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Angelo Mai e altri racconti - Centro di Documentazione Pier Vittorio ...

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piazza <strong>di</strong>venne sempre più cupa, nonostante il sorriso che gli si piazzò sul volto per essere il re della<br />

festa e per l’alcool che cominciarono a offrirgli. Lo spettacolo era una questione <strong>di</strong> pubblico.<br />

Il mattino seguente Viktor si svegliò con i postumi fasti<strong>di</strong>osi della sua prima sbronza. E si<br />

svegliò col pensiero <strong>di</strong> dover lasciare l’albergo entro le un<strong>di</strong>ci. Una nuova città lo avrebbe accolto,<br />

non sapeva neanche lui per fare cosa. E quel risveglio sembrava ancor più vacuo <strong>di</strong> idee, <strong>di</strong><br />

prospettive, <strong>di</strong> sogni. L’alito pesante stomacava e l’alcool gli aveva indolenzito le ali; poi si ricordò<br />

anche che mezza città glie l’aveva toccate, e tutti pensando che fossero false. Il buio della stanza era<br />

fitto come il buio dei suoi ricor<strong>di</strong>: due sottili raggi <strong>di</strong> fotoni scoprivano dei vestiti lasciati per terra,<br />

«un po’ troppi» pensò, «sembra quasi che ne abbia tolti alcuni dall’arma<strong>di</strong>o». Aprì le tende, poi<br />

un’anta della finestra e guardò in strada: tra la gente che passava, due losche figure erano<br />

appollaiate sul muro <strong>di</strong>rimpetto la sua finestra, gettando saltuari sguar<strong>di</strong> sulla porta dell’albergo, e<br />

parlottando tra <strong>di</strong> loro, accostandosi ognuno all’orecchio dell’altro. Non sapeva per quale motivo,<br />

ma si sentiva inquietato da quelle figure, e percepiva in qualche modo che stessero aspettando lui.<br />

Chissà cosa aveva combinato nella serata libertina appena trascorsa.<br />

Poi si ricordò <strong>di</strong> avere poco tempo per lasciare la stanza; allora si allontanò dalla finestra<br />

andando a raccogliere i vestiti; un pantalone, una maglietta, le mutande e una gonna…una gonna?<br />

Si girò verso il letto: una donna con le spalle nude dormiva a tutta birra nel suo letto matrimoniale, a<br />

pancia in giù, quieta e sorridente. Affascinante anche, ma con una certa aria sfatta, probabilmente<br />

l’aria <strong>di</strong> una che era andata a letto con un uomo alato. Ora ricordava: era americana, simpatica e<br />

ubriaca; gli aveva offerto lei le bevande che portarono all’oblio. «Be’» pensò, «poco male, però<br />

deve andare via». Accese la luce, e bastò questo per suscitare in lei miagolii infasti<strong>di</strong>ti.<br />

«What? What’s the tima?»<br />

«È ora che ce ne an<strong>di</strong>amo, devo lasciare l’albergo entro mezz’ora»<br />

«Albergo?»<br />

«Sì, albergo»<br />

«Oh Angel. Sei thu. Che bello!»<br />

«Grazie, ma ora…»<br />

«Ma thu no hai tolto le…wings»<br />

«Guarda che sono vere queste»<br />

«Ah ah ah, again? You’re fool»<br />

«Vabbè, pensala come vuoi, comunque è ora <strong>di</strong> andare»<br />

«Vieni qhua, aspeta, thi volio saluthare»<br />

«Non abbiamo tempo, an<strong>di</strong>amo Sonia»<br />

«My name is not Sonia, son of a bitch, you brought me…»<br />

Uno sproloquio <strong>di</strong> grezzità suburbane riempì la bocca americo-italiana della vipera, <strong>di</strong> cui il<br />

povero “Angel” non ricordava il nome. Possedeva quella goffaggine fatiscente e ingombrante <strong>di</strong> cui<br />

si ricoprono le donne quando pensano <strong>di</strong> essere attraenti solo perché indossano vestiti all’ultimo<br />

grido <strong>di</strong> animale, e si lavano il viso <strong>di</strong> cosmetici che nulla aggiungono e nulla tolgono alla loro reale<br />

bruttezza, vedendo la maschera al vuoto nascosto sotto quella patina plastificata, vincendo però così<br />

la volontà <strong>di</strong> apparire interessanti per motivi reali. Anche i decibel aumentavano, attirando<br />

l’attenzione dei due <strong>di</strong> sotto. Viktor li guardò, e loro fecero un cenno con la testa <strong>di</strong> canzonatorio<br />

rispetto. Ora non aveva dubbi: quei due tipi erano lì per lui. Pensò a qualcuno dell’O.S.I., dell’I.S.U.<br />

o delle altre lettere puntate. Sperò in due mandati da Alain Vaneschi per ricordargli <strong>di</strong> non fare<br />

queste cose in pubblico, e magari le loro facce erano rese losche solo dalla postsbronza.<br />

IV<br />

21

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