In<strong>di</strong>ce <strong>Angelo</strong> <strong>Mai</strong> p. 3 Ob sesso p. 44 Il Potatore <strong>di</strong> Roccascalegna p. 49 Pazzo <strong>di</strong> te p. 53 Semplice pensiero p. 56 Alla ricerca della cimicirria perduta p. 60 Ri<strong>di</strong>culus p. 63 2
ANGELO MAI PARTE PRIMA Per la prima volta in vita sua Viktor De Michelis aprì la porta <strong>di</strong> casa per uscire. L’erba del prato rasata <strong>di</strong> fresco era immersa nel caldo, un’aria che sapeva <strong>di</strong> quelle prime estati venute a salutarci prematuramente: un’aria nuova. Fitte <strong>di</strong> vento le foglie sembravano lo specchio <strong>di</strong> quel manto, che mosse continuamente cambiavano, a loro volta, il paesaggio che nascondevano <strong>di</strong>etro, come tante piccole mani paffutelle <strong>di</strong> un bambino che modellavano senza sosta i confini del pongo spalmato sul banco. Veloci occhiolini invece tra i rami. Viktor scese il primo gra<strong>di</strong>no, dubbioso; il secondo piede si mosse molto più lentamente del primo che si staccò dal limine della soglia per raggiungere il primo dei due gra<strong>di</strong>ni che lo <strong>di</strong>videvano dal prato. Passò un essere umano sopra una bicicletta e fu quasi lui che tracciò il tratto capitolare <strong>di</strong> una strada infinita, collegata in ramificazioni spettacolari, tra viadotti e cavalcavie, <strong>di</strong>videndosi in carreggiate e corsie <strong>di</strong> decelerazione; una pallina attirata dalla sola presenza della strada, come ne è naturalmente attirata verso il basso se posta su un piano inclinato, avrebbe certamente girato gli angoli della più isolata contrada raggiunta da quattro pietre più bianche <strong>di</strong> quelle che si cercano comunemente attorno a uno stagno su cui si vuol far guizzare la nostra bravura, possibilmente più <strong>di</strong> una volta. «Il destro, dunque, per primo» pensò, e si pentì <strong>di</strong> quel pensiero che poteva colorarsi <strong>di</strong> un valore politico, contrario, tra l’altro, a quel che la sua simpatia finora pre<strong>di</strong>ligeva. D’altronde la manicheista sud<strong>di</strong>visione dei pensieri umani in due tronconi che si scontravano lungo il corso <strong>di</strong> tutta la storia, lo gettava nello sconforto dell’inutilità del pensiero, che pur comprendendolo, lo riduce. Ma era così Viktor: ogni frase che <strong>di</strong>ceva, o anche solo pensava, era inserita, per lui, in un copione che faceva parte del libro universale della storia della natura; ed ognuna <strong>di</strong> queste frasi suscettibile <strong>di</strong> interpretazione capillare da parte <strong>di</strong> critici attenti non solo a cosa significhi una data parola, ma anche a cosa significhi quella parola per quell’autore in quel periodo. La bicicletta sparì per sempre, e non finì in una stanza in cui si sarebbe certamente ritrovata. Era ora persa in quel flusso sistematico e senza sosta, vinta dalla sua stessa mobilità, così casuale che sarebbe stato possibile rincontrarla per caso, e ad<strong>di</strong>rittura anche probabile, se si fosse venuti a conoscenza del posto in cui bazzicavano <strong>di</strong> solito quelle ruote. Ma un’automobile passò ancor più spavalda, allargando quel mare <strong>di</strong> possibilità ad una casa che troppo somigliava a una reggia senza nobili. Scese l’altro scalino, sempre prima col piede destro, perché non voleva sentirsi già guarito da quel suo strano modo <strong>di</strong> vedere il mondo. E se ora la sua mente pensava solo a l’odore dell’esterno che, per la prima volta nella sua vita, non era mischiato con nessun altro odore <strong>di</strong> un posto chiuso, aveva già ragione <strong>di</strong> sentirsi guarito. «Poi perché guarito? Non è mica una malattia», e si accorse <strong>di</strong> esserci ancora dentro. Forse per quel giorno poteva bastare: le pulsioni non controllate potevano suscitargli una confusione traumatica, che gli avrebbe fatto o<strong>di</strong>are anziché amare il mondo. Ma poi perché doveva o<strong>di</strong>arlo? Come poteva? Era così vario, così multicolore, così <strong>di</strong>verso da se stesso in tutti gli infiniti angoli che era impossibile o<strong>di</strong>are in blocco la realtà esterna. Poteva o<strong>di</strong>are quel prato; ma in fondo quel prato era ancora la casa che doveva lasciare. Orizzonti che ora allargavano la sua vista a capacità neanche intuite attraverso le finestre, chiuse o aperte che fossero. Scese sul manto, ma si pentì subito: il contatto con un vegetale il cui vaso era il pianeta Terra lo scosse terribilmente. Risalì gli scalini con cauti movimenti, quasi non volesse far sentire a quell’erba e a quegli alberi che se ne andava per causa loro. Si girò confuso <strong>di</strong> tutto quel che stava vivendo; e toccò quell’uscio per la seconda volta in vita sua: stavolta per entrare. I 3
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potere dato fino a qualche tempo fa
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RIDICULUS Il frigorifero che di tan
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ma passano; non sono un pazzo suici