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IL DIBATTITO - LietoColle

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operi come una sorta di caso limite, mostrando una permanenza di temi importanti in un continuo<br />

evolvere di forme: l‟epitome, direi, di una poesia che resta di ricerca anche quando rifiuta di<br />

coincidere con l‟avanguardia, o all‟opposto, con la lirica. Credo sia chiaro che i giovani autori su<br />

cui mi soffermerò tra un momento, Elisa Biagini, Andrea Inglese, Marco Giovenale e Laura Pugno,<br />

scelti qui a titolo puramente esemplificativo, sono tutti ascrivibili interamente all‟area della<br />

cosiddetta poesia di ricerca pur presentandosi come estremamente diversi tra loro. Non me ne<br />

vogliano se i miei appunti risulteranno “recisi”, lontani dall‟analisi coerente del loro lavoro.<br />

Tuttavia, almeno così mi pare, è possibile rinvenire nella poesia di tutti e quattro, nonostante siano<br />

scarse da parte loro le dichiarazioni a riguardo, la presenza di quelle tracce sindoniche portiane a cui<br />

accennavo poco fa, o perlomeno la sagoma in controluce di questo poeta<br />

/taglio/<br />

2<br />

/biagini/<br />

nel primo libro importante di Elisa Biagini, L‟ospite(5), sembrerebbe facile individuare alcune delle<br />

tematiche più caratteristiche della poesia portiana, come l‟ossessione per il corpo e quella per lo<br />

sguardo (modulata secondo i modi della pulsione autoptica descritta da Cortellessa) e una certa<br />

crudeltà di fondo. Nulla vieta di pensare che siano soprattutto altri i riferimenti (Celan, ad esempio,<br />

o Benn), eppure, lì dove è avvenuto un contatto con il modello portiano, non è infrequente ritrovare<br />

delle spie macroscopiche: le tracce sindoniche di cui parlavo prima. Lo si verifica, ad esempio, in<br />

questo testo, che riporto per intero:<br />

Mi mostri le ferite, da soldato<br />

la tua battaglia<br />

contro un‟altra te che ti consuma<br />

negli occhi, nelle ossa<br />

nella pelle<br />

che ha tagliato i tuoi tendini da tempo,<br />

il filo tutto interno che ti tiene,<br />

palombaro che più non risale.<br />

L‟immagine del «palombaro che più non risale», apparentemente innocua, assume invece in questo<br />

contesto altamente corporale, dove il corpo è mostrato nella sua debolezza anche attraverso immagini<br />

di violenza («che ha tagliato i tuoi tendini da tempo»), come l‟indice di una rielaborazione originale<br />

del modello rappresentato da Antonio Porta. È noto, infatti, che Porta ricorre proprio all‟immagine<br />

dell‟immersione del palombaro per descrivere lo statuto del cosiddetto «poeta oggettivo» impegnato<br />

in una discesa in quello che il poeta aveva chiamato il «mare della complessità»(6):<br />

cala veloce nelle acque dentro<br />

l‟auto impennata, volontario<br />

palombaro, con un glù senza ricambio.<br />

Europa cavalca un toro nero<br />

Nel 1985, introducendo l‟auto-antologia Nel fare poesia, Porta mitiga parecchio l‟immagine del<br />

«palombaro suicida»(7): «poeta è colui che attraversa le stratificazioni come un palombaro, in<br />

discesa e in ascesa, e prova un‟irresistibile vocazione a rendere conto di queste discese-ascese»(8).<br />

Ora, se nei versi di Elisa Biagini è in corso una riflessione sul poeta-palombaro portiano, pare<br />

particolarmente indicativo che sia alla sua impossibilità di risalire che l‟autrice scelga invece di fare<br />

9

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