bosgattia ristampa - Stampa Libera
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Quando giunsero sulla spiaggia, la folla si era molto diradata;<br />
restavano due o tre gruppetti di sfaccendati, che i<br />
carabinieri tenevano a bada. Sul ponte c’era ancora il milite,<br />
ma ormai non si fermava più nessuno. Il brigadiere era<br />
dietro a scrivere qualcosa su di un foglio, alla brava, sulle<br />
ginocchia, quando giunse il pretore. Insieme si avvicinarono<br />
al morto e un carabiniere corse a sollevare il telo, con<br />
cui l’avevano coperto.<br />
Apparve il viso dell’annegato: un viso azzurrino, cereo,<br />
con le occhiaie segnate, di un biondino esile, poco più che<br />
un adolescente. I pesci non l’avevano toccato e la travagliata<br />
fine non l’aveva sfigurato. Indossava un vestito buono, appena<br />
infangato, con qualche strappo recente sulle maniche.<br />
I piedi, nudi e bianchi, posavano sulla sabbia come due oggetti<br />
staccati. Forse s’era scalzato avventurandosi nella sua<br />
ultima impresa.<br />
– Documenti, brigadiere?<br />
– Nulla, commendatore, da identificarlo.<br />
E mostrò il portafoglio: una bustina di pelle, con dentro<br />
pochi fogli da cento, due biglietti usati di cinema, qualche<br />
foglietto di réclame e la fotografia di una donna anziana: la<br />
madre forse. Però non gli somigliava affatto.<br />
Ivo stette un pezzo a guardare quel morto con un accoramento,<br />
un disagio che finora non aveva mai provato. Gli<br />
pareva di avere vicino alle spalle la Morte; una Morte, con<br />
la grinta dura e minacciosa che gli ghignava: «eccomi, io<br />
sono così...».<br />
Chiamati i bocia, Ivo risalì mestamente l’argine, evitando<br />
il sentiero ingombro di biciclette e di moto. E tutto immerso<br />
nei propri pensieri non fece neppur caso quando da un cespuglio<br />
che dominava la spiaggia, il Lustro, il quale fissava<br />
la scena, vedendolo passar sotto, brandì il bastone con le<br />
braccia da scimmia e cominciò a mugliare rabbioso.<br />
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UN TELEGRAMMA<br />
Il postino appoggiò la motoretta contro l’albero e soffiò<br />
vigorosamente il fischietto. Sentì rispondere dall’isolotto;<br />
allora trovò un cantuccio all’ombra, con l’erba, e vi si<br />
sdraiò.<br />
Ci voleva il suo tempo perché i foresti arrivassero. Meno<br />
male che oggi non tirava vento; gli capitava di star là mezz’ora,<br />
certi giorni, prima che lo sentissero.<br />
Accostò la grossa borsa di cuoio e tirò fuori dal mucchio<br />
della posta per il campo il telegramma. Aveva dovuto<br />
farselo compitare due volte, lettera per lettera, dal telegrafista<br />
di Rovigo. Nei mesi di campeggio, veramente, il lavoro<br />
gli si ammucchiava sulle spalle; ma pur proclamando<br />
in giro con aria seccata che lui ce la faceva, quel servizio gli<br />
dava prestigio, sia in paese, che di fronte a quelli del capoluogo.<br />
In fondo, e Gervasio lo faceva intendere chiaramente, chi,<br />
se non lui, avrebbe portato al campo, senza badare a orario,<br />
espressi e telegrammi? E quei fasci di lettere e stampe?<br />
Poveri foresti, sarebbero restati a boccheggiare come<br />
caifa in secca, con tutto quel va e vieni senza il suo aiuto! E<br />
quella volta del ’mericano? Non spiccicava una parola d’italiano,<br />
poveretto, all’una di notte ancora camminava su e<br />
giù per il marciapiedi della stazione, a Rovigo; era stato lui<br />
a salvare la situazione, portando all’isolotto il fonogramma<br />
a buio.<br />
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