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Angelo Mai e altri racconti - Centro di Documentazione Pier Vittorio ...

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<strong>di</strong><br />

Marco Di Pasquale<br />

Nato il 21/05/1983 a Ortona (CH).<br />

Residente in via lago <strong>di</strong> Provvidenza, 6 Pescara C.A.P. 65100<br />

Tel. 3200147876 e-mail: enjambement3@hotmail.com


In<strong>di</strong>ce<br />

<strong>Angelo</strong> <strong>Mai</strong> p. 3<br />

Ob sesso p. 44<br />

Il Potatore <strong>di</strong> Roccascalegna p. 49<br />

Pazzo <strong>di</strong> te p. 53<br />

Semplice pensiero p. 56<br />

Alla ricerca della cimicirria perduta p. 60<br />

Ri<strong>di</strong>culus p. 63<br />

2


ANGELO MAI<br />

PARTE PRIMA<br />

Per la prima volta in vita sua Viktor De Michelis aprì la porta <strong>di</strong> casa per uscire.<br />

L’erba del prato rasata <strong>di</strong> fresco era immersa nel caldo, un’aria che sapeva <strong>di</strong> quelle prime estati<br />

venute a salutarci prematuramente: un’aria nuova. Fitte <strong>di</strong> vento le foglie sembravano lo specchio <strong>di</strong><br />

quel manto, che mosse continuamente cambiavano, a loro volta, il paesaggio che nascondevano<br />

<strong>di</strong>etro, come tante piccole mani paffutelle <strong>di</strong> un bambino che modellavano senza sosta i confini del<br />

pongo spalmato sul banco. Veloci occhiolini invece tra i rami.<br />

Viktor scese il primo gra<strong>di</strong>no, dubbioso; il secondo piede si mosse molto più lentamente del<br />

primo che si staccò dal limine della soglia per raggiungere il primo dei due gra<strong>di</strong>ni che lo<br />

<strong>di</strong>videvano dal prato. Passò un essere umano sopra una bicicletta e fu quasi lui che tracciò il tratto<br />

capitolare <strong>di</strong> una strada infinita, collegata in ramificazioni spettacolari, tra viadotti e cavalcavie,<br />

<strong>di</strong>videndosi in carreggiate e corsie <strong>di</strong> decelerazione; una pallina attirata dalla sola presenza della<br />

strada, come ne è naturalmente attirata verso il basso se posta su un piano inclinato, avrebbe<br />

certamente girato gli angoli della più isolata contrada raggiunta da quattro pietre più bianche <strong>di</strong><br />

quelle che si cercano comunemente attorno a uno stagno su cui si vuol far guizzare la nostra<br />

bravura, possibilmente più <strong>di</strong> una volta.<br />

«Il destro, dunque, per primo» pensò, e si pentì <strong>di</strong> quel pensiero che poteva colorarsi <strong>di</strong> un<br />

valore politico, contrario, tra l’altro, a quel che la sua simpatia finora pre<strong>di</strong>ligeva. D’altronde la<br />

manicheista sud<strong>di</strong>visione dei pensieri umani in due tronconi che si scontravano lungo il corso <strong>di</strong><br />

tutta la storia, lo gettava nello sconforto dell’inutilità del pensiero, che pur comprendendolo, lo<br />

riduce. Ma era così Viktor: ogni frase che <strong>di</strong>ceva, o anche solo pensava, era inserita, per lui, in un<br />

copione che faceva parte del libro universale della storia della natura; ed ognuna <strong>di</strong> queste frasi<br />

suscettibile <strong>di</strong> interpretazione capillare da parte <strong>di</strong> critici attenti non solo a cosa significhi una data<br />

parola, ma anche a cosa significhi quella parola per quell’autore in quel periodo.<br />

La bicicletta sparì per sempre, e non finì in una stanza in cui si sarebbe certamente ritrovata. Era<br />

ora persa in quel flusso sistematico e senza sosta, vinta dalla sua stessa mobilità, così casuale che<br />

sarebbe stato possibile rincontrarla per caso, e ad<strong>di</strong>rittura anche probabile, se si fosse venuti a<br />

conoscenza del posto in cui bazzicavano <strong>di</strong> solito quelle ruote. Ma un’automobile passò ancor più<br />

spavalda, allargando quel mare <strong>di</strong> possibilità ad una casa che troppo somigliava a una reggia senza<br />

nobili.<br />

Scese l’altro scalino, sempre prima col piede destro, perché non voleva sentirsi già guarito da<br />

quel suo strano modo <strong>di</strong> vedere il mondo. E se ora la sua mente pensava solo a l’odore dell’esterno<br />

che, per la prima volta nella sua vita, non era mischiato con nessun altro odore <strong>di</strong> un posto chiuso,<br />

aveva già ragione <strong>di</strong> sentirsi guarito. «Poi perché guarito? Non è mica una malattia», e si accorse <strong>di</strong><br />

esserci ancora dentro. Forse per quel giorno poteva bastare: le pulsioni non controllate potevano<br />

suscitargli una confusione traumatica, che gli avrebbe fatto o<strong>di</strong>are anziché amare il mondo. Ma poi<br />

perché doveva o<strong>di</strong>arlo? Come poteva? Era così vario, così multicolore, così <strong>di</strong>verso da se stesso in<br />

tutti gli infiniti angoli che era impossibile o<strong>di</strong>are in blocco la realtà esterna. Poteva o<strong>di</strong>are quel<br />

prato; ma in fondo quel prato era ancora la casa che doveva lasciare. Orizzonti che ora allargavano<br />

la sua vista a capacità neanche intuite attraverso le finestre, chiuse o aperte che fossero.<br />

Scese sul manto, ma si pentì subito: il contatto con un vegetale il cui vaso era il pianeta Terra lo<br />

scosse terribilmente. Risalì gli scalini con cauti movimenti, quasi non volesse far sentire a<br />

quell’erba e a quegli alberi che se ne andava per causa loro. Si girò confuso <strong>di</strong> tutto quel che stava<br />

vivendo; e toccò quell’uscio per la seconda volta in vita sua: stavolta per entrare.<br />

I<br />

3


L’ottavo è il più infimo tra i binari: si possono incontrare le scene più strane che la vita possa<br />

creare. E non è tanto per il cosmopolitismo dei passeggeri provenienti dai luoghi più <strong>di</strong>sparati del<br />

globo; ma per l’incontro <strong>di</strong> queste con figure autoctone, <strong>di</strong> tutti i tipi anch’essi, e concor<strong>di</strong> tutti sul<br />

guardare con sospetto, <strong>di</strong> sottecchi, gli stranieri. Viktor De Michelis non aveva mai visto dal vivo<br />

gli stranieri, tranne quella volta che un uomo <strong>di</strong> colore, mirabile cosa per lui, era venuto a trovarli a<br />

casa. Lì non c’erano solo neri, ma cinesi e polacchi, o giapponesi e rumeni: i libri insegnano tanto,<br />

ma non a riconoscere perfettamente il luogo <strong>di</strong> origine <strong>di</strong> coloro che si incontrano, e per un<br />

assemblaggio <strong>di</strong> tratti fisici, linguistici e comportamentali, si intuiscono non appartenenti alla<br />

popolazione che vive nel proprio territorio delimitato da confini storici, per lo meno <strong>di</strong>scutibili.<br />

Viktor posò le borse su un rialzo <strong>di</strong> marmo, vicino alle uniche scale che portavano a quel<br />

binario. Quattro polacche/rumene parlavano animatamente, probabilmente eccitate dal viaggio.<br />

Notò subito una ragazza avvenente, sola, che fumava con la sensualità e spontaneità che solo le<br />

donne sanno avere senza essere ri<strong>di</strong>cole. Anche a lui venne voglia <strong>di</strong> fumare, prima <strong>di</strong> intraprendere<br />

il primo viaggio della sua vita. «Chissà se aumenterò le mie tre sigarette giornaliere», abitu<strong>di</strong>ne<br />

ormai consolidata per il suo metabolismo equilibrato, «chissà se…chissà dov’è il mio accen<strong>di</strong>no». E<br />

mentre rovistava affannosamente nella borsa, il fumo passivo della ragazza sensuale gli prospettava<br />

la facile risoluzione alle sue ricerche: «no, non le voglio chiedere d’accendere, sembrerebbe una <strong>di</strong><br />

quelle frasi sciocche che servono ad accalappiare prede per mettere a tacere la propria libido che<br />

scalpita. Sarebbe veramente stupido, ora trovo il mio». Ma più s’ostinava, e più l’accen<strong>di</strong>no<br />

scappava via nelle tasche segrete <strong>di</strong> una borsa, che all’apparenza sembrava finita, piccola e<br />

conclusa, ma che nascondeva, come spesso fanno le borse, dei buchi neri in miniatura, i quali<br />

smaterializzavano gli oggetti, non per sempre, solo per i momenti in cui più abbiamo bisogno <strong>di</strong><br />

quegli oggetti.<br />

Si arrese:<br />

«Scusa, hai da accendere?»<br />

Pronunziata, era ancora più ri<strong>di</strong>cola quella frase da cinema senza regista in un bar fuori mano.<br />

«Sì, certo»<br />

Rispose invece con garbo quella ragazza: «che forse sia abituata a scene del genere, oppure<br />

veramente non le dà fasti<strong>di</strong>o. O forse ancora, magari…», quest’ultimo pensiero, che lo faceva<br />

<strong>di</strong>ventare come qualsiasi infido marpione che crede <strong>di</strong> aver ormai la zanzara nella tela, solo perché<br />

questa non scappa alla sua vista, lo fece rabbrivi<strong>di</strong>re <strong>di</strong> se stesso, ribrezzo tremolante, <strong>di</strong>stratto solo<br />

dal colore dell’accen<strong>di</strong>no: bianco, can<strong>di</strong>do.<br />

«Forse non funziona»<br />

In effetti le numerose scintille nella sua mano non si erano ancora trasformate in fiamme, e<br />

aveva, fino alla frase della ragazza, supposto che il fallimento fosse dovuto al nervosismo, causato<br />

dal ribrezzo, causato dalle frasi.<br />

«Una fiammetta l’aveva fatta, ma ora»<br />

«Sì, penso sia finito»<br />

«Va bene, non fa niente, cerco il mio»<br />

E ridatale l’accen<strong>di</strong>no si mosse verso la sua borsa, che ormai sprofondava nell’antimateria,<br />

poggiata sulla panchina d’attesa. Come riaffondò la mano, la ragazza <strong>di</strong>sse:<br />

«Vuoi accendere con la sigaretta?»<br />

II<br />

4


Due delle rumene/polacche salirono sul treno. Altri giapponesi/cinesi, ma ora chiaramente<br />

cinesi, per via dei loro monosillabi, avevano occupato in tre un intero scompartimento, o meglio,<br />

nessuno osava entrare da loro, chissà perché.<br />

«Sì, grazie»<br />

Stupido ancor <strong>di</strong> più ora non accettare quell’invito, anche se si sarebbe sentito sollevato solo<br />

quando quella scena goliar<strong>di</strong>ca fosse finita. E lei fece qualcosa <strong>di</strong> magico, magico anche per Viktor,<br />

che se pure aveva vissuto per anni in una casa senza mai uscire, poteva intuire cosa si <strong>di</strong>scostava dai<br />

normali rapporti sociali, e cosa invece poteva oscillare tra la straor<strong>di</strong>narietà e la metafisica.<br />

Anziché darla in mano a Viktor, la ragazza avvicinò con la sua mano la sigaretta accesa alla<br />

sigaretta spenta in bocca a lui. E con un sorriso che accompagnava quella magica gentilezza, la<br />

spenta si accese, senza che quella accesa si spegnesse.<br />

Ora imbarazzato e confuso, e anche in un certo senso felice, Viktor sussurrò un “grazie”<br />

commosso. Lei fece un altro tiro e la buttò, addosso al treno, non si era capito se <strong>di</strong> proposito o per<br />

sbaglio: la goffaggine <strong>di</strong> quel gesto non traspariva nel suo comportamento, ma nella grazia dei suoi<br />

occhi sì, che vedevano spegnere senza motivo l’aureola che le costruì quella situazione in cui Viktor<br />

era il consapevole canonizzatore; non la perse, ma lei non se la vedeva più addosso. E con la sua<br />

borsa salì su quello stesso vagone su cui era rimbalzata la cicca, prima <strong>di</strong> finire tra le pietre bianche<br />

della rotaie, albose.<br />

Le due polacche (si intende barra rumene) rimaste a terra parlavano a gesti con le altre due,<br />

ospiti dello stesso scompartimento su cui era salita la ragazza magica, occupando un gruppo <strong>di</strong> posti<br />

da quattro: su quei treni se si è soli, un posto da quattro equivale a un posto, tranne che per<br />

affollamenti da fine settimana; e così le due polacche occupavano un gruppo; un gruppo libero, e<br />

poi il gruppo dominato da lei, come una regina magnanima che amministri con dovizia e senno quel<br />

regno sconfinato.<br />

Una delle due polacche gesticolava animatamente, e si avvicinava come se il gesto da più vicino<br />

fosse percepito <strong>di</strong> più dalle passeggere che non tutto interpretavano a dovere; o forse come delle<br />

esegete professioniste si limitavano a comprendere senza dar sfoggio della loro intelligenza<br />

ricettiva, germinando il dubbio nel comunicatore che reputava importante la comprensione totale<br />

del messaggio, per cui un vago assenso equivaleva alla più <strong>di</strong>sarmante sor<strong>di</strong>tà. L’altra a terra le<br />

<strong>di</strong>ceva probabilmente <strong>di</strong> non superare la linea gialla, e guardava Viktor a ogni rimprovero rivolto<br />

all’amica, come se vedesse in lui un controllore; ma anche lo fosse stato, chi le avrebbe detto <strong>di</strong> non<br />

oltrepassarla? «Questa è la loro con<strong>di</strong>zione quin<strong>di</strong>: impauriti dal razzismo a ogni gesto che possa<br />

minimamente infrangere le regole, i non-italiani si sentono già in colpa e cercano <strong>di</strong> re<strong>di</strong>mersi. Ma<br />

attraversate tutte le linee che volete» gli avrebbe voluto gridare Viktor «che questo paese non è più<br />

nostro <strong>di</strong> quanto sia vostro». Non sapeva in che tempi viveva: così impopolare era quel suo pensiero<br />

nella penisola, infestata da criminali che come unica salvezza avevano quella <strong>di</strong> ad<strong>di</strong>tare criminali<br />

meno pericolosi <strong>di</strong> loro, ma con un cognome che finiva per consonante.<br />

La signora, in preda all’emozione, attraversò realmente la famigerata linea gialla, tanto che<br />

Viktor pensò: «ma ho parlato ad alta voce?». No, perché appena la signora ebbe urlato qualcosa al<br />

vetro del treno, urlo che fu finalmente compreso dalle passeggere, entrambe si rivolsero verso <strong>di</strong> lui<br />

chiedendo una sorta <strong>di</strong> scusa. «Mah!»<br />

La sigaretta stava per terminare, mentre pensava che sarebbe stato piacevole leggere con<br />

sottofon<strong>di</strong> <strong>di</strong> vocio in lingua straniera: gli era sempre piaciuto mentre leggeva, ascoltare una lingua<br />

che fosse <strong>di</strong>versa da quello dello scritto, così che potesse concentrarsi sul suono <strong>di</strong> entrambe le cose,<br />

senza essere <strong>di</strong>stratto dal senso delle parole, che in una poesia, a volte <strong>di</strong>strae, perché associamo il<br />

senso anche a ricor<strong>di</strong> e sensazioni personali, oppure semplicemente non ne sappiamo il significato;<br />

pensava che della letteratura bisognasse coglierne lo sprazzo, oppure stu<strong>di</strong>arla a fondo; la semplice<br />

attenzione, o lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong>stratto, tanto per capire, all’acqua <strong>di</strong> girasoli, potevano essere forme che<br />

non sempre si ad<strong>di</strong>cevano al testo. Pensava continuamente a queste cose Viktor, e cambiava<br />

quoti<strong>di</strong>anamente opinione, anzi, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> poche ore. In quel caso gli conveniva pensarla così,<br />

5


perché se durante il viaggio non avesse avuto il coraggio <strong>di</strong> rivolgere la parola alla ragazza magica,<br />

almeno avrebbe trovato piacevole leggere i suoi libri amici.<br />

Ma, come quando sul più bello del gelato arriva il tuo migliore amico che ti chiede <strong>di</strong> assaggiare<br />

proprio mentre stai per azzannare la parete <strong>di</strong> quel cono che ami <strong>di</strong> più, e non puoi rifiutare perché<br />

qualche giorno prima hai fatto la stessa cosa con lui pensando che quella fosse solo la Tua parte<br />

preferita, un italiano/italiano, probabilmente abbastanza tocco <strong>di</strong> mente, dall’aspetto trasandato,<br />

prese il posto che Viktor stava già assaporando con gli occhi bucando il finestrino. Salì lo stesso su<br />

quel vagone, con ansia, cercando un altro posto da quattro; erano tutti occupati; si voltò ed entrò<br />

nello scompartimento contiguo, quello dei cinesi, consolandosi: «è sempre una lingua straniera».<br />

Quante volte doveva avere ragione quella volpe che <strong>di</strong>sprezzava la famigerata uva! L’aureola si<br />

sciolse veramente anche per lui, e quel gesto <strong>di</strong>stratto <strong>di</strong> una sigaretta sul treno <strong>di</strong>ventò il simbolo <strong>di</strong><br />

una <strong>di</strong>stanza, ormai insignificante tra l’altro.<br />

Nel frattempo erano anche saliti su quel vagone un nero e una filippina/indonesiana, il che<br />

aumentava il piacere delle righe, perché il cinese monosillabico e secco, era a volte interrotto da<br />

vocali che sottomettevano consonanti aspirate, o da sottili suoni <strong>di</strong> creolo lontano. E così, in questo<br />

concerto d’improvvisazioni impreve<strong>di</strong>bili, e fatte <strong>di</strong> lunghi silenzi <strong>di</strong> persone che non parlano se<br />

non hanno niente da <strong>di</strong>re, si svolgeva l’altra magia, questa ormai consueta per Viktor: gli occhi che<br />

scorrevano tra le parole dei narratori e dei poeti <strong>di</strong> tutte le epoche, <strong>di</strong> tutte le letterature, <strong>di</strong> tutto il<br />

mondo. E con la coda dell’occhio, e, alzando la testa <strong>di</strong> tanto in tanto, con l’occhio dell’occhio,<br />

ammirava fuori dal finestrino luoghi che non aveva mai visto, lo spazio esterno sconosciuto e<br />

impreve<strong>di</strong>bile per lui, che scorreva veloce come un carrello felliniano davanti al suo finestrino.<br />

A una stazione scesero i cinesi. A quella successiva salirono due <strong>di</strong>ciottenni, italiane, vestite<br />

praticamente uguali, con un chewinggum per una, con i capelli lisci come l’olio, mantenuti da<br />

ferretti per farseli andare <strong>di</strong> proposito su gli occhi. Codeste ebbero il seguente <strong>di</strong>alogo, sviluppando<br />

una potenza <strong>di</strong> decibel superiore a quella raggiunta da tutti i suoni che si erano avuti in quell’ora <strong>di</strong><br />

viaggio messi insieme:<br />

«Ma che quelli è Clau<strong>di</strong>o e Alessandro?»<br />

«Chi?»<br />

«Quelli sulla spiaggia»<br />

«Ah, sì»<br />

«Apro il finestrino e li saluto»<br />

«Dai, non fare sempre la pesciarola»<br />

«Non si apre sto finestrino, perché?»<br />

«C’è scritto finestrino bloccato»<br />

«No, c’è scritto aria con<strong>di</strong>zionata»<br />

«Veramente c’è scritto tutt’e due»<br />

«Ah, sì, cazzo»<br />

Viktor smise <strong>di</strong> leggere.<br />

Dietro il paesaggio una luce senza centro spaziava, già la terra attutiva labbra rosse e bambini,<br />

negli eremi fragili dell’aria si raccoglievano api e stelle; e già vano è chiedere alle alluvioni il<br />

perché dei monti rimasti ad<strong>di</strong>etro, il perché delle zinnie che si <strong>di</strong>ssetano al gelo dei chiostri nascosti<br />

sotto il Biferno. Tra gli esempi compiuti delle notti e le rugiade or<strong>di</strong>nate e le foglie trapassate, un<br />

instabile miele definisce il suo zo<strong>di</strong>aco d’oro. Ma non c’è voce d’uccello preso nei lacci esigui delle<br />

III<br />

6


cacce, nei riflessi allegri delle nevi che dolce non trovi esser fraintesa, ogni giovane mosto arde e<br />

s’esalta liberato dalle prigioni, ogni fuoco è giar<strong>di</strong>no, ogni strumento s’accorda al nuovo tocco del<br />

sole. Canestri colmi <strong>di</strong> pioggia <strong>di</strong> valle, settimana ingombrata dalle spine e dalle zinnie, dovunque<br />

tu ospiti miti mercati nelle tue radure e nelle tue piccole sere si compra e si vende e si sorride<br />

talvolta agli inviti della prima brina, e si beve al <strong>di</strong> là delle labbra.<br />

Viktor non era mai stato ad un concerto, non poteva mai essere stato ad un concerto. Per lui la<br />

musica si riduceva a quanto <strong>di</strong> contemporaneo e <strong>di</strong> casalinga fruibilità possiede questa parola. Non<br />

si era mai appassionato ad uno strumento musicale in particolare, ma li considerava come assaggini<br />

squisiti <strong>di</strong> un enorme buffet sonoro; da bere c’era la voce umana.<br />

Si agglomerava la folla all’uscita come se tutti avessero parcheggiato l’automobile nello stesso<br />

punto; Viktor salì nell’auto del suo amico, e insieme presero l’autostrada.<br />

Stephen Okalinih parlava anche troppo. I suoi giu<strong>di</strong>zi sul concerto partivano da particolari<br />

prettamente tecnici per arrivare a un giu<strong>di</strong>zio estetico emotivo, sottolineato con parolacce<br />

amplificatrici <strong>di</strong> aggettivi come «fantastico», «clamoroso» e «unico». Ma forse il loro lungo<br />

chiacchiericcio era solo una lotta contro il sonno, un killer <strong>di</strong> quei momenti che vorrebbero con la<br />

loro noia rovinare i magici momenti dell’esistenza, andandosi a posizionare tra i vuoti degli<br />

ingranaggi, come una sabbia fitta che assorbirebbe l’olio tra <strong>di</strong> essi. A volte c’è troppa sabbia, e<br />

desistiamo; ma quando deci<strong>di</strong>amo che debbano girare lo stesso, allora in quei momenti non<br />

facciamo altro che spazzare via quella sabbietta col pennellino.<br />

«La tua storia ha dell’incre<strong>di</strong>bile»<br />

I chilometri segnati dai cata<strong>di</strong>ottri sottolineavano quanto infinite fossero le strade. Ogni<br />

chilometro nascondeva ai lati dell’autostrada campagne, paesi, animali e piante: milioni, miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

vite con il loro perché, con una storia, immensa quanto è immensa quella che ognuno crede per sé.<br />

Al <strong>di</strong> là del concetto <strong>di</strong> libro; quella storia non era riassumibile da alcun Sallustio; i rappresentanti<br />

grafici e fonici non riuscivano a sostituirsi alle molteplici esperienze, perché le loro combinazioni<br />

erano inferiori ai tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> vita, così che si sarebbe avuta la stessa combinazione per un<br />

australiano cacciatore <strong>di</strong> coccodrilli e un basilicatese combattente da brigante, mostrando e<br />

<strong>di</strong>mostrando così l’assur<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> quei rappresentanti.<br />

«Sai cosa dovremmo fare?»<br />

«Certo: tutto»<br />

«Sì, ma <strong>di</strong>cevo al più presto»<br />

Non sapeva da dove cominciare Viktor; era totalmente in preda al panico della molteplicità<br />

dell’esistenza appunto. Ma Stephen aveva una priorità per lui:<br />

«Una priorità dettata solo dal fatto che siamo italiani, cazzo, è clamoroso che tu non l’abbia mai<br />

potuto fare»<br />

Vedere le gran<strong>di</strong> opere dell’uomo, gustare la magia <strong>di</strong> ogni opera pittorica dentro gli Uffizi,<br />

mischiarsi nel flusso costante <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui singoli che corrono per Londra, attraversare l’oceano<br />

volandoci o navigandoci sopra, smicciare le prostitute su una strada rinomata per ogni orario,<br />

pagare per mangiare qualcosa, lavorare contribuendo alla società come una molla socialista <strong>di</strong> una<br />

macchina immensa, sorridere a una ragazza che ti sorride ma che sta prendendo un altro autobus <strong>di</strong><br />

una città in cui non tornerai mai, bere a una fontanella dopo aver camminato ore sotto il sole, subire<br />

un sopruso economico o morale da parte <strong>di</strong> uno sconosciuto, passeggiare per una città turistica<br />

percependo i dolci suoni insensati che si colorano <strong>di</strong> senso solo in una poesia <strong>di</strong> Cummings, <strong>di</strong>re no<br />

a qualcuno che ti chiede l’elemosina, trovarsi solo in un posto sconosciuto senza sapere che ore<br />

sono e cercando un <strong>di</strong>sperato motivo per fare qualcosa.<br />

«Dovremmo fare una partita a pallone»<br />

«Quale pallone?»<br />

Stephen Okalinih apparteneva a quella fascia <strong>di</strong> persone che si ritiene interessante se si<br />

appartiene alla stessa fascia o a fasce limitrofe. Il suo linguaggio nascondeva però una certa<br />

insicurezza imposta dall’avventata eruzione <strong>di</strong> un vulcano che si chiamava ristrettezza culturale, <strong>di</strong><br />

cui sicuramente accusava i suoi genitori; invece anche loro erano coscienti, e quel che non capiva il<br />

7


giovane era lo sforzo che i suoi avevano fatto per sod<strong>di</strong>sfare quei bisogni primari, e anche quelli<br />

secondari, troppo scontati per chi non se li è dovuti procurare sacrificando la cultura. Così l’errore<br />

dei genitori, se uno se ne vuole ad<strong>di</strong>tare, non era quello <strong>di</strong> avere un bagaglio culturale a mano, ma il<br />

mancato interesse presente verso ciò che è meraviglioso, con la scusa dell’incomprensione. Per<br />

questo il più giovane critico musicale del mondo dovrebbe girare per le case <strong>di</strong> tutti i quartieri <strong>di</strong><br />

tutte le nazioni, suonare il campanello, aspettare guardandosi attorno e magari rimuginando sul suo<br />

ultimo libro, asciugarsi le scarpe sullo zerbino se ha piovuto, asciugarsi la fronte dal sudore se c’è il<br />

sole, vedere finalmente la porta aprirsi, e <strong>di</strong>re: «guardate che non c’è niente da capire». Ma questo<br />

Stephen non poteva pensarlo, e nel suo linguaggio brulicava la sua insicurezza; d’altronde la sua<br />

cultura cresceva <strong>di</strong> giorno in giorno, e il segreto stava per lui in due particolarità: non credere mai <strong>di</strong><br />

essere arrivato, e non abbandonare ciò che piace particolarmente, per cui una partita a pallone per<br />

un Italiano era la prima cosa da fare.<br />

E nel frattempo la macchina arrivò alla sua prima destinazione: «allora ci ve<strong>di</strong>amo domani».<br />

Solo nella sua casa, Viktor guardava l’opulenza della libertà e pensava alla sua breve vita se non<br />

avesse trovato qualcosa da fare. Una laurea era riuscita a conseguirla legalmente pur nelle sue<br />

con<strong>di</strong>zioni.<br />

Mentre passeggiava per la città, scrutava le vetrine con commesse inserite nel circuito<br />

economico.<br />

Gli zampilli della doccia lo accarezzavano e lo pulivano col loro fare sonnolento, e provare a<br />

fare tutto era ciò che voleva <strong>di</strong> più.<br />

Seduto sugli spalti <strong>di</strong> un teatro signorile dentro un castello nel centro storico della città, scriveva<br />

su fogli insani, sul retro <strong>di</strong> pagine già usate, sul verso dei propri autografi, impressioni sul mondo<br />

esterno, sulla vita vissuta, preoccupandosi ad ogni parola <strong>di</strong> risultare interessante. Non c’è peggior<br />

cosa <strong>di</strong> scrivere qualcosa <strong>di</strong> noioso e annoiante.<br />

Il virtuosismo dell’azione per l’azione: la rovesciata sforbiciata rocambolesca da cartone<br />

inanimato, fermo statico in movimento. Il punto morto del tocco, il contatto classificato come urto e<br />

la deformazione della palla; bisogna essere skillaci e hagili pel estrarre dal tironiano sette una palla<br />

a scacchi. L’alfiere rimbomba la bomba e caccia dall’estremo della rete, quasi buffon <strong>di</strong> corte,<br />

scaglia sulla riva della rivera una passeggiata son l’amata sfera. Sincopato è il ritmo del passaggio<br />

uno due uno due: lo sport per lo sport e non lo sport per lo spot. Solo nelle menate dei ragazzini<br />

nell’oratorium della chiesa sconsacrata si agita il dardo dell’onnipresente <strong>di</strong>vinità, in ogni ombra <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fensore che si allontana, la guerra ha senso solo per gioco, una maradona infinita per le langhe<br />

dell’area piccola, base per bassezza: all’arrem baggio attraverso lo specchio.<br />

«Non la devi passare sempre, Viktor, puoi tirare quando sei davanti alla porta»<br />

E la paura <strong>di</strong> vincere non l’hai mai avuta? L’ansia della competizione non ti ha mai portato ad<br />

essere il primo che cede? Ecco Julio Cesare alle porte del pollaio: «it’s better back and bauer» urla<br />

ai suoi, «confratelli romani, i tempi cupi li facciamo noi, basta torniamo in<strong>di</strong>etro, sono stanco <strong>di</strong><br />

vincere». Messi <strong>di</strong> grano batistute dalle marce, merci marcel, torniamo a casa, via lli: gloria<br />

nell’alto dei cerchi olimpionici, e pace in terra agli uomini <strong>di</strong> buona voluttà; io mi glorifico e mi<br />

bene<strong>di</strong>co, vieni a falciarmi se sei l’ultima morte, fuori gioco alzo la ban<strong>di</strong>era a scacchi: torre<br />

d’avorio, torre <strong>di</strong> platini e scacco mattheus.<br />

«Questo è fallo, su!»<br />

«Fallo?? Va bene; era sulla palla, comunque fai quello che vuoi»<br />

«Ma che sulla palla!»<br />

IV<br />

8


La confusione della competizione corpo a corpo proiettava Viktor in un giuoco auto<strong>di</strong>fensivo <strong>di</strong><br />

silenzio. Neanche le regole gli erano ben chiare: non riusciva a capire il confine tra un contatto<br />

falloso e un semplice contatto. E ognuno <strong>di</strong> questi gli stimolava il rettile nascosto nel cervelletto,<br />

alimentando un nervosismo mai provato finora. Non vedeva l’ora che tutto questo finisse.<br />

«Mancano cinque minuti: manteniamo il risultato»<br />

Sul cassero era fitto un pavese quadro in otto battagliole forcute, e v’era un assero <strong>di</strong> timone per<br />

grado, e paliotto un panno <strong>di</strong> batista era, tovaglia era ferzo <strong>di</strong> trevo o marabotto; e quivi con un<br />

camice <strong>di</strong> maglia l’asta <strong>di</strong> croce in pugno avea l’accolito.<br />

«E ora?»<br />

«Ora an<strong>di</strong>amo a fare la doccia»<br />

«No, ma <strong>di</strong>co: che facciamo della nostra vittoria?»<br />

«Ma come parli, Viktor?»<br />

Entrarono nello spogliatoio stremati; <strong>di</strong>eci reduci da una battaglia <strong>di</strong> amici.<br />

Otakar B ezina <strong>di</strong>sse:<br />

«Sono venuti i goal da chi non si aspettava»<br />

Luca Brasi <strong>di</strong>sse:<br />

«È stato un miscuglio incontrollato <strong>di</strong> estri e personalità»<br />

Velleio Patercolo <strong>di</strong>sse:<br />

«Dovremmo portarci sempre le donne, come oggi. Danno quel tifo in più che ti dà una carica<br />

pazzesca. Poi c’è Mae che non staccava un attimo gli occhi da Viktor, e anche lui a ogni palla ferma<br />

non faceva altro che guardare lì. Secondo me c’è qualcosa tra <strong>di</strong> voi: sono più vecchio <strong>di</strong> voi e le<br />

capisco al volo queste cose. Mi ricordo per esempio <strong>di</strong> quando Stephen incontrò per la prima volta<br />

Enrica alla stazione: da quando li ho presentati non facevano altro che guardarsi parlare ridere come<br />

se gli <strong>altri</strong> non esistessero. E guarda ora! Sono l’unica prova che l’amore esiste. Tu cre<strong>di</strong><br />

all’amore?»<br />

Viktor De Michelis <strong>di</strong>sse:<br />

«”Credere” è una parola che uso <strong>di</strong> rado. Preferisco usare espressioni come “penso che sia<br />

possibile” oppure “reputo veritiero”»<br />

Cola <strong>di</strong> Rienzo <strong>di</strong>sse:<br />

«Ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah ah»<br />

Stephen Okalinih <strong>di</strong>sse:<br />

«In verità in verità vi <strong>di</strong>co:… posso Viktor?...sono già usciti insieme ieri sera e io non so, non<br />

so, ma pare che lei non sia rimasta per niente scontenta. Ma non sod<strong>di</strong>sfatta sessualmente, che qui,<br />

signori, non stiamo parlando <strong>di</strong> una puttana, ma <strong>di</strong> una vera e propria donna. È rimasta sod<strong>di</strong>sfatta<br />

perché, questo vecchio porco maledetto che voi poco conoscete, non ci ha provato… è un porco<br />

perché non fa il porco: solo chi è qualcosa non è capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare quel qualcosa. Le ha dato solo<br />

un bacio a fine serata»<br />

Ben Okri <strong>di</strong>sse:<br />

«Meraviglioso. Comunque io non so voi, ma questo calcetto mi ha proprio <strong>di</strong>strutto. Quin<strong>di</strong><br />

docciatevi prima voi se ce la fate»<br />

John Densmore <strong>di</strong>sse:<br />

«Vado io»<br />

Vasilij Kamenskij <strong>di</strong>sse:<br />

«Anch’io»<br />

Grigorios Xenopulos non <strong>di</strong>sse niente.<br />

Cominciarono a spogliarsi in un miscuglio <strong>di</strong> fetori improponibili. Ma quando Viktor si tolse la<br />

maglietta, un paio dei ragazzi sbarrarono gli occhi terrorizzati. Una ventata <strong>di</strong> incredulità unica<br />

correva nelle loro pupille. Le prime emozioni che si provano <strong>di</strong> fronte a qualcosa <strong>di</strong> inspiegabile<br />

sono tre, in or<strong>di</strong>ne cronologico: si pensa <strong>di</strong> aver visto male, salvagente della ragione che non vuole<br />

accettare l’inspiegabile, e non si vuole neanche affrontare spiegando quell’inspiegabile; la seconda<br />

ha del religioso, o meglio <strong>di</strong> apocalittico, cioè si pensa che quel momento magico visto in numerosi<br />

9


film, o raccontato in volumi e volumi <strong>di</strong> agiografie e <strong>racconti</strong> epici, abbia un corrispettivo nella<br />

realtà, <strong>di</strong> cui questa è finalmente la manifestazione; impauriti dall’apocalissi si ritorna alla ragione,<br />

che non potendo più però esplicare l’accaduto si rivolge ad altre ragioni, ad altre persone che<br />

magari conoscono una normale spiegazione rinfrancante e razionale. Tutti allora si girarono verso<br />

Stephen, l’unico che sapeva qualcosa <strong>di</strong> Viktor: Stephen era stato finora <strong>di</strong>stratto da un paio <strong>di</strong> lacci<br />

che non ne volevano sapere <strong>di</strong> sciogliersi. Quando notò il silenzio, come si nota l’assenza <strong>di</strong> un<br />

guastafeste in una bella serata, alzò gli occhi e vide che tutti lo guardavano. Poi girò lo sguardo<br />

verso Viktor che s’era nel frattempo alzato e mostrava la schiena rea dello stupore, ed ebbe quasi un<br />

cenno <strong>di</strong> svenimento:<br />

«Ma che cazzo? Viktor! Ma quelle sono…cioè clamoroso, porca troia; quelle sono…»<br />

«Che cosa? Ah, queste. Sì, sono le mie ali. Non te ne ho mai parlato?»<br />

10


PARTE SECONDA<br />

Alain Vaneschi aveva avuto un’infanzia <strong>di</strong> mostri: inesistenti per lo più, ma ancor più pericolosi<br />

per questo. Il contatto è rassicurante perché già testimonia l’esistenza e quin<strong>di</strong> la perfettibilità <strong>di</strong><br />

quel tentacolo; ed è inoltre patologicamente confortante, come il dolce conforto che prova<br />

l’ipocondriaco quando vede le sue paure concretizzarsi su una cartella clinica. Il terrore <strong>di</strong> una<br />

scossa sismica atterrisce, e si libera quell’adrenalina solo dopo il terremoto, che si capisce che tutto<br />

