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IL DIBATTITO - LietoColle

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UNA TESTIMONIANZA IN FORMA DI LETTERA<br />

Cari amici di “Ulisse”,<br />

difficile per me sottrarmi al vostro cortese invito a parlare di Antonio Porta. Ma difficile<br />

anche riprendere la parola su di lui. E non perché la cura del volume delle sue poesie per Garzanti<br />

abbia esaurito il confronto con la sua scrittura: tutt‟altro, ha evidenziato piuttosto quanto ancora<br />

resti da dire sul versante della filologia dei testi, sul rapporto scrittura-oralità, poesia-teatro, poesiaracconto,<br />

poesia-arte, e sulla difficoltà e i limiti, nella nostra tradizione, di una poesia civile.<br />

Qualcosa di nuovo è uscito dal recente convegno bolognese, che ha dato conferma, intanto,<br />

dell‟interesse di una giovane generazione di critici per questa figura di poeta e artista a tutto campo.<br />

Ma torno alla mia difficoltà. Vorrei spiegare che non è stato semplice riaprire il contatto,<br />

quotidianamente, per mesi – tanto è durato l‟impegno di revisione dell‟opera di Porta – con un<br />

autore che si è conosciuto in anni giovani, gli anni dell‟apprendistato critico che conducevo<br />

all‟Università di Bologna con Luciano Anceschi, Ezio Raimondi, Guido Guglielmi. Un poeta che è<br />

divenuto poi un amico, una presenza familiare, un interlocutore appassionato di discussioni sulla<br />

poesia, sulle pagine del “Verri”, su “Alfabeta”, nei frequenti incontri bolognesi o nelle lunghe<br />

telefonate da Milano. Mentre lavoravo per il volume degli “Elefanti” lo avvertivo a fianco, in quel<br />

fermo-immagine rimasto indelebile per chi lo ha conosciuto: lui giovane, lui giovane per sempre,<br />

col suo sorriso aperto, la curiosità, la voglia di mettersi alla prova.<br />

Tanto più mi sono imposta, sapendo quanto forte poteva essere il richiamo emotivo, di condurre un<br />

resoconto critico il più spoglio e allo stesso tempo il più documentato possibile, attenendomi alla<br />

storia del testi, al loro sviluppo diacronico, con l‟intento di raccontare il farsi di una poesia sempre<br />

sperimentale, aperta a un progetto infinito. L‟intento era fornire materiali, documentazioni utili a<br />

contestualizzare di volta in volta le raccolte, nel loro sviluppo dagli anni sessanta agli anni ottanta,<br />

per consentire al lettore la più ampia possibilità di ascolto: e per lettore io intendo in primo luogo il<br />

potenziale studente, del tutto digiuno, oggi, di nozioni e informazioni sulla poesia contemporanea,<br />

che nessun corso scolastico gli fornisce in alcun modo. Il fatto sorprendente è che proprio il<br />

potenziale lettore-studente, che di Antonio Porta ignora totalmente l‟esistenza prima di mettere<br />

piede in un‟aula universitaria, incontrando quei testi che parlano di violenza e denuncia, ma anche<br />

di profonda energia vitale, di totale adesione alla vita e alla morte, dapprima si incuriosisce poi si<br />

appassiona fino a lasciarsi conquistare.<br />

Così come ero rimasta conquistata io, in un‟aula universitaria del Dams, ascoltando le lezioni di<br />

Alfredo Giuliani, Parlava dei Novissimi, e a noi studenti dei primissimi anni settanta quel tipo di<br />

poesia, a cui nessuno ci aveva abituato prima, pareva incomprensibile, difficile da accostare.<br />

Giuliani invitava con insistenza il suo piccolo pubblico di ascoltatori a scrivere brevi relazioni su un<br />

testo a scelta. Nessuno lo faceva, finché un giorno io, stanca dei reiterati inviti che cadevano nel<br />

vuoto e della irritazione del docente, ho preso in mano il libretto pubblicato da Einaudi e mi sono<br />

imbattuta nella Palpebra rovesciata. Sì, di quel testo potevo parlare, e lo feci: vi si raccontava di un<br />

disfacimento del viso, del corpo, umano, animale, vegetale, inorganico, in modi di una straordinaria<br />

efficacia visiva. Sentivo che la lingua, la pronuncia, si misuravano con l‟impatto del suono,<br />

forzavano la sintassi, premevano sulla superficie del foglio quasi a volerlo bucare.<br />

Vennero poi altre scoperte. Conobbi più a fondo la poesia di Antonio (così è sempre restato per me,<br />

che faticavo a chiamarlo Leo), e gliene scrissi le impressioni per lettera, senza averlo mai<br />

incontrato. Iniziò così una intensa corrispondenza, che grazie alle cure di Rosemary si è salvata e mi<br />

è stata restituita nella sua integrità. Non ho più smesso di seguirlo, questo poeta, di fase in fase: ed<br />

era ogni volta una scoperta, che mi impegnava come critico a mettere a punto gli strumenti di lavoro<br />

per stargli al passo. C‟era sintonia tra noi, comprensione profonda, dopo che si era rotta la soglia<br />

della diffidenza (della resistenza?), che ognuno costruisce a difesa di sé. Era – mi aveva scritto<br />

Porta nella prima lettera del 17 ottobre 1977 – “il sentimento di attrazione / repulsione che un poeta<br />

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