bosgattia ristampa - Stampa Libera
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TAPPA ALL’OSTERIA<br />
Una sosta ci voleva.<br />
Erano partiti dal campo a scuro, con una fretta matta<br />
perché Amedeo già li stava ad aspettare sulla piarda, col<br />
pacco delle cartucce, il fucile e il fusto della benzina. E<br />
come capita a far le cose di furia, s’erano accorti, qualche<br />
ora dopo, d’aver lasciato a terra uno dei fagotti delle coperte,<br />
il cestino della colazione e persino il fornello a petrolio.<br />
Scarogna!<br />
Avevano tenuto duro mentre scendevano per il Po di<br />
Venezia, rimandando la tappa da un paese all’altro, finché<br />
avevano imboccato il braccio della Donzella; e lì gli era toccato<br />
di trascinare fame e stanchezza fra le rive nude e deserte,<br />
finché non erano comparse quelle quattro case, posate<br />
sull’argine basso come un branco di tarabusi.<br />
Ora guardavano il paesetto, a poppavia, sempre più piccolo<br />
affondare fra i giunchi della riva. Il motore brontolava.<br />
Beppe senza staccarsi dal volante, allungò un braccio<br />
e cominciò a sferruzzare tra tubi ed ingranaggi, suscitando<br />
nuvole di fumo denso e scatti dell’elica. Poi il motore pulsò<br />
regolarmente; e Beppe si alzò a dare lui pure un’occhiata al<br />
paese prima che sparisse dietro la svolta.<br />
Sdraiati sui sacchi, e un po’ intorpiditi, i Bosgattesi ripensavano<br />
alla tavola dell’osteria con la tovaglia quasi di<br />
bucato e ai piatti verdi, a fiori, e non i soliti dischi di allu-<br />
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minio da posare sulle ginocchia; alla dolcezza di farsi servire<br />
dalle donne; al gusto del pane da poco sfornato, con la<br />
crosta croccante e il cuore morbido e arrendevole, tanto diverso<br />
dal pan biscotto del campo, duro come i sassi, e<br />
sempre un po’ muffito.<br />
Il professore risentiva nelle orecchie la radio che gli ripeteva<br />
un motivo come un disco rotto; e al motivo, che lo<br />
perseguitava, si mescolava nella memoria la strascicata<br />
cantilena delle due ragazze. Sulla loro bocca carnosa, la<br />
parlata polesana si scioglieva contro il palato, molle e provocante.<br />
Mica male, proprio niente male, quelle figliuole; e soprattutto<br />
la Lùsia. Belle no, però di una salute sfacciata e<br />
prosperosa che i vestiti non riuscivano a contenere. Certo,<br />
era un brutto destino vivere confinate alla foce del Po, framezzo<br />
alle valli.<br />
Ma forse, non sarebbero restate lì: con quella madre!<br />
«Una màre, forte, ossuta, la loro, con una corporatura<br />
da granatiere, un personaggio da romanzo» rifletteva il<br />
professore, ricomponendo dalle confidenze delle ragazze<br />
e dalle frasi buttate intenzionalmente dalla gente del posto<br />
la storia di quella famiglia.<br />
Ma rivedeva gli occhi neri, fondi, della madre, e si stupiva<br />
nuovamente; erano belli, assai più belli di quelli verdi,<br />
da gatte smaniose, delle sue figliuole. E che vitalità doveva<br />
avere, quella donna!<br />
Appena sposata, la parona s’era trasferita dal Ferrarese<br />
in quel paesetto del basso Po, dove il marito faceva il magazziniere<br />
dello zuccherificio. Il marito dopo pochi anni<br />
era morto di un tumore, e lei s’era ritrovata con le due piccine<br />
sulle braccia, e sola.<br />
Con i soldi dell’assicurazione e qualche aiuto da casa,<br />
aveva rilevato l’osteria, che allora era assai male in arnese,<br />
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