è passato, e incolumi ci si addormenta. Non è ciò che manifestamente esiste che terrorizza l’uomo,<br />

ma ciò che potrebbe scatenarsi. Per questo Alain Vaneschi doveva spendere la sua vita per la<br />

rimozione <strong>di</strong> quelle fobie, vere e proprie paure che si concretizzavano in maniera perfetta solo nel<br />

pensiero.<br />

La scienza solamente poteva aiutare un uomo del genere; non il concetto <strong>di</strong> scienza fallace che<br />

avevano in mente i suoi contemporanei. Costoro reputavano scienza ciò che era verificabile,<br />

scartando a priori il fatto che il concetto <strong>di</strong> verifica fosse un assioma del tutto inventato da un uomo,<br />

uno come noi, con niente <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino nel corpo o nello spirito da giustificarlo come essere dominante<br />

sui suoi simili. Il concetto <strong>di</strong> scienza invece invade campi fallibili del sapere umano, e si impone<br />

come metodo critico in continua relazione col metodo applicato alla realtà, e quin<strong>di</strong> solo metodo.<br />

Imprescin<strong>di</strong>bile. Tutto ciò portava a considerare scientifica anche la letteratura, o almeno<br />

l’interpretazione <strong>di</strong> essa. Perciò gli interessi <strong>di</strong> Alain Vaneschi spaziavano dalle formule chimiche<br />

alle teorie semiotiche, entrando nel campo della pittura con lo stesso approccio della<br />

termo<strong>di</strong>namica, il montaggio cinematografico e la matematica non euclidea. Le due lauree<br />

conseguite velocemente in Lettere classiche e in Fisica teorica lo avevano portato a essere un uomo<br />

unico, l’unico a cui si sarebbe potuto affidare un esperimento del genere.<br />

Ma non erano stati anni facili quegli degli stu<strong>di</strong> per Alain. Poca fiducia riponeva la sua famiglia<br />

nella sua mente, che per lui tanto scientifica, era considerata un astronomico subbuglio <strong>di</strong> stronzate.<br />

Lo spronavano come si può spronare un bambino a ripetere il gesto semplice per lui nuovo e<br />

formidabile, come quello <strong>di</strong> riuscire ad aprire una scatola, e richiuderla, e riaprirla, sotto lo sguardo<br />

fintamente stupefatto del genitore sorridente. Insomma: battevano le manine. Così la fiducia nella<br />

sua mente doveva essere continuamente drammatizzata, e lui doveva far finta <strong>di</strong> non dare retta alle<br />

sue gran<strong>di</strong> doti. Ma quelli erano anche anni <strong>di</strong>versi per l’Italia: certo più <strong>di</strong>fficili economicamente, e<br />

anche pervasi da un rispettoso rispetto rispettante verso chi stu<strong>di</strong>ava; oggi probabilmente, all’alba<br />

del ventunesimo secolo, Alain non avrebbe continuato la sua lotta, e avrebbe intrapreso seriamente<br />

uno <strong>di</strong> quei lavoretti che invece, per fortuna, si era solamente limitato a fare spora<strong>di</strong>camente per<br />

darsi l’illusione <strong>di</strong> una quasi in<strong>di</strong>pendenza stentata. Solo la sua famiglia non credeva veramente alle<br />

sue doti, e le pressioni <strong>di</strong> parenti e amici e professori e chi avesse subito quella cieca obbe<strong>di</strong>enza<br />

all’uomo sui libri, portarono alla convinzione che quella seconda laurea umanistica, che sembrava<br />

proprio non entrarci una minchia, servisse a un qualche scopo. E servì.<br />

Appena uscito dalla seconda e stantia festa <strong>di</strong> laurea, a lui si interessarono ricercatori <strong>di</strong> aziende<br />

private, che compivano in quegli anni seri stu<strong>di</strong> sull’essere umano, un po’ per puro amore della<br />

filantropia, un po’ perché sapere più sull’uomo ti dà la marcia in più per controllarlo. Questa<br />

azienda era l’IRU, Istituto per le Ricerche Umane, un ente che non si capiva, e non si sarebbe mai<br />

capito bene, se fosse pubblico o <strong>di</strong> privata iniziativa <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> altre aziende che effettuavano<br />

ricerche commerciali su l’uomo. Uno <strong>di</strong> questi che lavorava per l’ESRU, Ente per lo Sviluppo e la<br />

Ricerca sull’Uomo, ed era entrato nell’IRU come componente aggiuntivo per l’effettuazione <strong>di</strong><br />

esperimenti, ente che poi si staccò ufficialmente dall’IRU per associarsi ad <strong>altri</strong> enti internazionali<br />

simili ad esso, formando l’IRO, l’International Research Organization, che poi cambiò il suo nome<br />

in…insomma una serie <strong>di</strong> cambiamenti e <strong>di</strong> camuffamenti non permettevano <strong>di</strong> stabilire con<br />

sicurezza chi o che cosa avesse affidato al dottor Vaneschi l’incarico <strong>di</strong> formare un gruppo <strong>di</strong><br />

ricerca che proponesse prima <strong>di</strong> tutto che cosa ricercare. Dopo i primi progetti non molto<br />

I<br />

11


interessanti, il gruppo propose <strong>di</strong> filmare ciò che accadeva in un ambiente <strong>di</strong> lavoro per una<br />

settimana, e poi un’altra settimana avvisando però i <strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> essere filmati e pregati <strong>di</strong><br />

comportarsi come si sarebbero comportati normalmente: ciò che stupì <strong>di</strong> più chi approvò il porgetto<br />

fu che come aziende da sondare furono proposte una <strong>di</strong> queste società come l’IRU o l’IRO o gli<br />

ORI, RVF, SUFDPCVD e chi più ne ha più ne metta. Finito il progetto, magri furono i risultati (a<br />

parte qualche licenziamento), così si invitò Alain Vaneschi a presentare un progetto serio, grande,<br />

unico; entro un mese, <strong>altri</strong>menti il gruppo <strong>di</strong> ricerca sarebbe stato sciolto. Fu nelle notti insonni che<br />

antichi mostri riaffastellarono la mente <strong>di</strong> Alain, nell’incubo <strong>di</strong> veder fallire la nuova e meravigliosa<br />

opportunità che aveva la mente del giovane neolaureato <strong>di</strong> essere ricompensata per le sue stronzate,<br />

che da un fantasma nacque un’idea.<br />

Il 30 settembre 1982 il gruppo <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> scienziati (nel senso che abbiamo dato prima a<br />

questo termine), capeggiato da Alain Vaneschi, si presentò negli uffici <strong>di</strong> qualche ente con tante<br />

lettere puntate, proponendo un progetto che sarebbe durato 25 anni.<br />

Il lungo viale non era assolutamente alberato, anzi costeggiato da case <strong>di</strong>fformi che comunque<br />

producevano un punto focale, quell’enorme palazzo fatiscente, nella sua plasticità<br />

incommensurabile dominava come un pantheon, come un transformer. La scalinata oppio dei popoli<br />

non <strong>di</strong>sabili, l’unico fenicottero senza ali si <strong>di</strong>stricava verso se stesso. Finestre su finestre<br />

riflettevano i pensieri <strong>di</strong> ogni essere vivente, e controllato ci si sentiva solo chi leggeva i giornali.<br />

Lo spiazzo davanti l’e<strong>di</strong>ficio, <strong>di</strong> un marmo bianco lucido, creava l’effetto ottico <strong>di</strong> un bacio opaco e<br />

impenetrabile quando ti trovavi lì sopra e pensavi <strong>di</strong> essere finalmente abbastanza vicino per vedere<br />

che cosa succede dentro quelle vetrate, acca<strong>di</strong>menti che non si potevano neanche intuire fino<br />

all’ultimo scalino, mentre quando ti trovavi abbastanza vicino, ecco che solo il candore del marmo<br />

statico, e te stesso riflesso erano le uniche scoperte. L’androne tappezzato <strong>di</strong> <strong>di</strong>vanetti rossi ti poteva<br />

immettere in corridoi, scale, ascensori e porte ignoranti del loro contenuto. Un lungo corridoio <strong>di</strong><br />

scale, un lungo corridoio <strong>di</strong> uffici. Di tanto in tanto segretarie che uscivano, e che salutavano con la<br />

loro procace gentilezza, altezzose però appena fuori fuoco. Anche quella porta sembrava ignorante,<br />

e delle piante strane, esotiche, rivelava ad una prima apertura, mentre un or<strong>di</strong>ne freddo regolava la<br />

mobilia.<br />

Alain Vaneschi sedeva a un capo del tavolo, mentre al <strong>di</strong> là del lungo quadrupede, tre<br />

rappresentanti vestiti maniacalmente uguali erano pronti ad ascoltare, già sospettosi dell’ennesimo<br />

esperimento da film hollywoo<strong>di</strong>ano che va a finire male prima o poi.<br />

Alain schiarì le mascelle, guardò i tre uomini e abbozzò un sorriso non ricambiato. Poi prese ad<br />

agitare i suoi fogli già agitati <strong>di</strong> loro e a cacciarli e a metterli dentro quella nervosa cartellina che<br />

non voleva saperne <strong>di</strong> trovare i fogli giusti.<br />

«Mi chiedo, ehm, perché non mi sono portato solo i fogli, eccolo, no…del progetto»<br />

«Sia conciso, dottor Vaneschi, abbiamo altre riunioni»<br />

«Sì, sarò velocissimo»<br />

«Magari potrebbe esporlo sinteticamente senza leggere»<br />

«Oh, ehm, certo»<br />

E smise <strong>di</strong> frugare nelle scartoffie incomprensibili, anche se forse gli ultimi che aveva<br />

preso…ma doveva parlare ora.<br />

«Ecco: noi l’abbiamo chiamato “Progetto Samotracia”»<br />

«”Samotracia”?»<br />

«Sì, vede, noi pensiamo che un tale nome possa anche…»<br />

II<br />

12


«Vada al contenuto, dottor Vaneschi»<br />

«Ah, sì. Prendere una donna incinta, nell’ultima settimana. Far nascere un bambino dentro una<br />

casa. Che <strong>di</strong>co una casa: una villa. Un’enorme villa. Con delle stanze particolari a<strong>di</strong>bite ciascuna<br />

per ragioni particolari. Ma senza giar<strong>di</strong>ni intorno. Non ci devono essere attorno spazi attraenti, che<br />

scatenino la voglia <strong>di</strong> uscire. Forse solo su una facciata, che non dovrà avere finestre, o comunque<br />

finestre oscurate: la facciata dell’entrata, o meglio dell’uscita. Crescere questo bambino all’interno<br />

della villa senza farlo mai uscire per venticinque anni. Ma creare all’interno dell’abitazione un<br />

perfetto mondo ideale in cui crescere una creatura perfetta, ma non fisicamente; e neanche un essere<br />

speciale pronto ad uccidere. Ma un essere perfetto moralmente e psicologicamente. Il massimo<br />

risultato dell’uomo sotto tutti i punti <strong>di</strong> vista. L’equilibrio che cammina, ah ah»<br />

« »<br />

«Ah. Ecco. Dicevamo in una facile metafora. Ah»<br />

«Vada avanti, dottor Vaneschi»<br />

«Sì, noi ci siamo accorti che unendo le nostre conoscenze possiamo creare un essere fantastico,<br />

superiore a qualsiasi altro uomo quanto a sapienza. Infondendo però in lui il massimo dell’umiltà.<br />

Noi gli spiegheremo scientificamente gli ultimi progressi della filosofia a otto anni, mentre giocherà<br />

con degli amici che introdurremo dentro casa. Gli spiegheremo quanta violenza è insita nella<br />

repressione sessuale a quattor<strong>di</strong>ci anni, introducendo ragazze con cui, insomma…»<br />

«Mi spiega Vaneschi perché per fare una cosa del genere dobbiamo rinchiuderlo come un<br />

carcerato?»<br />

«Sì, ecco, ci sarei arrivato. Noi non lo priveremo solo dell’esterno, o se vogliamo essere più<br />

franchi della libertà; anche se a pensarci bene avrà più libertà <strong>di</strong> qualsiasi altro ragazzino che…»<br />

A queste parole le facce dei tre <strong>di</strong>ventarono ad<strong>di</strong>rittura seccate. E lui capì <strong>di</strong> dover <strong>di</strong>re quella<br />

frase che o lo avrebbe gettato <strong>di</strong> nuovo tra i suoi mostri, o lo avrebbe portato via, lontano da loro,<br />

per sempre:<br />

«Toglieremo dalla sua vita anche un’altra cosa: la televisione»<br />

Solo in quelle speciali aziende <strong>di</strong> ricerca si capiva già quanto la televisione imprimesse la<br />

propria <strong>di</strong>ttatura sui rapporti sociali, quanto lo aveva già fatto in America e quanto stava facendo in<br />

alcuni paesi d’Europa, e a ruota l’Italia. Perciò, dopo alcuni attimi <strong>di</strong> silenzio imbarazzanti, i<br />

rappresentanti sorrisero <strong>di</strong> gusto:<br />

«Bene, Alain: quando si comincia?»<br />

Trovata la madre <strong>di</strong>sperata a cui fu spiegato per sommi capi il progetto, trovata la villa a cui<br />

furono apportate le dovute mo<strong>di</strong>fiche, trovati i finanziatori molto interessati ai risultati psicologici<br />

del progetto, Alain decise che avrebbe fatto le veci del padre, un padre sperimentale. Si sarebbe<br />

trasferito nella villa anche lui, per seguire ogni giorno le vicissitu<strong>di</strong>ni dell’esperimento. Fu inventata<br />

l’identità del bambino. Si attrezzò la stanza per il parto.<br />

Viktor De Michelis nacque un giorno <strong>di</strong> giugno del 1983, sano. I primi anni dell’infanzia furono<br />

seguiti con meticolosa cura da parte dei pedagoghi migliori del mondo; ai quali, tuttavia, faceva<br />

capo sempre Vaneschi, per imprimere il carattere particolare dell’uomo che si voleva creare.<br />

Si svegliava dunque verso le quattro del mattino. Mentre lo asciugavano e lo massaggiavano, gli<br />

leggevano qualche pagina della sacra scrittura con voce alta e chiara e intonazione adatta alla<br />

materia, e a questo ufficio era chiamato Anagnoste. Spesso, a seconda delle suggestioni e degli<br />

argomenti <strong>di</strong> questa lettura, egli si dava a onorare, adorare, pregare a supplicare il buon <strong>di</strong>o, del<br />

quale le cose u<strong>di</strong>te avevano <strong>di</strong>mostrato la maestà e il giu<strong>di</strong>zio meraviglioso.<br />

III<br />

13


Consideravano lo stato del cielo; se era ancora come l’avevano osservato la sera avanti e in<br />

quale segno entravano quel giorno il sole e la luna.<br />

Fatto questo, Viktor veniva vestito, pettinato, acconciato, agghindato e profumato, e intanto gli<br />

si ripetevano le lezioni del giorno prima. Lui stesso le recitava a memoria e le riconduceva a<br />

qualche caso pratico riguardante l’umana con<strong>di</strong>zione. Talvolta l’esercizio si protraeva per due o tre<br />

ore, ma per solito smettevano quando avevano finito <strong>di</strong> vestirlo.<br />

Poi, per tre ore buone, gli tenevano lezione.<br />

Alla fine, sempre parlando delle cose appena stu<strong>di</strong>ate, giocavano a palla, a pallacorda, a palla<br />

trigona, esercitando bellamente il corpo come già avevano esercitato la mente.<br />

Giocavano in tutta libertà, lasciando la partita quando loro piaceva, e <strong>di</strong> solito smettevano<br />

quand’erano vinti dal sudore e dalla stanchezza. Asciugati e massaggiati ben bene, si cambiavano <strong>di</strong><br />

camicia e passeggiando quietamente se ne andavano a vedere se il pranzo era pronto. Nell’attesa,<br />

recitavano con chiara <strong>di</strong>zione ed eloquenza alcune delle sentenze apprese al mattino.<br />

Frattanto Monsignor l’Appetito si faceva vivo e non senza motivo sedevano a mensa.<br />

All’inizio del pasto veniva letta qualche piacevole storia <strong>di</strong> antiche gesta, fino al momento del<br />

vino. Allora, a seconda degli umori, si continuava la lettura oppure si cominciava a ragionare<br />

allegramente, parlando, nei primi mesi, della virtù, proprietà, efficacia e natura <strong>di</strong> tutti i cibi che<br />

venivano serviti a tavola (pane, vino, acqua, sale, carni, pesce, frutta, erbe, ra<strong>di</strong>ci) e del modo <strong>di</strong><br />

prepararli. Così facendo Viktor in poco tempo, apprese tutto ciò che avevano detto al riguardo<br />

Plinio, Ateneo, Dioscoride, Giulio Polluce, Galeno, Porfirio, Appiano, Polibio, Eliodoro, Aristotele,<br />

Eliano ed <strong>altri</strong>. Spesso, dopo averne parlato, facevano portare in tavola i libri <strong>di</strong> costoro, per essere<br />

ben certi <strong>di</strong> non cadere in errore. E le cose dette gli restavano così bene impresse nella mente, che<br />

non c’era me<strong>di</strong>co, allora, che ne sapesse la metà <strong>di</strong> lui.<br />

Poi parlavano delle lezioni del mattino e, terminato il pasto con un po’ <strong>di</strong> cotognata, portavano<br />

delle carte, ma non per giocare, bensì per apprendere mille piccole finezze e nuove invenzioni; le<br />

quali tutte avevano a fondamento l’aritmetica.<br />

Per tal modo egli prese passione alla scienza dei numeri e ogni giorno dopo pranzo e dopo la<br />

cena vi passava il suo tempo con lo stesso piacere che soleva prendere nel gioco dei da<strong>di</strong> e delle<br />

carte. E tanto ne approfondì sia la teoria sia la pratica che l’inglese Tunstal, il quale pure ne aveva<br />

scritto ampiamente, confessò che, al paragone <strong>di</strong> lui, si sentiva un principiante.<br />

E non solo eccelleva in aritmetica, ma in tutte le altre scienze matematiche, quali la geometria,<br />

l’astronomia, la musica; poiché durante il chilo e la <strong>di</strong>gestione dei cibi, si <strong>di</strong>vertivano a costruire<br />

mille strumenti e figure geometriche, e allo stesso modo prendevano <strong>di</strong>mestichezza coi canoni<br />

dell’astronomia.<br />

Poi si deliziavano nel cantar musica a quattro o cinque parti o su <strong>di</strong> un tema unico, a piacere.<br />

Quanto agli strumenti musicali. Imparò a suonare il liuto, la spinetta, l’arpa, il flauto traverso e<br />

quello a nove fori, la viola, il trombone e naturalmente la chitarra elettrica.<br />

Impiegato così questo tempo, compiuta la <strong>di</strong>gestione, si liberava degli escrementi naturali; poi<br />

tornava ad applicarsi allo stu<strong>di</strong>o principale per tre ore e più, ripetendo la lezione del mattino, o<br />

continuando il libro incominciato o anche esercitandosi alla scrittura, a ben comporre e cioè a<br />

tratteggiare pulitamente sia i caratteri gotici sia quelli latini.<br />

Fumava.<br />

Durante il pasto della sera si riprendevano le lezioni <strong>di</strong> mezzogiorno fintanto che tornava<br />

gra<strong>di</strong>to, e il resto del tempo era speso in bei conversari su argomenti letterari ed utili.<br />

Dopo il ren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> grazie, si abbandonavano al piacere del canto armonico, a suonare<br />

strumenti melo<strong>di</strong>osi, o a certi piccoli passatempi con le carte, coi da<strong>di</strong> e i bussolotti e continuavano<br />

così con grande spasso e allegria qualche volta fino all’ora <strong>di</strong> dormire. Altra volta invece<br />

ricercavano la compagnia <strong>di</strong> letterati o <strong>di</strong> gente che avesse viaggiato il mondo.<br />

In piena notte, prima <strong>di</strong> ritirarsi, salivano al punto più alto della casa per osservare la volta del<br />

cielo, e là stu<strong>di</strong>avano le come te quando ve ne fossero, e le figure, la <strong>di</strong>sposizione, gli aspetti, le<br />

opposizioni e congiunzioni degli astri.<br />

14


Poi, con il suo precettore, Viktor, alla maniera dei pitagorici, ricapitolava brevemente tutto ciò<br />

che aveva letto, veduto, appreso, fatto e sentito nel corso della giornata.<br />

Fatto questo, andavano a riposare.<br />

Rimorsi <strong>di</strong> coscienza tormentavano continuamente Alain. Aveva paura <strong>di</strong> aver dato vita a un<br />

esperimento che aveva in sé del crudele per pure ambizioni personali. I timori lo <strong>di</strong>vorarono per i<br />

primi <strong>di</strong>eci anni della vita <strong>di</strong> Viktor. Quando infatti questo cominciò a dare i primi segni <strong>di</strong><br />

intelligenza superiore alla me<strong>di</strong>a, i dubbi dello scienziato <strong>di</strong>minuirono, ma svanirono<br />

definitivamente quando il precoce ragazzo un giorno gli <strong>di</strong>sse:<br />

«Perché nel tuo animo sei preoccupato per me? Mi hai donato una vita favolosa, e pochi ragazzi<br />

al mondo possono avere questa fortuna. Ma <strong>di</strong>mmi una cosa: uscirò un giorno, vero?»<br />

Così gli spiegò l’intero progetto, preannunciandogli anche il giorno della libertà. Gli parlò anche<br />

della televisione, e quin<strong>di</strong> del perché ogni tanto non capisse gli atteggiamenti dei suoi amici che<br />

imitavano atteggiamenti imparati da spot, telefilm e varietà.<br />

«Ma non pensi che sia necessario il cinema?»<br />

Probabilmente era la prima volta nella storia, pensò Alain, che il soggetto <strong>di</strong> un esperimento<br />

suggerisse delle variazioni a un esperimento che stava subendo. Si allestì una stanza della villa a<br />

piccola sala cinematografica, con un proiettore ed alcune poltroncine.<br />

«Non saprei da dove cominciare. Sicuramente qualsiasi immagine ti sconvolgerebbe»<br />

«Ti <strong>di</strong>co io da dove cominciare. Ho letto molti manuali <strong>di</strong> cinema. Ti farò una lista che cercherai<br />

<strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare se riuscirai a reperire i supporti; e quando non ce la farai sarà ancora più <strong>di</strong>vertente e<br />

istruttiva la sorpresa»<br />

L’equilibrio che si riuscì a far raggiungere al ragazzo fu superiore alle attese. Gli amici e le<br />

ragazze che si introducevano nella villa rimanevano così affascinati dalla sua persona che si fu<br />

costretti ad allontanarne certi e certe che sfociavano sempre <strong>di</strong> più nella morbosità. Viktor invece<br />

non pareva affezionarsi oltremodo a nessuno, nonostante ricordasse perfettamente ciò che<br />

raccontavano i suoi amici, ed ascoltasse ogni parola con riguardo e attenzione. Per lui Kant e il suo<br />

amichetto che gli insegnò la prima parolaccia erano interessanti allo stesso modo. Solo che dai<br />

filosofi aveva proprio imparato a non fare troppo affidamento sui rapporti umani. E invece nella<br />

letteratura, soprattutto quella <strong>di</strong> impianto realistico, aveva imparato a capire che invenzione fosse<br />

l’amore, e la scontatezza <strong>di</strong> tale concetto sorprendeva anche Alain, che vedeva in ciò forse una<br />

regressione. Ma Viktor capì anche questo:<br />

«Per quanto tu possa essere un uomo saggio, Alain, devi capire che il mondo esterno, e in<br />

particolare quel mostro che non mi hai permesso <strong>di</strong> guardare in faccia, abbia dato per scontato<br />

l’esistenza <strong>di</strong> tal sentimento. E soprattutto Hollywood inventò il concetto trasposto nel matrimonio<br />

e nella vita <strong>di</strong> coppia con una donna per sempre. La sua operazione fu talmente caparbia e astuta<br />

che proiettò quei sentimenti anche su epoche lontane <strong>di</strong> cui raccontava storie per <strong>altri</strong> aspetti<br />

verosimili. Ma qualsiasi cavaliere me<strong>di</strong>evale sarebbe morto dalle risate pensando che qualcuno lo<br />

credesse innamorato <strong>di</strong> sua moglie»<br />

Non era raro che Viktor si lanciasse in spiegazioni fitte e argomentate come queste quando<br />

vedeva qualcuno dubbioso, e specialmente Alain. Ma soprattutto, come gli scrittori arrivano spesso<br />

a una potenza <strong>di</strong> concentrazione da cui li avrebbe <strong>di</strong>spensati un regime <strong>di</strong> libertà politica o <strong>di</strong><br />

anarchia letteraria, quando sono incatenati dalla tirannia d’un monarca o d’una poetica, alle severità<br />

delle regole proso<strong>di</strong>che o <strong>di</strong> una religione <strong>di</strong> Stato, così Viktor, non potendo parlare in modo<br />

esplicito, parlava come Tiresia e avrebbe scritto come Tacito. Sapeva condensare tutto quel che non<br />

sapeva esprimere <strong>di</strong>rettamente in una frase che non si poteva incriminare senza accusare se stessi,<br />

perfino in meno <strong>di</strong> una frase, in un silenzio, nella maniera con cui posava un oggetto. Alain, d’altro<br />

canto, era ben contento <strong>di</strong> essere confortato con tanta razionalità. E come quegli stupi<strong>di</strong> amici,<br />

cominciava anch’egli ad affezionarsi terribilmente a quello che era ormai suo figlio. Forse anche<br />

perché questo quarto <strong>di</strong> secolo d’esperimento lo aveva, come la sua “cavia”, tolto completamente<br />

dal mondo: anche le sue ore libere, spesso, le amava spendere nella villa confortevole e mai noiosa.<br />

15


Nonostante i buoni guadagni non riuscì a farsi una famiglia, proprio per quel suo totale impegno nel<br />

progetto. Ma qualcuno sosteneva anche per <strong>altri</strong> motivi:<br />

«Alain, ormai ho ventiquattro anni, e tra meno <strong>di</strong> un anno me ne andrò. So che qualcosa della<br />

tua infanzia ti turba; so che forse non avevi un buon rapporto con tuo padre, che ti credeva un<br />

fallito, o un futuro fallito. Ma ora devi farti una vita oltre questa villa, come dovrò fare io. Hai<br />

cinquant’anni e puoi ancora vivere»<br />

Il giorno in cui Viktor proferì queste parole, accadde qualcosa <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nario, qualcosa che<br />

nessuna scienza, nel concetto ormai consolidato, era in grado <strong>di</strong> spiegare.<br />

Nell’animo <strong>di</strong> Alain era la <strong>di</strong>mostrazione che l’evoluzione dell’uomo si fosse fermata per<br />

l’involuzione che subì il suo cervello. Questo arresto si doveva rintracciare molto ad<strong>di</strong>etro nella<br />

storia; poteva corrispondere a quel momento che Kubrick rappresentò nella scimmia che tocca il<br />

monolite; dopo quel gesto ebbe solo il tempo <strong>di</strong> sfoltirsi la peluria e raddrizzarsi un po’ la schiena.<br />

Quel che accadeva ora con Viktor manifestava il passo successivo che, come degli i<strong>di</strong>oti superbi,<br />

abbiamo perso. Ebbene sì: a Viktor De Michelis un giorno spuntarono le ali. Ali bianche, belle,<br />

slanciate, che sapevano accartocciarsi su se stesse per nascondersi perfettamente <strong>di</strong>etro la schiena.<br />

Bastava una maglietta per non destare sospetti. Ma ecco che quando la sua schiena si denudava,<br />

esse cominciavano ad allargarsi pian piano, come se volessero spiccare il volo. No: Viktor non<br />

sapeva volare; o forse non sapeva ancora volare. Se non ci fosse mai riuscito, sicuramente ce<br />

l’avrebbe fatta suo figlio però, o il figlio <strong>di</strong> suo figlio. Non aveva dubbi il dottor Vaneschi: l’uomo<br />

un giorno avrebbe volato, e chissà se quell’uomo che oggi era fermo, in pie<strong>di</strong>, davanti a lui, <strong>di</strong><br />

schiena, per la prima volta preoccupato in vita sua, non rappresentasse il prossimo anello.<br />

«Dimmi, ti prego, c’è almeno un altro uomo al mondo che è nelle mie con<strong>di</strong>zioni?»<br />

«Ve<strong>di</strong>, Viktor: io non conosco tutto il mondo. Magari c’è qualche essere nascosto in un angolo<br />

della terra che ha delle…delle…ma non devi allarmarti. Anzi: noi dobbiamo andare avanti. Questo<br />

è proprio l’obiettivo che dovevamo raggiungere, senza sapere che si sarebbe concretizzato in questo<br />

modo. Questo è il segno che…»<br />

«Parli <strong>di</strong> segni religiosi?»<br />

«Non vorrei arrivare a tanto. Sicuramente è un evento che va al <strong>di</strong> là dei meto<strong>di</strong> che applica<br />

l’uomo alla natura. Fuori da qualche cosa che l’uomo chiama logica. Ma noi dobbiamo prenderlo<br />

per il dato <strong>di</strong> fatto che è: non è niente <strong>di</strong> strano, Viktor, ricorda: è naturale, è il tuo corpo. Sei solo<br />

più evoluto»<br />

«Cosa <strong>di</strong>remo ai finanziatori del progetto?»<br />

«Sarà <strong>di</strong>fficile nasconderle. Ma certo dovrò parlarne con molta cura. O dovrò inventare<br />

qualcosa; magari potrò <strong>di</strong>re che te le abbiamo messe noi; oh no, è troppo stupido. Non lo so, ci devo<br />

pensare»<br />

Il pensiero del futuro viaggiava sulle rotaie dell’incomprensione, seduto in maniera scomoda e<br />

<strong>di</strong> spalle al senso <strong>di</strong> marcia. Ombre e spettri <strong>di</strong> un presente troppo crudele convinsero a<br />

somministrare televisione a piccole dosi l’ultima settimana nella villa: passi storici; presentazione <strong>di</strong><br />

politici del momento; qualche passo straniero; cenni <strong>di</strong> un varietà; un telegiornale; la pubblicità. Tra<br />

i conati l’uomo alato si <strong>di</strong>stricava e cercava una giustificazione a quelle immagini. E per la prima<br />

volta nella sua vita scoprì che cos’era il nervosismo. Comprendeva che l’uomo si trovava alienato<br />

perché quell’invenzione rendeva fantastica la normalità, e ogni in<strong>di</strong>viduo si lamentava <strong>di</strong> non poter<br />

essere interessante con la facilità e la superficialità che palesemente possedevano. Venivano<br />

spiattellati uomini normali a cui accadeva qualcosa <strong>di</strong> strano, anche <strong>di</strong> brutto, a volte <strong>di</strong> bello, non<br />

IV<br />

16


era questo il problema; l’in<strong>di</strong>viduo si lamentava del fatto che quel qualcosa non accadesse anche a<br />

lui, a viveva frustrato e non sapeva più godere delle piccole cose se non c’era una telecamera e<br />

testimoniarlo.<br />

Tutto ormai era pronto. Il giorno prima del suo compleanno, nella foga e nell’agitazione la notte<br />

prima della partenza, Alain decise <strong>di</strong> salutarlo.<br />

«So che stasera ha un appuntamento»<br />

«Sì, ve<strong>di</strong>amo com’è, ma…non lo so»<br />

«La normalità è una cosa stupenda, Alain»<br />

Senza smancerie e crepuscolarismi si salutarono. Sarebbero comunque rimasti in contatto nei<br />

giorni seguenti, in maniera regolare. Riceveva ancora un più basso stipen<strong>di</strong>o il dott. Vaneschi per<br />

seguire gli sviluppi del suo figlio/esperimento all’esterno. Nella penultima settimana scienziati e<br />

stu<strong>di</strong>osi da tutto il mondo erano venuti per i risultati; per quanto riguarda le ali costoro si<br />

<strong>di</strong>videvano in due gruppi: coloro che venivano da paesi in cui la fisica e la metafisica non hanno<br />

confini netti, e la scienza è ancora in una certa maniera alchimia, credevano in un evento <strong>di</strong>vino, e<br />

da soli si ripromettevano il segreto, capendo che l’intero mondo non era ancora pronto a questo;<br />

<strong>altri</strong> che provenivano da paesi in cui la scienza è così dogmatica che qualsiasi fenomeno che esuli<br />

dalle possibilità fisiche e biologiche è considerato inesistente, e dopo una prima inter<strong>di</strong>zione<br />

pensavano tutti a uno scherzo. In entrambi i casi Alain lasciava fare: era questo il suo segreto: non<br />

<strong>di</strong>re nulla; atteggiarsi a serietà con gli uni, sorridere da bambino burlone con gli <strong>altri</strong>.<br />

Giugno riscaldava l’aria <strong>di</strong> quell’anno travagliato. La villa sembrava ora trattenere il respiro.<br />

Costruita per un unico scopo, attendeva ora la sua morte da tempo stabilita. Ma ogni essere vivente<br />

si comporta così: sa <strong>di</strong> dover affrontare un momento importante della sua esistenza; lo aspetta lo<br />

desidera lo teme; ma fino al momento prima del momento prima non crede che ciò avverrà<br />

veramente; la sua mente si è talmente abituata a pensare ad altro per non essere in ansia pensando a<br />

quell’istante, che ha finito per non crederci più; e invece, un sorprendente giorno, quasi <strong>di</strong><br />

soprassalto, quel momento arriva, e neanche mentre lo si vive lo si riesce a pensare.<br />

Per la prima volta nella sua vita Viktor De Michelis aprì la porta <strong>di</strong> casa sua per uscire.<br />

17


PARTE TERZA<br />

Stare seduti in piazza del campo, per qualche strano motivo, non annoia mai. Di notte passano<br />

degli omini rampicanti, una razza fantasiosa <strong>di</strong> folletti, che cambiano almeno un particolare per ogni<br />

e<strong>di</strong>ficio che circonda la piazza: un mattone tolto, una cimasa aggiunta, un fiore <strong>di</strong> color cangiato.<br />

Viktor seduto sulla piazza scoscesa coperta <strong>di</strong> genti <strong>di</strong>verse da tutti i paesi del mondo che<br />

formavano gruppetti attorno a falò immaginari combustionando le chiacchiere. Vicinavano la<br />

solitu<strong>di</strong>ne gli interstizi tra le pietre: il sublime del vuoto, ancor più mirabile perché vuoto artificiale.<br />

Un graffio sulla cicatrice. Finito il lazzo della gentilezza resta un vuoto sentire come attorno alle<br />

cose che non si toccano, tra il sonno e l’abbandonano spostando fiori improvvisati. E poi tace la<br />

risposta sull’odore estraneo e si crea quella sorta <strong>di</strong> sensualità tra due persone, costellata, si sa,<br />

dell’ipocrisia alla «ma mica tu volevi». Sì, io volevo, e allora? allora non lo <strong>di</strong>rò mai, ma neanche<br />

lei, e se l’audacia scoppia prima del tempo alimenta la stupi<strong>di</strong>tà, e la lauta considerazione. Ma che<br />

poi la scintilla scoppi lo stesso è ben altro <strong>di</strong>scorrere. E invece che fantasticità il tutto prima <strong>di</strong><br />

questo: che gioia nel trasparire non finalizzato <strong>di</strong> pensieri. La società, per forza <strong>di</strong> cose, certo, per<br />

forza <strong>di</strong> cose, porgeva un mantello su Viktor, sussurrando le regole interpersonali, piangendo per<br />

l’attimo sprecato; e allo stesso tempo condannando la frenesia. Un pranzo servito a dovere anche<br />

per le menti più <strong>di</strong>etologhe. Al cellulare (ecco ecco, ora a cosa serviva un cellulare a un uomo che<br />

poteva volare? Ma cosa ci faceva un uomo sulla terra italica senza cellulare? Cos’era quello? Che<br />

essere si doveva nascondere <strong>di</strong>etro gli occhi <strong>di</strong> un uomo così poco abituato a vedere l’esterno che<br />

poteva riconoscere le molecole <strong>di</strong> anidride carbonica superiori a qualsiasi ambiente interno?<br />

Rischiare <strong>di</strong> essere totalmente fuori dal mondo voleva <strong>di</strong>re rientrare in una villa che non aveva il<br />

minimo comfort. Aprire parentesi lunghe un attimo: le solite riflessioni carambolesche che si<br />

riversavano in un baratro <strong>di</strong> botri in un nanosecondo, andavano e venivano, effetto yo-yo <strong>di</strong> un<br />

sillogismo sempre uguale, e che alla fine si spostava sempre <strong>di</strong> lato, dall’esterno, arrivando alla<br />

conclusione che fosse Aristotele a sbagliarsi. Ma mai si andava oltre.) era Stephen Okalinih:<br />

