APPUNTI DI PATOLOGIA GENERALE - Camice d'Oro
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<strong>APPUNTI</strong><br />
<strong>DI</strong><br />
<strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong><br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 1
DEFINIZIONE E OGGETTO DELLA <strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong><br />
Patologia: letteralmente studio (in greco: logos) della sofferenza (in greco : pathos)<br />
La patologia è quindi lo studio delle “sofferenze” delle cellule e dei tessuti indotte da stimoli lesivi, cioè delle malattie<br />
• … delle cellule?<br />
◦ La cellula non è un’isola ma parte di un insieme. La cellula è l’unità morfologica e funzionale<br />
dell’organismo<br />
◦ Il patologo guarda alla cellula come ad un “paziente elementare”<br />
• … malattia?<br />
◦ La malattia è una condizione del corpo o della mente che diminuisca le probabilità di sopravvivenza<br />
dell’individuo o della specie. E' vero? Molte le critiche possibili:<br />
▪ sono da escludere condizioni estrinseche<br />
▪ si deve ammettere che alcune malattie possano talora favorire la probabilità di sopravvivenza (es.<br />
anemia falciforme e talassemie)<br />
▪ non sempre individuo e specie sono svantaggiati contemporaneamente<br />
▪ non si può ignorare come i diversi contesti sociali e culturali possano influenzare la definizione di<br />
malattia<br />
• Definizione di salute dell'OMS: Salute è una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale<br />
◦ la malattia sarebbe quindi una limitazione in questo<br />
Il numero delle possibili malattie è enorme!<br />
Oltre 8000 malattie comprese nell’elenco della Classificazione Internazionale delle Malattie (1980):<br />
Sangue 71<br />
Cute 143<br />
Condizioni perinatali 162<br />
Respiratorie 174<br />
Varie 195<br />
Endocrine, nutrizionali, metaboliche, immunitarie 228<br />
Mentali 293<br />
Circolatorie 300<br />
Genitourinarie 311<br />
Digestive 332<br />
Congenite 357<br />
Neoplasie 579<br />
Infettive e parassitarie 691<br />
Muscolo, scheletro, tessuto connettivo 858<br />
Gravidanza, parto, puerpuerio 917<br />
Sistema nervoso 1167<br />
Traumi e avvelenamenti 1516<br />
TOTALE 8294<br />
Il termine “<strong>PATOLOGIA</strong>” significa letteralmente studio (in greco: logos) della sofferenza (in greco: pathos). La<br />
patologia è quindi lo studio delle sofferenze cellulari indotte da stimoli lesivi, cioè delle malattie. Il numero delle<br />
possibili malattie è enorme! La <strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong> studia i fenomeni reattivi “generali” delle cellule sottoposte<br />
a stimoli lesivi, cioè quei fenomeni che sono alla base di tutte le malattie.<br />
Alcune definizioni<br />
• ETIOLOGIA di una malattia significa causa<br />
• PATOGENESI è l’insieme dei meccanismi attraverso i quali l’agente etiologico conduce alla malattia<br />
• DECORSO<br />
◦ acuto = se inizia e poi termina con la guarigione o con la morte dell'individuo<br />
◦ cronico = se si instaura una sorta di equilibrio tra l'agente patogeno e l'organismo (per malattie infettive,<br />
es. tubercolosi), oppure non è risolvibile (es. per endocrinopatie come il diabete)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 2
◦ sub-acuto<br />
◦ sub-cronico<br />
• TOPOGRAFIA: localizzazione di una malattia<br />
◦ focale = se limitata ad una zona precisa di<br />
un organo (es. tonsillite, apice dentario)<br />
◦ diffusa = se colpisce un distretto (es.<br />
polmonite)<br />
◦ disseminata = es. malattia esantematica<br />
infantile (morbillo, varicella, rosolia)<br />
◦ sistemica = se occupa un intero sistema<br />
(sistema emopoietico, app.<br />
◦<br />
gastrointestinale, SNC)<br />
generalizzata = se si distribuisce a diversi organi, apparati, sistemi<br />
• <strong>DI</strong>AGNOSI <strong>DI</strong>FFERENZIALE<br />
◦ alcuni segni e sintomi sono comuni a più malattie, si tratta di conoscere e identificare quelli che le<br />
differenziano<br />
Cause di danno cellulare<br />
• CHIMICHE (acidi, alcali, veleni, inquinanti ambientali, alcool etilico)<br />
• FISICHE (alte e basse temperature, radiazioni ionizzanti, shock elettrico)<br />
• IPOSSIA<br />
• INFEZIONI<br />
• AUTOIMMUNITA’<br />
• ALTERAZIONI GENETICHE (esempio delle talassemie)<br />
• SQUILIBRI NUTRIZIONALI (esempio dell’aterosclerosi)<br />
Possibili reazioni della cellula all’agente dannoso<br />
• ADATTAMENTI CELLULARI (esempi: ipertrofia, atrofia)<br />
• Se sono superati i limiti dell’adattamento cellulare si crea una sofferenza o danno cellulare:<br />
• SOFFERENZA O DANNO CELLULARE REVERSIBILE (corrisponde alla degenerazione della patologia<br />
classica)<br />
• SOFFERENZA O DANNO CELLULARE IRREVERSIBILE E MORTE CELLULARE<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 3
ADATTAMENTO CELLULARE<br />
Risposta di un gruppo di cellule ad uno stimolo fisiologico o patologico che ne alteri l'equilibrio, lo stimolo è dannoso,<br />
ma non è tale da provocare un danno cellulare reversibile o irreversibile, ma altera solamente le caratteristiche<br />
funzionali e/o morfologiche della cellula, che la rende adatta alla nuova funzione richiesta.<br />
Cause di stimoli patologici<br />
• Genetici: difetti genetici, difetti cromosomici<br />
• Nutrizionale: deficienze o eccessi di sostanze nutritive, ad esempio ferro, vitamine<br />
• Immunologico: danni causati dal sistema immunitario, ad esempio autoimmunità<br />
• Endocrino: attività ormonale carente o eccessiva<br />
• Agenti fisici: traumi meccanici, danno termico, radiazioni<br />
• Agenti chimici: molti agenti chimici tossici, ad esempio metalli pesanti, solventi, farmaci<br />
• Agenti infettivi: infezioni da virus, batteri, parassiti, funghi e altri organismi<br />
• Anossia: di regola secondaria ad alterazioni della funzione respiratoria o della funzione circolatoria<br />
Le cellule sono unità capaci di adattamento: se le cellule costituissero un sistema statico e rigido ogni cambiamento<br />
ambientale provocherebbe uno sconvolgimento della funzione dei tessuti.<br />
Le cellule si adattano a cambiamenti di ambiente accettabili: per mantenere una funzione normale le cellule<br />
adottano modificazioni metaboliche fisiologiche.<br />
Esempi sono: la mobilizzazione del calcio dalla matrice ossea per effetto del paratormone nelle carenze; la<br />
metabolizzazione degli acidi grassi nel digiuno; enzimi lisosomiali epatici dopo somministrazione di rifampicina.<br />
Le cellule possono anche andare incontro a modificazioni strutturali: ciò accade anche in condizioni fisiologiche<br />
(adattamenti fisiologici strutturali):<br />
• Ipertrofia<br />
• Iperplasia<br />
• Atrofia<br />
• Metaplasia<br />
Modificazioni severe dell’ambiente di vita delle cellule costituiscono stimoli patologici.<br />
Non sempre i confini fra fisiologico e patologico sono rigidi e possono essere schematizzati a priori: molte le variabili.<br />
Meccanismi come ipertrofia e iperplasia possono verificarsi contemporaneamente in seguito alla risposta di organi e<br />
tessuti a un aumentato stress e alla perdita cellulare.<br />
Iperplasia = aumento del numero di cellule => aumento del volume dell'organo. E' possibile negli organi le cui cellule<br />
possono dividersi (es. fegato).<br />
− Fisiologica<br />
− da stimoli ormonali (es. utero in gravidanza, mammella in lattazione)<br />
− compensatoria = es. in seguito a epatectomia parziale => promossa da fattori di crescita a effetto promitogeno<br />
e da ormoni come GH => in seguito, quando la massa epatica si è ripristinata, il fegato stesso<br />
produce fattori inibitori per la proliferazione<br />
− Patologica<br />
− in genere da iperstimolazione ormonale o per effetto dei fattori di crescita<br />
− es. iperplasia adenomatosa dell'endometrio (aumenta il numero di elementi ghiandolari) => dovuta a<br />
squilibrio tra estrogeni (che sono troppo elevati) e progestinici<br />
− es. iperplasia prostatica<br />
L'iperplasia regredisce al cessare dello stimolo ormonale, ma quella patologica è un terreno fertile sul quale può<br />
eventualmente instaurarsi una proliferazione neoplastica.<br />
L'iperplasia è una risposta importante del tessuto connettivale nella guarigione delle ferite.<br />
Ipertrofia = aumento di dimensioni delle cellule (e conseguentemente dell'organo), è sempre accompagnata da aumento<br />
di numero degli organelli intracellulari (mitocondri, fibrille, ecc.). In alcuni casi non può verificarsi insieme<br />
all'iperplasia (non c'è aumento di numero di cellule) perché le cellule dell'organo non possono dividersi (es. miocardio).<br />
− fisiologica o patologica<br />
− da stimolazione ormonale (estrogeni nell'utero gravidico)<br />
− da aumentata richiesta funzionale (muscolo scheletrico/cardiaco per aumentato carico di lavoro)<br />
− muscolare = in questo tessuto è sempre ipertrofia, per aumento del carico di lavoro (aumento del numero<br />
di miofibrille per cellula)<br />
− nel miocardio la ipertensione arteriosa sistemica comporta ipertrofia cardiaca per aumento di lavoro<br />
− aumentano le dimensioni cellulari, ma non il numero di capillari del microcircolo e quindi c'è tendenza<br />
all'ipossia<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 4
− il rapporto tra volume cellulare e superficie non aumenta proporzionalmente<br />
Atrofia = sarebbe più corretto chiamarla ipotrofia, perché il tessuto non scompare! E' la riduzione delle dimensioni<br />
della cellula per perdita di elementi cellulari. Può culminare con la morte cellulare (per necrosi o apoptosi).<br />
− fisiologica o patologica<br />
− da disuso (es. arto ingessato)<br />
− atrofia del muscolo<br />
− osteoporosi da non uso<br />
− da denervazione (es. poliomielite)<br />
− da diminuito apporto sanguigno<br />
− da inadeguata nutrizione<br />
− da perdita di stimolazione endocrina<br />
− nell'invecchiamento (es. del cervello, forse per diminuito apporto sanguigno)<br />
− nell'atrofia timica il tessuto dell'organo è sostituito da quello adiposo<br />
− da compressione prolungata del tessuto<br />
L'atrofia si verifica attraverso la degradazione degli elementi cellulari, ad es. la degradazione proteica. Normalmente c'è<br />
un equilibrio tra produzione e degradazione delle proteine, che è regolata anche da ormoni:<br />
− Ormoni tiroidei e glucocorticoidi => stimolano la degradazione proteica<br />
− Insulina => stimola l'effetto opposto<br />
L’atrofia senile è associata con autofagia proteine strutturali ed organuli delle cellule sono distrutti =>Il materiale non<br />
digeribile forma i granuli (o pigmenti) di lipofuscina => restano questi addensamenti scuri visibili al microscopio.<br />
Quando c'è apoptosi non si vede mai un grande numero di cellule in questa fase, mentre ciò avviene quando c'è necrosi.<br />
Metaplasia = Si pensa che insorga per una riprogrammazione genetica di cellule staminali residenti in molti tipi di<br />
epitelio o di cellule mesenchimali indifferenziate presenti nel tessuto connettivale. Deriva dalla riprogrammazione degli<br />
elementi staminali del tessuto.<br />
• E’ la sostituzione di una cellula adulta epiteliale o connettivale con un’altra cellula adulta di diverso tipo, più<br />
adatta alle nuove condizioni ambientali<br />
• es. nelle vie aeree superiori = sostituzione dell'epitelio cilindrico ciliato con un epitelio pavimentoso<br />
pluristratificato (detta perciò metaplasia pavimentosa) che non può allontanare il pulviscolo, ne produrre<br />
muco. Ha però un maggior spessore dell'epitelio originale e dà maggior difesa da insulto chimico del fumo.<br />
Arma a doppio taglio: più adatto alla sopravvivenza ma meno protetto<br />
◦ provocata anche da carenza di vitamina A<br />
• es. metaplasia colonnare dell'esofago per reflusso gastrico<br />
• metaplasia connettivale = quando si forma cartilagine, osso, tessuto adiposo dove normalmente non sono<br />
presenti<br />
Fatti principali dell'adattamento cellulare:<br />
− le cellule possono adattarsi entro limiti fisiologici<br />
− producono proteine da stress (HSP) che proteggono dal danno e facilitano il recupero<br />
− quando lo stimolo è ripetuto<br />
− una richiesta funzionale aumentata è soddisfatta da ipertrofia e iperplasia<br />
− riduzione per disuso o per scarsa nutrizione è soddisfatta con atrofia e riduzione metabolica<br />
− riduzione del numero di cellule nei tessuti è soddisfatta da apoptosi => fagocitosi<br />
− i tessuti possono adattarsi alla funzione con un cambiamento di differenziamento (metaplasia)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 5
DANNO CELLULARE<br />
Danno = stimolo nocivo di varia natura subito dalla cellula<br />
− chimico = alcali, acidi, detergenti, inquinanti ambientali, alcol etilico<br />
− fisico = calore, raffreddamento, radiazioni ionizzanti, radiazioni eccitanti, shock elettrico<br />
− biologico = veleni: interferiscono con le principali funzioni energetiche/di sintesi della cellula<br />
− ipossia<br />
− infezioni<br />
− autoimmunità<br />
− alterazioni genetiche (es. talassemie)<br />
− squilibri nutrizionali (es. aterosclerosi)<br />
Entità del danno = dipende dall'intensità e dalla durata dell'insulto<br />
− lieve e breve => sofferenza cellulare => reversibilità => ritorno alla normalità<br />
− si parla di degenerazione = perché si è visto che prevale la alterazione morfologica<br />
− forte e prolungato => morte cellulare<br />
− programmata = apoptosi<br />
− non facente capo a meccanismi genetici predisposti = necrosi<br />
Possibili reazioni della cellula all'agente dannoso<br />
− adattamenti cellulari: es. ipertrofia, iperplasia, atrofia, metaplasia<br />
− produzione di proteine da stress<br />
− se sono superati i limiti dell'adattamento cellulare si crea una sofferenza o danno cellulare:<br />
− sofferenza o danno cellulare reversibile = corrisponde alla degenerazione della patologia classica<br />
− es. rigonfiamento torbido, degenerazione vacuolare, degenerazione idropica, steatosi<br />
− sofferenza o danno cellulare irreversibile e morte cellulare<br />
− la necrosi rappresenta sempre un processo patologico<br />
− l'apoptosi non è necessariamente associata al danno cellulare<br />
DEGENERAZIONI CELLULARI – DANNO CELLULARE REVERSIBILE<br />
Aspetti morfologici del danno cellulare ancora reversibile:<br />
− modesta formazione di bolle sulla superficie cellulare<br />
− rigonfiamento mitocondriale di lieve entità<br />
− disaggregazione del reticolo endoplasmatico<br />
1) Rigonfiamento torbido<br />
Aumento di volume, aspetto opaco, visione offuscata del nucleo, confini intercellulari indistinti.<br />
E' torbido perché aumenta il volume dei mitocondri che assumono un aspetto rotondeggiante, non sono visibili al<br />
microscopio ottico, ma danno diffusione laterale della luce proporzionalmente alla loro dimensione e quindi si ha una<br />
minor trasparenza.<br />
L’aspetto torbido è palese nell’osservazione cellulare a fresco o al microscopio elettronico.<br />
Nelle comuni fissazioni e colorazioni si osserva solo l’aumento di volume delle cellule e una certa granulosità del<br />
citoplasma.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 6
Cause:<br />
− tossine batteriche (es. difterica negli stadi iniziali, in seguito può dare steatosi)<br />
− veleni<br />
− ipossia = diminuito apporto di ossigeno<br />
− anemica = diminuito trasporto di ossigeno con l'emoglobina<br />
− ipossica = scambi respiratori insufficienti<br />
− da ristagno = per ristagno locale di sangue<br />
− istotossica = se c'è una limitazione nel trasporto degli elettroni nella catena mitocondriale<br />
− ischemia = difetto di apporto ematico (e quindi di ossigeno e nutrienti) per ostruzione arteriosa o per ristagno<br />
venoso<br />
Cellule colpite: epatociti, tubuli renali, miocardiociti<br />
Lesione biochimica del rigonfiamento torbido<br />
Minore efficienza della fosforilazione ossidativa => diminuzione del rapporto P/O => riduzione ATP => riduzione<br />
pompe di membrana (sono il primo sistema a risentire dell'insufficienza di ATP, ad es. la pompa Na+/K+) => accumulo<br />
acqua cellulare => rigonfiamento cellulare.<br />
Sintesi proteiche nel rigonfiamento torbido<br />
• L’aumento di volume cellulare è accompagnato da una aumentata sintesi proteica<br />
• Il peso del fegato nel rigonfiamento torbido aumenta del 20%, ma l’iperidratazione giustifica solo il 5%<br />
• Il rigonfiamento torbido è una ipertrofia cellulare tendente alla degenerazione<br />
• La cellula dirotta l’energia disponibile alle sintesi macromolecolari, con compromissione invece di altre<br />
funzioni<br />
Il rigonfiamento torbido non è ormai più preso in considerazione, perché oggi si va più nello specifico.<br />
2) Degenerazione vacuolare<br />
Formazione di vacuoli nel citoplasma di<br />
dimensioni sempre più grandi, fino ad arrivare<br />
ad una forma vescicolare vera e propria<br />
• microvacuolare<br />
• macrovacuolare<br />
• vescicolare<br />
Sedi: rene, cuore e soprattutto fegato.<br />
Cause: principalmente ipossia, specialmente nel<br />
fegato, che ha il circolo portale e nella zona<br />
centrolobulare le cellule sono prossime al punto<br />
di asfissia perché c'è sangue venoso ed è la<br />
prima parte a risentire dell'ipossia.<br />
Danni biochimici: ridotta produzione di ATP per<br />
minor quantità di ossidazione nella catena<br />
mitocondriale, ridotta attività delle pompe e<br />
ridotta sintesi macromolecolare.<br />
Fosfofruttochinasi = catalizza reazione fru =><br />
fru 1,6BP<br />
Il termine edema qui è un po' improprio.<br />
Qui la riduzione dell'ATP è dovuta alla riduzione<br />
dell'ossidazione e non da disaccoppiamento P/O.<br />
Non c'è aumentata sintesi macromolecolare, ma il<br />
rigonfiamento è dato solo dall'ingresso di acqua.<br />
4) Degenerazione idropica<br />
Dovuta a danno della membrana e/o delle pompe di<br />
mebrana => tutta la cellula è rigonfia a causa<br />
dell'ingresso di acqua per osmosi. Non ci sono<br />
vescicole.<br />
Sedi: soprattutto epitelio renale e altri epiteli.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 7
3) Steatosi<br />
Definizione: E’ un accumulo di grasso istochimicamente dimostrabile al microscopio ottico in cellule che normalmente<br />
non ne contengono.<br />
Sedi: soprattutto fegato, ma anche rene e cuore (nel fegato perché è un organo centrale nel metabolismo dei lipidi).<br />
Coloranti dei lipidi per microscopia ottica:<br />
− Sudan V => nero<br />
− Sudan III => arancio<br />
− acido osmico => precipita e colora in nero i grassi<br />
Il grasso deve ovviamente rimanere nelle cellule del preparato, normalmente invece si usa includerlo in paraffina dopo<br />
passaggio in alcol e xilolo => tutta la procedura scioglie i grassi e dove erano presenti resta solo un buco. Il grasso è<br />
preservato affettando il preparato col microtomo al congelatore (con anidride carbonica liquida che congela il pezzo<br />
rendendolo affettabile) => poi si colora.<br />
Alternativamente si può usare fissazione attraverso sali dell'acido osmico => i grassi si colorano in nero => è più adatto<br />
alla visione al microscopio elettronico.<br />
Il vacuolo delle degenerazioni vacuolari ha sempre una nube eosinofila attorno, mentre il vacuolo normale è solo un<br />
buco. Il nucleo nella degenerazione vacuolare resta centrale, mentre nella steatosi si sposta perifericamente (detto anello<br />
con castone).<br />
Metabolismo dei grassi:<br />
− i grassi dall'intestino tenue (origine esogena) => chilomicroni => cedono grassi al tessuto adiposo attraverso la<br />
lipasi lipoproteica => si trasformano in un residuo chilomicronico che può essere captato dal fegato.<br />
− grassi da adipociti (origine endogena) => il fegato riceve da loro anche NEFA (non-esterified fatty acids) sotto<br />
stimolo di adenilato ciclasi o di adrenalina => viaggiano legati ad albumina<br />
− il fegato rilascia i grassi attraverso le VLDL<br />
Se c'è equilibrio tra grassi acquisiti dal fegato ed esportati si ha una situazione normale, ma se ne assume troppi o ne<br />
rilascia pochi il grassi si accumulano.<br />
Il fegato macroscopicamente esternamente appare traslucido, lucente, giallastro.<br />
CLASSIFICAZIONE DELLA STEATOSI<br />
• Classificazione etiologica (per cause che portano all'insorgenza della patologia)<br />
• da cause dietetiche<br />
• da cause ormonali<br />
• da cause tossiche<br />
• da ipossia<br />
• da infezioni<br />
• Classificazione patogenetica (per meccanismi che portano all'insorgenza della patologia) => migliore<br />
• sovraccarico di grassi di origine extraepatica<br />
• provenienti da dieta iperlipidica<br />
• provenienti da eccessiva mobilizzazione di acidi grassi dai depositi (tessuti adiposi)<br />
• diabete<br />
• obesità<br />
• eccessiva sintesi di trigliceridi negli epatociti<br />
• soprattutto da alcolismo (intossicazione da etanolo)<br />
• anche per dieta iperlipidica<br />
• carenza di acidi grassi polinsaturi<br />
• deficiente ossidazione epatica degli acidi grassi (β-ossidazione)<br />
• ipossia ipossica/anemica/stagnante/istotossica<br />
• carenze vitaminiche del gruppo B [di biotina (B8) e cobalamina (B12) => necessarie per<br />
l'ossidazione finale del propionil-coA (3 atomi di carbonio) che deriva dagli acidi grassi a catena<br />
dispari]<br />
• danno mitocondriale da etanolo<br />
• deficiente escrezione epatica di lipoproteine ricche di trigliceridi (VLDL)<br />
• digiuno prolungato<br />
• deficit proteico<br />
• diete ipoproteiche<br />
• inibizione della trascrizione (aflatossina, amanitina)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 8
• inibizione della traduzione (puromicina, tossina difterica, ricina/modeccina, etionina [trappola<br />
ATP e inibizione dell'attivazione degli aminoacidi])<br />
• kwashiorkor [gravissima forma di denutrizione in particolare proteica, es. bambini africani<br />
svezzati troppo in fretta ai quali viene data una dieta composta praticamente solo da carboidrati<br />
=> edema generalizzato, lesioni cutanee, fortissimo calo ponderale, ecc.]<br />
• sostanze inibenti la sintesi proteica ma non la mobilizzazione dei lipidi<br />
• variazioni qualitative dei lipidi di membrana<br />
• deficit di fosfolipidi (dieta priva di colina, ipervitaminosi PP [niacina, vitamina del gruppo B])<br />
• avvelenamento da CCl4 (teatracloruro di carbonio)<br />
• scissione omolitica del CCl4 in radicali perossidanti (CCl4 + e- => CCl3 + Cl-)<br />
• cloroalchilazione delle proteine del reticolo endoplasmico<br />
• perossidazione lipidica delle membrane intracellulari delle vescicole che dovrebbero esportare le<br />
VLDL<br />
• alterazioni funzionali del citoscheletro +<br />
• acetaldeide proveniente dal metabolismo dell'etanolo<br />
Steatosi epatica = accumulo negli epatociti di trigliceridi (glicerolo + 3 catene di acidi grassi) perché si instaura un<br />
disequilibrio fra quantità presente e capacità di smaltimento.<br />
PATOGENESI DELLA STEATOSI DA ETANOLO<br />
Abuso di alcool<br />
L’etanolo è la sostanza più usata e abusata del mondo. Si calcola che negli Stati Uniti vi siano tra i 15 e i 20 milioni di<br />
alcolisti e circa 100 000 decessi all'anno sono dovuti all'eccesso di alcool, con un costo in termini economici stimato in<br />
100-130 miliardi di dollari.<br />
L'assunzione di etanolo avviene attraverso le bevande alcoliche come la birra, il vino e i superalcolici. Un livello<br />
ematico di alcool pari a 50 mg/dl è considerato, in Italia, il limite di legge per la definizione di guida in stato di<br />
ebbrezza.<br />
Si raggiunge questo livello ematico (uomo di 70 kg di peso) con l’assunzione di circa 45 ml di etanolo<br />
a livelli ematici di 300-400 mg/dl si ha coma, arresto respiratorio e morte.<br />
Fenomeno della induzione enzimatica: i bevitori abituati possono tollerare tassi alcolici fino a 700 mg/dl. Questa<br />
tolleranza metabolica può essere spiegata da una induzione, (5-10 volte rispetto alla norma) degli enzimi microsomiali<br />
di biotrasformazione, soprattutto il citocromo P-450 (CYP2El).<br />
Tasso alcolemico e guida<br />
La guida in stato di ebbrezza è sanzionata dall' art. 186 del codice della strada. E' un reato di competenza del Tribunale e<br />
non del Giudice di pace.<br />
Con il nuovo decreto legge del 3 agosto 2007, convertito il legge 2 ottobre 2007, le sanzioni sono ancora più severe:<br />
• tra 0,5 g/l a 0,8 g/l ammenda da 500 a 2.000 euro. Sospensione della patente da 3 a 6 mesi.<br />
• tra 0,8 e 1,5g/l ammenda tra 800 e 3.200 euro e arresto fino a 3 mesi. Sospensione della patente per un periodo<br />
di tempo compreso fra 6 mesi e 1 anno.<br />
• oltre 1,5 g/l ammenda tra 1.500 e 6.000 euro e arresto fino a 6 mesi. Sospensione della patente da 1 a 2 anni.<br />
BIOTRASFORMAZIONE DELL'ETANOLO<br />
L'etanolo viene trasformato in acetaldeide da tre enzimi:<br />
− l'alcol-deidrogenasi presente nel fegato e nella mucosa gastrica<br />
− il citocromo P-450 (CYP2El) e la catalasi presenti a livello epatico<br />
L'acetaldeide a sua volta viene convertita in acido acetico dall'enzima aldeide-deidrogenasi.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 9
Il gene dell'aldeide-deidrogenasi mostra un polimorfismo che influenza il metabolismo dell'etanolo. Circa il 50% dei<br />
Cinesi, dei Giapponesi e dei Vietnamiti ha una attività ridotta dell'enzima, a seguito di una mutazione puntiforme che<br />
converte il residuo aminoacidico 487 da glutamina a lisina.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 10
DANNI DA ETANOLO<br />
Danni epatici, in ordine di apparizione:<br />
− steatosi (o degenerazione grassa) = manifestazione acuta e reversibile dell'assunzione di etanolo.<br />
Nell'alcolismo cronico l'accumulo di lipidi può determinare un notevole ingrossamento del fegato<br />
− epatite alcolica acuta<br />
