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Angelo Mai e altri racconti - Centro di Documentazione Pier Vittorio ...

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potere dato fino a qualche tempo fa quasi esclusivamente ai poeti. Il Festival <strong>di</strong> San Remo aveva<br />

accresciuto smisuratamente la sua popolarità, dopo gli ultimi anni <strong>di</strong> lieve declino; tutti lo<br />

guardavano in attesa <strong>di</strong> qualche errore da parte <strong>di</strong> un cantante, o comunque aspettando l’uscita dei<br />

comici che avevano cambiato la loro scaletta in base all’accaduto. Gli <strong>altri</strong> canali, ormai <strong>di</strong>sperati,<br />

avevano abortito e rimandato in uno o due giorni i loro palinsesti <strong>di</strong> Varietà, ora inutili perché visti<br />

da una percentuale prossima a zero <strong>di</strong> telespettatori; ed in sostituzione trasmettevano solo film<br />

d’autore, da Rossellini ad Ejzenstein.<br />

Nei giorni ancora successivi fu la parola “cazzo” al centro <strong>di</strong> ogni programma: i <strong>di</strong>battiti politici,<br />

ad<strong>di</strong>rittura, si interrompevano ogni tanto tra le risate provocate da uno dei due contendenti che<br />

nominava l’ex parolaccia; dopo una settimana istituirono una parcon<strong>di</strong>cio specifica per il lemma<br />

che si <strong>di</strong>ceva aumentasse “l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>mento dei telespettatori verso la persona che la<br />

proferiva”, così il numero <strong>di</strong> “cazzo” della Destra e della Sinistra doveva essere uguale a fine<br />

trasmissione. Non parliamo dei comici, che se già usavano parolacce per suscitare il riso del<br />

pubblico più incolto, ora avevano sostituito ad esse la parola cantata a mo’ <strong>di</strong> “cazzooo!” per ogni<br />

perla del repertorio.<br />

Alcuni cantanti, tornati alla ribalta proprio col Festival, riven<strong>di</strong>cavano il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> aver usato per<br />

primi offese non concesse nelle loro canzoni; in particolare un tizio col pizzetto che <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> averci<br />

fatto una hit con un pezzo che aveva per titolo una parolaccia; tutti si accorgevano però che non era<br />

proprio la stessa cosa.<br />

Come accade raramente, la storia non ebbe un calo <strong>di</strong> popolarità improvviso come hanno spesso<br />

tutti i fenomeni costruiti; appunto perché non era costruito il successo della parola “cazzo” toccò le<br />

più alte sfere dell’autorità. Se scrittori e romanzieri già ne facevano uso come i cantanti, alle lezioni<br />

universitarie entrò prepotentemente senza alcuna protesta da parte <strong>di</strong> professori, alunni o rettori. Il<br />

sindaco <strong>di</strong> un paese in provincia <strong>di</strong> Salerno propose <strong>di</strong> sostituirlo alla parola “ciao”, sia nei <strong>di</strong>scorsi<br />

orali che nelle iscrizioni; e così tutti i benzinai che avevano usato i tabelloni dell’in<strong>di</strong>cazione della<br />

benzina Super per salutare con un “ciao” inscritto perfettamente con le sue quattro lettere nei<br />

tabelloni pre<strong>di</strong>sposti per quattro cifre, comprarono un cartello apposito per sostituirlo con “cazzo”.<br />

Ma quando <strong>di</strong>co le più alte sfere intendo proprio le più alte: nel suo solito <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> fine anno a<br />

reti unificate, il Presidente della Repubblica Italiana usò questa frase per concludere la parte in cui<br />

si lamentava, sempre spoliticizzato, delle continue proteste contro la globalizzazione totale ormai<br />

incombente e chiedeva <strong>di</strong> finirla con le manifestazioni: “Lasciateci stare, cazzo!”. E così alcuni<br />

giorni dopo, in una conferenza sul Toscano, anche il presidente dell’Accademia della Crusca si<br />

dovette arrendere alla realtà, e annunciò il traslato <strong>di</strong> senso della parola da parolaccia a “espressione<br />

generale d’enfasi”. Ma il culmine bisognava ancora toccarlo: il Padre della cristianità, con quella<br />

sua voce flebile e a stento decifrabile, davanti a milioni <strong>di</strong> fedeli in piazza San Pietro, usò tre volte<br />

la parola “cazzo” nel suo sermone.<br />

Intanto il nostro Clau<strong>di</strong>o Colli sottostava a tutte le cure più avanzate <strong>di</strong> psicoterapia per risolvere<br />

il suo problema, pagando i me<strong>di</strong>ci con i miliar<strong>di</strong> fatturati dal suo singolo che, purtroppo, mostrava<br />

in copertina la sua faccia allibita <strong>di</strong> quella sera. Avrebbe voluto protestare, ma come si fa quando<br />

non si ha voce. Però poteva sicuramente rifiutare i vari inviti televisivi che aumentavano sempre sia<br />

in numero, che in compenso. Resisteva il nostro, deluso dalla vita, da quello che accadeva per colpa<br />

(o merito) sua.<br />

Le terapie non sortivano alcun effetto, così tutti gli psicologi, psichiatri e sapientoni convennero<br />

che l’unica cosa da fare era tornare sul palco <strong>di</strong> San Remo e “creare un contraccolpo <strong>di</strong> choc che<br />

sblocchi l’altro choc”; a queste parole dei dottori in casa sua, Clau<strong>di</strong>o prese il suo solito taccuino sul<br />

quale usava comunicare per questioni più pragmatiche (non avendo ancora imparato il linguaggio<br />

dei sordomuti) e scrisse “Vaffanculo!”. I dottori naturalmente risero quasi onorati dal fatto che il re<br />

delle parolacce ne avesse rivolta una verso <strong>di</strong> loro. Clau<strong>di</strong>o, perdendo quasi la calma, riscrisse:<br />

“Non avete capito: vaffanculo da qui! Questo lo sapevo da solo, non mi serviva il vostro aiuto!”.<br />

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