«Viktor, com’è andata?»<br />

«Ho passato la prova scritta, ma non con voti altissimi»<br />

«Mah! Secondo me tu meriti molto <strong>di</strong> più. Ma ti ren<strong>di</strong> conto?: hai le ali, non dovresti farti<br />

esaminare»<br />

«E cosa dovrei fare? Stare in un tempio, seduto su un trono con le ali sempre spiegate,<br />

raccogliendo il saluto dei miei sud<strong>di</strong>ti, come un faraone tronfio senza regno?»<br />

«È questo tuo linguaggio a renderti ancor più strano»<br />

«Ah! Lo prendo come un complimento»<br />

«Quin<strong>di</strong> domani avrai l’orale?»<br />

«Sì, ma non sono molto fiducioso»<br />

«Ma <strong>di</strong>gli che hai le ali»<br />

«Sì, certo; veramente non so: dovrei <strong>di</strong>rlo a qualcuno, ma non so chi. Voglio <strong>di</strong>re: che cosa devo<br />

fare ora che ho queste?»<br />

Anche Stephen non sembrava rispondere in maniera sicura a quella domanda. Ma ciò non<br />

importava per ora: quello che voleva Viktor era stu<strong>di</strong>are nel dottorato della sua <strong>di</strong>sciplina preferita.<br />

E in quella sera <strong>di</strong> settembre non poteva far altro che fissare i palazzi <strong>di</strong> quella piazza sublime.<br />

I<br />

II<br />

18


Scaricato dei più <strong>di</strong>versi problemi, Viktor non provava una minima voglia d’inserirsi nel tessuto<br />

dei rapporti umani. Avvicinarsi a uno <strong>di</strong> quei gruppetti e cominciare a parlare per essere <strong>di</strong>stribuito<br />

nella società, coi loro riluttanti mo<strong>di</strong> per piacere e la loro tragica in<strong>di</strong>fferenza verso chi non aveva<br />

funzione utilitaristica nella loro affermazione come in<strong>di</strong>vidui inseriti nel meccanismo monetario.<br />

Sorridevano donnette a battute stupide <strong>di</strong> uomini da cui si sentivano attratte; gareggiavano<br />

nell’arguzia e nello stream of counsciousness che scaccia la noia; allusioni a fatti della vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana che sembravano importanti, e su cui nessuno dubitava, scanzonati da una scatola<br />

televisiva.<br />

Di tanto in tanto Viktor si accorgeva che qualcuno tra loro era insofferente a tali mo<strong>di</strong>, ma non<br />

faceva nulla per uscirne. O forse, avrebbe dovuto ammettere che l’uscita fosse la solitu<strong>di</strong>ne. Ma era<br />

questa arpia che stava corrompendo Viktor? Era forse lei che gli stava succhiando tutto il suo amore<br />

per il mondo esterno? Altalenava fasi <strong>di</strong> contemplazione estasiata a fasti<strong>di</strong> verso ogni molecola che<br />

si muovesse. Quando non partecipi alla gazzarra ne sei il critico più fedele.<br />

Trascinato dallo scandaglio delle possibilità superurbane a tentare <strong>di</strong> passare un concorso<br />

universitario per <strong>di</strong>ventare un dottorando, per la seconda volta dopo quella partita a calcio, si<br />

sentiva trascinato a competere con i suoi simili. Ma per cosa? Il cibo, probabilmente. Ma forse altro:<br />

la sod<strong>di</strong>sfazione alimentare per il minimo sforzo. E cercava <strong>di</strong> calcolare l’uguaglianza parole da<br />

leggere = briciole <strong>di</strong> pane, mentre scorreva i volumi del suo stu<strong>di</strong>o. Applicati i suoi meto<strong>di</strong> critici<br />

durante lo scritto era ora pronto per un orale con le facce <strong>di</strong>ffidenti dei professori, in bilico tra<br />

oggettivazione critica e soggettivismo per forza <strong>di</strong> cose nel giu<strong>di</strong>care lui e i suoi simili.<br />

«Lei sa questo? Lei ha visto questo? Lei propone questo? Lei è questo?»<br />

Schivare i colpi dell’intromissione, come quel portiere che stava perdendo nell’altra squadra. E<br />

ora era quel portiere: sentiva il peso dei goal subiti, lo scarto <strong>di</strong> reti, le azioni nel frattempo<br />

continuavano, senza che lui avesse tempo <strong>di</strong> riflettere, senza fargli organizzare una strategia per<br />

rialzarsi. E sentiva la sua voglia <strong>di</strong> riprendersi ad ogni costo, la <strong>di</strong>sperazione dell’uomo vittima delle<br />

sue stesse burle. Un castello <strong>di</strong> menzogne che crolla.<br />

«Allora può andare»<br />

Un invito che equivaleva a un ad<strong>di</strong>o. Ma la <strong>di</strong>sperazione ormai comandava Viktor: «non me ne<br />

posso andare così»:<br />

«Aspetti: io ho una qualità che non ha nessuno»<br />

«Prego?»<br />

Il trequartista si allarga sulla fascia; una goccia <strong>di</strong> sudore congela la guancia del portiere.<br />

«Ecco, io non so come <strong>di</strong>rglielo»<br />

«Mi scusi, ma dovremmo procedere con gli esami»<br />

Il cross è troppo lungo per i <strong>di</strong>fensori, troppo corto per lui; attraversa tutta l’area <strong>di</strong> rigore<br />

andando a cercare la punta più smarrita.<br />

«Sì, sì, lo so, ma le farò vedere subito»<br />

«Ma cosa sta facendo? Si sta spogliando?»<br />

La punta aggancia il pallone e se lo posiziona sul sinistro: il suo piede. Il portiere è sull’altro<br />

palo. C’è una sola cosa da fare.<br />

«No, non si spaventi: ecco, vede: io ho le ali»<br />

Il portiere allarga le ali e para la bomba dell’attaccante.<br />

L’arbitro estrae il cartellino rosso: uso delle ali in area.<br />

«Ma…ma… che cos’è questa pagliacciata? Questa è un’università seria, non vogliamo<br />

fenomeni da baraccone. In tutta la mia carriera non ho mai visto una scemenza del genere, ma dove<br />

crede <strong>di</strong> essere? Io scriverò <strong>di</strong> lei a tutte le università d’Italia, del mondo, dell’universo. Vada via!<br />

Vada via!»<br />

19


Solita piazza, scoscesa, storta: il culo a scacchi. Facce su facce passavano e sembravano l’una lo<br />

specchio dell’altra, eppure ciarlavano tra <strong>di</strong> loro, chattavano sognando una tastiera virtuale, <strong>di</strong> futili<br />

menzogne e ipocrisie galoppanti. L’inglese aveva gli stessi accenti <strong>di</strong> un qualsiasi <strong>di</strong>aletto, come un<br />

verso ottocentesco gli stessi dei latini, ed ognuno era il barbaro dell’altro. Formavano gruppetti ben<br />

<strong>di</strong>stinti, come circondati da muri. Tutto ciò che sentivano fuori da quelle mura era bar bar, e<br />

andavano <strong>di</strong> bar in bar illudendosi <strong>di</strong> essere esotici. I più scalmanati gettavano frasi che sapevano <strong>di</strong><br />

volgarità già solamente per le deformazioni della bocca.<br />

Questo pensava Viktor: l’iconicità della bocca esprimeva il contenuto, sempre. Quando non lo<br />

fa si vuole suscitare del comico o almeno del simpatico: così se l’orco è gentile o il gentiluomo è<br />

gay, e le loro bocche si muovono come comanda il loro viso, non si vuol far altro che <strong>di</strong>silludere per<br />

suscitare la comme<strong>di</strong>a umana dove tutto può essere il contrario come in uno spettacolo barocco.<br />

Bella consolazione falsa: la società funziona secondo degli or<strong>di</strong>ni facilmente comprensibili, che non<br />

suscitano il minimo stupore; le gerarchie più alte sono <strong>di</strong> chi ha creato quest’or<strong>di</strong>ne, subito dopo<br />

vengono coloro che lo hanno appreso e sfruttato al meglio; per terzi ci sono coloro che non lo hanno<br />

mai neanche sospettato, e sono inseriti nei meccanismi pienamente, nella corsa alla realizzazione<br />

in<strong>di</strong>viduale; per ultimi vengono coloro che hanno capito, ma non vogliono assoggettarsi, rimanendo<br />

ai margini della società e sognando si essere i nuovi Gandhi. <strong>Mai</strong> una sorpresa, mai una falla, mai<br />

un risvolto: la storia non aveva mai conosciuto eccezioni a questa regola; i pochi momenti <strong>di</strong><br />

sovversione erano serviti a dare l’illusione della fragilità dei primi tre strati, e poi a ristabilire un<br />

or<strong>di</strong>ne ancor più ingigantito. Ma quella è la maggioranza, quello è il meccanismo, quella è la<br />

funzionalità. Forse si dovrebbe smettere <strong>di</strong> ribellarsi, si dovrebbe subire ciò e basta, senza piagnistei<br />

per la morte dei sogni; anzi, con una piccola gioia per la morte delle illusioni. Bisogna accettare che<br />

qualcuno ci coman<strong>di</strong> e che ci coman<strong>di</strong> in questo modo; non più perdere tempo per scoprire le trame<br />

e sottotrame <strong>di</strong>etro i sistemi <strong>di</strong> potere, applicando il nostro senso critico alle informazioni,<br />

controllando le fonti, chiedendosi «a chi giova?». Basta: lo abbiamo capito, e ora? C’è qualcuno <strong>di</strong><br />

voi, <strong>di</strong> noi che alzerà un <strong>di</strong>to? No, e allora sfruttiamo quel senso critico per altro, occupiamo il<br />

nostro cervello nelle vere faccende importanti, e lasciamo perdere chi ci <strong>di</strong>ce che quelle siano le<br />

cose importanti. È questa la nostra sola possibilità <strong>di</strong> piccola ribellione: non facciamogli vedere che<br />

ci interessiamo a loro, non per<strong>di</strong>amo neuroni per loro. Lo farò solo io; non voglio nessun altro dopo<br />

<strong>di</strong> me; non vi preoccupate, lasciatemi solo col mio Viktor, e voi tornate nel vostro videogioco.<br />

Viktor De Michelis decise allora <strong>di</strong> <strong>di</strong>re al mondo chi era, e avrebbe cominciato proprio con<br />

quella piazza stracolma <strong>di</strong> persone <strong>di</strong> tutti gli angoli della Terra, una strapiazza che avrebbe potuto<br />

testimoniarlo al mondo.<br />

Si tolse la maglietta, e fin qui nessuno si girò a guardarlo, anche perché seduto in uno degli<br />

angoli bui. Poi si alzò, e chi passava <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> lui cominciava a notare quelle piume. Infine spiegò le<br />

ali alla massima apertura facendo un rumore ben visibile e torcendo i colli <strong>di</strong> quelle centinaia e<br />

centinaia <strong>di</strong> teste, che si girarono quasi come un’ola verso <strong>di</strong> lui.<br />

Dapprima immobile, con lo sguardo intenso puntato a quei comuni mortali, in una scena <strong>di</strong><br />

colossal, cominciò pian piano a fare dei passi. Un silenzio ghiacciò quel cocito, e la musica da<br />

<strong>di</strong>scoteca <strong>di</strong> un bar si mostrò nuda e ri<strong>di</strong>cola senza le voci che l’ammantassero. Viktor camminava<br />

lentamente verso la folla, e le persone che rischiavano <strong>di</strong> essere sfiorate dalle sue ali si scostavano<br />

tra l’intimorito e l’interdetto.<br />

Finché uno statunitense ubriaco urlò:<br />

«Oh! It’s wonderfull!»<br />

E un coro <strong>di</strong> “oh” seguì quel ritardato. Poi un fragoroso applauso apotropaico scaturì dalla folla<br />

in festa, che ricominciò col suo chiasso. Ora ogni persona toccava le ali <strong>di</strong> Viktor, e alcuni anche<br />

con un’in<strong>di</strong>sponenza che innervosiva l’uomo alato. Altri si avvicinavano a lui e si facevano scattare<br />

fotografie. Alcune gli sorridevano e toccavano non solo le ali. La faccia del protagonista della<br />

III<br />

20


piazza <strong>di</strong>venne sempre più cupa, nonostante il sorriso che gli si piazzò sul volto per essere il re della<br />

festa e per l’alcool che cominciarono a offrirgli. Lo spettacolo era una questione <strong>di</strong> pubblico.<br />

Il mattino seguente Viktor si svegliò con i postumi fasti<strong>di</strong>osi della sua prima sbronza. E si<br />

svegliò col pensiero <strong>di</strong> dover lasciare l’albergo entro le un<strong>di</strong>ci. Una nuova città lo avrebbe accolto,<br />

non sapeva neanche lui per fare cosa. E quel risveglio sembrava ancor più vacuo <strong>di</strong> idee, <strong>di</strong><br />

prospettive, <strong>di</strong> sogni. L’alito pesante stomacava e l’alcool gli aveva indolenzito le ali; poi si ricordò<br />

anche che mezza città glie l’aveva toccate, e tutti pensando che fossero false. Il buio della stanza era<br />

fitto come il buio dei suoi ricor<strong>di</strong>: due sottili raggi <strong>di</strong> fotoni scoprivano dei vestiti lasciati per terra,<br />

«un po’ troppi» pensò, «sembra quasi che ne abbia tolti alcuni dall’arma<strong>di</strong>o». Aprì le tende, poi<br />

un’anta della finestra e guardò in strada: tra la gente che passava, due losche figure erano<br />

appollaiate sul muro <strong>di</strong>rimpetto la sua finestra, gettando saltuari sguar<strong>di</strong> sulla porta dell’albergo, e<br />

parlottando tra <strong>di</strong> loro, accostandosi ognuno all’orecchio dell’altro. Non sapeva per quale motivo,<br />

ma si sentiva inquietato da quelle figure, e percepiva in qualche modo che stessero aspettando lui.<br />

Chissà cosa aveva combinato nella serata libertina appena trascorsa.<br />

Poi si ricordò <strong>di</strong> avere poco tempo per lasciare la stanza; allora si allontanò dalla finestra<br />

andando a raccogliere i vestiti; un pantalone, una maglietta, le mutande e una gonna…una gonna?<br />

Si girò verso il letto: una donna con le spalle nude dormiva a tutta birra nel suo letto matrimoniale, a<br />

pancia in giù, quieta e sorridente. Affascinante anche, ma con una certa aria sfatta, probabilmente<br />

l’aria <strong>di</strong> una che era andata a letto con un uomo alato. Ora ricordava: era americana, simpatica e<br />

ubriaca; gli aveva offerto lei le bevande che portarono all’oblio. «Be’» pensò, «poco male, però<br />

deve andare via». Accese la luce, e bastò questo per suscitare in lei miagolii infasti<strong>di</strong>ti.<br />

«What? What’s the tima?»<br />

«È ora che ce ne an<strong>di</strong>amo, devo lasciare l’albergo entro mezz’ora»<br />

«Albergo?»<br />

«Sì, albergo»<br />

«Oh Angel. Sei thu. Che bello!»<br />

«Grazie, ma ora…»<br />

«Ma thu no hai tolto le…wings»<br />

«Guarda che sono vere queste»<br />

«Ah ah ah, again? You’re fool»<br />

«Vabbè, pensala come vuoi, comunque è ora <strong>di</strong> andare»<br />

«Vieni qhua, aspeta, thi volio saluthare»<br />

«Non abbiamo tempo, an<strong>di</strong>amo Sonia»<br />

«My name is not Sonia, son of a bitch, you brought me…»<br />

Uno sproloquio <strong>di</strong> grezzità suburbane riempì la bocca americo-italiana della vipera, <strong>di</strong> cui il<br />

povero “Angel” non ricordava il nome. Possedeva quella goffaggine fatiscente e ingombrante <strong>di</strong> cui<br />

si ricoprono le donne quando pensano <strong>di</strong> essere attraenti solo perché indossano vestiti all’ultimo<br />

grido <strong>di</strong> animale, e si lavano il viso <strong>di</strong> cosmetici che nulla aggiungono e nulla tolgono alla loro reale<br />

bruttezza, vedendo la maschera al vuoto nascosto sotto quella patina plastificata, vincendo però così<br />

la volontà <strong>di</strong> apparire interessanti per motivi reali. Anche i decibel aumentavano, attirando<br />

l’attenzione dei due <strong>di</strong> sotto. Viktor li guardò, e loro fecero un cenno con la testa <strong>di</strong> canzonatorio<br />

rispetto. Ora non aveva dubbi: quei due tipi erano lì per lui. Pensò a qualcuno dell’O.S.I., dell’I.S.U.<br />

o delle altre lettere puntate. Sperò in due mandati da Alain Vaneschi per ricordargli <strong>di</strong> non fare<br />

queste cose in pubblico, e magari le loro facce erano rese losche solo dalla postsbronza.<br />

IV<br />

21


«Va bene, senti: io non so chi cazzo sei e quanto hai bevuto, so solo che ieri sera per la prima<br />

volta in vita mia mi sono ubriacato e la colpa…e il merito è anche un po’ tuo. In questo momento<br />

ho molte cose da fare, e la prima è lasciare quest’albergo. Quella dopo è lasciare questa città. La<br />

prima la devo fare per forza con te, quin<strong>di</strong> alza quelle chiappe, vestiti e sparisci dalla mia vista!»<br />

Lei si alzò furiosa e continuando a biascicare monologhi anglofoni, <strong>di</strong> cui, dopo attente analisi<br />

retorico-stilistiche, dopo confronti comparati e intertestuali con letterature nordamericane, e dopo<br />

attenti stu<strong>di</strong> filologico-linguistici, si capì che la parola chiave era: “fuck”.<br />

Ma ciò che stava deprimendo Viktor non erano certo le parole <strong>di</strong> pseudoSonia, ma il modo in<br />

cui aveva parlato lui: mai nella sua vita aveva concepito frasi del genere, concetti del genere; la sua<br />

straor<strong>di</strong>naria pacatezza era morta definitivamente quella mattina; la vita nella macchina sociale<br />

stava prendendo il sopravvento su <strong>di</strong> lui.<br />

Si preparò e scese in fretta; pagò e si fece in<strong>di</strong>care la fermata più vicina <strong>di</strong> taxi. Poi guardò al <strong>di</strong><br />

là della porta ed emise un sospiro.<br />

Che i due descritti <strong>di</strong> sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma<br />

quel che più <strong>di</strong>spiacque a Viktor fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui.<br />

Domandò subito in fretta a sé stesso se ci fosse qualche uscita <strong>di</strong> strada, a destra o a sinistra; e gli<br />

sovvenne subito <strong>di</strong> no. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti <strong>di</strong><br />

quell’incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che <strong>di</strong> abbreviarli; quando<br />

si trovò a fronte dei due galantuomini, <strong>di</strong>sse mentalmente: ci siamo; e si fermò sui due pie<strong>di</strong>.<br />

«Lei è l’angelo?» <strong>di</strong>sse uno.<br />

«Così mi hanno detto»<br />

«È lei o no quello che ieri sera andava in giro con <strong>di</strong>eci metri <strong>di</strong> ali?»<br />

«Dieci metri è troppa grazia»<br />

«Senti,» interruppe l’altro «qui per lavorare bisogna prima parlare con la gente giusta, e tu non<br />

lo hai fatto» e qui una bestemmia «questo è un errore imperdonabile»<br />

«Ma lavorare dove?»<br />

«Non fare finta <strong>di</strong> non sapere come funzionano queste cose, se ti sei piantato quella <strong>di</strong>avoleria<br />

saprai, sarai stato già in qualche posto del mondo a fare spettacoli. Be’, qui non si fa spettacolo che<br />

il nostro capo non vuole»<br />

«Ma io…»<br />

«Hai ventiquattro ore per lasciare questa città» e su un’altra bestemmia.<br />

«Ma io sto già andando via»<br />

«Come?»<br />

«Sì, non c’è bisogno <strong>di</strong>,,, e?»<br />

«Oh, allora ci scusi», rispose l’altro. «Forse siamo stati inappropriati»<br />

«Ma si figurino, per così poco. Sto andando a prendere un taxi»<br />

«No no, questo non possiamo permetterlo. L’abbiamo <strong>di</strong>sturbata e ora le daremo un passaggio<br />

alla stazione»<br />

«Ma lor signori sono troppo gentili, non vorrei abusare <strong>di</strong> cotal cortesia»<br />

«Non vorremmo in ogni caso offenderla; ma se nel caso lei voglia accettare il nostro invito, non<br />

farà altro che onorare la nostra umanitade. Abbiamo la vettura non guari da qui»<br />

«Allora <strong>di</strong> buon grado accetto»<br />

E Viktor conobbe in una sola mattina la rabbia e la paura; entrambe inutilmente.<br />

22


PARTE QUARTA<br />

Un seno smisurato prorompeva pur coperto grazie al biancore <strong>di</strong> quella camicetta, sbottonata un<br />

bottone in più; ma tutto rovinato da un volto che troppo aveva <strong>di</strong> maschile, non così tanto da<br />

identificare la persona come transessuale: semplicemente una donna con fattezze somatiche da<br />

uomo, coperte <strong>di</strong>speratamente da un trucco pesante, heavy, quasi heavy metal; il fondotinta si<br />

arrampicava su dal collo e si scontrava col rossetto fosforescente già quando avresti detto che era<br />

ancora mento, poi saliva su per le guance e più non capiva che uscita prendere nel complicato<br />

svincolo degli occhi, complicato <strong>di</strong> per sé, complicato dai lavori in corso.<br />

Di fronte a lei l’amica, che <strong>di</strong> trucco ne bisognava data la sua faccia butterata. Ma sotto il collo<br />

mostrava un corpo molto più grazioso, con forme che spuntavano sonanti senza che attillanti mute<br />

le ri-velassero. Ogni tanto si scambiavano delle frasi sussurrate, non più <strong>di</strong> quattro, due a testa; ogni<br />

terza volta che ciò avveniva, quin<strong>di</strong> ogni quarto d’ora, si alzavano dai loro libri e uscivano dalla<br />

biblioteca per una pausa maggiore o uguale al break <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />

Su due tavoli <strong>di</strong>stinti, senza incontrarsi, un uomo e una donna erano l’una lo specchio dell’altro:<br />

entrambi leggevano per circa <strong>di</strong>eci minuti, poi alzavano la testa fissando un punto inesistente della<br />

biblioteca, e ripetevano anche loro sussurrando non si sa quali formule o <strong>di</strong>scorsi. Lui era più<br />

agitato <strong>di</strong> lei, forse perché allo stesso tavolo delle tette trans. Tra le due azioni si davano sempre<br />

qualche secondo <strong>di</strong> pausa in cui fissavano qualcun altro nella stanza tra il <strong>di</strong>sprezzo e la pietà.<br />

Un’altra, agghindata probabilmente per il casting <strong>di</strong> un film porno, non faceva altro che entrare<br />

e uscire, imponendosi da sola, si può <strong>di</strong>re senza giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> merito, come una cretina; una<br />

camminata ri<strong>di</strong>cola, da gallina gravida che cerca un luogo morbido per espellere l’uovo, per non far<br />

rumore con i tacchi; otteneva sicuramente una riduzione del volume in questo modo, ma le sue<br />

scarpe producevano così un rumore inau<strong>di</strong>to che <strong>di</strong>straeva ancor <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un concerto metal, heavy<br />

metal.<br />

Un ragazzo quasi sicuramente <strong>di</strong> origini me<strong>di</strong>orientali, avvenente, ma <strong>di</strong> una bellezza sfruttata<br />

da un uomo che non la sfruttò mai, e quin<strong>di</strong> esaltata in ogni parte del suo corpo, lo rendeva alla<br />

somma <strong>di</strong> tutto ingombrante. Alzava costantemente lo sguardo, incontrando feedback favorevoli<br />

soprattutto dal trans e dalla gallina, che invece lui, giustamente, cercava <strong>di</strong> evitare. Aveva due<br />

catenine d’oro al polso destro e scriveva continuamente su fogli <strong>di</strong> carta, così che quando arrivava<br />

al bordo inferiore, l’oro gingillava sul tavolo creando uno scampanellio incostante e fasti<strong>di</strong>osissimo.<br />

Lo sguardo che cercava <strong>di</strong> incontrare era quello <strong>di</strong> una ragazza dai capelli corti, che era seduta<br />

<strong>di</strong> fronte a lui ma su un altro tavolo. Questa alzava raramente la testa dal foglio, e quando lo faceva<br />

la delicatezza del suo viso si mostrava alla luce del sole che invadeva dalle ampie finestre, e il suo<br />

maglione, per niente seducente, lasciava intuire in maniera ancor più seducente, il suo corpo che<br />

rasentava la perfezione.<br />

Ad un certo punto fece il suo ingresso un uomo sulla trentina, con l’aria stralunata, e con in<br />

braccio una serie <strong>di</strong> libriccini e quaderni. Tra i libriccini si leggevano titoli come “Compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

filosofia”, “Dai, che ce la fai”, “L’autostima”, e <strong>altri</strong> bignami si un sapere enciclope<strong>di</strong>co. Insicuro<br />

sul posto da scegliere, scelse la se<strong>di</strong>a libera <strong>di</strong> fianco al me<strong>di</strong>orientale, che dopo alcuni secon<strong>di</strong>, e<br />

dopo aver lanciato sguar<strong>di</strong> su tutto ciò che ne poteva raccogliere nella stanza, uscì. L’uomo, calvo,<br />

con gli occhiali, provvisto <strong>di</strong> un’evidente pingue<strong>di</strong>ne, con vestiti che sembravano provenire dal<br />

<strong>di</strong>scount <strong>di</strong> una moda mai esistita, sventagliò le sue carte, e scelse un piccolo libro che aprì<br />

all’altezza della centesima pagina, quin<strong>di</strong> quasi verso la fine, e si mise a leggere con vigore e con<br />

impegno, senza curarsi mai del mondo esterno. Dopo circa venti minuti alzò lo sguardo verso un<br />

posto che nessuno occupava, con aria preoccupata; quin<strong>di</strong> si rasserenò d’un tratto e guardò<br />

attraverso l’enorme finestra prima <strong>di</strong> ributtarsi nelle ultime pagine. Quest’ultima azione fece<br />

sorridere Viktor: non lo considerava ri<strong>di</strong>colo, tutt’altro: sembrava lo scar<strong>di</strong>natore <strong>di</strong> quei rapporti<br />

costituiti, non schiavo della sua essenza, eppur calmo <strong>di</strong> umiltà, poiché si accorgeva della propria<br />

I<br />

23


libertà. Lo sguardo lanciato verso il posto vuoto e poi verso l’esterno rifletteva, per Viktor, una vera<br />

osservazione dell’ambiente in cui si trovava, una magica esplorazione epifanica dell’atmosfera.<br />

Tornò a stu<strong>di</strong>are anch’egli con foga, uno stu<strong>di</strong>o amaro dopo una sconfitta <strong>di</strong> uno che tutto poteva<br />

sembrare tranne che un leale competitore, le parole sormontavano <strong>di</strong> gran lunga gli oggetti in<br />

qualsiasi settore e <strong>di</strong>sciplina si tuffava. Gli occhi scorrevano quelle righe con la costante<br />

preoccupazione che qualcosa <strong>di</strong> più importante fosse scritto in altre righe. Ogni concetto ne<br />

richiamava un altro, che andava a sua volta approfon<strong>di</strong>to prima <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are quello che stava<br />

stu<strong>di</strong>ando in quel momento. Tutto questo consapevole del fatto che anche quell’altro concetto gli<br />

avrebbe dato la stessa sensazione.<br />

Mentre si concentrava e si <strong>di</strong>straeva come un circuito malamente funzionante, la sua attenzione<br />

fu catturata dalla trans e l’amica che ridevano chiaramente dell’uomo sulla trentina. Tra i vari<br />

sussurri carpì il nome “Forrest Gump”. E ad un tratto gli si rivelò quanto aveva fallito il<br />

postmoderno. «Possibile che queste donne abbiano visto quel film e comunque si comportino come<br />

le persone che in quel film sono ad<strong>di</strong>tate ree dell’isolamento <strong>di</strong> un ragazzo straor<strong>di</strong>nario?» pensò<br />

fissando anche lui il posto vuoto «è dunque inutile la cultura come un’arma a doppio taglio, come<br />

quell’anfibologia sul manifesto <strong>di</strong> un partito <strong>di</strong> sinistra <strong>di</strong> qualche anno fa, e che ho visto per caso in<br />

un angolo <strong>di</strong> questa città: “Voglio combattere le guerre <strong>di</strong> Bush!” combattere “con” o combattere<br />

“contro”? ma ciò non importa. Il <strong>di</strong>spiegamento dell’informazione e dell’arte si adagia su menti che<br />

non recepiscono il messaggio per quello che è, ma lo adattano a ciò che già pensano, anche se è un<br />

sistema <strong>di</strong> pensieri che si riduce a due frasi, come penso sia, facendo il generoso, quello <strong>di</strong> queste<br />

due ragazze. Non si intacca mai il proprio pensiero che si crede superiore; e la cosa più <strong>di</strong>vertente è<br />

che si fa ciò con la scusa <strong>di</strong> non farsi influenzare quando non ci si rende conto che così ci<br />

influenzarono solo le prime due informazioni che ricevemmo del mondo. L’apertura <strong>di</strong> mente del<br />

consumatore non esiste, essa è solo prerogativa <strong>di</strong> chi ha messo in <strong>di</strong>scussione la propria mente, ed<br />

è questo l’unico presupposto dell’intellettuale. Tutti gli <strong>altri</strong> sono solo degli squisiti coglioni».<br />

Chiuse con violenza i libri, e tramutò la sua faccia in nervosismo caparbio. La trans sussurrò:<br />

«Scusaci»<br />

Ma voleva intendere <strong>di</strong> scusarle lo schiamazzo <strong>di</strong> risa e sussurri. Ciò lo rese ancor più nervoso:<br />

la guardò senza sapere cosa <strong>di</strong>re, ma la fissò, la fissò per pochi secon<strong>di</strong>. Le si intimoriva. Allora<br />

Viktor si calmò:<br />

«Sono a<strong>di</strong>rato per <strong>altri</strong> motivi, non preoccupatevi»<br />

Sarebbe servito a qualcosa <strong>di</strong>re loro che quei motivi scaturivano comunque dai loro<br />

atteggiamenti? Sarebbe servito prendere dallo scaffale un libro <strong>di</strong> Adorno e porgerglielo davanti?<br />

Sarebbe servito buttare semi su un asfalto che il giorno dopo sarebbe stato, come se non bastasse,<br />

riasfaltato?<br />

E così, quando capì dopo i suoi numerosi stu<strong>di</strong>, l’impatto con la realtà l’aveva portato a ciò che<br />

in principio aveva rifiutato, cioè un cristianesimo biblico che partiva dal presupposto manicheo <strong>di</strong><br />

giusto e sbagliato, e dalla tirannia del dover salvare, e dall’unica regola che non si poteva salvare<br />

solo chi non voleva essere salvato; allora capì che era il caso <strong>di</strong> abbandonare gli stu<strong>di</strong>. In fondo<br />

Stephen Okalinih gli aveva detto che un uomo con le ali poteva fare tutto. Be’, quel tutto era ancora<br />

poco.<br />

Allora pensò bene <strong>di</strong> continuare e ultimare le sue memorie. Di pubblicarle. Di <strong>di</strong>ventare uno<br />

scrittore, forse. Insomma: un intellettuale senza passare per il momento coercitivo dell’accademia.<br />

II<br />

24


Intanto i giorni passavano, e le finanze si consumavano, e le sue ali erano sempre lì: finora non<br />

erano riuscite a volare.<br />

Mentre rior<strong>di</strong>nava le sue carte Viktor credeva quasi <strong>di</strong> rivedere Mae che attraversava la porta<br />

della sua camera: i suoi occhi profon<strong>di</strong>, chiari come la sua limpidezza lo folgoravano; semplice <strong>di</strong><br />

una naturalità quasi impressionista, tutta la stanza sembrava girarsi al suo passaggio, impazziva<br />

della sua luce; i capelli bion<strong>di</strong>, lunghi, la trasponevano in una Laura dal viso moderno; in lei tutti i<br />

versi dei poeti sembravano realizzarsi in un corpo, senza aggiungere volgarità con la materia.<br />

Certamente le percezioni <strong>di</strong> Viktor erano amplificate dal fatto che nessuna donna aveva più<br />

sfiorato da quando gli erano comparse le ali. Sembrava aver perso anche qualcosa del suo fascino<br />

con esse, sentiva come se le sue qualità nascoste si fossero d’improvviso rivelate al mondo, nude.<br />

Paragonò la visione <strong>di</strong> Mae a quella volgare dell’americana <strong>di</strong> cui non ricordava neanche il nome, e<br />

questa nel ricordo fiorì ancora <strong>di</strong> più. Da pochi giorni era nel mondo, e sarebbe stato il suo primo<br />

incontro; solo un problema si frapponeva fra lui e quell’i<strong>di</strong>llio: le ali. Non era riuscito a <strong>di</strong>rglielo,<br />

non sapeva come avrebbe potuto <strong>di</strong>rle; e come pretendeva <strong>di</strong> essere creduto?<br />

«Senti, Mae, devo <strong>di</strong>rti una cosa molto importante. Ve<strong>di</strong>: io ho le ali»<br />

Non avrebbe certo sopportato una risata; e allora non pronunciò mai quella frase. Ora giungeva<br />

il momento in cui i loro baci appassionati sarebbero andati oltre. Aveva pensato ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> non<br />

togliersi mai la maglietta, ma certo anche in quel modo, con abbracci stretti, non protetti da seconde<br />

maglie, lei avrebbe notato delle escrescenze. Le ali avevano un potere <strong>di</strong> rimpicciolimento e <strong>di</strong><br />

espansione quasi fatato, ed era stato relativamente semplice nasconderle durante quegli abbracci;<br />

doveva essere risultato anche misteriosamente schivo ai suoi occhi, e questo forse, da un punto <strong>di</strong><br />

vista seduttivo, era risultato ad<strong>di</strong>rittura positivo. Ma ora: cosa avrebbe frenato la verità?<br />

Abdù Mamalà suonò alla porta interrompendo quel sogno:<br />

«Viktor»<br />

Amico <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>atribe filosofiche, assiduo frequentatore della villa sperimentale, specie negli<br />

ultimi tempi, era il coetaneo che più conosceva l’interno dell’angelo.<br />

«Ho saputo che non è andata bene la prova, ma pazienza: tu puoi puntare molto più in alto»<br />

«È una frase che mi si ripete spesso ultimamente»<br />

«Sì, e poi ho saputo anche un’altra cosa. Cos’è? Uno scherzo?»<br />

«“Cos’è? Uno scherzo?” cosa?»<br />

«Hai capito <strong>di</strong> cosa sto parlando, ti hanno visto <strong>di</strong>eci persone in quello spogliatoio, e tra<br />

creduloni e scettici c’è uno che vuole farsi prete»<br />

«Ah, parli <strong>di</strong> queste»<br />

E si tolse la maglietta <strong>di</strong> scatto, per bloccare subito lo scetticismo dell’amico. Una velocità<br />

uguale, ma una delicatezza inferiore rispetto a quando l’aveva fatto davanti a Mae:<br />

«Viktor, io non ho mai conosciuto una persona come te, io non riesco a frenarmi. Perdonami se<br />

ti sembro sfacciata, ma: scusami» e si tolse la maglietta mostrando il suo seno ansimante <strong>di</strong>etro un<br />

reggiseno bianco accecante. Ora però Abdù incalzava:<br />

«Fa vedere. Mmmmm. Aprile»<br />

«Non ti fi<strong>di</strong>, e?»<br />

E spiegò le ali.<br />

«Mio <strong>di</strong>o! Ma è pazzesco, come fai? Che ti hanno montato…l’ho sempre pensato che quegli<br />

scienziati erano delle bestie, scusa se te lo <strong>di</strong>co solo ora, ma sono stati loro, a tua insaputa, non c’è<br />

altra spiegazione»<br />

«Secondo te Alain è capace <strong>di</strong> questo?»<br />

«Magari anche a sua insaputa! Devi capire che qui fuori ci sono degli esseri senza scrupoli,<br />

degli in<strong>di</strong>vidui che non si curano del prossimo»<br />

«In tal caso sono tutti degli attori da Oscar, e mi hanno, anzi, ci hanno fregati tutti, a me e ad<br />

Alain»<br />

«Viktor, ma come puoi pensare che da un giorno all’altro, a un essere umano, anche se vive<br />

nelle con<strong>di</strong>zioni in cui vivevi tu, possano spuntare le ali. Capisco il possibilismo, ma qui si esagera»<br />

