebbe mai potuto<br />

commettere ma che ciononostante la perseguitava come una maledizione creando il<br />

complesso di colpa che la angustiava.<br />

Era proprio vero, quale magnifica tragedia avrebbe tratto Eschilo dalla sua vicenda, il<br />

desiderio proibito di un infanticidio impossibile!<br />

Sprofondato nell’abisso dei pensieri, completamente estraniato dall’ambiente, non


sapevo piú dove mi trovavo e perché. La voce di Roberto mi fece sobbalzare<br />

riportandomi alla realtá<br />

-Dove stai con la testa? Possibile che la vacca con gli occhiali ti abbia impressionato fino a questo<br />

punto?


ELENA<br />

Avrei voluto suonare il campanello, finii col non farlo e aprii con la mia chiave,<br />

pensavo di scherzare facendole prendere un po' di paura, certamente non si aspettava<br />

rivedermi di ritorno cosí presto.<br />

Entrai in punta di piedi,era nella stanza accanto intenta a rassettare, sentivo il tramestio<br />

dei suoi passi, canticchiava a mezza voce.<br />

Sempre in silenzio mi diressi verso la camera da letto, avevo appena finito di prendere la<br />

cartella con i documenti che avevo dimenticato di portare con me uscendo di casa<br />

un'ora prima, quando mi accorsi che Elena stava per entrare.<br />

Sveltamente mi nascosi dietro le tende del ripostiglio, fra gli abiti miei e di lei che<br />

pendevano dagli attaccapanni.<br />

Ancora adesso non saprei spiegarmi il perché di quell'atto impulsivo, ricordo solo<br />

che fu come per istinto e rapidissimo, cosí privo di senso che fui costretto a continuare<br />

e piú il tempo passava piú la mia situazione si faceva curiosamente insostenibile,<br />

rischiando di finire nel ridicolo.<br />

Elena entró e subito chiuse la finestra, scostai la tenda con le dita quel tanto che mi<br />

permetteva di guardare nell'interno della stanza. Rimanendo lá dentro a spiare mi accorsi<br />

di una sua espressione nuova, strana, anche i gesti erano strani, nervosi, ora rapidi ora<br />

indolenti.<br />

Si guardó allo specchio e cominció a pettinarsi ravviando i capelli con una mossa<br />

lenta e languida, voluttuosamente, la chioma sciolta sembrava le sfiorasse le spalle in una<br />

morbida carezza piena di sensualitá.<br />

Di tanto in tanto guardava l'ora. Si tolse la vestaglia e venne quasi verso la mia direzione,<br />

scostó la tenda dal lato opposto a quello dove mi trovavo, prendendo la veste da camera<br />

color salmone che le avevo regalato qualche giorno prima, e l'indossó tornando a<br />

guardarsi alo specchio.<br />

Guardó nuovamente l'orologio. Sedette sulla poltroncina di fronte alla specchiera,<br />

sdraiandosi quasi. Guardava nella mia direzione, se poteva dirsi che guardasse, perché<br />

sembrava piuttosto che i suoi occhi spaziassero nel vuoto perdendosi nel nulla. In ogni<br />

caso non poteva vedermi.<br />

Qualcosa nel suo sguardo mi turbava, una specie di languore che non le avevo mai visto,<br />

come non avevo mai visto la lenta carezza che fece al suo stesso corpo percorrendolo<br />

colle palme delle mani, dai seni al grembo, fino alle ginocchia.<br />

Rimase cosí ancora per qualche minuto, poi si alzó e rimise a posto il letto, ma in fretta e<br />

quasi svogliatamente.<br />

Non avevo mai visto mia moglie cosí indolente, sembrava carezzare con le mani le<br />

lenzuola, i materassi, i cuscini. Ci si sdraió sopra alla fine, rimanendo immobile.<br />

Il campanello squilló esplodendo nel silenzio della casa, non aveva nemmeno<br />

terminato di suonare che giá lei si alzava di scatto, come una molla uscendo dalla camera


con una fretta che mi parve eccessiva.<br />

La serratura fece udire il suo clic nell'aprirsi, poi un altro mentre la porta si richiudeva.<br />

Per un momento tutto fu silenzio, sentii poi un parlottio, quasi un sussurro, dei<br />

passi, ed Elena riapparve, dietro di lei un uomo.<br />

Mi sembró quasi che il cuore volesse fermarsi, poi prese a galoppare furioso.<br />

Il primo impulso fu quello di uscire, di farmi vedere, ma il coraggio mi mancó, e dopo<br />

sarebbe giá stato troppo tardi.<br />

Rimasi cosí ad attendere, sperando assurdamente che nulla accadesse.<br />

L'attesa fu breve e nello stesso tempo lunghissima; rimasero in piedi a guardarsi,<br />

poi si baciarono.<br />

Il cuore cominció a salirmi su per la gola, l'impressione era cosí vivida da costringermi a<br />

fare un movimento come per inghiottirlo.<br />

Erano ancora lí, stretti, le loro bocche non si staccavano che per brevi istanti, per<br />

tornare precipitosamente a unirsi, frenetiche, ognuno di quei baci causava in me<br />

qualcosa di strano, di impensabile.<br />

Provavo una sofferenza acuta, ma incomprensibilmente voluttuosa, un senso di sadico<br />

godimento, qualcosa che non saprei descrivere e che sembrerebbe assurdo. Era come se<br />

ricevessi io quei baci da quell'uomo e ne sentivo la pesantezza, il disgusto, ne<br />

rabbrividivo per il ribbrezzo, ma insieme provavo un piacere indescrivibile, mostruoso,<br />

masochistico addirittura.<br />

Li scrutavo senza perdere uno solo dei loro gesti, guardavo avidamente Elena che lo<br />

baciava, furiosa, lo carezzava, languida, gli passava le dita fra i capelli e bastava vedere le<br />

dita bianche scivolare lente fra il nero dei capelli di lui, per comprendere quanto intenso<br />

fosse il desiderio che la dominava, la sconvolgeva e la faceva sempre piú stringersi, fino<br />

ad aderire col proprio al corpo dell'amante, come volesse penetrarvi fondendosi in un<br />

solo essere.<br />

Per un poco si staccarono nell'abbraccio, le mani di lui lente e sapienti, inesorabili,<br />

sciolsero la cintura e fecero cadere in terra la vestaglia color salmone.<br />

Chissá quante volte l'avevo vista cosí, seminuda, anche poche ore prima, non vi facevo<br />

piú caso, ma il vederla ora, mentre anche un altro la stava guardando, accese tanto il mio<br />

desiderio da farmi mancare il respiro.<br />

D'un tratto fu nuda. Le mani di lui la percorrevano tutta, le dita scure scorrendo<br />

avide sul bianco di quella pelle, sí da farmi sentire il tocco bruciante delle palme scottare<br />

come ferri roventi sul mio corpo.<br />

Forse quello fu a sconvolgere la mia mente, d'un tratto ricominciai a provare di nuovo la<br />

sensazione di poco prima, la sensazione di un mostruoso godimento.<br />

Non so se un altro uomo abbia mai potuto provare una gelosia piú sconvolgente e piú<br />

inspiegabilmente in contraddizione con sé stessa.<br />

Era qualcosa di tremendo che mi atterriva e affascinava nello stesso tempo, un<br />

fascino innaturale, lugubre, per questo ancor piú terribile.<br />

Nello stesso tempo sentivo di non poter sottrarmi a quel torturante piacere, perché non<br />

ne avrei piú avuto la forza né la volontá, al punto che da quel momento il mio terrore fu<br />

che essi non continuassero. Trepidai per loro, nel timore che qualcuno venisse a<br />

interromperli, che il campanello suonasse...


Vidi tutto e vissi tutto.<br />

Il momento piú angoscioso fu quando la penetró, fu come se una barra di fuoco<br />

entrasse nella mia anima, nelle mie viscere e le bruciasse.<br />

Compresi in quell'istante che era la fine della mia vita e della sua.<br />

Non saprei dire se respirai in quei momenti e se il mio cuore rimase al suo posto. Non<br />

saprei.<br />

Malgrado questo, o forse proprio per questo, il mio godimento non fu inferiore al loro,<br />

e nello stesso tempo, per un incomprensibile paradosso, in tutta la mia vita non avevo<br />

mai provato un supplizio piú atroce e sottile.<br />

Alla fine, quando li vidi abbandonati nell'abbraccio piú tenero e dolce, negli ultimi<br />

baci, quando si prova per chi ha dato l'amore un senso di languida gratitudine, ero<br />

spossato e facevo fatica a reggermi.<br />

Si vestirono piano, con una lentezza esasperante.<br />

Cominció allora a risalirmi l'odio e il suo sapore amaro, odio verso di lui, odio verso me<br />

stesso; ma non per lei, ora che capivo di averla perduta, mi pervadeva tutta la<br />

disperazione di un amore ormai inutile.<br />

Uscirono finalmente dalla stanza e io dal nascondiglio.<br />

Seduto sul letto, tenendomi la testa fra le mani, li sentivo parlare, poi un silenzio<br />

insopportabile, di sicuro si stavano baciando.<br />

Finalmente il rumore della porta aprirsi e chiudersi.<br />

Presi la rivoltella dal cassetto del comodino, tolta la sicura rivolsi la canna verso<br />

me stesso, ficcandomela quasi in bocca.<br />

Volevo premere il grilletto, quando sentii il passo di mia moglie.<br />

Entró nella stanza, si fermó di colpo al vedermi, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta.<br />

Boccheggiava senza riuscire a dire una parola.<br />

Lasciai cadere la rivoltella sul letto<br />

-Vieni!- le dissi -Vieni!- gridando piú forte al vedere che esitava.<br />

Avanzó, la presi tra le braccia e la baciai, la baciai.<br />

Sentivo la sua bocca chiusa, quasi fremere come se la stesse baciando un rettile.<br />

Le era rimasto sulle labbra il gusto dei baci dell'amante che succhiai avidamente fino<br />

all’ultima molecola.<br />

Poi, ancora calda di quell'altro, la presi.<br />

Con una specie di amore disperato, quasi furibondo, la presi, sapendo che sarebbe stata<br />

per l'ultima volta. Alla fine sentii le sue labbra schiudersi, sentii le sue braccia stringermi<br />

come mai mi avevano stretto.<br />

La sentii mia come mai lo era stata prima, come non era stata neanche dell'altro.<br />

Sempre in silenzio rimanemmo stretti, baciandoci. Non aveva ancora parlato e<br />

nemmeno io.<br />

La mia mano strisció lentamente sulle coperte fino a sentire il freddo della pistola,<br />

stringendola fra le dita con le dita carezzai il grilletto, cercando di far piano perché non<br />

se ne accorgesse.<br />

Era lí, ancora estatica dell'amore ricevuto, quasi inerte con gli occhi semichiusi e il


corpo abbandonato.<br />

E non se ne accorse. Premetti il grilletto e poi nuovamente.<br />

Non si mosse nemmeno, ebbe solo un sussulto, un guizzo, poi rimase immobile.<br />

Scesi dal letto e aprii la finestra, deciso a lanciarmi nel vuoto, cadendo dal nono<br />

piano sarei morto sul colpo, senza accorgermene.<br />

Era una magnifica giornata di primavera, la vita non mi era mai sembrata cosí bella, ci<br />

ripensai e dalla finestra finii col buttar via la pistola.<br />

********************


La Cugina Scozzese<br />

Per l’ultima volta percorro questo viale che si snoda tra i due filari di alberi<br />

altissimi che io stesso piantai piú di quaranta anni fa.<br />

Tra un’ora il piccolo aereo atterrerá sulla pista di terra battuta per portarmi lontano da<br />

qui, molto lontano, e per sempre.<br />

Cambieró l’infuocato cielo australiano per le melanconiche brume della Scozia, della mia<br />

Scozia, nella quale non riuscii a vivere quando ero un giovane di sangue caldo. Ma<br />

adesso sará differente, il mio sangue, dopo tanti anni, si é raffreddato e non rabbrividirá<br />

piú al contrasto con i venti gelati dell’altopiano.<br />

Rivedró la cittá nella quale sono nato e dove ho vissuto la prima giovinezza,<br />

rivedró l’acciottolato delle viuzze strette tra le case basse dai tetti spioventi dai quali<br />

stillavano in permanenza le gocce condensate della nebbia implacabile.<br />

Non vi risuonerá piú il rumore degli zoccoli, ormai. Pochi cavalli vi saranno<br />

rimasti, il loro trotto non si udirá piú, sopraffatto dall’insopportabile rombo dei motori.<br />

Nelle strade i frettolosi passanti, incappottati fino alla punta del naso, non mi<br />

riconosceranno e non mi saluteranno allegramente come facevano una volta. Non<br />

sapranno nemmeno chi sono.<br />

Ma Aurelia con certezza mi riconoscerá. Sará ancora viva? Da trent’anni non so<br />

nulla di lei, non mi ha mai scritto da quel giorno.<br />

Sua sorella Katryn, l’altra mia cugina, ogni tanto mi mandava notizie della famiglia,<br />

almeno fino a quando morí di parto, come seppi dal marito quando rispose alla mia<br />

ultima lettera.<br />

Aurelia era una giovane splendida, un viso d’angelo, due occhi neri profondissimi<br />

e le labbra che sembrava stessero sempre sul punto di sorridere, ma quel che la<br />

distingueva, rendendola unica, era la punta del naso, che non terminava in una punta<br />

vera e propria ma in una deliziosa piccola superficie piana in forma di rombo, una<br />

faccetta di brillante, come tagliata da una affilatissima lama.<br />

Eravamo molto affiatati, da bambini, da adolescenti e poi nei primi anni della nostra<br />

gioventú, tra noi non vi era stato mai nulla al di fuori di una grande amicizia, un grande<br />

cameratismo. La consideravo una sorella, una complice sempre pronta a darmi una<br />

mano se si trattava di aiutarmi a insidiare le sue amiche, fin da quando avevo dodici<br />

tredici anni, allo sbocciare dei primi amori.<br />

Le passai in rivista quasi tutte, belle e brutte, brutte e belle. A volte le chiedevo<br />

persino di fare amicizia con qualcuna che mi piaceva e che non faceva parte della sua<br />

cerchia, solamente per evitare la perdita di tempo di un cauto e graduale avvicinamento.<br />

A ventun anni, poco dopo la laurea, me ne andai negli Stati Uniti a frequentarvi<br />

un corso di perfezionamento in Scienze Forestali. Vi rimasi anche dopo, lavorando in<br />

un National Park, finendo poi col passare ad una istituzione privata con l’obbiettivo di


creare nel mondo centri di studi ed esperienze per la recuperazione dei deserti.<br />

Mi venne affidata la direzione della Stazione Sperimentale di Nestorian Creek in<br />

Australia, nel deserto di egual nome e dove in questo momento, ancora per poco, molto<br />

poco, mi trovo.<br />

Trent’anni fa avevo approfittato del viaggio di trasferimento dall’America<br />

all’Australia per concedermi due giorni di sosta. Volevo rivedere Petterkee e salutare gli<br />

amici e quei pochi parenti che avevo, mia sorella Eugenia e il marito, Aurelia, Katryn e<br />

gli zii.<br />

Le due cugine si erano sposate da poco, Katryn viveva in una fattoria ad una<br />

ventina di chilometri dalla cittá.<br />

Aurelia dopo il matrimonio era divenuta ancora piú bella, come se questo fosse<br />

possibile. Erano quattro anni che non ci si vedeva, una grande allegria ci pervase mentre<br />

ci abbracciavamo. In un primo momento sentii qualcosa di diverso in quel contatto, ma<br />

fu una impressione fugace che si dileguó alla stessa velocitá con la quale si era<br />

manifestata.<br />

Dopo il pranzo espressi il desiderio di salutare Katryn prima di partire per un luogo dal<br />

quale non sapevo quando sarei tornato e nemmeno se lo sarei.<br />

Avrei dovuto trovarmi nell’aeroporto di Edimburgo verso la mezzanotte, disponevo<br />

quindi di poco tempo. Non conoscevo la strada, Aurelia si offrí di accompagnarmi<br />

-Cosí staremo insieme un pó piú di tempo.- disse<br />

Ero arrivato in motocicletta, una poderosa Harley Davidson che un amico mi<br />

aveva prestato in Edimburgo. Aurelia montó a cavalcioni dietro di me e partimmo con<br />

un gran rombo di motore.<br />

Non appena fuori della cittá mi strinse affettuosamente allacciando le braccia attorno<br />

alla mia vita sí che potevo avvertire sulla schiena la dolce pressione dei seni, cominció<br />

poi a baciarmi sul collo, pian pianino risalendo fin sotto l’orecchio e la guancia. Girai<br />

cautamente il viso e la baciai sull’angolino della bocca.<br />

Il passato era scomparso completamente, come d’incanto, eravamo due<br />

sconosciuti che si incontravano per la prima volta.<br />

Continuó a baciare il mio collo e la mia gola premendovi dolcemente le labbra e<br />

lasciando la bocca aperta a metá perché ne sentissi piú intensamente il tepore umido.<br />

Fino a che disse<br />

-Da Katryn non potró piú baciarti cosí. Fermiamoci un poco, chissá quando ci<br />

rivedremo e voglio salutarti a modo mio.-<br />

Imboccai una stradetta di campagna che si apriva sulla destra, mi infilai per un sentiero<br />

che portava alla riva del fiume dove tante volte ero andato a pescare. La moto<br />

sobbalzando procedeva sicura.<br />

La grossa pietra, dove abitualmente mi sedevo per aspettare pazientemente che qualche<br />

trota ingenua abboccasse, era ancora lí come ad aspettarmi. Accostai la moto ad un<br />

grosso tronco, passando il braccio attorno alla vita di Aurelia mi diressi verso il masso<br />

che spiccava chiarissimo tra il verde del bosco, mi ci appoggiai. Aurelia si appoggió a sua<br />

volta a me, mi passó le braccia attorno al collo e mi bació a lungo, languida.