− cirrosi = aumento del tessuto connettivo fibroso attorno ai lobuli epatici degenerati<br />
Patogenesi del danno epatico<br />
• Aumenta il catabolismo lipidico nei tessuti periferici => incremento dell'apporto di acidi grassi liberi al fegato<br />
• Stimolo della sintesi lipidica epatica da acido acetico => accumulo di lipidi<br />
• la biotrasformazione dell'etanolo ad acetaldeide nel citosol e dell'acetaldeide ad acido acetico nel<br />
mitocondrio, converte il NAD+ a NADH un eccesso di NADH stimola la biosintesi lipidica<br />
• Nel mitocondrio diminuisce l'ossidazione degli acidi grassi<br />
• L'acetaldeide forma addotti con la tubulina alterando le funzioni dei microtubuli, ciò causa una diminuzione<br />
della liberazione di lipoproteine di origine epatica<br />
Danni acuti dell'etanolo al sistema nervoso<br />
• L’etanolo ha un effetto di depressione del SNC, e provoca disinibizione comportamentale.<br />
◦ Il meccanismo di questa azione centrale non è completamente chiaro. Sebbene l'etanolo, a concentrazioni<br />
efficaci, produca un aumento del disordine strutturale di membrana, è più probabile che la sua azione<br />
dipenda principalmente dai suoi effetti sui canali ionici di membrana e su recettori specifici.<br />
• Le principali attività sono:<br />
◦ aumento dell'inibizione mediata dal GABA, principale amminoacido inibitorio del sistema nervoso<br />
centrale: l'etanolo aumenta l'azione del GABA sui recettori GABAA.<br />
◦ inibizione dell'ingresso del calcio attraverso i canali del calcio voltaggio-dipendenti: l'etanolo inibisce il<br />
rilascio dei trasmettitori in risposta alla depolarizzazione delle terminazioni nervose attraverso l'inibizione<br />
dell'apertura dei canali del calcio neuronali<br />
◦ inibizione della funzione dei recettori NMDA (recettore post-sinaptico dell'acido glutammico, principale<br />
neurotrasmettitore della nocicezione)<br />
• Altre attività dell'etanolo, la cui importanza non è ancora ben chiara, sono l'aumento degli effetti eccitatori<br />
prodotti dai recettori colinergici nicotinici e dai recettori serotoninergici 5-HT3<br />
Danni cronici dell'etanolo al sistema nervoso<br />
• La somministrazione cronica causa sindromi neurologiche irreversibili, dovute all'etanolo stesso o ai suoi<br />
metaboliti, o secondarie alla carenza di tiamina che viene costantemente osservata negli alcolisti<br />
• La maggior parte degli etilisti cronici mostra un grado di demenza associato a un allargamento dei ventricoli<br />
• Può anche essere presente degenerazione del cervelletto e in altre regioni encefaliche<br />
• Sindrome di Wernicke: atassia (progressiva perdita della coordinazione muscolare), alterazione delle capacità<br />
cognitive, oftalmoplegia (paralisi dei muscoli oculari) e nistagmo (movimento oscillatorio involontario dei<br />
globi oculari), a causa di lesioni al cervelletto<br />
• Sindrome di Korsakoff: gravi alterazioni della memoria con disorientamento spaziale<br />
Danni dell'etanolo al sistema cardiocircolatorio<br />
• L’alcol ha numerosi effetti acuti e cronici sull’apparato circolatorio<br />
• Vasodilatazione cutanea e iperemia gastrica<br />
◦ Aumentata perdita di calore (che dà la tipica sensazione di calore) con diminuzione della temperatura<br />
corporea, che, insieme alla depressione dei centri termoregolatori, aumenta il rischio di morte per<br />
ipotermia<br />
• Aritmie cardiache (prolungamento dell’intervallo QT nell’elettrocardiogramma) e depressione della<br />
contrattilità del muscolo cardiaco, con conseguente cardiomiopatia<br />
• Aumento della pressione sanguigna<br />
• Aumentata incidenza di infarto in chi beve tra i 40 e i 60 grammi di alcol al giorno<br />
• Un moderato consumo giornaliero (20-40 g/dì) invece è correlato a una riduzione di circa il 30% della<br />
mortalità da ischemia miocardica<br />
◦ Questo effetto è dovuto all’inibizione dell'aggregazione piastrinica e un aumento del colesterolo HDL, con<br />
una conseguente protezione dalle coronaropatie e prevenzione dell’aterosclerosi che è invece comune tra<br />
gli etilisti cronici<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 11
◦ il vino rosso contiene anche antiossidanti<br />
Danni dell’etanolo al tratto gastrointestinale<br />
• Aumento della secrezione salivare e gastrica, effetti riflessi prodotti dal gusto e dall'azione irritante di alte<br />
concentrazioni di etanolo a livello gastrico<br />
• In bevitori cronici di alcol si ha malassorbimento intestinale e diarrea, probabilmente dovuti a cambiamenti<br />
morfologici dell’epitelio intestinale (con un appiattimento dei villi) e una diminuzione degli enzimi digestivi<br />
◦ una riduzione di assorbimento delle proteine significa anche un minor apporto di aminoacidi al fegato, che<br />
può produrre di conseguenza meno proteine => meno VLDL => steatosi<br />
• Effetto tossico sia acuto che cronico sul pancreas, con conseguenti pancreatiti probabilmente per una azione<br />
tossica diretta sulle cellule degli acini pancreatici<br />
• I maggiori effetti tossici si osservano nel fegato:<br />
◦ steatosi<br />
◦ Il danno epatico progredisce verso un'irreversibile necrosi e fibrosi epatica: cirrosi<br />
◦ l'aumento ematico della gamma-glutamil-transpeptidasi (GGT) è un indice di danno epatico<br />
◦ La cirrosi è fattore di rischio per l'epatocarcinoma (HCC)<br />
Danni dell’etanolo al sistema riproduttivo<br />
• L’assunzione, sia acuta che cronica, provoca impotenza nell’uomo<br />
• Circa il 50% degli etilisti cronici di sesso maschile sono impotenti e mostrano segni di femminilizzazione<br />
testicolare e ginecomastia (sviluppo delle mammelle nell'uomo)<br />
• Questi effetti sono sia secondari a un’alterata funzione dell’ipotalamo, che diretti sulle cellule di Leydig,<br />
provocando una inibizione della sintesi steroidea testicolare<br />
• In donne alcoliste è stata segnalata una diminuzione della libido e della lubrificazione vaginale e alterazioni del<br />
ciclo mestruale<br />
• L’etanolo riduce la secrezione di ossitocina, il che provoca un ritardo del parto<br />
• Inoltre nelle donne che fanno uso di alcool si osserva un aumento del rischio di aborto spontaneo<br />
Embrio e Fetopatia<br />
• L’assunzione di alcol durante la gravidanza provoca effetti tossici gravi sull’embrione e sul feto<br />
• Nel primo trimestre aumenta significativamente il rischio di aborto spontaneo<br />
• Nel bambino si osserva tipicamente la sindrome alcolica fetale:<br />
◦ anomalie craniofacciali (tra cui microcefalia)<br />
◦ disfunzioni del sistema nervoso centrale (iperattività, deficit di attenzione, ritardo mentale e disfunzioni<br />
dell’apprendimento)<br />
◦ rallentamento della crescita.<br />
• L’incidenza della sindrome alcolica fetale negli Stati Uniti è di circa 0,5-1 bambino su 1000 nati<br />
Altri effetti<br />
• L’alcol stimola la diuresi a causa di una inibizione del rilascio di vasopressina (ADH) da parte dell’ipofisi<br />
posteriore (neuroipofisi). Il consumo cronico di alcol provoca tolleranza a questo effetto.<br />
• L’alcol stimola l'ipofisi anteriore a secernere ACTH provocando un aumento della secrezione di ormoni<br />
steroidei dal surrene (sindrome pseudo-Cushing).<br />
Intossicazione acuta<br />
I primi ben noti sintomi di intossicazione acuta da etanolo nell'uomo sono un eloquio indistinto, incoordinazione<br />
muscolare motoria aumentata fiducia in se stessi ed euforia.<br />
La maggior parte dei soggetti sono rumorosi ed estroversi, mentre altri diventano più chiusi e solitari: comunque<br />
l'umore rimane labile, con atteggiamenti alternati di aggressività, sottomissione, euforia, malinconia.<br />
La dose tossica di etanolo dipende da individuo a individuo, per età, sesso, popolazione, alimentazione, malattie,<br />
assuefazione. Mentre sotto i 20-40 g non si osservano generalmente effetti sul comportamento, assunzioni più elevate<br />
provocano, tra l'altro, un aumento esponenziale della probabilità di incidenti stradali poiché dosi anche relativamente<br />
basse di etanolo diminuiscono la capacità di guida.<br />
• 15g al giorno nella donna e fino a 30g nell'uomo possono diminuire il rischio d‘infarto miocardico e di<br />
accidente vascolare ischemico;<br />
• fino a 20g al giorno nella donna e fino a 40g nell'uomo non si rileva significativo cambiamento del<br />
comportamento;<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 12
• 50 mg/100 ml (10,9 mmol/l) è l'attuale limite di etanolemia secondo il Codice della strada italiano: oltre questo<br />
livello le prestazioni intellettuali e motorie e le discriminazioni sensoriali sono ridotte, ma i soggetti sono<br />
incapaci di rendersene conto;<br />
• 80 mg/100 ml (17,4 mmol/l) corrisponde al precedente livello alcolemico, tollerato dalla legge prima del 2002:<br />
è stato ridotto poiché fino a 80 mg/100 ml la probabilità di incidenti stradali aumenta di circa 4 volte;<br />
• al di sopra di 150/100 ml (32,6 mmol/l) aumenta di circa 25 volte la probabilità di incidenti stradali;<br />
• con circa 300 mg/100 ml si manifesta il coma;<br />
• oltre i 400 mg/100 ml si ha il blocco respiratorio e conseguentemente la morte.<br />
L'insieme degli effetti comportamentali dell'assunzione elevata di alcol viene definito ubriachezza, e gli effetti fisici che<br />
si osservano in seguito sono chiamati postumi dell'ubriachezza.<br />
Dipendenza da alcol<br />
• Dipendenza = condizione patologica per cui la persona perde ogni possibilità di controllo sull'abitudine<br />
• dal punto di vista degli effetti è utile suddividere la dipendenza in<br />
• dipendenza fisica => alterato stato biologico<br />
• dipendenza psichica => alterato stato psichico e comportamentale<br />
• La dipendenza fisica, prodotta essenzialmente dai condizionamenti neurobiologici, è superabile con<br />
relativa facilità; la dipendenza psichica, difficile punto nodale della tossicodipendenza, richiede interventi<br />
terapeutici lenti, complessi, multicausali.<br />
• Le forme più gravi comportano dipendenza fisica e psichica con compulsività, cioè con bisogno di<br />
assunzione ripetuta della droga da cui si dipende per risperimentarne l'effetto psichico ed evitare la<br />
sindrome di astinenza.<br />
• Dal punto di vista delle cause si può dipendere patologicamente da sostanze stupefacenti (tossicodipendenza),<br />
in cui rientrano l'alcolismo e il fumo, da cibo (bulimia, binge eater disorder), da sesso (dipendenza sessuale),<br />
da lavoro (work-a-holic), da comportamenti come il gioco (gioco d'azzardo patologico), lo shopping (shopping<br />
compulsivo), la televisione, internet (internet dipendenza), i videogame.<br />
• Rientrano nelle dipendenze patogene anche quelle da luoghi e culture (sindrome da sradicamento) ed anche da<br />
rapporti umani (interdipendenza di relazione). La dipendenza da sigaretta rientra invece tra le dipendenze<br />
"oggettuali", dove il rapporto con l'oggetto risponde ad un bisogno relazionale di tipo proiettivo.<br />
L’alcol provoca dipendenza fisica e psicologica, dimostrata dai sintomi osservati in seguito alla deprivazione. La forma<br />
di astinenza fisica nell'uomo, si sviluppa nella forma grave dopo circa 8 ore.<br />
Al primo stadio, i sintomi principali sono tremore, nausea, aumento della sudorazione, febbre e qualche volta<br />
allucinazioni. Questa fase dura circa 24 ore.<br />
La fase può essere seguita dal delirium tremens, caratterizzato da allucinazioni, delirio, febbre, tachicardia, e/o da<br />
convulsioni tonico cloniche indistinguibili da quelle del grande male epilettico. Può ridursi durante la quarta o quinta<br />
giornata, ma alcuni sintomi possono persistere, con intensità ridotta, persino per 3-6 mesi. Il delirium tremens può avere<br />
esito fatale.<br />
La ricerca continua ed il bisogno di assunzione di alcol sono tipici segni di dipendenza psicologica (che si osservano<br />
anche nelle dipendenze da droghe).<br />
Il meccanismo per il quale l’etanolo provoca dipendenza è sconosciuto, ma si ipotizzano effetti a livello di corteccia<br />
cerebrale, che è particolarmente sensibile ai danni da abuso di alcol.<br />
Il quadro di etilosi irreversibile è rappresentato dalla sindrome di Wernicke-Korsakoff:<br />
• encefalopatia correlata al deficit di tiamina (vit. B1) = Sindrome di Wernicke, reversibile<br />
• oftalmoplegia, nistagmo, atassia cinetica e statica<br />
• alterazioni delle funzioni mentali: confusione mentale, apatia, svogliatezza, disorientamento<br />
• deficit irreversibile della memoria a breve termine (Sindrome di Korsakoff, è l'aggravamento della sindrome di<br />
Wernicke, sempre correlato ad un deficit di tiamina)<br />
• amnesia retrograda, incapacità di acquisire nuove informazioni, confabulazione<br />
• Inoltre:<br />
• deficit cognitivi<br />
• alterazioni della personalità<br />
• anomalie comportamentali<br />
• nei casi estremi si giunge alla necessità di parziale o totale accudimento<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 13
Grafico comparativo dei possibili effetti negativi dell'alcol<br />
rispetto alle altre droghe (da The Lancet)<br />
Danni generali dell'abuso di alcol<br />
Sintesi della patogenesi da etanolo:<br />
ETANOLO ====> ACETALDEIDE ====> ACETATO<br />
Acetaldeide:<br />
− danni alla catena respiratoria mitocondriale =><br />
− compromessa la beta-ossidazione degli acidi grassi => si accumulano<br />
− formazione di radicali liberi => danno ai mitocondri e danni ad altri substrati proteici e lipidici =><br />
ulteriore aumento di acidi grassi<br />
− danni al citoscheletro (tubulina)<br />
− diminuisce la secrezione di lipidi => accumulo di trigliceridi<br />
Acetato:<br />
− aumento di NADH => più disponibilità di glicerolo per formazione di trigliceridi<br />
Morte cellulare + rigenerazione + formazione di tessuto connettivo => formazione di noduli => cirrosi.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 14
PATOGENESI DELLA STEATOSI DA TETRACLORURO <strong>DI</strong> CARBONIO<br />
Utilizzi del CCl4<br />
All'inizio del XX Secolo il tetracloruro di carbonio era ampiamente usato come solvente per il lavaggio a secco, come<br />
liquido di raffreddamento e negli estintori. Dal 1940 il suo impiego comincia a diminuire, per via della sua dimostrata<br />
tossicità.<br />
Prima della stipula del protocollo di Montreal, grandi quantità di tetracloruro di carbonio erano impiegate per produrre i<br />
freon R-11 e R-12, oggi non più usati per via del loro effetto deleterio sullo strato di ozono dell'alta atmosfera. È<br />
tuttavia ancora una materia prima per la produzione di freon meno distruttivi.<br />
Tossicità del CCl4<br />
L'esposizione ad elevate concentrazioni di tetracloruro di carbonio, anche in forma di vapori, colpisce il Sistema<br />
Nervoso Centrale, incluso il cervello. Le vittime avvertono mal di testa, nausea, confusione, sonnolenza e vomito. In<br />
casi gravi si può arrivare al coma e alla morte.<br />
L'esposizione cronica e prolungata può danneggiare fegato e reni; l'effetto dannoso a carico del fegato è amplificato<br />
dalla presenza di alcol. I danni sono reversibili, se l'esposizione viene fermata in tempo.<br />
L'ingestione cronica è correlata al cancro al fegato negli animali; studi sugli esseri umani non sono disponibili, ma<br />
molte autorità considerano questo composto un agente cancerogeno quasi certo.<br />
Caratteristiche del CCl4<br />
− liquido<br />
− molto volatile<br />
− non miscibile con acqua (altamente polare)<br />
− tende a scindersi in due radicali: CCl4 + e - => CCl3 + Cl -<br />
− pur essendo organico è ignifugo (un tempo usato negli estintori)<br />
− tossico, probabilmente cancerogeno nell'uomo, ma senza evidenze certe negli animali (classe 2B dello IARC)<br />
Patogenesi della steatosi da CCl4<br />
E' metabolizzato nel reticolo endoplasmatico liscio dal sistema enzimatico del cyt P450 => viene prodotto un radicale<br />
triclorometile (CCl3)in grado di provocare lipoperossidazione:<br />
• la catena alifatica dell'acido grasso si trasforma da polare in apolare => si formano buchi nelle membrane<br />
(plasmatica e subcellulari) => si scompagina il RE => non può avvenire il montaggio delle VLDL => i grassi<br />
non vengono esportati (o in modo minore) => accumulo di trigliceridi<br />
• anche i mitocondri sono danneggiati => minor ossidazione dei FA => accumulo di trigliceridi<br />
• in seguito al danno mitocondriale si ha minor energia a disposizione => rallenta la sintesi proteica => minor<br />
disponibilità di apolipoproteine per VLDL => accumulo di trigliceridi<br />
• colpisce anche il citoscheletro e i lisosomi con fuoriuscita di enzimi lisosomiali che possono danneggiare la<br />
cellula => può seguire morte cellulare preceduta da accumulo di trigliceridi<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 15
DANNO CELLULARE IRREVERSIBILE<br />
Aspetti morfologici del danno cellulare ormai irreversibile<br />
• il superamento del "punto di non ritorno" è<br />
indicato morfologicamente da:<br />
◦ estremo formarsi di bolle sulla superficie<br />
cellulare<br />
◦ notevole rigonfiamento dei mitocondri<br />
(aspetto più importante) con formazione di<br />
aree elettrondense nella matrice<br />
◦<br />
mitocondriale (corrispondenti a precipitati)<br />
rottura della membrana cellulare<br />
◦ dissoluzione degli organuli, compreso il<br />
nucleo (picnosi, cariolisi, carioressi),<br />
degenerazione lisosomiale<br />
▪ picnosi = nucleo molto compatto e<br />
addensato, leggermente più piccolo<br />
▪ carioressi = il nucleo si frammenta grossolanamente<br />
▪ cariolisi = dissoluzione del nucleo in frammenti sempre più piccoli, fino a scomparire<br />
Funzioni cellulari vulnerabili<br />
Qualunque sia l’agente scatenante, sono sempre compromesse le seguenti funzioni cellulari:<br />
− capacità della cellula di mantenere l’integrità della propria membrana (con compromissione dell’equilibrio<br />
ionico ed osmotico della cellula)<br />
− respirazione aerobia (fosforilazione ossidativa mitocondriale)<br />
− sintesi proteica (sia di proteine strutturali, sia enzimatiche)<br />
− capacità della cellula di mantenere l’integrità del genoma<br />
E' difficile che un danno intenso ad una o più di queste funzioni consenta la vita cellulare.<br />
Entità del danno e potenziale reversibilità<br />
L’entità del danno e la sua eventuale reversibilità dipendono sia dalle caratteristiche dell’agente lesivo, sia da quelle<br />
della cellula colpita:<br />
• AGENTE LESIVO: tipo, durata, intensità dello stimolo dannoso<br />
• CELLULA COLPITA: tipo cellulare (es. i neuroni sono molto sensibili all'ischemia, i fibroblasti la tollerano<br />
meglio), stato fisiologico (esempio del ratto in diverse condizioni dietetiche). Più in generale: capacità di<br />
adattamento di “quella” cellula in “quel” contesto.<br />
Tra i vari elementi biochimici e strutturali di una cellula vi è una interdipendenza così stretta che, ovunque inizi<br />
l’attacco dell’agente etiologico, il danno si propaga a tutti i distretti.<br />
Meccanismi biochimici che mediano il passaggio dal danno sino alla morte<br />
− aumento del calcio intracellulare<br />
− Tale aumento innesca l’attivazione di numerosi enzimi la cui azione risulta deleteria per l’integrità di<br />
membrana, come fosfolipasi (la cui azione promuove la perdita di integrità della membrana); proteasi (che<br />
degradano proteine citoscheletriche e di membrana); ATPasi (che esauriscono l’ ATP)<br />
− è il meccanismo più comune e il più importante<br />
− deplezione di ATP<br />
− alterazione della permeabilità di membrana<br />
− per danno diretto (sostanze chimiche, fisiche, tossine batteriche, virus) o indiretto<br />
− azione dell'ossigeno e dei radicali liberi da esso derivati<br />
− Tale meccanismo rappresenta la via finale comune nel danno cellulare indotto da una notevole varietà di<br />
agenti, fra i quali quelli coinvolti nel danno da radiazioni e da diverse sostanze chimiche. I radicali liberi<br />
sono specie chimiche che contengono un unico elettrone spaiato in un orbitale esterno. Altamente reattivi e<br />
capaci di innescare reazioni a catena. Sono causa di perossidazione lipidica della membrana cellulare e di<br />
danno del DNA.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 16
NECROSI<br />
Secondo Maino dovrebbe essere detta oncosi, ovvero "morte per rigonfiamento", in contrapposizione all'apoptosi che<br />
significa "morte per restringimento". Infatti c'è sempre rigonfiamento quando c'è necrosi, fino alla morte per esplosione<br />
della cellula. Questo provoca spargimento dei contenuti cellulari nel tessuto circostante, con innesco di un processo<br />
infiammatorio. Infatti dove c'è necrosi c'è sempre infiammazione.<br />
Es. infarto del miocardio = ostruzione di un'arteria miocardica => il tessuto muore => reazione infiammatoria => si<br />
forma una cicatrice biancastra nel tessuto cardiaco (tessuto fibroso) => qui il cuore non funziona => a seconda della<br />
parte colpita si hanno diversi effetti.<br />
Due sono essenzialmente i processi causa delle alterazioni che caratterizzano il processo necrotico:<br />
1) Necrosi colliquativa = prevalgono fenomeni enzimatici di autolisi (ed eterolisi da enzimi leucocitari nelle<br />
infezioni) => spargimento del contenuto => risposta infiammatoria acuta => arrivo in massa di granulociti<br />
neutrofili pieni di vescicole contenenti enzimi litici<br />
◦ danno da congelamento = perché quando il tessuto si congela si creano dei cristalli che perforano le<br />
membrane cellulari, il danno diventa evidente allo scongelamento<br />
2) Necrosi coagulativa = prevalgono fenomeni di denaturazione proteica (coagulazione proteica), consegue a:<br />
◦ danno da calore, ustione (es. cottura di un uovo => l'albume (albumina) si denatura e coagula)<br />
◦ ipossia (ischemia)<br />
L'interno della cellula non è più riconoscibile, ma il suo contorno si => l'architettura grossolana del tessuto è mantenuta,<br />
le cellule appaiono più grandi.<br />
La denaturazione proteica è anche denaturazione degli enzimi litici: quindi, in questo tipo di necrosi, sono assenti<br />
fenomeni di autolisi.<br />
Eccezione: il tessuto cerebrale in caso di ipossia va incontro a necrosi colliquativa, le ipotesi a questo riguardo sono:<br />
− il tessuto cerebrale è ricchissimo di lipidi, che non coagulano, ma si sciolgono<br />
− il tessuto cerebrale è sostenuto da microglia, cellule simili a macrofagi che colliquano il tessuto se c'è necrosi<br />
In genere questi due tipi di necrosi sono presenti contemporaneamente, ma di caso in caso si può presentare prevalenza<br />
di una delle due.<br />
Quadri particolari di necrosi<br />
• La necrosi caseosa è un tipo particolare di necrosi coagulativa caratteristico del granuloma tubercolare e<br />
dell'infiammazione cronica<br />
• l'organismo non è in grado di degradare il granuloma => si addensano attorno cellule macrofagiche e<br />
infiammatorie<br />
• aspetto e colorito del formaggio fuso<br />
• la TBC è stata riportata nelle nostre zone per movimenti di massa<br />
• il granuloma è una fase molto avanzata della malattia<br />
• La necrosi gommosa è tipica del granuloma sifilitico, con una porzione centrale che ha aspetto gommoso<br />
• La necrosi gangrenosa è anch’essa un tipo particolare di necrosi coagulativa da disvascolarizzazione dell’arto<br />
inferiore (con claudicatio):<br />
• gangrena umida = simile a buccia d'arancia ammuffita, trapassa in colliquativa per infezione,<br />
disidratazione non intensa<br />
• gangrena secca = simile a buccia d'arancia rinsecchita (aspetto asciutto, verdognolo), intensi fenomeni di<br />
disidratazione (un po' orientata alla colliquazione)<br />
• gangrena gassosa = infezione da microrganismi che producono gas, con tessuti crepitanti<br />
• La necrosi grassa, nota come necrosi pancreatica acuta, è una forma particolare di necrosi colliquativa.<br />
• esistono anche la necrosi fibrinoide e la necrosi emorragica<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 17
L'APOPTOSI<br />
Sino a 20-25 anni fa si riteneva che la morte della cellula fosse solo dovuta a danno. Invece può anche essere<br />
puntiforme, ordinata e programmata, con la partecipazione della cellula interessata.<br />
L'apoptosi può insorgere spontaneamente, è stata osservata morfologicamente nel 1972 per la prima volta, ma passarono<br />
10-15 anni prima che la scoperta fosse presa in considerazione: è stata studiata a partire dagli anni '90.<br />
Apoptosi = apò (allontanamento) + ptosi (caduta) => caduta e allontanamento, come accade per le foglie di un albero.<br />
In genere riguarda uno o pochi elementi cellulari per volta.<br />
Comportamento della cellula apoptotica<br />
1) Isolamento: la cellula normalmente ha giunzioni con quelle vicine, la prima cosa che fa è ritirarle e perdere<br />
tutte le strutture specializzate di superficie<br />
2) Coartazione: la cellula si restringe perdendo liquido fino a circa il 50% del volume, senza spargere il proprio<br />
contenuto all'esterno (anche gli organelli fanno lo stesso). Si formano delle bolle piene d'acqua che si fondono<br />
con la membrana determinando perdita del contenuto liquido della cellula.<br />
• le proteine di membrana si transglutaminano diventando insolubili => diventano un'impalcatura cellulare<br />
subito sotto la membrana che impedisce il passaggio di materiale all'esterno della cellula<br />
• il DNA è frammentato a livello delle giunzioni nucleosomiche, i frammenti sono discreti (circa 200bp,<br />
mentre nella necrosi la digestione è diffusa casualmente => all'esame elettroforetico si riconoscono delle<br />
lunghezze a gradini/a bande ben riconoscibili se si tratta di apoptosi, lunghezze diffuse casualmente se si<br />
tratta di necrosi)<br />
• gli enzimi più studiati chiamati in causa sono:<br />
