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Angelo Mai e altri racconti - Centro di Documentazione Pier Vittorio ...

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Lode a te, forgiatore che sei della poesia il mentore universale e la mia guida che illumina la<br />

mia strada come colui che <strong>di</strong> notte se ne va portando il lume su un grosso palo poggiato sulla sua<br />

spalla, e che illumina la strada <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé, mentre per proprio coraggio, per sé non cura il male, e<br />

guarda in faccia al buio dominando se stesso incontro all’oscurità. A te, maestro veneto che per<br />

primo mi mostrasti il mio presente al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> <strong>altri</strong> che me lo volevano in<strong>di</strong>care col <strong>di</strong>to <strong>di</strong>cendo<br />

“così è”. Non è così, è come capiremo che è così. Tu illuminami queste parole, <strong>di</strong>o della beltà,<br />

mentore delle nuove maniere <strong>di</strong> un galateo in bosco. Amo l’oltranza e o<strong>di</strong>o l’oltraggio. Fermo, nel<br />

mondo, che Pieve <strong>di</strong> Soligo si chiama, tu ti tenesti ben lontano dal treno del mondano e solo tu<br />

rimarrai, Andrea, <strong>di</strong> questo simulacro che si sgretola ai nostri posteri, <strong>di</strong>struggendo coloro che oggi<br />

credono <strong>di</strong> essere furbi. Tu solo, Zanzotto, mi chiamasti per nome e per cognome pur non<br />

conoscendomi.<br />

Viktor uscì dalla roulotte. Un fresco <strong>di</strong> luce stellare lo avvolgeva. Scese il primo scalino,<br />

dubbioso, con nessun piede, perché le ali si aprirono con la loro possenza silenziosa, e si librò<br />

nell’aria con uno sbattere uniforme, secco, flettendo bene i suoi nuovi arti, con comprensione<br />

istintiva <strong>di</strong> ogni movimento, come quando si decide, pur senza la coscienza della decisione, <strong>di</strong><br />

camminare ponendo un piede davanti all’altro, come quando in acqua per non farci trascinare<br />

dall’ozio del galleggio spingiamo una bracciata dopo l’altra per nuotare. Lui manteneva una faccia<br />

<strong>di</strong>stratta da quel movimento, proprio come il passante guarda i palazzi <strong>di</strong> un’architettura estranea<br />

alla sua visività, affascinato dai nuovi luoghi meravigliosi e non curandosi delle sue gambe, come è<br />

giusto non curarsene se si ha ben altro da pensare.<br />

Volò sopra il tendone, e attraversò le strade della città, guardando quel mondo dall’alto, fatto <strong>di</strong><br />

milioni <strong>di</strong> fantastiche vite, che possedevano mon<strong>di</strong> infiniti al loro interno, come infinito era il<br />

mondo che aveva Viktor De Michelis dentro <strong>di</strong> sé. Le sue ali non aggiungevano nulla <strong>di</strong> superiore al<br />

suo essere; solo che poteva volare e quin<strong>di</strong> osservare quegli infiniti mon<strong>di</strong> da un altro punto <strong>di</strong> vista,<br />

e mostrare a quegli uomini come fantastico sia il proprio mondo.<br />

Volò sulla casa che un tempo aveva, e la vide così piccola da quella altezza, con un tetto che si<br />

confondeva con milioni <strong>di</strong> <strong>altri</strong> tetti, come tanti puntini rossi che costituivano un tappeto unico<br />

dall’alto, senza più la possibilità <strong>di</strong> riconoscere un punto dall’alto. E volò sulla casa <strong>di</strong> Abdù<br />

Mamalà, e su quella <strong>di</strong> Stephene Okalinih, e su quella <strong>di</strong> Alain Vaneschi, anche <strong>di</strong> se quest’ultimo<br />

non conosceva la nuova casa, ma sicuramente ci volò sopra, perché quando si nuota non esiste più<br />

un punto del mare in cui non abbiamo nuotato, e l’acqua che ci ha avvolto potrebbe avvolgere ora<br />

un uomo dall’altra parte del globo senza che noi conosceremo mai né l’uomo, né il luogo, né il<br />

tempo. E volò su quelli che lo avevano bistrattato, non compreso, emarginato, o<strong>di</strong>ato, calunniato; su<br />

chi aveva paura delle sue ali perché aveva paura <strong>di</strong> scoprire un giorno le proprie.<br />

Poi tornò al circo, atterrò sullo scalino da cui era librato. Richiuse le ali. Si toccò le spalle e<br />

scoprì <strong>di</strong> non averle più. Non se ne meravigliò, ma aprì la porta <strong>di</strong> casa, per la prima volta in vita<br />

sua, per entrare.<br />

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