25


«Io non so cos’è successo, ma eccomi qui, e tra creduloni e scettici, eccomi qui solo, ad<br />

affrontare questo pianeta; che mi aspettavo molto <strong>di</strong>verso»<br />

«Te la sei presa un po’ per quella storia allora?»<br />

«Non è questo»<br />

Non era questo: ciò che lo stupivano erano i comportamenti degli esseri umani quando ci sono<br />

<strong>altri</strong> esseri umani. E ciò che più gli <strong>di</strong>spiaceva era Mae:<br />

«Ascolta, Mae, io devo <strong>di</strong>rti una cosa che non ti ho mai detto, perché non c’erano parole per<br />

<strong>di</strong>rle»<br />

Ma non poteva fare a meno <strong>di</strong> baciarle il collo, le spalle, il petto mentre parlava. Così lei, già<br />

ansimante, non prendeva sul serio quelle parole.<br />

«Ecco: guarda!»<br />

Si tolse la maglietta.<br />

«Cosa?»<br />

Si girò.<br />

«E…e…questo che significa?»<br />

Si girò per parlarle guardandola in viso.<br />

«Non ti devi preoccupare, non è una malattia, è solo qualcosa che mi è nato, non si sa come»<br />

Tra l’incredula e l’annoiata:<br />

«Ma è uno scherzo?»<br />

«No, sono vere, guarda»<br />

Spiegò le ali occupando quasi tutta la lunghezza della sua stanza. Tremante Mae si attaccò<br />

all’arma<strong>di</strong>o <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé. Viktor non sapeva cosa <strong>di</strong>re, cosa fare. Lei si abbassò a raccogliere la<br />

maglietta scivolando lentamente sull’anta dell’arma<strong>di</strong>o. Lui le si avvicinò per sfiorarle le spalle, ma<br />

lei al contatto cominciò a urlare e ad agitarsi:<br />

«Lasciami stare! Non mi toccare! Aiuto!»<br />

Poi fuggì dalla stanza e non la vide mai più.<br />

«No, no, no. Non posso credere che siano naturali, ma Viktor: come fai a credere a una cosa del<br />

genere?»<br />

«Ci devo credere per forza, Abdù. E ti devo confessare un cosa: mi sentivo l’uomo più fortunato<br />

della terra; ma ora, ogni giorno, ogni stramaledetta mattina, quando mi sveglio, spero che siano<br />

scomparse»<br />

Insieme ad Abdù Mamalà esplorarono internet alla ricerca <strong>di</strong> qualche casa e<strong>di</strong>trice. Ma quasi<br />

ogni quarto d’ora l’amico smaniava:<br />

«Ma possibile, tu hai questo dono e sei costretto a vivere come tutti…certo, non è che si<br />

può…mah, è proprio strano»<br />

Nei giorni seguenti insieme a lui e a Stephen Okalinih, si de<strong>di</strong>cò anima e corpo al suo progetto.<br />

Cominciarono poi le prime proposte, le prime spe<strong>di</strong>zioni, ma logicamente, tutte le redazioni<br />

prendevano quelle <strong>di</strong> Viktor come fantasie.<br />

«Sono pregno <strong>di</strong> un qualunquismo qualunque. I più vari rifiuti o le proposte che considerano un<br />

mio contributo monetario, che equivalgono a dei rifiuti ancor più gravi, forse, non sono ingiusti.<br />

Sarebbe da scellerati pensare <strong>di</strong> essere trattati come genî incompresi: gli <strong>altri</strong> genî vengono tutti<br />

compresi, perché non io? Certo ci sarebbe da chiedersi se ne esistono oggi. Sicuramente ne nascono<br />

continuamente, a volte per fortuna, a volte perché le possibilità economiche gli permettono <strong>di</strong> vivere<br />

nell’otium letterario, il che accresce la loro cultura, e anche il loro allenamento, e <strong>di</strong> conseguenza il<br />

III<br />

26


loro valore. Non è sempre così, sicuramente esisteranno degli uomini capaci <strong>di</strong> fantasia innata, e<br />

caparbi stu<strong>di</strong>osi che non riescono a rielaborare neanche una riga. Ma per la maggior parte non si è<br />

Leopar<strong>di</strong> senza sette anni <strong>di</strong> gobba. Chi sono io per presentarmi al mondo con la pretesa <strong>di</strong> essere<br />

interessante? Anche se le mie ali fossero prese sul serio, a chi interesserebbero? Perché dovrebbero<br />

essere interessanti per qualcuno? Ma gli <strong>altri</strong> vogliono veramente ascoltare qualcosa <strong>di</strong> interessante,<br />

<strong>di</strong> profondo?»<br />

E la rinuncia prese animo in Viktor, che si vedeva rifiutato dal mondo, e cosa ben più grave,<br />

giustamente.<br />

Ma Stephen e Abdù lo incoraggiavano, e non sapevano come potesse non essere interessante un<br />

uomo alato, e sfrondavano una pianta spoglia cercando <strong>di</strong> ricavarne altre foglie. Una fata compare<br />

sempre dove c’è una fonte d’acqua.<br />

Nel buio della noia le sigarette dei tre amici salivano a prendersi i pochi raggi che filtravano in<br />

quella fine <strong>di</strong> meriggio:<br />

«Meriggiare pallido e assorto»<br />

«Non mi sembra il caso»<br />

«Sai: ho capito che ogni volta che scrivo una poesia inconsciamente imito questa. C’è una sorta<br />

<strong>di</strong> esuberante corrispondenza per quei versi, e allo stesso tempo un fasti<strong>di</strong>o retorico per questo. Ma<br />

la musicalità non ti dà il tempo <strong>di</strong> riflettere, e neanche il senso delle parole ti <strong>di</strong>strae, nonostante<br />

seguano il filo logico, ma non così filo da crearti un’immagine unica, un quadro solo in cui siano<br />

comprese tutte le scene. Poi, alla fine, bruscamente: quell’ultimo verso che non ha niente <strong>di</strong><br />

musicale, niente ti retoricamente corrispondente, e scopri che quello è veramente nauseante, non il<br />

resto che sembrava darti fasti<strong>di</strong>o. E lì, ascolti magicamente anche le parole e ti senti recintato da un<br />

muro che ha in cima cocci aguzzi <strong>di</strong> bottiglia, e non puoi uscire da lì, e non puoi uscire dalla forma,<br />

perché fa male»<br />

Nei silenzi si poteva ascoltare il consumarsi delle sigarette.<br />

«Se avessi l’abilità <strong>di</strong> Parini, io farei un libro per ripulire, come ha fatto lui dalla monotonia dei<br />

borghesi acci<strong>di</strong>osi, l’Italia e in genere tutto il pianeta analfabeta, da un vizio che, rispecchiando lo<br />

stagno del presente, non è meno crudele né meno barbaro <strong>di</strong> qualunque palude del settecento<br />

castigato da Parini. Intendo il vizio <strong>di</strong> leggere o recitare ad <strong>altri</strong> propri componimenti: che, già<br />

presente da secoli, fu sempre tollerabile perché più raro; ma oggi, che il comporre è <strong>di</strong> tutti, e che la<br />

cosa più <strong>di</strong>fficile è trovare uno che non sia autore, è <strong>di</strong>ventato un flagello, una calamità pubblica, e<br />

una nuova tribolazione della vita umana. Non sto scherzando, ma è <strong>di</strong>ventato anche pericoloso<br />

avere troppe conoscenze e far sapere che anche tu provi a scribacchiare qualcosina; e non c’è posto<br />

o momento in cui un cristiano può stare tranquillo e non rischiare <strong>di</strong> essere assalito e trascinato al<br />

supplizio <strong>di</strong> sentire romanzi senza fine o poesie a migliaia, non perché l’autore ne voglia ricevere un<br />

giu<strong>di</strong>zio ma solo per il gusto <strong>di</strong> vederti ascoltare e per gli inevitabili anche se a volte falsi<br />

complimenti finali. In poche occasioni come in questa si nota l’infantilità degli esseri umani e a<br />

quale punto <strong>di</strong> stupi<strong>di</strong>tà può essere ridotta una persona dall’amor proprio. E anche se si nota come le<br />

persone a questa richiesta scappino o si nascondano o inventino ogni sorta <strong>di</strong> scusa per non<br />

sottoporsi a questo strazio, con una faccia <strong>di</strong> bronzo le insegue e le sottopone al loro tragico destino.<br />

E incominciando a notare sba<strong>di</strong>gli, stiracchiamenti e <strong>altri</strong> segni sonnambuli provocati da questa<br />

angoscia mortale, non per questo si arrende ma anzi continua più fiero e più imperterrito <strong>di</strong> prima ad<br />

arringare per ore, anzi per giorni ad<strong>di</strong>rittura, fino a che la voce non gli <strong>di</strong>venta rauca. In questo<br />

genoci<strong>di</strong>o l’uomo prova un certo senso <strong>di</strong> piacere quasi sovrumano e para<strong>di</strong>siaco: dai loro occhi<br />

IV<br />

27


spariscono tutti gli <strong>altri</strong> piaceri, il cibo e il sesso, e <strong>di</strong>menticano la vita e il mondo. E questo deriva<br />

da una ferma credenza che l’uomo ha <strong>di</strong> suscitare emozioni e <strong>di</strong> provocare piacere a chi l’ascolta.<br />

Adesso del piacere <strong>di</strong> chi ascolta, che sarebbe meglio <strong>di</strong>re <strong>di</strong> chi sente, è palese a tutti e più <strong>di</strong> ogni<br />

altro al recitatore; so che alcuni preferirebbero pene corporali. Si <strong>di</strong>ce che quando Ottavia udì<br />

Virgilio recitare l’Eneide, svenne non per la gloriosa memoria risvegliata, ma piuttosto per la noia.<br />

Così è l’uomo e non c’è periodo storico o nazione che sia estranea a questa piaga: italiani, inglesi,<br />

cinesi, australiani. Gli uomini più saggi del pianeta <strong>di</strong>ventano ri<strong>di</strong>coli bambini nel recitare le proprie<br />

cose. Anche a Orazio parve questo <strong>di</strong>fetto umano insopportabile. E a Marziale, che perseguitato da<br />

un tizio che domandava perché non gli leggesse i suoi versi, rispondeva: “Per non u<strong>di</strong>re i tuoi”. E<br />

così era anche in Grecia: si racconta che Diogene, trovandosi in mezzo ad <strong>altri</strong> moribon<strong>di</strong> <strong>di</strong> noia<br />

come lui ad una lettura pubblica, e vedendo l’autore arrivare all’ultima pagina <strong>di</strong> cui s’intravedeva il<br />

chiaro della carta <strong>di</strong>sse: “Fate cuore amici, veggo terra”. Al che, degli amici miei, considerando<br />

questa cosa con me, pensarono <strong>di</strong> aprire un centro in cui chi vuole può leggere le proprie opere<br />

davanti a un pubblico stipen<strong>di</strong>ato; si pagherebbe <strong>di</strong>eci euro la prima ora, venti la seconda, trenta la<br />

terza, eccetera… e se il pubblico s’addormenta saranno rimborsati <strong>di</strong> una terza parte, e per eventuali<br />

sincopi o convulsioni verranno offerti gratuitamente psicofarmaci»<br />

«Sarebbe bello farsi una canna ora»<br />

«Sarebbe solo fantastico ridere forse»<br />

«Quasi nel meccanismo umoristico. Ma probabilmente quando se ne comprende il meccanismo<br />

poi non se ne ride più»<br />

«È per questo che è impossibile spiegarlo, e per fortuna»<br />

«Potremmo giocare a un gioco crudele ma affascinante»<br />

«Come tutti i giochi»<br />

«Una volta che ci eravamo riuniti in allegra compagnia, e a <strong>di</strong>re il vero avevamo alzato un po’ il<br />

gomito, a un tratto uno <strong>di</strong> noi fece la proposta che ciascuno, senza alzarsi da tavola, raccontasse ad<br />

alta voce qualcosa sul proprio conto, qualcosa che egli stesso, in coscienza, considerasse la peggiore<br />

<strong>di</strong> tutte le cattive azioni che aveva commesso in tutta la sua vita, a con<strong>di</strong>zione, e questo è<br />

l’essenziale, che la raccontasse senza mentire, in piena e assoluta sincerità»<br />

«Dovrei cercarmi un lavoro normale»<br />

«Sarebbe ri<strong>di</strong>colo: non ho mai visto un cameriere alato o un parcheggiatore che vola»<br />

«Io non volo»<br />

«Forse perché non ci hai mai provato»<br />

«Cosa vorresti <strong>di</strong>re? Devo andare all’ultimo piano e provare a buttarmi <strong>di</strong> sotto? Grazie del<br />

consiglio, bell’amico»<br />

«Per una radura, in <strong>di</strong>scesa; corri e a un certo punto apri le ali e spicchi»<br />

«E come pensi che mi li sia fatti i graffi al braccio: sono scivolato per terra come un i<strong>di</strong>ota; per<br />

fortuna non mi ha visto nessuno»<br />

«Ma tu non ci cre<strong>di</strong> abbastanza: guardati: vuoi già andare a fare un lavoro normale»<br />

«Normale…che vorreste <strong>di</strong>re? Che non sono normale?»<br />

«No»<br />

«No»<br />

Ricordo su ricordo, menzogna su menzogna si rimpinguava il curriculum <strong>di</strong> Viktor, con gli<br />

sproni <strong>di</strong> Stephen e Abdù. Potrestiandarelì potrestiandarelà si impastavano con consigli <strong>di</strong> andare al<br />

<strong>di</strong> là.<br />

«In fondo solo in una società ingiusta si sceglie una persona in base a una caratteristica fisica,<br />

quin<strong>di</strong> vivo in una società giusta»<br />

«Sì, certo, infatti la bella presenza non si richiede da nessuna parte»<br />

«E dove non è richiesta è ad<strong>di</strong>rittura necessaria»<br />

«Vabbè, per le donne»<br />

«So che hai vissuto tutto questo tempo isolato, ma certamente avrai sentito parlare<br />

dell’omosessualità. E non parlo certo <strong>di</strong> amore omosessuale, ma quella tracotante voglia del non-<br />

28


fatto che scaturisce nelle persone che occupano posti <strong>di</strong> potere, che dopo donne, uomini, bambini,<br />

animali e oggetti, tutto ciò che vogliono, quello che hanno capito <strong>di</strong> volere, è istigare le persone a<br />

fare ciò che non vorrebbero. Il terrore negli occhi dei malcapitati li eccita, nient’altro. È forse<br />

l’unico manicheismo del mondo il masochismo»<br />

«Godere <strong>di</strong> un altro che soffre può essere un concetto insito in ogni uomo; è il “meno male che<br />

non sono io dentro quella bara” che passa per la mente a un funerale. Ma sviluppare questo<br />

concetto, e trovare in esso l’unica fonte del go<strong>di</strong>mento è perversione dell’umanità. Godere del<br />

dolore: qual più grande contrad<strong>di</strong>zione mi sai in<strong>di</strong>care amico mio?»<br />

Il simposio al buio li gettò nel <strong>di</strong>sarmo verso il mondo. Quando accesero la luce pensarono a<br />

tutto tranne che alle loro coscienze.<br />

La porta si chiuse <strong>di</strong>etro i due.<br />

Viktor si fermò pochi secon<strong>di</strong> a pensare.<br />

Poi la sua mente organizzò il da farsi, e cominciando prima <strong>di</strong> tutto con la luce; la sua<br />

accensione interessò dell’esterno: chissà che tempo! Per accendere la luce si era alzato, non che<br />

contratto un’altra ventina <strong>di</strong> muscoli <strong>di</strong> cui non conosceva affatto il nome, anche se da qualche parte<br />

dovevano esserci il trapezio e il deltoide. Pensò che in fondo era <strong>di</strong> un’arbitrarietà nauseante il<br />

nome scientifico dato alle parti del corpo; questo mentre muoveva passi incerti per la stanza: in<br />

sostanza un piede alla volta si staccava dal terreno, vincendo la forza <strong>di</strong> gravità scoperta da Newton<br />

(Isaac, 1816-1894), probabilmente stando sotto lo stesso albero <strong>di</strong> mele <strong>di</strong> Buddha (Buddha,<br />

qualche secolo prima <strong>di</strong> Cristo), poi, flettendo sempre un bel po’ <strong>di</strong> muscoli, riappoggiò quello<br />

stesso piede a terra, creando un urto certo, non che rumore, o un suono, anche se non è arbitraria<br />

questa <strong>di</strong>visione. Dovrebbe essere una questione <strong>di</strong> frequenze. Ma ciò che era più sorprendente, era<br />

l’altro piede che poco dopo il movimento del primo, si librava anch’esso, sprezzante <strong>di</strong> Newton e<br />

del suo 1816-1894 (sprezzando non Buddha, che poveraccio, fondamentalmente non c’entrava in<br />

questa faccenda). Le braccia seguivano leggermente l’andamento delle gambe, <strong>di</strong> modo che quando<br />

avanzava il destro contemporaneamente la sinistra, e quando il sinistro allora la destra. Ora mi<br />

accingo a spiegare cosa vuol <strong>di</strong>re avanzare: prendendo come piano il suolo, anche se sferico, ma<br />

impercettibilmente per l’essere umano (comunque sferico, quin<strong>di</strong> ci dovremmo spiegare meglio),<br />

tracciando un piano cartesiano, chiamato così perché inventato da Cartesio, il quale in verità,<br />

poveraccio anch’egli, si chiama in realtà Descartes, con qualche accento qua e là <strong>di</strong> cui io non mi<br />

preoccupo perché sono italiano e che <strong>di</strong>fferenza fa per me che leggo quella sequenza <strong>di</strong> lettere<br />

comunque /dés’kartés/ mentre si legge /dé’kart/, ,a <strong>di</strong>re descartesiano è altresì orribile e in ogni caso<br />

egli è un 1596-1650, prendendo come asse delle ascisse la retta che passa per il baricentro dei pie<strong>di</strong>,<br />

e per asse delle or<strong>di</strong>nate il riferimento più semplice è sicuramente il pene eretto. Ora: il movimento<br />

può avvenire in qualsiasi <strong>di</strong>rezione sul piano, ma, a meno che non si stia danzando o non si stia<br />

facendo gli scemi, ci si muove sulle or<strong>di</strong>nate (l’ano rappresenta logicamente i valori negativi; e non<br />

vorrei che fosse presa come una <strong>di</strong>scriminazione). In realtà, in realtà, colui che stiamo<br />

minuziosamente osservando possiede anche delle ali, <strong>di</strong> cui sarebbe vano però (il però del però)<br />

descriverne i movimenti, dato il totale menefreghismo delle suddette verso i movimenti del resto del<br />

corpo. I polmoni invece non facevano che richiedere ossigeno, e si espandevano e si volevano<br />

gonfiare; ma le nari percepivano un’alta densità <strong>di</strong> fumo nell’aria, così, mentre le braccia<br />

trasportavano i bicchieri (sì, ci siamo scordati <strong>di</strong> prenderli prima, ma ormai), gli impulsi dati da uno<br />

dei cinque sensi, cioè l’olfatto, informarono il cervello della situazione atmosferica; questo elaborò<br />

il comando che si può riassumere in “aprire la finestra”, istruzione che comprende tantissimi<br />

V<br />

29


movimenti <strong>di</strong> cui potremo successivamente <strong>di</strong>scutere. Ciò che mi preme ora è far notare che il<br />

mistero che avvolge la trasmissione dell’informazione sensibile del naso al cervello, e ancor <strong>di</strong> più<br />

la successiva elaborazione <strong>di</strong> una volontà: il primo problema si chiama gnoseologico, il secondo<br />

psicologico, dando a “psiche” un significato che sta a metà tra “anima” (dal greco) e ciò che<br />

significa per noi gente comune che viviamo dopo l’avvento <strong>di</strong> Freud (1856-1939). A tutt’oggi<br />

questi processi sono dei misteri. Mentre per il primo si può rimandare per un’interessante teoria a<br />

La critica della ragion pura <strong>di</strong> Immanuel Kant (con tutto il suo 1724-1804; però! pensavo un po’<br />

prima), rispetto al quale non mi sento, razionalmente, <strong>di</strong> poter fare meglio; per il secondo annoso<br />

problema più <strong>di</strong>fficilmente si può trovare un esempio <strong>di</strong> tal fatta. Certo tutti (spero) sono d’accordo<br />

sul fatto che interagiscono in questa fase tre fattori: la percezione sensibile che si è appena ricevuti<br />

dall’esterno (nelle maniere sempre del ’24-’04); gli insegnamenti ricevuti dall’infanzia (quin<strong>di</strong><br />

compresi traumi, che non richiama il germanismo onirico) fino a un momento prima; l’indole,<br />

chiamata istinto dai più scettici empiristi. A ciò si possono aggiungere molti <strong>altri</strong> fattori: i cristiani<br />

ad esempio aggiungono l’intervento <strong>di</strong>vino (a loro volta i cattolici pensano a qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile<br />

definizione come la provvidenza, mentre i protestanti pensano a una predestinazione, forse non<br />

totale, non so), i pirandelliani una totale casualità (fattore che scoraggia totalmente lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

questo momento poiché creerebbe una modalità totalmente casuale, per non <strong>di</strong>re random, che non<br />

permetterebbe neanche lo stu<strong>di</strong>o dei primi tre fattori), o chi più ne ha, più ne metta. Posto il<br />

problema, ritiro la mano: il soggetto decise ciò. E quin<strong>di</strong> mosse i muscoli delle gambe per<br />

avvicinarsi al lavan<strong>di</strong>no della cucina, per poggiare i bicchieri, trasportati e poggiati dalle mani<br />

attaccate me<strong>di</strong>ante i polsi alle braccia, per cui una serie complicata <strong>di</strong> legamenti e ten<strong>di</strong>ni<br />

permettono degli abili movimenti, non impacciati come quelli degli animali, anche se<br />

probabilmente ogni animale ha sviluppato l’abilità funzionale al suo mondo, quin<strong>di</strong> neanche vorrei<br />

azzardare il paragone. Poggiati i bicchieri si crearono urti, attriti, rumori, spostamenti <strong>di</strong> materia,<br />

non che una piccola manifestazione del principio <strong>di</strong> Archimede (questo qui è ad<strong>di</strong>rittura del terzo<br />

secolo avanti cristo (Cristo è il tipo <strong>di</strong> prima quando abbiamo <strong>di</strong>scusso a proposito <strong>di</strong> Buddha),<br />

forte, e?) per un po’ d’acqua residua che sogliono avere i lavan<strong>di</strong>ni, poi dovette aprire la finestra: il<br />

braccio si staccò dal corpo e, grazie al pollice opponibile (oh! noi ti ringraziamo salto <strong>di</strong> qualità<br />

darwiniano, tu che scesi sui popoli per farci impugnare il e la preda, il e la spada (e poi<br />

personalmente ti ringrazio per aver prodotto un’evoluzione senza pari che ha portato a quella<br />

perfetta creatura che è la mia donna, per cui io ti loderò sempre e comunque in tutti i secoli dei<br />

secoli) (ma <strong>di</strong> questa parentesi parleremo meglio in altre opere)) aprì: una ventata d’aria nuova e<br />

rigenerativa, carica <strong>di</strong> ossigeno, azoto, vapor acqueo e anidride carbonica, non che una quantità <strong>di</strong><br />

materia micro corpuscolare invisibile al senso della vista, almeno in città dove si scorge ancora il<br />

sole, invase la stanza. Al contempo, per osmosi, molto fumo invase l’aria esterna, mischiandosi a<br />

quel miscuglio <strong>di</strong> gas in<strong>di</strong>stinguibili. Ma entrarono anche rumori, odori, protozoi e chissà quali<br />

insetti. A questo punto, dopo quegli attimi <strong>di</strong> silenzio cerebrale che ricordano la presenza della noia<br />

nel mondo, per necessità o per virtù, uno stimolo nel bassoventre mandò impulsi nervali al cervello,<br />

che elaborando capì <strong>di</strong> dover andare al bagno, eufemismo usato anche con se stessi. Quando ciò<br />

avviene subito si crea una proliferazione <strong>di</strong> intenti, interni e intestinali, e quelli esterni e sociali. La<br />

prima niente vietava <strong>di</strong> andare. La seconda consiste nel cercare <strong>di</strong> comprendere quale dei due<br />

elementi, per eccellenza del rifiuto bisogni espellere, se l’urina o le feci, o entrambe. Date anche qui<br />

le con<strong>di</strong>zioni esterne, è evidente esistono le con<strong>di</strong>zioni esterne, totalmente favorevoli, si ascoltò solo<br />

le con<strong>di</strong>zioni interne, che propendevano per un’espulsione generale. Bene: o che si faccia. Contratti<br />

i muscoli del corpo per questa nuova serie <strong>di</strong> movimenti che l’avrebbero portato a raggiungere il<br />

gabinetto, pensò subito a cosa avrebbe potuto leggere durante l’atto, poiché non gli piacevano<br />

innanzitutto le per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> tempo, e inoltre quella particolare situazione che non ci permette <strong>di</strong><br />

pensare all’atto che si sta compiendo, un po’ per pudore anche verso se stessi, d’altronde<br />

giustificato oggettivamente dal fatto che si tratta comunque <strong>di</strong> un’operazione <strong>di</strong> rifiuto verso alcune<br />

sostanze in eccesso nel corpo, lo portavano a <strong>di</strong>strarre sempre la mente, che in ogni caso, o<br />

maledetto Freud, non poteva in ogni caso fare a meno <strong>di</strong> pensare anche all’atto. Vista anche la<br />

30


situazione degradata, si preferisce in tali casi una lettura superficiale, una <strong>di</strong>strazione contingente,<br />

per non rischiare <strong>di</strong> dover leggere qualcosa <strong>di</strong> miliare, qualcosa che rimarrà dentro per sempre,<br />

proprio in quei momenti: potrebbe capitare un giorno <strong>di</strong> pensare a che versi fantastici chiudono la<br />

poesia Il tuono <strong>di</strong> Giovanni Pascoli (1855-1912), e rovinare quel bel ricordo aggiungendo «ah, sì,<br />

cacavo quando la lessi». Quin<strong>di</strong> ponderò tutto ciò che conteneva la libreria, finché l’occhio cadde<br />

sul giornale del giorno prima, <strong>di</strong> cui aveva letto un paio <strong>di</strong> articoli, e che non aveva neanche<br />

sfogliato interamente. Così il quoti<strong>di</strong>ano vinse meritamente il primo premio. Di nuovo legamenti,<br />

muscoli e pollice opponibile, spense qualche luce e arrivò su la soglia del bagno, <strong>di</strong> cui accese la<br />

luce. Controllò che ci fosse la carta igienica e anche che fosse sufficiente; posò il giornale su una<br />

mensola che non conteneva…qui bisognerebbe descrivere il bagno anche, uffa che fatica…o<br />

ad<strong>di</strong>rittura dovrei tornare in<strong>di</strong>etro per descrivere anche le stanze precedenti; ma facciamo così: nel<br />

caso vi interessi aggiungerò un appen<strong>di</strong>ce un giorno per descrivere tutti i luoghi, e anche per capire<br />

dove siamo quando siamo, non si capisce niente qua. In ogni caso ora il nostro sta già sbottonandosi<br />

i pantaloni, e non ci vogliamo certo perdere questo momento. Scoperte le pudenda a abbassata la<br />

tavoletta o copritazza o qualsiasi sia il nome regionale <strong>di</strong> quella cosa che copre il water quando la<br />

questione si è fatta solida (o quando semplicemente si è donne), si sedette e prese il giornale,<br />

decidendo <strong>di</strong> sfogliarlo per poi scegliere un articolo da leggere o da leggiucchiare. Nel contempo<br />

(mi <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che “alcuni dei contenuti <strong>di</strong> questa pagina potrebbero urtare la sensibilità <strong>di</strong> chi<br />

legge) tramite l’azione verniculare del colon sigmoideo, spinse il materiale fecale verso il retto.<br />

Quattro presidenti, quelli ai più alti vertici del Paese, temporaneamente "liberi" da tutti i reati che<br />

non abbiano commesso nell' esercizio delle loro funzioni. Il capo dello Stato, i presidenti del<br />

Senato, della Camera, del Consiglio dei ministri vedranno congelati inchieste e <strong>di</strong>battimenti, anche<br />

se le toghe potranno acquisire le prove irripetibili. All'ingresso in questo segmento, che si <strong>di</strong>stende<br />

opportunamente a formare la ampulla recti o ampolla rettale, si ha la stimolazione delle<br />

terminazioni sensoriali del muscolo del retto, le quali attraverso il nervo pudendo inviano il segnale<br />

<strong>di</strong> necessità <strong>di</strong> evacuazione, che causa il noto riflesso. Resta fuori il presidente della Consulta<br />

perché «non omogeneo» rispetto alle altre cariche <strong>di</strong> provenienza «politica». La prescrizione sarà<br />

bloccata. Se lo vorranno i quattro potranno anche rinunciare allo scudo. Questi riflessi possono<br />

essere influenzati nella misura e nella qualità della loro scaturigine da irritazioni, infiammazioni e<br />

processi patologici, come ad esempio avviene nella <strong>di</strong>ssenteria, che si caratterizza per la ripetizione<br />

involontaria delle azioni riflesse <strong>di</strong> espulsione oltre che per l'aumentato volume e consistenza<br />

acquosa delle feci. Ne potranno fruire esclusivamente per un mandato e solo il capo del governo<br />

potrà "bissare" in caso <strong>di</strong> reincarico. Le altre parti del processo potranno ricorrere subito alla<br />

giustizia civile. Il lodo Alfano, (la posizione seduta e quella accovacciata [8] favoriscono il giusto<br />

angolo ano-rettale per l'ottimale proiezione delle deiezioni) licenziato ieri pomeriggio dal<br />

Guardasigilli, è pronto, già <strong>di</strong>stribuito ai colleghi, e oggi sarà approvato dal Consiglio dei ministri.<br />

Con un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> legge <strong>di</strong> due articoli, il primo per fissare le regole della sospensione, il secondo<br />

per riba<strong>di</strong>re che si fermeranno subito tutti «i processi penali in ogni fase, stato e grado», Berlusconi<br />

mette la seconda pietra per uscire dalla sua ossessione giu<strong>di</strong>ziaria. Una volta precipitate nel canale<br />

anale le feci sono rilevate da altre terminazioni sensoriali che informano circa la loro consistenza [9]<br />

con<strong>di</strong>zionando l'impulso da inviare agli sfinteri per le modalità del loro rilascio. La prima è la<br />

sospensione <strong>di</strong> un anno per i proce<strong>di</strong>menti per reati sotto i <strong>di</strong>eci anni che il Csm, in commissione, ha<br />

ufficialmente bollato col timbro dell' incostituzionalità. La bozza tanto contestata, e che è costata al<br />

Consiglio una pesante ramanzina della destra, è stata votata da cinque dei sei componenti della sesta<br />

commissione. Contrario solo il forzista Saponara. Mentre un eccesso <strong>di</strong> riempimento del retto (ad<br />

esempio per protratta continenza) produce la sovra<strong>di</strong>stensione rettale <strong>di</strong>minuendone quin<strong>di</strong> la<br />

contrattilità e la capacità <strong>di</strong> spinta, l'opposta situazione <strong>di</strong> scarso riempimento non consente al retto<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stendersi correttamente e l'espulsione deve essere indotta con idonei stimoli muscolari, con il<br />

rischio però <strong>di</strong> prolasso delle membrane mucose in prossimità dell'ano. Da ieri sera è al vaglio del<br />

presidente Napolitano che stu<strong>di</strong>erà i contenuti delle 17 pagine prima <strong>di</strong> decidere se firmare il<br />

decreto sulla sicurezza. (riflesso parasimpatico) Martedì, in un plenum straor<strong>di</strong>nario, il testo sarà<br />

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<strong>di</strong>scusso e votato. Scontato il consenso dei togati, dei laici del centrosinistra, <strong>di</strong> Bergamo dell' Udc.<br />

Contrari solo Anedda (An) e Saponara. Con la contrazione del retto e la contrazione della parete<br />

addominale le scorie sono espulse. Ma il parere, che riba<strong>di</strong>sce come la sospensione, «incongrua,<br />

casuale e arbitraria», violi i principi costituzionali dell' obbligatorietà dell' azione penale e della<br />

ragionevole durata del processo e presenti «profili <strong>di</strong> grave irragionevolezza», continua a "costare"<br />

molto al Csm e al suo vicepresidente Nicola Mancino. I muscoli interessati sono quelli detti agonisti<br />

(adduttori e glutei) e quelli detti antagonisti (<strong>di</strong>aframma e addominali), ed è dalla combinazione<br />

delle loro contrazioni che nella parte finale dell'intestino si crea una sorta <strong>di</strong> camera <strong>di</strong> pressione<br />

(torchio addominale) che fa affacciare la massa fecale fuori dall'ano, Che ieri è stato attaccato<br />

frontalmente dal presidente della commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli (An) che, pur<br />

considerando il parere «legittimo e previsto da una legge dello Stato del '58», tuttavia pretenderebbe<br />

ad<strong>di</strong>rittura le <strong>di</strong>missioni <strong>di</strong> Mancino per via della fuga <strong>di</strong> notizie. al quale è trattenuto solidale dagli<br />

attriti, sinché la forza <strong>di</strong> gravità non lo <strong>di</strong>stacchi per il completamento dell'escrezione. Il vice<br />

presidente, per la terza volta, raccomanda ai suoi «massima riservatezza», e chiede a Giuseppe<br />

Maria Berruti (Unicost) <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are regole interne con tanto <strong>di</strong> sanzioni per punire chi passa le carte.<br />

Riba<strong>di</strong>sce però che il Csm «non vuole né progetta <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare una terza Camera in concorrenza con<br />

il Parlamento». Questa sarebbe solo «l' invenzione <strong>di</strong> chi non vuole un Csm autonomo» e che «dà<br />

fasti<strong>di</strong>o». Per certo il parere sulla sospensione è destinato a pesare nei prossimi giorni. Soprattutto<br />

quando, dal 9 luglio, il dl sicurezza sarà in aula a Montecitorio. L'insieme dello sforzo finale Il<br />

ministro per i Rapporti col Parlamento Elio Vito, che ieri ha incassato pure la calendarizzazione del<br />

lodo Alfano (dal 28 al 31 luglio alla Camera), (il cui termine tecnico è ponzamento) sembra lasciar<br />

intravedere possibilità <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fiche. «Seguiremo i lavori con grande attenzione e vedremo quali<br />

decisioni prendere». I tempi per le correzioni e il successivo passaggio al Senato ci sarebbero. E a<br />

Berlusconi, che col sì al lodo Alfano in autunno vedrebbe fugati gli incubi processuali, potrebbe star<br />

bene evitare un nuovo scontro col Quirinale. interessa sia la respirazione che la pressione<br />

sanguigna, entrambe alterate durante la spinta estrusiva: Che continua a premere per mo<strong>di</strong>ficare la<br />

norma sulla sospensione. Sia ampliando il range dei reati, sia <strong>di</strong>minuendo il periodo <strong>di</strong> sospensione.<br />

Il lasciapassare del Cavaliere <strong>di</strong>pende da una cosa: la garanzia che il processo Mills non arrivi prima<br />

a sentenza. a respirazione risente dell'impiego del <strong>di</strong>aframma e può aversi momentanea apnea o<br />

almeno <strong>di</strong>spnea, la pressione invece sale repentinamente risentendo dei flussi richiamati dalle zone<br />

muscolari attivate. Cosa <strong>di</strong>fficile da ottenere e per cui non possono esistere "garanti" tra lui e i<br />

giu<strong>di</strong>ci. Finito che ebbe posò il giornale, allungando una delle due braccia con cui lo teneva, sopra<br />

la mensola <strong>di</strong> cui sopra. Poi tirò la carta igienica fino a quattro segmenti e la strappò dal resto del<br />

rotolo, cioè impresse con forza (= massa · accelerazione) tale che scisse le molecole che detenevano<br />

legami più deboli, creati <strong>di</strong> proposito dai fabbricatori <strong>di</strong> carta igienica (teneramente regine <strong>di</strong> volpi),<br />

in modo costante per tutto il rotolo, a <strong>di</strong>stanza variabile a seconda del produttore. Poi ripiegò su se<br />

stesso quel pezzo e si nettò l’ano, e questo nonostante pensasse che Rabelais (1494-1553) gli avesse<br />

suggerito come miglior nettaculo, dopo averne provate <strong>di</strong> tutte le materie e <strong>di</strong>mensioni, un papero<br />

ben coperto <strong>di</strong> pennematte. Così fece altre tre volte. Poi flesse (uh!, quant’è brutta sta forma), o<br />

forse fletté (sembra una bevanda così) i muscoli per sollevarsi, si girò per premere il pulsante dello<br />

sciacquone che con un getto d’acqua potentissimo portò via in luoghi arcani tutto il rifiuto del suo<br />

corpo e la relativa carta per il nettaculo. Qui seguì un’azione che, da modesto europeo, mi propongo<br />