• NUK18 (nucleasi attiva nell'apoptosi) = agisce a pH neutro, è calcio-magnesio dipendente, inattivato<br />
da zinco. Studiato in vitro in timociti stimolati con alta concentrazione di corticosteroidi che induce<br />
apoptosi.<br />
• DNAasi I = in vitro non produce una frammentazione discreta, non si è convinti del suo ruolo<br />
nell'apoptosi<br />
• DNAasi II = agisce a pH acido (e non a pH neutro come nell'apoptosi), non si è convinti del suo ruolo<br />
nell'apoptosi<br />
• Caspasi = enzimi che sono capaci di digerire quasi tutti i tipi di molecole della cellula, si attivano a<br />
cascata<br />
3) Frammentazione: la cellula si frammenta in 2-3 corpi apoptotici<br />
4) La cellula viene fagocitata da fagociti specializzati, ma anche da cellule vicine (cannibalismo, sono le cellule<br />
dello stesso tessuto, che fino a poco prima erano "sorelle") stimolate da segnali di "magiami!" rilasciati dalla<br />
cellula apoptotica<br />
Esistono almeno 11 segnali di "mangiami!", quelli sicuri sono:<br />
1. recettori per la vitronectina<br />
2. esposizione della fosfatidilserina (normalmente stra nello strato interno della membrana cellulare)<br />
3. anche molecole di tipo lectinico (che legano zuccheri) sui fagociti potrebbero essere responsabili del<br />
riconoscimento di oligosaccaridi presenti sulla cellula apoptotica<br />
5) Alla fine non resta nulla della cellula apoptotica, i corpi apoptotici durano dalle 4 alle 9 ore (sono quindi<br />
difficili da identificare, per questo la loro scoperta è recente). Non c'è infiammazione e non resta nessuna<br />
traccia.<br />
Le cellule apoptotiche appaiono rotonde, ovalari, intensamente eosinofile.<br />
Funzione dell'apoptosi<br />
Nell'adulto:<br />
− bilancia la mitosi per mantenere l'omeostasi tissutale<br />
− elimina cellule senescenti o malfunzionanti (non si sviluppano molti tumori per questo)<br />
Nell'embrione:<br />
− ha il ruolo di "scultore" dell'organismo (per es. per la cavitazione degli organi che nascono come cordoni<br />
solidi)<br />
− per eliminare membrane come quelle interdigitali<br />
− per eliminare neuroni che non hanno stretto rapporti con l'organo bersaglio (i neuroni nell'embrione sono il<br />
doppio rispetto al neonato)<br />
− il NGF (nerve growth factor, scoperto da Rita Levi Montalcini nel 1966, per questo ha ricevuto il Nobel) è<br />
un fattore antiapoptotico => mantiene repressi geni killer, se manca si dereprimono provocando apoptosi<br />
− esperimenti di Hamburger = tagliava gli arti ad embrioni => i neuroni che dovevano stringere rapporti con<br />
quelle sedi morivano<br />
Altri ruoli dell'apoptosi:<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 18
− negli organi ciclici come la mammella, mentre i fattori di crescita hanno il ruolo di regolare l'apoptosi e la<br />
crescita cellulare<br />
− eliminazione dei granulociti neutrofili che hanno terminato la loro funzione<br />
− se si lega il dotto escretore di una ghiandola esocrina questa si riduce per apoptosi<br />
Apoptosi in patologia<br />
L'apoptosi può conseguire a danno cellulare moderato (non certo ad un danno estremo) come quello da tossico, da<br />
agenti fisici, chimici. Infatti quando la cellula ne ha modo preferisce morire per apoptosi attivando geni killer<br />
(proapoptotici) piuttosto che per necrosi.<br />
Geni apoptotici<br />
Sono stati studiati in C. Elegans e sono stati chiamati CED (Cell Death), alcuni sono proapoptotici, altri antiapoptotici.<br />
Nell'uomo si è trovata corrispondenza con questi geni:<br />
− Bcl-2 = prototipo della classe di geni antiapoptotici => se non funziona correttamente provoca linfomi<br />
follicolari a basso grado di malignità<br />
− Bcr-Abl = alterati in leucemia mieloide cronica, a non elevata malignità<br />
− Bax = gene killer – proapoptotico => agiscono quando i protettori sono silenti (normalmente sono da loro<br />
inibiti)<br />
− P53 = guardiano del genoma => se mutata non induce apoptosi in caso di danno al genoma<br />
Iniziazione all'apoptosi, avvio, salvataggio<br />
• Non si sa quali siano i fattori legati all'iniziazione della cellula, anche se si ritiene che sia legata ad una<br />
conformazione o modulazione genica, essendo l'apoptosi una morte che si verifica per attivazione di un<br />
programma genico (attivazione di geni killer o repressione di geni protettori).<br />
I linfociti T immaturi nel timo sono cellule iniziate, in quanto all'incontro con l'antigene vanno incontro ad apoptosi,<br />
mentre quelli maturi a contatto con l'antigene attivano un programma di risposta, ma cominciano anche a proliferare<br />
dando luogo ad un clone.<br />
• Il meccanismo di avvio è invece più noto: fra i segnali di avvio quello più conosciuto è quello di aumento di<br />
calcio intracellulare plasmatico che deriva dal danno delle membrane degli organelli (che hanno una<br />
concentrazione di calcio molto più elevata rispetto al citoplasma). Se il danno è molto forte non c'è il tempo di<br />
innescare l'apoptosi e la cellula muore per necrosi. Se invece il danno è piccolo può attivare l'apoptosi.<br />
• Fattori di salvataggio: molti fattori di crescita e ormoni inibiscono l'apoptosi.<br />
Differenze morfologiche fra apoptosi e necrosi<br />
• Necrosi<br />
• evento accidentale, violento, improvviso, disordinato<br />
• è sempre diffusa a più cellule<br />
• passivo (la cellula lo subisce passivamente)<br />
• la cellula si rigonfia => esplode spargendo il suo contenuto all'esterno => infiammazione<br />
• Apoptosi<br />
• evento programmato geneticamente<br />
• selettivo<br />
• attivo (la cellula partecipa attivamente alla propria morte)<br />
• la cellula si coarta (si rimpicciolisce, si rinsecchisce)<br />
• non c'è spargimento di materiale, che è fagocitato (corpi apoptotici) dalle cellule vicine => non c'è<br />
infiammazione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 19
LO STRESS<br />
Stress è un termine anglosassone usato in fisica per indicare la situazione in cui una forza applicata ad un corpo solido<br />
lo deforma per compressione, trazione o torsione.<br />
Il termine fu introdotto in biologia in contrapposizione al concetto di omeostasi dal fisiologo americano Cannon<br />
all’inizio del 900:<br />
− omeostasi = equilibrio stazionario dei parametri biochimici e fisiologici fondamentali dell'organismo (possono<br />
variare entro limiti molto ristretti).<br />
− stress = perdita della omeostasi per azione di fattori capaci di alterare i parametri biochimici o fisiologici<br />
fondamentali<br />
Il concetto di stress riferito all'organismo è approfondito qualche decennio più tardi negli studi del canadese Hans Selye,<br />
che nel 1936 su Nature definisce i concetti di:<br />
− Stress = risposta dell'organismo verso qualunque agente che ne perturbi la omeostasi<br />
− Stressor = agente stressante, possono essere molteplici, distinti da Selye in:<br />
− fisiologici = malattie, interventi chirurgici e anestesia, sforzo fisico, emorragie, traumi<br />
− ambientali = esposizione al caldo e al freddo, "polluzione ambientale"<br />
− psicologici = competitività fra membri della stessa specie per il territorio o altro; con altre specie (ad<br />
esempio nell'incontro col predatore); conflitti prolungati, situazioni nuove, sensazioni di ansia,<br />
frustrazione, inferiorità, intense emozioni, passioni (da pathos, come il termine patologia!)<br />
SINDROME <strong>GENERALE</strong> <strong>DI</strong> ADATTAMENTO ALLO STRESS(OR)<br />
Il concetto fondamentale introdotto da Selye è: alla molteplicità e varietà di stressors corrisponde l'unicità di<br />
risposta da parte dell'organismo, questa risposta è costituita dalla sindrome generale di adattamento allo stress(or)<br />
(Selye, 1936):<br />
1. Reazione di allarme, nell'"impact" con lo stressor<br />
2. Fase di resistenza verso quello stressor, con neo-omeostasi<br />
3. Fase di esaurimento verso tutti i possibili stressor<br />
Quindi se lo stimolo stressante perdura si verifica il trapasso dello stress da situazione "fisiologica", cioè tale da<br />
consentire il ritrovamento della omeostasi, a situazione patologica (possibili meccanismi: ipertensione, gluconeogenesi).<br />
STRESS CELLULARE – Estrapolazione del concetto di stress dall'organismo alla cellula<br />
Le prime osservazioni risalgono al 1962 da parte dell'italiano Federico Ritossa, che sottopone a stress termico<br />
(riscaldamento) cellule di Drosophila melanogaster e osserva un rigonfiamento dei cromosomi per incremento della<br />
sintesi di RNA (e quindi di proteine) causata dal calore.<br />
In seguito Tissières nel 1970 sottopose vari tipi di cellule a vari stressors (metalli pesanti, etanolo, anossia, riduzione del<br />
glucosio intracellulare e anche, in cellule di mammifero, febbre, flogosi, infezioni) osservando che tutti gli stressor<br />
inducono la sintesi di una particolare classe di proteine.<br />
La sindrome di adattamento allo stress, che Selye aveva descritto per l'intero organismo, è ora riferita alla cellula e può<br />
essere così definita:<br />
− risposta unitaria della cellula verso stimoli abnormi e molto eterogenei fra loro ma di intensità tale da<br />
non impedire (generalmente) la sopravvivenza della cellula<br />
LE HEAT SHOCK PROTEINS<br />
La cellula risponde agli stress con la derepressione di geni il cui prodotto è costituito dalle Heat Shock Proteins (HSP,<br />
proteine da stress termico, perché furono inizialmente osservate in questo contesto, ma in seguito definite anche<br />
proteine da stress).<br />
Quello che accomuna i vari tipi di stress cellulare, e che quindi comporta una risposta univoca, è la denaturazione<br />
proteica. La dimostrazione sperimentale di questo è data dal fatto che l'introduzione di proteine denaturate nella cellula<br />
(mediante iniezione intracellulare) induce la trascrizione e quindi la sintesi di HSP.<br />
Nelle cellule eucariotiche l'attivazione della trascrizione delle HSP è determinata dall'attivazione del Heat Shock<br />
Factor (HSF):<br />
− fattore di trascrizione presente normalmente inattivo nella cellula in forma monomerica e incapace di legarsi al<br />
DNA<br />
− in conseguenza dello shock termico e di altri stressors, forma un trimero capace di legarsi al DNA dell'HSE<br />
(Heat Shock Element) dei geni che codificano per HSP<br />
Nella molecola HSF in conseguenza dello stress:<br />
− sono inibiti i domini presenti nella porzione carbossiterminale della molecola deputati al mantenimento della<br />
forma monomerica<br />
− sono favoriti i domini idrofobici della porzione NH2 della molecola che favoriscono la trimerizzazione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 20
Quindi:<br />
• agenti stressanti ambientali<br />
• shock termico<br />
• metalli pesanti<br />
• condizioni patologiche<br />
• processi flogistici<br />
• febbre<br />
• infezioni e infestazioni<br />
• ischemia<br />
• danno ossidativo<br />
• ipertrofia<br />
determinano denaturazione delle proteine e conseguentemente attivazione di HSF, il quale determina l'attivazione della<br />
trascrizione dei geni per HSP.<br />
Importanza delle HSP<br />
− sono presenti nelle cellule di tutte le specie e costituiscono il complesso strutturale biologico maggiormente<br />
conservato nelle varie specie nel corso dell'evoluzione<br />
− sono citoprotettive e svolgono il ruolo di chaperone molecolari (proteine tutrici o con funzione tutoriale)<br />
HSP adattative e costitutive<br />
− le HSP sono proteine adattative, cioè sono sintetizzate in conseguenza allo stress<br />
− piccole quantità di HSP costitutive sono presenti anche in cellule non sottoposte a stress, hanno il ruolo di<br />
riparare o prevenire i danni cellulari "spontanei" che impediscano la necessaria perfezione sterica e funzionale<br />
delle proteine neosintetizzate<br />
Funzioni delle HSP<br />
− adattative (o inducibili)<br />
− riavvolgimento di proteine cellulari denaturate da uno stressor<br />
− degradazione selettiva di proteine fortemente alterate da stressors<br />
− costitutive<br />
− pronto soccorso delle proteine danneggiate da uno stressor, nellefasi che precedono la sinesi delle HSP<br />
adattative<br />
− servizio permanente effettivo per l'assemblaggio assistito di proteine di nuova sintesi<br />
− Tutte le HSP svolgono la funzione di chaperone molecolare: mentre il processo di sintesi di una catena<br />
polipeptidica è noto, ancora poco chiari appaiono i meccanismi sottesi al raggiungimento della struttura<br />
quaternaria (assemblaggio dei monomeri), che consente alle proteine, in particolar modo alle proteine<br />
enzimatiche, di raggiungere la conformazione finale idonea alla funzione da svolgere<br />
− Anfisen nel 1973 ipotizza, l'autoassemblaggio proteico: i geni codificanti per la proteina contengono anche<br />
l'informazione specifica per il confezionamento sterico della proteina adatto all'espletamento delle funzioni<br />
− L'autoassemblaggio può anche essere assistito:<br />
− proteine tutrici si legano a siti interattivi delle proteine substrato che, nelle proteine di neosintesi, sono<br />
esposti durante le fasi iniziali dell'assemblaggio e, nelle proteine finite, sono esposti in seguito a<br />
denaturazione per effetto di uno stressor. Il legame non è covalente, ma consente ugualmente la<br />
formazione di un complesso stabile che guida l'assemblaggio ed impedisce errori. Ad assemblaggio<br />
effettuato il legame si scinde.<br />
− sono soprattutto proteine enzimatiche e proteine dapprima intra- e poi extra-cellulari che hanno bisogno di<br />
chaperone (e difatti ne sono dotate).<br />
MORTE CELLULARE E HSP<br />
L'attivazione dei geni delle HSP non necessariamente è in associazione alla morte della cellula, essendo la risposta della<br />
cellula agli stressors (attraverso la sintesi di HSP) una risposta adattiva (in parte anche, come abbiamo visto,<br />
costitutiva), finalizzata all'adattamento, alla riparazione proteica, al ripristino dell'omeostasi cellulare.<br />
• L'attivazione dei geni delle HSP precede (o accompagna) talora l'apoptosi che consegue a condizioni<br />
patologiche (ad esempio l'apoptosi da tossici a piccole dosi). Le HSP intervengono soprattutto con funzione di<br />
"riassemblaggio" proteico. Se le proteine danneggiate sono fondamentali per la funzione o la struttura della<br />
cellula, o troppo numerose, si attivano i geni killer dell'apoptosi.<br />
• L'attivazione dei geni delle HSP precede (o accompagna) il danno cellulare irreversibile della necrosi.<br />
L'ubiquitina, la più piccola delle HSP, degrada proteine seriamente danneggiate in cellule in necrosi.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 21
Appunti di Patologia Generale – Pag, 22
TERMOTOLLERANZA<br />
− Acquisizione di resistenza all'azione lesiva del calore indotta da shock termico in Dm (fenocopie)<br />
− La concentrazione di HSP i.c è proporzionale al livello di termoresistenza<br />
TOLLERANZA ALLO STRESS<br />
− Miocardiociti sottoposti a modesto stress termico accumulano nel loro citoplasma HSP-70 e diventano<br />
termotolleranti<br />
− acquisiscono inoltre la capacità temporanea di resistere allo stress provocato dall'ischemia<br />
− la preventiva esposizione del miocardio allo shock termico, inducendo la sintesi di proteine da stress, riduce la<br />
liberazione di enzimi lisosomiali e incrementa la ripresa funzionale contrattile del miocardio<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 23
DANNI BIOLOGICI DA RA<strong>DI</strong>AZIONI IONIZZANTI<br />
Le radiazioni elettromagnetiche possono esistere sotto forma di onde o di particelle. In ogni caso la lunghezza d'onda è<br />
inversamente proporzionale alla frequenza.<br />
Radiazioni ionizzanti: ad alta frequenza e bassa lunghezza d'onda<br />
• raggi X<br />
• raggi γ<br />
• raggi cosmici<br />
Radiazioni non ionizzanti: a bassa frequenza e alta lunghezza d'onda<br />
• onde radio<br />
• microonde<br />
• luce visibile<br />
LET = trasferimento lineare di energia [eV/mm]<br />
A parità di energia:<br />
• alto LET = la radiazione/particella è in grado di produrre un danno grave, ma per un percorso breve<br />
• basso LET = la radiazione/particella è in grado di produrre un danno lieve, ma per un percorso lungo<br />
Le radiazioni particolate sono quelle che hanno un LET maggiore, ad esempio in ordine dal LET più alto al più basso si<br />
hanno:<br />
• particelle α<br />
• particelle β<br />
• raggi γ<br />
• raggi X<br />
Le radiazioni ionizzanti<br />
Possiedono energia sufficiente a far sì che se colpiscono un atomo venga espulso un elettrone e così si formi uno ione<br />
=> ionizzazione. L'energia deve essere maggiore di 10 eV.<br />
Radiazioni particolate<br />
Esempi:<br />
• particelle α<br />
• particelle β/elettroni<br />
• protoni<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 24
Radiazioni elettromagnetiche<br />
Derivate da accelerazione.<br />
• λ = h υ<br />
• λ = lunghezza d'onda<br />
• h= costante di Plank<br />
• υ = frequenza<br />
Maggiore è la densità di ionizzazione e<br />
maggiore è la probabilità che la<br />
molecola biologica venga colpita in<br />
punti vicini.<br />
Curva tipica di ionizzazione specifica di particelle alfa<br />
Le particelle alfa perdono energia rapidamente in pochi<br />
cm, e man mano che fanno il loro percorso aumenta la<br />
ionizzazione specifica, cioè il numero di ioni per cm,<br />
quindi la loro densità di ionizzazione è inversamente<br />
proporzionale alla loro energia o velocità.<br />
Relazione tra ionizzazione specifica e energia per<br />
particelle beta<br />
Le particelle beta hanno ionizzazione specifica più<br />
bassa.<br />
Modalità di ionizzazione<br />
Le modalità con cui le radiazioni ionizzanti provocano ionizzazione sono:<br />
1) effetto fotoelettrico (tungsteno) = un fotone incidente<br />
dotato di una certa energia colpisce un elettrone con una<br />
certa energia di legame espellendolo => l'elettrone<br />
emesso acquista una certa energia che è la differenza fra<br />
l'energia del fotone incidente e quella dello stato iniziale<br />
dell'elettrone.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 25
2) effetto Copton = trasferimento parziale<br />
dell'energia del fotone incidente sull'elettrone.<br />
Parte dell'energia del fotone viene mantenuta<br />
dal fotone per eventualmente compiere altre<br />
ionizzazioni (fotone diffuso)<br />
3) formazione di coppie = solo per livelli<br />
di energia alti: il fotone incidente ha<br />
energia > 1,1 MeV => colpisce il nucleo<br />
dell'atomo e fa rilasciare un elettrone e<br />
un positrone. L'elettrone e il positrone<br />
possono interagire e annichilirsi con<br />
trasformazione della massa in energia =><br />
2 raggi gamma (0,5 MeV per ogni raggio<br />
gamma).<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 26
Danno tissutale da radiazioni<br />
Quando le radiazioni ionizzanti colpiscono i tessuti si verificano eventi in successione:<br />
− stadio fisico:<br />
− ionizzazioni dirette = da parte del fotone incidente<br />
− ionizzazioni indirette<br />
− stadio fisico-chimico<br />
− si formano delle molecole che sono modificate con conseguente danno chimico<br />
Danno diretto: effetto diretto della radiazione<br />
incidente sulla molecola biologica (DNA,<br />
fosfolipide, ecc.).<br />
Teoria del bersaglio = tanto maggiore è la<br />
dimensione della molecola, tanto maggiore è il<br />
danno che subisce => sono quindi più colpite<br />
molecole di grandi dimensioni e che hanno un ruolo<br />
strategico nella funzione cellulare (il DNA è il più<br />
colpito, è un bersaglio molto sensibile).<br />
Danno indiretto: la radiazione colpisce le molecole d'acqua, che costituiscono il 60-90% del peso corporeo, dando<br />
origine a radicali:<br />
H2O + hυ → H2O + + e-<br />
e - + H2O → H2O -<br />
H2O + → H + + OH* (radicale ossidante - sottrae elettroni)<br />
H2O - → OH- + H* (radicale riducente – cede elettroni)<br />
H* + H* → H2<br />
OH* + OH* → H2O2 (acqua ossigenata)<br />
H2O2 + OH* → H2O + HO2* (radicale idroperossido)<br />
* Indica un radicale (o radicale libero) = una specie chimica molto reattiva avente vita media di norma brevissima,<br />
costituita da un atomo o una molecola formata da più atomi che presenta un elettrone spaiato: tale elettrone rende il<br />
radicale una particella estremamente reattiva, in grado di legarsi ad altri radicali o di sottrarre un elettrone ad altre<br />
molecole vicine [da Wikipedia]<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 27
DANNI RA<strong>DI</strong>OBIOLOGICI NEI MAMMIFERI<br />
• La sensibilità a queste radiazioni è direttamente proporzionale all'indice mitotico e inversamente proporzionale<br />
al differenziamento cellulare<br />
◦ le cellule più sensibili sono quelle che si trovano in fase G2 o in mitosi => danno al DNA<br />
• una dose forte e unica provoca un danno maggiore rispetto a dosi più piccole e ripetute (ad intervalli di tempo),<br />
perché queste ultime danno il tempo alle cellule di riparare il danno<br />
• alcuni tipi cellulari sono più sensibili di altri alle radiazioni<br />
Unità di misura, dose assorbita, equivalente ed efficace<br />
Con il termine "Attività" di una sostanza radioattiva si intende il numero di nuclei di questa sostanza che si disintegrano<br />
nell’unita di tempo:<br />
• una vecchia unita di misura dell’attività è il Curie (Ci), ora sostituita nel Sistema Internazionale (S.I.) dal<br />
Bequerel (Bq): 1 Ci = 3.700.000 dis./sec, 1 Bq = 1 dis./sec.<br />
◦ dis/sec = disintegrazioni al secondo<br />
• Per quantificare il danno biologico delle radiazioni sugli organismi sono state introdotte delle unità di misura<br />
che definiscono la "Dose assorbita" , cioè l’energia depositata dalla radiazione nel materiale irradiato per unità<br />
di massa:<br />
◦ la più antica è il "RAD“: 1 RAD = 100 erg/g<br />
◦ Attualmente nel S.I. si usa il "GRAY" (Gy): 1 Gy = 1J/Kg, 1 Gy = 100 RAD<br />
Ma l’effetto delle radiazioni, anche a parità di energia è dipendente dal tipo di radiazione.<br />
Perciò si è introdotto il fattore di qualità della radiazione "Q", la grandezza che si considera diventa quindi<br />
l’equivalente di dose "H" legata alla dose assorbita "D" dalla relazione:<br />
• H = QxD<br />
◦ Per elettroni, raggi X e raggi gamma Q = 1<br />
◦ Per neutroni e protoni Q da 5 a 20<br />
◦ Per le particelle alfa Q = 20<br />
Tessuti più colpiti dalle radiazioni ionizzanti<br />
− midollo osseo<br />
− intestino<br />
− osso<br />
− SNC<br />
− occhio (cataratta)<br />
− cellule germinali e staminali<br />
− feto<br />
Tessuti più sensibili a tumori da radiazioni<br />
− seno<br />
− tiroide<br />
− osso (osteosarcoma)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 28
− midollo osseo (leucemie)<br />
− cute<br />
Effetti sull'organismo in base alla dose<br />
• 10 Gy => Sindrome cerebrale => necrosi, emorragia cerebrale, convulsioni, delirio, coma, morte entro poche<br />
ore<br />
• 3-10 Gy => Sindrome gastrointestinale => necrosi delle cellule epiteliali dell'intestino, nausea, diarrea entro<br />
poche ore, perdita di fluidi => porta facilmente a morte<br />
• 2-6 Gy => Sindrome emopoietica => iperplasia del midollo osseo, diminuzione di tutte le cellule ematiche<br />
entro 2 settimane, caduta dei capelli, morte per infezione nel 50% dei casi<br />
• 0,5-2 Gy => diminuzione di neutrofili e linfociti, stato letargico, nausea, anoressia<br />
• < 0,5 Gy => mutazione delle cellule staminali => predisposizione a neoplasie<br />
Principali effetti sui tessuti<br />
− aumento di deposizione di collageno nei tessuti per danno vascolare e distruzione di cellule staminali =><br />
fibrosi<br />
− necrosi in polmone e epiteli<br />
− danni al DNA => apoptosi, cancro, mutazioni<br />
− atrofia di midollo osseo, timo, linfonodi e tumori associati a questi tessuti<br />
− atresia ovarica<br />
Inattivazione di un enzima: effetto della dose in relazione alla concentrazione dell'enzima<br />
Inattivazione di un virus da radiazione.<br />
Effetto della dose.<br />
A destra rappresentazione semilogaritmica<br />
Ritardo della mitosi per blocco in G2<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 29
La spalla iniziale di fig. 29 è dovuta al fatto che a bassa dose c'è maggior probabilità che gli enzimi di riparazione<br />
cellulare possano intervenire.<br />
Sopravvivenza di fibroblasti in relazione<br />
alla dose.<br />
Simboli pieni, fibroblasti da soggetti con<br />
difetto ereditario degli enzimi di riparazione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 30
Effetti della panirradiazione su roditori<br />
Incidenza naturale di malattie genetiche nell’uomo<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 31
Relazione tra dose e eventi recessivi letali in Drosofila<br />
Stime di rischio per varie neoplasie radioindotte<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 32
DANNI BIOLOGICI DA RA<strong>DI</strong>AZIONI ECCITANTI<br />
Le radiazioni eccitanti stanno tutte sotto lo spettro del visibile, si tratta prevalentemente di raggi UV e di alcuni raggi X.<br />
Non hanno grande capacità di penetrazione, perciò i loro effetti si limitano alla cute.<br />
I danni sono soprattutto per la ossidazione della melanina preesistente.<br />
Eritema = iperemia con arrossamento.<br />
Leggi della fotochimica<br />
Prima legge: affinché una radiazione produca un effetto fotochimico, i fotoni devono prima essere assorbiti da una<br />
molecola o da un atomo. Non tutte le molecole o gli atomi assorbono egualmente le radiazioni dello spettro visibile o<br />
ultravioletto. Ciò si verifica solo quando la lunghezza d'onda della luce incidente corrisponde a quella di assorbimento<br />
specifica e caratteristica (spettro di assorbimento) di quel atomo o di quella molecola.<br />
Seconda legge: vi è reciprocità tra la dose di radiazione che causa un determinato effetto e la potenza e il tempo di<br />
