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HAPPY HOUR - La Repubblica

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dell’ironia facile, quando la nostra vita sembra rallentare e<br />

incatenarsi. Mi spiego. Era una forma difficilmente sopportabile<br />

d’infantilismo cronico il mio bisogno continuo di cambiamento,<br />

che solo da poco va allentando la sua morsa. Un tic<br />

che anche mia moglie Angela faticava a tollerare. Era espressione<br />

del mio fluire verso. Ho bisogno di seguire un movimento<br />

e di ricondurre il nuovo al vissuto, interpretandolo,<br />

giustificandolo. Non mi sopporto nella staticità. Tendo al<br />

movimento e mi muovo timoroso verso la perfezione, ammesso<br />

che sappia riconoscerla. Angela ne ha le palle piene. Non<br />

posso biasimarla: lo so che lei è terrorizzata dai possibili fuori<br />

pista, dal vagone impazzito che deraglia, dalle modifiche al<br />

canovaccio imposto. Io invece svicolo, inseguo, e poi riporto,<br />

come i cani, la pietra al padrone. Questo spostamento in<br />

avanti, o indietro, o di lato, scomposto e vago, comunque,<br />

non voleva dire buttare alle ortiche il passato, no, tutt’altro:<br />

cumulavo il vecchio al nuovo. Facendone nuove sintesi.<br />

Senza perdere nulla. Aggiungevo. Mi tenevo tonico. Sentivo<br />

l’esigenza di dirmi adesso è diverso. <strong>La</strong> fissità mi svuotava.<br />

L’orizzonte degli eventi che tutto ingoia, pure. Sintonizzavo<br />

l’interno in ebollizione, sull’esterno sconosciuto; correggevo<br />

il caos e così stavo meglio. Coglievo le diversità altrui, tutto,<br />

tutto il possibile, e lo portavo nel mio buco nero.<br />

Ossessionato dagli altri, quanto da me. Eppure, fare quelle<br />

valigie, che tanto amavo, nonostante tutto, mi costava fatica,<br />

un piccolo pungente dolore. E sì e no. Sì e no, sì e no. Troppo<br />

difficile soddisfarmi. Che uomo enorme ero, per quanto interessante,<br />

credo. Un uomo interessante. Sì. Comunque.<br />

Credo. Non era mai accaduto che rinunciassi. Mi sarei preso<br />

a sputi in faccia se fosse accaduto, e subito dopo avrei ricominciato,<br />

come un matto.<br />

Soprattutto dieci anni fa. Allora ero allo spasimo. Adesso<br />

forse va meglio: controllo gli eccessi del vizio di esserci. Ma in<br />

quegli anni godevo a pieno di una fretta scivolosa, la mettevo<br />

sotto i tacchi, convinto di regalarmi così un passo più fascinoso.<br />

Dunque dicevo, la strada. <strong>La</strong> strada dell’omicidio era<br />

nuova per me. Mi eccitava. I palazzi, alti, antichi, erano infil-<br />

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