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IL DIBATTITO - LietoColle

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NODI DI POESIA, CULTURA E POLITICA<br />

La tendenza prevalente all‟omologazione dentro la cultura borghese, con le sue spinte<br />

individualistiche, competitive e furbesche, genera l‟incapacità di immaginare un oltre – terreno e<br />

non metafisico – e, quindi, di fare cultura. È un discorso politico, nel senso più alto, che implica<br />

responsabilità di ciascuno e di tutti, anche di chi lo ignora o fa finta di ignorarlo, poeta o altro. È un<br />

nodo toccato da Antonio Porta, e richiamato in un altro mio scritto critico 5 , di cui riporto qui sotto la<br />

sintesi di alcuni passi utili.<br />

La relazione complessiva tra cultura e società suggerisce oggi un‟immagine di separatezza, che fa<br />

ricordare la “realtà parallela”…distante e chiusa nel diaframma dell‟attualità, de L'uomo senza<br />

qualità di Musil. Intellettuali e artisti appaiono spesso una presenza-assente, simile a quella<br />

disgregata e emarginata dei Rom (termine che, ricordo, in origine vuol dire “Uomo”). Pensiero<br />

critico e anomalie sociali tendono a essere travolti dalle omologazioni del presente, come da<br />

anomie, degradi e falsificazioni della storia imposta.<br />

Logiche di potere e di mercato fanno il loro mestiere sommergendoci di prodotti di distrazione di<br />

massa, ma ciò moltiplica la responsabilità di chi vuole fare cultura, intesa come capacità di<br />

immaginare il nuovo in antitesi all‟esistente. Il che comporta linguaggi d‟arte al di là di esercizi<br />

autocentrati, tra banalità sentimentali e cerebralità, prive di eros e disinteressate all‟altro. La<br />

possibile presenza e funzione sociale di una cultura alta e altra passa dal coinvolgimento della<br />

totalità di sé, sollecitata solo se incarna e condivide esperienze comuni. Scrive a tale proposito<br />

Claudio Magris (Corriere, 21 ottobre 2007): “I poeti esibiscono spesso grandi sentimenti, ma essi –<br />

dice un verso di Milosz, grande poeta – hanno spesso un cuore freddo, anche se danno ad intendere<br />

il contrario, in primo luogo a se stessi.”.‟<br />

Certo, già in Viaggio in Italia, Goethe faceva rilievi che sembrano attualissimi, talché potremmo<br />

dire che nulla è cambiato nei secoli. Inutile però rotolarsi in pessimismi disperati e impotenti. Serve<br />

invece riflettere sui cambiamenti epocali della situazione globale, insieme a tutti coloro che tendono<br />

a misurarsi con le tragedie contemporanee generate dalla fase estrema del capitalismo, col suo<br />

corollario di crescita infinita.<br />

Non credo che oggi occorrano manifesti, grida o comizi, ma piuttosto confronti e scambi tra chi<br />

vuole misurarsi a fondo con i nodi duri del contesto, per continuare a immaginarne un superamento,<br />

un‟utopia che non sia fatta solo di speranze ingenue e illusorie. Senza di ciò, l‟oggettivo specchio<br />

tragico contemporaneo finisce frantumato nella cronaca, tra scenari grotteschi, barbarie<br />

autodistruttive e disastri apocalittici, deliri e orrori dell‟infinito presente. Dice ancora Magris (cit.):<br />

“L‟eclissi del sole dell‟avvenire sta comportando il tramonto del senso del futuro, della speranza del<br />

mondo.” 6<br />

Sono nodi che ritroviamo (L‟Unità del 18 febbraio 1989) in Antonio Porta, che rifletteva sulla<br />

posizione “conservatrice” di Karl Kraus e su quella di Luciano Anceschi. Il primo temeva “la<br />

politicizzazione dell‟arte”, pensando ai politici che riescono “a vincere sempre a spese di coloro che<br />

non partecipano al gioco”. Insomma, politica bassa da Casta. Porta, con Anceschi, parla di un‟altra<br />

politica: “Vogliamo ricominciare a parlare della politica?...lo ritengo…indispensabile e<br />

indilazionabile…da parte degli scrittori”, perché “siamo a una svolta…:non possiamo più concepire<br />

la politica come un gioco ermetico …tollerare la separatezza ormai istituzionale dai problemi reali<br />

della società contemporanea…”<br />

Una politica, dunque, che “smette di essere una tecnica di autoriproduzione e di esercizio del potere<br />

fine a se stesso, e va, finalmente, verso le cose, ha il coraggio di affrontare il reale. Questa può e<br />

deve essere la vera rivoluzione che parte dal nostro tempo.” Sono ipotesi che possono apparire oggi,<br />

e ciò misura il degrado attuale, visionarie e ingenue. Eppure credo con Porta che l‟alternativa sia tra<br />

la possibilità di una “‟mutazione genetica‟…di enorme portata culturale (e intendo il termine cultura<br />

nel suo significato più ampio, antropologico, di sistema di relazioni tra gli uomini)”, che non lasci<br />

(anche gli intellettuali) ne “l‟illusione romantica della propria incontaminata salute mentale; e<br />

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