esposizione. In accordo con questa legge, lo stesso effetto può essere raggiunto applicando per un lungo periodo di<br />
tempo una radiazione di modesta potenza (cioè con un basso tasso di erogazione dei fotoni) oppure fornendo una<br />
radiazione di elevata potenza per un tempo di esposizione molto breve purché il numero totale di fotoni sia lo stesso.<br />
Terza legge (o della efficienza di una reazione fotochimica, o resa quantica o efficienza quantica): l'assorbimento di un<br />
fotone determina sempre una modificazione fotochimica a carico di una molecola o di un atomo. Quando si fa<br />
riferimento a questo fenomeno l'efficienza quantica è pari al 100%. In pratica però l'efficienza è quasi sempre inferiore e<br />
raggiunge valori modesti: 0,001 o 0,1 %.<br />
Effetti delle radiazioni ionizzanti<br />
• dimerizzazione della timina nel DNA =><br />
impedendo così di formare legami con la<br />
adenina dell'altra catena => ci può essere una<br />
delezione con conseguente frame shift<br />
• addotti con la timina:<br />
• monoaddotti<br />
• diaddotti => cross linking delle due<br />
catene del DNA<br />
• produzione di ROS = specie reattive<br />
dell'ossigeno, si formano per riduzione<br />
dell'ossigeno:<br />
− radicale superossido O2-<br />
− si può formare per interazione con<br />
elettroni che occasionalmente sfuggono<br />
alla catena o per ossidazione metallodipendente<br />
di certe molecole (Adr,<br />
NorA), o per produzione diretta durante<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 33
certe reazioni ossidative<br />
− E' fortemente reattivo e citotossico perché si comporta come energico ossidante attaccando un ampio<br />
numero di substrati<br />
− convertito in perossido d'idrogeno dalla superossido dismutasi<br />
− vitamina A può sequestrarlo<br />
− perossido di idrogeno<br />
− si forma dalla superossido dismutasi<br />
− è demolito dalla catalasi<br />
− glutatione perossidasi attraverso due molecole di glutatione lo trasforma in acqua<br />
− radicale idrossile (o ossidrile, -OH) è formato per la combinazione fra radicale superossido O2 - e perossido di<br />
idrogeno<br />
− affinché si formi è necessaria la presenza di Fe 2+ (bivalente) libero, che si ha quando c'è basso pH<br />
− è la molecola più tossica fra tutti i ROS perché non ci sono enzimi intracellulari di detossificazione.<br />
− ossigeno singoletto<br />
− si può formare dentro i macrofagi<br />
− può nuocere perossidando diverse molecole organiche (proteine, acidi nucleici, ecc.)<br />
Il danno ossidativo si verifica su:<br />
− acidi nucleici => il danno al DNA è il più pericoloso<br />
− lipidi => danno luogo al fenomeno della lipoperossidazione => bersaglio più frequente: ac. grassi polinsaturi<br />
nei fosfolipidi di membrana<br />
− 3 fasi: inizio, propagazione, terminazione (inizia e poi prosegue a catena interessando un numero sempre<br />
maggiore di molecole)<br />
− lipide insaturo (OH radicalico) => in presenza di O2 si forma radicale perossidico => il perossido può dar<br />
luogo a formazione di radicali<br />
− ac. arachidonico => in presenza di ossidante => perossido ciclico<br />
− malonil dialdeide = punto di arrivo della perossidazione lipidica<br />
− proteine => bersaglio più frequente: gruppo -SH (residui cisteine), possono dimerizzare<br />
− rotture possono essere irreversibili: es. anello del Trp e His<br />
− carboidrati<br />
I radicali ossidanti si formano anche per azione delle radiazioni ionizzanti, hanno importanza in fenomeni di<br />
mutagenesi, cancerogenesi, invecchiamento.<br />
Malattie associate alle radiazioni ultraviolette<br />
L'OMS ha associato 9 malattie alle radiazioni ultraviolette:<br />
− melanoma cutaneo = tumore maligno dei melanociti produttore di melanina<br />
− carcinoma squamoso (o epitelioma spinocellulare), dallo strato acinoso, forma le perle cornee (cheratosi nello<br />
strato profondo della pelle), fortemente maligno, più lento del melanoma, tende a metastatizzare e recidivare<br />
− carcinoma basocellulare (basalioma) = deriva dallo strato basale, è meno maligno di quello squamoso<br />
− formazione cataratta (opacizzazione del cristallino)<br />
− ispessimento della congiuntiva, opacizzazione della cornea<br />
− ricomparsa herpes labiale<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 34
MALATTIE FOTO<strong>DI</strong>NAMICHE<br />
Sono causate dalla presenza nell’organismo di sostanze che captano l’energia incidente, raggiungono lo stato elettronico<br />
eccitato e restituiscono l’energia come reattività fotochimica.<br />
Sono spesso molecole fluorescenti, possono essere esogene o endogene, mediano il danno.<br />
Captano la luce incidente, raggiungono lo stato eccitato e lo trasferiscono alle cellule e alle sostanze circostanti.<br />
Molecole esogene:<br />
− di origine vegetale, come gli psoraleni<br />
− farmaci, come tetracicline, sulfonamidi, FANS, fenotiazine<br />
Molecole endogene:<br />
− es. le porfirine<br />
L’azione fotodinamica si esplica con:<br />
− formazione di radicali liberi<br />
− fotodimerizzazione di molecole endogene<br />
− formazione di fotoaddotti<br />
Quando queste molecole ricevono energia => raggiungono uno stato eccitato => restituiscono l'energia ricevuta (o parte<br />
di essa):<br />
• attraverso la fluorescenza:<br />
• luce incidente ad una determinata lunghezza d'onda => dopo nanosecondi riemettono la luce a frequenza<br />
maggiore (quindi a energia minore) => la differenza di energia corrisponde allo stato eccitato della<br />
molecola fluorescente che può avere maggiore reattività chimica => effetti sulle molecole vicine<br />
• senza la fluorescenza => tutta l'energia si traduce in attivazione della molecola (nella fluorescenza una quota<br />
abbondante è restituita come fotone) => effetti sulle molecole vicine<br />
Effetti:<br />
− formazione di radicali liberi, dimerizzazioni, addotti<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 35
LE PORFIRIE<br />
Alterazioni della sintesi dell'EME possono dar luogo alla formazione di sostanze che si accumulano (le porfirine),<br />
queste sostanze possono poi trovarsi in circolo, nelle urine, nelle feci, depositate nei tessuti (ad es. nei denti).<br />
L'EME si trova nell'emoglobina, nella mioglobina e nei citocromi, viene sintetizzato in tutti i tessuti, ma soprattutto nel<br />
midollo osseo (per l'emoglobina dei globuli rossi) e nel fegato (per i citocromi).<br />
Le porfirie sono malattie fotodinamiche causate da accumulo di porfirine, si manifestano sulla cute esposta alla luce con<br />
esfoliazione degli strati più superficiali ed accumulo di liquido fra derma e lo strato germinativo => si forma una bolla.<br />
Biosintesi dell'eme<br />
Avviene in tutti i tessuti, ma soprattutto:<br />
− nel midollo osseo => per la formazione dell'emoglobina destinata ai globuli rossi<br />
− nel fegato => per la formazione dei citocromi<br />
ALA = acido delta-amino levulinico<br />
PBG = porfobilinogeno<br />
Solo da UROgeno III si può formare l'EME, i porfinogeni della serie I (derivati da UROgeno I), l’uroporfirina III<br />
(derivato dell'UROgeno III) e la coproporfirina III (derivato del COPROgeno III) sono prodotti collaterali non utilizzati<br />
nella sintesi dell’EME.<br />
L'attività dei seguenti enzimi è fondamentale nello sviluppo delle porfirie qualora una delle 3 tappe sia impedita:<br />
− ALA-sintetasi = enzima inducibile, può perciò aumentare e comportare un aumento della sintesi di acido Damino<br />
lebulinico<br />
− urosintetasi III<br />
− ferro chelatasi = se non cè il ferro non viene incorporato e si accumula la protoporfirina IX<br />
Punti di regolazione:<br />
− ALA-sintetasi = può avere feedback negativo quando c'è un eccesso di EME<br />
− ferro chelatasi = la sua attività dipende dalla disponibilità di ferro<br />
Profirie croniche (ereditarie)<br />
• Porfiria eritropoietica congenita (epatica) o Morbo di Gunther (CEP) - E' molto rara; causa anemia<br />
emolitica (distruzione dei globuli rossi) e fotosensibilità: i sintomi sono presenti fin dalla nascita. Le urine sono<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 36
osso scuro, per la grande quantità di porfirine eliminate. Particolare di questa malattia è l'eritrodonzia:<br />
illuminando i denti con luce ultravioletta questi sono rosso fluorescente. La fluorescenza è dovuta alle porfirine<br />
che si depositano nel fosfato di calcio dei denti.<br />
◦ in questa porfiria si ha carenza di urosintetasi III => sovrapproduzione di URO I (uroporfirina I)<br />
• Porfiria cutanea tarda (epatica) (PCT) - La Porfiria Cutanea Tarda è la più frequente in Italia. Compare<br />
generalmente intorno ai 30-40 anni, quasi mai si riscontra nell'infanzia. Come dice il nome stesso, questo tipo<br />
di porfiria presenta effetti cutanei presenti nelle zone esposte al sole che consiste in fragilità cutanea con<br />
formazione di bolle, erosioni che si trasformano in croste e cisti. Le persone affette da PCT tendono ad avere<br />
problemi epatici più facilmente della media, soprattutto in conseguenza all'eccessiva assunzione di alcool, al<br />
sovraccarico di ferro, all'infezione da virus, e qualche volta, a causa dell'assunzione di farmaci, soprattutto gli<br />
estrogeni.<br />
◦ il difetto più importante è la diminuzione della urodecarbossilasi, perciò si forma uroporfinogeno, ma non<br />
si arriva al protoporfinogeno<br />
• Protoporfiria eritropoietica: non è molto frequente. Compare durante i primi anni di vita. La sintomatologia<br />
è caratterizzata da bruciore, eritema ed edema delle zone esposte al sole, ispessimento della cute, soprattutto in<br />
corrispondenza del dorso delle mani e del naso. Spesso sono presenti problemi epatici dovuti alla stasi di<br />
protoporfirine nelle cellule del fegato e nei canalicoli biliari, con conseguente formazione di calcoli nella<br />
colecisti.<br />
◦ carenza dell'enzima ferro chelatasi<br />
◦ forse è autosomica dominante, ma altri sostengono che i malati sono doppi eterozigoti:<br />
▪ dominanti per ferro chelatasi<br />
▪ dominanti per altri enzimi della via biosintetica dell'EME<br />
◦ si accumula così la protoporfirina IX nelle cellule emopoietiche e nel sangue<br />
Porfirie acute<br />
• deficit di ALA-Deidrasi (epatica)<br />
• porfiria acuta intermittente (epatica)<br />
• coproporfiria ereditaria (epatica)<br />
• porfiria variegata (epatica)<br />
Le porfirie acute sono accomunate dall'avere una sintomatologia neurologica anche se la Porfiria Variegata e la<br />
Coproporfiria Ereditaria possono causare sintomi cutanei. Le Porfirie acute sono causate dall'assunzione di sostanze, da<br />
variazioni ormonali o condizioni nutrizionali particolari. Se si riesce a controllare l'assunzione dell'agente che risulta<br />
tossico, la malattia rimane nel 90% dei casi allo stato di latenza.<br />
La sostanza tossica scatenante solitamente è un farmaco, anche se a volte possono essere gli ormoni stessi<br />
dell'organismo specialmente nelle donne dopo la pubertà. Altre cause responsabili possono essere: infezioni, diete<br />
povere di zuccheri, e, secondo alcuni, alcool e fumo.<br />
La malattia è presente, ma latente, si manifesta solo se si assumono tali sostanze.<br />
I sintomi più frequenti delle porfirie acute<br />
sono: dolori addominali (coliche =<br />
contrazioni spastiche e dolorose di un organo<br />
viscerale cavo), febbre, leucocitosi (eccesso<br />
di globuli bianchi), vomito, stitichezza,<br />
tachicardia e ipertensione labile, ritenzione<br />
urinaria, sudorazione abbondante, riflessi<br />
tendinei profondi diminuiti, carenza di sodio<br />
nel sangue (iponatriemia), perdita della<br />
sensibilità (iperestesie e parestesie),<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 37
instabilità emotiva, tetania; nei casi più gravi: coma, paralisi, atrofia del nervo ottico, allucinazioni e disturbi<br />
comportamentali, paralisi respiratoria.<br />
Trattamento delle porfirie<br />
Nei casi di porfiria acuta importante è la prevenzione: non somministrare farmaci (o altre sostanze) che possano indurre<br />
la malattia. Per le porfirie non acute per i malati di Morbo di Gunther si cerca di effettuare il trapianto di midollo osseo<br />
o, in alternativa, trasfusioni. Nella Porfiria Cutanea Tarda la terapia iniziale deve essere concentrata all'allontanamento<br />
della sostanza tossica (virus, alcool, ferro, farmaci) ed alla protezione dal sole. In seguito, si può intervenire<br />
aumentando l'eliminazione di porfirine. Per la Protoporfiria la terapia consiste nella protezione dal sole attraverso creme<br />
schermanti e mediante β-carotene.<br />
Porfirie umane ereditarie<br />
Porfirie tossiche e sperimentali<br />
Non c'è base ereditaria, ma sono porfirie occasionali causate dall'assunzione di particolari sostanze. Sintomi tipici sono:<br />
− disturbi neurologici<br />
− disturbi addominali (coliche)<br />
− disturbi cutanei (fotosensibilità)<br />
PCH = paracloroetano; DDC = 3,5-dicarbetoxi-1,4-diidrocollidina<br />
http://www.msd-italia.it/altre/manuale/sez02/0140200.html<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 38
Appunti di Patologia Generale – Pag, 39
PNEUMOCONIOSI<br />
Sono malattie polmonari causate dall’inalazione di polveri fini inorganiche che danno luogo a reazioni fibrose.<br />
Sono oltre 40 i minerali la cui inalazione provoca lesioni polmonari<br />
− alcuni (ferro, alluminio, bario) sono innocui e si limitano ad accumularsi nel polmone<br />
− altri portano a malattie polmonari invalidanti<br />
Tipi specifici di pneumoconiosi prendono il nome dalla sostanza inalata:<br />
− silicosi, antracosi, asbestosi, talcosi…<br />
− a volte non si conosce o non si conosceva l’agente eziologico: polmone del saldatore, polmone dell’arrotino (in<br />
questo caso è una silicosi)<br />
Meccanismo patogenetico<br />
Il meccanismo patogenetico comune nella determinazione delle pneumoconiosi è la capacità delle polveri inalate a<br />
stimolare la FIBROSI POLMONARE.<br />
Lo sviluppo delle pneumoconiosi e l'entità delle lesioni dipendono da:<br />
• dose = dipende dalla concentrazione nell’aria respirata e dal tempo di esposizione all'inalante<br />
• dimensioni, forma => galleggiabilità delle particelle<br />
◦ le particelle più patogene sono quelle più piccole (1-5 um) => raggiungono gli acini<br />
polmonari<br />
◦ le particelle > 10 micron vengono espulse con il trasporto mucociliare<br />
• solubilità e reattività biochimica<br />
• particelle piccole vanno prima in soluzione => danno acuto<br />
• particelle più grandi => fibrosi<br />
• ulteriori effetti di altri irritanti come il fumo (soprattutto nell'asbestosi)<br />
• fattori genetici => in genere solo piccole percentuali di persone esposte sviluppano la malattia<br />
I macrofagi rappresentano sia una difesa sia un meccanismo di trasporto delle particelle ai linfatici e ai linfonodi.<br />
Pneumociti<br />
• Pneumociti di tipo I, definiti anche piccole cellule alveolari, ricoprono circa il 90% della superficie alveolare<br />
totale. Sono cellule piccole, sottili, come un sottile film che ricopre la superficie dell' alveolo. Aderiscono alla<br />
superficie dei vasi capillari tramite la membrana basale, permettendo la diffusione e lo scambio dei gas. Sono<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 40
cellule che non si possono replicare e sono molto sensibili alle sostanze tossiche.<br />
• Pneumociti di tipo II, inferiori per numero rispetto a quelli di tipo I, sono cellule voluminose di struttura<br />
cuboide le quali ricoprono circa il 5% della superficie alveolare. Sebbene poco numerosi, rappresentano<br />
cellulle di notevole importanza nello funzionalità del polmone, poiché sono responsabili della secrezione del<br />
surfattante, composto glico-proteico che abbassa la tensione superficiale e favorisce gli scambi gassosi.<br />
Silicosi<br />
Causata dall’inalazione di biossido di silicio. La silice è captata dal macrofago, si può produrre collageno nello spazio<br />
alveolare => nodulo silicotico.<br />
La malattia potrebbe risalire al Paleolitico (con la forgiatura di utensili di pietra)<br />
Lavorazioni che espongono alla malattia: intaglio di pietre, affilatura e levigatura di metalli, manifattura di ceramiche,<br />
fonderie, pulitura di caldaie, “sabbiatura” di superfici metalliche<br />
Patogenesi<br />
• La silice cristallina è più tossica della forma amorfa<br />
• Le particelle >0.2 e 2 cm in un contesto di silicosi nodulare semplice<br />
◦ Masse anche di 10 cm di asse maggiore, situate nelle porzioni superiori di entrambi i polmoni<br />
◦ Le lesioni possono essere cavitate centralmente<br />
◦ Si ha insufficienza respiratoria per distruzione del parenchima polmonare<br />
• Silicosi acuta<br />
◦ Oggi rara<br />
◦ Esposizione a polveri finissime per operazioni di sabbiatura e di pulitura<br />
◦ Fibrosi diffusa del polmone, senza noduli<br />
◦ Si accumula materiale denso eosinofilo negli alveoli: silicoproteinosi<br />
◦ La malattia progredisce repidamente in pochi anni<br />
Caratteristiche cliniche<br />
• La silicosi nodulare semplice spesso asintomatica è rilevabile radiologicamente<br />
• Nella fibrosi massiva progressiva si ha dispnea<br />
• Nella silicosi acuta si ha dispnea rapidamente invalidante<br />
• Frequente l’associazione con la tubercolosi perché la silicosi determina la perdita delle difese macrofagiche a<br />
livello polmonare.<br />
Antracosi<br />
L’antracite (carbone duro) contiene anche particelle di silice, cui vanno attribuite le lesioni polmonari: antracosilicosi<br />
Il carbone bituminoso (carbone morbido) contiene assai poco silicio: antracosi<br />
Il carbone amorfo non è fibrogenico perché incapace di uccidere i macrofagi<br />
Il carbone viene assunto dai macrofagi, che passano nell'interstizio e liberano le particelle => bronchioli dilatati,<br />
vengono colpiti sia i pneumociti I (95%) che II (5%) => enfisema focale da polveri.<br />
Lesioni morfologiche<br />
• Antracosi semplice<br />
◦ Macule<br />
◦ Noduli (macrofagi circondati da fibrosi)<br />
• Antracosi complicata (o fibrosi massiva progressiva)<br />
◦ Noduli > di 2 cm di diametro con riduzione della funzionalità respiratoria ed enfisema<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 41
Asbestosi<br />
L’amianto o asbesto, dal greco “inestinguibile”, comprende un gruppo di minerali fibrosilicati con fibre lunghe e sottili<br />
Le Vestali romane lo usavano per gli stoppini delle lampade<br />
Marco Polo osservò che vestiti intessuti con fibre di asbesto erano resistenti al fuoco<br />
In epoca moderna è (o è stato) utilizzato per l’isolamento in edilizia e nei freni<br />
Il suo utilizzo, cresciuto in tutto il XX secolo, ha subito un arresto per l’evidenza dei suoi danni<br />
L'amianto è captato dai macrofagi => interstizio => stimolano l'attivazione di fibroblasti => asbestosi.<br />
L'amianto è un silicato di magnesio esistente sotto varie forme minerali, di cui le principali sono:<br />
• Amosite Amianto bruno (Mg,Fe)7Si8O22(OH)2 dalle miniere del South Africa<br />
• Crisotilo Amianto bianco Mg3Si2O5(OH)4 dal greco: "fibra d'oro“<br />
• Crocidolite Amianto blu Na2Fe 2+ 3Fe 3+ 2Si8O22(OH)2 dal greco: "fiocco di lana“<br />
• Tremolite Ca2Mg5Si8O22(OH)2 dal nome della Val Tremola, in Svizzera<br />
• Antofillite(Mg,Fe)7Si8O22(OH)2 dal greco: "garofano“<br />
• Actinolite Ca2(Mg,Fe)5Si8O22(OH)2 dal greco: "pietra raggiata"<br />
L’amianto in natura è presente in due gruppi mineralogici:<br />
• Serpentino: crisotilo (fibre lunghe e resistenti)<br />
• Anfiboli: antofillite, actinolite, amosite, crocidolite, tremolite (fibre fragili, che si spezzano facilmente,<br />
possono essere intessute come le coperte antincendio)<br />
Mentre il carbone ha molta polvere e poche fibre, l’opposto è per l’amianto.<br />
Le malattie provocate dall’amianto sono causate dall’inalazione di materiale fibroso.<br />
Tra le varie orme di amianto gli anfiboli, ed in particolare la crocidolite, provocano maggiormente malattie rispetto al<br />
crisotilo.<br />
Patogenesi<br />
ASBESTOSI = fibrosi polmonare interstiziale diffusa causata dall’inalazione di fibre di amianto.<br />
Le fibre sono lunghe sino a 100 um, ma sottili 0.5-1 um.<br />
Si depositano negli alveoli più distali. Alcune inglobate dai macrofagi, altre insinuate nell’interstizio.<br />
Lesioni polmonari<br />
• All’inizio una alveolite essudativa, seguita da fibrosi polmonare interstiziale<br />
• Si osservano i corpi di asbesto che contengono una fibra sottile di asbesto lunga più di 50 um circondata da<br />
ferro e proteine<br />
• Le fibre sono parzialmente inglobate nei macrofagi e circondate da numerosi macrofagi, perché troppo grandi<br />
• Sia in alveoli che in bronchioli si ha una reazione fibrogenica, con patologia respiratoria restrittiva e ostruttiva<br />
Lesioni pleuriche<br />
• Versamento pleurico benigno (in circa il 3% degli esposti)<br />
• Placche pleuriche nella pleura parietale e diaframmatica: Sono costituite da tessuto fibroso collageno<br />
ialinizzato e possono avere noduli calcificati<br />
• Fibrosi pleurica diffusa<br />
• Atelettasia rotonda: l’atelettasia è data dal collabire degli alveoli polmonari per ostruzione e perdita del<br />
contenuto aereo<br />
• Mesotelioma pleurico<br />
◦ E’ stata dimostrata una netta correlazione tra esposizione all’amianto e sviluppo di un tumore mesoteliale<br />
pleurico maligno<br />
◦ Talvolta l’esposizione è minima, come i familiari dei lavoratori dell’amianto, che lavano i vestiti da lavoro<br />
◦ I più colpiti sono i lavoratori dell’amianto che sono esposti alla crocidolite<br />
Divieto d'uso in Italia<br />
L'impiego dell'amianto è fuori legge in Italia dal 1992. La legge n. 257 del 1992, oltre a stabilire termini e procedure per<br />
la dismissione delle attività inerenti l'estrazione e la lavorazione dell'asbesto, è stata la prima ad occuparsi anche dei<br />
lavoratori esposti all'amianto.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 42
All'art. 13 essa ha introdotto diversi benefici consistenti sostanzialmente in una rivalutazione contributiva del 50% ai<br />
fini pensionistici dei periodi lavorativi comportanti un'esposizione al minerale nocivo. In particolare, tale beneficio è<br />
stato previsto per i lavoratori di cave e miniere di amianto, a prescindere dalla durata dell'esposizione; per i lavoratori<br />
che abbiano contratto una malattia professionale asbesto-correlata in riferimento al periodo di comprovata esposizione;<br />
per tutti i lavoratori che siano stati esposti per un periodo.<br />
Nella Regione Emilia-Romagna è attivo il Registro Regionale dei Mesoteliomi, con sede a Reggio-Emilia presso il<br />
Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Azienda USL omonima, che rileva tutti i casi di mesotelioma incidenti dal 1996.<br />
Dal 1.01.96 al 31.03.01 sono stati individuati 323 casi di mesotelioma (225 uomini e 98 donne).<br />
Di questi, finora, ne sono deceduti 188. L’età media dei deceduti è di 66 anni.<br />
La sopravvivenza mediana dal momento della diagnosi è di 157 giorni.<br />
Considerato che risale al 1994 il divieto totale della estrazione, importazione e produzione di materiali/manufatti che<br />
contengono amianto e che sono in corso a livello regionale le verifiche delle situazioni che richiedono interventi di<br />
bonifica e in molti casi esse sono già state ultimate, purtroppo si deve attendere ancora come numero previsto di<br />
mesoteliomi 1000 nuovi casi/anno in Italia e 70 nuovi casi/anno in Emilia-Romagna.<br />
In Provincia di Bologna i casi di mesotelioma registrati a partire dal 1.01.96 sono 71.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 43
DANNI DA FUMO (da uso di tabacco)[Da libro]<br />
L'uso di prodotti del tabacco come sigarette, sigari, pipe e tabacco da fiuto è associato ad una mortalità e morbilità<br />
maggiori rispetto a qualsiasi altra esposizione individuale, ambientale o professionale.<br />
L'esposizione precoce ai cancerogeni del fumo di tabacco può aumentare il rischio di sviluppare il carcinoma al<br />
polmone.<br />
Composizione del fumo di sigaretta<br />
• oltre 4000 costituenti di cui 43 cancerogeni noti<br />
• cancerogeni organo-specifici<br />
• polmone, laringe => idrocarburi aromatici policiclici, NNK (4-1-1 butanone), polonio 210<br />
• esofago => NNN (N-Nitrosonornicortina)<br />
• pancreas => NNK?<br />
• vescica => 4-aminobifenile, 2-naftilamina<br />
• cavità orale (fumo) => idrocarburi aromatici policiclici, NNK, NNN<br />
• cavità orale (tabacco da fiuto) => NNK, NNN, polonio 210<br />
• metalli cancerogeni<br />
• arsenico, nichel, cadmio, cromo<br />
• potenziali favorenti<br />
• acetaldeide, fenolo<br />
• irritanti<br />
• biossido d'azoto, formaldeide<br />
• inibitori della motilità delle ciglia dell'epitelio delle vie respiratorie<br />
• acido cianidrico<br />
• monossido di carbonio = ha un'affinità 200 volte superiore all'ossigeno per Hb e ne ostacola il rilascio di<br />
ossigeno; lega altre proteine contenenti EME come la mioglobina e la citocromo ossidasi<br />
• nicotina = alcaloide, attraversa facilmente la barriera emato-encefalica, responsabile della dipendenza e degli<br />
effetti farmacologici (aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, aumento del flusso ematico<br />
coronario, aumento della contrattilità e della gittata cardiaca, mobilizzazione degli acidi grassi liberi)<br />
Patologie legate al fumo<br />
1. carcinoma del polmone<br />
2. cardiopatia ischemica<br />
3. broncopneumopatia cronica ostruttiva<br />
L'epitelio tracheobronchiale dei fumatori di sigaretta presenta modificazioni preneoplastiche dose-correlate.<br />
L'insorgenza di cancro del polmone è direttamente legata al numero di sigarette fumate.<br />
• 30% dei morti per cancro dovuti al fumo di sigaretta<br />