Premendo il suo ventre contro il mio con spinte successive mi lanció un<br />

inequivocabile invito e quando avvertí le mie mani sotto la gonna risalirle lungo le<br />

gambe, il suo bacio divenne ancor piú intenso, ormai nulla avrebbe potuto piú fermarci.<br />

Negli ultimi minuti aveva atteso con impazienza quel momento, lo intuii perché, piú che<br />

penetrare, scivolai dolcemente nel suo sesso tiepido e untuoso, fu piuttosto lei stessa a<br />

ricevermi aiutandosi con soavi movimenti delle anche.<br />

Rimanemmo immobili come per prolungare all’infinito quell’istante troppo breve, poi<br />

Aurelia non riuscí a trattenersi e riprese il movimento, ma con maggiore profonditá,<br />

sempre nel ritmo lento di prima, accellerandolo solo negli ultimi istanti quando anch’io,<br />

inarcando la schiena, liberai la mia passione.<br />

Rimanemmo a lungo immobili, allacciati, senza parole, ritirandomi dal suo corpo<br />

provai una sensazione di dolore fisico, mi sentii come mutilato.<br />

Stringendomi a sé mi bació di nuovo e, accorgendosi che volevo dire qualcosa, mi<br />

pose l’indice sulle labbra<br />

-Shhh! Non parlare. Ho voluto farti il regalo d´addio, nulla piú che un regalo.-


ANNUNCIATA<br />

Mi accadde quando mi trovavo in quella etá incerta, tra i quattordici e quindici<br />

anni, piú vicino ai quindici considerando che ci trovavamo in ottobre ed io sono nato in<br />

gennaio.<br />

Nell´appartamento del secondo piano del palazzetto dove vivevo abitavano Stefano e<br />

Annunciata Massari, una coppia a dir poco singolare.<br />

Lui, insegnante di storia, poco piú che quarantenne, magro e dinoccolato, faccia<br />

scimmiesca, occhi stralunati nelle orbite profonde, stempiato, barba ispida e tanto scura<br />

da far sembrare che non si radesse mai, trascurato nel vestire.<br />

Stravagante e sfasato nelle idee, aveva la mania di esporle prolissamente quando riusciva<br />

a trovare qualcuno disposto a ascoltarlo, in lunghi monologhi resi quasi allucinanti dal<br />

movimento isterico delle mani, contrastante con la fissitá attonita dello sguardo<br />

corrusco.<br />

Trascorreva la maggior parte del suo tempo libero nei caffé della cittá.<br />

Sorprendentemente diversa era invece la moglie, peraltro anche lei piuttosto<br />

originale, bella donna peró ed al contrario del marito, sempre molto elegante.<br />

Aveva capelli nerissimi come ali di corvo, lunghi, lucidi e lisci, divisi a metá da una<br />

scriminatura e raccolti all'indietro in una crocchia.<br />

Gli occhi leggermente a mandorla, scuri, dalle palpebre pesanti e quasi sempre<br />

semichiuse come in una espressione di intensa voluttá spiccavano piacevolmente sulla<br />

bianchezza del viso di un ovale perfetto, reso ancor piú gentile da un mento<br />

leggiadramente appuntito, mentre le labbra sottili scoprivano nel sorriso una chiostra<br />

appena un poco prominente di bianchissimi denti piccoli e regolari.<br />

Alta, ma non molto, la figura appena leggermente appesantita dalle forme un poco<br />

opulente di femmina morbida e succosa, ingentilita peró dal lungo collo sottile e dalla<br />

eguale sottigliezza delle caviglie agili di purosangue.<br />

La signora Annunciata era amica di famiglia, spesso saliva per una ragione o per l<br />

´altra intrattenendosi a chiacchierare a lungo con mia madre, insomma era quasi di casa.<br />

Fu lei a causarmi la prima indimenticabile emozione dei sensi in una giornata ventosa<br />

durante la quale ci trovammo per caso soli in una stanza che dava su di un ampio<br />

terrazzo dove una anziana cameriera, dal volto raggrinzito come una prugna secca, una<br />

simpatica toscana di nome Teresa, stendeva i panni del bucato.<br />

Un colpo di vento piú forte degli altri le aveva sollevata la gonna e la sottana, lasciando<br />

scoperti un paio di mutandoni bianchi, lunghi fino alla caviglia ove erano fermati da un<br />

legaccio, prima di allargarsi in un orlo di merletto.<br />

Venne da ridere a me a a lei che esclamó tra le risa<br />

–Sembrano le mutande di mia nonna!! Io le porto corte, cortissime. Vuoi vedere?-<br />

E di colpo sollevó le vesti fin quasi alla vita, mostrando due gambe di un bianco<br />

abbacinante, lá dove rimanevano scoperte violentemente in contrasto colle calze scure e<br />

col nero della biancheria.<br />

Per me fu come ricevere una scarica elettrica, imbarazzatissimo in un primo momento<br />

non sapevo dove guardare, poi l'eccitazione e l´istinto prevalsero, tanto che non riuscii


piú a staccare gli occhi da quella visione paradisiaca mentre lei, sorridendo dolcemente,<br />

ripeteva<br />

-Guarda! Guarda! Guarda quanto vuoi.- forse inebriata dalla sensazione di esser la prima<br />

a mostrare, ad un adolescente come ero io, le porte del Paradiso Terrestre.<br />

L´episodio turbó a lungo le mie giornate, non riuscivo a scordare la bianchezza cremosa<br />

di quelle carni, mi richiamavano alla mente qualcosa di commestibile, da prendersi a<br />

morsi, da affondarvi la bocca come in una enorme coppa di panna montata.<br />

Per diverso tempo alla sera mi riusciva difficile prender sonno, tormentato com´ero da<br />

quellaa immagine tanto vivida che, come in un sogno ad occhi aperti, mi sembrava<br />

rivedere per davvero le gambe scoperte, la gonna sollevata come di una ballerina di can<br />

can, il sorriso indicibilmente dolce.<br />

Avevo quasi quindici anni, come ho giá detto, e si stavano compiendo nel mio corpo<br />

quelle trasformazioni che cominciavano a rendermi, se non un uomo in senso pieno,<br />

almeno fisicamente un maschio e quei ricordi causavano l´inevitabile mutamento nelle<br />

dimensioni del mio sesso insieme ad un tormentante desiderio di toccarmi in quella<br />

parte che sembrava mi chiamasse, come animata da vita propria. Qualcosa mi tratteneva<br />

dal farlo, il timore di imboccare una strada senza ritorno.<br />

Furono due mesi di turbamenti, non riuscivo a distogliere dalla mente quelle<br />

immagini paradisiache, il biancore accecante delle gambe e il sorriso soavemente dolce<br />

della signora Annunziata.<br />

Ogni volta che mi capitava l´occasione la guerdavo, la guardavo a lungo senza timore,<br />

anche perché da quel giorno in poi Annunciata aveva cominciato a guardarmi in un<br />

modo, in un modo..., come se volesse dirmi qualcosa, farmi mille promesse, o almeno<br />

cosí mi sembrava.<br />

Accadde in un pomeriggio di domenica, ero solo e lo sarei stato fino alla sera, i<br />

miei erano andati a Belcastello ed ero rimasto in casa a fare i compiti per l'indomani.<br />

Sentii bussare alla porta, andato ad aprire me la trovai di fronte. Sorrideva<br />

misteriosamente, mi carezzó il viso e volle baciarmi sulle guance, ma passando da una<br />

guancia all´altra le sue labbra indugiarono un istante sfiorando mie ed io sentii come se<br />

tutto il sangue se ne fosse uscito dalle vene.<br />

Poi mi domandó<br />

-Tua mamma mi ha raccomandato di venire a controllare se stai studiando. Fammi<br />

vedere se hai fatto i compiti...- e mi sospinse verso lo studio, tenendomi stretto a sé con<br />

una mano premuta sul fianco, allacciandomi alla vita.<br />

Mi fece sedere alla scrivania. Curva su di me, volle guardare libri e quaderni, il seno<br />

premuto sulla mia spalla e la guancia quasi a sfiorarmi la guancia.<br />

Sentivo il contatto di lei, come se bruciasse, ma piú che altro avvertivo, misto ad un<br />

odore lieve di belletto, il suo alito, caldo e dolciastro, dolcezza quasi nauseante di<br />

materia in tiepida corruzione.<br />

D´improvviso si rizzó e andó ad accendere la radio<br />

-Musica da ballo. Vieni, balliamo.-<br />

-Ma non so ballare.-<br />

-Ti insegno io, vieni. Coraggio!-<br />

Ballammo, lei accortamente guidandomi, io seguendola con facilitá sulle prime. Poi<br />

nuovi fermenti mi si agitarono nel sangue, il sesso reagí vigorosamente e mi parve che la


donna nell'accorgersene mi stringesse ancor di piú premendo il ventre sul mio sempre<br />

piú forte.<br />

-Bravo! Hai visto? É stato facile...continuava a tenermi allacciato, poi soggiunse ...Voglio<br />

vedere se sei capace di sollevarmi, prova!-<br />

Mi chinai flettendosi sulle ginocchia, cingendole le gambe colle braccia all'altezza delle<br />

cosce, il viso poggiato sul ventre di lei, poi mi rizzai riuscendo a sollevarla e sostenerla,<br />

piegato all'indietro per aiutarmi nello sforzo. Ero alto e forte per la mia etá.<br />

Rimasi cosí per qualche istante, il volto affondato nel ventre morbido, poi la lasciai<br />

scivolare fino a terra. Nel poggiare i piedi mi diede un fuggevole bacio sulla punta del<br />

naso.<br />

-Sei forte come un toro. Ora sediamoci.-disse, e si accomodó su di una poltrona,<br />

accanto vi era uno sgabello, mi ci fece sedere in modo che i nostri visi fossero alla stessa<br />

altezza. D´improvviso mise la guancia a contatto delle mie labbra, muovendola<br />

lievemente sú e giú.<br />

Questo scacció gli ultimi dubbi, una acuta emozione si inmpadroní di me, cominciai a<br />

tremare violentemente, in sussulti quasi spasmodici. Tentai di controllarmi senza<br />

riuscirci. Annunciata mi sussurró<br />

-Dammi un bacio.- man mano che le davo piccoli timidi baci ripeteva con voce roca<br />

-Ancora, ancora. - mentre spostava impercettibilmente le sue bocca verso le mia finché<br />

ci trovammo labbra contro labbra, le bocche chiuse.<br />

Il mio tremore divenne frenesia ma cessó di colpo non appena avvertii il calore umido<br />

delle labbra di lei che si dischiudevano impadronendosi voracemente della mia bocca.<br />

Poi mi coprí di mille rapidissimi baci sulla fronte, sugli occhi, ancora sulla bocca<br />

sussurrando come in un gemito melodioso<br />

-Caro...caro...caro...-<br />

Si alzó, mi prese per mano guidandomi fuori della stanza lungo il salotto, sulle scale fino<br />

alla porta del suo appartamento e nella camera da letto. Accese la luce velata dell´abatjour<br />

e rimase ferma di fronte a me, distante un paio di metri.<br />

Slacció la vestaglia e la lasció cadere in terra, sotto era nuda, completamente nuda,<br />

vestita solo di un sorriso radioso, come ebbra nell´offrirsi al mio sguardo.<br />

Ero come paralizzato, comprendevo che le fantasie di settimane e settimane stavano per<br />

divenire realtá. Fissavo estatico quelle forme paradisiache, quella pelle indicibilmente<br />

bianca.<br />

Provavo un tumulto di sensazioni nuove che dalle parti estreme del corpo convergevano<br />

verso il centro, ingigantendosi mano a mano.<br />

Annunciata fece un passo in avanti, poi un altro, mi fu vicina quasi a sfiorarmi col<br />

corpo, mi posó le braccia sulle spalle allacciando le mani dietro al collo e mi bació<br />

nuovamente in un gesto dolce e prolungato. Poi, rimanendo io immobile con le braccia<br />

penzoloni, mi prese le mani e se le posó sui fianchi nudi.<br />

Il contatto con quelle carni soavemente fresche e morbide, sembró come se risolvesse<br />

un incantesimo, le mie dita ebbero appena il tempo di una brevissima fugace carezza,<br />

poi qualcosa si sciolse in me e il piacere sgorgó a fiotti copiosi dal mio corpo ancora<br />

inconsapevole e incredulo del miracolo ineffabile del quale era capace, lasciando lei<br />

ansimante e protesa in una offerta ormai inutile.<br />

Ma la gioventú dispone di risorse inesauribili e dopo pochi minuti fui


nuovamente in condizioni di scoprire finalmente la strada segreta che porta al paradiso.<br />

Dopo di quella domenica varcai spesso l'uscio di casa Massari quando Stefano era<br />

assente. Nelle prime ore del pomeriggio dicevo alla mamma che stavo uscendo per fare<br />

un giretto nei dintorni e mentre scendevo le scale, se vedevo che Annunciata aveva<br />

lasciato la porta appena socchiusa ne oltrepassavo la soglia sapendo che la mia fata era<br />

in attesa.<br />

Furono mesi di pura delizia, non vivevo che aspettando il momento di potermi<br />

tuffare in quel letto e lasciarmi amare.<br />

Era infatti Anunciata a prendere instancabilmente tutte le iniziative; non era mai sazia e<br />

quando, dopo un paio d'ore di furibonda passione, uscivo furtivamente dall<br />

´appartamento, ero completamente esausto.<br />

Godeva intensamente tenendomi tra le sue braccia, i lineamenti del suo volto si<br />

trasfiguravano in una estasi profonda come se si concentrasse per non perdere<br />

nemmeno la piú piccola frazione delle deliziose sensazioni che la freschezza e<br />

l'entusiasmo dell'amante fanciullo causavano in lei, pervadendole intimamente corpo e<br />

anima fino alle piú misteriose profonditá.<br />

Anni dopo, quando divenni maturo nel pensiero, al ricordare quelle ore frementi,<br />

mi chiedevo come una bella donna, matura e sensuale come Annunciata, avesse potuto<br />

nutrire una cosí intensa passione per un ragazzino appena alle soglie dell'adolescenza.<br />

Ero vigoroso e pieno di salute, ma quella maratona d´amore dopo qualche<br />

settimana fece sentire i suoi effetti e cominciai a deperire, il mio viso si affiló ed ero<br />

sempre pallido il che faceva ancor piú risaltare occhiaie profonde.<br />

Preoccupati, i miei mi mi portarono dal medico di famiglia che mi trovó sanissimo,<br />

sebbene un poco deperito. Mi ricettó un buon ricostituente e, profittando che eravamo<br />

soli, mi raccomandó di non esagerare nelle pratiche solitarie, e concluse<br />

-Non vergognartene, tutti l'abbiamo fatto, chi piú e chi meno, non credere di essere l<br />

´unico. É inevitabile, lo so, ma cerca di moderarti, ricorda che qualsiasi eccesso é sempre<br />

dannoso.-<br />

Il buon dottore non avrebbe mai potuto immaginare che quelle pratiche erano tutt'altro<br />

che solitarie.<br />

Ma non per questo le mie visite ad Annunciata diminuirono di frequenza e di intensitá.<br />