<strong>di</strong> esportare in tutto il nostro bel continente e anche oltre a chi ne volesse: noi, gli spagnoli e <strong>altri</strong><br />

popoli siamo abituati a usare un accessorio nel bagno chiamato bidè; sono convinto che gli italiani<br />

possano imparare dagli <strong>altri</strong> popoli a governare, a rendersi efficienti, a valorizzare le opere culturali,<br />

a migliorare i trasporti pubblici, a suonare, a mangiare, a poetare e, mi voglio rovinare stavolta, anzi<br />

penso che per la prossima frase istituiranno <strong>di</strong> nuovo l’esilio e mi manderanno a Malta: possono<br />

imparare anche a cucinare; ma fateci insegnare questa cosa, anche a te caro 1461-1553. Ecco che<br />

quin<strong>di</strong> fece uso <strong>di</strong> questo strumento liberatore dal mondo, che con la sua acqua, coa<strong>di</strong>uvato da<br />

sapone liquido (per le donne è consigliato uno specifico sapone intimo) sciacquò via<br />

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l’impreparatezza al coito. Quin<strong>di</strong> si asciugò con un asciugamano apposito per queste operazioni, si<br />

tirò su i pantaloni, aprì la finestra per evidenti (o meglio eolfaciente) motivi, e uscì dal bagno.<br />

Guardandosi allo specchio, Viktor pensò <strong>di</strong> tornare a vivere.<br />

33


PARTE QUINTA<br />

«E quin<strong>di</strong>? Sai che non ti sei inventato niente <strong>di</strong> nuovo?»<br />

La segretaria continuava a battere un tastino alla volta, controllando sempre lo schermo a ogni<br />

battito, e la tastiera a ogni ricerca del <strong>di</strong>to, strabuzzando non si sa se più per la tastiera o più per i<br />

pixel che si riflettevano su quegli occhiali anziani.<br />

«Ve<strong>di</strong>: qui abbiamo gente che si rinchiude dentro un pallone da calcio, che fa i salti mortali sui<br />

trampoli, che riesce a cacciare gli occhi dalle orbite e farli rientrare senza neanche toccarli. O gente<br />

che non sa fare un emerito cazzo, ma sa far finta <strong>di</strong> litigare con la sua finta ragazza per un finto<br />

tra<strong>di</strong>mento»<br />

Allora Viktor si allontanò quasi infuriato dalla scrivania e spiegò le ali con violenza: fece cadere<br />

numerosi oggetti e cartacce, <strong>di</strong>rettamente o solo con lo spostamento d’aria; e per poco non rese<br />

definitivamente cieca la segretaria.<br />

«Stia attento, giovanotto»<br />

Solo ora lei sembrava partecipare alla scena. Il manager rimase un po’ meno annoiato da questa<br />

seconda <strong>di</strong>mostrazione:<br />

«Be’, già la padronanza dell’aggeggio è più sod<strong>di</strong>sfacente, ma ve<strong>di</strong>, fatto ciò?»<br />

Se l’era chiesto tante volte se sarebbe stato possibile; in fondo doveva accadere prima o poi, ci<br />

doveva riuscire. Pensò a quei film hollywoo<strong>di</strong>ani in cui succede quella cosa che si aspetta dai primi<br />

cinque minuti, e che accade solo quando il protagonista ci crede veramente. Così osservò la finestra<br />

aperta e poi <strong>di</strong>ede uno sguardo al manager.<br />

«Ragazzo, capisco che ti serve lavorare, ma se guar<strong>di</strong> la finestra così mi fai preoccupare. Non<br />

vorrai mica…?»<br />

«Senta, lo so che come molte altre persone, anzi, come tutti tranne chi mi conosce, crede che<br />

queste siano ali artificiali, impiantate chissà in quale strano modo moderno sotto la pelle. Ma queste<br />

cose sono vere, vere come gli occhi, come le orecchie, le braccia»<br />

«Va bene. Mettiamo che io ci creda. E che ci creda così tanto da riuscire a convincere il<br />

<strong>di</strong>rettore artistico <strong>di</strong> un programma. Ok? Ti presenti in televisione, e poi? Preten<strong>di</strong> che milioni <strong>di</strong><br />

persone credano alle tue ali quando dentro <strong>di</strong> loro sanno che tutto è falso? Al mondo non interessa<br />

se il tuo dolore o la tua dote siano veri o falsi; loro vogliono solo lo spettacolo. Prenda il calcio: se<br />

entra nei bar d’Italia, tutti quelli che sono piantati davanti ai teleschermi, e che in qualche modo<br />

spendono sol<strong>di</strong> <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente per vedere quello spettacolo: ebbene, io scommetto<br />

che nove <strong>di</strong> quelle persone su <strong>di</strong>eci pensano che il calcio sia corrotto, che il risultato della partita<br />

che stanno guardando sia falsato, che sia già deciso da qualcuno. Ma a loro questo non interessa: a<br />

loro interessa lo spettacolo, e lo spettacolo non sottostà alle categorie <strong>di</strong> vero e falso»<br />

«E se volassi?»<br />

«Be’, se tu riuscissi a volare sarebbe un altro <strong>di</strong>scorso»<br />

Si guardò attorno Viktor in cerca <strong>di</strong> un incoraggiamento nelle molecole <strong>di</strong> azoto che pullulavano<br />

nell’aria, o nelle facce <strong>di</strong>stratte <strong>di</strong> protagonisti involontari nei quadri appesi alle pareti col loro<br />

impressionismo fuori moda. Con le ali ripiegate si avvicinò alla finestra: non guardò <strong>di</strong> sotto, ma<br />

davanti a sé, andando a scontrare il suo sguardo per nulla <strong>di</strong>stratto col cemento pesantemente grigio<br />

degli e<strong>di</strong>fici che circondavano quel palazzo grigio a sua volta, come grigio il cielo e tutto ciò che<br />

non aveva il profumo della sicurezza. Il conforto della morte non sarebbe stato poi così male, se non<br />

fosse che non aveva mai visto Venezia.<br />

«Sei sicuro ragazzo <strong>di</strong> volerci provare?»<br />

Uno sguardo <strong>di</strong> sotto poteva solo <strong>di</strong>ssuaderlo, ma <strong>di</strong> due <strong>di</strong>ssuasioni: quella <strong>di</strong> provarci o quella<br />

<strong>di</strong> crederci: se sotto si estendeva il puro asfalto del marciapiede si sarebbe ritirato, e se ci fosse stata<br />

la tenda <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quei tanti bar che circondavano la piazza si sarebbe buttato senza usare un po’ <strong>di</strong><br />

energia mentale.<br />

I<br />

34


«Magari esercitati un po’ a casa prima <strong>di</strong> provarci, poi torni qui quando sarai pronto»<br />

Ma quale energia mentale! Che cazzate, era una delle parti del suo corpo, o faceva muovere quei<br />

muscoli oppure sarebbe stato semplicemente ri<strong>di</strong>colo.<br />

Alla fine guardò <strong>di</strong> sotto, e la tenda lo calmò.<br />

«Non si preoccupi, ce la faccio»<br />

Era la prima persona della stanza a non crederci; anche se la segretaria, probabilmente abituata<br />

alle esibizioni spavalde e fallimentari dei cretini, continuava a lavorare al suo stramaledetto<br />

computer come se niente fosse.<br />

Aprì <strong>di</strong> più la finestra. Uscì e mise i pie<strong>di</strong> sul cornicione. Nessuno da sotto lo guardava. Chissà<br />

se <strong>altri</strong> i<strong>di</strong>oti ci avevano già provato. E soprattutto: se secondo voi uccido il bambino giapponese<br />

seduto qui <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> me, che non fa che parlare e urlare da tre ore <strong>di</strong> treno a questa parte, è un reato?<br />

Il movente sarebbe che non riesco a descrivere questo povero Viktor che sta là, sulla finestra,<br />

poveraccio, e non vuole far altro che buttarsi, tanto lo sappiamo tutti che non ce la farà. Purtroppo<br />

non cade però su un bambino giapponese (o qualsiasi altro logorroico del pianeta) ma sulla tenda<br />

del bar <strong>di</strong> cui sopra. Ecco: sarai contento ora <strong>di</strong> aver rovinato tutto?! No, perché magari, io scelgo il<br />

treno per scrivere, che mi rilassa, e poi non sono troppo con<strong>di</strong>zionato dagli ambienti che mi<br />

circondano perché cambiano continuamente. Solo che c’è certa gente che non si rende conto della<br />

preziosità del silenzio, e non parlo del bambino sicuramente; ce l’ho coi genitori.<br />

Viktor ruzzolò goffamente sulla tenda e poi finì su un tavolino vuoto del bar, che rovesciò senza<br />

ferire nessuno. Era solo il secondo piano, e solo graffi <strong>di</strong> secondo piano ora apparivano sul suo<br />

corpo. Il manager urlò un “tutto bene?” dalla finestra; mentre la gente, notando le ali capì subito <strong>di</strong><br />

che scemenza <strong>di</strong> trattava. I baristi si infuriarono.<br />

Con alcune copie del suo miserabile curriculum, Viktor De Michelis girava per la città; non<br />

aveva saputo scrivere tra quelle voci la sua dote fisica. E a proposito <strong>di</strong> dote fisica: aveva anche<br />

pensato <strong>di</strong> presentarsi in una casa <strong>di</strong> produzione cinematografica porno, ma amava troppo quel<br />

piacere per tramutarlo in lavoro. Anche se si perdeva qualsiasi schema <strong>di</strong> valori nell’animo pagano<br />

<strong>di</strong> un uomo che ruzzolò sulla tenda <strong>di</strong> un bar, per entrare a far parte <strong>di</strong> un mondo che neanche<br />

conosceva e <strong>di</strong> cui ora sentiva la potenza. Le facce delle persone che lo circondavano mentre<br />

<strong>di</strong>stribuiva curricula per negozi e uffici avevano l’aria <strong>di</strong> essere sempre pronte a rispondere alla<br />

telecamera, pronte ad accendersi alla lucina rossa. Essi si a<strong>di</strong>ravano per alcune cose che le<br />

in<strong>di</strong>gnavano, e applicavano un vago buon senso senza aver mai ragionato sul mondo. Questo mostro<br />

cato<strong>di</strong>co aveva imposto agli in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> possedere un’opinione su qualsiasi aspetto della realtà, dal<br />

calcio alla politica, dall’arte all’economia, passando per le varie forme della sociologia. Quel<br />

mostro aveva dato anche un nome a ciò che imponeva esistesse senza mai mostrarsi: opinione<br />

pubblica. Sembrava avere le sembianza <strong>di</strong> quell’oceano vivente che abitava Solaris, quella forma <strong>di</strong><br />

vita che vita non ha; il dramma era che tutti credevano alla sua esistenza, mentre a Viktor risultava<br />

più facile credere nella creatura <strong>di</strong> Stanislaw Lem. E così si accorgeva <strong>di</strong> essere un alieno alienato,<br />

non tanto per il suo accessorio fisico, che somigliava sempre <strong>di</strong> più a un han<strong>di</strong>cap, ma per il suo<br />

cervello forgiato su ciò che dotti, accademici e antiaccademici, reputavano come il massimo che si<br />

potesse pensare, il <strong>di</strong>o del pensiero. Ma quel <strong>di</strong>o non esisteva per la massa, e non perché questa non<br />

fosse in grado <strong>di</strong> concepirlo, ma perché a qualcuno faceva comodo che la massa immaginasse se<br />

stessa come unico e in<strong>di</strong>scusso <strong>di</strong>o.<br />

Un amico gli aveva fissato un colloquio in un’azienda. Ma le sopracciglia aggrottate <strong>di</strong> Viktor<br />

non convincevano chi stava al <strong>di</strong> là della scrivania:<br />

II<br />

35


«A noi servono persone <strong>di</strong>namiche, intraprendenti, sicure <strong>di</strong> sé. La positività è ciò che la gente<br />

vuole»<br />

«La gente vuole?»<br />

«Già, tutti devono vedere nei nostri <strong>di</strong>pendenti la fiducia nel futuro, lo slancio vitale»<br />

«Mi scusi, ma voi non fate polizze sulla vita?»<br />

«E questo che c’entra?»<br />

«Be’»<br />

«Guar<strong>di</strong> io non penso che lei sia adatto al nostro establishment»<br />

«A cosa non sono adatto?»<br />

«Mi sta prendendo in giro?»<br />

«Ah, io?»<br />

«Io conosco la gente come lei, sa»<br />

«La gente come me?»<br />

«Sì, voi intellettuali <strong>di</strong> sinistra che prendete in giro la new economy. Ma ci dovrete fare il callo,<br />

cari miei. Sono finiti quei tempi, ora il marketing comanda il mondo, per fortuna. Ah, ma se vi<br />

provano a toccare le vostre como<strong>di</strong>tà non siete più tanto d’accordo. Oh no, non toglietemi il<br />

cellulare, vi prego. E vi strafogate <strong>di</strong> televisione tutto il giorno. La verità è che siete voi i veri nuovi<br />

ignoranti perché non sapete stare al passo col mondo. Lei ha un impiego signor De Michelis?»<br />

«Impiego?»<br />

«Non si va in giro a cercare lavoro vestiti in quel modo in un giorno feriale»<br />

«Perché oggi…che cos’è oggi?»<br />

«Io invece lavoro, signore, quin<strong>di</strong>, se non le <strong>di</strong>spiace»<br />

«mi spiace, eccome. Io…a. L’angelo si <strong>di</strong>spiace, non può tollerare, capisce? Quest’aggressione<br />

non può essere tollerata. Insomma…»<br />

«il tappeto è un problema suo, e proprio come ogni sbandato al mondo è responsabile della<br />

propria vita, in<strong>di</strong>pendentemente da chi ha scelto <strong>di</strong> incolpare. Io non ho incolpato nessuno quando<br />

ho perso le gambe: un bacia tappeti me le ha portate via, nella guerra del golfo. Ma io sono andato<br />

avanti, a realizzare! Eh! Non posso risolvere i suoi problemi, signore, solo lei può»<br />

«eh…ma vaffanculo»<br />

«e, sì, vaffanculo: questa è la sua risposta, la sua risposta a tutto. Se la faccia tatuare in fronte.<br />

La vostra rivoluzione è finita signor De Michelis, condoglianze. Gli sbandati hanno perso. Faccia<br />

come i suoi genitori, accetti il mio consiglio: si trovi un lavoro! Gli sbandati perderanno sempre. Mi<br />

ha sentito De Michelis? Gli sbandati perderanno sempre»<br />

Viktor uscì pacatamente dalla stanza.<br />

La segretaria gli chiese:<br />

«Allora come è andata?»<br />

«Ha detto che posso prendere il tappeto che voglio»<br />

L’Italia è una repubblica fondata sullo stage.<br />

Non importava chi eri; non interessava chi fossi; se le tue <strong>di</strong>sponibilità cominciavano da zero,<br />

ciò non era fondamentale. Dovevi pagare per fare un corso, che forse ti avrebbe portato ad avere un<br />

posto, o a contratti <strong>di</strong> un anno, sottopagati, dopo i quali<br />

Viktor riusciva a capire ora cosa fosse quell’altra sanguisuga che si aggirava per l’Italia in preda<br />

ad una fame insaziabile: la raccomandazione. Essa era criticata da tutti, ma tutti la praticavano. È un<br />

tipico status umano che si espande nell’animo soprattutto <strong>di</strong> coloro che occupano la penisola italica:<br />

III<br />

36


quando esiste un rapporto scabroso tra gli esseri umani che è ormai costume, non ci si rende conto<br />

<strong>di</strong> quando lo si attua, nonostante nel momento della realizzazione e del riconoscimento lo si<br />

condanni. Sembra quasi naturale per il funzionario <strong>di</strong> un ufficio, favorire, nelle file burocratiche e<br />

nelle file reali, gli amici, coloro che conoscono, i parenti. Perché quello stesso amico lavora in un<br />

bar, e quando andrò a prendere l’aperitivo, avrò uno sconto, anche se il bar non è suo, così come la<br />

fila non è mia. Bene: per quanto questa cosa possa sembrare normale e innocente, ingran<strong>di</strong>ta è ciò<br />

che accade a livello lavorativo, impren<strong>di</strong>toriale e politico. E ai potenti che conducono una vita da<br />

potenti, sembra innocente come l’aperitivo scontato e la fila saltata per noi, per questo essi hanno<br />

anche la faccia tosta quando vengono beccati a perpetrare abusi <strong>di</strong> potere. Non fingono: loro<br />

credono veramente <strong>di</strong> aver fatto una cosa innocente.<br />

Era impossibile per un uomo, seppure alato, entrare nel sistema lavorativo se non provenisse già<br />

da un ambiente lavorativo. Ciò che non sapeva fare Viktor era fingere. Questo il suo problema, tra<br />

gli <strong>altri</strong>, perché fingendo si sarebbe potuto inserire in un ambiente <strong>di</strong> cui non era pratico.<br />

«Eppure basta pensare a queste cose, non ce le faccio più. La vita è altro. Queste meccaniche<br />

non sono la vera. Anche se mi sento tagliato fuori da tutto. Abdù e Stephen sono i miei unici amici.<br />

Mi manca anche una donna. Dove troverò una donna alata? Sono un re, ma sono un re che è stato<br />

ghigliottinato dalla noia»<br />

Nonostante non fosse stato invitato Viktor si presentò alla festa <strong>di</strong> Mae alle <strong>di</strong>eci e<br />

quarantacinque.<br />

Il bene e il male sono solo una questione <strong>di</strong> squadre: a un certo punto ti trovi a tifare per una<br />

delle due e non sai neanche perché.<br />

Stephen andò incontro a Viktor abbracciandolo quasi commosso, e poi cambiò il suo volto<br />

totalmente quando vide lo sguardo infuocato dell’amico. Lui aveva un’aria da furbetto ultraumano,<br />

ed il suo corpo sembrava rigido mentre si muoveva. Le amiche <strong>di</strong> Mae attorniavano la festeggiata<br />

che scartava i regali in preda a quella sorta <strong>di</strong> felicità incosciente che aggre<strong>di</strong>sce le persone nelle<br />

scene <strong>di</strong> protagonismo incontaminato. Ma la contaminazione era lì presente, e ci ‘pensò un’amica a<br />

spezzarle l’incanto confabulandole all’orecchio la notizia del nuovo arrivato, che era fermo in pie<strong>di</strong>,<br />

a pochi metri da lei, fissandola, e recependo come da lontano le parole dell’amico che profanavano<br />

coraggio per le aquile. Lei ghiacciò. Poi si stampò sul volto il falso sorriso per l’avvento dei regali,<br />

ma lo schiamazzo delle amiche si calmò come il vento d’estate, d’improvviso, quando decide <strong>di</strong><br />

aver già troppo smosso la sabbia della spiaggia, e ti lascia in<strong>di</strong>feso <strong>di</strong> fronte al caldo.<br />

Finiti gli scarti, poggiò i regali e si mosse verso <strong>di</strong> lui, con un sorriso <strong>di</strong> ben accoglienza che si<br />

rivolge a un <strong>di</strong>sabile quando entra in una lezione <strong>di</strong> storia su Sparta.<br />

«Ciao Viktor. Mi fa piacere che tu sia venuto»<br />

«Non <strong>di</strong>re cazzate. Comunque sono qui, e questo è per te»<br />

«Ehm, non…grazie»<br />

L’imbarazzo della ragazza si mischiava allo stupore ancor più grande <strong>di</strong> sentire quelle parole<br />

scorbutiche da un uomo che era il ritratto della gentilezza, o almeno lo era stato. Quando poi scartò<br />

il regalo, un totale <strong>di</strong>sorientamento lo avvolse: era un giocattolo, un pupazzo <strong>di</strong> Batman.<br />

«Grazie, è, è bellissimo»<br />

«Lo so»<br />

E se ne andò verso Stephen che si era allontanato per permettere il <strong>di</strong>alogo senza compromessi.<br />

«An<strong>di</strong>amo a bere»<br />

«Come? Sì, certo, ma, senti: ti sembrava proprio il caso <strong>di</strong> regalarle un mammoccio con le ali?»<br />

IV<br />

37


«Adoro Batman»<br />

«Sì. Sicuramente anche lei»<br />

La tensione saliva nella festa che non si <strong>di</strong>panava solo su quella sottile trama; chi sapeva si<br />

rendeva conto, e chi non sapeva avvertiva che ci fosse qualcosa da sapere. Il tavolo era ben fornito<br />

<strong>di</strong> alcolici, ed inutili erano i consigli <strong>di</strong> moderazione <strong>di</strong> Stephen.<br />

«Vuoi che non sappia quello che faccio!?»<br />

Un quarto d’ora dopo stava urlando a tre ragazze che volevano semplicemente conversare<br />

civilmente, e che erano così vicine che sarebbe bastato sussurrare per esprimere concetti; Stephen<br />

era accanto a lui e <strong>di</strong> tanto in tanto <strong>di</strong>ceva frasi del tipo «perdonatelo, <strong>di</strong> solito non è così». Ma a<br />

Viktor ormai gli se n’era uscita la catena, e pedalava parole e <strong>di</strong>scorsi assur<strong>di</strong> senza un minimo<br />

collegamento. Quando poi approdò verso le doti che ogni persona ha peculiari, l’amico lo prese per<br />

il braccio per portarlo via; ma lui era già via.<br />

«Voi lo sapete?»<br />

«Come? Scusa?»<br />

«Dico: voi tre lo sapete che cos’ho io?»<br />

«Non capisco cosa vuoi <strong>di</strong>re» rispondeva una come delegata.<br />

«Viktor, an<strong>di</strong>amo via, forse a loro non interessa»<br />

«No» e poi rivolto alle ragazze «lo volete vedere?»<br />

«Sei proprio un porco maleducato!»<br />

«Ma non sto parlando del cazzo, stupide cretine con<strong>di</strong>zionate dalle malattie sessuali del<br />

ventunesimo secolo che vi obbligano a vedere sempre il sesso come almeno uno dei due sensi<br />

quando c’è un doppio senso, brutte puttane che non vogliono nient’altro che un inseminatore nella<br />

vita»<br />

Come era presumibile le tre si allontanarono in<strong>di</strong>gnate, ma Viktor urlava loro <strong>di</strong>etro:<br />

«Non sto parlando del cazzo, sto parlando delle ali»<br />

A queste parole tutti guardarono quella tristezza <strong>di</strong> scena in cui Viktor cominciava a togliersi la<br />

camicia e poi pian piano la maglietta. Mae cominciò a urlare e piangendo rientrò dentro casa,<br />

mentre nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> casa sua tutti rimasero senza fiato quando il mostro aprì le ali.<br />

«Avete visto allora, e? che cosa ne <strong>di</strong>te? Avete mai visto un uomo così, e? vi credevate speciali<br />

fino a ieri e invece non siete che dei comuni esseri umani, e invece io sono un <strong>di</strong>o!»<br />

Non trovò però dei fedeli pronti a prostrarsi; Cola <strong>di</strong> Rienzo e Christina Acmatofta se ne<br />

andarono via sdegnati. Vicini si affacciavano dalla finestra a vedere chi era questo pazzo. Stephen,<br />

immobile, non sapeva che fare. Alcune ragazza fecero una faccia <strong>di</strong>sgustata, mentre certi ragazzi<br />

cominciarono a deriderlo come uno scemo.<br />

Il cane <strong>di</strong> Mae gli abbaiò contro con tutto il sangue che aveva in corpo; e si avvicinava e<br />

ringhiava, e si avvicinava e abbaiava a squarcia fauci. Viktor, in preda al delirio, gli <strong>di</strong>ede un calcio<br />

scaraventandolo sull’erba più alta. Il cane si rialzò e scappò.<br />

A quel punto tutti gli cominciarono ad urlare contro, tutti parlarono, tutti ad<strong>di</strong>tarono il mostro.<br />

«Ecco, avete voluto quello che desideravate. Siete seduti sulle vostre poltrone aspettando che il<br />

televisore superi l’oltranza e arrivi all’oltraggio. Questo vi scandalizza e vi sod<strong>di</strong>sfa. La vostra<br />

rabbia cumulata per anni sotto il silenzio dell’impotenza arriva finalmente a potersi sfogare nei<br />

vostri urli <strong>di</strong> sputasentenze. Vi masturbate al suono dell’in<strong>di</strong>gnazione, e quando non ce la fate più,<br />

allora il vostro televisore acquistato a rate vi ha completamente sod<strong>di</strong>sfatto»<br />

Non tutti lo ascoltavano. Stephen gli si avvicinò a gli suggerì <strong>di</strong> andarsene.<br />

«Sì me ne vado. Vedrete così che si ristabilirà l’or<strong>di</strong>ne cacciando il mostro. E vedrete che un<br />

giorno vi ci farete una risata»<br />

38


PARTE SESTA<br />

Alain Vaneschi, sua moglie e suo figlio uscirono <strong>di</strong> casa che ancora il meriggio s’addormentava.<br />

Il piccolo compiva cinque anni; e dopo la festa con parenti e amici decisero <strong>di</strong> portarlo al circo,<br />

come il più dolce regalo che sod<strong>di</strong>sfa la fantasia.<br />

Una pioggia insistente cadeva ormai da giorni, sotto un cielo ostile ai più, e che riconfortava<br />

dell’amorosa visione angelica <strong>di</strong> una tranquillità familiare la sicurezza famigliare <strong>di</strong> Vaneschi.<br />

Verso le quattro <strong>di</strong> quel pomeriggio <strong>di</strong> festa, il sole prese prepotentemente possesso <strong>di</strong> alcuni fori tra<br />

le nuvole, e la gioia nel rischiaro infondeva un sospiro negli animi afflitti dalla luce artificiale.<br />

Pieno <strong>di</strong> sogni era il continuo spirare <strong>di</strong> una brezza che evaporava dalle pozzanghere ancora<br />

giovani. Tra i corridoi <strong>di</strong> quelle vie, tra le case appese ad asciugare, la macchina <strong>di</strong> Vaneschi<br />

risuonò <strong>di</strong> un timido vagito: una macchina elettrica, lenta, ma che non inquinava, pateticamente,<br />

potrebbe <strong>di</strong>re qualcuno, normalmente, risponderebbe la prima, che metteva in moto la dolce<br />

risoluzione sociale in quei piccoli gesti, il cambiamento unanime <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>versi tra <strong>di</strong> loro, che<br />

non si muovono come una massa senza volto, e non chiede che la propria vita sia interessante, ma<br />

colma <strong>di</strong> piaceri, che nulla contrastano con il rispetto <strong>di</strong> semplici vettori, dalle mille <strong>di</strong>rezioni, ma<br />

da un verso solo, unico: esistiamo.<br />

L’ideologia che proponeva la progettualità <strong>di</strong> una vita meritocratica era un’utopia arrogante. La<br />

gioia nei piccoli piaceri quoti<strong>di</strong>ani, e l’amore per una donna che dell’onestà e della cortesia faceva<br />

la sua maniera, erano le sole vere sod<strong>di</strong>sfazioni che potevano allettare un uomo senza destare in lui<br />

la mania dell’onnipotenza e della superiorità. Lo snobismo aveva perso con la tolleranza, ma anche<br />

il compromesso aveva battuto la prevaricazione. Per Alain Vaneschi, ora, il sorriso <strong>di</strong> sua moglie<br />

che si specchiava in quello <strong>di</strong> suo figlio aveva surclassato un verso meraviglioso che si specchiava<br />

nella formula fisica dell’universo. A nessuno interessa andare al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quello che la società in cui<br />

vive produce per il suo stesso interesse; che serve scoprire le meccaniche celesti, quando non si<br />

trova parcheggio vicino all’entrata del circo?<br />

«Non ti preoccupare, faremo due passi»<br />

La pacatezza <strong>di</strong> sua moglie era molto <strong>di</strong> più <strong>di</strong> quanto si potesse sperare in una donna del<br />

ventunesimo secolo.<br />

Scesero dall’auto che il piccolo era già in fibrillazione. Loro due parlarono del fatto che non si<br />

ricordavano neanche <strong>di</strong> come fosse fatto un circo, perché entrambi, naturalmente, non lo rivedevano<br />

da quando avevano l’età del loro figlio. Ed era questa la piccola magia della serata: riscoprire,<br />

grazie agli occhi del piccolo, un mondo <strong>di</strong>menticato fatto <strong>di</strong> piccoli sogni, non ancora contaminati<br />

dalle ambizioni.<br />

Entrarono pochi minuti prima dell’inizio. Non comprarono noccioline popcorn patatine perché<br />

già troppo la festa li aveva rimpinzati <strong>di</strong> tale frugalità. E poi uscì il presentatore, e gli animali e i<br />

clown, e gli acrobati, e le meraviglie presenti che non si velano <strong>di</strong> menzogna.<br />

Per Alain solo questo aveva senso ora.<br />

«E ora bambine e bambini, signore e signori, il numero che tutti aspettavano con ansia: la nostra<br />

specialità: l’unico essere <strong>di</strong> cotal fatta: secoli e secoli <strong>di</strong> evoluzione umana per arrivare a l’unico, il<br />

solo, il fenomenale: Uomo <strong>Angelo</strong>»<br />

I<br />

II<br />

39


A queste parole Alain trasalì, e il suo sorriso si trasformò in un agghiacciante stupore a bocca<br />

aperta.<br />

Un carro dorato fece il suo ingresso portato da due cavalli bianchi su cui erano state apposte ali,<br />

due per ciascuno, mentre tutte le luci <strong>di</strong> scena non permettevano la vista dell’uomo. Ballerine<br />

accompagnavano il carro ai lati, e spargevano petali dei fiori più <strong>di</strong>versi sul cammino e sui lati del<br />

percorso. Una musica trionfale accompagnava il tutto, con trombe alla pomp and circumstance.<br />

Finalmente si vide la sagoma dell’uomo che in pie<strong>di</strong> sulla biga era rivestito <strong>di</strong> un mantello rosso e <strong>di</strong><br />

nient’altro dalla cintola in su, mentre sotto portava dei tipici pantaloni da acrobati, attillati e con<br />

colori accesi. Alain vide il volto: era Viktor De Michelis, fermo, statuario, serio, ma con un’aria<br />

sorniona, <strong>di</strong> un uomo non trascinato lì per forza <strong>di</strong> cose, non posto al lu<strong>di</strong>brio pubblico, ma<br />

consapevole <strong>di</strong> essere qualcosa <strong>di</strong> meraviglioso. Si fermò la biga al centro dell’arena, mentre il<br />

volume della musica sfumava verso il silenzio. Viktor scese accompagnato dalle fanciulle che gli<br />

reggevano le mani, come si sarebbe fatto a un nobile o a una donna d’alto rango. Lo<br />

accompagnarono così fin davanti il carro, mentre anche i cavalli sembravano mantenere una calma<br />

<strong>di</strong> cerimonioso rispetto. Rimase lì solo, in silenzio per una trentina <strong>di</strong> secon<strong>di</strong>; poi si girò <strong>di</strong> spalle<br />

verso il pubblico con un movimento che non possedeva alcun che <strong>di</strong> goffo. Quasi fosse un solo<br />

gesto, slacciò il mantello e spiegò le sue ali, che ora, dopo cinque anni in cui Alain non aveva<br />

sentito più notizie, avevano raggiunto un’apertura <strong>di</strong> quasi otto metri. Il movimento era stato<br />

sicuramente stu<strong>di</strong>ato, perché mentre il mantello cercava <strong>di</strong> raggiungere il suolo per la forza <strong>di</strong><br />

gravità che lo attraeva come un suo sud<strong>di</strong>to, l’ala <strong>di</strong> sinistra lo scaraventò lontano, così da poter<br />

lasciare solo lo spazio vuoto tra l’<strong>Angelo</strong> e il pubblico, il cui stupore si tramutò in un “o” titanico.<br />

La moglie <strong>di</strong> Alain anche rimase sbalor<strong>di</strong>ta, e guardò suo marito che invece non aveva più il<br />

minimo <strong>di</strong> stupore, ma abbozzò un falso sorriso alla moglie, e un movimento della testa da struzzo<br />

che voleva significare “e sì, è incre<strong>di</strong>bile”. Lei non sapeva nulla <strong>di</strong> quella storia: sapeva sì<br />

dell’esperimento che aveva tenuto impegnato Alain per più <strong>di</strong> vent’anni; ma lui aveva preferito<br />

nascondere quel particolare risultato, forse per non sembrarle pazzo, forse perché non avrebbe<br />

capito, forse perché, come aveva capito l’<strong>Angelo</strong> lì al centro dell’arena: che <strong>di</strong>fferenza faceva?<br />

Ricominciò la musica per enfatizzare il pro<strong>di</strong>gio. Poi si riavvicinò il presentatore.<br />

«Ammirate, signori, queste ali: nessun trucco, nessun marchingegno infernale. Il padre <strong>di</strong><br />

quest’uomo si incontrò con una dea dell’isola <strong>di</strong> Creta, e da quel grande e imperituro amore nacque<br />

quest’uomo: l’Uomo <strong>Angelo</strong>. Notate signori l’attaccatura delle ali: vera, come le braccia, come le<br />

gambe. Ecco l’evoluzione della nostra specie»<br />

Mentre il presentatore continuava l’elogio, entrarono due clown il cui solito abbigliamento era<br />

frammisto a quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>avoli. Essi avevano in mano dei forconi che sparavano palline rosse. Il<br />

presentatore si allontanò: Viktor ripiegò le ali, si girò e cominciò una sorta <strong>di</strong> baseball con le ali. I<br />

clown <strong>di</strong>avoli si avvicinavano sempre <strong>di</strong> più, ma quando si avvicinavano Viktor li fermava con la<br />

sola imposizione delle mani. Un capolavoro <strong>di</strong> sketch per i bambini e per i genitori. Solo un uomo<br />

non rideva nel pubblico: Alain avrebbe voluto piangere, ma l’imbarazzo della spiegazione bloccava<br />

i suoi occhi.<br />

«Ma che hai?»<br />

Non riusciva comunque a nascondere la tristezza a sua moglie, che cominciò a insospettirsi.<br />

«Niente, non ti preoccupare. È che conosco quell’uomo, e non pensavo <strong>di</strong> vederlo qui»<br />

«Conosci l’<strong>Angelo</strong>?»<br />

«Sì, conosco un angelo»<br />

E questo lo fece finalmente sorridere.<br />

Alla fine dello spettacolo <strong>di</strong>sse a sua moglie che voleva andare a salutare il suo vecchio amico.<br />

Si recò vicino alle transenne che <strong>di</strong>videvano gli artisti dal parcheggio e apostrofò un uomo della<br />

sicurezza:<br />

«Salve. Io sono un amico <strong>di</strong> Viktor. Vorrei andare a….»<br />

«Chi?»<br />

«Ehm, l’Uomo <strong>Angelo</strong>»<br />

40


«Aaah, <strong>Angelo</strong>, certo. Non so se ha voglia <strong>di</strong> vedere qualcuno. Comunque è qui vicino. Chi<br />

devo <strong>di</strong>rli che ?»<br />

«Gli <strong>di</strong>ca che sono suo padre»<br />

«Sapevo che eri tu»<br />

Viktor De Michelis era seduto su uno se<strong>di</strong>a nella sua roulotte, quasi al buio, fumando una<br />

sigaretta e accarezzando qualcosa che non si <strong>di</strong>stingueva nell’ombra.<br />

«Ci ve<strong>di</strong>amo dopo, cara»<br />

«Questo è tuo padre?»<br />

«Sì, <strong>di</strong>rei <strong>di</strong> sì»<br />

Una donna sdraiata sulle sue ginocchia si alzò e lascò la roulotte, prendendo alcuni vestiti da<br />

acrobata sul tavolo<br />

«Se ti ho <strong>di</strong>sturbato…»<br />

«Ma come puoi pensare una cosa del genere, Alain? Sono anni che non ci ve<strong>di</strong>amo»<br />

Alain cercò goffamente una se<strong>di</strong>a.<br />

«Ti è piaciuto lo spettacolo?»<br />

«Sì, è molto <strong>di</strong>vertente»<br />

«Ah. Non è vero, ti ha rattristato»<br />

Il silenzio <strong>di</strong> Alain.<br />

«Perché ti ha rattristato? L’hai visto come un tuo fallimento?»<br />

«No, non è questo»<br />

«E cos’è allora?»<br />

«E che tu…per giuda, Viktor: le tue ali sono veramente vere. Perché ti fai prendere in giro<br />

così?»<br />

«Siamo sicuri che siano vere?»<br />

«Cosa vorresti <strong>di</strong>re? Pensi che ti abbiamo usato come un esperimento <strong>di</strong> laboratorio? Come una<br />

cavia? Pensi questo?»<br />

«Be’, no; almeno non per quanto riguarda le ali»<br />

Spense la sigaretta nel posacenere e accese una candela.<br />

«Chi è secondo te il più grande cantante mai esistito?»<br />

Alain cercava appigli per spostare il <strong>di</strong>scorso su un semplice saluto da vecchi amici che non si<br />

vedevano da anni, e quello che aspettano è solo che finisca quel momento che è una pausa troppo<br />

forte dalla routine confortante, e sprecano quel momento con frasi convenevoli, <strong>di</strong>scorsi vani, o<br />

resoconti della vita; ma trovò solo una se<strong>di</strong>a.<br />

«Chi pensi che sia?»<br />

«Scusa, non ho…»<br />

«Ti chiedo: chi pensi che sia il più grande cantante <strong>di</strong> tutti i tempi?»<br />