• 90% dei morti per cancro al polmone dovuti al fumo di sigaretta<br />
Fattore moltiplicativo sul rischio di:<br />
• ipertensione - ipercolesterolemia – sviluppo di malattia coronaria e aterosclerosi<br />
• nelle donne che assumono contraccettivi orali: infarto miocardico acuto e ictus<br />
Può contribuire all'arresto cardiaco aumentando l'adesività e l'aggregazione piastrinica, scatenando artimie. provocando<br />
squilibrio tra richiesta e apporto di ossigeno al miocardio.<br />
Aumento di infezioni e altre patologie delle vie respiratorie.<br />
Il feto è soggetto all'abitudine al fumo della madre:<br />
• ipossia fetale per alti livelli di carbossiemoglobina, con le seguenti possibili conseguenze:<br />
• basso peso alla nascita<br />
• prematurità<br />
• aborto spontaneo<br />
• placenta previa<br />
• distacco della placenta<br />
Fattore di aggravamento per:<br />
• pneumoconiosi<br />
• asma<br />
• bronchite<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 44
Fumo passivo (ETS = environmental tobacco smoke)<br />
Riconosciuto come agente cancerogeno umano, aumenta il rischio di:<br />
• carcinoma polmonare<br />
• cardiopatia ischemica<br />
• infarto miocardico acuto<br />
Particolarmente pericoloso per lattanti e bambini, aumenta incidenza di:<br />
• sindrome da morte improvvisa<br />
• malattie respiratorie<br />
• infezioni dell'orecchio<br />
• aggravamento dell'asma<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 45
<strong>PATOLOGIA</strong> DELLA TRASCRIZIONE<br />
La trascrizione è quel processo attraverso cui vengono sintetizzati i vari RNA sullo stampo di DNA. Gli inibitori della<br />
trascrizione possono agire sul DNA stampo o su enzimi implicati nel processo.<br />
INIBITORI DELLA TRASCRIZIONE AGENTI SUL DNA STAMPO<br />
Micotossine<br />
Le micotossine (aflatossine, ocratossine, zearalenone, ecc.) sono delle molecole tossiche prodotte dal metabolismo di<br />
alcuni funghi microscopici (miceti), appartenenti ai generi Aspergillus, Penicillium e Fusarium quando proliferano, in<br />
opportune condizioni di temperatura e di umidità, sulle derrate alimentari, mangimi, foraggi...<br />
Sono i più importanti inibitori della trascrizione.<br />
Lo sviluppo delle muffe e dei loro metaboliti tossici sulle derrate alimentari può verificarsi durante la coltivazione,<br />
oppure in tempi diversi, fino ad arrivare al consumo. Quando alimenti e mangimi contaminati vengono ingeriti<br />
dall'uomo e dagli animali, le micotossine sono capaci di indurre una varietà di effetti tossici.<br />
• Aflatossine B1 e M1<br />
◦ L'aflatossina M1 è il metabolita 4-idrossi derivato dell'aflatossina B1, la<br />
quale deriva dall'Aspergillus flavus. Se presente nei mangimi e foraggi<br />
contaminati, l'aflatossina B1 viene ingerita dagli animali dove, nel loro<br />
fegato, viene idrossilata ad aflatossina M1.<br />
◦<br />
◦<br />
L'aflatossina M1 deve la sua sigla a "milk", latte, in quanto passa, in<br />
quantità rilevanti, nel latte. In bibliografia esistono evidenze della<br />
presenza della M1 anche in organi quali fegato e rene<br />
L'aflatossina M1, legata alla frazione proteica del latte, viene escreta<br />
L'aflatossina M1:<br />
C17H12O7<br />
MW 328 3<br />
◦<br />
dalle ghiandole mammarie delle mucche. L'aflatossina M1 è destinata inevitabilmente ad essere ingerita<br />
dall'uomo, sia con il latte che con i prodotti da questo derivati, in quanto nessun trattamento è in grado di<br />
eliminarla (M1 e' una molecola termostabile).<br />
Pertanto, l'aflatossina M1 non è prodotta direttamente dalla muffa Aspergillus, bensì deriva dal<br />
metabolismo degli animali che si nutrono di alimenti contaminati dall'Aspergillus, quindi contenenti<br />
l'aflatossina B1.<br />
◦ Anche l'aflatossina M1 è riconosciuta tra i potenziali carcinogeni per l'uomo.<br />
◦ L'aflatossina M1 compare nel latte dopo circa 4 ore dall'ingestione, da parte della mucca, di aflatossina B1<br />
con gli alimenti.<br />
◦ Scompare dal latte, in media, già entro 3-4 giorni dalla sospensione dell’assunzione di Aflatossina B1.<br />
◦ I produttori di latte devono controllare la presenza di M1.<br />
◦ Il danno più importante da aflatossine è al fegato => intossicazione acuta => si formano isolotti di necrosi<br />
epatica. Il fegato può rigenerare => la rigenerazione delle cellule danneggiate nel DNA può dar luogo a<br />
trasformazione tumorale.<br />
• Azione cancerogena delle aflatossine<br />
◦ L’azione cancerogena e l’azione mutagena delle aflatossine B1, e M1 sono il risultato della formazione<br />
dell'epossido, un intermedio metabolico particolarmente reattivo, in grado di formare legami covalenti con<br />
gli acidi nucleici.<br />
◦<br />
Epossidi<br />
Numerosi studi hanno dimostrato che l'aflatossina M1 avrebbe un potere epato-cancerogeno inferiore a<br />
B1, ma un potere cancerogeno per il rene leggermente superiore.<br />
• Molti epossidi, soprattutto quando hanno estese strutture aromatiche, sono cancerogeni. Infatti hanno la<br />
capacità di intercalare tra le basi azotate del DNA e quindi di alchilarle (specialmente la guanina). Talvolta gli<br />
epossidi si formano nel fegato per ossidazione biologica di sistemi poliaromatici.<br />
Actinomicina<br />
• E’ un antibiotico cromo-peptidico prodotto da numerose specie del genere Actinomices.<br />
• Il cromoforo (actinocina) è un fenoxazone legato a due anelli pentapeptidici<br />
• E’ molto tossica anche per le cellule eucariotiche dell’uomo, ma si impiega come farmaco antitumorale e non<br />
come antibiotico<br />
• Azione dell'actinomicina:<br />
◦ L’anello fenoxazonico (il cromoforo) si intercala tra due coppie di basi di DNA stampo, adiacenti ad una<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 46
coppia G-C, mentre gli anelli pentapeptidici si proiettano nel solco minore del DNA.<br />
◦ A bassa concentrazione (1 um) inibisce l’iniziazione della trascrizione (soprattutto RNA ribosomiale con<br />
conseguente caratteristica alterazione del nucleolo che diventa compatto), mentre a più alta concentrazione<br />
(10 um) inibisce l’elongazione.<br />
• Lesioni da actinomicina<br />
◦ Le lesioni indotte dall'actinomicina D sono il prototipo degli<br />
effetti di molti agenti il cui primario meccanismo d'azione è il<br />
disturbo della funzione stampo del DNA per la sintesi<br />
dell'RNA.<br />
◦ Per quanto la sintesi di tutte le specie di RNA sia inibita<br />
dall'actinomicina, una bassa dose provoca precoce inibizione<br />
della sintesi dell'RNA 45 S, precursore degli RNA ribosomiali<br />
28 S e 18 S.<br />
• Alterazioni strutturali nel nucleo<br />
◦ Caratteristiche sono le alterazioni morfologiche nucleolari<br />
prodotte dall'actinomicina. Il nucleolo diviene compatto, con<br />
separazione (segregazione) della componente granulare<br />
◦<br />
(ribosomi neoformati) da quella fibrillare (non contiene più<br />
RNA, ma solo istoni e proteine)<br />
Può comparire una zona di ribonucleoproteine alterate, o<br />
placca densa.<br />
◦ Questo fenomeno di redistribuzione dei componenti del<br />
nucleolo è noto come «segregazione nucleolare».<br />
• La segregazione nucleolare<br />
◦ Essa si manifesta in conseguenza non solo dell'azione dell'actinomicina, ma di molte altre sostanze<br />
tossiche (cancerogeni, tossine fungine, virus) o agenti fisici (radiazioni UV e radiazioni ionizzanti, calore)<br />
che compromettono la trascrizione.<br />
◦ In generale la «segregazione nucleolare» inizia con una separazione dei componenti fibrillare e granulare,<br />
prima frammisti. Si rendono così evidenti due regioni, la parte amorfa e la massa densa.<br />
◦ Gli effetti precoci sono nel nucleolo, ma in seguito si ha anche la condensazione della cromatina a livello<br />
del nucleoplasma => tutta la cromatina si trova in forma di eterocromatina (compatta, non più<br />
trascrivibile)<br />
• Basi molecolari della segregazione nucleolare<br />
◦ Mediante la autoradiografia ad elevata risoluzione si è seguita la sintesi ed il destino dell'RNA sotto<br />
l'azione dell'actinomicina.<br />
◦ Nel nucleolo di cellule trattate in vitro, l'incorporazione di uridina marcata con 3H si localizza dapprima<br />
nella componente fibrillare (sintesi di nuovo RNA); dopo 30 minuti di trattamento con actinomicina la<br />
radioattività incorporata migra nella componente granulare (arresto della sintesi di nuovo RNA e<br />
marcatura solo nei ribosomi) => inizia la «segregazione nucleolare»<br />
◦ Dopo 7 ore la «segregazione» è completa e la radioattività è localizzata solo nella componente granulare.<br />
◦ Le regioni fibrillari contengono materiale resistente alla digestione con RNAasi e DNAasi, ma sensibile<br />
alla pepsina e quindi istoni e proteine.<br />
◦ L'RNA 45S è completamente scomparso e la componente fibrillare di nucleoli completamente segregati<br />
non contiene più nuovo RNA.<br />
• Alterazioni strutturali del nucleoplasma<br />
◦ Non mancano, tra gli effetti dell'actinomicina, le alterazioni del nucleoplasma.<br />
◦ L'actinomicina D, insieme a molte altre sostanze che inibiscono la sintesi dell'RNA (proflavina, etionina,<br />
amanitine), induce una marcata condensazione della cromatina.<br />
◦ I nuclei di cellule trattate con queste sostanze mostrano aggregati di cromatina che spiccano nel<br />
nucleoplasma o si raccolgono lungo la membrana nucleare o intorno ai nucleoli.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 47
RA<strong>DI</strong>AZIONI COME INIBITORI DELLA TRASCRIZIONE<br />
• Tra gli agenti che agiscono sulla trascrizione (oltre che sulla duplicazione del DNA) vanno ricordate le<br />
radiazioni, sia ionizzanti, sia eccitanti.<br />
• La rottura dei filamenti o la formazione di dimeri tra le basi alterano la funzione stampo del DNA e inibiscono<br />
la sintesi di RNA.<br />
• È interessante che la microirradiazione con raggi UV della parte extranucleolare del nucleo induce una pronta<br />
«segregazione nucleolare»<br />
INIBITORI DELLA TRASCRIZIONE AGENTI SULLE RNA-POLIMERASI<br />
• Due modelli di inibitori delle RNA polimerasi, con stretta specificità per il tipo di enzima inibito sono:<br />
◦ la rifampicina, specifica per l'RNA polimerasi procariotica, impiegato in terapia come farmaco<br />
antitubercolare e altro. Dà anche tossicità mitocondriale (perchè ha ribosomi 50s, ecc.)<br />
◦ la α-amanitina, specifica per le RNA polimerasi eucariotiche nucleoplasmatiche B I e B II.<br />
Rifampicina<br />
• Le rifampicine A e B, antibiotici prodotti dallo Streptomyces mediterranei, ed il derivato sintetico rifamicina<br />
sono potenti inibitori della RNA polimerasi batterica.<br />
• La rifampicina si lega non covalentemente alla subunità beta.<br />
• È inibita l'iniziazione e non l'elongazione.<br />
• Gli enzimi nucleari delle cellule eucariotiche non sono inibiti dalla rifampicina, ma le RNA-polimerasi dei<br />
mitocondri sono sensibili.<br />
• Le proprietà e la specificità delle rifampicine come inibitori dell'RNA polimerasi batterica ne consentono<br />
l'impiego come farmaco antibatterico, in particolare antitubercolare.<br />
Amanitine<br />
• Nei funghi velenosi mortali Amanita phalloides, A.<br />
verna, e A. virosa sono presenti due classi di sostanze<br />
tossiche, le amanitine e le falloidine.<br />
• Le amanitine sono potentissimi inibitori dell'RNA<br />
polimerasi delle cellule eucariotiche.<br />
• I vari tipi di RNA polimerasi sono diversamente sensibili<br />
a amanitine<br />
• Trattandosi di veleni termoresistenti sono attivi anche<br />
dopo cottura dei funghi.<br />
• La massima parte di decessi per avvelenamento da<br />
funghi è dovuta alla specie più diffusa A. phalloides, la<br />
cui ingestione, nella quantità di 50 g di fungo fresco,<br />
causa la morte di un uomo adulto.<br />
• Avvelenamento da amanitina<br />
◦ Dopo una iniziale sintomatologia, consistente in<br />
violenti dolori addominali con vomito e diarrea, che può portare rapidamente a morte con una sindrome<br />
simile al colera, i sintomi gastrointestinali regrediscono; ma molto spesso, dopo un variabile periodo di<br />
latenza di alcuni giorni, compaiono segni di insufficienza epatica e renale che, aggravandosi, possono<br />
portare a morte l'avvelenato.<br />
• Avvelenamento sperimentale<br />
◦ Le prime lesioni cellulari sono localizzate nel nucleo con segregazione e poi frammentazione dei nucleoli<br />
e condensazione della cromatina nucleoplasmatica.<br />
◦ Nel topo le lesioni cellulari sono manifeste prima nel fegato, con steatosi e necrosi degli epatociti e poi nel<br />
rene con necrosi delle cellule dei tubuli contorti prossimali (necrosi da tossico).<br />
◦ Nel ratto mancano i danni renali e ciò è stato interpretato con il fatto che le cellule dei tubuli prossimali<br />
del ratto sono incapaci di riassorbire l'amanitina filtrata con la preurina.<br />
• Avvelenamento sperimentale e orale<br />
◦ Nel topo e nel ratto l’amanitina non è assorbita dall’intestino e quindi non è attiva per via orale, ma solo<br />
per iniezione parenterale.<br />
◦ Nell’uomo e nel cane l’amanitina lede prima l’intestino e poi fegato e rene e quindi in queste specie è<br />
possibile l’avvelenamento per via alimentare<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 48
La possibilità di avvelenamento da queste sostanze è quindi legata alla presenza di recettori nelle cellule, presenti<br />
diversamente nei vari tessuti e nelle varie specie: nell'uomo e nel cane sono simili.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 49
<strong>PATOLOGIA</strong> DELLA TRADUZIONE<br />
E' quel processo attraverso il quale viene tradotto dell'mRNA in proteine, negli eucarioti avviene nel reticolo<br />
endoplasmatico rugoso.<br />
Vi sono differenze tra i sistemi procariotici ed eucariotici:<br />
• Ribosomi procarioti: 70S (30S+50S)<br />
• Ribosomi eucarioti: 80S (40S+60S)<br />
• Procarioti ed eucarioti hanno enzimi di iniziazione ed elongazione differenti => diverse sostanze agiscono sui<br />
due tipi.<br />
• I mitocondri hanno un sistema simil-batterico per quanto riguarda ribosomi ed enzimi.<br />
Pertanto diverse sostanze agiscono diversamente su procarioti ed eucarioti.<br />
Tappe della sintesi proteica eucariotica<br />
• Fase di inizio<br />
◦ mRNA si porta al reticolo endoplasmatico<br />
◦ mRNA si lega alla subunità 40S (che ha legato preventivamente alcuni fattori di inizio eIF) formando il<br />
complesso di pre-inizio<br />
◦ si aggiunge al sito P l'aminoacil-tRNA iniziatore (metionil-tRNA) con legato eIF-2 e GTP<br />
◦ vengono rilasciati i fattori di inizio (GTP è idrolizzato) e il ribosoma si posiziona sul codone di inizio<br />
(AUG)<br />
◦ si lega la subunità 60S => si è formato il complesso di inizio<br />
• Fase di allungamento<br />
◦ eEF-1 si aggiunge => lega il 2° aminoacil-tRNA al sito A<br />
◦ attività peptidiltrasferasica intrinseca alla subunità 60S del ribosoma forma il primo dipeptide, collocato<br />
sul sito A<br />
◦ eEF-2 trasloca il peptidil-tRNA dal sito A al sito P => il sito A si libera<br />
◦ si aggiungono altri aminoacil-tRNA e la catena si allunga<br />
◦ i fattori di allungamento portano GTP, che viene idrolizzato dopo l'utilizzo a GDP => per un nuovo ciclo<br />
deve essere nuovamente scambiato con GTP => ci sono delle protein chinasi che possono fosforilare i<br />
fattori di allungamento rendendo impossibile questo scambio e regolando così la traduzione proteica<br />
• Fase di terminazione<br />
◦ al raggiungimento del codone di stop (UAG, UGA, UAA) => al posto dell'aminoacil-tRNA si lega il<br />
fattore di rilascio eRF-1 => rilascio della catena polipeptidica e dissociazione del ribosoma dal mRNA<br />
Nei procarioti il processo è simile, ma alcuni aspetti e tutti i fattori sono diversi:<br />
• IF-2 lega GTP e la subunità 30S del ribosoma<br />
• il primo aminoacido inserito è formilmetionina<br />
• EF-Tu = analogo di eEF-1<br />
• EF-G = analogo di eEF-2<br />
• ci sono 2 fattori di rilascio (RF-1 e 2)<br />
• assenza di regolazione della traduzione da fosforilazione dei fattori di allungamento<br />
Sia negli eucarioti che nei procarioti ogni mRNA può essere tradotto simultaneamente da più ribosomi.<br />
Inibitori della traduzione<br />
• Gli inibitori della sintesi proteica possono agire specificamente sulle singole tappe della traduzione.<br />
• Proprio la specificità della loro azione ne consente l'impiego nella ricerca biochimica come mezzi per<br />
frazionare in eventi singoli il concatenato processo della sintesi proteica.<br />
• Alcuni sono inibitori specifici per il sistema procariotico e ciò consente il loro impiego come farmaci<br />
antibatterici ad elevato coefficiente terapeutico.<br />
• Altri sono attivi sia nel sistema procariotico che in quello eucariotico, come gli antibiotici del gruppo delle<br />
tetracicline o il cloramfenicolo e ciò spiega la loro relativa tossicità per l'uomo.<br />
• Infine altre sostanze sono inibitori specifici del sistema eucariotico (per i ribosomi 80S o per gli enzimi degli<br />
animali e delle piante superiori) e come tali sono potenti veleni anche per l'uomo, come la tossina difterica, la<br />
shiga-tossina, la ricina e altre tossine vegetali<br />
• Tutti gli antibiotici e altri inibitori delle sintesi proteiche agiscono legandosi in proporzioni equimolecolari con<br />
i componenti del sistema (ribosomi o loro subunità, enzimi o acidi nucleici) e quindi sono efficaci a<br />
concentrazioni eguali o superiori a quelle del loro bersaglio biochimico.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 50
• Invece le tossine citate e altri peptidi inibitori delle sintesi proteiche agiscono come enzimi, capaci di<br />
modificare e inattivare irreversibilmente specifici componenti del sistema. Questa proprietà spiega la loro<br />
estrema potenza tossica.<br />
Gli inibitori della traduzione si possono suddividere in tre gruppi:<br />
• antibiotici<br />
• tossine (batteriche e vegetali)<br />
• inibitori endogeni implicati in meccanismi di controllo cellulare della sintesi proteica<br />
ANTIBIOTICI<br />
Streptomicina<br />
• È un antibiotico scoperto nel 1944 in colture di Streptomyces griseus che, per la sua bassa tossicità, per l'ampio<br />
spettro antibiotico e per l'efficacia nei confronti del Mycobacterium tubercolosis acquistò subito grande<br />
importanza e largo impiego.<br />
• Agisce sulla subunità ribosomiale minore (30S) e la tappa inibita è il legame ai ribosomi dell'aminoacil-tRNA,<br />
catalizzata dall'EF-Tu (richiede GTP)<br />
• Ma l'effetto più notevole della streptomicina è quello noto come «miscoding», cioè la incorporazione di<br />
aminoacidi diversi da quelli codificati dalla sequenza di triplette di basi sull'mRNA.<br />
• Antibiotico-resistenza alla streptomicina<br />
◦ Il miscoding induce la sintesi batterica di proteine “mutanti”.<br />
◦ Il vasto impiego di questo antibiotico ha causato la comparsa e la disseminazione di ceppi resistenti di<br />
microrganismi gram-negativi quali Proteus, Pseudomonas aeruginosa, E. coli, e di gram-positivi quali<br />
Staphylococcus aureus e Streptococcus faecalis.<br />
◦ Alcuni di questi microrganismi, parassiti opportunisti, sono causa di gravi infezioni ospedaliere.<br />
Puromicina<br />
• È un antibiotico nucleosidico isolato da colture di Streptomyces alboniger, attivo con ampio spettro su batteri<br />
gram-positivi e gram-negativi, amebe e protozoi, ma non usato in terapia clinica perché attivo anche su cellule<br />
eucariotiche.<br />
• Lo studio del meccanismo d'azione della puromicina ha contribuito a far comprendere una delle tappe della<br />
elongazione peptidica, la transpeptidazione.<br />
Meccanismo d’azione della puromicina<br />
• La struttura chimica della puromicina presenta una stretta somiglianza con la porzione 3'-OH terminale di un<br />
aminoacil-tRNA<br />
◦ si ricordi che la sequenza terminale del tRNA è: CCA con l'aminoacido esterificato al 3'-OH del ribosio<br />
dell'adenosina => in figura è rappresentata l'adenosina terminale cui è legato l'ultimo aminoacido inserito<br />
della catena peptidica (R' sul ribosio del peptidil-tRNA rappresenta la parte restante del tRNA, che non si<br />
trova nella puromicina)<br />
• A causa di questa analogia strutturale, la puromicina interagisce con il sito A del centro peptidiltransferasico<br />
della subunità ribosomiale maggiore (50 S o 60 S) => si forma il legame peptidico tra catena peptidica<br />
nascente e puromicina<br />
• Ma la puromicina manca di quella parte della molecola dell'aminoacil-tRNA che assicura una interazione<br />
stabile con il ribosoma.<br />
• Perciò la puromicina, dopo aver reagito con un peptidil-tRNA posto nel sito ribosomiale P, si stacca dal<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 51
ibosoma, causando un precoce rilascio delle catene peptidiche nascenti e quindi una interruzione della sintesi<br />
proteica.<br />
L'interesse per la puromicina è più che altro sperimentale al fine di misurare il numero di catene peptidiche nascenti<br />
presenti in P attraverso l'impiego di puromicina radioattiva o di aminoacidi radioattivi.<br />
Se un animale assume puromicina e questa va nel fegato, si trova inizialmente steatosi epatica, perché una delle cause<br />
patogenetiche della steatosi è il blocco della sintesi proteica e impossibilità di produrre apolipoproteine per il trasporto<br />
dei lipidi, ma in seguito si arriva fino alla necrosi per interruzione delle sintesi macromolecolari.<br />
LE TOSSINE<br />
Tossina difterica<br />
• E’ una esotossina proteica prodotta da Corynebacterium diphtheriae.<br />
• L’infezione si localizza a faringe e laringe e provoca una infiammazione fibrinosa necrotizzante.<br />
• Più gravi lesioni si manifestano a distanza dalla sede dell'infezione, nel cuore (steatosi e necrosi a focolaio), nel<br />
fegato (steatosi), nel rene (degenerazione a gocce ialine, steatosi e infine necrosi tubulare); si accompagnano<br />
segni di neurite tossica con paralisi del velopendulo, dei muscoli oculari, dei muscoli faringei e laringei.<br />
• Le lesioni sono prodotte dalla tossina che si diffonde per via ematica e sono sperimentalmente riproducibili con<br />
l'iniezione della sola tossina, in assenza di infezione.<br />
• Molti animali come la cavia, il coniglio e la scimmia hanno la stessa sensibilità dell'uomo alla tossina: pochi<br />
ug sono letali per l'uomo.<br />
• Una misura standard della tossicità è la dose minima letale (DML) per la cavia: è la dose necessaria per<br />
causare la morte di una cavia di 250 g di peso corporeo in 4-5 giorni, ed è circa 60 ng.<br />
◦ altra misura è la LD50 = dose letale per il 50% degli animali in cui è iniettata<br />
Meccanismo d'azione della tossina difterica<br />
• Cellule in coltura sono sensibili all’azione della tossina.<br />
• La lesione biochimica più precoce provocata dalla tossina nelle cellule in coltura è l'inibizione delle sintesi<br />
proteiche.<br />
• L’inibizione delle sintesi proteiche si ha anche in sistemi acellulari, costituiti da componenti purificati<br />
(ribosomi, enzimi solubili, mRNA, tRNA, aminoacidi, e ATP e GTP come fonte di energia).<br />
• L’effetto della tossina in sistemi acellulari richiede la presenza di un cofattore cellulare termostabile e<br />
dializzabile, identificato con il nicotinamide-adenina-dinucleotide (NAD).<br />
• Il bersaglio della tossina è stato identificato nell'EF-2 (elongation factor 2), l'enzima che catalizza la<br />
translocazione nel ciclo di elongazione peptidica.<br />
• La tossina si comporta come un enzima che catalizzala formazione di un legame covalente tra un frammento<br />
del NAD, l'ADPribosio, e la molecola di EF-2, con formazione di ADPribosil-EF2.<br />
• L’ADPribosil-EF2 è inattivo nelle sintesi proteiche perché, pur legando il GTP, è incapace di translocare il<br />
peptidil-tRNA dal sito A al sito P.<br />
• Le catene peptidiche nascenti si bloccano nel sito A.<br />
• Perciò non possono essere aggiunti ulteriori aminoacil-tRNA<br />
Tossina difterica: struttura e penetrazione nelle cellule<br />
• Mentre poche specie sono sensibili alla tossina, in tutti gli estratti di cellule eucariotiche la tossina inattiva<br />
l'EF- 2.<br />
• Ciò si spiega tenendo conto della struttura della tossina e del suo meccanismo di penetrazione cellulare.<br />
• La molecola di tossina è rilasciata dalla cellula batterica come singola catena polipeptidica.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 52
• La proteina viene inglobata per pinocitosi => il frammento B (binding) può legarsi alla<br />
superficie delle cellule sensibili.<br />
• La tossina ha due ponti di disolfuro, uno dei quali delimita una zona della molecola di circa 10 aminoacidi dei<br />
quali 3 sono residui di arginina => la presenza di arginina rende tale zona particolarmente sensibile all'azione<br />
proteolitica della tripsina che la intacca.<br />
• La successiva riduzione del ponte S-S con gruppi tiolitici (es. glutatione) separa la tossina in due frammenti.<br />
• il frammento A (active) ha l’azione enzimatica di ADP-ribosilazione ed è molto resistente alla digestione,<br />
mentre il B viene degradato<br />
• una sola molecola di A in una cellula può ucciderla in 24 ore, purché ci sia NAD sufficiente per ADP-ribosilare<br />
EF-2<br />
Lo stesso meccanismo d'azione (ADP ribosilazione di EF-2) ce l'ha pseudomonas aeruginosa.<br />
La tossina del colera col suo frammento A invece ha effetto ADP-ribosilante nei confronti di una proteina G che risulta<br />
attivata costitutivamente e determina l'attivazione dell'adenilato ciclasi con produzione di AMPc => efflusso di acqua e<br />
bicarbonato dalle cellule intestinali che determina la diarrea.<br />
Le tossine delle piante<br />
• Le tossine sono proteine e si trovano per lo più nei semi, ma a volte anche nelle foglie<br />