Mangiavo a quattro palmenti, questo e il tonico che mi aveva dato il dottore, e che<br />

prendevo a dosi triplicate, sostenevano il mio organismo e mi aiutavano a non deludere<br />

la mia fata.<br />

Sarei stato completamente felice se non fosse esistito in tutto questo il lato<br />

negativo, vivere in un permanente stato di ansia. Ero pervaso dal timore che la mamma<br />

con la sua sagacia o, ancor peggio, Stefano Massari, uno dei due, insomma, si<br />

accorgessero di quello che stava accadendo e in tal caso mi terrorizzava il pensiero di<br />

quel che sarebbe potuto accadere. Ma in realtá quel che piú mi angustiava non era la<br />

paura del castigo mache avrebbe rappresentato la fine dei miei incontri con Annunciata.<br />

Tutto terminó invece in maniera banale, senza castighi e senza tragedie.<br />

Da un certo tempo mi era venuta la mania dello scultore. Mi ero fatto comprare da mio


padre un blocco di argilla e tentavo di plasmarlo nel volto dell´amata, senza peraltro<br />

riuscirvi.<br />

Prima di rendermi conto che non sarei mai divenuto un Canova, accadde che nella<br />

mattinata di un giorno di vacanza Annunciata si infiló di soppiatto nella saletta dove<br />

stavo dandomi da fare con la creta, avvisandomi che il marito sarebbe stato fuori casa<br />

durante tutto il pomeriggio e pertanto piú tardi mi avrebbe atteso, come al solito.<br />

Vestiva una vestaglia lucida, quasi nera. In quel momento eravamo soli, mi si fece vicino<br />

e, con l'abituale temerarietá, mi abbracció baciandomi con passione. Le mie mani,<br />

insudiciate dai resti dell'argilla che avevo manipolato fino a poco prima, le scesero<br />

avidamente lungo la schiena e indugiarono a lungo sulla dolcezza di quelle curve.<br />

Ci staccammo al percepire che qualcuno stava avvicinandosi, la porta si aprí ed entró<br />

mia madre.<br />

Annunciata disse allora -Ciao- con l'aria piú innocente del mondo e uscí dalla stanza<br />

mostrando, a chi voleva e a chi non voleva vedere, le inconfondibili impronte grigiastre<br />

lasciate qualche istante prima dalle palme e dalle dita delle mie mani stampate sullo<br />

scuro della stoffa sulle natiche che si muovevano armoniosamente accompagnandone il<br />

passo felino.<br />

Non ci sarebbe voluto Sherlok Holmes per intuire quel che era avvenuto e in quanto a<br />

sagacia mia madre avrebbe potuto dare tranquillamente dei punti al celebre poliziotto.<br />

Tutto terminó nel massimo silenzio e nella piú assoluta discrezione.<br />

Da quel preciso momento Stefano e Annunciata Massari scomparvero improvvisamente<br />

dalla mia vita come se fossero svaniti nel nulla. Non vidi mai piú la mia fata.<br />

Tentai invano di scoprire sul volto della mamma i segni di un silenzioso rimprovero,<br />

perché era piú che sicuro che aveva scoperto tutto, ma su quel viso imperturbabile non<br />

trovai nessun indizio rivelatore.


REALTÁ, SOGNO e REALTÁ<br />

Accadde proprio a me, alcuni anni fa ed ancora mi chiedo se fu solo un sogno o<br />

qualcosa di piú.<br />

Il mio nome é Diana, Diana Boemi, per esser precisi. Sono una brunetta piuttosto<br />

piccola ma molto ben fatta, almeno a quanto mi dicono e a quanto posso constatare io<br />

stessa guardandomi allo specchio allo stato naturale.<br />

Me lo diceva il anche mio principale di allora il dottor Giusto Loich, il Dottore, come lo<br />

chiamavano nello stabilimento della Eurodomain, industria di media importanza. Un<br />

bell´uomo alto, molto interessante, peccato fosse sposato anche se diviso dalla moglie, e<br />

oltre a questo un poco troppo donnaiolo per i miei gusti. Almeno a quanto si diceva nell<br />

´ambiente.<br />

Ero la sua segretaria. Al principio stavo per prendermi una cotta di quelle,<br />

fortunatamente mi accorsi del pericolo prima che fosse troppo tardi e decisi di stare in<br />

guardia, non potevo permettermi di cadere in una trappola del genere anche se<br />

immaginavo sarebbe stato molto piacevole, almeno nei primi tempi. Ma sapevo che<br />

avrei finito inevitabilmente con il rimetterci le penne e questo proprio non mi andava.<br />

Le circostanze mi aiutarono, un collega cominció a farmi la corte e seppi approfittarne.<br />

Era un giovane magro come un chiodo, dalla carnagione scura come quella di un arabo<br />

che faceva risaltare i denti bianchissimi nel sorriso, portava grossi occhiali dalla spessa<br />

montatura nera. Simpatico. Ed era uno che non perdeva tempo.<br />

Una sera mi appostó all´uscita, era nella sua auto, una Fiat blu che aveva conosciuto<br />

tempi migliori, comunque un mezzo di locomozione prezioso in una giornata di<br />

sciopero del sistema di trasporti della cittá.<br />

Era fermo davanti all´uscita, aprí la portiera dell´auto e si offrí di accompagnarmi a casa.<br />

Non fu una sorpresa, giá me lo aspettavo, non persi tempo e sedetti accanto a lui,<br />

naturalmente mi portó a spasso per un bel po´prima di arrivare nella strada dove<br />

abitavo.<br />

Eugenio, si chiamava Eugenio, non era il tipo da perder tempo, ripeto. Avrebbe voluto<br />

giungere al concreto quella sera stessa, ma non gli permisi nemmeno la piú piccola<br />

libertá anche perché non ne sentivo l´impulso, era la prima volta che gli stavo vicina e<br />

avrei dovuto prima abituarmi un poco a lui, un poco almeno. Peró mi piaceva e gli<br />

lasciai capire che era solo questione di tempo e, se avesse saputo aspettare, la sua<br />

costanza sarebbe stata compensata. Al terzo incontro permisi finalmente che mi<br />

baciasse.<br />

Passarono cosí due anni o poco piú. Il mio rapporto di lavoro con il Dottore era molto<br />

soddisfacente e il suo comportamento nei miei riguardi piú che corretto,.<br />

Gentile, cordiale ma sempre molto rispettoso, mi trattava quasi come fossi un uomo.<br />

Una volta sola si permise un commento salace nei miei riguardi, ma in presenza di altri<br />

impiegati con i quali mi ero fermata a conversare nella sala di attesa dopo l´orario di<br />

lavoro. Passó di lá e si fermó per scambiare quattro chiacchiere informali.<br />

Parlando di me mi definí una Venere tascabile, piccolina, molto ben fatta ma soprattutto


dotata di indiscutibili qualitá calipigie. Nessuno di noi sapeva in che cosa consistessero<br />

tali qualitá né lui volle essere piú esplicito, ma si vedeva chiaramente che si stava<br />

divertendo.<br />

Non mi diedi per vinta e andai consultando dizionari ed enciclopedie finché giunsi a<br />

scoprire cosa avesse voluto dire ed allora quasi mi buscai un torcicollo allo specchio<br />

girando il capo all´indietro il piú che potevo per poter constatare con i miei occhi la<br />

veridicitá di una tale affermazione.<br />

Comunque sapevo giá di essere dotata di un discreto posteriore se non altro per i salaci<br />

commenti al riguardo lanciati da qualche cascamorto piú sfacciato e dall´insistenza con<br />

la quale i miei innamorati si davano da fare con le mani in quei dintorni non appena gli<br />

se ne presentasse l´occasione.<br />

Finché un giorno....<br />

Giá da un poco di tempo mi sentivo strana, la mente annebbiata, come se stessi vivendo<br />

in una specie di dormiveglia. Ma il curioso é che ero turbata da pensieri erotici, cosa che<br />

non mi era mai accaduta prima. Mi piace amoreggiare col mio ragazzo, e con una certa<br />

liberalitá, sempre peró rispettando determinati limiti, ma non ero mai stata una maniaca<br />

del sesso né il sesso era il mio pensiero dominante.<br />

Ma in quei giorni strani pruriti si agitavano in me e ancor piú stranamente non era<br />

Eugenio l´oggetto dei miei desideri piú audaci. Il Dottor Giusto, proprio lui, era il<br />

protagonista delle fantasie che la mia mente si permetteva malgrado tentassi<br />

proibirmelo. Del resto ogni tentativo era inutile, contro la mia stessa volontá il pensiero<br />

tornava e ritornava sugli argomenti proibiti.<br />

Ma non mi sembrava fossi io, era come se un´altra si agitasse in me dominandomi<br />

completamente e facendomi fare quel che lei voleva.<br />

Accadde cosí. Il Dottore era stato lontano durante tre lunghissimi mesi di ferie che si<br />

erano accumulate durante gli anni e che aveva deciso di godersi tutte insieme andandosi<br />

ad unire ad una spedizione scientifica che faceva ricerche in Papuasia presso tribú che<br />

avevano avuto fino a quel momento pochissimi contatti con la civilizzazione.<br />

Con grande sorpresa mi accorsi ad un certo momento che risentivo della mancanza del<br />

mio principale. Lo attribuii in un primo momento semplicemente al fatto che ero ormai<br />

abituata alla sua presenza, quasi come a quella di un quadro o di una statuetta che piace<br />

e lascia un vuoto nella parete o sul mobiletto da dove é stata tolta. Niente piú di questo.<br />

Ma debbo riconoscere che quando finalmente lo rividi provai un certo non so che,<br />

specialmente dopo che mi aveva lanciato uno sguardo che sembró mi trapassasse da<br />

parte a parte.<br />

Non mi aveva mai guardata in quel modo e ne rimasi turbata.<br />

Comunque questo era accaduto solo al momento del suo ritorno, subito dopo ogni cosa<br />

tornó alla normalitá, almeno per quanto riguardava lui perché da parte mia mi sentivo<br />

diversa, ogni giorno un poco differente da quella che ero stata fino a prima.<br />

Era qualcosa che accadeva dentro di me lasciandomi perplessa, direi addirittura<br />

sconcertata. Non sapevo spiegarmene il perché né il come, ma cominciavo a sentirmi<br />

attratta sensualmente da lui, ad intervalli peró.<br />

Per qualche giorno mi era indifferente, poi di punto in bianco al solo vederlo<br />

cominciavo a fantasticare e sentivo il desiderio di accoccolarmi tra le sue braccia.<br />

Accadeva anche quando mi trovavo da sola con Eugenio di sera in qualche stradetta


uia. Pur senza volerlo cominciavo ad immaginare di punto in bianco che stessi invece<br />

con il Dottore e mi eccitavo in una misura che non riuscivo a spiegarmi.<br />

Ero confusa, disorientata, non mi capivo piú. Non mi sono mai piaciute le situazioni<br />

ambigue e decisi di andare a fondo per scoprire cosa in realtá mi stava succedendo.<br />

Di solito sul finire del pomeriggio riunivo la corrispondenza in uscita e puntualmente<br />

alle quattro e mezzo, mezz´ora prima della fine dell´orario di lavoro, bussavo alla sua<br />

porta portando con me la cartella delle lettere da firmare. Quel giorno invece bussai alle<br />

cinque meno un quarto e facendo capolino lo avvisai che ero in ritardo e che la<br />

corrispondenza sarebbe stata pronta solo dopo una decina di minuti. Mi rispose che non<br />

era un problema, tanto lui sarebbe rimasto in ufficio fino a molto piú tardi per<br />

esaminare alcune pratiche arretrate.<br />

Temporeggiai fino a dopo le cinque tornando a bussare alla porta solo quando fui ben<br />

sicura che tutti i colleghi erano giá andati via.<br />

Ero decisa, decisissima, ma sempre con quella strana sensazione di avere la mente<br />

confusa, come in una spacie di dormiveglia, sentendomi nello stesso tempo<br />

perfettamente lucida e cosciente delle mie azioni. Sembrerebbero sensazioni contrastanti<br />

ma era proprio quel che mi stava accadendo.<br />

Era come se due personalitá, distinte e separate si agitassero in me, drasticamente<br />

contrastanti, la confusione dovuta alla lotta tra loro, l´una voleva agire<br />

spregiudicatamente, l´altra tentando trattenerla.<br />

Comunque in quel momento fu la Diana piú recente a prevalere prendendo decisamente<br />

l´iniziativa.<br />

Il Dottore aveva appena finito di leggere e firmare l´ultima lettera quando feci la prima<br />

mossa, non immaginando nemmeno lontanamente quali ne sarebbero state le<br />

conseguenze.<br />

La domanda venne fuori improvvisa, come per ispirazione subitanea, non avevo<br />

nemmeno avuto il tempo di pensarci sopra.<br />

–Posso rivolgerLe una domanda?-<br />

-Chiaro, da quando in quá dovrebbe chiedermene il permesso?-<br />

-Ma questa é qualcosa fuori dall´ordinario, direi quasi indiscreta.-<br />

Sorrise divertito<br />

–La conosco ormai molto bene, il suo concetto di indiscreto é molto relativo. Mi ha<br />

comunque incuriosito, dica pure.-<br />

Ormai ero sbilanciata, non esitai<br />

–Vorrei sapere perché non ha mai tentato di baciarmi.-<br />

Io stessa rimasi sbalordita dall´enormitá di quel che avevo detto. Lui non batté ciglio,<br />

ma fu costretto ad ammettere<br />

–Questa proprio non me la aspettavo, una domanda impertinente per davvero. Mi ha<br />

messo alle corde. A questo punto non ho molta scelta, o mi rifiuto di rispondere o devo<br />

darle una risposta molto diplomatica, per non offendere la sua sensibilitá di donna....esitó,<br />

si vedeva chiaramente che era perplesso ma nello stesso tempo divertito, almeno<br />

fino ad un certo punto. Finí per concludere<br />

–Diciamo pure che me ne é mancata l´occasione. Proprio cosí, me ne é mancata l<br />

´occasione.-<br />

Ribattei sfrontatamente


–Se le occasioni non si presentano da sole, ad un certo momento si possono creare<br />

forzando le cose.-<br />

-Evidente, a meno che esistano condizioni che lo sconsiglino.-<br />

-Sarebbero?-<br />

-Beh! In primo luogo una certa etica di comportamento nel rapporto di lavoro e poi, a<br />

quanto ne só, Lei ha un innamorato col quale fila un perfetto amore. Perché mettermi in<br />

mezzo? Per rischiare un rifiuto o tentarla a fare un torto al suo amico del cuore?-<br />

-Un bacio non é poi la fine del mondo, non porta via nulla. Un bacio non impegnativo<br />

ancor meno.-<br />

-Definizione piuttosto ambigua. In cosa consisterebbe un bacio non impegnativo? Il<br />

bacio che si da alla mamma o alla zia Carolina?-<br />

-Non di questo genere, un bacio vero, tra uomo e donna, ma senza impegno, senza<br />

domani, ripeto, un bacio che lascia il tempo che trova, bello finché dura.-<br />

-Un bacio passatempo, allora. Un bacio, chiamiamolo cosí...sportivo?-<br />

-Piú o meno di questo genere.-<br />

-Tanto per fare una esperienza nuova?-<br />

-Proprio cosí, un´esperienza nuova e nulla piú.-<br />

Mi sembró tentato ma non abbastanza, era chiaro che stava per tagliar corto e por fine<br />

alla conversazione. Ma ero ormai lanciata e non volevo che la mia iniziativa si<br />

concludesse con un nulla di fatto, sarebbe stato troppo umiliante. Un attimo prima che<br />

aprisse la bocca per congedarmi, mi sembrava chiaro che lo avrebbe fatto, me ne<br />

accorgevo dal suo modo di fare, gli tagliai la strada in una manovra francamente sleale<br />

–Se questa esperienza non l´attira vuol dire che mi considera una donna da niente, senza<br />

alcuna attrattiva, a meno che non sia Lei ad avere altre preferenze.- e lo dissi in un tono<br />

da lasciar poçhi dubbi su quelle che sarebbero state le preferenze.<br />

Avevo rischiato molto, il mio posto di lavoro soprattutto, ma compresi immediatamente<br />

che avevo colpito nel segno.<br />

Si alzó di scatto avvicinandosi alla porta e chiudendola a chiave. Si volse verso di me<br />

