bosgattia ristampa - Stampa Libera

«Attenti che arriva Miseria!» si gridavano da una casa
all’altra; né si capì bene se l’avessero chiamato così perché
era simbolo di un’epoca grama e miserabile, o se perché col
suo passaggio egli la seminava come una malattia.
Avvenne dunque che di ritorno da una fruttuosa impresa,
Miseria sentisse il bisogno eccezionale di fare un
bagno (di solito l’uniforme gli puzzava di sudore lontano
un paio di metri, la gente diceva che non si lavava per timore
di dover lasciare qualcosa all’acqua). Sapendo però
nuotare poco o niente, accompagnato sempre dalla guardia
del corpo, andò cercando un posticino tranquillo, senza
corrente e poco profondo. Frascheggiando così per cespugli
e salici, spuntò nella lanca. Oh, ecco quel che gli ci
voleva! Intorno non si vedeva anima viva. Miseria fece ancora
su e giù una cinquantina di metri per maggior sicurezza,
poi tranquillatosi, si tirò nudo come un verme, ed
entrando nella lanca, un passettino dietro l’altro, si accoccolò
nell’acqua fino al collo a un metro dalla riva.
I camerati già a torso nudo si accingevano ad imitarlo, e
stavano con i pantaloni a mezz’asta, quando ingannato dal
silenzio, il Bosghìn sbucò fuori da dietro un gomito, dove
certe reti calate avevano bisogno di essere ripassate prima
di sera.
All’apparizione del barchino, il Feldwebel era scattato
in piedi, agitando i pugni in aria, chissà se per l’emozione
o la sorpresa; i suoi compagni, disturbati in uno scabroso
momento, pur senza capire, ma allarmati dai gesti del superiore,
s’erano buttati sui mitra abbandonati sull’erba.
Col torso nudo e i pantaloni a mezz’asta, il mitra impugnato,
due soldati ed un omino bianco come un cadavere
tutto nudo, con i buffi capezzoli violetti, e calvo da riflettere
il sole come un pezzo di latta; questa fu la forma-
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zione con cui la Wehrmacht affrontò il Bosghìn ed il suo
rematore.
– Komm hier! Subito venire qui!
Il rematore, lanciando un’occhiata disperata sulla riva,
dove Mario s’era nascosto, avanzò pian piano, con studiata
lentezza, rimuginando amari pensieri e speranze assurde.
«Miseria», ritrovata con la voce il tono inquisitorio,
senza mostrarsi imbarazzato per la sua nudità, lanciò una
violenta requisitoria, metà in italiano e metà in tedesco, inframezzata
da «verstehst du, Kerl!», «verboten», «idiot»,
che il rematore ascoltò con lo sguardo assente, sbirciando
tuttavia, senza darlo a vedere, i soldati col mitra.
Terminata la concione, il Feldwebel si raccomodò gli occhiali
sul naso, e puntato il dito contro come una pistola,
concluse: «Alora capire?». Con la sua aria più ebete, il rematore
lo guardò come se neppure lo vedesse e scrollò la
testa: «No, io niente capire!».
La sorpresa paralizzò un attimo il Feldwebel; poi furibondo,
avanzò d’un passo sempre col dito puntato. Incontrò
una buca, e tentando di ritirarsi, piombò all’indietro
nell’acqua, sollevando un ventaglio di spruzzi. Salvò gli occhiali,
non il prestigio; i soldati, che s’erano tirati su i calzoni,
furono sorpresi dal movimento del loro capo e dal
suo esito, e non trattennero le risa; così che contro di loro
e non contro il rematore si rivolse il primo impeto di furia
del capo. Riaffermato l’ordine gerarchico, il Feldwebel mitragliò
fitto fitto una predica in tedesco al rematore, ordinando
ad uno dei soldati di tradurre.
Il rematore ascoltò impassibile, con lo stesso atteggiamento
assente ed idiota di prima, poi scrollando la testa ripeté:
«No, io niente capire!». Allora il Feldwebel urlò un
comando ai soldati, quelli puntarono il mitra e ordinarono:
«Venire subito qui, idiota!».
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