• Sin dall’antichità è nota la tossicità dei semi di Ricinus communis e di Abrus praecatorius.<br />
• Sono stati descritti centinaia di casi di intossicazione umana da semi di ricino, e i semi di Abrus sono stati usati<br />
in India a scopo criminale, per intossicare il bestiame o uomini, introducendo sotto la pelle delle vittime aculei<br />
fatti di un impasto di semi essiccato.<br />
• Alla fine del secolo scorso fu riconosciuta la natura proteica dei veleni di Abrus e di Ricinus e le due proteine<br />
tossiche, denominate abrina e ricina, furono poi largamente studiate da Ehrlich dal punto di vista<br />
immunologico.<br />
• L'olio da spremitura del ricino non è tossico perché non contiene la tossina, è stato impiegato come lubrificante<br />
e come purgante<br />
Struttura delle tossine vegetali<br />
• La ricina e l'abrina sono tossine proteiche molto potenti, letali per l'uomo e per gli animali.<br />
• Attualmente il numero delle proteine tossiche isolate e purificate dalle piante (semi, foglie o radici) è in<br />
continuo aumento e l'interesse per questi veleni dipende dall'aver riconosciuto:<br />
◦ 1. che sono potenti inibitori delle sintesi proteiche,<br />
◦ 2. che alcuni di essi hanno uno specifico effetto citotossico per cellule neoplastiche (la ricina è più potente<br />
sulle cellule tumorali)<br />
◦ 3. che la loro struttura è bicatenaria e comprende un peptide dotato di potere inibitorio sulle sintesi<br />
proteiche (catena A) e un altro dotato di specificità di legame per recettori delle membrane cellulari<br />
(catena B). Le due catene sono legate solo da ponti disolfuro<br />
Tossine vegetali e peptidi inibitori non tossici<br />
• Insieme a proteine vegetali tossiche sono state isolate da alcune piante proteine non tossiche, attive come<br />
inibitori delle sintesi proteiche solo in sistemi acellulari (RIP = ribosome inactivating protein). La mancanza di<br />
tossicità in vivo o su cellule in coltura dipende dall'essere costituite solo dall'inibitore e prive del peptide che<br />
consente l'attacco alla membrana e la penetrazione nelle cellule.<br />
• Lo studio di queste sostanze può consentire di isolare o di ricostituire (per ibridazione molecolare) potenti<br />
agenti antineoplastici con elevato coefficiente terapeutico (rapporto tra dose efficace e dose tossica).<br />
◦ es. attraverso ibridazione con anticorpi monoclonali, fattori di crescita, ormoni, ecc. => si raggiungono le<br />
cellule target, a quel punto la sostanza può agire solo su quelle cellule, inoltre ha grande attività perché si<br />
tratta di un enzima<br />
Bersaglio dell’azione della ricina<br />
La catena A della ricina inattiva specificamente la subunità ribosomiale<br />
60S e l’inattivazione è irreversibile, permane cioè dopo allontanamento<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 53
dell’inibitore.<br />
Azione della ricina A sulla subunità 60S<br />
Agisce elettivamente sulla subunità ribosomiale 60S<br />
inibendone il legame con EF2 (effetto simile alla tossina<br />
difterica).<br />
E’ inibita la GTPasi EF2- ed EF1-dipendente.<br />
E’ bloccata la translocazione dal sito A al sito P.<br />
Non è bloccata la peptidiltransferasi.<br />
Le catene peptidiche nascenti sono bloccate in A<br />
Meccanismo molecolare d’azione della ricina<br />
Rappresentazione schematica del GAGA loop dell’RNA 28S della subunità<br />
60S.<br />
Con l’asterisco è segnata l’adenina 4324 che, per effetto della ricina A, è<br />
staccata dall’RNA, senza rottura della continuità polinucleotidica.<br />
A destra con la barretta è indicato il punto di scissione nucleasica dell’αsarcina,<br />
una tossina fungina.<br />
In conclusione, la ricina A e gli inibitori vegetali hanno azione enzimatica<br />
RNA-N-glicosidasica.<br />
Azione in vivo<br />
La ricina NON PENETRA negli epatociti e provoca necrosi emorragica<br />
epatica in quanto lede le cellule endoteliali dei sinusoidi e le cellule del<br />
Kuppfer.<br />
La ricina è pensata come una possibile sostanza per la guerra biologica.<br />
Modeccina<br />
La modeccina (da Adenia digitata), simile alla ricina nell’effetto sui ribosomi, PENETRA negli epatociti e provoca<br />
arresto delle sintesi proteiche e disaggregazione del reticolo endoplasmatico rugoso in vescicole rotonde. Provoca anche<br />
danno mitocondriale (i mitocondri appaiono rigonfi).<br />
Tossine, lectine e peptidi vegetali inibitori delle sintesi proteiche<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 54
LINKS<br />
http://www.floridata.com/ref/R/rici_com.cfm<br />
http://2bnthewild.com/plants/H171.htm<br />
http://www.ces.ncsu.edu/depts/hort/consumer/poison/Phytoam.htm<br />
http://www.ehso.com/ricin.php<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 55
INVECCHIAMENTO<br />
Aspettativa media di vita umana<br />
• Durata media, o aspettativa media di vita: l’età alla quale il 50% dei nati è sopravvivente<br />
• Durata massima di vita, o longevità massima<br />
L'aspettativa media di vita umana è aumentata in Europa negli ultimi due secoli, e in particolare negli ultimi decenni, a<br />
causa di:<br />
• Diminuzione della mortalità infantile<br />
• Miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie<br />
Tuttavia le curve tendono allo zero quasi allo stesso punto (95-100 anni):<br />
limite massimo della durata di vita?<br />
Mentre l’aspettativa media di vita è influenzata da molti fattori ambientali,<br />
dalle malattie e dagli incidenti traumatici, la durata massima di vita è<br />
indipendente da questi fattori e sembra avere una base esclusivamente<br />
genetica.<br />
La durata massima di vita è diversa da specie a specie ed è costante in ogni<br />
specie.<br />
Curve di sopravvivenza in popolazioni animali in condizioni protette o<br />
in ambiente selvatico<br />
Il “falso” di Alexis Carrel<br />
Sostenne, nel 1912, di aver ottenuto, al Rockefeller Institute di New York, una coltura di cellule di cuore di embrione di<br />
pollo, che si sarebbero replicate senza nessun segno di invecchiamento, fino al 1946 mediante l’aggiunta di “succo<br />
embrionale”.<br />
Ma era una ingenua collaboratrice del Maestro, che, per non deluderlo, aggiungeva, insieme al “succo embrionale”,<br />
cellule fresche.<br />
Tutte le colture cellulare di linea tuttora sopravviventi, come le HeLa (da un carcinoma uterino di Henrietta<br />
Lack) del 1952, derivano da cellule tumorali.<br />
Senescenza e immortalizzazione cellulare<br />
Le cellule somatiche in replicazione muoiono e vengono sostituite da altre. Ma ciò non serve ad impedire<br />
l’invecchiamento dell’organismo.<br />
Le cellule in coltura vanno incontro a senescenza a meno che non siano “immortalizzate” dalla trasformazione<br />
neoplastica (dimostrazione di Leonard Hayflick nel 1960).<br />
Fenomeno di Hayflick<br />
Le cellule nel tempo perdono la loro capacità di dividersi, a meno che non subiscano una trasformazione tumorale.<br />
Questo limite della capacità di replicazione cellulare (limite o fenomeno di Hayflick) può essere dimostrato sui<br />
fibroblasti coltivati in vitro.<br />
I fibroblasti si dividono solo fino a quando sono presenti in densità tale da entrare in contatto l’uno con l’altro,<br />
fenomeno chiamato inibizione da contatto. Se diluiti, i fibroblasti si dividono nuovamente fino a raggiungere la densità<br />
massima. Questo processo si può ripetere.<br />
Dopo circa 50 mitosi cellulari, i fibroblasti non si dividono più indipendentemente dalla loro densità. Si pensa che il<br />
limite di Hayflick rifletta i processi che si verificano in vivo; i fibroblasti prelevati da persone anziane tendono a<br />
dividersi meno volte.<br />
Alcuni studi hanno dimostrato che la perdita della capacità replicativa non dipende dal tempo totale di coltura delle<br />
cellule (età cronologica), ma dal numero delle divisioni (età biologica).<br />
Quando le cellule si dividono così tante volte da non potersi dividere ulteriormente, aumentano di volume e<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 56
sopravvivono per poco tempo, per poi andare gradualmente incontro a morte.<br />
Tali cellule differiscono nella morfologia e nella funzione dalle cellule giovani che sono ancora in grado di dividersi e<br />
dalle cellule la cui divisione è stata arrestata mediante manipolazione sperimentale.<br />
Limite della replicazione cellulare e malattie genetiche con accorciamento della durata di vita<br />
Basi biologiche della senescenza replicativa: i telomeri<br />
I telomeri sono brevi sequenze di DNA non codificante TTAGGG ripetute in tandem migliaia di volte alle estremità dei<br />
cromosomi eucariotici.<br />
Servono come punti di ancoraggio lungo i quali i cromosomi si muovono durante la telofase della meiosi.<br />
Hanno la funzione di impedire la fusione tra le estremità dei cromosomi, e quindi sono fondamentali per il corretto<br />
appaiamento meiotico e per la segregazione dei cromosomi durante la mitosi.<br />
I telomeri si accorciano irreversibilmente ad ogni mitosi.<br />
Quando i telomeri diventano troppo corti, la cellula non può più dividersi<br />
Accorciamento dei telomeri<br />
Nella divisione cellulare le DNA-polimerasi replicano il DNA in direzione 5'=>3' utilizzando come innesco brevi<br />
sequenze di RNA.<br />
Mentre il primo filamento di DNA è copiato interamente, il frammento "in ritardo" lo è incompletamente a causa della<br />
rimozione dell'innesco di RNA.<br />
Quindi, ad ogni divisione cellulare, viene perduto un frammento telomerico di 50-200 coppie di basi e, quando<br />
l'accorciamento dei telomeri ha raggiunto un check-point critico per l'attivazione di geni controllori della divisione<br />
cellulare quali p53 e rb, la replicazione si arresta.<br />
Cellule di organismi senescenti mostrano telomeri più corti rispetto a cellule prelevate da individui giovani.<br />
Il progressivo accorciamento dei telomeri sarebbe l'orologio biologico, o il meccanismo conta-mitosi previsto dalle<br />
ricerche di Hayflick.<br />
Nella replicazione terminale agisce un enzima, la telomerasi, costituito da due componenti di RNA, una con funzione<br />
di stampo, l'altra con funzione catalitica, legate a due proteine, TRFI e<br />
TRF2, destinate a permetterne il legame al DNA.<br />
Questo complesso ribonucleoproteico replica l'estremità telomerica<br />
del filamento di DNA incompletamente copiato comportandosi come<br />
una trascrittasi inversa, impedendo così l'accorciamento del telomero.<br />
La senescenza replicativa delle cellule eucariotiche normali dipende<br />
dal fatto che in esse la telomerasi non è espressa, o lo è a livelli molto<br />
bassi (ad esempio, nei linfociti).<br />
Che questo sia un meccanismo fondamentale della senescenza<br />
replicativa è dimostrato dal fatto che recentemente è stato possibile<br />
ottenere cellule umane immortalizzate mediante la transfezione di<br />
cellule normali con i geni codificanti per il frammento catalitico<br />
dell'RNA della telomerasi umana e con quelli per le proteine del<br />
complesso ribonucleoproteico.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 57
La telomerasi nei tumori<br />
La telomerasi è attiva anche in almeno il 90% delle cellule di tumori umani e animali.<br />
Tale attività, che comporta la inattivazione di importanti meccanismi di controllo del ciclo cellulare quali la p53, è<br />
responsabile della "immortalizzazione" dei cloni neoplastici.<br />
Nella maggior parte dei tumori i telomeri non sono più lunghi di quelli delle cellule normali, ma ciò dipende dal fatto<br />
che la riattivazione della telomerasi non è un fenomeno iniziale della cancerogenesi, ma avviene dopo un certo numero<br />
di cicli mutazionali.<br />
Dubbi che l’accorciamento dei telomeri sia alla base della senescenza<br />
I mammiferi più piccoli e a vita più breve come il topo e il ratto non mostrano l'accorciamento dei telomeri come<br />
meccanismo conta-mitosi per arrestare la replicazione cellulare, arresto che in coltura avviene dopo 10-15 divisioni.<br />
I loro telomeri sono 5-10 volte più lunghi di quelli dei cromosomi umani e nelle loro cellule la telomerasi è<br />
permanentemente attiva.<br />
Si può ipotizzare che la senescenza replicativa si sia realizzata nel corso dell'evoluzione come un meccanismo atto a<br />
prevenire l'accumulo di mutazioni responsabili di trasformazione maligna delle cellule piuttosto che come meccanismo<br />
di invecchiamento .<br />
GENETICA DELL'INVECCHIAMENTO<br />
La ovvia considerazione che l'invecchiamento e la morte degli individui sono condizioni necessarie per la<br />
sopravvivenza della specie è alla base di un gruppo di teorie evoluzionistiche.<br />
La pressione evoluzionistica che elimina gli individui portatori di geni aventi effetti dannosi che si manifestano nel<br />
periodo pre-riproduttivo della vita, viene meno se questi effetti si verificano solo nel periodo post-riproduttivo.<br />
La senescenza sarebbe la conseguenza della perdita della forza della selezione naturale: "gli individui invecchiano nel<br />
periodo post-riproduttivo della vita perché non c'è nessuno motivo che non lo facciano” (Rose, 1991).<br />
[Michael Rose è un biologo evoluzionista dell'Istituto di Scienze biologiche dell'università di Irvine (California) che ha<br />
impostato ricerche molto personali]<br />
Teoria della pleiotropia antagonista, proposta da Williams, che postula l'esistenza di meccanismi genetici che causano<br />
caratteristiche favorevoli nella fase pre-riproduttiva della vita, mentre inducono effetti dannosi dopo la riproduzione.<br />
Teoria del disposable soma ("soma usa e getta"), proposta da Kirkwood nel 1990, secondo la quale la selezione<br />
naturale privilegia la riproduzione a danno della conservazione indefinita del soma, in quanto quest'ultima sarebbe<br />
troppo costosa in termini di risorse energetiche: una riprova è offerta dalla abbreviazione del periodo fertile e dal<br />
dimezzamento dell'aspettativa di vita che si osserva nei "supertopi" transgenici portatori di più extra-copie del gene dell'<br />
ormone della crescita, nei quali le risorse sono appunto indirizzate all'aumento della massa corporea, a spese della<br />
fertilità e della protezione dallo stress ossidativo.<br />
Gerontogéni e longevity assurance genes<br />
Esistono geni la cui funzione sia quella di indurre i molteplici fenomeni dell’invecchiamento?<br />
Come modello di invecchiamento A. Comfort (Neuropsychiatry Institute, University of California, Los Angeles)<br />
propone quello della gerarchia degli orologi biologici: l'invecchiamento non sarebbe causato da un singolo sistema<br />
genico regolatore, ma dalla interazione tra numerosi processi temporizzati indipendentemente uno dall'altro.<br />
Vi sarebbe un "master clock" e una serie di "peripheral clocks", alcuni dei quali regolati dal master, altri indipendenti,<br />
ma ognuno dei quali capace di indurre deterioramento e morte.<br />
I geni dell'invecchiamento<br />
Un ceppo di Drosophila melanogaster (ceppo La) sopravvivente il doppio del normale è stato ottenuto da Rose nel 1987<br />
mediante opportuni incroci.<br />
In questo ceppo con eccezionale longevità si osserva una maggiore espressione dei geni codificanti per enzimi protettivi<br />
nei riguardi dello stress ossidativo, quali la superossidodismutasi (SOD) e la catalasi.<br />
Questi geni sono localizzati sul cromosoma 3 dell'insetto e inibiti da geni mappati sul cromosoma 2, che si potrebbero<br />
pertanto considerare come possibili "geni dell'invecchiamento".<br />
Nel 1998 Benzer (California Institute of Technology, Pasadena, California) ha clonato e sequenziato in un ceppo<br />
mutante di Drosophila con longevità aumentata del 40% un gene, mappato sul cromosoma 3, poi denominato mth (da<br />
Methuselah), codificante per una proteina trans-membrana che induce resistenza allo stress ossidativo.<br />
La transfezione in embrioni di Drosophila di geni soprannumerari della SOD ha permesso di ottenere ceppi iperlongevi.<br />
Emerge l'idea che la determinazione genetica della durata di vita possa essere correlata con i meccanismi di difesa dallo<br />
stress ossidativo.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 58
Geni in Caenorhabditis elegans<br />
Con indagini di genetica molecolare sono stati identificati i geni responsabili della apoptosi che colpisce 131 cellule di<br />
questo organismo nel passaggio dalla fase larvale a quella adulta.<br />
Si tratta dei geni ced-3, omologo del gene umano per la caspasi-l, e ced-4, ai quali si contrappone come gene<br />
antiapoptotico il ced-9, omologo del gene umano bcl-2, uno dei più studiati tra gli oncogeni.<br />
Questi geni regolatori della morte cellulare programmata non hanno però, in Caenorhabditis, un ruolo dimostrato nella<br />
durata di vita.<br />
Ricerche successive hanno invece consentito di isolare e donare due sistemi di geni implicati nella longevità di questo<br />
nematode:<br />
• iI primo di questi geni, codificante per una fosfatidil-inositolo-3-chinasi, è denominato Age-1.<br />
◦ Le mutazioni inattivanti di questo gene inducono un cospicuo allungamento, fino a due volte, della durata<br />
di vita di Caenorhabditis.<br />
• In seguito sono stati isolati diversi geni della famiglia daf, tra i quali il più interessante è daf-2, le cui<br />
mutazioni inducono un allungamento della durata di vita di 2-3 volte, mentre daf-23 si è rivelato una variante<br />
di Age-1<br />
• Una seconda famiglia di geni controllori della durata<br />
di vita di Caenorhabditis è quella dei geni clk (da<br />
clock), che controllano la temporizzazione di<br />
fenomeni quali le divisioni cellulari durante lo<br />
sviluppo embrionaIe, l'alimentazione e la<br />
locomozione<br />
Mentre le mutazioni inattivanti di clk-1, clk-2 e clk-3<br />
determinano solo un modesto aumento della durata di vita, le<br />
mutazioni associate di Age-1 e clk-1 la allungano anche di 6-<br />
7 volte.<br />
Comune a tutti i mutanti iperlongevi di Caenorhabditis<br />
elegans è l'aumentata resistenza allo stress ossidativo, come<br />
nei ceppi iperlongevi di DrosophiIa<br />
Geni della longevità in organismi superiori<br />
Nel 1999 è stata dimostrata l'esistenza nel topo di un gene che<br />
sembra influire sulla sua durata di vita.<br />
È stato infatti identificato un gene, p66shC, facente parte di<br />
una via di trasduzione di segnali attivata da radicali<br />
dell'ossigeno e implicata nell'induzione di apoptosi.<br />
Topi eterozigoti p66shC+/- mostravano un modesto aumento<br />
della sopravvivenza, gli omozigoti p66shC-/- l'aumento della<br />
durata di vita era del 30%.<br />
A tutt'oggi questo è l'unico modello di un possibile "gene<br />
dell'invecchiamento" identificato nei mammiferi, e anche in<br />
questo caso si tratta di un gene implicato in qualche modo<br />
nella resistenza allo stress ossidativo.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 59
Apoptosi e invecchiamento<br />
Sembra doversi escludere che l'apoptosi sia un meccanismo generale di senescenza operante nei sistemi di cellule<br />
intermitotiche: fibroblasti e linfociti senescenti vanno meno facilmente incontro ad apoptosi di quelli ottenuti da<br />
individui giovani, i primi per maggiore espressione di bcl-2 e i secondi per minore espressione di Fas.<br />
È stata anzi ripetutamente avanzata da vari autori l'idea che sia proprio la minore efficienza del processo apoptotico ad<br />
essere un meccanismo di invecchiamento nei sistemi di cellule intermitotiche, in quanto causa dell'accumulo nei tessuti<br />
di cellule danneggiate o comunque meno funzionali, che sarebbero state eliminate nel giovane.<br />
Le ricerche sul sistema immunitario degli ultracentenari suggeriscono l'idea che essi siano tali per essere le loro cellule<br />
più soggette all'apoptosi.<br />
Sindrome di Werner<br />
Qualche entusiasmo è derivato dal recente isolamento del gene Werner, le cui mutazioni determinano l’omonima<br />
malattia recessiva, una tra le malattie ereditarie dell'uomo causa di invecchiamento accelerato.<br />
Questa sindrome è caratterizzata da esordio intorno ai 20 anni, con atrofia cutanea, incanutimento dei capelli, cataratta,<br />
osteoporosi, diabete, aterosclerosi accelerata, riduzione della fertilità, frequente insorgenza di neoplasie, tutti fenomeni<br />
caratteristici dell'invecchiamento, fino al decesso intorno alla quarta decade.<br />
II gene Werner, mappato sul braccio corto del cromosoma 8, codifica per una proteina di 1432 aminoacidi appartenente<br />
alla famiglia delle elicasi, enzimi deputati allo srotolamento delle eliche del DNA e quindi essenziali per la sua<br />
replicazione e riparazione.<br />
Tuttavia, il fenotipo Werner mostra numerose altre anomalie che non sono caratteristiche dell'invecchiamento<br />
fisiologico, e per questo e per vari altri motivi si ritiene oggi che questa malattia, come anche la progeria e le tante<br />
sindromi progeroidi dell'uomo aventi un fondamento genetico, non possa in alcun modo essere considerata come un<br />
valido modello di invecchiamento.<br />
Speranze di longevità<br />
Restano le speranze, o forse le illusioni, di coloro i quali pensano che i futuri progressi della genetica molecolare<br />
possano portare all'identificazione nel genoma umano di geni simili al p66Sht del topo, e che in un futuro ancora più<br />
lontano la manipolazione di geni di questo tipo possa permettere a tutti gli individui il raggiungimento dei limiti<br />
massimi della longevità umana, piuttosto arbitrariamente fissati a 120 anni (in realtà, il primato al riguardo è quello di<br />
una donna francese deceduta a 122 anni).<br />
È certamente vero che i progressi della biologia e della medicina, accanto a quelli dell'economia e dell'organizzazione<br />
sociale delle popolazioni, potrebbero portare in un futuro ad allungare, forse anche di una decina di anni, l'aspettativa<br />
media di vita dell'uomo.<br />
È stato calcolato che se si potessero eliminare tutte le malattie dell'apparato cardio-vascolare, oggi ancora la più comune<br />
causa di morte nei paesi occidentali, l'aspettativa media di vita aumenterebbe di 7 anni, che diventerebbero 9 se si<br />
potessero prevenire o guarire tutti i tumori maligni.<br />
Tutto ciò è certamente possibile, e potrebbe portare la maggioranza degli individui al limite massimo della longevità<br />
della nostra specie, che le curve delle sopravvivenze indicano intorno ai 90-95 anni.<br />
Ma questo limite non ne verrebbe sostanzialmente modificato. Ciò sarebbe possibile solo con una profonda<br />
manipolazione dei supposti geni dell'invecchiamento umano.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 60
EDEMA<br />
Aumento di liquido negli spazi interstiziali.<br />
Regolazione della distribuzione dei liquidi extracellulari<br />
In un uomo di 70 Kg il liquido interstiziale è di circa 12 litri.<br />
• Circa il 99% dell’acqua interstiziale è trattenuta dalle<br />
molecole di proteoglicani del connettivo = liquido<br />
non mobile<br />
• Solo l’1% circa può spostarsi liberamente = liquido<br />
mobile<br />
C’è un equilibrio dinamico tra liquido non mobile e mobile e<br />
tra liquido interstiziale e compartimenti intravasale e<br />
intracellulare.<br />
Perdita eccessiva di liquidi si può avere per diarree profuse,<br />
vomito, diuresi osmotica elevata, insufficiente apporto di<br />
liquidi.<br />
Si può giungere alla disidratazione che può essere:<br />
− ipertonica (naufraghi senza acqua potabile, coma<br />
diabetico iperosmolare, diabete insipido)<br />
− isotonica (perdita di elettroliti proporzionale a quella dell’acqua)<br />
− ipotonica (se la perdita di NaCl eccede quella dell’acqua)<br />
Aumento eccessivo di assunzione di liquido non accompagnato da adeguata assunzione di NaCl provoca una<br />
iperidratazione ipotonica (intossicazione da acqua). Una eccessiva introduzione di NaCl o di bicarbonato provoca una<br />
iperidratazione ipertonica.<br />
Si ha iperidratazione isotonica quando l’aumento di liquido è accompagnato da un pari aumento di sodio, come<br />
nell’EDEMA.<br />
Il gel della sostanza fondamentale del connettivo non è idratato al massimo, e può contenere alcuni litri di acqua in più<br />
del normale e anche molto Na+.<br />
Se viene superata la capacità di imbibizione, la pressione idrostatica interstiziale, prima negativa, supera la pressione<br />
atmosferica e quindi aumenta l’acqua libera con pressione idrostatica positiva => EDEMA<br />
Contenuto proteico del liquido interstiziale<br />
• Plasma sanguigno 7-8 g/dl con un rapporto albumina/globuline = 1.5 e con una pressione colloidosmotica di 28<br />
mm Hg.<br />
• Il 75-80% della pressione colloidosmotica del plasma è dato dall’albumina (maggior concentrazione molare +<br />
legame di cationi)<br />
• Il liquido interstiziale ha un volume 4 volte quello ematico e contiene circa 100 g di proteine<br />
Dinamica del liquido interstiziale<br />
La dinamica dei fluidi tra il compartimento vascolare ed interstiziale è regolato dalla legge di Starling.<br />
All’interno del vaso c’è una pressione positiva di filtrazione che determina la produzione del liquido interstiziale<br />
(drenato dal sistema linfatico).<br />
Mentre la concentrazione proteica all’interno del vaso genera una pressione oncotica (colloidosmotica) che determina il<br />
riassorbimento.<br />
L'edema<br />
Dal greco = tumefazione, consiste nell’aumento di volume di una parte corporea o di un tessuto per aumento del<br />
contenuto idrico nel compartimento interstiziale.<br />
L’edema può essere di natura trasudatizia (TRASUDATO) o di natura infiammatoria (ESSUDATO) .<br />
Il liquido può aumentare anche in cavità sierose, nei ventricoli cerebrali, negli spazi subaracnoidei.<br />
Oppure può essere generalizzato.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 61
Caratteristiche del trasudato<br />