-C´é un limite a tutto e non posso ammettere una insinuazione del genere, perció<br />

passando sopra ai miei princípi le mostreró quali in realtá siano le mie preferenze.-<br />

Senza por tempo in mezzo mi prese fra le braccia e cominció a baciarmi, piccoli<br />

rapidissimi baci sulla gola, sotto l´orecchio, sulle guance finché le sue labbra furono sulle<br />

mie e si dischiusero.<br />

Fu un bacio interminabile che mi lasció senza respiro e immediatamente accadde<br />

qualcosa che mai mi era accaduta prima, un´orgasmo dolce che pervase tutte le cellule<br />

del mio corpo trasportandomi in uno stato di ebbrezza a me completamente<br />

sconosciuto fino a quel momento, una sensazione nuovissima di piacere tanto intenso<br />

che non immaginavo nemmeno potesse esistere.<br />

Non era di certo il primo orgasmo della mia vita, sebbene non sia mai facile per me<br />

arrivarci e non sempre ci riesca. Giunge ogni volta accompagnato da una sensazione<br />

quasi dolorosa per lo sforzo che ho fatto, si che i momenti veramente piacevoli sono in<br />

realtá quelli che precedono la fase finale.<br />

Quella volta fu completamente diverso, in effetti la fase preparatoria mancó<br />

completamente perché il mio corpo si sciolse nello stesso momento che mi sentii stretta<br />

fra le sue braccia e in questa condizione di ineffabile piacere rimase fino al momento nel


quale ci separammo, o piuttosto lui si separó da me. Non saprei dire quanto l<br />

´incantesimo fosse durato, qualcosa tra l´eternitá e l´attimo fuggente, il tempo si era<br />

fermato.<br />

Il distacco fu doloroso, insopporttabile, gli buttai le braccia attorno al collo<br />

–Mi baci di nuovo, per favore....- Non se lo fece ripetere e il miracolo avvenne ancora<br />

una volta, non appena le nostre labbra si trovarono unite l´onda di piacere mi travolse<br />

nuovamente.<br />

Quando ci staccammo mi sentii pervasa da un´immensa sensazione di felicitá, non<br />

riuscivo a controllarmi, volevo esprimere la mia gratitudine in un modo tangibile e in un<br />

impulso improvviso gli presi la mano e la baciai. Non sono mai riuscita a capire il perché<br />

di quel gesto<br />

–Grazie...Grazie...-<br />

-Grazie di che?- domandó sorpreso. Gli spiegai allora quel che era successo per la prima<br />

volta nella mia vita<br />

–Anche per me é stato meraviglioso, le sue labbra sono cosí dolci che non avrei mai<br />

smesso di baciarle, come vede siamo pari.-<br />

-Nientaffatto. Ho raggiunto il Paradiso due volte mentre Lei evidentemente é rimasto a<br />

bocca asciutta senza scaricare la tensione. Stia buono e mi lasci fare.-<br />

Il diavoletto maligno prevalse nuovamente inducendomi a fare qualcosa della quale<br />

conoscevo solo vagamente l´esistenza ma che mai potevo immaginare avrei fatto.<br />

Fu piú forte di me e avvenne completamente al di fuori della mia volontá, come se i fatti<br />

avvenissero da soli un attimo prima che me ne accorgessi e quando me ne accorsi era<br />

ormai troppo tardi.<br />

Sulle prime protestó, tentó di impedirmelo sia pur senza troppa convinzione, poi lasció<br />

fare preso dapprima dall´emozione e poi dall´estasi del piacere che gli stavo dando. Nell<br />

´attimo finale emise un gemito di soddisfazione mentre mi carezzava i capelli.<br />

-Ora sí che siamo pari. – dissi infine soddisfattissima di quel che avevo fatto.<br />

Ci ricomponemmo per riprendere a baciarci finché il mio sguardo cadde sull´orologio<br />

che era appeso sulla parete di fronte alla scrivania e mi accorsi che si era fatto tardi.<br />

–Mio Dio, sono giá le sette e mezzo, devo andar via subito.-<br />

Controlló l´ora sull´orologio da polso<br />

–Effettivamente si é fatto tardi senza che ce ne accorgessimo. Non vorrei crearle<br />

problemi in casa o col suo innamorato.-<br />

Lo disse con freddezza, continuando a darmi del lei. Evidentemente si comportava cosí<br />

per lasciar ben chiaro che quello che era accaduto poco prima non era niente di piú che<br />

un semplice episodio senza impegno, senza domani, che lascia il tempo che trova, bello<br />

finché dura, come io stessa avevo detto poco prima.<br />

Per lui era cosí e forse anche per me, ma ancora non mi ero resa conto completamente<br />

di quel che era accaduto e di quel che avevo fatto, né come né perché.<br />

Aprí la porta ma prima di lasciarmi uscire volle baciarmi ancora una volta, un bacio<br />

lungo ed appassionato, quasi un bacio di addio. Poi mi guardó negli occhi e disse<br />

freddamente<br />

–Non é successo niente quí dentro stasera. É stato solo un sogno.-<br />

Tornai a casa in un inspiegabile stato di ebbrezza, ero come ubriaca, confusa ma felice e<br />

cosí rimasi finché non riuscii ad addormentarmi.


Mia madre aveva intuito che mi era accaduto qualcosa di insolito ed era entrata nella mia<br />

camera mentre stavo per mettermi a letto<br />

–Cos´hai, figlia?...-mi chiese –Sei strana, eccitata, non ti avevo mai vista cosí. È successo<br />

qualcosa di speciale?-<br />

-Niente, mamma, mi sento bene e sono felice. Tutto quí. Puoi star tranquilla.-<br />

-Ottimo, dormi bene, buona notte.- mi bació sulla fronte e uscí dalla stanza lasciandomi<br />

sola con i miei pensieri.<br />

Mia madre aveva ragione, ero eccitata e mi riuscí difficile addormentarmi.<br />

Ma se mi ero addormentata felice non lo ero piú di mattina, al risveglio.<br />

Un attimo dopo essermi destata, seduta sul letto mi assalirono d´improvviso i ricordi di<br />

quel che era accaduto la sera precedente.<br />

Per un attimo pensai si fosse trattato di un sogno ma subito dopo capii che non lo era<br />

stato. Rivissi istante per istante quei momenti senza riuscire a rendermi conto del perché<br />

mi ero comportata in quella maniera indegna, completamente contraria al mio modo di<br />

essere e di pensare. Non riuscii a spiegarmelo anche perché in fondo in fondo, ma non<br />

molto in fondo per la veritá, non potevo impedirmi di sentire nello stesso tempo un<br />

piacere maligno e insidioso rivivendo le fasi dell´intero episodio, il che mi faceva ancor<br />

piú rabbia. Non potevo ammetterlo nemmeno come un vago sospetto.<br />

All´improvviso mi assalí la smania di correre in ufficio e dirne quattro a quell´uomo.<br />

Ma prima rimasi per un bel pezzo sotto una doccia sferzante di acqua quasi bollente, mi<br />

insaponai e riinsaponai non so quante volte come se volessi asportare dalla mia pelle<br />

ogni traccia del passato. Tentai guardarmi allo specchio appannato dal vapore riuscendo<br />

solo a scorgere un volto indistinto del quale si potevano vedere chiaramente appena i<br />

due punti neri degli occhi.<br />

Passai un asciugamano sulla superficie per ripulirla e finalmente rividi il mio viso sul<br />

quale tentai invano di scorgere qualcosa di diverso, ero sempre la stessa malgrado quel<br />

che era avvenuto. Al ricordo sentii un sapore amaro in bocca, un onda di disgusto mi<br />

dominó e provai il desiderio acuto, piú che il desiderio, il bisogno di lavarmi la bocca<br />

come per purificarla. Riempii fino all´orlo il bicchiere con acqua ed una dose<br />

concentrata di colluttorio e continuai a sciaquarmi la bocca per diversi minuti fino a che<br />

mi sentii meglio.<br />

Fui costretta a vestirmi in gran fretta perché tra doccia e gargarismi si era fatto tardi e<br />

non vedevo l´ora di ritrovarmi a tu per tu col Dottore e dirgliene quattro.<br />

Peró nell´autobus ebbi tempo di riflettere e giungere alla conclusione che se c´era<br />

qualcuno da recriminare ero io e solo io.<br />

In effetti ero stata io a prendere l´iniziativa e provocarlo, non gli avevo lasciato scelta,<br />

solo un santo o un eroe avrebbe potuto resistere alla pressione alla quale l´avevo<br />

sottoposto.<br />

In quel momento l´unica alternativa per lui sarebbe stata quella di sbattermi fuori dalla<br />

porta in malo modo o cedere alla mia insistenza insinuante. Era quel che aveva fatto, un<br />

uomo nelle cui vene non scorresse acqua distillata non poteva comportarsi altrimenti.<br />

Comunque volevo lasciare ben chiaro che fatti del genere non si sarebbero mai piú<br />

ripetuti ed ero impaziente di farlo forse perché pensavo che in tal modo avrei potuto<br />

passare un panno sull´accaduto e ripulirmi tutta, a cominciare dalla coscienza.


Ma fui costretta ad inghiottire la mia rabbia per un bel pezzo, molto di pú di quanto non<br />

avevo previsto. Il Dottore quella mattina tardava a salire in ufficio, costretto a trattenersi<br />

nei reparti di lavorazione a causa di una serie di imprevisti.<br />

Forse fu un bene perché questa circostanza mi concesse piú tempo per riflettere e forse<br />

fu un male perché permise alla mia rabbia di accumularsi.<br />

Erano le undici passate quando finalmente il Dottore entró nella sua sala. Non persi<br />

tempo e bussai alla porta aprendola senza nemmeno dargli il tempo di invitarmi ad<br />

entrare.<br />

Mi guardó sorpreso con aria interrogativa come per chiedermi il perché di tanta fretta.<br />

Tagliai corto dicendo senza preamboli e cerimonie<br />

–Voglio avvertirLa che quel che é accaduto quí ieri sera non si ripeterá mai piú. Che sia<br />

ben chiaro una volta per tutte.-<br />

-Mi scusi, ma non capisco. Cosa sarebbe successo quí dentro ieri sera?-<br />

-Lo sa benissimo.- replicai uscendomene immediatamente dopo, senza nemmeno<br />

attendere la risposta. Ero peró piú tranquilla di prima, era evidente che il Dottore aveva<br />

voluto trasmettermi un messaggio, per lui era come se la sera prima non fosse successo<br />

nulla o almeno lo aveva giá dimenticato e io avrei potuto fare tranquillamente<br />

altrettanto.<br />

Il resto della settimana trascorse effettivamente come se niente fosse accaduto, il<br />

Dottore mi trattava nello stesso modo di sempre, gentile, esigente e con la solita<br />

cordialitá controllata senza lasciare alcuna breccia che avrebbe potuto farmi capire che l<br />

´episodio del martedí sera avesse lasciato tracce.<br />

Ma io ero cambiata, non moltissimo ma sentivo che qualcosa era effettivamente mutata<br />

in me. Ero tornata ad essere lucida, senza contrasti interni e quindi potevo giudicare con<br />

freddezza ed obbiettivitá.<br />

Me ne accorsi al mio incontro con Eugenio il giorno dopo del fattaccio quando, fermata<br />

l´auto nella solita stradetta solitaria di tutte le sere, mi prese tra le braccia e mi bació. Un<br />

bacio assolutamente senza sapore, non provocó in me quella sensazione di piacere che<br />

mi aveva sempre dato fino a qualche giorno prima, un bacio che non sapeva di nulla.<br />

Quella sera tutto avvenne come il solito, comunque le carezze che ci scambiammo non<br />

erano le stesse di prima, almeno le mie. Era come se fossero solo meccaniche, le sue<br />

invece mi parvero piú appassionate del solito forse nel tentativo di smuovere la mia<br />

freddezza, di riscaldarmi almeno un poco.<br />

Attribuii questa mia mancanza di ardore nei riguardi di Eugenio al rimorso che provavo<br />

al pensiero del torto che gli avevo fatto e al complesso di colpa che ne era stata la<br />

conseguenza, ma pensai che con il passar dei minuti le cose sarebbero tornate ad essere<br />

quelle di prima e i baci e le carezze del mio innamorato avrebbero causato nuovamente<br />

in me gli effetti di una volta.<br />

Ma cosí non fu né quella sera e nemmeno negli incontri successivi, il che ebbe un effetto<br />

deprimente sul mio morale giungendo perfino a causarmi una certa depressione.<br />

Ritenendo sempre che la causa fosse il complesso di colpa del quale non riuscivo a<br />

liberarmi, ad un certo momento giunsi a pensare perfino di riuscirvi confessando a<br />

Eugenio quello che era accaduto fra me e il Dottore, sperando che un tale sacrificio mi<br />

avrebbe purificato e tutto sarebbe tornato come prima.<br />

Per fortuna all´ultimo momento cambiai idea e non commisi quello che sarebbe stato un


errore imperdonabile.<br />

Le cose non mutarono nei giorni seguenti, i miei rapporti con Eugenio non<br />

migliorarono e cominciai a risentirne fisicamente. Ormai il mio corpo si era abituato al<br />

piacere che quegli incontri provocavano e la mia sensualitá vi trovava lo sfogo<br />

necessario per soddisfare le sue esigenze anche se dentro i limiti che avevo imposto.<br />

Giunsi perfino ad essere piú permissiva sperando cosí di poter raggiungere le precedenti<br />

sensazioni di piacere nelle quali trovavano sfogo le tensioni naturali nel mio fisico di<br />

giovane donna sana e normale.<br />

Ma le cose non migliorarono affatto, anzi il mio disagio aumentó anche perché non mi<br />

fu facile tornare indietro e costringere Eugenio a rispettare i limiti di prima.<br />

Forse fu proprio questo a provocare in me uno stato di insofferenza che divenne quasi<br />

penoso finché dopo una decina di giorni le tensioni che erano quasi divenute<br />

insopportabili cominciarono ad allentarsi e diminuire.<br />

Accadde una mattina quando il Dottore passando davanti alla mia scrivania prima di<br />

entrare nella sua sala mi guardó intensamente attraverso il vetro che separa il corridoio<br />

dal salone degli impiegati.<br />

Mi sentii subito meglio, come se quello sguardo fosse dotato di un potere sconosciuto<br />

ma nello stesso tempo avvertii uno stato di leggera confusione mentale avvolgermi<br />

come nebbia sottile.<br />

Di nuovo predominava la strana sensazione di sdoppiamento della personalitá, due<br />

nature diverse e contrastanti in lotta fra loro e, come spesso accade in questi casi, fu la<br />

parte peggiore che alla fine prevalse.<br />

Il venerdí sera di proposito ritardai quella specie di cerimonia che era ormai divenuto l<br />

´esame e la firma della corrispondenza che in quella particolare occasione era molto<br />

abbondante. L´ultima lettera, letta ed esaminata accuratamente come tutte le altre, fu<br />

firmata quando gli altri impiegati erano usciti dal salone.<br />

Me ne accertai dando una rapida occhiata dalla porta che avevo aperta come per uscire<br />

anch´io, ma tornando sui miei passi rientrai nella sala. Mi sentii dire, é proprio questa l<br />

´espressione esatta, sentii che io dicevo<br />

–Dottore, vorrei farLe un regalo.- mi guardó incuriosito<br />

–Non é il mio compleanno, né il mio onomastico e nemmeno un´occasione speciale.<br />