«Mah, non lo so, Caruso forse»<br />

«Be’, non è solo la tecnica o l’estensione, è anche qualcosa che si ha nel profondo<br />

dell’interpretazione a fare grande un cantante»<br />

«Sì, d’accordo»<br />

«Questa pre<strong>di</strong>sposizione interna è sicuramente in quei gran<strong>di</strong> nomi che tutti conosciamo. Ma è<br />

presente anche in <strong>altri</strong> personaggi della storia che sarebbero potuti essere gran<strong>di</strong> cantanti. Ma forse<br />

non avevano la voce»<br />

«Questo non importa, vuol <strong>di</strong>re che non sono dei cantanti, perché non cantano»<br />

III<br />

41


«Esattamente, amico mio. L’essenza delle ali è volare, e io non volo. Queste ali sono finte, o è<br />

come se non esistessero, se preferisci. Servono molto <strong>di</strong> più qui che in cielo. Sono delle<br />

protuberanze, e neanche si dovrebbe usare la parola ali»<br />

«Ma cosa stai <strong>di</strong>cendo, Viktor? Tu sei il primo passo <strong>di</strong> un’evoluzione futura; un’evoluzione<br />

che, si è capito, non dev’essere più ricercata solo sul piano fisico, ma sul piano mentale anche per<br />

ottenere risultati fisici»<br />

Neanche Alain era più convinto <strong>di</strong> questi pensieri, e soprattutto non vedeva più la storia come<br />

una continua linea che per forza <strong>di</strong> cose doveva evolvere tutti gli aspetti dei suoi punti. Solo che<br />

pensava <strong>di</strong> dover recitare quella parte, perché in cuor suo sentiva l’infelicità della sua creatura.<br />

«”si è capito”? chi lo ha capito? Il mondo non vuole capire proprio niente, vuole rimanere con le<br />

sue droghe. Non hanno voglia <strong>di</strong> svegliarsi, e saremmo solo degli arroganti se volessimo imporre<br />

loro queste fantomatiche sveglie»<br />

«Quin<strong>di</strong> ho sbagliato tutto?»<br />

«No, Alain, non hai sbagliato, hai creato qualcosa <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nario ed è tutto merito tuo. Solo che<br />

non puoi pretendere che gli <strong>altri</strong> adesso debbano ammirare la tua opera. Qui molti sanno che sono<br />

vere; il presentatore è uno <strong>di</strong> quelli che si rifiuta <strong>di</strong> crederci, anche se riesce ad essere convincente<br />

quando lo <strong>di</strong>ce al pubblico ogni sera. È da qui che partirà l’evoluzione, è qui che l’uomo è ancora<br />

tale. Io ho cercato <strong>di</strong> mischiarmi ad un mondo che non vuole imparare»<br />

«Capisco»<br />

«Oh, ma basta, stiamo parlando come se non ci avessi provato. Ho perso solo tempo, e ne sto<br />

perdendo ora a parlarne. Tu cosa fai piuttosto?»<br />

«Insegno. Ho una moglie fantastica e un bambino che ne è lo specchio»<br />

«Questa è la vera vita, Alain, lo sappiamo tutt’e due. Non ci è permesso sognare <strong>di</strong> più. Per<br />

quanto mi riguarda me la godo molto <strong>di</strong> più <strong>di</strong> quanto possa immaginare uno che conosce la mia<br />

storia. Ogni tanto sento Stephen o Abdù, e se provano a parlare del fatto che sono sprecato gli<br />

riattacco il telefono in faccia. Tutti siamo sprecati per questo mondo. È come una grande macchia<br />

che si muove un po’ per caso, un po’ perché manovrata da potenti che non si curano del più piccolo<br />

sentimento umano. Ma quelli come me e come te che lo capiscono vivono meglio <strong>di</strong> loro. Non ti<br />

affliggere per me. Ora lavoro in un circo, e solo nel gioco c’è la verità»<br />

«Ma non c’è la luce in questa roulotte?»<br />

«E? Oh, sì, era solo per fare un po’ <strong>di</strong> scena»<br />

Rimasero a parlare per un minuto, poi Alain chiamò la sua famiglia che entrò e conobbe l’Uomo<br />

<strong>Angelo</strong>, e fu la splen<strong>di</strong>da conclusione <strong>di</strong> una giornata favolosa per Marcella e Michelangelo.<br />

Poi tornarono a casa sfiniti.<br />

Il silenzio del circo riempiva l’aria della strana ebbrezza che dà il riposo dopo una fatica<br />

immane. L’opera santa del lavoratore! In lei l’unica ristorazione dalle avversità umane, dalla<br />

barbarie della noia. In lei l’unica ristorazione dalle avversità umane, dalla barbarie della noia. In lei<br />

l’accentuazione dell’edonismo, che nessun piacere fu mai tale se non conquistato, con alcun fatica,<br />

no, ma con l’essenza <strong>di</strong> se stessi, per cui ognuno fu votato a una mansione. Ognuno è quel che è<br />

nato: guai a quell’uomo che creò la frustrazione, l’illusione che sia bello ciò che non si è. Egli creò<br />

un modello a cui si doveva uniformare la società. Il successo! in te la mistificazione del presente.<br />

Tu ti mischiasti alla gloria perché non si vedesse il male che è in te. Ma molti lo capirono e si<br />

guardarono da te, e già molti insieme a me, oggi se ne guardano. Non corromperai tu il mio ego,<br />

mai sarò tuo schiavo.<br />

IV<br />

42


Lode a te, forgiatore che sei della poesia il mentore universale e la mia guida che illumina la<br />

mia strada come colui che <strong>di</strong> notte se ne va portando il lume su un grosso palo poggiato sulla sua<br />

spalla, e che illumina la strada <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé, mentre per proprio coraggio, per sé non cura il male, e<br />

guarda in faccia al buio dominando se stesso incontro all’oscurità. A te, maestro veneto che per<br />

primo mi mostrasti il mio presente al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> <strong>altri</strong> che me lo volevano in<strong>di</strong>care col <strong>di</strong>to <strong>di</strong>cendo<br />

“così è”. Non è così, è come capiremo che è così. Tu illuminami queste parole, <strong>di</strong>o della beltà,<br />

mentore delle nuove maniere <strong>di</strong> un galateo in bosco. Amo l’oltranza e o<strong>di</strong>o l’oltraggio. Fermo, nel<br />

mondo, che Pieve <strong>di</strong> Soligo si chiama, tu ti tenesti ben lontano dal treno del mondano e solo tu<br />

rimarrai, Andrea, <strong>di</strong> questo simulacro che si sgretola ai nostri posteri, <strong>di</strong>struggendo coloro che oggi<br />

credono <strong>di</strong> essere furbi. Tu solo, Zanzotto, mi chiamasti per nome e per cognome pur non<br />

conoscendomi.<br />

Viktor uscì dalla roulotte. Un fresco <strong>di</strong> luce stellare lo avvolgeva. Scese il primo scalino,<br />

dubbioso, con nessun piede, perché le ali si aprirono con la loro possenza silenziosa, e si librò<br />

nell’aria con uno sbattere uniforme, secco, flettendo bene i suoi nuovi arti, con comprensione<br />

istintiva <strong>di</strong> ogni movimento, come quando si decide, pur senza la coscienza della decisione, <strong>di</strong><br />

camminare ponendo un piede davanti all’altro, come quando in acqua per non farci trascinare<br />

dall’ozio del galleggio spingiamo una bracciata dopo l’altra per nuotare. Lui manteneva una faccia<br />

<strong>di</strong>stratta da quel movimento, proprio come il passante guarda i palazzi <strong>di</strong> un’architettura estranea<br />

alla sua visività, affascinato dai nuovi luoghi meravigliosi e non curandosi delle sue gambe, come è<br />

giusto non curarsene se si ha ben altro da pensare.<br />

Volò sopra il tendone, e attraversò le strade della città, guardando quel mondo dall’alto, fatto <strong>di</strong><br />

milioni <strong>di</strong> fantastiche vite, che possedevano mon<strong>di</strong> infiniti al loro interno, come infinito era il<br />

mondo che aveva Viktor De Michelis dentro <strong>di</strong> sé. Le sue ali non aggiungevano nulla <strong>di</strong> superiore al<br />

suo essere; solo che poteva volare e quin<strong>di</strong> osservare quegli infiniti mon<strong>di</strong> da un altro punto <strong>di</strong> vista,<br />

e mostrare a quegli uomini come fantastico sia il proprio mondo.<br />

Volò sulla casa che un tempo aveva, e la vide così piccola da quella altezza, con un tetto che si<br />

confondeva con milioni <strong>di</strong> <strong>altri</strong> tetti, come tanti puntini rossi che costituivano un tappeto unico<br />

dall’alto, senza più la possibilità <strong>di</strong> riconoscere un punto dall’alto. E volò sulla casa <strong>di</strong> Abdù<br />

Mamalà, e su quella <strong>di</strong> Stephene Okalinih, e su quella <strong>di</strong> Alain Vaneschi, anche <strong>di</strong> se quest’ultimo<br />

non conosceva la nuova casa, ma sicuramente ci volò sopra, perché quando si nuota non esiste più<br />

un punto del mare in cui non abbiamo nuotato, e l’acqua che ci ha avvolto potrebbe avvolgere ora<br />

un uomo dall’altra parte del globo senza che noi conosceremo mai né l’uomo, né il luogo, né il<br />

tempo. E volò su quelli che lo avevano bistrattato, non compreso, emarginato, o<strong>di</strong>ato, calunniato; su<br />

chi aveva paura delle sue ali perché aveva paura <strong>di</strong> scoprire un giorno le proprie.<br />

Poi tornò al circo, atterrò sullo scalino da cui era librato. Richiuse le ali. Si toccò le spalle e<br />

scoprì <strong>di</strong> non averle più. Non se ne meravigliò, ma aprì la porta <strong>di</strong> casa, per la prima volta in vita<br />

sua, per entrare.<br />

43


OB SESSO<br />

Ci sono dei pantaloni che lavo solamente.<br />

Li caccio dall’arma<strong>di</strong>o, pensando che tocchi proprio a loro oggi; poi li osservo e so che dentro<br />

me c’è qualcosa che li respinge d’istinto. Li guardo e li riguardo e ho come l’impressione che<br />

abbiano una macchia, <strong>di</strong>etro, poco visibile, quasi un alone, ma comunque una macchia. E allora li<br />

getto nella cesta dei panni sporchi; poi li lavo; li asciugo; li appendo nell’arma<strong>di</strong>o; e poco più <strong>di</strong> una<br />

settimana dopo è la stessa storia. Quel giorno mi accorsi del circolo vizioso che mi autoinfliggevo<br />

come un ingannatore che per essere più convincente convince prima <strong>di</strong> tutto se stesso. E, caparbio,<br />

mi decisi ad indossarli e ad uscire <strong>di</strong> casa con quelli. Arrivato all’università, ogni amico che mi<br />

incontrava, dopo essersi complimentato per i bei pantaloni nuovi, notava una piccola macchia<br />

<strong>di</strong>etro, tra la coscia e il ginocchio. Fu un continuo <strong>di</strong>re da parte mia «non sono nuovi» e «lo so».<br />

Godevo <strong>di</strong> una <strong>di</strong>screta reputazione all’università <strong>di</strong> Macerata. La Facoltà <strong>di</strong> Lettere era piena <strong>di</strong><br />

ragazze che mi sorridevano e io, <strong>di</strong>screto, rispondevo. Non nascondo alcuni sorrisi più accesi che<br />

scambiavo con quelle che mi interessavano un po’ <strong>di</strong> più; ma la mia <strong>di</strong>sponibilità non andava oltre<br />

qualche chiacchiera, visto che oramai avevo una ragazza, giù, nel mio paese, una ragazza con cui<br />

stavo bene e che non mi sarei fatto scappare per nulla al mondo. Questo mio atteggiamento mi<br />

rendeva anche molto simpatico agli occhi dei pochi studenti che frequentavano la Facoltà: vedevano<br />

in me l’unico amico, con la “o” finale, che non fosse anche un rivale. E questo è molto importante<br />

per dei ragazzi che si sentono come dei pescatori eccezionalmente autorizzati durante un fermo<br />

biologico. Certo che a volte, soprattutto in quell’ambiente, è dura rimanere fedeli alla propria<br />

ragazza, <strong>di</strong> cui ti fi<strong>di</strong> ciecamente e che per questo vuoi almeno rispettare fisicamente. Ma la mente è<br />

un’altra faccenda…non si può incatenare totalmente la fantasia <strong>di</strong> un uomo, non si può frenare quel<br />

flusso <strong>di</strong> pensieri innescato ogni volta che una sagoma sensuale, con quella fragranza mozzafiato,<br />

stimola le narici. È una questione d’olfatto. Non si può far niente per quietare quel film a colori<br />

proiettato nei neuroni: neanche abbassare il volume. Ed è un bombardamento continuo a volte: tutti<br />

quei pensieri poi si accumulano nel cervello e non vanno via fin quando non rive<strong>di</strong> la tua donna, che<br />

con un semplice gesto, come un bacio o una carezza, può cancellarli. A volte però, rimani così tanto<br />

da solo che la cantina si affolla e se non fai qualcosa per liberare un po’ <strong>di</strong> spazio rischi d’impazzire<br />

o <strong>di</strong> prendere la prima ragazza che ci sta (nel senso allargato <strong>di</strong> “ci sta”) e tra<strong>di</strong>re. Per fortuna agli<br />

uomini, e mi contrad<strong>di</strong>ca chi non è d’accordo, è data una terza possibilità, una scappatoia sul retro,<br />

una fuga solitaria: l’autoerotismo.<br />

Chi fa l’università oggi sa cosa vuol <strong>di</strong>re sostenere una sessione d’esami: non è più come una<br />

volta quando facevi due o un esame bello spesso, preparato in mesi e mesi <strong>di</strong> sudore. Oggi in Italia<br />

probabilmente siamo ere<strong>di</strong> del frammento e ti spezzettano gli esami in due, in tre, o anche in<br />

quattro, così che ne hai a volte anche cinque in una sessione lunga neanche due mesi. Quel giorno<br />

con i pantaloni macchiati venivo da tre settimane dense <strong>di</strong> esami che mi avevano trattenuto a<br />

Macerata per quasi un mese; e come se non bastasse erano iniziate le lezioni e non vedevo da così<br />

tanto la mia ragazza che quasi ne avevo scordato il profumo. Tartassato tutto il giorno <strong>di</strong> sorrisi<br />

maliziosi e saluti <strong>di</strong> donne provocanti, prima <strong>di</strong> tornare a casa avevo già deciso <strong>di</strong> masturbarmi: non<br />

ne potevo più, e piuttosto che tra<strong>di</strong>re lei, avrei fatto da solo.<br />

Tornai a casa alle otto. Vivevo in un piccolo appartamento con due stanze. Da un paio <strong>di</strong><br />

settimane il mio coinquilino <strong>di</strong> sempre, Antonio, era andato via. Aveva preso il suo posto Alex.<br />

Quella sera mi accolse con il suo solito fare da compagnone che vuole sempre scherzare. Alex era<br />

un tipo un po’ strano: cercava sempre la battuta pronta, <strong>di</strong>co cercava e non aveva perché non sempre<br />

la trovava; rideva sempre, qualsiasi corbelleria io <strong>di</strong>cessi; non c’era stata una volta in queste due<br />

settimane che non aveva avuto qualcosa da <strong>di</strong>rmi appena mi incontrava; incalzava con le domande;<br />

mi chiedeva delle mie donne e io gli rispondevo che mi ero ormai calmato perché pensavo <strong>di</strong> aver<br />

incontrato quella giusta; e mi chiedeva <strong>di</strong> presentargli le mie amiche, e io lo invitavo a passare<br />

all’università; era un continuo incalzare irruente <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi, che a volte, forse, ho dovuto anche<br />

troncare maleducatamente o quasi, perché si faceva tar<strong>di</strong> o dovevo uscire; era un turbine tutto<br />

44


sommato simpatico. Non era uno studente. Aveva qualche anno più <strong>di</strong> me e faceva il saldatore,<br />

l’elettricista o una cosa del genere. È impossibile descrivere come continuamente si interessasse alle<br />

frivolezze della vita mia, alla mia passione per la musica o al mio passato <strong>di</strong> donne. Irrompeva <strong>di</strong><br />

tanto in tanto nella mia stanza iniziando un <strong>di</strong>scorso, e non riuscivo a fermarlo se non gli raccontavo<br />

le mie esperienze e le mie impressioni. Alex si svegliava molto prima <strong>di</strong> me, almeno due ore prima<br />

ogni mattina, ma nonostante ciò spesso rimaneva a guardare la televisione fino a tar<strong>di</strong>, e mi rapiva<br />

con una clamorosa chiamata ai miei libri se secondo lui passava in televisione qualcosa che mi<br />

interessava. Quella sera, per fortuna, era troppo stanco, e alle un<strong>di</strong>ci andò a dormire <strong>di</strong>cendomi «hai<br />

i pantaloni macchiati. Buonanotte».<br />

Finalmente solo andai nella mia stanza e mi misi sul letto a leggiucchiare il mio Auerbach.<br />

Dopo un quarto d’ora <strong>di</strong> assoluto silenzio nella casa, certo che Alex stesse dormendo, posai il critico<br />

sul como<strong>di</strong>no, spensi la luce e cominciai a toccarmi. Non è certo nelle mie intenzioni raccontarvi i<br />

particolari <strong>di</strong> questa operazione. Ma mi è d’obbligo segnalarvi il totale rapimento che si confà<br />

all’azione suddetta, che sebbene molto meno coinvolgente (ma neanche lontanamente paragonabile)<br />

dell’atto sessuale, comunque getta in una <strong>di</strong>mensione lontana in cui la percezione del mondo<br />

esterno è totalmente annullata. Che <strong>di</strong>re poi del momento culminante, chiamiamolo così, reso ancor<br />

più culminante dall’astinenza. Finito il mio personalissimo sfogo, accesi la luce, mi alzai dal letto e<br />

presi dei fazzoletti per pulirmi. Fu in quel momento che, avendo notato la luce accesa, irruppe nella<br />

stanza Alex, <strong>di</strong>cendo ancor prima <strong>di</strong> vedermi: «Aldo, ma domani tu…» e troncò le parole, forse per<br />

la prima volta in vita sua, vedendo me in quello stato e con un fazzoletto in mano. Ma lo sgomento<br />

sul suo volto durò meno <strong>di</strong> un attimo, e cominciò a parlare <strong>di</strong> quello che avevo evidentemente fatto<br />

come se si trattasse <strong>di</strong> una specie <strong>di</strong> hobby in comune su cui scambiare le proprie opinioni:<br />

«Aldo…pure tu ci dai <strong>di</strong> mano, vero? Guarda anch’io ogni tanto me ne sparo certe!»<br />

«Eee?, scusa, Alex, non ho capito»<br />

«No, ma non ti preoccupare, pulisciti, pulisciti. Io ti stavo chiedendo un’altra cosa ma non era<br />

importante. Ma <strong>di</strong>mmi un po’: quante te ne fai tu al giorno?»<br />

«Come?»<br />

«Dico: ci dai dentro o è una cosetta così, giusto ogni tanto?»<br />

«Alex, scusa, ma sai…vorrei, ecco, <strong>di</strong>ciamo, pulirmi.»<br />

«Oh! Scusami, ma visto che abbiamo questa cosa in comune, volevo sapere che ne pensi, se hai<br />

qualche film adatto»<br />

«Non mi pare il momento. E comunque io ho la ragazza, quin<strong>di</strong> non è un’abitu…»<br />

«Ti sta colando un po’»<br />

«Alex! Ti prego, è o<strong>di</strong>oso quello che stai <strong>di</strong>cendo!»<br />

Passai quin<strong>di</strong> da un iniziale stato <strong>di</strong> confusione a uno stato nervoso <strong>di</strong> ira controllata e<br />

soprattutto espressa tramite un italiano più formale che rendesse la <strong>di</strong>stanza tra gli interlocutori.<br />

«Scusa scusa. Ti lascio da solo.»<br />

Fu l’inizio <strong>di</strong> un incubo che, in una certa maniera, dura tuttora.<br />

Avevo dormito poco per quello che era successo, ma comunque qualche ora l’avevo fatta ed ero<br />

pronto per affrontare una nuova giornata <strong>di</strong>mentico <strong>di</strong> quell’incidente. Alex si era già svegliato,<br />

naturalmente, ed era già andato a lavorare. Quello che aveva intenzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>rmi e che aveva<br />

scordato per ovvi motivi, l’avrei scoperto da solo qualche ora dopo il risveglio: doveva fare un<br />

lavoro all’università il giorno dopo e mi voleva chiedere se durante la pausa pranzo gli presentassi<br />

qualcuna. Stavo così andando all’università ignaro <strong>di</strong> incontrarlo, e non sarebbero serviti a niente i<br />

miei pantaloni lin<strong>di</strong> e puliti <strong>di</strong> quel giorno.<br />

Passeggiavo per il campus con i miei pochi amici maschi; girovagavamo durante l’ora buca tra<br />

due lezioni; guardavamo ragazze, salutavamo ragazze, chiacchieravamo con ragazze. Durante una<br />

delle nostre soste, durante quella con le tre più carine dalla Facoltà <strong>di</strong> Storia, guardai verso due<br />

operai in tuta grigia che lavoravano contro una centralina elettrica: uno era sotto che guardava,<br />

mentre l’altro su una scala era <strong>di</strong> spalle. Fissandolo per alcuni secon<strong>di</strong> ebbi l’impressione <strong>di</strong><br />

45


conoscerlo. Quando si girò per chiedere un attrezzo al suo compagno, riconobbi Alex, che subito<br />

dopo aver fatto la sua richiesta si girò verso <strong>di</strong> me scorgendomi. Io stavo realizzando il fatto che<br />

fosse lì e non riuscivo a fare nient’altro. Dopo cinque lunghissimi secon<strong>di</strong> stavo per sorridere in<br />

segno <strong>di</strong> saluto; ma lui nel frattempo aveva già allargato a centotrentasei denti la sua bocca,<br />

sgranato gli occhi, con una faccia da maniaco <strong>di</strong>vertito <strong>di</strong> aver incontrato un’attrice porno nel<br />

confessionale <strong>di</strong> una chiesa in periferia, alzò la sua mano non per salutarmi ma per fare un gesto <strong>di</strong><br />

masturbazione: la mano chiusa a pugno che andava su e giù, dal suo petto al suo bacino, e con quel<br />

sorriso e con quel gesto continuava a fissarmi, pensando <strong>di</strong> suscitare in me almeno un pizzico <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>vertimento. Si spense subito sulla mia bocca quel principio <strong>di</strong> sorriso; non lo salutai affatto e me<br />

ne andai senza <strong>di</strong>re una parola ai miei amici che continuavano a parlare con le ragazze, ignari e<br />

ignare <strong>di</strong> quell’incontro a <strong>di</strong>stanza che intanto era avvenuto tra me e il mio simpatico coinquilino.<br />

Chiuso in bagno riflettevo sulla stupi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Alex: ma come è possibile che reputi una cosa<br />

<strong>di</strong>vertente ciò che ho fatto ieri sera? Una cosa totalmente…non so neanche come definirla, esistono<br />

troppi tabù sulla masturbazione ed è un argomento che deve rimanere tabù. Non è come il sesso, <strong>di</strong><br />

cui puoi parlare e puoi anche vantarti; è un espe<strong>di</strong>ente che si usa quando si è soli e non c’è nulla <strong>di</strong><br />

cui vantarsi, anzi c’è molto da vergognarsi. O almeno così la società ti impone. In ogni caso, non<br />

era certo una cosa da spifferare ai quattro venti: non m’importava che Alex mi avesse visto; ma<br />

sarei morto se ne avesse parlato con qualcuno che conoscevo, con qualcuno che equivale a <strong>di</strong>re poi<br />

con tutti, perché non si sa come poi le notizie arrivano sempre a tutti, anche a persone <strong>di</strong> cui<br />

<strong>di</strong>fficilmente riesci a ricostruire il legame <strong>di</strong> conoscenza.<br />

Ero da tre minuti in bagno che pensavo a queste cose quando il mio cellulare squillò. Era uno<br />

dei miei amici universitari:<br />

«Ehi, ma dove sei finito?»<br />

«Niente, dovevo andare in bagno»<br />

«Ti scappava proprio: sei sparito senza <strong>di</strong>re niente.»<br />

«Sì, sai quando hai le fitte…»<br />

«Sì sì. Senti stiamo andando al bar a mangiare qualcosa, ci raggiungi là?»<br />

«Certo. Ma ci sono anche le Storiche?»<br />

«Alla grande.»<br />

«Allora arrivo in un…in una lampo.»<br />

Dimenticato tutto già: il pensiero <strong>di</strong> quella bella compagnia a pranzo che sazia gli occhi mentre<br />

ci si sta saziando la bocca, mi aveva fatto scordare Alex e il suo sorriso da maniaco. Già che ero lì,<br />

feci anche la pipì, e <strong>di</strong>ventai nella mia mente ancora più misterioso e desiderato al tavolo dove<br />

amici e Storiche mi aspettavano. Eseguivo quin<strong>di</strong> tutti i gesti con calma: lavavo le mani, asciugavo,<br />

mi riaggiustavo i vestiti, ecc… M’incamminai verso il bar senza puntare minimamente lo sguardo<br />

dove c’era prima Alex: non lo volevo proprio vedere. Avrei aspettato <strong>di</strong> incontrarlo a casa la sera e<br />

<strong>di</strong> spiegargli come la pensavo su questo argomento per lui tanto ilare.<br />

Arrivato al bar, allungai il collo alla ricerca dei miei amici, e fui avvisato da uno scroscio <strong>di</strong> risa;<br />

mi girai, li vi<strong>di</strong>: erano proprio loro che ridevano così tanto; ero felicissimo <strong>di</strong> ciò, la mia presenza<br />

non poteva far altro che aumentare le risa storiche delle Storiche. Mi videro e mi fecero cenno. Ma<br />

avvicinandomi mi accorsi che il riso era provocato da una persona sola che sedeva a quel tavolo e<br />

che stava tenendo banco: Alex inspiegabilmente si era unito ai miei amici. Non vedendomi aveva<br />

pensato bene <strong>di</strong> presentarsi da solo. E nella mia mente ormai solo un pensiero era <strong>di</strong>ttatore a vita,<br />

unico e incontrastato: “glie l’ha detto!”<br />

Le loro risate, un secondo fa tanto care, ora erano come una tortura insopportabile che mi<br />

infliggevano mentre raggiungevo lentamente il patibolo. Mi sentivo come Adamo dopo aver<br />

consumato la mela della vergogna, che usciva dall’oscurità per presentarsi davanti a Dio con le sue<br />

nu<strong>di</strong>tà, che nonostante coperte, erano ben visibili all’onnisciente <strong>di</strong>vinità.<br />

«Aldo, ce l’hai fatta a raggiungerci? Abbiamo conosciuto Alex, il tuo coinquilino<br />

simpaticissimo.»<br />

«Sì, vedo.»<br />

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«Hai la faccia un po’ pallida: ti senti bene?»<br />

«Aldo è un vulcano, non sta mai male.»<br />

Questa frase <strong>di</strong> Alex mi rese ora nervoso e incazzato: vedevo ormai solo allusioni in qualsiasi<br />

particolare della realtà e in qualsiasi frase.<br />

«Hai fame? Vuoi qualcosa?»<br />

Ti è bastata ieri sera o vuoi fartene un’altra adesso?<br />

«Sì è unita a noi anche Anita.»<br />

Ecco un’altra che ti può ispirare per la prossima sega.<br />

«Noi abbiamo preso il pesce.»<br />

Tu già l’hai preso…o meglio…afferrato ieri sera.<br />

«Allora, Alex, che ci stavi <strong>di</strong>cendo?»<br />

Finisci pure a raccontare, così gli ri<strong>di</strong>amo in faccia.<br />

«Ti sono andati bene gli esami, Aldo?»<br />

Hai avuto almeno un buon orgasmo?<br />

Durante tutto il pranzo io non riuscivo a tenere una conversazione perché pensavo solo ed<br />

esclusivamente a una cosa, e mi innervosivo credendo che tutti a quel tavolo facessero finta <strong>di</strong><br />

niente. E mi innervosivo quando due donne <strong>di</strong> quella tavolata parlottavano a bassa voce tra <strong>di</strong> loro e<br />

poi sghignazzavano <strong>di</strong>vertite. Ogni gesto, ogni allusione, ogni frase <strong>di</strong> Alex mi facevano tremare.<br />

Quando mi guardava con quei suoi occhi gran<strong>di</strong> mi si gelava il sangue temendo che un altro gesto<br />

stesse per partire dalla sua mano.<br />

«Caspita se è tar<strong>di</strong>. Devo tornare a lavorare. Grazie per la compagnia. Vi lascio i sol<strong>di</strong> per il<br />

pranzo.»<br />

«No, Alex, oggi sei nostro ospite.»<br />

«Ma non c’è bisogno.»<br />

«È la prima volta che vieni, noi uomini ti offriamo: è un nostro dovere.»<br />

La beffa: gli dovevo anche pagare il pranzo.<br />

«Aldo, ci ve<strong>di</strong>amo stasera.»<br />

Risposi con un cenno della testa. Capii che dovevo cogliere l’occasione della sua assenza<br />

anticipata per spiegare che Alex non è un persona del tutto normale, che gli piace inventare<br />

aneddoti che non hanno nessuna attinenza con la realtà, o…che è paranoico, schizofrenico,<br />

<strong>di</strong>ssociato, nevrotico e chi più ne ha ne metta. Stavo per affilare le armi della mia retorica ed<br />

iniziare la mia catilinaria contro <strong>di</strong> lui, quando una Storica <strong>di</strong>sse spiazzandomi:<br />

«Simpatico il tuo coinquilino: è un tipo alla mano!»<br />

Alla Mano! ALLA MANO! Non potevo sopportare questo affronto, non sarei riuscito a restare<br />

ancora seduto a quel tavolo <strong>di</strong> ipocriti. Mi sarei voluto alzare e tagliare con una falce le loro stupide<br />

zucche vuote che ridevano <strong>di</strong> un ragazzo che vuole solo essere fedele alla sua donna.<br />

«Io devo andare a stu<strong>di</strong>are.»<br />

«Come?»<br />

«Vado a stu<strong>di</strong>are in biblioteca.»<br />

«Aspetta, ma…e poi abbiamo lezione tra un po’.»<br />

«Non ho tempo per la lezione, devo finire il libro <strong>di</strong> Auerbach.»<br />

«Ma……»<br />

«Ci ve<strong>di</strong>amo dopo.»<br />

Entrai in biblioteca, aprii il mio libro, ma non riuscivo a leggere neanche una parola: per il<br />

sangue che avevo negli occhi erano <strong>di</strong>ventate piene <strong>di</strong> geroglifici quelle pagine. Perché no? anzi,<br />

sicuramente! Alex poteva già aver <strong>di</strong>ffuso la notizia per tutta la Facoltà, forse per tutta l’università,<br />

compresi professori e bibliotecarie. Tutti sapevano, era logico! Una notizia così <strong>di</strong>vertente era corsa<br />

sulla bocca <strong>di</strong> tutti, gran<strong>di</strong> e piccini, tutti! Gente che confabulava, sghignazzamenti <strong>di</strong> ragazze,<br />

simpaticoni che rincalzavano le dosi. Persino le bibliotecarie vedevo puntare il <strong>di</strong>to contro <strong>di</strong><br />

me…lo stavano facendo veramente, le vedevo <strong>di</strong> sottecchi: due bibliotecarie, al <strong>di</strong> là del vetro che<br />

separava le stanze silenziose da quella in cui si prendono in prestito i libri, mi in<strong>di</strong>cavano e<br />

47


sbattevano subito dopo la mano sui fianchi come a <strong>di</strong>re “guarda questo mostro, questo essere<br />

immondo, mi fa schifo!”. A una delle due la vi<strong>di</strong> fare il gesto <strong>di</strong> “ci penso io, ci vado io”, sbattendo<br />

il palmo della mano sul petto. Si staccò dall’altra ed entrò nella sala silenziosa <strong>di</strong>rigendosi verso <strong>di</strong><br />

me, decisamente verso <strong>di</strong> me. Non ne potevo più: ma guarda che razza <strong>di</strong> moralisti spaccapalle che<br />

c’erano in giro! Ma adesso un povero cristiano non poteva neanche farsi una sega? Perché non<br />

entrava in qualche monastero e non faceva la pre<strong>di</strong>ca a quelli! Perché non scopriva i giornaletti<br />

porno sotto il letto <strong>di</strong> suo figlio, invece <strong>di</strong> rompere l’anima a me. Lei si avvicinava sempre <strong>di</strong> più e<br />

io non ne potevo più; mi alzai e urlai: «E va bene! Mi sono masturbato! E allora? Che cosa volete<br />

da me? Vi vengo forse a controllare la notte dentro al letto prima che vi addormentate!? Tutti si<br />

masturbano, pure le donne. Io non lo facevo da anni…e che è? Non vedo la mia ragazza da un<br />

mese, sono un po’ in astinenza, se permettete. Non la volevo tra<strong>di</strong>re e mi sono fatto una sega, sì, lo<br />

ammetto e Alex mi ha visto e adesso che torno a casa lo ammazzo a quel figlio <strong>di</strong>…»<br />

Avessi avuto il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>re una cosa del genere mi sarei liberato da quell’incubo. La<br />

bibliotecaria mi si avvicinò e mi <strong>di</strong>sse:<br />

«Mi scusi, non si può entrare in biblioteca con la borsa.»<br />

Uscii da lì e non tornai mai più all’università, anzi, non ho messo mai più piede a Macerata e<br />

mai ci tornerò. Alcune cose mie, alcuni libri sono ancora a casa <strong>di</strong> Alex: quel pomeriggio presi<br />

quello che riuscii a prendere. Alex mi ha chiamato varie volte ma non ho mai risposto; così come<br />

non ho mai risposto a nessuno dei miei compagni universitari e a nessuna amica mia. Solo al<br />

padrone della casa che avevo in affitto ho risposto, ma quanto a motivazioni della mia scelta ho<br />

sempre fatto il vago, anche con la mia ragazza.<br />

Ho un buon lavoro e vivo giù nel mio paese con la mia ragazza. Sono felice perché da quel<br />

giorno non ho aperto più libri <strong>di</strong> Auerbarch o affini…e soprattutto perché ho bruciato quei<br />

pantaloni. Ma vivo continuamente con la paura <strong>di</strong> vedere sopra la tuta <strong>di</strong> un’elettricista, <strong>di</strong> un<br />

idraulico o <strong>di</strong> un saldatore magari sopra una scala mentre chiede un attrezzo, la faccia tonda <strong>di</strong> Alex<br />

che con il suo sorriso terrorizzante mi fa il gesto <strong>di</strong> aspettarlo per il pranzo.<br />

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IL POTATORE DI ROCCASCALEGNA<br />

- Dal venticinque al trenta.<br />

- Ne è sicuro?<br />

- Sono sicurissimo.<br />

Era invece lui ad essere sicuro che non era così.<br />

- Mi ricordo perché è il venticinque che sono arrivato.<br />

- Bene: quin<strong>di</strong> dal venticinque.<br />

Non si rendeva conto del fatto che quel giorno era domenica e probabilmente sì, era venuto per<br />

affittare un’auto, ma aveva trovato chiuso, come ogni domenica. A Garinati tremava un po’ il <strong>di</strong>to<br />

nel <strong>di</strong>gitare sulla tastierina del suo computer quel 5, mentre leggeva con la coda dell’occhio 6 sulla<br />

bolla. Ma d’altronde, se era il cliente ad assicuragli quel giorno in più, quei settanta euro <strong>di</strong> incasso<br />

facili, quel piccolo gruzzoletto danzante guadagnato solo col sudore freddo <strong>di</strong> un polpastrello<br />

misero e innocente, non poteva contrad<strong>di</strong>rlo.<br />

- Ecco qua la fattura.<br />

Stampato in maniera chiaramente leggibile, non poteva non vedere il suo piccolo furto che si<br />

agitava nella base panciuta <strong>di</strong> quel 5 mentre il 6 della bolla sembrava salutare da lontano l’onestà.<br />

