Angelo Mai e altri racconti - Centro di Documentazione Pier Vittorio ...
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cacce, nei riflessi allegri delle nevi che dolce non trovi esser fraintesa, ogni giovane mosto arde e<br />
s’esalta liberato dalle prigioni, ogni fuoco è giar<strong>di</strong>no, ogni strumento s’accorda al nuovo tocco del<br />
sole. Canestri colmi <strong>di</strong> pioggia <strong>di</strong> valle, settimana ingombrata dalle spine e dalle zinnie, dovunque<br />
tu ospiti miti mercati nelle tue radure e nelle tue piccole sere si compra e si vende e si sorride<br />
talvolta agli inviti della prima brina, e si beve al <strong>di</strong> là delle labbra.<br />
Viktor non era mai stato ad un concerto, non poteva mai essere stato ad un concerto. Per lui la<br />
musica si riduceva a quanto <strong>di</strong> contemporaneo e <strong>di</strong> casalinga fruibilità possiede questa parola. Non<br />
si era mai appassionato ad uno strumento musicale in particolare, ma li considerava come assaggini<br />
squisiti <strong>di</strong> un enorme buffet sonoro; da bere c’era la voce umana.<br />
Si agglomerava la folla all’uscita come se tutti avessero parcheggiato l’automobile nello stesso<br />
punto; Viktor salì nell’auto del suo amico, e insieme presero l’autostrada.<br />
Stephen Okalinih parlava anche troppo. I suoi giu<strong>di</strong>zi sul concerto partivano da particolari<br />
prettamente tecnici per arrivare a un giu<strong>di</strong>zio estetico emotivo, sottolineato con parolacce<br />
amplificatrici <strong>di</strong> aggettivi come «fantastico», «clamoroso» e «unico». Ma forse il loro lungo<br />
chiacchiericcio era solo una lotta contro il sonno, un killer <strong>di</strong> quei momenti che vorrebbero con la<br />
loro noia rovinare i magici momenti dell’esistenza, andandosi a posizionare tra i vuoti degli<br />
ingranaggi, come una sabbia fitta che assorbirebbe l’olio tra <strong>di</strong> essi. A volte c’è troppa sabbia, e<br />
desistiamo; ma quando deci<strong>di</strong>amo che debbano girare lo stesso, allora in quei momenti non<br />
facciamo altro che spazzare via quella sabbietta col pennellino.<br />
«La tua storia ha dell’incre<strong>di</strong>bile»<br />
I chilometri segnati dai cata<strong>di</strong>ottri sottolineavano quanto infinite fossero le strade. Ogni<br />
chilometro nascondeva ai lati dell’autostrada campagne, paesi, animali e piante: milioni, miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
vite con il loro perché, con una storia, immensa quanto è immensa quella che ognuno crede per sé.<br />
Al <strong>di</strong> là del concetto <strong>di</strong> libro; quella storia non era riassumibile da alcun Sallustio; i rappresentanti<br />
grafici e fonici non riuscivano a sostituirsi alle molteplici esperienze, perché le loro combinazioni<br />
erano inferiori ai tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> vita, così che si sarebbe avuta la stessa combinazione per un<br />
australiano cacciatore <strong>di</strong> coccodrilli e un basilicatese combattente da brigante, mostrando e<br />
<strong>di</strong>mostrando così l’assur<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> quei rappresentanti.<br />
«Sai cosa dovremmo fare?»<br />
«Certo: tutto»<br />
«Sì, ma <strong>di</strong>cevo al più presto»<br />
Non sapeva da dove cominciare Viktor; era totalmente in preda al panico della molteplicità<br />
dell’esistenza appunto. Ma Stephen aveva una priorità per lui:<br />
«Una priorità dettata solo dal fatto che siamo italiani, cazzo, è clamoroso che tu non l’abbia mai<br />
potuto fare»<br />
Vedere le gran<strong>di</strong> opere dell’uomo, gustare la magia <strong>di</strong> ogni opera pittorica dentro gli Uffizi,<br />
mischiarsi nel flusso costante <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui singoli che corrono per Londra, attraversare l’oceano<br />
volandoci o navigandoci sopra, smicciare le prostitute su una strada rinomata per ogni orario,<br />
pagare per mangiare qualcosa, lavorare contribuendo alla società come una molla socialista <strong>di</strong> una<br />
macchina immensa, sorridere a una ragazza che ti sorride ma che sta prendendo un altro autobus <strong>di</strong><br />
una città in cui non tornerai mai, bere a una fontanella dopo aver camminato ore sotto il sole, subire<br />
un sopruso economico o morale da parte <strong>di</strong> uno sconosciuto, passeggiare per una città turistica<br />
percependo i dolci suoni insensati che si colorano <strong>di</strong> senso solo in una poesia <strong>di</strong> Cummings, <strong>di</strong>re no<br />
a qualcuno che ti chiede l’elemosina, trovarsi solo in un posto sconosciuto senza sapere che ore<br />
sono e cercando un <strong>di</strong>sperato motivo per fare qualcosa.<br />
«Dovremmo fare una partita a pallone»<br />
«Quale pallone?»<br />
Stephen Okalinih apparteneva a quella fascia <strong>di</strong> persone che si ritiene interessante se si<br />
appartiene alla stessa fascia o a fasce limitrofe. Il suo linguaggio nascondeva però una certa<br />
insicurezza imposta dall’avventata eruzione <strong>di</strong> un vulcano che si chiamava ristrettezza culturale, <strong>di</strong><br />
cui sicuramente accusava i suoi genitori; invece anche loro erano coscienti, e quel che non capiva il<br />
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