Che specie di regalo, una scatola di cioccolatini, un libro? In ogni caso dev´esser<br />

qualcosa di molto piccolo perché non vedo nulla nelle sue mani.- Era chiaramente<br />

divertito e incuriosito.<br />

–Non é nulla di questo, é qualcosa di completamente diverso e che fa parte di me.replicai<br />

immediatamente con parole che mi uscirono precipitosamente dalla bocca senza<br />

che avessi avuto il tempo di pensarci sopra. Decisamente in quel frangente la mia lingua<br />

era divenuta molto piú veloce del cervello. Non ebbi nemmeno il tempo di pentirmi<br />

perché giá stavo chiedendo<br />

–Cosa é che piú Le piace in me?-<br />

Ero riuscita comunque a scombussolarlo, evidentemente non stava comprendendo<br />

nulla. Dopo un attimo di silenzio<br />

–La sua personalitá, il suo carattere, il suo modo di fare, sebbene a volte mi riesca<br />

incomprensibile, come in questo momento, per esempio.- rispose come rifiutandosi di<br />

entrare nella trappola che gli avevo tesa


–Non mi riferivo affatto alle doti morali. La ringrazio dei suoi apprezzamenti ma la mia<br />

domanda aveva obbiettivi molto meno spirituali. Saró piú esplicita, cosa la colpisce di<br />

piú nel mio fisico?-<br />

Mi lanció uno sguardo ironico come se ancora una volta volesse farmi capire di non<br />

voler entrare nel mio gioco, pensó per un attimo prima di rispondere<br />

–Senza dubbio le fossette che si formano sulle sue guance quando sorride. Sono<br />

veramente deliziose.-<br />

Effettivamente quando sorrido si formano due buchette ai lati della bocca, piacciono<br />

anche a me quando mi sorrido allo specchio. Ma nemmeno quella era la risposta che<br />

volevo.<br />

–Ancora una volta una risposta troppo romantica. Per favore sia meno nobile e dica<br />

senza sotterfugi quale parte del mio corpo le piace di piú.-<br />

Svicoló ancora<br />

–Se ricorda ci fu una volta che la definii una Venere tascabile, il suo corpo é perfetto,<br />

non c´é nessuna parte che sia meno ammirevole delle altre né io sono la moderna<br />

incarnazione di Paride che almeno fece la sua scelta fra tre donne, tre dee per di piú.-<br />

Fui costetta a costringerlo con le spalle al muro<br />

–Non ricorda di quel giorno in cui mi chiamó di Calipigia? Non capii nel momento ma<br />

in seguito riuscii a scoprirne il significato. Quindi Lei una preferenza ce l´ha, a meno che<br />

quella volta non volesse soltanto prendermi in giro.-<br />

-Assolutamente no, lo dissi in tono scherzoso ma quella era una veritá indiscutibile e<br />

ancora adesso lo é...- terminó spostando il collo di lato come per riuscire a dare un<br />

´occhiata piú specifica alla parte in questione e annuendo soddisfatto subito dopo.<br />

La mia lingua si mosse nuovamente alla velocitá della luce<br />

–È questo il regalo che vorrei farle.-<br />

Mi guardó incredulo, mi sembró addirittura che balbettasse<br />

–Cosa vorrebbe dire con questo?-<br />

Uscimmo dalla sala tre ore dopo. Volle accompagnarmi a casa nella sua automobile, c<br />

´era solo il custode in fabbrica a quell´ora ma non mi vide perché ero accoccolata sul<br />

sedile posteriore. Esausta ma felice.<br />

Era il venerdí sera, come ho giá detto. Lo stato di euforia permase intatto fino alla<br />

mattina della domenica quando mi svegliai con un profondo senso di disagio che solo<br />

dopo qualche minuto riuscii a spiegarmi ricordando quel che era accaduto il venerdí<br />

sera.<br />

Francamente non mi capivo piú, mi ero addormentata felice e contenta e mi svegliavo<br />

dominata da un´angustia che in pochi momenti si tramutó in rabbia.<br />

Non potevo credere a quel che avevo fatto e ancor meno alla soddisfazione che avevo<br />

provato fino a qualche ora prima. Non poteva essere accaduto, non era possibile che<br />

fossi stata io quella donna che si era docilmente data in maniera ignobile e ne era per<br />

giunta soddisfatta e felice.<br />

Passai il resto della giornata ad odiarmi. Fui sgarbata perfino con mia madre<br />

preoccupata al vedermi cupa ed avvilita<br />

-Mamma, son fatti miei se oggi sono nervosa. Non immischiarti e lasciami in pace.- Me<br />

ne ero pentita subito dopo ma ancora troppo irritata per chiedere scusa.


Mi accorsi che la mamma oltre ad essere preoccupata per il mio stato di nervosismo piú<br />

che evidente, era anche molto dispiaciuta per la maniera con la quale l´avevo trattata.<br />

Il mio nervosismo, la mia rivolta continuarono ad aumentare col passar delle ore anche<br />

perché ero giunta alla conclusione che l´unica soluzione sarebbe stata quella di<br />

dimettermi, non avrei potuto continuare a lavorare nell´ambiente dove avrei dovuto<br />

incontrarmi ogni giorno faccia a faccia con l´uomo che era stata la causa della mia<br />

indignazione.<br />

Stavolta la colpa era anche sua, l´avevo provocato é vero, quasi sfidato, ma lui avrebbe<br />

dovuto avere il buon senso di sapersi comportare in modo molto piú saggio e rifiutarsi<br />

di accogliere le mie provocazioni. Non aveva diritto ad attenuanti.<br />

Sí, perché questa volta non era stata come la prima nella quale si era limitato a lasciarmi<br />

fare. Stavolta la sua parte era stata attiva, e come attiva! Attiva ed instancabile,<br />

incontentabile.<br />

L´unico punto a suo favore era che almeno mi aveva lasciata vergine cosí come mia<br />

madre mi aveva fatta. Debbo riconoscere che se solo avesse voluto avrebbe potuto<br />

farmi completamente sua, nello stato nel quale mi trovavo non gli avrei negato nulla.<br />

Vero é che secondo i miei principi non potevo ormai piú considerarmi moralmente<br />

vergine nel senso pieno della parola, ma questo solo io e lui potevamo saperlo . Da<br />

questo punto di vista ero sicura che avrebbe mantenuto il piú assoluto segreto su quel<br />

che era accaduto tra noi.<br />

La telefonata di Eugenio mi colse nel momento piú acuto della crisi.<br />

Il giorno prima non avevo voluto incontrarmi con lui, non me la sentivo ed avevo<br />

trovato una scusa banale alla quale non so se avesse creduto, molto probabilmente no.<br />

Comunque quando mi telefonó nelle prime ore del pomeriggio accettai il suo invito<br />

senza pensarci due volte e addirittura con un certo entusiasmo.<br />

Piú che entusiasmo era il desiderio di redimermi, almeno in un certo senso, come se i<br />

baci e le carezze di Eugenio avessero il potere di purificarmi e farmi dimenticare.<br />

Ma non fu cosí, tutt´altro. Malgrado i miei tentativi quasi eroici di impedirmelo, era<br />

inevitabile il confronto che automaticamente facevo tra i baci e le carezze del mio<br />

innamorato e quelle di cui era stato tanto prodigo il Dottore.<br />

Pur senza spingermi fino agli eccessi di due giorni prima, lasciai che Eugenio si<br />

avventurasse lá dove mai era riuscito ad arrivare.<br />

Il tentativo di una maligna rivincita a distanza della quale ben presto valutai l´inutilitá.<br />

Era una cosa completamente inutile e senza senso, in primo luogo perché il Dottore<br />

non lo sapeva ma soprattutto perché, anche se l´avesse saputo, non gliene sarebbe<br />

importato un bel nulla, forse l´avrebbe perfino divertito.<br />

Quando ebbi la percezione della vacuitá del mio comportamento, in un riflesso quasi<br />

automatico troncai nel bel mezzo le espansioni del mio innamorato che sperava<br />

finalmente di giungere lá dove non era mai riuscito. Rimase male, tremendamente male,<br />

e ne aveva tutte le piú sacrosante ragioni. Mi ero comportata ingiustamente e con grande<br />

crudeltá portandolo dapprima ad uno stato di sovraeccitazione e sottraendomi poi al<br />

momento cruciale.<br />

Mi domando ancor oggi come avrá fatto Eugenio in quella occasione a liberarsi dell<br />

´eccesso degli ormoni ormai in circolazione nelle sue vene. Non ne volli sapere di<br />

aiutarlo in quel frangente sebbene mi sarebbe stato facilissimo, Eugenio era eccitato a tal


punto che bastava solo l´avessi sfiorato nel punto adatto per liberarlo dal peso che lo<br />

opprimeva.<br />

Il lunedí mattina non mi alzai alla solita ora, rimasi ad indugiare nel letto e quando mia<br />

madre entró nella stanza per avvertirmi che avrei fatto tardi, le dissi di star tranquilla<br />

perché né in quel giorno né nei giorni successivi sarei tornata al lavoro attuale avendo<br />

deciso di trovarmi un impiego migliore.<br />

Lo sguardo della mamma fu piú eloquente di un lungo discorso, aveva capito che la<br />

ragione del mio malumore del giorno prima era dovuta a qualcosa accaduta in ufficio.<br />

Feci con calma la prima colazione, molto piú abbondante del solito e subito dopo<br />

redassi la lettera di dimissioni, poche semplici parole.<br />

Il solo fatto di aver preso la decisione di dimettermi mi faceva sentir meglio, a dire la<br />

veritá mi aiutava a dimenticare quello che era accaduto come se in tal modo lo<br />

cancellassi per sempre. Il Dottore avrebbe capito che non mi importava nulla di lui e<br />

che non avrebbe mai piú potuto ripetere le sue prodezze.<br />

Avevo completamente dimenticato che ero stata io la causa iniziale di tutto e che lui si<br />

era limitato a percorrere la strada che gli avevo indicato. Comunque avevo deciso che<br />

non mi sarei fatta vedere personalmente, avrei consegnato la lettera al capufficio in<br />

modo assolutamente formale e burocratico, poi me ne sarei andata per sempre<br />

chiudendomi educatamente la porta alle spalle.<br />

Ma non fu cosí che accadde. Il ragionier D´Ambrosio lesse la mia lettera, poi mi<br />

domandó<br />

-Boemi, chi é stato ad assumerla? Il Dottore, se non sbaglio.- era stato proprio cosí e mi<br />

limitai ad assentire<br />

–Allora é al Dottore e solo a lui che deve presentare le sue dimissioni. Oltre tutto é la<br />

sua segretaria.- terminó restituendomi la busta.<br />

Il Dottore diede un´occhiata alla lettera, un istante di riflessione poi chiese<br />

–Perché vuol lasciarci, ha trovato un posto migliore? Forse non si trovava piú bene tra<br />

noi?-<br />

Ma era un tono impersonale, freddo, sembrava non gliene importasse molto, mi sfioró<br />

persino il dubbio che fosse soddisfatto per la prospettiva di evitare in tal modo il<br />

pericolo di complicazioni.<br />

La cosa migliore che avrei potuto fare in quel momento era rimanermene in silenzio.<br />

Ma, forse indignata dall´indifferenza, volli scuotere il mio principale almeno per vederlo<br />

reagire come un essere umano e non come una macchina.<br />

Sparai come una mitragliatrice<br />

–Pensa forse che avrei potuto continuare a lavorare quí dopo quel che é successo tra noi<br />

venerdí sera in questa sala?-<br />

Mi guardó a lungo con uno sguardo di meraviglia. Pura ipocrisia. Poi chiese con la<br />

massima calma<br />

–Venerdí? La sera dell´ultimo venerdí?<br />

-Proprio la sera di venerdí scorso. Esattamente tre giorni fa.- confermai<br />

Scosse il capo sorridendo con fare ironico. Era irritante.<br />

–In questo caso sta prendendo una solenne cantonata. È la seconda volta in pochi<br />

giorni che se ne viene affermando che quí dentro sarebbe successo qualcosa di


censurabile, diciamo pure cosí. Per la prima occasione non ho un ..alibi...-e ridacchió –..<br />

e potrei perfino ammettere per assurdo che in quella occasione, pur senza assolutamente<br />

volere, abbia potuto dire o fare qualcosa che poteva interpretarsi in senso negativo,<br />

sebbene non riesca ad immaginare quel che possa essere stato. Quella sera mi ero<br />

effettivamente trovato in questa sala con Lei, ma venerdí non sarebbe stato<br />

assolutamente possibile, direi che ho un alibi di ferro. Quel giorno uscii da quí per<br />

andare a pescare poco dopo le tre, appena dopo aver firmato la corrispondenza che Lei<br />

stessa mi aveva portato. A che ora sarebbe accaduto l´incidente?-<br />

-Verso le cinque e mezzo, minuto piú minuto meno, é cominciato. Ma é terminato<br />

molto piú tardi.-<br />

-All ´ora cui allude, signorina Boemi, mi trovavo sulle rive del Fiume Nero pescando<br />

trote, cosa che ,come Lei ben sa, faccio spesso durante i fin di settimana. Ricordo<br />

benissimo di essere uscito dallo stabilimento non piú tardi delle tre e mezzo e vi sono<br />

ritornato solo stamattina. Quindi, a meno che non possedessi il dono dell´ubiquitá, non<br />

avrei potuto trovarmi quí nello stesso momento. Poiché La conosco benissimo e so che<br />

é una ragazza che ha la testa a posto e non dice cose a vanvera, debbo ritenere che deve<br />

aver avuto una allucinazione o qualcosa di simile. Non sia precipitosa, faccia le cose con<br />

calma e rimetta ordine nella sua testolina confusa. Le sará facile avere la conferma di<br />

quanto ho detto, interroghi le sue compagne di lavoro per ristabilire la veritá. Dopo di<br />

che presenterá di nuovo le sue dimissioni se non avrá cambiato idea nel frattempo...- e<br />

mi porse la busta che gli avevo consegnato qualche minuto prima.<br />

Ero convinta che si trattava di una mossa subdolamente astuta per farmi cambiare idea<br />

dandomi il tempo di riconsiderare la mia decisione salvando nello stesso tempo la faccia.<br />

Non avei voluto accettare e stavo per rifiutare di riprendermi la busta che mi porgeva.<br />

Ma c´era qualcosa di imperioso nel suo sguardo che me lo impedí.<br />

Nell´uscire la prima persona a incontrare nel corridoio fu la signora Maria Fuscelli che,<br />

al contrario del nome, é una corpulenta matrona. Una brava donna, in ogni caso.<br />

Le domandai a bruciapelo<br />

–Per caso ricorda a che ora il Dottore se ne andó venerdí scorso?-<br />

Mi guardó incuriosita dalla domanda inaspettata, ma non ebbe esitazioni<br />

–Verso le tre e mezzo, forse un poco prima. Ne sono sicurissima. Ma perché vuoi<br />

saperlo?-<br />

Lei mi dava bonariamente del tu, io invece le davo rispettosamente del lei, comunque<br />

eludendo la sua domanda volli insistere<br />

-Come fa ad esserne cosí sicura, non ha paura di sbagliare?-<br />

-Perché dovevo trovarmi dal dentista alle quattro e mezza e uscii immediatamente dopo<br />

di lui, mentre Francesco stava ancora chiudendo il cancello dal quale era appena uscito.-<br />

Rimasi perplessa, poi considerai che se anche il Dottore fosse uscito alle tre e mezzo<br />

poteva benissimo essere rientrato in seguito, era certamente accaduto cosí.<br />

Volli esserne ancor piú sicura e andai accanto al tavolo di Anna Ardenti, una bella<br />

ragazza bruna dalle forme vistose, mia buona amica. Ripetei la domanda che avevo fatta<br />

qualche secondo prima alla signora Fuscelli. Mi rispose senza esitare<br />

–L´ora precisa non saprei dirtela, ma era molto prima delle quattro. Andó via non<br />

appena firmata la corrispondenza che tu stessa gli avevi portata. Possibile che non te ne<br />

ricordi? Sei stata impazientemente ad aspettare che finissi di battere l´ultima lettera,


quasi la strappasti dalla macchina, l´infilasti nella cartella della corrispondenza per recarti<br />

in fretta e furia nella sala del Dottore.-<br />

Cominciavo a dubitare di me stessa, non puó essere, pensai. Devo aver pensato ad alta<br />

voce perché Anna esclamó<br />

–Perché non potrebbe essere? Dovresti ricordare benissimo che il ragionier D<br />

´Ambrosio alle quattro in punto taglió la corda e noi cinque minuti dopo eravamo nello<br />

spogliatoio a vestirci. Uscimmo tutte insieme alle quattro e un quarto ma firmammo il<br />

registro delle presenze come se ce ne fossimo uscite alle cinque. Nell´occcasione<br />

commentai addirittura “quando non ci sono i gatti i topi ballano.” Possibile che non te<br />

ne ricordi.?-<br />

Francesco, il custode, che interrogai subito dopo confermó, quello che avevano detto la<br />

signora Fuscelli e Anna. Punto per punto.<br />

La testa mi girava, non sapevo cosa pensare. Poi mi venne un´idea. Sapevo che quando<br />

il principale andava a pescare quasi sempre portava con sé Giovanni Grotto, il<br />

magazziniere. Grotto poteva chiarire definitivamente quel che era successo venerdí sera.<br />

Entrai nei reparti di lavorazione dirigendomi verso il magazzino. Quando mi vide<br />

esclamó<br />

–Signorina Boemi, cha fa vestita cosí durante l´orario di lavoro? Pronta per andare ad<br />

una festa?- Era un tipo allegro e gli piaceva scherzare.<br />

Feci una manovra aggirante non attaccando l´argomento in maniera diretta, volevo<br />

coglierlo di sorpresa,<br />

-Vi siete divertito venerdí sera, almeno a quanto sono venuta a sapere.-<br />

-Sí, mi sono divertito molto, come sempre, del resto. Piú che per la pesca in sé, per l<br />

´atmosfera, la pace che si gode in riva al fiume, tra la solitudine dei boschi senza vedere<br />

anima viva all´infuori delle rane e degli uccelli che cantano sulla cima degli alberi. E poi l<br />

´incanto del caminetto, la sera, nell´ambiente tranquillo di una locanda di paese. É un<br />

´altra vita.-<br />

Gli diedi corda<br />

-Anche poeta a quanto pare. E la vita idilliaca fin quando é durata?-<br />

-Fino a domenica mattina, poi l´incanto é finito e siamo tornati a contatto colla dura<br />

realtá della vita cittadina.-<br />

Tentai di ingannarlo con un trucco banale<br />

–Sicché avete passato la sera del sabato e la mattina della domenica in riva al fiume?-<br />

- Le sere del venerdí e del sabato per essere precisi.-<br />

Capii che non valeva la pena insistere, effettivamente non capivo piú niente, la testa<br />

cominciava a girarmi.<br />

Ero come avvolta da una fitta nebbia che mi confondeva al punto da quasi non farmi<br />

capire dove mi trovavo, i dubbi cominciavano a prendere consistenza, i fatti<br />

sembravano di una evidenza schiacciante. La tensione che mi manteneva all´erta fin dal<br />

giorno prima si allentó di colpo. Mi sentii vinta e la sconfitta pesava come la classica<br />

cappa di piombo.<br />

Non sapendo cosa fare andai a sedermi in una poltroncina nella saletta di attesa, ero sola<br />

e potevo riflettere con calma.<br />

Non valse a nulla, dopo mezz´ora di meditazione ancor piú confusa di prima, mi<br />

sembrava vivere in un incubo, un labirinto di misteri.