• Liquido limpido citrino, come plasma sanguigno diluito<br />
• A differenza degli essudati ha pH alcalino<br />
• Nessuna o poche cellule<br />
• Nessuna tendenza alla coagulazione<br />
• Contenuto proteico TRASUDATO < 1 g/dl<br />
• Contenuto proteico ESSUDATO 3-3.5 g/dl<br />
Nomi diversi a seconda delle sedi:<br />
• IDROPE nelle cavità sierose<br />
• IDROTORACE nel cavo pleurico<br />
• ASCITE nel cavo peritoneale<br />
• IDROCELE nella vaginale del testicolo<br />
• IDROCEFALO nei ventricoli cerebrali<br />
• ANASARCA quando esteso a tutto il corpo<br />
Localizzazione:<br />
• Può localizzarsi in qualsiasi tessuto, tranne dove il connettivo e più compatto (palmo della mano e del piede)<br />
• Per gravità tende a spostarsi nelle parti declivi<br />
• E’ improntabile (toccandolo con un dito per qualche tempo resta l'impronta), a differenza del mixedema che,<br />
poiché è dato da un aumento dei proteoglicani, è duro<br />
Conseguenze locali:<br />
• Se l’edema dura a lungo aumenta il connettivo fibrillare (edemi linfatici)<br />
• Nei tessuti edematosi è rallentata la diffusione dei nutrienti<br />
• La maggior pressione idrostatica interstiziale favorisce la stasi sanguigna<br />
• I fenomeni infiammatori sono più torpidi<br />
• La guarigione delle ferite è più lenta<br />
• Se l'edema perdura si ha anche stasi venosa<br />
Fattori che determinano la formazione dell’edema<br />
• Aumento della pressione venosa<br />
• Diminuzione del deflusso linfatico<br />
• Aumento della pressione colloidosmotica interstiziale<br />
◦ in realtà è più una conseguenza che una causa, solo nella infiammazione quando c'è aumento di flusso<br />
ematico in tutti i compartimenti articolari si ha edema, però essudatizio<br />
• Diminuzione della pressione colloidosmotica intravasale<br />
Prova di Rivalta: si fa cadere una goccia di acido acetico nel prelievo dell'edema => se si forma una nubecola è essudato<br />
(perché le proteine si dispongono attorno all'acido precipitando).<br />
CAUSE CHE DETERMINANO VARIAZIONI DELLE PRESSIONI E CONSEGUENTE EDEMA<br />
Aumento della pressione idrostatica<br />
− dilatazione arteriolare<br />
− infiammazione<br />
− calore<br />
− alterazioni neuroumorali<br />
− aumento della pressione venosa (anche ostruzione e compressione)<br />
− trombosi venosa<br />
− scompenso gastrico congestizio<br />
− cirrosi (ascite)<br />
− inattività posturale (ad es. essere rimasti a lungo in piedi o a letto)<br />
− compressione esterna (per es. massa di diversa natura)<br />
− ipervolemia<br />
− ritenzione di sodio (ad es. diminuita funzionalità renale)<br />
Diminuzione della pressione oncotica<br />
− ipoproteinemia<br />
− sindrome nefrosica<br />
− cirrosi<br />
− gastroenteropatia con perdita di proteine<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 62
− malnutrizione<br />
− aumentata permeabilità capillare<br />
− infiammazione<br />
− ustione<br />
− sindrome da difficoltà respiratoria dell'adulto<br />
− ostruzione linfatica<br />
− cancro<br />
− linfedema posturale<br />
− infiammazione<br />
− postchirurgica<br />
− in seguito a irradiazione<br />
Margine di sicurezza contro l'edema<br />
• Pressione negativa interstiziale: - 6 mm Hg<br />
• Maggior pressione negativa interstiziale per drenaggio linfatico -7 mm Hg<br />
• Diminuzione pressione oncotica interstiziale per drenaggio linfatico delle proteine -4 mm Hg<br />
• TOTALE -17 mm Hg<br />
Edemi localizzati<br />
• Edemi da ostruzione venosa<br />
• Edema linfatico: da ostruzione linfatica di natura neoplastica o parassitaria (Wuchereria bancrofti)<br />
Edema polmonare<br />
• Organo con doppia circolazione<br />
• Pressione idrostatica media del sangue particolarmente bassa<br />
• Permeabilità del microcircolo polmonare maggiore che in altri distretti<br />
• Produzione deflusso della linfa particolarmente efficiente<br />
• Ostacolo al passaggio di liquido negli alveoli per la presenza di surfactanti<br />
• Nella stasi cronica polmonare il basso valore della pressione idrostatica capillare (7 mm Hg) e l’efficiente<br />
drenaggio linfatico (che inoltre aumenta di efficienza nella stasi cronica) tendono a limitare l’edema alveolare.<br />
• Il margine di sicurezza contro l’edema che negli altri tessuti è 17 mm Hg, nel polmone è di 23 mm Hg e nella<br />
stasi cronica può arrivare a 35-40 mm Hg<br />
• Ma quando viene superato questo valore si ha un trasudato roseo schiumoso negli alveoli polmonari<br />
• Cause<br />
◦ Cause idrodinamiche: ipertensione nel piccolo circolo (stenosi mitralica o insufficienza del ventricolo<br />
sinistro del cuore)<br />
◦ Ipossiemie: esposizione a grandi altezze<br />
◦ Overdose di eroina<br />
◦ Azione tossica diretta sul tessuto polmonare: fosgene, cloro, vapori di acido nitrico, anidride solforosa<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 63
EDEMA GENERALIZZATI<br />
Edema cardiaco<br />
Se c'è insufficienza cardiaca per diminuzione della forza contrattile si ha una diminuzione della gittata cardiaca e la<br />
ipoperfusione renale porta alla liberazione di renina dalle arteriole afferenti dell'apparato iuxtaglomerulare =><br />
attivazione dell'angiotensinogeno a angiotensina I (decapeptide) => enzima ACE => angiotensina II (octapeptide) e III<br />
(esapeptide) =><br />
effetti dell'angiotensina<br />
− vasocrostrizione di tutte le arteriole<br />
− aumento del riassorbimento di acqua e soluti nel tubulo prossimale<br />
− aumento della secrezione di aldosterone => aumento del riassorbimento di acqua e NaCl nel tubulo distale<br />
(accompagnato da perdita di potassio)<br />
− aumento della secrezione di ADH => aumento del riassorbimento di acqua nel tubulo distale e nel dotto<br />
collettore; stimolo della sete<br />
=> aumento di volume plasmatico (solo liquido) => aumento di filtrazione => essudato => edema<br />
L'edema comprime il microcircolo venoso e impedisce il riassorbimento contribuendo così all'insufficienza cardiaca.<br />
Un eccesso di aldosterone porta ad una ritenzione eccessiva di sodio e acqua, ad un aumento del volume di plasma e<br />
all’ipertensione. Nelle malattie renali c’è aldosteronismo secondario alla maggior produzione di angiotensina.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 64
L'edema da scompenso cardiaco si localizza:<br />
− ipertensione polmonare (se c'è scompenso sinistro)<br />
− effusione pleurale<br />
− congestione polmonare cronica<br />
− ascite<br />
− edema periferico<br />
− congestione splenica cronica<br />
− dilatazione cardiaca<br />
Sindrome nefrosica<br />
Alterazioni del filtro glomerulare e del riassorbimento<br />
glomerulare.<br />
7-8 g di proteine totali plasmatiche di cui 70% è albumina.<br />
Se c'è perdita di proteine plasmatiche si ha abbassamento<br />
della pressione colloidosmotica plasmatica.<br />
• Proteinuria massiva con perdita giornaliera di più<br />
di 3.5 g di proteine<br />
• Ipoalbuminemia con concentrazione di albumina<br />
plasmatica < 3 g/dl<br />
• EDEMA GENERALIZZATO<br />
• Iperlipidemia e lipiduria<br />
• Facilità alle infezioni da stafilococchi e da<br />
pneumococchi<br />
Per insufficiente apporto dietetico, per steatosi epatica, per<br />
perdita di proteine (ad es. per ustione).<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 65
EMOSTASI<br />
Emostasi = è materia di studio del campo della fisiologia<br />
Trombosi, embolia ed emorragia = aspetti patologici dell'emostasi<br />
L’EMOSTASI NORMALE è il processo attraverso il quale:<br />
• è mantenuta la fluidità del sangue nel sistema vascolare<br />
• è consentita, quando e dove necessario (es. ferite, rotture dei vasi sanguigni), la rapida formazione di un solido<br />
tappo (tappo emostatico) per tamponare l’emorragia (chiusura della parete basale del vaso)<br />
Se la patologia riguarda la regolazione della fluidità:<br />
− si formano tappi fuori luogo e fuori tempo = trombosi => se si stacca un pezzo = embolia<br />
− al contrario potrebbe invece esserci impossibilità di creare un tappo emostatico<br />
L'emostasi è affidata a tre fattori:<br />
1) parete vascolare<br />
2) piastrine<br />
3) fattori solubili del sistema della coagulazione<br />
Emostasi normale (molto in breve)<br />
Le tre tappe dell'emostasi in una piccola arteria recisa:<br />
1) Breve fase di vasocostrizione finalizzata alla riduzione tempestiva ma momentanea della perdita di sangue<br />
• dovuto a meccanismi neurogeni riflessi e forse accentuato da fattori umorali come l’endotelina, un potente<br />
vasocostrittore di origine endoteliale. Tale contrazione è finalizzata alla riduzione tempestiva ma<br />
momentanea della perdita di sangue<br />
2) Emostasi primaria: formazione di un tappo di piastrine ad arginare la lesione: ciò avviene entro pochi minuti<br />
dalla lesione<br />
• La lesione endoteliale espone il tessuto connettivo subendoteliale altamente trombogenico, al quale le<br />
piastrine aderiscono attivandosi. Le piastrine attivate, che hanno cambiato forma, liberano ADP,<br />
trombossano A2 e serotonina. Sono così reclutate altre piastrine, che si aggregano alle prime e formano il<br />
tappo piastrinico: ciò avviene entro pochi minuti dalla lesione.<br />
• il legame fra le piastrine e di queste col connettivo è mediato da molecole di adesione => difetti genetici<br />
possono rendere impossibile o inefficiente il processo<br />
3) Emostasi secondaria: nella sede della lesione, non più solo le piastrine, ma anche la fibrina. La fibrina,<br />
insieme alle piastrine, forma una massa solida (tappo emostatico) per tamponare stabilmente l’emorragia<br />
• Il rilascio di fattori tissutali nella sede della lesione attiva la sequenza della coagulazione del plasma, che<br />
culmina nella formazione della trombina (dalla protrombina). La trombina converte il fibrinogeno in<br />
fibrina, che cinge e avvolge le piastrine come un cemento. Tutto ciò richiede tempo (alcuni minuti).<br />
L'aggregazione piastrinica - E' l'insieme di:<br />
• adesione nei punti di lesione al connettivo del subendotelio (pseudopodo, distensione)<br />
◦ vWF (von Willebrand Factor) = fattore plasmatico sintetizzato dall'endotelio e dai megacariociti in grado<br />
di legare da una parte il connettivo subendoteliale in caso questo venga esposto in seguito ad una lesione,<br />
dall'altra le piastrine, consentendo di fatto l'adesione delle piastrine al connettivo subendoteliale. Funge<br />
inoltre da carrier per il fattore VIII della coagulazione.<br />
◦ se il vWF è mancante => malattia di von Willebrand<br />
◦ se manca il recettore piastrinico per vWF (GpIb) => sindrome di Bernard-Souier<br />
• reazione di liberazione, cioè secrezione di sostanze contenute nei granuli (come ADP) e sintesi e liberazione<br />
di altre (trombossano). [Complesso fosfolipidico piastrinico: viene esposto sulla superficie piastrinica ed è un<br />
sito dove in presenza di ioni Ca++ si legano i fattori della coagulazione nella via intrinseca]<br />
• “aggregazione”, cioè adesione piastrina-piastrina (vWF). Oltre all’ADP e al trombossano, con la formazione<br />
della trombina (per attivazione della cascata coagulativa) si aggiunge un ulteriore potente stimolo<br />
all’aggregazione, che porta alla contrazione piastrinica e alla metamorfosi viscosa. La fibrina è il cemento dei<br />
mattoni piastrinici (è necessaria per l'aggregazione). Lo stesso recettore sulle piastrine può essere legato da<br />
fibrinogeno e da fibrina: quest'ultima richiede un certo tempo per essere attivata => nel frattempo svolge la sua<br />
funzione il fibrinogeno<br />
◦ per "aggregazione piastrinica" si può intendere tutto questo insieme di fenomeni oppure solo quest'ultimo<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 66
(attenzione: questo può portare a confusione)<br />
La liberazione di ADP determina una modificazione conformazionale del recettore per il fibrinogeno tale per cui si<br />
attiva e può stabilirsi il legame.<br />
Sistema della coagulazione<br />
Nella cascata della coagulazione è importante sapere che<br />
esistono due vie di attivazione:<br />
• Via estrinseca, avviata da un fattore tissutale liberato<br />
dai tessuti lesi, che attiva il fattore VII (VII => VIIa)<br />
• Via intrinseca, avviata dal contatto con superfici<br />
estranee, che attiva il fattore di Hageman (XII => XIIa)<br />
◦ XIIa converte il fattore XI in XIa<br />
• N.B.: le due vie convergono nell’attivazione del fattore<br />
X<br />
• Via comune: Xa + Va + fosfolipidi promuovono la<br />
conversione protrombina => trombina. La trombina, a<br />
sua volta, promuove la conversione fibrinogeno =><br />
FIBRINA.<br />
Ogni Fattore è substrato del Fattore attivato che lo precede e,<br />
quando a sua volta attivato, diventa enzima attivatore del<br />
Fattore che lo segue.<br />
N.B.: importanza del “supporto” fosfolipidico esposto da<br />
piastrine attivate su cui si attivano i fattori e degli ioni Ca++<br />
Tappe del processo emostatico normale<br />
A)<br />
adesione delle piastrine al subendotelio<br />
degranulazione = rilascio di sostanze dalle piastrine<br />
B)<br />
le piastrine hanno aderito al connettivo e anche tra loro<br />
le piastrine assumono un aspetto più globoso<br />
C)<br />
la trombina ha agito sul fibrinogeno trasformandolo in fibrina e questa ha cinto le piastrine<br />
D)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 67
Il tempo di coagulazione è molto legato all'entità del fenomeno e alla possibilità di risolvere.<br />
Rilascio di t-PA = attivatore tissutale del plasminogeno. Il plasminogeno è la molecola da cui si forma la plasmina, la<br />
più importante molecola anticoagulante del nostro organismo, è importantissima perché accanto al processo emostatico<br />
(piastrine, fibrina, ecc.) ci sono le cellule endoteliali che producono un anticoagulante: il processo emostatico avviene<br />
localmente (e non in tutto il circolo!), per cui l'endotelio sano provvede immediatamente a secernere sostanze<br />
anticoagulanti per evitare che si propaghi.<br />
Il tappo emostatico secondario è fatto da piastrine e fibrina, in realtà non è infrequente trovare qualche globulo rosso<br />
imprigionato. A livello fisiologico è di scarsa importanza, ma a livello patologico è importante perché ci sono<br />
condizioni patologiche in cui l'elemento globulo rosso è addirittura superiore a quello piastrina.<br />
Anticoagulanti:<br />
− antitrombine<br />
− proteine C ed S<br />
− sistema plasminogeno-plasmina = la plasmina una volta attivata distrugge la fibrina (fibrinolisi)<br />
<strong>PATOLOGIA</strong> DELL'EMOSTASI<br />
Trombosi<br />
Tre fattori principali sono causa di trombosi:<br />
• LESIONI ENDOTELIALI<br />
• ALTERAZIONI DEL FLUSSO SANGUIGNO (turbolenza, stasi)<br />
• IPERCOAGULABILITA’ DEL SANGUE<br />
Questa è la “triade di Virchow”. In realtà in nessuno degli scritti di Virchow si trova menzione di una “triade”, sebbene<br />
Virchow abbia discusso ciascuno di questi fattori in una lezione del 1845 (aveva 23 anni). Il manoscritto è stato<br />
ritrovato nel 1966.<br />
Lesioni endoteliali<br />
Il trombo si forma soprattutto su placche aterosclerotiche:<br />
− placche fissurate (75%), placche ulcerate (25%)<br />
− La lesione endoteliale è fortemente trombogena. Sempre.<br />
Una conseguenza clinica grave ed esemplare è l’infarto del miocardio:<br />
− infarto = area di necrosi ischemica<br />
Danno dell’endotelio => esposizione collagene sottoendoteliale => adesione piastrinica<br />
• Soprattutto nel cuore e nelle arterie:<br />
◦ su placche aterosclerotiche: placche fissurate (75%), placche ulcerate (25%)<br />
◦ su valvole infiammate<br />
◦ su protesi valvolari (devono essere costituite da biomateriali non trombogenici)<br />
◦ nelle infezioni miocardiche<br />
◦ anche per danni minori, come quello da fumo di tabacco (monossido di carbonio, nicotina)<br />
• La lesione endoteliale è fortemente trombogena. Sempre.<br />
Alterazioni del flusso<br />
• La stasi consente alle piastrine di giungere a contatto con l’endotelio. La lentezza del flusso impedisce la<br />
diluizione dei fattori attivi della coagulazione.<br />
◦ aumenta la concentrazione di fattori attivati della coagulazione e ostacola l’afflusso di inibitori della<br />
coagulazione<br />
◦ Si verifica stasi:<br />
▪ in vene molto varicose<br />
▪ in cuori infartuati a contrazione ridotta (anche microstasi: zone dove il sangue non si muove)<br />
▪ in zone cardiache particolari in seguito a difetti valvolari<br />
• La turbolenza del flusso può causare un trauma fisico alle cellule endoteliali e, con la perdita del flusso<br />
laminare, porta le piastrine in contatto “forzato” con l’endotelio<br />
◦ causa zone di stasi localizzata:<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 68
▪ distrugge la laminarità del flusso e spinge e costringe le piastrine al contatto con l’endotelio<br />
▪ favorisce il danno endoteliale<br />
◦ Si verifica turbolenza:<br />
▪ in arterie con placche<br />
▪ in arterie aneurismatiche<br />
− Il flusso turbolento dà trombi arteriosi<br />
− Il flusso rallentato (stasi) dà trombi venosi e cardiaci<br />
Ipercoagulabilità<br />
• Primitiva:<br />
◦ per difetti genetici (ad esempio: deficienza ereditaria di anticoagulanti come proteina S o antitrombina III.<br />
Difetti rari ma importanti)<br />
• Secondaria a:<br />
◦ Aumento della concentrazione di fibrinogeno nelle risposte di fase acuta<br />
◦ Aumento della concentrazione di fibrinogeno e di protrombina nei trattamenti con anticoncezionali orali<br />
estrogenici<br />
◦ Anticorpi anti-fosfolipidi (contro i fosfolipidi delle piastrine). Di sempre più frequente riscontro<br />
◦ interventi chirurgici (lesioni ai tessuti)<br />
◦ ustioni con ampio danno tessutale<br />
◦ prolungata degenza a letto e immobilità (un tempo i degenti restavano a letto a lungo e succedeva che<br />
appena si alzavano si staccavano i trombi formati nelle vene e morivano poco dopo. Oggi si cerca di far<br />
muovere i pazienti il prima possibile)<br />
◦ gravidanza avanzata<br />
◦ insufficienza cardiaca<br />
◦ gravi traumi (soprattutto per schiacciamento)<br />
◦ cancro diffuso<br />
◦ protesi valvolari cardiache<br />
Colore dei trombi<br />
• Trombi arteriosi: prevalentemente bianchi. Parietali o occlusivi<br />
• Trombi cardiaci: con strie di Zahn<br />
◦ le strie bianche e rosse si formano per fenomeni di stasi, ma anche per turbolenza<br />
• Trombi venosi: rossi (sono infarciti di globuli rossi). Sono quasi sempre occlusivi, con la coda che può<br />
staccarsi e costituire un embolo<br />
Nelle autopsie si deve comprendere se i trombi si sono formati prima o dopo la morte, quindi per comprendere se sono<br />
stati la causa di morte:<br />
− i trombi formati post-mortem hanno un aspetto "a gelatina di ribes" (perché vischiosi, appiccicosi, gelatinosi),<br />
inoltre si rileva una tendenza alla separazione in fasi del sangue, il colore è rosso-violaceo<br />
− i trombi formati in vivo hanno un aspetto compatto e non c'è separazione di fasi<br />
Evoluzione del trombo<br />
• Occlusione (fenomeno più frequente): accumulo di quantità crescenti di piastrine e fibrina fino all’occlusione<br />
del vaso<br />
• Embolizzazione: per frammentazione o distacco => nel momento in cui si stacca non si chiama più trombo, ma<br />
embolo<br />
• Organizzazione e ricanalizzazione = succede soprattutto nei grossi trombi: formano canalicoli che consentono,<br />
se pur in maniera ridotta, il passaggio di sangue<br />
• Dissoluzione e risoluzione per attività fibrinolitica: anche questa è una possibile evoluzione, ovviamente la più<br />
auspicabile => guarigione<br />
Importanza clinica del trombo<br />
• Provoca ostruzione di arterie o vene<br />
• E’ fonte di emboli<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 69
• Trombosi venosa<br />
◦ a) Superficiale => può provocare ulcere varicose<br />
◦ b) Profonda => può essere dapprima asintomatica e poi provocare embolia polmonare<br />
• Trombosi arteriosa<br />
◦ Frequente nelle arterie aterosclerotiche<br />
◦ Nel cuore, trombi da discinesie della parete per danno miocardico o endocardico. Esempio: reumatismo<br />
cardicaco => stenosi mitralica => dilatazione atriale => fibrillazione atriale => aumento della stasi atriale<br />
=> trombosi<br />
Trombo a cavaliere = che si forma in una biforcazione.<br />
Catetere di Fogarty = catetere utilizzato in tecnica chirurgica di estrazione di un trombo arterioso: viene inserito<br />
nell'arteria, passa dentro al trombo e una volta trapassato viene gonfiato un palloncino posto alla sua estremità. Tirando<br />
indietro il catetere il palloncino tira con sé anche il trombo.<br />
Forme di infarto cardiaco [non fatto a lezione]<br />
• Infarto regionale (90%) dei casi interessa una porzione della parete del ventricolo. L’area interessata può essere<br />
più o meno grande. Se l’occlusione del ramo arterioso che irrora l’area è completa, l’infarto è “a tutto<br />
spessore”<br />
• Infarto circonferenziale sottoendocardico: interessa la regione sottoendocardica del ventricolo ed è provocata<br />
da una ipoperfusione generalizzata delle principali arterie coronariche<br />
Note “fisiopatologiche” sulla terapia fibrinolitica nell’infarto miocardico:<br />
• La somministrazione di farmaci fibrinolitici (streptochinasi o tPA) può indurre lisi del trombo e ristabilire il<br />
flusso.<br />
• Se la lisi è conseguita poco dopo la occlusione del vaso, è possibile ridurre l’estensione del danno ischemico<br />
SHOCK<br />
• Lo shock è uno stato clinico caratterizzato da una insufficienza generalizzata della perfusione tissutale<br />
• A differenza delle insufficienze locali del flusso ematico, lo shock si accompagna a netta riduzione dei valori<br />
pressori (ipotensione)<br />
• Tra le molte cause di shock, le principali:<br />
◦ S. cardiogeno (insufficienza della pompa cardiaca)<br />
◦ S. ostruttivo (ostruzione delle arterie principali )<br />
◦ S. ipovolemico (emorragie gravi, perdita di liquidi)<br />
◦ S. angiogeno (una dilatazione anormale dei vasi periferici può causare un difetto di ritorno del sangue:<br />
così è nello s. setticemico/endotossico, nello s. anafilattico, nello s. neurogeno)<br />
EMBOLIA<br />
• Definizione [da sapere]: Un embolo è una massa estranea rispetto ai normali costituenti del sangue, di natura<br />
solida, liquida o gassosa, che viene trasportata dal sangue in una sede lontana dall’origine (cioè è mobile)<br />
• Tipi di embolia<br />
◦ tromboembolia<br />
▪ tromboembolia sistemica = frammenti di placche aterosclerotiche nelle arterie che si staccano e<br />
vanno ad occludere delle arterie più piccole<br />
▪ tromboembolia polmonare = frammenti di trombi venosi o trombi murali del cuore sinistro che<br />
finiscono nelle vene polmonari e le occludono<br />
◦ embolia grassosa o lipidica = goccioline di grasso (fratture ossa lunghe, specie nel femore) dal midollo<br />
osseo => in genere si fermano nei polmoni<br />
◦ embolia gassosa = bolle d’aria<br />
◦ embolia da liquido amniotico = vedi CID<br />
• Nella quasi totalità dei casi (99%) gli emboli derivano dalla frammentazione di un trombo (tromboemboli)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 70
◦ o più raramente sono costituiti da gocce di grasso, originato o dal midollo osseo o dal colesterolo derivante<br />
dal disfacimento di placche aterosclerotiche;<br />
◦ oppure possono originare da una bolla gassosa (aria o azoto).<br />
Destino dell'embolo<br />
• L’embolo si arresta dove il calibro vasale non consente più la progressione, occludendo parzialmente o<br />
totalmente il circolo => con conseguente ischemia e, se non vi sono circoli vicarianti, necrosi ischemica<br />
(infarto).<br />
• Secondo l’origine, venosa o arteriosa, dell’embolo, esso può localizzarsi, rispettivamente, nel polmone o nel<br />
circolo sistemico, causando rispettivamente:<br />
◦ TROMBOEMBOLIA POLMONARE<br />
◦ TROMBOEMBOLIA SISTEMICA<br />
La maggior parte degli emboli sono piccoli, vengono quindi riassorbiti/organizzati sulla parete vasale. Sono pericolosi<br />
quando sono grossi o numerosi.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 71
TROMBOEMBOLIA POLMONARE<br />
• Incidenza = 20-25 su 100.000 pazienti ospedalizzati con tasso di mortalità (mortalità proporzionale, cioè<br />
mortalità sul numero dei casi) che è sceso dal 6% di 30 anni fa all’1.5% di oggi.<br />
• Gli emboli derivano (nel 95% dei casi) da trombosi venose profonde e, attraverso il cuore destro, giungono ad<br />
una arteria polmonare: o l’arteria principale, o la biforcazione (emboli a sella) o le arterie più piccole.<br />
• La maggior parte degli emboli polmonari è silente perché di piccole dimensioni. Vengono poi organizzati e<br />
inglobati nella parete vasale.<br />
• Se più del 60% del circolo polmonare è ostruito si ha morte improvvisa, scompenso del cuore destro (cor<br />
pulmonale) e collasso.<br />
TROMBOEMBOLIA SISTEMICA<br />
• Per l’80% derivano da trombi murali di origine cardiaca (da dilatazione atriale sinistra secondaria a<br />
reumatismo cardiaco, o da infarti del ventricolo sinistro).<br />
• I rimanenti derivano da placche aterosclerotiche ulcerate, da aneurismi e da trombi arteriosi.<br />
• Le sedi di arresto degli emboli sistemici sono:<br />
◦ le estremità inferiori (75%), il cervello (10%) e poi intestino, rene e milza.<br />
• Le conseguenze dipendono dalla presenza o meno di un circolo collaterale.<br />
EMBOLIA LIPI<strong>DI</strong>CA<br />
• Le gocce lipidiche derivano di solito da frattura della diafisi di ossa lunghe contenenti midollo osseo<br />
prevalentemente adiposo.<br />
• Il passaggio nel circolo venoso delle gocce lipidiche (che possono poi confluire) è favorito dalla dilatazione dei<br />
vasi prossimi al trauma per la condizione di danno tissutale (e flogosi!).<br />
• Dopo 2-3 giorni dal trauma si hanno i sintomi dell’embolia polmonare:<br />