Ma in fondo glie l’aveva anche chiesto, e nel caso il Signor Della Murgia si fosse accorto, subito<br />

Garinati avrebbe fatto finta <strong>di</strong> controllare la bolla per la prima volta, strabuzzando gli occhi e<br />

continuando a tenerla con la mano destra, avrebbe accompagnato il suo «non ci posso credere» con<br />

il palmo della mano sinistra verso l’alto, che oscillava vicino al foglio. Ma il Signor Della Murgia<br />

firmò con decisione, riprese la sua carta <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to e allungò la mano destra per salutarlo mentre con<br />

la sinistra metteva in tasca la carta derubata; a quel gesto Garinati si ritirò <strong>di</strong> scatto:<br />

- Volevo solo darle la mano.<br />

- Oh…ah…mi scusi. Arrivederci.<br />

- Arrivederci.<br />

Aveva pensato a uno schiaffo <strong>di</strong> rimprovero verso un adolescente che ci aveva provato ma non<br />

si accorgeva <strong>di</strong> vivere in un mondo con adulti più furbi <strong>di</strong> lui. Era solo un saluto; e ora quel suo<br />

scatto strano, gli aveva fatto pensare al piano <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa nel caso il frodato si fosse accorto: che fosse<br />

talmente intelligente da intuire che quella reazione era frutto <strong>di</strong> una persona conscia dell’inganno?<br />

Ma si rispose <strong>di</strong> no: in fondo si era un attimo <strong>di</strong>stratto e aveva interpretato quella mano protesa<br />

come un attacco a un’intimità che aveva come invalicabile confine il bancone fra sé e i clienti.<br />

Cercò <strong>di</strong> non pensarci più. Gettò uno sguardo all’orologio: le sei e venticinque. E sorrise<br />

accorgendosi che poi non era così tragico neanche il pensarci: in fondo per anni non aveva mai fatto<br />

qualcosa del genere; sì, è vero che affittare macchine non permetteva tante fro<strong>di</strong>, o sconti<br />

fraudolenti ed offerte fasulle; non poteva scontare l’affitto <strong>di</strong> un furgone pensando che poi la gente<br />

avrebbe preso anche una macchina, come in un supermercato che sconta il sugo e alza il prezzo<br />

della pasta. Occasione o no , era sempre stato un uomo onesto, moralista, con un senso cristiano per<br />

l’umanità. Anche troppo rigido, si <strong>di</strong>ceva adesso «e che <strong>di</strong>amine! troppo preciso!». E dalla voglia<br />

d’oblio passò ad assaporare quella dolce adrenalina che gli ispirava la piccola magagna «e sì, ho<br />

fregato qualcuno», e fu ad<strong>di</strong>rittura fiero. Ma poi subentrò un filantropico senso <strong>di</strong> colpa per quella<br />

fierezza. Mentre oscillava come marzo tra pentimento e orgoglio, entrò un cliente e non ci penso<br />

più.<br />

Gli tornò alla mente più tar<strong>di</strong>, mentre guidava verso casa e qualcuno non gli <strong>di</strong>ede la precedenza<br />

a un incrocio: mentre sbraitava per il sopruso strombazzando il clacson pensò al proprio sopruso<br />

senza decidersi sull’atteggiamento da assumere. A casa, poi, la moglie, i figli, la televisione gli<br />

occuparono la mente con le piccole gioie e tristezze, e si rasserenò mentre si addormentava <strong>di</strong> fronte<br />

a un programma <strong>di</strong> politica riuscendo a considerare l’accaduto come ormai passato irrecuperabile,<br />

come uno storico che tratta una guerra del passato senza sapere se considerarla giusta o sbagliata, ed<br />

infine si accorge <strong>di</strong> non doverla giu<strong>di</strong>care.<br />

49


Verso tutt’altro si muoveva la sua mente il mattino dopo, mentre si <strong>di</strong>stricava nel traffico per<br />

raggiungere il suo “rent a car”. E stranamente amava più del solito il suo lavoro in quel mattino<br />

soleggiato. Ma proprio il sole non poteva evitare <strong>di</strong> evidenziare quel che si leggeva in maniera<br />

chiara e inequivoca <strong>di</strong> fianco alla serranda del suo ufficio, sul muro forato per le restituzioni<br />

notturne delle chiavi, all’altezza <strong>di</strong> circa due metri, con lettere nere alte quasi mezzo metro, in bilico<br />

su un rigo immaginario: LADRO. Qualcuno…e Garinati sapeva chi…aveva imbrattato il muro<br />

esterno del suo amato ufficio con una parola, chiara, semplice, esplicita e <strong>di</strong>retta chiaramente a lui,<br />

perché l’e<strong>di</strong>ficio aveva solo una signora anziana che abitava al primo piano e che ora guardava<br />

esterrefatta la scritta insieme a due amiche, che squittivano sul senso <strong>di</strong> quella parola, come se non<br />

fosse possibile l’esistenza <strong>di</strong> quel vocabolo fuori da un contesto.<br />

Garinati alzò le spalle guardando la scritta, e rassicurò le vecchiette; poi si <strong>di</strong>resse verso il bar <strong>di</strong><br />

fronte e chiese al barista <strong>di</strong> mandargli un pittore. Arrivò in mattinata e <strong>di</strong>ede una sommaria passata<br />

che nascondeva sì la scritta, ma lasciava intuire l’imbrattaggio. La giornata passò tranquillamente a<br />

parte quell’inconveniente, anche se i primi clienti del mattino, leggendo, esitarono un attimo sulla<br />

soglia dell’ingresso, non si sa se perché interdetti o se istantaneamente convinti da quella cattiva<br />

pubblicità. Che poteva fare Garinati? Era fuori <strong>di</strong>scussione l’ipotesi <strong>di</strong> chiamare il Signor Della<br />

Murgia e rimproverarlo o, che so, minacciarlo con una querela. E che querela se poi quell’offesa<br />

aveva un fondo <strong>di</strong> verità? Tra l’altro c’era anche l’ipotesi che non fosse stato lui o qualcuno per lui.<br />

Tra le tante si poteva pensare a una scritta non finita per mille ragioni, magari una frase politica<br />

interrotta dal passaggio <strong>di</strong> una pattuglia <strong>di</strong> polizia che poi non aveva notato né l’uomo né la scritta<br />

novella. E quin<strong>di</strong> si correva anche il rischio <strong>di</strong> far notare al Signor Della Murgia, ancora ignorante,<br />

il piccolo furto. No, era meglio non fare niente; trascorrere la giornata come se nulla fosse successo.<br />

E sorrise Garinati pensando alla finezza del Signor Della Murgia che non desiderava in<strong>di</strong>etro i sol<strong>di</strong>,<br />

ma preferiva l’onore. Ma veramente non li voleva in<strong>di</strong>etro? Doveva chiamarlo amichevolmente per<br />

accomodare le cose? E poi: se non era lui e non era neanche una scritta infinita, chi ce la poteva<br />

avere con lui tanto da definirlo “ladro”? Cliente dopo cliente aumentavano le ipotesi e trascorreva la<br />

giornata; neanche l’odore della vernice si sentiva più e Garinati poteva tornare a casa frastornato da<br />

tanto pensare. Un sabato ingombro se ne era andato, e il riposo della domenica avrebbe aiutato a<br />

lavare la mente.<br />

Ma il giorno dopo, mentre si <strong>di</strong>rigeva rilassato con la famiglia verso il paese dei suoceri,<br />

arrivò la telefonata del barista:<br />

- Mi sa che qualcuno ce l’ha con te.<br />

- Come?<br />

- C’è un’altra volta la scritta <strong>di</strong> ieri. Faccio venire il pittore?<br />

Non ci credeva: fece inversione spaventando i bambini e non poco anche sua moglie che non<br />

sapevano ancora nulla. Gli toccò raccontare per non continuare a spaventarli, ma cominciò da metà<br />

storia, senza nominare il furto e quin<strong>di</strong> il probabile autore.<br />

Arrivò che il barista cercava <strong>di</strong> convincere il pittore a coprirla:<br />

- No, lo so già: dopo pensa la gente che lo faccio io. Io me ne vado.<br />

- Ma no, ma può pensare Garinati una cosa del genere?<br />

- No, io me ne vado.<br />

E toccò a Garinati il mattino dopo all’alba andare a comprare la vernice e aggiustare alla meglio<br />

la scritta che sembrava uguale alla prima, ma a ben guardare era solo simile, quasi che nell’autore ci<br />

fosse il tentativo <strong>di</strong> stampo, che conservava però i suoi <strong>di</strong>fetti millimetrici. Era ora sempre più<br />

convinto della colpevolezza del Signor Della Murgia, ma i dubbi lo maceravano ancora. Si <strong>di</strong>ceva<br />

ora che era un maniaco, uno psicopatico, non più un ven<strong>di</strong>catore fine. E sapeva in cuor suo che<br />

quella scritta sarebbe apparsa anche il mattino seguente. Non pensò più a scritte politiche o ad <strong>altri</strong><br />

rivali economici: solo lui ora era il suo colpevole.<br />

Il mattino dopo, neanche a <strong>di</strong>rlo, la scritta ricomparve, nel medesimo punto, del medesimo<br />

colore, con la medesima scrittura.<br />

- Io ho guardato un po’ ieri sera, ma quando me ne sono andato era ancora pulito.<br />

50


Si sentiva quasi in colpa il barista che nulla poteva contro quel notturno teppista.<br />

- Secondo me se chiami alla polizia sicuro ti ci danno uno sguardo la notte.<br />

Abbracciò l’idea, ma i poliziotti non potevano certamente assicurare una sorveglianza continua:<br />

«ci faremo sicuramente più caso, non si preoccupi, li becchiamo spesso questi bastar<strong>di</strong>», avevano<br />

detto. Il mattino dopo Garinati li trovò <strong>di</strong> fronte al suo “rent a car” che si grattavano la testa.<br />

- Mi sembra proprio strano: siamo passati qui una ventina <strong>di</strong> volte e non abbiamo mai<br />

visto nessuno nei paraggi.<br />

- La telecamera allora ci vuole: questo ti ha preso <strong>di</strong> mira.<br />

Pensò il barista.<br />

Ma che telecamera! Ormai Garinati era montato su tutte le furie : non poteva sopportare quella<br />

sorta <strong>di</strong> sopruso <strong>di</strong> un uomo che non aveva il coraggio <strong>di</strong> farsi avanti. Tutto quel trambusto per<br />

settanta euro! Erano ben <strong>altri</strong> i ladri al mondo, non lui. Non poteva più permettere che lo si trattasse<br />

così. Lo voleva affrontare faccia a faccia ora quel codardo.<br />

Cenò nel bar gettando continuamente occhiate sul muro.<br />

- Te la sei proprio presa a male.<br />

- M.<br />

- Se vuoi aspetto con te stanotte, così quando arriva gli <strong>di</strong>amo una mazziata come si<br />

deve.<br />

- No, grazie. Voglio prima vedere se è lui. Alle mani spero che non ci si arrivi.<br />

- Lui chi?<br />

- Eee…volevo <strong>di</strong>re “lui che lo fa”, nel senso che voglio vedere se è qualcuno che<br />

conosco. Magari è quello che affitta le macchine all’aeroporto.<br />

- No, ma quello lavora.<br />

Si <strong>di</strong>straeva Garinati, perché una pupilla era sempre fissa su quel muro ancora lindo per il<br />

momento.<br />

Si piazzò in macchina sul marciapiede <strong>di</strong> fronte, seminascosto dai tavolini del bar e un albero.<br />

Fissava continuamente il muro, non si girava neanche a vedere le persone che <strong>di</strong> tanto in tanto<br />

passavano agli orari più piccoli. Erano quasi le quattro e nessuno si era visto. Il sonno cominciava a<br />

logorare l’attenzione, ma la rabbia era talmente tanta che le palpebre erano irremovibili. La<br />

stanchezza cominciava a <strong>di</strong>strarlo per motivi biologici, più che psicologici: non poteva la mente<br />

stare attenta otto ore ad un unico punto dello spazio, e cominciò a guardare con la coda dell’occhio<br />

le ombre della notte. Quando gli passò davanti una donna procace e vestita provocante:<br />

«sicuramente una puttana che torna dal lavoro, però non è niente male» pensò. Finita che ebbe <strong>di</strong><br />

seguirla con gli occhi tornò al suo punto fisso, ma in quei scarsi cinque secon<strong>di</strong> era comparsa<br />

improvvisamente la scritta: bella, veloce, precisa, nera e senza sbavature. Scese subito dalla<br />

macchina. Si guardò incredulo attorno: sulla strada solo la sagoma della prostituta che si spegneva<br />

nella notte. Gli salì il sangue alla testa; riguardò il muro: la scritta c’era veramente. In preda al<br />

panico, senza ragionare sul fatto che nessuno avrebbe potuto realizzarla in un tempo così breve,<br />

prese il cellulare e chiamò col fiatone il Signor Della Murgia. Gli rispose una voce troppo sveglia<br />

per quell’orario:<br />

- Alooo.<br />

- Io non so come ha fatto così veloce, ma mi deve delle spiegazioni.<br />

- Ma…chi è?<br />

- Noto che è abbastanza sveglio nonostante l’orario.<br />

- Be’ certo, qui in America sono le otto, lì in Italia dovrebbero essere le quattro <strong>di</strong><br />

notte, sempre se lei è in Italia. Ma, mi potrebbe <strong>di</strong>re chi è, scusi.<br />

Mentre il Signor Della Murgia chiedeva spiegazioni un terrore stupefatto si pose su Garinati che<br />

nel mezzo della strada guardava incredulo l’insegna del bar: Ladro. Possibile che non aveva mai<br />

fatto caso a quel nome? Si girò verso la sua auto e pure sulla targa c’era scritto LADRO. In preda al<br />

panico fece cadere il cellulare e guardò i cassonetti su cui c’era scritto Comune <strong>di</strong> Ladro. Si girò<br />

furiosamente attorno e su ogni cosa, sugli alberi, sulle insegne dei negozi, sui segnali stradali, sulle<br />

51


targhe delle auto parcheggiate un’unica e implacabile scritta dominava: LADRO, LADRO,<br />

LADRO. Cominciò a urlare nella notte silenziosa, ma nessuno passava, non c’era nessuno, solo le<br />

stelle nel cielo che si erano unite in strane costellazioni per formare quella parola: ladro. Un<br />

frastuono assordò le orecchie <strong>di</strong> Garinati: guardò il fondo della strada: cinque lettere giganti, alte 25<br />

metri marciavano sulla carreggiata, la L, la A, la D, la R e la O. Avanzavano minacciose verso<br />

Garinati e nulla sembrava potesse fermarle. La L era una pistola verso l’alto che si rovesciò<br />

nell’aere e cominciò a sparargli addosso mentre lui si riparava <strong>di</strong>etro gli alberi evitando i<br />

giganteschi proiettili, missili per il suo piccolo corpo. La A era un caccia che si librò verso il cielo<br />

per scomparire e riapparire subito dopo in picchiata verso la sua testa; Garinati si accasciò al suolo e<br />

la evitò per miracolo. Ma la D già era pronta: dalla stanga verticale uscì un enorme freccia che con<br />

l’arco della D panciuta si scagliò verso <strong>di</strong> lui che ruzzolando la evitò. Ma la R era un karateka che<br />

con la stanghetta <strong>di</strong>agonale gli <strong>di</strong>ede un calcio, lo colpì e lo fece volare al centro della strada. Dove<br />

la O che era un cerchio <strong>di</strong> fuoco cadendo su <strong>di</strong> lui lo immobilizzò al centro del cerchio, per sempre.<br />

52


PAZZO DI TE<br />

Come si può descrivere con le parole che poi sono quelle che non fuoriescono dalle labbra che<br />

fanno sgattaiolare solo qualche sommesso sospiro, l’emozione per eccellenza, in quanto viene<br />

chiamata, appunto “emozione”? Ti prende prima d’un evento importante, ti incastra gli addominali<br />

in una pressa da frantoio, ti morde i polpacci come un cane da scialacquatori e non riesci a parlare.<br />

Figuriamoci se devi cantare! Erano queste le preoccupazioni <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o <strong>di</strong>etro le quinte<br />

dell’Ariston. Aveva paura che salendo sul palco, al Festival <strong>di</strong> San Remo, come primo cantante,<br />

della prima serata! la grande promessa della musica leggera italiana! Clau<strong>di</strong>o Colli, un nome che<br />

sarebbe stato affiancato a quello <strong>di</strong> Lucio Battisti!<br />

Aveva paura, Clau<strong>di</strong>o, che salendo sul palco ed accostando la sua bocca al microfono, nulla<br />

sarebbe scaturito dalla sua poderosa cavità orale. La sua potente voce! La sua magnifica canzone<br />

d’esor<strong>di</strong>o. Mentre l’altro suo singolo girava <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>o in ra<strong>di</strong>o, era arrivato il momento del salto.<br />

Pensate: all’inizio della prima serata del Festival <strong>di</strong> San Remo, con milioni <strong>di</strong> Italiani che ti<br />

guardano…e ascoltano!, con i critici pronti a stroncarti se sbagli una nota!, con i <strong>di</strong>scografici pronti<br />

a stracciare il contratto se non fai un minimo <strong>di</strong> scena!, egli, la promessa Clau<strong>di</strong>o Colli, non doveva<br />

far altro che accostarsi al microfono, e dopo l’introduzione tipica <strong>di</strong> due battute <strong>di</strong> quattro quarti,<br />

dopo quella classica melo<strong>di</strong>a italiana d’attacco, far sobbalzare la platea con quel suo pieno ed<br />

apocalittico La preso su un Re minore, ed urlare:<br />

«Pazzooo!»<br />

Il testo non era certo dei migliori, ma un tipico testo d’amore <strong>di</strong> musica leggera italiana; in<br />

fondo non faceva del male a nessuno “Pazzo <strong>di</strong> te”. L’importante era rendere questa pazzia già<br />

dall’inizio, con quell’urlo cantato <strong>di</strong> una potenza vocale, quella <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Colli, paragonabile a<br />

Michael Bolton: Pazzooo! Quel grido che avrebbe aperto le danze del Festival! Un grido che<br />

sarebbe stato ricordato per tutta la storia della musica!!!…e non solo…<br />

Ecco: toccava proprio a lui dopo i convenevoli iniziali. L’emozione svanisce e la concentrazione<br />

ad essa si sostituisce. Il presentatore annunciò il primo cantante. Clau<strong>di</strong>o entrò. Sorrideva salutando<br />

con la mano qualcuno tra il pubblico (in realtà nessuno, perché non conosceva assolutamente<br />

nessuno). L’emozione tornava a tratti, sobbalzando. Si ripresentava con la frequenza <strong>di</strong> un’onda<br />

sulla battigia quando il mare è forza due. Il presentatore parlava stupidamente un po’ <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o.<br />

Lui non ascoltava una sola parola ma annuiva continuamente. Il presentatore gli dava del tu e lo<br />

chiamava per nome, come se si conoscessero da cinque anni. Clau<strong>di</strong>o ogni tanto guardava il<br />

pubblico, una massa colorata in<strong>di</strong>stinta. Ecco c’eravamo. Il conduttore introdusse il maestro<br />

d’orchestra:<br />

«Beppe Vezzigghio!»<br />

Poi guardò fisso negli occhi il cantante, gli poggiò una mano sulla spalla, e <strong>di</strong>sse:<br />

«Pazzo <strong>di</strong> te!»<br />

Sicuro <strong>di</strong> sé, poi alzò la mano in aria per annunciare finalmente e trionfalmente il nome del<br />

cantante che aveva taciuto per lasciarlo come apice del <strong>di</strong>scorso; e finalmente pronunciò:<br />

«Clau<strong>di</strong>o Polli!»<br />

Come Polli? Questo Clau<strong>di</strong>o lo sentì…e come se lo sentì! La sua concentrazione ebbe un crollo<br />

totale: come aveva potuto <strong>di</strong>re veramente Polli? Ormai la sua mente pensava a quella “c”<br />

trasformata chiaramente in “p”. E sì! Non era stata pronunciata male, perché se la pronunci male ti<br />

esce al massimo una “t”. Per fare una “p” ti ci devi proprio impegnare, devi essere convinto <strong>di</strong><br />

quello che <strong>di</strong>ci. Ma l’applauso ormai era andato; le luci si erano abbassate. Clau<strong>di</strong>o intanto pensava:<br />

“colli! colli! no polli! ma che sono un macellaio? colli! con la “c”, la “c”!!”. Il maestro alzò il<br />

braccio. Clau<strong>di</strong>o ormai pensava solo a quel cognome storpiato da un showman i<strong>di</strong>ota: “la “c”! la<br />

“c”! non la “p”!”. Iniziò la canzone, due battute <strong>di</strong> musica. Intanto lui impazziva: la “c” non la<br />

“p”!!! arrivò il suo momento, il momento del grido, il grande momento, mentre lui pensava alla “c”<br />

detta “p”, ormai in preda al panico, mentre tutti trattenevano il respiro, lui urlò: «Cazzooo!»…Il<br />

53


maestro smise <strong>di</strong> gesticolare, confuso dalla parolaccia a sorpresa. L’orchestra cessò <strong>di</strong> suonare non<br />

sincronizzata. Un flutto <strong>di</strong> sgomento invase la platea, nella quale un mormorio lontano nato dagli<br />

ultimi posti s’increspava come un’onda fino alle poltroncine vip. Un terrore che sbarra gli occhi si<br />

stampò <strong>di</strong> scatto sul viso atterrito <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o, che non muoveva un muscolo.<br />

La prima risatina si percepì da una corista che <strong>di</strong>ede il vero La <strong>di</strong> conferma per tutti gli astanti.<br />

Era proprio vero: aveva detto “cazzooo” al posto <strong>di</strong> “pazzooo”. Le risate strariparono come una<br />

bomba atomica in un deserto. Risate <strong>di</strong> tutte le razze, <strong>di</strong> tutte le tonalità, <strong>di</strong> tutte le nazionalità. Ed in<br />

tutta Italia, nelle case delle famiglie riunite davanti al programma più seguito dell’anno, la risata si<br />

propagava repentina, da Trieste a Cosenza, dalla Val <strong>di</strong> Susa a Pantelleria, da Courmayeur a Santa<br />

Maria <strong>di</strong> Leuca. Ogni <strong>di</strong>aletto della penisola scrosciava il suo ah! ah! con voracità.<br />

Dopo quasi un minuto il presentatore riapparì sul palco ridendo anche lui col suo faccione, <strong>di</strong><br />

solito falsamente simpatico. Clau<strong>di</strong>o sempre più atterrito guardava ora il pubblico ora il conduttore<br />

con gli occhi del terrore, finché quest’ultimo parlò tra le risatine: «Può capitare…l’emozione…la<br />

prima serata, sapete, il palco, il pubblico, il primo a cantare…ma adesso: Clau<strong>di</strong>o come va?»<br />

Gli occhi sbarrati <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o non davano nessun segno <strong>di</strong> percepire contatti esterni. Non<br />

rispondeva e il presentatore continuava scusandolo e ripetendo la presentazione, questa volta senza<br />

sbagliare. La sua mente era un black out totale. “Lo spettacolo deve continuare” fu la prima frase<br />

che balenò nel cervello del cantante, che nascose gli occhi del terrore con un labile sorriso e annuì<br />

col capo al presentatore. Dunque il <strong>di</strong>rettore d’orchestra, ancora sorridente, <strong>di</strong>ede l’attacco ai<br />

musicisti. L’ilarità generale smorzava piano piano. Tornato quasi normale, Colli s’aggiustò l’asta ed<br />

emise un lieve colpo <strong>di</strong> tosse. Intro musicale e rieccolo: l’urlo liberatorio. Questa volta ben saldo si<br />

avvicinò al microfono, quasi <strong>di</strong>menticando la figuraccia e nel pensiero un concentramento<br />

particolare per quella “p” che doveva rimanere tale.<br />

Ma quando Clau<strong>di</strong>o aprì l’immensa bocca, l’aria dai polmoni non fece vibrare le sue preziose<br />

corde vocali, come se fosse <strong>di</strong>ventato improvvisamente muto! E infatti, il flebile suono che uscì<br />

dalle sue labbra era quello <strong>di</strong> una persona che non riesce a parlare. Muto psicosomatico!<br />

Imbarazzato, <strong>di</strong> nuovo Beppe Vezzigghio bloccò l’orchestra, anch’essa rimasta in una generale<br />

inter<strong>di</strong>zione. Clau<strong>di</strong>o si sforzava ancora, ma solo aria che a tratti generava lamenti usciva dalle sue<br />

labbra. Dietro le quinte il presentatore incominciò ad alterarsi e sussurrò: «Ma che combina adesso<br />

quella testa <strong>di</strong> cazzo?» generando le risa dei tecnici vicino lui; e così, in un bagliore d’attimo<br />

folgorante, intuì. Tornò sul palco con Clau<strong>di</strong>o che iniziava ad arrossire per l’impe<strong>di</strong>mento che<br />

neanch’egli riusciva a spiegarsi: «Scusate, signori, non credo che il nostro Colli si senta bene.» poi<br />

più a bassa voce «Riesci a parlarmi Clau<strong>di</strong>o? Dimmi qualcosa…non riesci neanche a <strong>di</strong>re ciao?». Il<br />

poveretto scosse la testa e dal suo colorito rosso iniziò ad impalli<strong>di</strong>re ipotizzando finalmente la<br />

verità: davanti a milioni <strong>di</strong> Italiani incollati ai teleschermi Clau<strong>di</strong>o Colli era <strong>di</strong>ventato muto, non<br />

biologicamente, ma psicologicamente, cioè il suo cervello per lo choc subito, aveva spento quel<br />

gruppo <strong>di</strong> neuroni a<strong>di</strong>bito a gestire l’apparato fonatorio. Una “malattia” che poteva durare da pochi<br />

minuti a tutta la vita; e mentre il palco veniva invaso da tecnici e me<strong>di</strong>ci col sottofondo <strong>di</strong> scuse del<br />

presentatore, il povero cantante fissava immobile un punto inesistente nel mormorio del pubblico.<br />

E poi accadde tutto così in fretta che neanche i più fiduciosi nel potere me<strong>di</strong>atico si riuscirono a<br />

spiegare.<br />

Lo spezzone <strong>di</strong> televisione non programmato, una sorta <strong>di</strong> sciagura in <strong>di</strong>retta, aveva affascinato<br />

il pubblico italiano; quella scena fece il giro degli Appennini per poi risalire il Po, fin su le Alpi e<br />

ri<strong>di</strong>scendere attraverso il mare Adriatico, passando indenne lo stretto <strong>di</strong> Messina, subendo<br />

metamorfosi nei <strong>di</strong>aletti sar<strong>di</strong> per poi sbarcare <strong>di</strong> nuovo a Quarto. Praticamente tutti, anche quelli<br />

più renitenti verso l’elettrodomestico dei cato<strong>di</strong>, avevano visto quel frame. La parola “cazzo” era,<br />

come non mai, sulla bocca <strong>di</strong> tutti: dal poppante del centro <strong>di</strong> Milano all’anziano centenario del<br />

paese abruzzese sperduto; “cazzo” era usato senza il valore <strong>di</strong> parolaccia da sempre dato, e senza<br />

alcun riferimento fallico. Il potere invincibile dei mass me<strong>di</strong>a era riuscito a cambiare la lingua<br />

italiana, badate bene: non aveva creato nuovi termini, aveva cambiato il significato del lessico,<br />

54


potere dato fino a qualche tempo fa quasi esclusivamente ai poeti. Il Festival <strong>di</strong> San Remo aveva<br />

accresciuto smisuratamente la sua popolarità, dopo gli ultimi anni <strong>di</strong> lieve declino; tutti lo<br />

guardavano in attesa <strong>di</strong> qualche errore da parte <strong>di</strong> un cantante, o comunque aspettando l’uscita dei<br />

comici che avevano cambiato la loro scaletta in base all’accaduto. Gli <strong>altri</strong> canali, ormai <strong>di</strong>sperati,<br />

avevano abortito e rimandato in uno o due giorni i loro palinsesti <strong>di</strong> Varietà, ora inutili perché visti<br />

da una percentuale prossima a zero <strong>di</strong> telespettatori; ed in sostituzione trasmettevano solo film<br />

d’autore, da Rossellini ad Ejzenstein.<br />

Nei giorni ancora successivi fu la parola “cazzo” al centro <strong>di</strong> ogni programma: i <strong>di</strong>battiti politici,<br />

ad<strong>di</strong>rittura, si interrompevano ogni tanto tra le risate provocate da uno dei due contendenti che<br />

nominava l’ex parolaccia; dopo una settimana istituirono una parcon<strong>di</strong>cio specifica per il lemma<br />

che si <strong>di</strong>ceva aumentasse “l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>mento dei telespettatori verso la persona che la<br />

proferiva”, così il numero <strong>di</strong> “cazzo” della Destra e della Sinistra doveva essere uguale a fine<br />

trasmissione. Non parliamo dei comici, che se già usavano parolacce per suscitare il riso del<br />

pubblico più incolto, ora avevano sostituito ad esse la parola cantata a mo’ <strong>di</strong> “cazzooo!” per ogni<br />

perla del repertorio.<br />

Alcuni cantanti, tornati alla ribalta proprio col Festival, riven<strong>di</strong>cavano il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> aver usato per<br />

primi offese non concesse nelle loro canzoni; in particolare un tizio col pizzetto che <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> averci<br />

fatto una hit con un pezzo che aveva per titolo una parolaccia; tutti si accorgevano però che non era<br />

proprio la stessa cosa.<br />

Come accade raramente, la storia non ebbe un calo <strong>di</strong> popolarità improvviso come hanno spesso<br />

tutti i fenomeni costruiti; appunto perché non era costruito il successo della parola “cazzo” toccò le<br />

più alte sfere dell’autorità. Se scrittori e romanzieri già ne facevano uso come i cantanti, alle lezioni<br />

universitarie entrò prepotentemente senza alcuna protesta da parte <strong>di</strong> professori, alunni o rettori. Il<br />

sindaco <strong>di</strong> un paese in provincia <strong>di</strong> Salerno propose <strong>di</strong> sostituirlo alla parola “ciao”, sia nei <strong>di</strong>scorsi<br />

orali che nelle iscrizioni; e così tutti i benzinai che avevano usato i tabelloni dell’in<strong>di</strong>cazione della<br />

benzina Super per salutare con un “ciao” inscritto perfettamente con le sue quattro lettere nei<br />

tabelloni pre<strong>di</strong>sposti per quattro cifre, comprarono un cartello apposito per sostituirlo con “cazzo”.<br />

Ma quando <strong>di</strong>co le più alte sfere intendo proprio le più alte: nel suo solito <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> fine anno a<br />

reti unificate, il Presidente della Repubblica Italiana usò questa frase per concludere la parte in cui<br />

si lamentava, sempre spoliticizzato, delle continue proteste contro la globalizzazione totale ormai<br />

incombente e chiedeva <strong>di</strong> finirla con le manifestazioni: “Lasciateci stare, cazzo!”. E così alcuni<br />

giorni dopo, in una conferenza sul Toscano, anche il presidente dell’Accademia della Crusca si<br />

dovette arrendere alla realtà, e annunciò il traslato <strong>di</strong> senso della parola da parolaccia a “espressione<br />

generale d’enfasi”. Ma il culmine bisognava ancora toccarlo: il Padre della cristianità, con quella<br />

sua voce flebile e a stento decifrabile, davanti a milioni <strong>di</strong> fedeli in piazza San Pietro, usò tre volte<br />

la parola “cazzo” nel suo sermone.<br />

Intanto il nostro Clau<strong>di</strong>o Colli sottostava a tutte le cure più avanzate <strong>di</strong> psicoterapia per risolvere<br />

il suo problema, pagando i me<strong>di</strong>ci con i miliar<strong>di</strong> fatturati dal suo singolo che, purtroppo, mostrava<br />

in copertina la sua faccia allibita <strong>di</strong> quella sera. Avrebbe voluto protestare, ma come si fa quando<br />

non si ha voce. Però poteva sicuramente rifiutare i vari inviti televisivi che aumentavano sempre sia<br />

in numero, che in compenso. Resisteva il nostro, deluso dalla vita, da quello che accadeva per colpa<br />

(o merito) sua.<br />

Le terapie non sortivano alcun effetto, così tutti gli psicologi, psichiatri e sapientoni convennero<br />

che l’unica cosa da fare era tornare sul palco <strong>di</strong> San Remo e “creare un contraccolpo <strong>di</strong> choc che<br />

sblocchi l’altro choc”; a queste parole dei dottori in casa sua, Clau<strong>di</strong>o prese il suo solito taccuino sul<br />

quale usava comunicare per questioni più pragmatiche (non avendo ancora imparato il linguaggio<br />

dei sordomuti) e scrisse “Vaffanculo!”. I dottori naturalmente risero quasi onorati dal fatto che il re<br />

delle parolacce ne avesse rivolta una verso <strong>di</strong> loro. Clau<strong>di</strong>o, perdendo quasi la calma, riscrisse:<br />

“Non avete capito: vaffanculo da qui! Questo lo sapevo da solo, non mi serviva il vostro aiuto!”.<br />

55


Così mentre i me<strong>di</strong>ci abbandonavano la casa un po’ confusi, Clau<strong>di</strong>o or<strong>di</strong>nò al suo manager <strong>di</strong><br />

accettare l’invito a presentarsi sul palco dell’Ariston per la prima serata.<br />

La notizia era corsa veloce come Mennea per tutta l’Italia: tutti, ma <strong>di</strong>co tutti si prepararono al<br />

grande ritorno del Colli, anche i senzatetto agli angoli delle strade erano <strong>di</strong>vorati dal mostro TV e si<br />

piazzarono davanti le vetrine <strong>di</strong> elettrodomestici; anche le suore, protette dal Santo Padre,<br />

fremevano davanti allo schermo nell’attesa esclamando in un climax enfatico: “cazzocazzocazzo”;<br />

la RAI trasmetteva a reti unificate; e la Fininvest, rassegnata, mandava a ripetizione filmati UFO a<br />

Recanati buttati da tanto tempo negli scantinati.<br />

Ed il momento era ormai arrivato: Clau<strong>di</strong>o Colli dopo un anno tornava sul palco che gli aveva<br />

rubato la voce per riprendersela, così come allora, davanti a tutto il Paese.<br />

Il presentatore lo annunciò. Le luci da soffuse si fecero sfolgoranti. L’orchestra intonò la<br />

melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> “Pazzo <strong>di</strong> te”. Tutto il pubblico s’alzò in pie<strong>di</strong> ad applau<strong>di</strong>re; perché poi solo Dio lo<br />

sa…e forse neanche lui. Clau<strong>di</strong>o uscì. Lasciato solo sul palco. S’avvicinò al microfono. Sentiva già<br />

che le sue corde vocali avvertivano uno strano formicolio. In tutta la penisola i lattanti smisero <strong>di</strong><br />

piangere, le coppie <strong>di</strong> litigare, i vecchi <strong>di</strong> morire.<br />

Clau<strong>di</strong>o tossì e, balbettando le prime parole, miracolosamente <strong>di</strong>sse:<br />

«C…c…come fate la sera a guardarvi allo specchio? Come fate a sentirvi uomini? State<br />

rovinando la più grande Nazione del mondo e neanche ve ne rendete conto? Era il Paese in cui ogni<br />

citta<strong>di</strong>no della Terra avrebbe voluto vivere perché capiva la sua grande intelligenza e s’affascinava<br />

<strong>di</strong> fronte al nostro non prendersi mai troppo sul serio. Non eravamo perfetti, ma questo ci rendeva<br />

ancor più gran<strong>di</strong>, perché la perfezione e la noia sono facili compagne. Pian piano state <strong>di</strong>struggendo<br />

tutto quello che abbiamo creato, imitando gli <strong>altri</strong> paesi come l’America e pensando che tutto ciò<br />

che accade è nella televisione. Be’, amici miei, miei fratelli, io penso che la vera vita risieda solo al<br />

<strong>di</strong> fuori della celebrità <strong>di</strong> massa e <strong>di</strong> costume. State rovinando la vera vita, fratelli…fratelli mi fate<br />

schifo; io mi faccio schifo che sono una delle cause della rovina, sì anche io che non faccio niente<br />

per fermarla.<br />

Ma forse possiamo anco…»<br />

La voce <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o durante quest’ultima frase <strong>di</strong> nuovo cominciò a svanire, perché si rese conto<br />

che nessuno aveva sentito una sola parola del suo <strong>di</strong>scorso: infatti per la balbuzie della “c”<br />

all’inizio, ogni italiano aveva immaginato un esor<strong>di</strong>o con la parola “cazzo”, e l’arringa <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o<br />