Cominciai perfino a dubitare delle mie facoltá mentali, quasi fossi sull´orlo della pazzia.<br />

Prima che le cose divenissero ancora peggiori rimisi i piedi sulla terrafermo giungendo<br />

alla conclusione che per il momento almeno l´unica cosa saggia da farsi sarebbe stata<br />

quella di dimenticare temporaneamente tutto, avrei preso in seguito le decisioni<br />

definitive.<br />

Mi vestii con i panni dell´umiltá mettendo l´orgoglio da parte e tornai lentamente nella<br />

sala del Dottore. Mi fece entrare rimanendo in silenzio come se nulla fosse successo.<br />

Dissi mogia mogia<br />

–A quanto sembra devo aver preso una solenne cantonata, come Lei ha detto poco fa.<br />

Se permette ritiro le dimissioni.-<br />

-Per quanto mi consta non le ha mai presentate. Tutto bene, ma adesso é meglio che<br />

torni a casa a riposare, ha l´aspetto abbattuto e stanco. Torni domani, come al solito.-<br />

Lo ringraziai e uscii dalla sala. Non appena a casa me ne andai direttamente a letto<br />

cadendo subito dopo in un sonno profondo dal quale mi risvegliai nel tardo pomeriggio<br />

con la mente fresca, ma ancora non del tutto convinta.<br />

La mamma era preoccupatissima, si rasserenó solo quando le dissi che avevo cambiato<br />

idea e avrei continuato a lavorare nella Eurodomain. Aveva preparato un invitante<br />

pranzetto che divorai avidamente, il giorno prima non avevo mangiato quasi nulla e<br />

quella mattina ero uscita senza far colazione. Il mio stomaco era completamente vuoto.<br />

Comunque non mi diedi da fare solo con la forchette, il cervello continuava a lavorare<br />

rimuginando sui fatti della mattina. Dovevo togliermi l´ultimissimo dubbio.<br />

Il Dottore era uscito dallo stabilimento alle tre e mezzo, mi sembrava un fatto<br />

indiscutibile, ma poteva benissimo esserci ritornato piú tardi. Chi avrebbe potuto dirmi<br />

qualcosa in proposito era Donadio, il guardiano di notte. Nei miei velati ricordi era lui<br />

che aveva aperto il cancello la sera del venerdí mentre ero sdraiata sul sedile posteriore<br />

dell´auto per non farmi vedere. Ricordavo chiaramente questo particolare, o almeno mi<br />

sembrava di ricordarlo.<br />

Telefonai a Eugenio e decidemmo di incontrarci al posto di sempre verso le sei. Ero<br />

ormai rilassata completamente e non fui molto severa col mio innamorato facendo in<br />

modo che liberasse le tensioni accumulate il giorno prima quando l´avevo fermato sul<br />

piú bello.<br />

Subito dopo gli dissi che volevo andare allo stabilimento per prendere qualcosa che<br />

avevo lasciato nello spogliatoio, era tanto felice che non mi domandó nemmeno di cosa<br />

si trattasse.<br />

Rimase ad aspettarmi in macchina dal lato di fuori mentre parlavo con Donadio.<br />

La risposta di questi fu categorica, venerdí sera quando aveva dato il cambio a<br />

Francesco non c´era nessuna macchina nel piazzale, ricordava di aver subito sprangato il<br />

cancello dal lato di dentro e essersi messo a leggere un libro giallo in santa pace.<br />

Quando gli domandai timidamente se per caso piú tardi il Dottore fosse passato in<br />

ufficio a prendere qualcosa, rispose con sicurezza che né il Signor Giusto né qualsiasi<br />

altro era entrato nello stabilimento fino all´indomani mattina quando Francesco era<br />

venuto a rilevarlo.<br />

Ormai era chiaro, gli avvenimenti del venerdí sera erano accaduti solo nella mia<br />

immaginazione. Non avrei voluto crederci ma i fatti erano incontestabili.<br />

Il Dottore la mattina dopo tentó di interpretarli con una teoria che mi lasció ancor piú


confusa ed incredula ma finii con l´accettarla come l´unica spiegazione possibile.<br />

Mi chiamó nella sua sala<br />

–Ho riflettuto a lungo sui fatti di ieri. Ripeto che la conosco molto bene e so che non<br />

avrebbe mai inventato una cosa del genere di sana pianta, qualcosa di vero deve pur<br />

esserci. Ci sarebbe una ipotesi, che spiegherebbe coerentemente quello che di fatto é<br />

accaduto.<br />

Ricordo di aver letto qualche tempo fa su di una rivista, purtroppo non ricordo quale, di<br />

uno strano e nello stesso tempo rarissimo fenomeno rilevato da alcuni psicologi e al<br />

quale é stato dato il nome di “onirismo ...non so che”, o qualcosa di simile, se ben<br />

ricordo. Alcune persone, in un determinato momento della loro vita, sognano<br />

intensamente al punto da confondere sogno con realtá, nella loro mente i fatti sognati<br />

scacciano e sostituiscono quello che é accaduto realmente.<br />

Si tratta comunque di una perturbazione transitoria che dura qualche settimana, al<br />

massimo un paio di mesi e poi scompare definitivamente senza lasciar tracce. Per questa<br />

ragione é difficile analizzarla anche perché é molto arduo perfino poterla diagnosticare.<br />

Si é potuto solo appurare che si verifica in persone giovani di personalitá molto<br />

determinata, nel periodo nel quale avviene il definitivo passaggio dalla adolescenza alla<br />

maturitá. È una teoria che si adatterebe perfettamente al suo caso.<br />

Per almeno due volte Lei ha sognato qualcosa con tale intensitá da sembrarle vera e che<br />

ha preso il posto di tutto quel che é realmente successo. Purtroppo come ho giá detto,<br />

non rammento su quale rivista abbia letto quell´articolo ma cercheró di ricordarlo cosí<br />

avró modo di rileggerlo con maggior attenzione e mostrarlo a lei. Con ogni probabilitá<br />

deve esserle accaduto qualcosa di simile e questo spiegherebbe perfettamente ogni cosa.<br />

Ma non si preoccupi, come ho giá detto, la perturbazione é passeggera e non lascia<br />

tracce.-<br />

Non posso dire che la ipotesi mi tranquillizzasse del tutto, in effetti si trattava di una<br />

forma di alienazione mentale, comunque mi rasserenai e man mano fui abituandomi all<br />

´idea stramba di essere stata vittima di allucinazioni oniriche.<br />

A considerarle obbiettivamente, quelle allucinazioni avevano avuto alcuni lati positivi.<br />

Anche se in sogno, avevo goduto di sensazioni meravigliose, non potevo negarlo, di una<br />

intensitá sconosciuta e che al momento mi avevano completamente inebriata, neanche<br />

questo potevo negare.<br />

Ma esistevano lati negativi, in primo luogo il fatto che ormai dal punto di vista<br />

puramente fisico i miei incontri con Eugenio avevano completamente perso ogni<br />

attrattiva. L´amavo come prima e forse piú, come per il desiderio di compensarlo del<br />

torto involontario che gli avevo fatto. Ma sensualmente non mi diceva piú nulla e questo<br />

era il lato deprecabile della situazione, mi ero resa conto cioé che quello che avevo<br />

provato fino a qualche mese prima era stato qualcosa di molto relativo e al quale<br />

attribuivo un grande valore proprio perché non ero in grado di far comparazioni.<br />

Trascorsero cosí una quindicina di giorni durante i quali la lotta che si svolgeva dentro di<br />

me assunse dimensioni sempre piú allarmanti con il passar del tempo.<br />

Malgrado la mia buona volontá, malgrado ogni sforzo,, i miei rapporti amorosi con<br />

Eugenio divenivano giorno per giorno piú deludenti, piú frustranti.<br />

Malgrado sentissi di amarlo ancora, o almeno cosí mi sembrava, le sue carezze, i suoi<br />

baci mi lasciavano indifferente giungendo persino a causarmi un certo senso di fastidio


quando divenivano insistenti, fatto che mi faceva provare rabbia verso me stessa<br />

rendendomi sempre piú nervosa e irritabile.<br />

Vivevo in uno stato di tensione continua e sentivo di essere giunta ai limiti della<br />

sopportazione anche perché il conflitto si agitava dentro di me mentre si accumulavano<br />

tensioni nervose che cercavano disperatamente uno sbocco dove scaricarsi.<br />

Un nuovo fattore intervenne complicando la situazione. Mio malgrado dovevo<br />

ammettere con me stessa che avevo cominciato a provare una irresistibile attrazione<br />

fisica per il mio principale e che questa attrazione diveniva giorno per giorno piú intensa<br />

tanto che non riuscivo ad ignorarla. Malgrado tutti gli sforzi sentivo che sarebbe stato<br />

sempre piú difficile liberarmene.<br />

Ma quel che mi rendeva ancor piú irritata era che durante la cerimonia giornaliera della<br />

firma della corrispondenza, che durava sempre piú di una mezz´oretta in quanto il mio<br />

principale era molto meticoloso e leggeva attentamente le lettere una per una, mi<br />

accorgevo di sperare intensamente che smettesse l´atteggiamento di indifferenza nei<br />

miei riguardi nutrendo la speranza che facesse almeno un timido tentativo di sedurmi.<br />

Tentavo di far credere a me stessa che in tal caso avrei opposto uno sdegnoso rifiuto<br />

solo per provare il sottile piacere di una rivincita, ma nello stesso tempo mi rendevo<br />

conto di essere completamente in contraddizione con me stessa in quanto sapevo<br />

benissimo, pur senza volerlo ammettere, che non avevo la forza e nemmeno la volontá<br />

di resistere e avrei ceduto senza un attimo di esitazione.<br />

La sua indifferenza in quei momenti mi irritava indisponendomi e mi domandavo<br />

angustiata perché allora ogni volta che passava nel corridoio per raggiungere la sua sala<br />

mi guardava in modo che sembrava volesse trafiggermi da parte a parte.<br />

Quando eravamo soli invece, a tu per tu, non mi guardava nemmeno per un istante, era<br />

come non esistessi.<br />

Fui io a cedere dopo un tempo che mi sembró piú lungo di una serie di eternitá<br />

perché lunga un´eternitá mi sembrava ogni giornata nell´attesa che giungesse la fatidica<br />

ora della firma.<br />

La tensione nervosa mi aveva trascinata fino ad un punto nel quale era difficile<br />

dominarmi tanto piú perché avevo cominciato di nuovo a sentirmi la mente avvolta in<br />

quella nebulositá che mi impediva di focalizzare perfettamente il pensiero come se due<br />

distinte personalitá se ne disputassero l´egemonia prevalendo alternatamente ora l´una e<br />

ora l´altra.<br />

Quella sera prima di alzarmi dalla sedia cominciai col dire, nel tentativo di<br />

provocarlo<br />

–Come potrei sapere se in questo momento sto sognando o sono sveglia?-<br />

Rispose senza esitare e senza mostrare sorpresa, come se la mia domanda non gli<br />

giungesse del tutto inaspettata e la considerasse addirittura banale<br />

–Non sono di certo io a poterglielo dire. Dovrebbe essere Lei stessa a capirlo e il solo<br />

fatto che si sia posta questa domanda mi fa giungere alla conclusione che mai ci<br />

riuscirá.-<br />

-Dovrei vivere quindi in un dubbio continuo?-<br />

-Temo proprio di sí.-<br />

-Ma il solo fatto che Lei é quí di fronte a me e risponde coerentemente non dovrebbe


significare che non sto sognando?-<br />

-Sí e no. Esistono due possibilitá, la prima che sia proprio io, in carne ed ossa a trovarmi<br />

di fronte a Lei, e la seconda che in questo momento sia soltanto una specie di fantasma<br />

creato dalla sua fantasia, una figura proiettata sullo schermo della mente, quasi una<br />

marionetta, un attore che si muove e recita una parte secondo un copione scritto dal suo<br />

subcosciente che mi fa dire e agire come Lei vuole che io parli e mi comporti. In questo<br />

caso sarebbe solamente un sogno, nulla piú di un sogno. Ma per Lei riuscire a capirlo é<br />

molto difficile, quasi impossibile direi.-<br />

-In questo caso allora sarei la schiava della mia immaginazione.-<br />

-Proprio cosí, Lei una schiava ed io un fantasma. Bella coppia.-<br />

-Non sarei quindi responsabile dei miei atti.-<br />

-Con un poco di ipocrisia si potrebbe anche giungere a una conclusione del genere. In<br />

tal caso Lei farebbe quello che in veritá desidera fare ma non ha il coraggio di ammettere<br />

e tanto meno di assumerne la responsabilitá. Sarebbe una soluzione comoda ma, come<br />

ho detto prima, fondamentalmente ipocrita.-<br />

Mi sembró che volesse offendermi, reagii immediatamente<br />

–Chi sarebbe Lei per giudicarmi? Non ne ha il diritto. Questo esula completamente dal<br />

nostro rapporto di lavoro.-<br />

-Non si inalberi e non dimentichi piuttosto che non sappiamo ancora chi sia io in realtá,.<br />

Un fantasma o un essere reale? Dovremmo prima di tutto risolvere questo problema, il<br />

resto verrebbe ad esserne una logica conseguenza.-<br />

Manteneva una calma olimpica mentre a me riusciva difficile rimanere serena anche<br />

perché sembrava si divertisse a mettermi in imbarazzo con ripetuti a fondo nel duello<br />

verbale. Potevo dedurlo dal sorrisetto ironico che non si spegneva mai dal suo volto. E<br />

mi irritava sempre piú.<br />

Volle mettermi in una situazione ancor piú imbarazzante, domandó<br />

–Ritornando alle sue allusioni, in veritá non so ancora quel che sarebbe realmente<br />

accaduto tra noi in quelle fatidiche occasioni e che hanno provocato il suo sdegno e la<br />

sua rivolta. Non sono per natura molto curioso ma a questo punto mi piacerebbe<br />

saperlo...- non lo lasciai terminare saltando su inviperita<br />

–Questo non lo saprá mai.- accorgendomi subito dopo della contraddizione contenuta<br />

nella mia affermazione perché dicendo questo ammettevo definitivamente di credere alla<br />

teoria balorda dei sogni. Se non lo sapeva era lapalissiano che si era trattato appena di<br />

un sogno mio, altrimenti anche lui avrebbe saputo quello che io sapevo mentre solo io<br />

avrei potuto saperlo nel caso fosse avvenuto effettivamente in un sogno.<br />

Non perse l´occasione per prendersi gioco di me<br />

–Accidenti, dev´essere successo qualcosa di veramente terribile perché non lo possa<br />

rivelare neanche mentre noi due ci troviamo soli, noi due, i protagonisti degli episodi<br />

che l´hanno indotta a ribellarsi. Non dimentichiamo che voleva addirittura lasciarci<br />

definitivamente.<br />

Sa che ha finito con l´incuriosirmi per davvero? Vorrei proprio sapere fino a che punto<br />

possano giungere le fantasie onirico-erotiche di una ragazza di buona famiglia. Sí, perché<br />

dalla sua reticenza debbo proprio ritenere si sia trattato di fantasie erotiche. Del resto,<br />

chi non ne ha? Persino le educande di un collegio di suore debbono averne e tali da far<br />

arrossire il piú incallito dei dongiovanni. Del resto le fantasie sono a volte l´unica


valvola di sicurezza che ci permette di liberarci dalla pressione soffocante delle<br />

convenzioni.-<br />

Alla fine se ne venne con un paradosso<br />

–Potrebbe anche esistere un´altra spiegazione che la farebbe l´innocente vittima di una<br />

volontá perversa. Che tutto sia stato molto piú che un sogno ma sia accaduto realmente<br />

peró contro la sua volontá. Potrebbe anche essere quella vera. Gliela espongo, giudichi<br />

