sopravvivenza in vita è in rapporto con gli <strong>altri</strong>. Certo: c’è la contemplazione della natura. Ma non mi pare il caso <strong>di</strong> attraversare i binari dell’ascetismo nel ventunesimo secolo. Tanto meno i suoi pochi libri attiravano Viktor nella melanconia <strong>di</strong> quella serata tiepida. Allora si alzò, e cominciò a camminare per l’appartamento, da un angolo all’altro, con falcata nervosa, toccando gli oggetti della casa che raramente toccava, andando a scovare con lo sguardo angoli poco osservati. Poi ebbe un’idea: spense la luce. Ecco: è la vista la nemica della nostra vita, è l’estetica. Abbiamo troppo sviluppato questo maledetto senso. Quando trasformarono bastardamente la ra<strong>di</strong>o in televisione immobilizzando il mondo, in maniera totalmente nuova rispetto a prima, perché alla voce avevano dato l’immagine. Ma stasera io voglio ascoltare, annusare, toccare e…e… E il pensiero <strong>di</strong> non poter gustare che i soliti cibi nascosti nel frigorifero che <strong>di</strong> tanto in tanto refrigerava, gli fece o<strong>di</strong>are la sua solitu<strong>di</strong>ne. Cominciò a o<strong>di</strong>are quelle mura. Si mise le scarpe e prese la giacca. Ma un’occhiata all’orologio rigettò Viktor nel buio. Ormai è tar<strong>di</strong>, dove credo <strong>di</strong> andare. Non ho voglia <strong>di</strong> fare niente. Non sono interessato neanche a respirare in questo momento. Mi reggo su un livello chimico <strong>di</strong> sopravvivenza, nel baratro del mio <strong>di</strong>sinteresse più totale verso gli <strong>altri</strong>, verso la vita.. devo uscire da questa con<strong>di</strong>zione, devo riattaccarmi a qualcosa, devo illudermi affezionatamente <strong>di</strong> un valore: la famiglia, l’amore, un’idea politica. Magari la patria! Ah ah ah! La patria. Solo dopo Viktor si rese conto <strong>di</strong> aver riso ad alta voce: un gesto <strong>di</strong> follia che lo preoccupò più del solito. Cominciò ad agitarsi. Spense la luce ma la riaccese subito, quasi spaventato dai fantasmi del silenzio. Mi sta scoppiando il cervello, ma devo rimanere calmo: prima o poi anche questa nottata passerà. Anzi, forse mi stenderò sul letto, ma senza spegnere la luce! Oh no: non riuscirò mai a dormire con la luce accesa, e non riuscirò mai a spegnere la luce. Mi sento in una trappola che io stesso ho fatto scattare, congeniata in modo perfetto per me, da me, che so come non farmi trovare uscite <strong>di</strong> sicurezza. Non riesco più a rilassarmi ora. Mi vorrei sedere, ma mi sconvolge quanto, se non <strong>di</strong> più, che rimanere qui in pie<strong>di</strong>, fermo, accanto all’interruttore. Sto vedendo la vita a tratti <strong>di</strong>stintivi: ogni movimento, e ogni non movimento, è <strong>di</strong>viso tra la scelta che ne implica l’acca<strong>di</strong>mento e la scelta che non lo implica; entrambe le scelte mi terrorizzano terrificantemente. Anche la lampa<strong>di</strong>na accesa <strong>di</strong>ventava un problema ora per Viktor. La spense e la riaccese subito, emettendo un piccolo sibilo <strong>di</strong> paura. Allora si gettò a terra, quasi in lacrime, cercando <strong>di</strong> afferrare il pavimento, tentando <strong>di</strong>speratamente <strong>di</strong> strappare la realtà. Si tirò i capelli, si tolse la maglietta, ora frignando come un neonato, ora ringhiando come un mastino. Poi alzò lo sguardo. Basta: non posso più vivere così. Non ho voglia <strong>di</strong> continuare a lottare con la mia mente, ingombrantemente tragica e <strong>di</strong>sfatta. Si alzò. Calmo e fermo come un boia non remunerato. Andò in bagno. Aprì l’arma<strong>di</strong>etto. Prese il rasoio. Si guardò allo specchio nella penombra. Poggiò la lama sulle vene del polso destro. Perché lo fai Viktor? Perché lo fai Viktor? Ma cosa ti prende? Non fare lo sciocco, sei una persona razionale. Hai un lavoro, degli amici, una bella vita, una vaga bellezza. È solo una banale serata in cui non avevi voglia <strong>di</strong> uscire. Hai esagerato fuoriluogamente come al tuo solito. Sono momenti strani della vita, 64
ma passano; non sono un pazzo suicida. Ah! che stupido! Nono l’ho mai pensato nemmeno per un attimo che l’avrei fatto. Posò il rasoio e accese con calma la luce del bagno, lasciando poi scorrere l’acqua per un po’, prima <strong>di</strong> affondarci le mani per sciacquare la faccia ancora un po’ stralunata da pensieri veementi. E così Viktor passò la sua serata, andando a tuffarsi poi nel suo letto, ora comodo come il meritato riposo dopo la lunga risalita da un baratro. Ora sto molto meglio, ho proprio bisogno <strong>di</strong> dormire. Millenariamente. Solo un dubbio ho ancora: mi ha salvato la mancanza <strong>di</strong> audacia, il fatto non riesco a far finta <strong>di</strong> essere interessato alla vita? Sono ri<strong>di</strong>colo. 65
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