Colli fu offuscata, coperta e uccisa dalle risate che <strong>di</strong>lagavano dalle Dolomiti alla Foresta Umbra,<br />

da Riccione a Scanzano, dal Piave al Biferno……<br />

56


SEMPLICE PENSIERO<br />

Credo sia un aspetto recon<strong>di</strong>to della mia psiche che mi porta a vedere il male anche dove il nulla<br />

ha istituito il dogma dell’innocenza. Sto da solo in macchina e mi giro ogni tanto per vedere chi sta<br />

sghignazzando seduto sul se<strong>di</strong>le posteriore mentre io compio i gesti in solitu<strong>di</strong>ne. Ecco: io mi<br />

stupisco. Io mi stupisco, dottore, <strong>di</strong> come la gente possa reputare normale l’esistenza. Mi<br />

spiego…forse lei non è avvezzo a questo genere <strong>di</strong> pensieri strani, forse lei pensa che siano <strong>di</strong>scorsi<br />

da psicopatici. Eppure una persona normalissima come me fa dei pensieri simili. E non ogni tanto.<br />

Sempre.<br />

Erano i primi giorni dell’università, ero solo, non conoscevo nessuno. Avevo scelto quella<br />

facoltà perché mi piaceva. Non avevo pensato agli amici. Non ho bisogno <strong>di</strong> amici io. I miei amici<br />

sono Caravaggio, Petrarca, Schopenhauer… Si figuri: rapportati a loro gli uomini sono mezze<br />

cartucce. Non c’è un cristiano che abbia un decimo del cervello <strong>di</strong> Kant, oggi: “il mondo esiste<br />

perché io lo vedo”, be’, forse non <strong>di</strong>ceva proprio così, ma il senso è questo, sì. Nulla è oggettivo,<br />

dottore. Neanche la sua laurea. Ci pensi la notte prima <strong>di</strong> addormentarsi. Lei potrebbe non essere un<br />

dottore per qualcuno. Così io ho sempre pensato <strong>di</strong> non essere nessuno. Non avevo un’identità. Non<br />

avevo cose che mi piacevano per <strong>di</strong>rla in parole povere: consideravo, consideravo…e giu<strong>di</strong>cavo.<br />

Giu<strong>di</strong>cavo strane tutte quelle persone con amici. Non c’è un uomo che abbia la sensibiltà <strong>di</strong> Van<br />

Gogh. Mi <strong>di</strong>ca: lei ne conosce qualcuno? Ma le donne…<br />

Le donne sono un universo a parte. Son Venusiane su Marte, sono Grigi delle Pleia<strong>di</strong>, sono<br />

rettiliane sulla Terra. Io ho sempre avuto un debole per le donne. Be’…penso anche lei,<br />

dott…ah…vedo che ha la fede…si è ingabbiato, eh? Ognuno ha le sue idee, ognuno ha le sue idee.<br />

Io no no. Non mi sposerò mai, penso…cioè, nessuno può <strong>di</strong>rlo, nulla è certo, “dubito anche del<br />

dubbio”, <strong>di</strong>ceva Cartesio. Be’, forse non <strong>di</strong>ceva proprio così, ma lo pensava. Sì, lo pensava, non c’è<br />

dubbio, e sicuramente pensava alle donne come me. Io feci il mio ingresso alla prima lezione<br />

circondato da un oceano <strong>di</strong> donne. Erano duecento circa. E i maschi? I maschi erano una decina, sì e<br />

no, ma non ce ne era uno che valesse, dalla faccia, la metà <strong>di</strong> me. Lei mi ha visto dottore e quelli là<br />

proprio…glie l’ho detto: erano mezze cartucce. E oltre la faccia, lo sa da cosa l’ho capito?: nessuno<br />

<strong>di</strong> loro Guardava; nessuno <strong>di</strong> loro alzava la testa e si metteva a fissare le mille donne che come lava<br />

invadevano l’aula. Erano belle,…strane creature create da un ingegnoso <strong>di</strong>o. Io non riuscivo a<br />

seguire la lezione e fissavo quelle ragazze <strong>di</strong> sottecchi. Ogni tanto qualcuna si girava nell’istante in<br />

cui la iniziavo a guardare, ci fissavamo negli occhi per alcuni secon<strong>di</strong> e poi, vinta dalla mia<br />

insistenza <strong>di</strong> sguardo, si voltava e rideva con le amiche…invi<strong>di</strong>ose, sì invi<strong>di</strong>ose. Così la prima<br />

lezione, così la seconda, la terza e le altre…e io fissavo fissavo, mi ubriacavo dei loro volti…e non<br />

solo,…lei capisce…? Mi eccitavo alle loro risa, mi esaltavo ai loro saluti. Qualcuna iniziò a<br />

presentarsi col pretesto <strong>di</strong> sapere <strong>di</strong> che cosa parlava il mattone <strong>di</strong> De Sade che portavo ogni giorno<br />

per leggere nelle pause. Io mi presentavo sfoderando la mia cultura, facendo ridere, sorridere,<br />

aspettando che esse mi chiedessero <strong>di</strong> uscire, <strong>di</strong> conoscerci meglio, <strong>di</strong> attuare quello che leggevo su<br />

“La nuova Justine” <strong>di</strong> De Sade. Ma nessuna si spingeva più in là. Anzi…: più mi conoscevano e più<br />

cercavano <strong>di</strong> evitarmi, perché secondo lei, dottore? Lo so io perché: sono troppo Intelligente. Loro<br />

sono abituate a gente come quelle <strong>di</strong>eci mezze cartucce. Io sono troppo alto per loro, troppo sano <strong>di</strong><br />

mente. Erano abituate a psicopatici che le portano in <strong>di</strong>scoteca e che fanno l’amore in automobile.<br />

Io le porto a vedere un film <strong>di</strong> Pasolini o, al massimo, ad ascoltare musica jazz. E quin<strong>di</strong> io<br />

p…come <strong>di</strong>ce, dottore? No, non ero innamorato <strong>di</strong> nessuna in particolare, si figuri, concentrarmi su<br />

una per non godere <strong>di</strong> tutte quante, ma che crede? Io sono un playboy…, e <strong>di</strong> classe per giunta. Ho<br />

letto “L’arte <strong>di</strong> amare” io, ed anche la vita <strong>di</strong> D’annunzio. Non si sente che sono una persona <strong>di</strong> una<br />

certa cultur…mi scusi dottore, ha una sigaretta? Ah, queste sono per me, le ridò i sol<strong>di</strong>,..no no…lei<br />

è gentilissimo ma…non ho il portafoglio qui,…dov…dev’essermi caduto quando sono svenuto…a<br />

proposito: la ringrazio <strong>di</strong> avermi soccorso…, comunque dottore le ridarò i sol<strong>di</strong>, promesso, ormai<br />

ho deciso…appena ritrovo…che stavo <strong>di</strong>cendo? Ah, sì. Cominciai quin<strong>di</strong> io a chiedere alle ragazze<br />

se volevano uscire con me. Cominciai…mi fa accendere?…cominciai con una carina, forse un po’<br />

57


stupi<strong>di</strong>na, ma…era la prima e bisognava sapersi accontentare. Ciao…eh ciao,…come ti<br />

chiami?…ah, bel nome e da dove…ecceteraecceteraeccetera. Lei mi <strong>di</strong>ce: an<strong>di</strong>amo a prendere<br />

qualcosa al bar! Be’, dottore, in quel momento pensai: allora non sono stupide, sono soltanto timide.<br />

Ok, ok. Al bar continuiamo a parlare…e dopo un po’, quando inizio a chiederle <strong>di</strong> rivederci lei mi<br />

<strong>di</strong>ce: veramente ho il ragazzo! Ma come? Mi hai invitato tu qui! Ma!?! Il giorno dopo ci provo con<br />

un’altra. Lei sembra starci all’inizio, poi…parliamo un po’ e <strong>di</strong>ce: io ho il ragazzo! Ma come?. E<br />

così accade ancora con un’altra, e con un’altra, e con altre ancora…si figuri una l’ho anche<br />

riaccompagnata a casa. Poi un giorno: era bellissima, dottore…un amore. Lei mi guarda, io la<br />

guardo, vado da lei, mi presento…lei mi <strong>di</strong>ce an<strong>di</strong>amo a fare una passeggiata, e appena ci<br />

allontaniamo un po’ dallo stabile lei mi salta addosso e mi bacia. E così continuiamo a baciarci,<br />

toccate, smaniate…lei mi capisce, dottore…poi arriviamo ad una panchina ci se<strong>di</strong>amo e parliamo,<br />

finalmente un po’. Dopo un po’: “io ho una storia con un tipo veramente, non so cosa mi sia<br />

successo, scusa. Forse non ho resistito alla…bù…voglia <strong>di</strong> trasgressività!” Voglia <strong>di</strong> trasgressività?<br />

Voglia Di Trasgressività? Ma che significa? Si rende conto dottore? Voglia <strong>di</strong> Trasgressività!<br />

Passano i giorni e le raga…come <strong>di</strong>ce?…Come che cosa raccontavo alle ragazze? Be’, le solite<br />

cose: le mie esperienze, quello che faccio <strong>di</strong> solito, niente <strong>di</strong> che. Parlo loro <strong>di</strong> cultura…che so? Di<br />

Bach, <strong>di</strong> Dante…incomincio a recitare qualche verso dell’Eneide…eh? Sì, in latino, oppure le<br />

descrivo quanto è meraviglioso leggere “L’Infinito”<strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong> con gli occhi chiusi, semplicemente<br />

annusandolo e facendo sì che la poesia ti scorra nelle vene senza badare ai rumori della città.<br />

Racconto <strong>di</strong> quando corro nudo per i prati cantando i Led Zeppelin…sa? Qualche volta mi ha pure<br />

visto qualche conta<strong>di</strong>no…racconto <strong>di</strong> quando sussurro ai cani i versi <strong>di</strong> Montale oppure quando per<br />

una giornata intera guardo “2001 O<strong>di</strong>ssea nello spazio” a ripetizione, oppure quando ballo in<br />

equilibrio sulla ringhiera il walzer <strong>di</strong> Strauss, oppure quando sono solo a casa e recito da solo,<br />

facendo tutti i personaggi de “La Patente” <strong>di</strong> Pirandello; dovrebbe vedere come mi esce bene il<br />

Chiarchiaro!. Non so, parlo dei miei sogni, dei miei amori, della prima volta che mi sono<br />

masturbato con “L’Olympia” <strong>di</strong> Manet, quando abbraccio il monumento universitario <strong>di</strong> Cascella,<br />

<strong>di</strong> quando, sa? Eh! Ogni tanto, se ho qualche soldo in più, compro un libro della Tamarro e...,<br />

vabbè’, forse è volgare <strong>di</strong>rlo...non so, racconto <strong>di</strong> quando <strong>di</strong> notte ho spaccato la vetrina <strong>di</strong> Ferri e<br />

ho spaccato tutti i televisori che vendevano. Senza pietà proprio! Il giorno dopo ero anche sul<br />

giornale! Rac...come <strong>di</strong>ce?...no, no, sono riuscito a scappare, però il fatto era sul giornale. Che<br />

bello, eh?... Racconto, poi, quando <strong>di</strong> notte, spesso, vado umilmente in Via delle Caserme e,<br />

controllando bene che nessuno mi guar<strong>di</strong>...per non essere scambiato per un ladro...mi arrampico<br />

sulla casa <strong>di</strong> D’annunzio e mi siedo sul tetto, per sentirmi almeno per una volta più alto <strong>di</strong> lui.<br />

Be’, adesso che mi ci fa pensare, dottore, era poco dopo che raccontavo queste cose che loro<br />

<strong>di</strong>cevano <strong>di</strong> avere il ragazzo... Ma come si fa? Come si fa a resistere ad essere se stessi? A<br />

rinunciare <strong>di</strong> godere a pieno della vita?…e dell’arte poi? Che forse è qualcosa <strong>di</strong> più della vita?<br />

Come <strong>di</strong>ceva Michelangelo: “nell’arte dobbiamo rappresentare solamente il bello della vita”, be’,<br />

forse non <strong>di</strong>ceva proprio così, ma sono sicuro che lo pensava…e lo attuava poi! E io, mentre<br />

passeggio tra quelle puttane che parlano al cellulare <strong>di</strong> una loro amica che si è messa scarpe che<br />

costano meno <strong>di</strong> centomila lire, mi sento male e vorrei vomitare nei loro uteri. No, non mi<br />

contrad<strong>di</strong>co, dottore, donne che io amo ci sono al mondo, ci devono essere per forza. Se io vorre...se<br />

io volessi andare con ragazze che pensano solo alla mia bellezza e al sesso, avrei tante donne, ma<br />

poi che me ne farei <strong>di</strong> loro. A me ne basta Una! Una Sola! una sola...<br />

Continuai a cercare nei meandri dell’università, ma ormai: ormai avevo capito: era tutta una<br />

Congiura contro <strong>di</strong> me! Sì, dev’essere per forza così. Non sono troppo intelligente, ma troppo<br />

stupido, e per questa menomanza gli <strong>altri</strong> mi escludono. Per forza, per forza! Come sarebbe<br />

possibile che gli <strong>altri</strong> non fanno quello che piace fare anche a me? Lei è una persona intelligente,<br />

dottore, lo si vede, più intelligente degli <strong>altri</strong> e soprattutto non razzista come loro. Sì, razzisti,<br />

perchè se un ragazzo è più stupido lo si deve aiutare. Lei non è razzista perchè prima non si è<br />

scandalizzato ascoltando i miei <strong>racconti</strong>. Deve vedere quei luri<strong>di</strong>, quelle mezze cartucce, che faccia<br />

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che fanno e due sono le ipotesi: o sono troppo stupi<strong>di</strong> o sono troppo intelligenti,,,in ogni caso il<br />

problema non sono certo io quin<strong>di</strong>, dottore decisi la cosa più razionale e normale da fare. Quello<br />

che sono sicuro avrebbe fatto anche lei. Durante la lezione <strong>di</strong> letteratura, entrai, e con un mitra li<br />

uccisi tutti quanti, maschi e femmine, tutte quelle mezze cartucce. Poi...non ricordo...deve essere<br />

stato in quel momento che sono svenuto. A proposito: adesso mi sento meglio, posso andare a casa,<br />

dottore?<br />

59


ALLA RICERCA DELLA CIMICIRRIA PERDUTA<br />

La cimicirria non è il grasso.<br />

Un giorno Marcello si svegliò con tal fulgido pensiero, si avvicinò allo specchio con ancora il<br />

sonno grondante dal viso e si stupì molto notando che la sua cimicirria era scomparsa. Molto si<br />

arrovellò pensando come avesse potuto perdere una delle cose a cui era più legato; forse l’ha rubata<br />

qualche mostro degli antri infernali in un incubo che non ricordo, pensò, o forse mi è scivolata dal<br />

letto. Si girò attorno per cercarla ma non la trovò; andò a scrutinare dettagliatamente il suo prezioso<br />

libro dei sogni, ma non parlava <strong>di</strong> mostri che rubano cimicirria nel sonno. Forse è stato un vero e<br />

proprio ladro, continuò a pensare, e se è così devo cercarla per tutto il paese; e se è forestiero…sono<br />

<strong>di</strong>sperato!<br />

Uscì a capofitto sulla strada senza lavarsi la faccia, e andò dal suo vicino più vicino, il Lattaio.<br />

Appena quello lo vide fece una smorfia e una risatina per quella faccia ancora malconcia a causa<br />

della notte frastornante. Marcello si avvicinò con garbo e chiese:<br />

- Mi scusi signor Lattaio, ho perso la mia cimicirria. Sa dove posso trovarla?<br />

- Cosa, ragazzo?<br />

- Ho perso la mia cimicirria.<br />

- E che cos’è la cimicirria?<br />

- La cimicirria non è il grasso.<br />

- Non ti ho chiesto cosa non è, ti ho chiesto cos’è!<br />

- Come si fa a <strong>di</strong>re che cos’è qualcosa, so <strong>di</strong>re solo che cosa non è un qualcosa.<br />

- Non ho capito nulla ragazzo.<br />

- Mi spiego: lei mi saprebbe <strong>di</strong>re che cos’è il latte?<br />

- Ma che c’entra, il latte è il latte.<br />

- E anche la cimicirria è cimicirria.<br />

- No, ma che <strong>di</strong>scorsi; tutti sanno che cos’è il latte.<br />

- Ma se nessuno l’avesse mai visto non saprebbe <strong>di</strong>re che cos’è, così lei che non ha<br />

mai visto la cimicirria non sa <strong>di</strong>re che cos’è.<br />

- Oh, ragazzo, non ho tempo da perdere con te. Ho da lavorare qui, forse è meglio che<br />

torni a casa a lavarti la faccia.<br />

Deluso, Marcello uscì dalla bottega e cominciò a camminare pensando chi sarebbe stato così<br />

gentile e intelligente da aiutarlo. Camminando camminando, passò davanti alla bottega del Fabbro.<br />

Lui non faceva <strong>di</strong>stinzione tra le facce pulite e quelle sporche. Marcello entrò e subito lo apostrofò:<br />

- Fabbro, forse lei mi può aiutare.<br />

- Dimmi tutto ragazzo, mi sembri sconvolto.<br />

- Ho perso la mia cimicirria.<br />

- La cimicirria? Che cos’è?<br />

- La cimicrria non è il grasso.<br />

- Non ti ho chiesto <strong>di</strong> <strong>di</strong>rmi cosa non è, ma cos’è.<br />

- Non si può <strong>di</strong>re che cos’è qualcosa, si può <strong>di</strong>re solo cosa non è. Per esempio: che<br />

cos’è il latte?<br />

- Che domande? Il latte è il latte.<br />

- E anche la cimicirria è cimicirria.<br />

- Ops! ho capito cosa vuoi <strong>di</strong>re. Sì, ma il latte è un liquido che…<br />

- Bella risposta! Allora la cimicirria è un solido.<br />

- Be’, è già un passo avanti.<br />

- Sì, ma poi?<br />

- Prova a descriverla, dagli degli aggettivi.<br />

- Gli aggettivi non riusciranno mai e descrivere bene che cos’è qualcosa, solo con quel<br />

qualcosa si può connotare il qualcosa.<br />

60


- Forza, provaci. Forse non riuscirò a trovare la tua, ma riusciremo a costruirne<br />

un’altra.<br />

- Va bene. Allora: la cimicirria è un solido cimicirrioso…<br />

- No, no puoi usare un aggettivo che derivi da quella parola, sennò non riuscirò mai a<br />

capire.<br />

- Sì, ma come si fa a <strong>di</strong>re com’è il latte? Il latte è un liquido lattoso.<br />

- È vero, hai ragione anche adesso…mmmh, allora almeno <strong>di</strong>mmi dove sta, quanto è<br />

grande, e altre in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> questo tipo.<br />

- La cimicirria non è il grasso, ma sta sul corpo, tutti ce l’hanno, almeno un po’. Ma è<br />

<strong>di</strong>fficile in<strong>di</strong>care quanta ne avessi io.<br />

- Sta sul copro? Allora non ti posso aiutare, mi <strong>di</strong>spiace ragazzo mio, io non costruisco<br />

pezzi che stanno sul corpo.<br />

- No!…e adesso come farò?! lei è l’unico che mi ha dato retta finora. La gente per la<br />

strada mi credeva pazzo.<br />

- Ti ripeto non posso fare nulla per te, però ti posso suggerire <strong>di</strong> andare dal Mago.<br />

- Dal Mago?<br />

- Sì, lui si occupa <strong>di</strong> problemi così arcani. Io non l’ho mai visto, ma la gente del<br />

villaggio <strong>di</strong>ce che è un uomo molto savio e conosce i rime<strong>di</strong> per qualsiasi cosa. Forse lui ti<br />

aiuterà a trovare la tua cimicirria, o a trovarne dell’altra.<br />

- E dove posso trovarlo?<br />

- Vive fuori il paese, su una salita <strong>di</strong>fficile, un’erta tortuosa, ma <strong>di</strong>cono che vale la<br />

pena affrontare quel <strong>di</strong>fficoltoso cammino.<br />

- La ringrazio, Fabbro.<br />

- Di niente, ragazzo.<br />

Così Marcello, sempre più <strong>di</strong>sperato, ma con nel cuore adesso un minimo <strong>di</strong> speranza, si<br />

incamminò per il tortuoso sentiero. La sua forza <strong>di</strong> volontà lo aiutò a superare quell’erta veramente<br />

<strong>di</strong>fficile. Quando trovò la <strong>di</strong>mora del suo salvatore, bussò al vecchio portone e poco dopo venne ad<br />

aprire il vecchio Mago con fare sommesso. Questo era un uomo vecchio con una barba blu lunga e<br />

vecchia, con un vecchio vestito verde e rosso e uno scettro d’oro che dalla spalla arrivava fin giù<br />

per terra sul vecchio pavimento.<br />

- Salve ragazzo, io sono il vecchio Mago, la speranza degli afflitti, l’appiglio dei<br />

<strong>di</strong>fficoltosi, il <strong>di</strong>fensore dei più deboli.<br />

- Salve Mago, ma perché abiti così lontano dal resto del villaggio se sei il <strong>di</strong>fensore del<br />

popolo?<br />

- Perché…perché…ma cosa vuoi ragazzo? Sei venuto fin qui per farmi la pre<strong>di</strong>ca?<br />

- No, Mago. Sono venuto perché sto impazzendo: è tutto il giorno che girovago a<br />

destra e a sinistra cercando qualcuno che mi possa aiutare a ritrovare la mia cimicirria. Mi<br />

hanno detto che lei mi può aiutare…<br />

- Certo ragazzo, io posso aiutare chiunque! Io sono la speranza degli afflitti, l’appiglio<br />

dei…ma…cosa hai detto che devi ritrovare?<br />

- La cimicirria.<br />

- Il cimiciurri?<br />

- No! La cimicirria! forse neanche lei sa che cos’è?<br />

- Eh?…ma no, no! Io so tutto! Io sono l’uomo più saggio e più dotto della Terra; sono<br />

la speranza dei più deboli e degli afflitti con un appiglio <strong>di</strong>fensivo…<br />

- Sì, ho afferrato il concetto! Quin<strong>di</strong> lei può aiutarmi?<br />

- Eeeh…sì ragazzo ti aiuterò a trovare la tua ciamacianga<br />

- Cimicirria!<br />

- Sì, cimicirria…ma…ma…devi darmi almeno un giorno <strong>di</strong> tempo!<br />

- Tutto quello che desidera Mago, purchè mi aiuti.<br />

- Certo ragazzo, adesso va! E torna domani così riavrai la tua cincischia!<br />

61


- Cimcirria!<br />

- Sì, certo. Ora va! Va! Il grande Mago deve me<strong>di</strong>tare da solo.<br />

Così Marcello si allontanò e passò tutta la giornata, e la nottata nel bosco là vicino, a contatto<br />

con la natura e dormendo in una grotta, perché era meglio soffrire un po’ <strong>di</strong> freddo durante la notte<br />

che compiere <strong>di</strong> nuovo il viaggio con la faticosa erta.<br />

Intanto il Mago, che non sapeva assolutamente che cosa fosse ciò che cercava il nostro<br />

Marcello, si arrovellò tutto il giorno e tutta la notte per cercare <strong>di</strong> scoprire che cosa fosse questa<br />

benedetta cimicirria. Si mise a pensare: ma cosa manca a quel ragazzo? Che cosa gli mancava?<br />

Sembrava tutto a posto! Eppure <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> aver perso la cosa che le è più cara. In effetti…sì, adesso<br />

capisco che cos’è! Io so risolvere tutto! Io so tutto! Nessun arcano è troppo arcano per me.<br />

All’alba Marcello si alzò nella grotta più stravolto del giorno prima e subito pensò alla ricerca<br />

della cimicirria perduta del giorno prima. Fiducioso nel grande Mago si mise <strong>di</strong> nuovo in cammino<br />

verso casa sua. Bussò. Il vecchio Mago aprì col suo fare sommesso. Spalancò la porta con un<br />

sorriso smagliante e senza proferire parola <strong>di</strong>ede al ragazzo, che quasi tremava dalla felicità, un<br />

flacone con scritto sopra “sapone”.<br />

- Tieni ragazzo. Questo è un momento solenne per te.<br />

- Ma…<br />

- Torna nella tua <strong>di</strong>mora nel villaggio, e lavati la faccia con questo. Vedrai che subito<br />

riacquisterai la tua cincillà!<br />

- Cimicirria!<br />

- Sì, cimicicirria!<br />

- Ma ne è sicuro grande Mago?<br />

- Certo, io sono sempre sicuro <strong>di</strong> tutto. Vorresti forse mettere in dubbio la potenza<br />

conoscitiva del grande Mago?<br />

- No, ma…<br />

- E allora vai, e racconta a tutti ciò che hai visto!<br />

- Sì, grande Mago.<br />

Marcello si mise in cammino sulla strada del ritorno ancora dubbioso sugli effetti <strong>di</strong> quel<br />

sapone. La strada ora sembrava meno <strong>di</strong>fficoltosa, e il nostro si stupiva come mai il giorno prima<br />

avesse faticato tanto. La curiosità cominciava a mordergli i polpacci, così si fermo al primo ruscello<br />

e si lavò la faccia con il sapone. Si guardò riflesso nell’acqua e a parte il grasso non vedeva l’ombra<br />

<strong>di</strong> alcuna cimicirria sul suo corpo. Tutto deluso entrò in città; ma nonostante la sua faccia fosse <strong>di</strong><br />

una tristezza ineffabile, il viso splendeva per la sua perfetta pulizia. Così tutto il villaggio al suo<br />

passaggio cominciò a sorridere e salutarlo. Man mano che si avvicinava a casa sua i suoi<br />

compaesani che fino a ieri l’avevano a malapena guardato in faccia, si levavano il cappello e gli<br />

facevano una gran festa <strong>di</strong> saluti, risa e “come va?”. Anche le ragazze gettavano nei suoi occhi i<br />

loro sorrisetti maliziosi che uscivano <strong>di</strong> tanto in tanto dai ventagli affascinati e affascinanti.<br />

Marcello rispondeva anch’egli con sorrisi che <strong>di</strong>ventavano sempre più larghi, fino a<br />

trecentosessantacinque denti.<br />

Quando riaccasò, si sedette ancora sbalor<strong>di</strong>to sul <strong>di</strong>vano ponderando sugli effetti miracolosi e<br />

inaspettati <strong>di</strong> quel sapone e sull’improvvisa gentilezza della gente che salutava la sua faccia pulita.<br />

E pensò: forse si può vivere felici senza cimicirria, anche se dentro rimane sempre un po’ <strong>di</strong><br />

tristezza.<br />

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RIDICULUS<br />

Il frigorifero che <strong>di</strong> tanto in tanto refrigerava; il basso continuo appena percettibile del computer<br />

acceso; l’ultimo click del cellulare che si richiudeva. Tutto dava un contemporaneo senso <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>fferenza degli oggetti alla serata ciondolante <strong>di</strong> Viktor.<br />

Dopo anni <strong>di</strong> riflessioni ho capito. Non è stata un’intuizione: ci sono arrivato dopo molti<br />

ragionamenti logici, sfoltendo le numerose proposizioni che sembravano descrivere in maniera<br />

verosimile, e a volte agghiacciatamente reale, la mia con<strong>di</strong>zione mentale, e quin<strong>di</strong> fisica. Ho<br />

scoperto ciò che ho e ciò che non ho. Anche se entrambe le conclusioni sembrano negative,<br />

considero la prima come una qualità, che si accosta all’onestà per indole <strong>di</strong> sentimento, ma se ne<br />

scosta perché l’onestà prevede che ci sia un rapporto sociale, un’interazione tra due enti. E invece<br />

io, dopo anni <strong>di</strong> elucubrazioni, sono giunto alla prima conclusione: non riesco a far finta <strong>di</strong> essere<br />

interessato.<br />

Il traffico a fatica entrava dalla finestra, quasi un ulteriore smacco al rifiuto <strong>di</strong> Viktor: tutto<br />

quello che esprimeva un rumore, una vita almeno virale, era impersonale, l’uomo non aveva a che<br />

farne. Le spora<strong>di</strong>che macchine che passavano non erano un’interruzione alla noia <strong>di</strong> quel giovedì <strong>di</strong><br />

settembre, ma la conferma che se mai fosse accaduto qualcosa, ciò si sarebbe sentito.<br />

Domani sera uscirò: venerdì. Stasera non aveva senso fare qualcosa. Sono i miei amici che<br />

credono <strong>di</strong> avere ancora vent’anni, che vogliono sentirsi ancora vent’anni, e per farlo trascinano il<br />

loro corpo in una squallida serata monotona. Anche se, forse, quelle nuove persono con cui usciamo<br />

da qualche giorno riescono a mettere del sale alle nostre giornate. Ma la maggior parte delle volte<br />

vorrei essere ovunque tranne che lì ad ascoltare le loro vite raccontate: a una certa età non ce la fai<br />

più a sentire i <strong>racconti</strong> altrui; ognuno ha sempre qualcosa <strong>di</strong> fantastico da <strong>di</strong>re, pensa che le sue<br />

esperienze siano originali, e quando si accorge della similarità al resto del mondo, allora scatta il<br />

meccanismo psicologico misterioso e affascinante: la cazzata. Chi non ha mai inventato una balla?<br />

Anch’io una volta; non so perché, ma probabilmente per il meccanismo appena descritto. Me ne<br />

sono pentito subito dopo. Ora non riesco più a <strong>di</strong>alogare con quella persona: ogni volta che ci parlo<br />

mi sento nauseantemente normale.<br />

Viktor passò in rassegna i film, anche quelli messi nel posto dei “film da vedere al più presto”.<br />

Ma niente lo attirava: uno sembrava troppo lungo, un altro un’hollywoodata, quell’altro appariva<br />

troppo problematico, e questo…<br />

Questo l’ho già visto: perché è qui? Niente. Non ho voglia <strong>di</strong> fare niente. Se avessi voluto fare<br />

qualcosa sarei certamente andato con i miei amici. Ma si stanno veramente <strong>di</strong>vertendo dentro <strong>di</strong> loro<br />

quelli che sono fuori in questo momento? O magari sarei uscito da solo. E per fare cosa? Una<br />

donna, ecco cosa mi ci vorrebbe. Ma trovarla in giro per la città, da solo, marpionemente<br />

i<strong>di</strong>ota…ecco il <strong>di</strong>fetto, l’altra caratteristica mia propria a cui sono arrivato semplificando gli<br />

elementi dell’operazione nell’equazione. Una cosa mi manca più <strong>di</strong> ogni altra: l’audacia. Essa è uno<br />

<strong>di</strong> quegli indumenti che hai o non hai nell’indole, nessuno te la può insegnare, nonostante fior fior<br />

<strong>di</strong> facoltà universitarie abbiano questa pretesa. Nessun trauma infantile te ne provoca la mancanza, e<br />

nessun’infanzia perfetta può farti nascere la sorgente <strong>di</strong> tal ruscello; al massimo l’esperienza<br />

infantile può favorirti o bloccarti in determinate situazioni, ma fondamentalmente…ora immaginare<br />

un uomo senza audacia che no riesce a far finta <strong>di</strong> essere interessato, eh! solo se veramente<br />

interessato a qualcosa o qualcuno riesce ad avere rapporti sociali. Avere rapporti sociali è<br />

probabilmente il presupposto della vita: una volta sod<strong>di</strong>sfatti i bisogni, tutto ciò che trasforma la<br />

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sopravvivenza in vita è in rapporto con gli <strong>altri</strong>. Certo: c’è la contemplazione della natura. Ma non<br />

mi pare il caso <strong>di</strong> attraversare i binari dell’ascetismo nel ventunesimo secolo.<br />

Tanto meno i suoi pochi libri attiravano Viktor nella melanconia <strong>di</strong> quella serata tiepida. Allora<br />

si alzò, e cominciò a camminare per l’appartamento, da un angolo all’altro, con falcata nervosa,<br />

toccando gli oggetti della casa che raramente toccava, andando a scovare con lo sguardo angoli<br />

poco osservati. Poi ebbe un’idea: spense la luce.<br />

Ecco: è la vista la nemica della nostra vita, è l’estetica. Abbiamo troppo sviluppato questo<br />

maledetto senso. Quando trasformarono bastardamente la ra<strong>di</strong>o in televisione immobilizzando il<br />

mondo, in maniera totalmente nuova rispetto a prima, perché alla voce avevano dato l’immagine.<br />

Ma stasera io voglio ascoltare, annusare, toccare e…e…<br />

E il pensiero <strong>di</strong> non poter gustare che i soliti cibi nascosti nel frigorifero che <strong>di</strong> tanto in tanto<br />

refrigerava, gli fece o<strong>di</strong>are la sua solitu<strong>di</strong>ne. Cominciò a o<strong>di</strong>are quelle mura. Si mise le scarpe e<br />

prese la giacca. Ma un’occhiata all’orologio rigettò Viktor nel buio.<br />

Ormai è tar<strong>di</strong>, dove credo <strong>di</strong> andare. Non ho voglia <strong>di</strong> fare niente. Non sono interessato neanche<br />

a respirare in questo momento. Mi reggo su un livello chimico <strong>di</strong> sopravvivenza, nel baratro del mio<br />

<strong>di</strong>sinteresse più totale verso gli <strong>altri</strong>, verso la vita.. devo uscire da questa con<strong>di</strong>zione, devo<br />

riattaccarmi a qualcosa, devo illudermi affezionatamente <strong>di</strong> un valore: la famiglia, l’amore, un’idea<br />

politica. Magari la patria! Ah ah ah! La patria.<br />

Solo dopo Viktor si rese conto <strong>di</strong> aver riso ad alta voce: un gesto <strong>di</strong> follia che lo preoccupò più<br />

del solito. Cominciò ad agitarsi. Spense la luce ma la riaccese subito, quasi spaventato dai fantasmi<br />

del silenzio.<br />

Mi sta scoppiando il cervello, ma devo rimanere calmo: prima o poi anche questa nottata<br />

passerà. Anzi, forse mi stenderò sul letto, ma senza spegnere la luce! Oh no: non riuscirò mai a<br />

dormire con la luce accesa, e non riuscirò mai a spegnere la luce. Mi sento in una trappola che io<br />

stesso ho fatto scattare, congeniata in modo perfetto per me, da me, che so come non farmi trovare<br />

uscite <strong>di</strong> sicurezza. Non riesco più a rilassarmi ora. Mi vorrei sedere, ma mi sconvolge quanto, se<br />

non <strong>di</strong> più, che rimanere qui in pie<strong>di</strong>, fermo, accanto all’interruttore. Sto vedendo la vita a tratti<br />

<strong>di</strong>stintivi: ogni movimento, e ogni non movimento, è <strong>di</strong>viso tra la scelta che ne implica<br />

l’acca<strong>di</strong>mento e la scelta che non lo implica; entrambe le scelte mi terrorizzano terrificantemente.<br />

Anche la lampa<strong>di</strong>na accesa <strong>di</strong>ventava un problema ora per Viktor. La spense e la riaccese<br />

subito, emettendo un piccolo sibilo <strong>di</strong> paura. Allora si gettò a terra, quasi in lacrime, cercando <strong>di</strong><br />

afferrare il pavimento, tentando <strong>di</strong>speratamente <strong>di</strong> strappare la realtà. Si tirò i capelli, si tolse la<br />

maglietta, ora frignando come un neonato, ora ringhiando come un mastino. Poi alzò lo sguardo.<br />

Basta: non posso più vivere così. Non ho voglia <strong>di</strong> continuare a lottare con la mia mente,<br />

ingombrantemente tragica e <strong>di</strong>sfatta.<br />

Si alzò. Calmo e fermo come un boia non remunerato. Andò in bagno. Aprì l’arma<strong>di</strong>etto. Prese<br />

il rasoio. Si guardò allo specchio nella penombra. Poggiò la lama sulle vene del polso destro. Perché<br />

lo fai Viktor?<br />

Perché lo fai Viktor? Ma cosa ti prende? Non fare lo sciocco, sei una persona razionale. Hai un<br />

lavoro, degli amici, una bella vita, una vaga bellezza. È solo una banale serata in cui non avevi<br />

voglia <strong>di</strong> uscire. Hai esagerato fuoriluogamente come al tuo solito. Sono momenti strani della vita,<br />

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ma passano; non sono un pazzo suicida. Ah! che stupido! Nono l’ho mai pensato nemmeno per un<br />

attimo che l’avrei fatto.<br />

Posò il rasoio e accese con calma la luce del bagno, lasciando poi scorrere l’acqua per un po’,<br />

prima <strong>di</strong> affondarci le mani per sciacquare la faccia ancora un po’ stralunata da pensieri veementi. E<br />

così Viktor passò la sua serata, andando a tuffarsi poi nel suo letto, ora comodo come il meritato<br />

riposo dopo la lunga risalita da un baratro.<br />

Ora sto molto meglio, ho proprio bisogno <strong>di</strong> dormire. Millenariamente. Solo un dubbio ho<br />

ancora: mi ha salvato la mancanza <strong>di</strong> audacia, il fatto non riesco a far finta <strong>di</strong> essere interessato alla<br />

vita?<br />

Sono ri<strong>di</strong>colo.<br />

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