Lei.<br />

Tenga presente che tutto cominció dopo il mio ritorno dalle ferie, prima di allora non<br />

era mai accaduto nulla di simile. Sa benissimo che ho trascorso quei tre mesi in<br />

Papuasia, ospite di una spedizione di etnologhi francesi per studiare il comportamento,<br />

gli usi e le abitudini di popoli che vivono quasi allo stato dell´etá della pietra e fino a<br />

quel momento non avevano avuto contatti colla civilizzazione.<br />

Faceva parte del gruppo un ragazzo indigeno raccolto qualche anno prima da missionari<br />

francesi, si era perduto e vagava nella selva. Quando lo trovarono era quasi morto di<br />

fame. Il ragazzo fu battezzato col nome di Marcel e divenne un elemento di importanza<br />

fondamentale, preziosissimo perché, avendo imparato il francese alla perfezione, poteva<br />

fungere da interprete permettendo finalmente per la prima volta contatti ravvicinati con<br />

alcune tribú.<br />

Quando mi aggregai alla spedizione i contatti erano giá avvenuti e l´ostilitá iniziale degli<br />

indigeni si stava trasformando in una guardinga amicizia.<br />

Un individuo piú di ogni altro interessava gli studiosi, Urumurur lo stregone capo, uomo<br />

di spiccata personalitá che a mezzo di Marcel, raccontó una storia straordinariamente<br />

interessante.<br />

Le tribú che vivevano nella foresta sarebbero discendenti di popolazioni di una<br />

sofisticata civilizzazione che aveva abitato le isole lontanissimi anni prima in un periodo<br />

che si perdeva nella notte dei tempi.<br />

Gli dei, offesi per qualche misteriosa ragione, avevano voluti punirle scatenando contro<br />

di loro la furia degli elementi. Le isole erano state distrutte da un terremoto spaventoso,<br />

dalla eruzione dei vulcani e sommerse da una gigantesca ondata. Erano sopravvissuti<br />

pochi sparuti gruppi di individui che abitavano le parti piú alte delle momtagne e dai<br />

quali discendono le tribú che attttualmente popolano le isole.<br />

Urumurur si diceva dotato di poteri magici che gli erano stati trasmessi attraverso<br />

incontabili generazioni, tra l´altro asseriva di poter controllare la mente umana e ad<br />

imporre la propria volontá ai suoi simili. Non vi riusciva con gli stranieri perché questi, a<br />

suo dire, sarebbero dotati di un cervello estremamente complicato e immune a qualsiasi<br />

sortilegio.<br />

Naturalmente non gli si credette almeno finché non condusse alcuni membri della<br />

spedizione in una caverna dove mostró una grande lastra di pietra alta piú di due metri e<br />

larga altrettanto.<br />

Si sarebbe trattato, almeno cosí diceva, di una reliquia risalente ai tempi anteriori allo<br />

scatenarsi dell´ira degli dei.<br />

La lastra era chiaramente la riproduzione della volta celeste, vi si potevano infatti<br />

distinguere nitidamente centinaia di minuscole incisioni che davano l´idea di astri<br />

raggruppati in costellazioni.<br />

Della spedizione faceva parte uno scienziato buon conoscitore di astronomia che peró


non riuscí ad individuare nessuno dei raggruppamenti stellari. Da qui si dedusse che se<br />

pur la lastra avesse voluto rappresentare le stelle, era soltanto una interpretazione<br />

artistica basata sulla fantasia e nulla piú.<br />

Comunque la lastra fu fotografata e il negativo inviato in Francia ad un Istituto<br />

Astronomico per un esame piú dettagliato.<br />

Il responso degli astronomi francesi fu sbalorditivo. Senza dubbio alcuno si trattava<br />

effettivamente della riproduzione della volta celeste come era stata circa quindicimila<br />

anni prima considerando gli spostamenti degli astri e del sistema solare.<br />

Il racconto di Urumurur non era una leggenda, faceva parte della storia dell´umanitá.<br />

Ero giunto dopo di quella scoperta quando ormai il prestigio di Urumurur era divenuto<br />

indiscutibile. Volli conoscerlo e anch´io ricevetti d´immediato una forte impressione, la<br />

personalitá dello stregone mi colpí in maniera sorprendente. Avevo con me la Polaroid e<br />

scattai alcune foto che gli mostrai immediatamente, ne rimase sbalordito e affascinato.<br />

Quella sera stessa Marcel entró nella mia tenda con un messaggio dello stregone, l´uomo<br />

voleva vedermi perché aveva grande urgenza di parlare con me.<br />

La mattina dopo mi recai nella sua capanna, mi stava aspettando vestito in grande<br />

uniforme avvolto in un mantello fatto di penne di Uccello del Paradiso, in testa una<br />

specie di turbante adornato di grosse conchiglie rosate. Era uno spettacolo<br />

impressionante a vedersi.<br />

Mi accorsi subito che si trovava in uno stato di assoluta concentrazione. Non guardó dal<br />

mio lato nemmeno per uno istante, girato verso Marcel gli disse qualcosa che il giovane<br />

interprete si affrettó a tradurre<br />

–Urumurur desidera fortemente la cosa magica che fa le facce degli uomini.- si trattava<br />

della Polaroid, non era difficile capirlo. –In cambio trasferirá in te i suoi poteri di<br />

dominare gli uomini. Pensa che tu potrai usarli anche con i tuoi simili, cosí come lui li<br />

esercita sui suoi.-<br />

Pur non credendoci rimaneva pur sempre un piccolo dubbio, con Urumurur non si<br />

poteva mai essere sicuri di nulla, forse valeva la pena tentare. Comunque misi le mani<br />

avanti<br />

-Spiegagli che la mia magia non dura per sempre.- In effetti mi erano rimasti solamente<br />

alcuni pacchetti di pellicole, avrebbe potuto fare una trentina di foto al massimo. Non<br />

sapevo come spiegarglielo, é difficile trasmettere un concetto numerico a chi non<br />

conosce i numeri arabi. Comunque vi riuscii tracciando dei segni sulla sabbia.<br />

Urumurur mi fece capire che gli bastava, voleva fotografare i suoi nemici perché<br />

riteneva che fotografandoli sarebbe diventato padrone delle loro anime, dei loro corpi e<br />

della loro salute, e i suoi nemici piú pericolosi erano meno di una dozzina.<br />

Accettai e a tal punto Urumurur mi disse che sarei dovuto tornare di sera per la<br />

cerimonia della trasmissione dei poteri e avrei dovuto rimanere nella capanna fino alla<br />

mattina seguente perché subito dopo sarei caduto in un sonno profondo.<br />

E cosí fu, Urumurur mi fece bere una disgustosa pozione che trangugiai tentando di non<br />

pensare con quali intrugli fosse stata preparata, poi mi invitó a sedere in terra di fronte a<br />

lui che mi si era accoccolato avanti colle mani sul mio capo.<br />

Pronunció alcune formule magiche e ad un certo punto avvertii chiaramente una strana<br />

sensazione come se di qualcosa di pastoso mi penetrasse lentamente nella testa. Alla fine<br />

sentii un acuto dolore cadendo immediatamente dopo in un sonno profondissimo..


Mi svegliai la mattina dopo, ero solo, sdraiato sulla spiaggia a pochi metri dal mare.<br />

Urumurur mi aveva avvertito -Non potrai esercitare i tuoi poteri continuamente, ogni<br />

volta esaurirai le energie che ti occorrono e dovrai attendere giorni e giorni finché<br />

ritorneranno.- Servendosi di un fuscello tracció alcuni segni sulla sabbia che volevano<br />

rappresentare le fasi della luna, per spiegarmi praticamente che dovevano passare<br />

almeno due settimane fra un tentativo e l´altro. La mia é quindi un´arma preziosa e<br />

potente, ma debbo usarla con la massima parsimonia.-<br />

A questo punto le ipotesi che potevano spiegare il mio comportamento erano divenute<br />

tre, o avevo agito consapevolmente sebbene in maniera assolutamente contraria ai miei<br />

principi, o avevo semplicemente sognato con tale intensitá da confondere<br />

completamente realtá e sogno, o, ultima posssibilitá infine, che avessi agito in uno stato<br />

di coazione come una sorta di trance.<br />

Quel che mi aveva particolarmenrte colpito era che le facoltá ipnotiche,<br />

chiamiamole cosí, del mio seduttore sarebbero potute venire esercitate solo ad intervalli<br />

di pressappoco due volte al mese il che coincideva perfettamente con i periodi che<br />

separavano gli episodi dei quali ero stata protagonista e nello stesso tempo la vittima.<br />

A rafforzare l´ultima ipotesi c´era inoltre la confusa sensazione di aver sempre agito in<br />

quelle circostanze come se la mia mente fosse obnubilata, avvolta nella strana<br />

sensazione che in me esistessero due volontá distinte e separate in lotta fra di loro e che<br />

la mia natura originale soccombesse ogni volta alla prepotenza di quell´altra che era<br />

subentrata riuscendo sempre a prevalere e costringendomi a fare quello che non avrei<br />

mai fatto in circostanze normali.<br />

Forse era vero o forse mi ero suggestionata al punto da non ritenermi ormai piú<br />

responsabile di miei atti in quelle occasioni, il che ipocritamente mi conveniva, dovevo<br />

anche ammettere. Peró, dato che in quel momento mi sentivo perfettamente lucida presi<br />

la ferma decisione di evitare ogni nuova futura occasione e tagliai corto.<br />

Salutai ed uscii dalla sala forse un poco delusa perché a questo punto mi aspettavo un<br />

nuovo tentativo di seduzione e, lucida o non lucida che fossi, non ero proprio sicura di<br />

avere la forza di resistere alla tentazione. Il principale rispose cortesemente al mio saluto<br />

congedandomi con un cenno del capo e non mi sembró per niente seccato al vedersi la<br />

preda sfuggire da sotto le sgrinfie.<br />

I giorni passavano rapidissimi, divenivo sempre piú inqueta, nervosa, irritabile,<br />

sembrava mi mancasse qualcosa.<br />

Sapevo molto bene cosa fosse, anche se rifiutavo di ammetterlo, né potevo.<br />

Ogni sera alla fine della cerimonia della firma il Dottore mi congedava con il solito<br />

cenno del capo che accompagnava le solite parole<br />

–Se non c´é altro puó andare, signorina Boemi. Buona sera, e arrivederci a domani.-<br />

In quel momento provavo una frustrazione intensa, un senso di vuoto dopo aver<br />

passato l´intera giornata nella speranza che finalmente tornasse ad accadere quello che<br />

aspettavo con tanta impazienza. Il contrasto interno era grande, mi sfiancava ogni volta<br />

di piú.<br />

Nei momenti di critica luciditá percepivo chiaramente cosa mi mancasse, non riuscivo a<br />

nasconderlo, desideravo ardentemente i suoi abbracci, le sue carezze, nel sogno o nella<br />

realtá, questo non importava, volevo lui o per meglio dire volevo che lui mi volesse.


Finí che dopo una settimana e piú di deludenti attese, dopo che erano trascorsi i fatidici<br />

quindici giorni, non ebbi piú la forza di resistere e un attimo prima dell´abituale buona<br />

sera attaccai di sorpresa, senza preamboli<br />

–Sa che non ho sognato piú? Debbo confesssare che questo fatto mi delude, almeno in<br />

un certo senso. Non riesco a capirne il perché, forse avrei preferito essere cosciente che<br />

l´ultimo sogno era proprio e definitivamente l´ultimo. Sapendolo avrei fatto in modo di<br />

farlo durare di piú, goderlo a fondo...- colse a volo l´occasione che si presentava mi<br />

interrompendomi mordace<br />

–Se quei sogni le piacevano tanto non potevano essere incubi, come lasciavano creder le<br />

sue veementi reazioni di sdegno!- e sorrise con un´aria che a me parve di maliziosa<br />

complicitá.<br />

–Non ho mai detto che quei sogni erano incubi, l´incubo cominciava alla sveglia, al<br />

ricordo, proprio perché mi rendevo conto che in effetti era come se vi avessi partecipato<br />

consenziente, tutt´altro che contrariata. Era questa consapevolezza che mi indignava.<br />

Ció malgrado debbo riconoscere che in questo momento ne sento la mancanza<br />

addirittura in modo doloroso.-<br />

-Questo é sorprendentemente in contraddizione con quello che Lei stessa dice. Un<br />

attimo dopo, quello che era stato deprecabile fino ad un istante prima diviene tutt´a un<br />

tratto desiderabile salvo poi a divenire nuovamente condannabile subito dopo. A quanto<br />

pare neanche Lei sa cosa vuole .-<br />

-So cosa vorrei in questo momento. Sognare ancora e Lei potrebbe aiutarmi, se appena<br />

lo volesse.- sfacciatamente avevo lanciato l´esca.<br />

Stava per abboccare, ammise<br />

–Anche se lo volessi, non saprei come farlo. Non ho idea di quel che sia accaduto nei<br />

suoi sogni. Certo, lo posso immaginare nelle linee generali, ma non nel dettaglio. Ha<br />

voluto mantenere il segreto piú assoluto. Potrei farlo solamente se questo fosse un altro<br />

dei suoi sogni e in tal caso sarei un burattino, o meglio un bamboccio che Lei fa parlare<br />

e agire a suo piacimento. É proprio sicura di non star sognando ancora una volta?-<br />

- Non importa che si tratti di un sogno o non si tratti. Vorrei ancora una volta almeno<br />

rivivere quelle maledette esperienze. Anche da sveglia potrei essere una perfetta<br />

suggeritrice parlando appena con il linguaggio dei gesti. Dipende da Lei. Non c´é piú<br />

nessuno in ufficio, se ne sono andati tutti.-<br />

-É difficile resistere ad un invito del genere, solo un santo vi riuscirebbe, forse sí e forse<br />

no...- si alzó dalla sedia per andare a chiudere la porta a chiave, poi si avvicinó, mi prese<br />

fra le braccia sussurrando<br />

–Tutto é certamente cominciato con un bacio, sta a Lei indicarmi con il linguaggio del<br />

corpo i sentieri che devo percorrere. Sará un viaggio piacevolissimo, senza dubbio.-<br />

Rimettemmo i piedi sulla terraferma verso le dieci, erano passate quattro ore e piú da<br />

quando mi aveva dato il primo bacio di quella sera.<br />

Piú volte avevo riflettuto freddamente analizzando la situazione sotto il profilo della<br />

logica, se pur logica potesse esservi in quello che mi stava accadendo, e ogni volta<br />

giungendo alla stessa conclusione. Dovevo scoprire quale di tre ipotesi, in contrasto<br />

assoluto l´una con l´altra, poteva rivelarsi quella della veritá.<br />

Cominciando dalla piú banale. Tutto sarebbe accaduto nella piú completa


normalitá, ipotesi deprecabilissima in contrasto con i principi che fino a quel momento<br />

avevano valore nella mia vita, ma era la spiegazione piú realista, che escludeva<br />

completamente l´esistenza di fattori sovrannaturali. Mi rifiutavo di accettarla sebbene<br />

riconoscendo che era l´unica razionale.<br />

Seconda versione, quella che piú mi conveniva. Tutto era accaduto in sogno. A<br />

sostenerla ci sarebbe la circostanza che effettivamente avevo sempre avuta in quei<br />

frangenti la sensazione di trovarmi con la mente non completamente limpida, avvolta in<br />

una sorta di nebbia che mi impediva di avere la percezione netta di quello che stava<br />

accadendo attorno a me. Ma c´era anche dell´altro, sapevo che si alternavano a periodi<br />

confusi altri nei quali la mia mente era perfettamente lucida e potevo ragionare con me<br />

stessa. Mi ero resa conto anche che le transizioni da una fase all´altra non erano mai<br />

state graduali ma si erano sempre verificata bruscamente di mattina nell´istante stesso<br />

del risveglio, era come se ogni volta mi destassi da un sonno che non sapevo quando era<br />

cominciato. Si trattava di qualcosa che mi portava a pensare che quella era l´ipotesi piú<br />

degna di essere presa seriamente in considerazione.<br />

La terza ipotesi sarebbe invece quella che avrei agito in stato di ipnosi durante il quale<br />

non ero padrona di me stessa né responsabile dei miei atti.<br />

Quest´ultima versione mi sembrava credibile per la nitida sensazione che avevo sempre<br />

avvertito della presenza di una forza estranea istallata dentro di me come volontá<br />

indipendente e dominatrice e che mi faceva dire e fare quello che mai avrei detto e fatto<br />

se fossi stata libera di scegliere come comportarmi<br />

Vissi piú di due mesi tentando di giungere ad una soluzione definitiva e durante quei due<br />

mesi non avvenne piú nulla. Ma non riuscivo a dimenticare niente di quello che era<br />

accaduto, sogno o non sogno, tutt´altro. Ci pensavo sempre piú, specialmente perché<br />

non riuscivo ormai a nascondermi l´attrazione che provavo per il mio principale. La<br />

consapevolezza del cedimento delle difese provocava nel mio animo un ulteriore<br />

conflitto perché se da un lato me ne era insopportabile il pensiero, dall´altra mi attraeva<br />

irresistibilmente.<br />

Ero conscia che non avrei piú sognato, perché sentivo di essere lucidissima, e nemmeno<br />

di essere vittima di suggestione ipnotica perché non avevo mai piú avvertito nel mio<br />

animo la presenza di quella forza estranea che ritenevo mi avesse condizionata nei primi<br />

tempi.<br />

In quel momento ero io, proprio solo io, in lotta con me stessa.. Non mi volevo<br />

innamorare perché ero consapevole che sarebbe stata la peggior cosa che avrebbe<br />

potuto accadermi. Non me ne preoccupavo molto peró, in quanto pensavo, o almeno<br />

pensavo sperando, che il Dottore avesse dimenticato.<br />

Comunque fu lui alla fine a provocare l´episodio definitivo. Una sera mi domandó<br />

–Come andiamo coi sogni? Sembrerebbe che i problemi siano ormai risolti, ne sará<br />

soddisfattissima, immagino.-<br />

-Fino ad un certo punto. Se solo potessi scoprire la veritá....-<br />

-Ancora dubbi allora?-<br />

-Uno solo a dire il vero. Sarebbero stati solo sogni o tutto é accaduto nella realtá sotto l<br />

´influsso dell´incantesimo di Urumurur.-


-Incantesimo di Urumurur? Cosa verrebbe a dire?-<br />

Sembrava tanto stupito da farmi perfino sospettare che fosse sincero e volli stare al<br />

gioco. A questo punto dovevo andare a fondo, non esitai<br />

–Lei stesso mi ha raccontato la storia di Urumurur. Se ne é giá dimenticato?-<br />

-Non posso aver dimenticato qualcosa che non ho mai saputo, e guardi che ho una<br />

memoria di ferro, lo sa benissimo. Come avrei potuto dimenticare la storia di un tizio<br />

dal nome tanto complicato? Dev´essere un altro personaggio dei suoi sogni. Mi racconti<br />

cosa avrebbe fatto o detto questo Urumu o Urumo eccetera eccetera come si chiama<br />

quel tale, o forse anche lui si sarebbe comportato in modo irriferibile come avrei fatto<br />

io?-<br />

Si stava prendendo gioco di me, chiaro, ma a questo punto non potevo fermarmi,<br />

qualcosa mi diceva che ero vicina alla veritá quindi gli riferii per filo e per segno quello<br />

che del resto ero convinta che giá sapeva.<br />

Mi lasció parlare senza interrompermi mentre lo guardavo intensamente per scoprire<br />

qualche segno rivelatore sul suo volto.<br />

Non ne vidi alcuno, il viso mostrava apertamente soltanto una divertita incredulitá e<br />

nient´altro.<br />

Alla fine cominció a ridere.<br />

Rideva di gusto, colla testa arrovesciata all´indietro come per meglio dare sfogo all´ilaritá<br />

che lo dominava e battendo ripetutamente i palmi delle mani sul vetro della scrivania<br />

come per dar piú enfasi alla rumorosa allegria.<br />

Gli erano persino venute le lagrime agli occhi dal tanto ridere.<br />

Quando riuscí finalmente a parlare esclamó in tono di falsa ammirazione, era evidente<br />

che continuava a prendersi gioco di me<br />

–Lei é proprio fantastica, Diana...- era la prima volta che mi chiamava per nome e non<br />

con il solito “signorina Boemi” che aveva sempre usato perfino nei momenti piú intimi<br />

in quelli che diceva fossero soltanto sogni -...la sua immaginazione é di una fertilitá<br />

sconcertante, degna di un grande romanziere. Prendendo lo spunto dal mio viaggio in<br />

Papuasia ha imbastito una storia in cui vi é di tutto un po´ a partire dal mito di<br />

Atlantide, o almeno di una civiltá analoga, per terminare ai poteri soprannaturali di uno<br />

stregone infilandoci anche la storia di un orfanello sperduto nella selva, tanto per darci<br />

colore, e alla fine addirittura un pizzico di astronomia. Devo farLe i miei complimenti,<br />

sarebbe riuscita persino a cambiare la storia dell´umanitá. Naturalmente la mia curiositá<br />

é divenuta ancora piú grande. Non puó immaginare quanto pagherei per poter sapere<br />

cosa mi ha fatto fare nei suoi sogni e che non vuole che io sappia!-<br />

Mi faceva rabbia, cominciavo a sentirmi prudere le mani dalla voglia di prenderlo a<br />

schiaffi.<br />

Di colpo si calmó domandando scusa.<br />

-Non volevo essere indelicato, comprendo e rispetto il suo riserbo su certi argomenti,<br />

mi perdoni.-<br />

Quell´uomo era veramente dotato di una personalitá sconcertante, profondo<br />

conoscitore dell´animo femminile le sue parole mi rabbonirono riportandomi alla calma.<br />

In una atmosfera rilassata scambiammo ancora qualche parola, finché mi domandó<br />

–Lasciando da parte gli scherzi sembra proprio che il suo problema onirico sia<br />

finalmente risolto. Del resto l´avevo avvertita che sarebbe durato qualche mese al


massimo. A questo punto potrebbe tirare le somme e valutare quali ne siano stati gli<br />

effetti. É stata un´esperienza interessante senza dubbio e deve aver lasciato tracce<br />

profonde in una personalitá come la sua. O mi sbaglio?-<br />

Volli essere sincera, anche per osservare la sua reazione<br />

–Positiva. L´esperienza é stata positiva, senza dubbio. Mi sento adesso piú matura per le<br />

interessanti vicende che ho vissute anche se solamente nel sogno e proprio perché le ho<br />

vissute appena in sogno non hanno lasciato un segno indelebile nel mio corpo e tanto<br />

meno nel mio spirito.-<br />

Non ci credevo del tutto, lo dissi solo per lasciare ben chiaro che nulla era accaduto di<br />

cui dovessi vergognarmi. Aggiunsi peró subito dopo<br />

–L´unico lato negativo é stato quello che i rapporti con il mio ex innamorato sono finiti,<br />

avevano perso ormai ogni sapore e colore. Siamo rimasti buoni amici ma, come ho<br />

detto, tutto é finito e per sempre.-<br />

Mi guardó in modo strano, dopo qualche istante si pronunció<br />

-Mai dire “per sempre”. Si puó correre il rischio di essere smentiti alla prima occasione.<br />

Mi dica francamente, Le dispiace aver rotto con Eugenio?-<br />

-Per essere sincera, non moltissimo, peró devo confessare che almeno un poco mi<br />

dispiace. Ma ormai non c´é piú nulla da fare.-<br />

-Ne é proprio sicura? E se per caso stasera all´uscita trovasse il suo Eugenio che l<br />

´aspetta?-<br />

-Impossibile, ha un´altra! Mi ha giá sostituita!-<br />

-Non ci resta allora che ricorrere ai poteri magici che mi avrebbe trasmesso il suo<br />

Urumurur per rimettere le cose a posto.-<br />

Non mi diede il tempo di ribattere che giá aveva assunto una posa ieratica chiaramente<br />

buffonesca. Non l´avevo mai visto agire cosí, era sempre serio, contenuto. Persino nei<br />

sogni, se é che erano stati sogni, si era comportato in maniera direi quasi formale anche<br />

nei momenti della passione piú torrida.<br />

Gli occhi rivolti al cielo, le braccia in alto, rimase immobile per qualche minuto<br />

borbottando parole incomprensibili. Si chinó piú volte in avanti stendendo le braccia sul<br />

piano della scrivania fino ad appoggiarvi la testa, finché annunció solennemente<br />

–Tutto é tornato come prima, signorina Boemi...- ormai non ero piú Diana, ero<br />

ridiventata la “signorina Boemi” -...Le divinitá Paupasiche, che ho evocato attraverso lo<br />

spirito di Urumurur, le hanno concessa protezione e disposto le cose in modo che possa<br />

ritrovare la perduta felicitá. Il suo bello l´aspetterá oggi stesso all´uscita e sarete felici per<br />

sempre. Ho detto. Che il cielo mi fulmini se questo non avverrá.-<br />

Il tono era evidentemente istrionico, ma c´era qualcosa nel suo modo di fare che fece sí<br />

che un brivido gelido mi corresse lungo il filo della schiena. Fui presa perfino da un<br />

certo timore, non saprei dire di che, ma una sorta di oscuro timore mi invase ed ebbi<br />

una stretta al ventre che si contrasse per un momento fino allo spasimo. Ma fu di<br />

brevissima durata e subito mi sentii molto meglio, direi benissimo addirittura, come non<br />

mi ero mai sentita fino a quel momento.<br />

Udii la voce del Dottore avvolta in una specie di nebbia<br />

-Vada pure, signorina. Non é bello far aspettare troppo un amore che sta ritornando alla<br />

vita.-


Scesi nello spogliatoio, tolsi il camice di lavoro, diedi una rinfrescatina al viso, mi truccai<br />

appena appena nel mio solito stile di ragazza acqua e sapone, avviandomi poi verso l<br />

´uscita.<br />

La prima cosa che vidi lá fuori fu la Fiat blu e Eugenio in piedi che vi si appoggiava.<br />

Sorrideva e il sorriso si aprí ancor di piú scoprendo i denti bianchissimi quando gli<br />

domandai<br />

–Aspetti qualcuno?-<br />

-Certo, aspettavo te.-<br />

-E Marisa?- domandai caustica<br />

–Che vada al diavolo! Solo tu mi interessi. Non posso lasciare che quel che c´é stato tra<br />

noi due finisca cosí, melanconicamente.-<br />

-Solo adesso te ne accorgi?- sapevo di essere ingiusta, se le cose non erano andate bene<br />

negli ultimi tempi la colpa era stata mia e solo mia. Non volle polemizzare e mi rispose<br />

tranquillo<br />

– Me ne sono accorto un quarto d´ora fa. Mentre uscivo dal cancello qualcosa mi ha<br />

indotto a fermarmi e ad aspettarti, é stata una decisione subitanea, fino ad un momento<br />

prima ero deciso a farla finita. Qualcosa mi ha aperto gli occhi all´improvviso, ho capito<br />

che sei tu la donna della mia vita e ho deciso lí per lí di aspettarti. Non ti lascio andar via<br />

se non dopo aver messo ogni cosa in chiaro e capito perché tutto é cambiato da un<br />

momento all´altro. Il giorno prima eravamo felici e l´indomani tutto mutó, senza alcuna<br />

ragione plausibile. Per essere precisi non cambió tutto, eri solo tu ad essere diversa,<br />

completamente diversa da quella che eri stata fino a quel momento..-<br />

Mentre lui parlava, io riflettevo facendo un rapido calcolo.<br />

Quindici minuti prima, aveva detto. Il momento esatto in cui il Dottore aveva invocato<br />

su di me la protezione di Urumurur e delle divinitá papuasiche.<br />

Era appena una coincidenza. Un´altra coincidenza? Non poteva essere altrimenti, mi<br />

costrinsi ad essere razionale, non potevo ammettere qualcosa di completamente<br />

contrario al mio modo di essere e di pensare, ma mi riusciva difficile.<br />

O forse stavo sognando, di nuovo tutto stava avvenendo in un mondo di sogni.<br />

Mi sentivo sveglia, peró, sveglissima. Eppure mi parve ancora una volta che una<br />

misteriosa forza estranea guidasse in quel momento le mie azioni fino a costringermi a<br />

sedere nella macchina come un automa e a chiedere a Eugenio<br />

–Portami a fare un giretto per dimenticare il passato piú recente. Chissá che non tutto<br />

sia definitivamente perduto!-<br />

Non se lo fece ripetere due volte, si piazzó al volante, avvió il motore e partimmo<br />

diretti verso il solito posticino tranquillo sull´alto della collina. Stava facendo buio, l´ora<br />

e l´ambiente ideali per le tenerezze.<br />

Guardavo il mio compagno concentrato nella guida. Non lo avevo mai considerato<br />

bello, mi piaceva ma non era bello, il profilo secco e grifagno sembrava intagliato nel<br />

legno di una quercia, il naso a becco,. le labbra sottilissime semiaperte come per dare piú<br />

aria ai polmoni.<br />

Mi sembró di vedere in lui un rapace in picchiata sulla preda, il naso aquilino<br />

trasformato in un rostro pronto a lacerare le carni della vittima indifesa afferrata dalle<br />

mani in quel momento aggrappate come artigli al cerchio dello sterzo. Sentii qualcosa<br />

che mi spingeva verso di lui senza che riuscissi ad oppormi e mi accostai fino ad aderire


al suo fianco. Sentirne il contatto fisico mi fece provare un´onda di desiderio,<br />

improvvisa e violenta.<br />

Tutto era cambiato da un momento all´altro, sapevo il perché ma non potevo<br />

ammetterlo, né peraltro avrei potuto, era troppo in contrasto con la ragione ed io sono<br />

sempre stata fredda e razionale.<br />

Ma sentivo nitidamente in quel momento di non essere padrona di me stessa, nello stato<br />

d´animo di quando, liberandomi dalle pastoie degli scrupoli, provocavo il Dottore con<br />

proposte insinuanti. L´unica differenza é che allora erano sogni, null´altro che sogni,<br />

mentre in quel momento ero ben desta e soprattutto ben viva.<br />

Giunti che fummo al nostro posticino andai subito ad appoggiarmi al solito parapetto,<br />

Eugenio mi prese immediatamente fra le braccia. Avvertii la sua virilitá premermi<br />

pulsando sul ventre. Mentre mi baciava un´onda di piacere intenso partendo dalla parte<br />

piú interna di me si diffondeva irresistibile invadendo una per una i milioni di cellule del<br />

mio corpo.<br />

Eugenio capí che quello era l´attimo fuggente che non poteva lasciarsi sfuggire. Non<br />

esitó e io lasciai che facesse tutto quel che voleva, tutto, proprio tutto.<br />

Provai un piacere ineffabile, come quello dei sogni se non di piú, nel momento in cui<br />

Eugenio mi rendeva definitivamente donna.<br />

Non pensai alle conseguenze, ero calma, tranquilla e soprattutto felice, intensamente<br />

felice.<br />

Il giorno dopo tutto si ripeté, cosí il giorno successivo e cosí via via giorno per giorno.<br />

Per incoscienza, o forse addirittura in una cosciente incoscienza, non prendemmo<br />

alcuna precauzione, pertanto avvenne l´inevitabile e da qualche settimana sono la madre<br />

felice di una adorabile pupetta alla quale ho voluto dare, chissá perché, il nome di<br />

Giustina.<br />

Non puó essere un sogno, assolutamente no. Giustina strilla tanto forte che mi<br />

sveglierebbe in continuazione senza permettermi di sognare.

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