◦ tachipnea, dispnea, tachicardia, agitazione, ansia, fino anche a delirio e coma<br />
• La presenza in circolo di lipidi porta all’adesione piastrinica sulle gocce di grasso che aggrava l’embolia, le<br />
piastrine sono sottratte al circolo e si può giungere a trombocitopenia (un segno può essere la formazione di<br />
petecchie in aree non declivi della cute)<br />
EMBOLIA GASSOSA<br />
Bolle di gas presenti nel circolo possono provocare ostruzione.<br />
L’aria può penetrare durante manovre ostetriche o per traumi al torace.<br />
Patologia da decompressione. E' la causa più frequente, quando si respira aria compressa (quindi ad alta pressione) in<br />
immersioni subacquee profonde (ogni 10m di profondità la pressione aumenta di 1 atm) e si riemerge velocemente, o<br />
quando in aeroplani improvvisamente depressurizzati ad alta quota si respira aria a bassa pressione.<br />
Durante la respirazione ad alta pressione si discioglie nel sangue e nei tessuti una maggiore quantità dei gas respirati. In<br />
particolare di azoto, che costituisce il 78% dell’aria respirata e che, a differenza dell’ossigeno, non è utilizzato nella<br />
respirazione cellulare.<br />
Con la decompressione l’azoto si espande in fase gassosa e ostruisce vasi e comprime tessuti e terminazioni nervose<br />
(grave sintomatologia dolorosa).<br />
Terapia: ricompressione alla pressione a cui l'azoto si scioglie e lenta decompressione<br />
10/12/09 17:30 1°file<br />
Patologia da decompressione è un termine che comprende l’embolia gassosa arteriosa e la malattia da decompressione.<br />
Le relative cause presunte sono differenti, tuttavia da un punto di vista pratico distinguerle può essere impossibile, dal<br />
momento che segni e sintomi di ciascuna sono simili.<br />
La condizione del paziente impone iniziale primo soccorso, stabilizzazione e conseguente trattamento.<br />
Embolia gassosa arteriosa (EGA)<br />
Quando un subacqueo risale rapidamente senza “compensare”, l’aria contenuta nei polmoni si espande e può<br />
danneggiare il tessuto polmonare, alcune bolle possono passare nella circolazione e distribuirsi nei tessuti, compresi<br />
quelli di organi vitali come cuore e cervello. Questa è l’embolia gassosa arteriosa o EGA .<br />
In alcuni casi il sub può essere risalito in panico, o egli può rendersi conto di aver trattenuto il respiro durante la risalita.<br />
Tuttavia un’embolia gassosa può verificarsi anche quando la risalita è apparentemente normale. Se confinate in piccole<br />
arterie le bolle possono ostruire la circolazione e provocare una ischemia e danno polmonare.<br />
L’ischemia cerebrale spesso porta alla perdita di coscienza e alla paralisi, condizione che impone un trattamento<br />
immediato.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 72
Il termine medico preciso è embolia gassosa alle arterie cerebrali, ma i sub parlano semplicemente di embolia<br />
gassosa.<br />
Il modo più drammatico in cui l’embolia si presenta è quando il subacqueo emerge inconscio o perde coscienza nei<br />
primi dieci minuti dopo l’emersione.<br />
In questi casi si tratta di una vera emergenza che richiede l’immediato trasferimento ad una struttura medica per il<br />
trattamento.<br />
Manifestazioni minori dell'EGA<br />
L’embolia gassosa può anche provocare sintomi neurologici minimi come formicolii o intorpidimento, debolezza senza<br />
evidente paralisi, o difficoltà di pensiero senza evidente confusione. In questi casi c’è tempo per una valutazione più<br />
completa per escludere altre possibili cause di tali sintomi<br />
Sintomi e segni<br />
• Sintomi: vertigini, visione annebbiata, dolore toracico, disorientamento, variazione della personalità, paralisi o<br />
debolezza.<br />
• Segni: schiuma sanguinolenta dalla bocca o dal naso, paralisi o debolezza, convulsioni, incoscienza,<br />
interruzione del respiro, morte.<br />
Segni e sintomi appaiono al momento dell’emersione o immediatamente dopo, e possono somigliare a quelli<br />
dell’infarto.<br />
Prevenzione e trattamento<br />
Alterazioni del polmone come asma, infezioni, cisti, tumori, tessuto cicatriziale dopo interventi chirurgici o malattia<br />
ostruttiva polmonare possono predisporre all’embolia gassosa.<br />
Il trattamento di elezione consiste nella ricompressione eseguita in “camera iperbarica”.<br />
E’ tuttavia utile stabilizzare il paziente e fornire le prime cure nella struttura medica più vicina, prima di trasportarlo alla<br />
camera iperbarica.<br />
Il primo soccorso con ossigeno può ridurre i sintomi in modo sostanziale; quando è disponibile si deve sempre istituire<br />
tale terapia, ma essa non deve cambiare il complessivo piano di trattamento.<br />
I sintomi di un’embolia gassosa e di una grave malattia da decompressione (MDD) spesso possono migliorare dopo<br />
aver iniziato a respirare ossigeno, ma possono riapparire in seguito.<br />
Anche quando è ritardata, la terapia ricompressiva per un’embolia gassosa può avere efficacia.<br />
Il trattamento tempestivo è più facile e più efficace, ma alcuni trattamenti hanno avuto successo fino a due giorni dopo<br />
l’incidente.<br />
Malattia da decompressione (chiamata anche male del palombaro, malattia dei cassoni)<br />
La EGA è più una malattia ricreativa, questa invece è più una malattia professionale.<br />
E' il risultato della decompressione che segue l’esposizione ad una pressione aumentata.<br />
Mentre l’immediata ricompressione non è di solito questione di vita o di morte – come per l’embolia gassosa – possono<br />
comunque verificarsi danni gravi, e prima inizia la ricompressione, migliore sarà la guarigione.<br />
Durante un’immersione il gas respirato si discioglie nei tessuti del corpo in proporzione alla pressione ambientale.<br />
La legge di Henry, formulata da William Henry nel 1803, regola la solubilità dei gas in un liquido. In particolare essa<br />
sostiene che:<br />
− un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in<br />
quel liquido la stessa pressione che esercita sopra di esso.<br />
Raggiunto l'equilibrio, il liquido si definisce saturo di quel gas a quella pressione. Tale stato di equilibrio permane fino a<br />
quando la pressione esterna del gas resterà inalterata, altrimenti, se essa aumenta, altro gas entrerà in soluzione; se<br />
diminuisce, il liquido si troverà in una situazione di sovrasaturazione ed il gas si libererà fino a quando le pressioni<br />
saranno nuovamente equilibrate.<br />
Una espressione matematica della legge di Henry può essere la seguente: P = kC<br />
− dove P è la pressione del gas, C è la sua concentrazione e k il coefficiente di solubilità del gas nel liquido<br />
O2 k = 4.34×104 atm/mol<br />
CO2 k = 1.64×103 atm/mol<br />
H2 k = 7.04×104 atm/mol<br />
N2 k = 8.68×104 atm/mol<br />
Durante un’immersione i tessuti del corpo assorbono azoto dal gas respirato in proporzione alla pressione ambientale.<br />
Finché il subacqueo resta a quella pressione, il gas normalmente non crea alcun problema.<br />
Se si elimina troppo velocemente la pressione, l’azoto esce dalla soluzione e forma bolle nei tessuti e nella circolazione<br />
sanguigna.<br />
Questo può capitare anche quando un subacqueo segue le linee guida accettate per la decompressione.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 73
Le bolle che si formano nei tessuti vicino alle giunture provocano il classico dolore della MDD.<br />
Quando i livelli di bolle che si formano sono alti, nell’organismo possono aver luogo reazioni complesse, i cui sintomi<br />
sono intorpidimento, paralisi, sintomi congestizi del polmone e shock circolatorio.<br />
Sintomi e segni<br />
• Sintomi: affaticamento insolito, prurito alla pelle, dolore a giunture e/o a muscoli, braccia, gambe o torso,<br />
capogiri, intorpidimento, formicolio e paralisi, respiro corto.<br />
• Segni: eruzione cutanea a chiazze, paralisi, debolezza, camminare barcollando, spasmi di tosse, collasso o<br />
incoscienza.<br />
Segni e sintomi di solito compaiono tra 15 minuti e 12 ore dopo l’emersione; nei casi più gravi possono apparire prima<br />
dell’emersione o immediatamente dopo. La comparsa dei sintomi oltre le 12 ore è rara, ma si può verificare,<br />
specialmente quando all’immersione segue un viaggio aereo.<br />
Prevenzione<br />
I subacquei ricreativi dovrebbero usare le tabelle in modo conservativo.<br />
La procedura standard prevede di scegliere la profondità in tabella uguale o superiore alla profondità effettiva,<br />
ottenendo così un grado di sicurezza maggiore.<br />
Subacquei esperti spesso scelgono una profondità in tabella superiore di tre metri rispetto a ciò che richiede la<br />
procedura standard.<br />
Si raccomanda questa pratica ogni volta che ci si immerge in acqua fredda o in condizioni difficili.<br />
Chi utilizza il computer dovrebbe essere cauto nell’avvicinarsi ai limiti di non decompressione, specialmente quando si<br />
superano i 30 metri di profondità.<br />
I principali rischi associati alla malattia da decompressione sono profondità e tempo di permanenza sul fondo, ma è<br />
bene non trascurarne altri: esercizio fisico durante l’immersione, risalita rapida, immersioni ripetitive ed immersioni<br />
sotto i 24 metri sono fattori di rischio ben documentati.<br />
Pesante esercizio fisico immediatamente dopo un’immersione ed esposizione all’altitudine possono aumentare il rischio<br />
di MDD.<br />
Trattamento<br />
La malattia da decompressione richiede la ricompressione, tuttavia il sub deve essere stabilizzato, ricevere primo<br />
soccorso con ossigeno e cure mediche immediate alla più vicina struttura, prima di essere trasportato alla camera<br />
iperbarica.<br />
Per migliorare segni e sintomi da MDD si deve fornire ossigeno immediatamente ogni volta che è disponibile.<br />
Anche se questa terapia può ridurre sostanzialmente i sintomi, non si deve in alcun modo cambiare il trattamento<br />
pianificato.<br />
La ricompressione, specialmente se tempestiva, si è dimostrata efficace per tutte le forme di MDD. L’efficacia dei<br />
trattamenti si è verificata anche molti giorni dopo l’insorgenza dei primi sintomi, ma è maggiore quando il trattamento è<br />
immediato<br />
Il ponte di Brooklyn<br />
Il Ponte di Brooklyn, completato nel 1883 ad opera dell'ingegnere tedesco John Augustus Roebling, rappresenta oggi il<br />
primo ponte costruito in acciaio ed ha rappresentato per lungo tempo il ponte sospeso più grande al mondo.<br />
Collega tra di loro l'isola di Manhattan ed il quartiere di Brooklyn (un tempo due cittadine distinte dello Stato di New<br />
York, oggi due quartieri di New York City) attraversando il fiume East River.<br />
La costruzione del ponte iniziò nel 1867 e richiese la manodopera di 600 operai. Durante i lavori 20 persero la vita, la<br />
maggior parte per embolia gassosa dopo aver effettuato immersioni nelle camere di scavo sottomarine. Infatti i lavori<br />
subacquei si facevano in cassoni contenenti aria compressa a fondo aperto (es. per fare i piloni dei ponti), quindi gli<br />
operai respiravano aria ad alta pressione). Anche l'ingegner Roebling rimase vittima nel 1869 di un incidente durante<br />
l'attracco di un traghetto. Il suo posto venne preso dal figlio, Washington Roebling, che rimase a sua volta ferito e<br />
paralizzato parzialmente a causa di un'embolia gassosa. Venne aiutato nel completamento dell'opera della moglie, Emily<br />
Warren Roebling, che operò sotto la sua supervisione. Il ponte venne definitivamente aperto al transito il 24 maggio<br />
1883.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 74
EMORRAGIA<br />
• Ematoma = accumulo di sangue all'interno di un tessuto<br />
• Petecchie = piccole emorragie (1-2 mm) nella pelle, nelle mucose, nelle sierose<br />
• Porpora = emorragie di dimensioni maggiori di 3 mm, ad es. per vasculiti, o aumentata fragilità dei vasi per<br />
amiloidosi<br />
• Ecchimosi = ematomi sottocutanei di dimensioni maggiori a 1-2 cm, ad es. per traumi, possono essere<br />
esacerbati da altri fattori (vedi esempi nella porpora)<br />
◦ cambiamento di colore delle ecchimosi:<br />
▪ rosso-bluastro = dato da Hb<br />
▪ blu-verde = dato da bilirubina (dal catabolismo enzimatico di Hb)<br />
▪ marrone-dorato = dato da emosiderina (dal catabolismo enzimatico di bilirubina)<br />
TEST SUI FATTORI DELLA COAGULAZIONE<br />
Conta piastrinica<br />
• Valore normale = 150.000-400.000 piastrine/uL<br />
• Un abbassamento del loro numero può essere causa di emorragie<br />
• Possono essere alterate numericamente e qualitativamente<br />
PT = tempo di protrombina (o tempo di Quick) – valutazione della via estrinseca<br />
• Tempo in secondi necessario per la formazione del coagulo di fibrina<br />
• misurato attraverso un apparecchio fotoelettrico che vede quando la soluzione si intorbidisce<br />
• Valore normale = 2,7-15,4 secondi<br />
• Il plasma contiene tutti i componenti delle vie estrinseca e intrinseca, ad eccezione della tromboplastina (che<br />
insieme al VII può agire sul X attivandolo [via estrinseca]) che viene aggiunta al sangue insieme a Ca2+<br />
• prolungamento del PT può essere dovuto a carenze o disfunzioni dei fattori V, VII, X, della protrombina, del<br />
fibrinogeno<br />
PTT = tempo parziale di tromboplastina – valutazione della via intrinseca<br />
• si aggiungono: fosfolipidi, calcio, attivatore di contatto per XII (caolino)<br />
• si chiama parziale perché non c'è la tromboplastina tissutale<br />
• si misura come il PT<br />
• Valore normale = 28-40 secondi<br />
• prolungamento del PTT può essere dovuto a carenze o disfunzioni dei fattori V, VIII, IX, X, XI, XII, della<br />
protrombina, del fibrinogeno<br />
TT = tempo di trombina<br />
• valuta l'attività della trombina sul fibrinogeno<br />
• si fa un confronto tra un plasma in esame e uno normale => vengono fatti coagulare aggiungendo trombina<br />
bovina e calcio in modo che nel plasma di controllo 10-15 secondi (tempo che ci mette a crearsi i primi<br />
filamenti di trombina)<br />
• alterato se c'è notevole attività antitrombinica, terapia eparinica (eparina = sostanza anticoagulante, compete<br />
con attivazione della trombina, contenuta in granuli di basofili e mastociti), alterazioni quali-quantitative del<br />
fibrinogeno<br />
INR = rapporto normalizzato internazionale<br />
• il tempo di protrombina può essere espresso come attività percentuale (rispetto a un pool di plasmi normali, a<br />
cui viene assegnata una attività convenzionale del 100%<br />
• nel soggetto normale l'attività protrombinica può andare dal 70 al 100%<br />
• oppure e preferibilmente può essere espresso come INR, rapporto normalizzato internazionale, formalmente<br />
definito come segue:<br />
• INR = ( PTpaziente / PTmedia dei controlli ) ISI<br />
• a ogni tromboplastina commerciale viene assegnato un indice di sensibilità (ISI) per confronto con un<br />
preparato internazionale di riferimento;<br />
• per ogni paziente si calcola il rapporto tra il PT del paziente e il PT di una miscela di plasmi normali, e poi<br />
si normalizza questo rapporto (INR) mediante elevazione all’ISI. In questo modo gli INR dei pazienti<br />
diventano confrontabili fra loro anche quando il paziente effettua l'analisi presso laboratori che usano<br />
reagenti differenti.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 75
• Il valore normale dell’INR varia da 0.9 a 1.2<br />
Tempo di emorragia o di stillicidio<br />
• Serve per valutare la funzionalità delle piastrine e dei microvasi sanguigni (valuta tutto il sistema emostatico e<br />
non solo quello coagulativo)<br />
• con una lancetta si provoca una piccola emorragia in una zona sottile della cute (dito, orecchio)<br />
• Il tempo di emorragia di solito è normale anche in presenza di difetti della coagulazione<br />
• Può considerarsi normale quando l'arresto dell'emorragia avviene nel giro di 5 minuti, altrimenti si potrebbe<br />
avere una piastrinopenia o piastrinopatia, cioè una alterata funzionalità delle piastrine, oppure danno<br />
endoteliale<br />
• è il tempo che ci mette ad arrestare l'emorragia allontanando ogni tanto con una carta assorbente la goccia<br />
di sangue che si forma<br />
Tabella 1312 del Manuale Meck.esami di laboratorio per lo studio dell’emostasi:<br />
http://www.msd-italia.it/altre/manuale/tabelle/13102.html<br />
<strong>DI</strong>ATESI EMORRAGICHE<br />
Diatesi = disposizione dell'organismo (acquisita o su base ereditaria) a sviluppare una certa patologia.<br />
Disturbi dell’emostasi in forma di diatesi emorragiche possono essere provocate da:<br />
• Aumentata fragilità dei vasi<br />
◦ in molte infezioni (emorragie petecchiali)<br />
▪ petecchie = macchioline irregolari visibili sulla cute dovute a emorragia, tipiche in meningite<br />
meningococcica, morbillo, rickettsiosi => danno microbico alla parete microvascolare, oppure CID<br />
◦ in seguito a reazioni a farmaci => possono formarsi anticorpi contro il farmaco => deposizione di<br />
complessi immuni nella parete => vasculite<br />
◦ nello scorbuto => carenza di vitamina C => carenza di collagene => fragilità dei vasi<br />
▪ la fragilità dei vasi è fisiologica in età senile, perché nell'anziano c'è un'alterazione nella sintesi del<br />
collageno<br />
▪ nella sindrome di Cushing la fragilità è dovuta a perdita proteica indotta dall'eccessiva produzione di<br />
corticosteroidi => atrofia del tessuto di sostegno perivascolare<br />
◦ in malattie ereditarie come la teleangectasia emorragica ereditaria autosomica dominante (vasi tortuosi e<br />
dilatati, pareti sottili che sanguinano facilmente) => sanguinamento più frequente in mucose del naso<br />
(epistassi), lingua, bocca, occhi e di tutto il tratto gastrointestinale<br />
▪ angectasia = dilatazione dei vasi; tele = fa riferimento al punto in cui i vasi si rompono, cioè alle<br />
estremità, alle ultime diramazioni; emorragica = la fragilità comporta emorragia, in questo caso in<br />
forma di petecchie (evidentissime nel fondo dell'occhio attraverso l'oftalmoscopio) => vasi molto<br />
tortuosi e emorragie (nel fondo dell'occhio una certa tortuosità e rigidità dei vasi è normale nell'età<br />
senile)<br />
◦ infiltrazione amilioide dei vasi<br />
• Difetto o disfunzione piastrinici<br />
◦ trombocitopenia (o piastrinopenia)<br />
▪ ci sono soggetti che hanno costituzionalmente un numero minore di piastrine rispetto al normale<br />
• nel soggetto normale: 150.000-300.000/mm3, si parla di piastrinopenia se < 100.000<br />
• tra 30.000-20.000 si hanno sanguinamenti in seguito a traumi<br />
• sotto 20.000 si hanno anche sanguinamenti spontanei, si osservano soprattutto a livello delle<br />
mucose, soprattutto gastrointestinale e genitale, ma anche della congiuntiva<br />
• sanguinamenti traumatici in seguito a trauma cranico possono essere molto gravi nell'anziano a<br />
causa dell'atrofia cerebrale => il cranio non è ben riempito => piccoli traumi possono far<br />
sbattere l'encefalo nel cranio, inoltre c'è fragilità dei piccoli vasi dovuto a carenza di collagene<br />
=> anche piccoli traumi cranici vanno valutati con attenzione<br />
▪ possono anche essere collegati a situazioni patologiche come leucemie, a trattamenti farmacologici<br />
▪ difficoltà a formare il tappo piastrinico<br />
▪ PIT (Porpora Idiopatica Trombocitopenica) da autoanticorpi diretti verso glicoproteine della<br />
membrana piastrinica =>si sviluppa nel bambino e si risolve spontaneamente in 4-6 settimane<br />
▪ PTT (Porpora Trombotica Trombocitopenica) => soprattuto nelle donne adulte, associata a sindromi<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 76
neurologiche<br />
▪ SEU (Sindrome Emolitico-Uremica) => nell'età infantile, non associata a sindromi neurologiche<br />
• Patogenesi oscura. Ipotesi: sulla base di alterazioni endoteliali formazione di miriadi di<br />
microaggregati piastrinici<br />
▪ ipersplenismo = splenomegalia molto intensa => la milza è molto ingrossata e ha aumentato di molto<br />
la sua funzione => sequestra un gran numero di piastrine<br />
▪ trasfusioni ripetute = si abbassa il numero di piastrine, perché sono labili, non resistono più di 24h<br />
▪ le piastrine sono piccole e delicate => se sbattono o si trovano a contatto con superfici anfrattose o<br />
irregolari ad es. di vecchie placche possono rompersi (la turbolenza spesso sbatte le piastrine alle<br />
pareti)<br />
◦ trombocitopatie congenite<br />
▪ Difetti di adesione, come il deficit ereditario della glicoproteina che lega il fattore di vWF con cui la<br />
piastrina si lega al collagene (sindrome di Bernard-Soulier)<br />
▪ Difetti di aggregazione, per deficit del recettore per il fibrinogeno con cui le piastrine si legano le une<br />
alle altre (tromboastenia)<br />
• Alterazioni della coagulazione<br />
◦ malattia di vW :<br />
▪ carenza quali-quantitativa del fattore vWF e quindi del complesso “fattore VIII-vWF”. vWF è un<br />
carrier del fattore VIII necessario per la sua stabilità e la sua funzione<br />
◦ Emofilia A (carenza fattore VIII)<br />
▪ eredità diaginica recessiva (ereditata attraverso gli elementi femminili della famiglia) = carenza del<br />
fattore VIII<br />
• nota quella della famiglia reale inglese => numerosi figli maschi che dovevano stare molto attenti<br />
a non avere nemmeno piccoli traumi a causa dell'alterazione della coagulazione => morivano in<br />
giovane età (oggi si somministrano i fattori mancanti e la persona ha una vita normale)<br />
▪ varie alterazioni genetiche => ampia varietà fenotipica quantitativa<br />
▪ emorragie da traumi e interventi chirurgici, emartri (emorragie spontanee ricorrenti in zone soggette<br />
normalmente a trauma, in particolare le articolazione)<br />
▪ terapia: infusione di fattore VIII (negli anni '80 provocò infezione da HIV in molti emofilici, perché i<br />
donatori erano inconsapevolmente infetti; oggi è disponibile il fattore VIII ricombinante)<br />
◦ Emofilia B (deficit F IX, malattia di Christmas)<br />
▪ clinicamente indistinguibile dalla emofilia A (IX agisce insieme a VIII per l'attivazione del X)<br />
COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE <strong>DI</strong>SSEMINATA (CID)<br />
E' una sindrome che si può manifestare in forma acuta, subacuta o cronica come complicanza secondaria di varei<br />
patologie.<br />
• Sindrome = insieme di segni e sintomi che troviamo in diverse malattie, ma che compaiono sempre<br />
insieme<br />
• sintomi = ciò che il paziente riferisce (es. bruciore alla gola, dolore all'articolazione)<br />
• segni = ciò che rileva il medico col suo esame obiettivo<br />
Nella CID si riscontrano trombosi ed emorragie insieme:<br />
• Trombosi = processo coagulativo generalizzato con microtrombi e microemboli (si staccano dai trombi) diffusi<br />
◦ in condizioni fisiologiche il processo coagulativo è localizzato, perché sono liberate sostanze<br />
anticoagulanti, qui si ha invece una propagazione del processo coagulativo<br />
• Emorragia<br />
◦ la formazione di microtrombi, microemboli e fibrina esauriscono le piastrine e i fattori della coagulazione<br />
circolanti<br />
◦ si formano anche peptidi di degradazione della fibrina (FDP)<br />
◦ per questo la CID è detta anche coagulopatia da consumo o microtrombosi emorragica<br />
La CID è una complicanza secondaria di varie patologie:<br />
• 50% dei casi di CID in malattie ostetriche (es. feto morto ritenuto e rottura della placenta)<br />
• 33% nei tumori, soprattutto nei tumori muco-secernenti (prostata, pancreas, stomaco, polmone)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 77
• inoltre sepsi (soprattutto da Gram-)<br />
• traumi gravi<br />
• il veleno di certi serpenti contiene un enzima capace di convertire velocemente il fibrinogeno in fibrina<br />
Perché si “accende” la CID?<br />
Ricordiamoci che la coagulazione può avere inizio da due differenti vie:<br />
1. Rilascio di TPT (tromboplastina tissutale) dai tessuti lesi (via estriseca)<br />
2. Contatto con collagene o con superfici cariche negativamente (via intrinseca)<br />
◦ es. sangue a contatto con provetta di vetro<br />
Tutto questo deve accadere non in un punto solo (altrimenti sarebbe fisiologico), ma in maniera diffusa, ad es.<br />
liberazione in circolo di sostanze, come muco in circolo da tumori.<br />
Cause della CID<br />
• Rilascio in circolo di TPT<br />
• Diffusi danni all’endotelio<br />
Quindi per:<br />
• Complicanze ostetriche<br />
◦ abruptio placentae<br />
◦ feto morto ritenuto => rilascio di materiale fetale nel circolo materno<br />
◦ embolia di liquido amniotico<br />
◦ agiscono come TPT-simili provocando attivazione delle piastrine => attivazione della cascata coagulativa<br />
=> formazione di tralci di fibrina<br />
• Tumori maligni<br />
◦ adenocarcinomi muco-secernenti, il muco agisce come sostanza TP<br />
◦ granuli nella Leucemia Acuta Promielocitica<br />
▪ i granuli sono sostanze che attivano la coagulazione<br />
• Infezioni da Gram- (sepsi)<br />
◦ lesione delle cellule endoteliali da endotossina<br />
◦ l’endotossina induce liberazione di IL-1 e TNF dai monociti, che causano aumento di espressione di TPT<br />
sulle cellule endoteliali<br />
◦ l’endotossina inibisce l’attività anticoagulante della proteina C (uno dei fattori anticoagulanti del sangue)<br />
• Traumi, Ustioni, Estesi interventi chirurgici => esposizione di TPT<br />
◦ traumi gravi da schiacciamento<br />
◦ interventi chirurgici che comportano tecniche laboriose e invasive per i tessuti<br />
◦ nelle ustioni si ha necrosi, lesione dell'endotelio, esposizione del collageno<br />
• Danno endoteliale<br />
◦ infiammazione => il TNF media aumento di espressione delle molecole di adesione sui leucociti, che<br />
possono danneggiare l'endotelio con il rilascio di radicali dell'ossigeno e proteasi<br />
◦ da deposizione di immunocomplessi (es. lupus eritematoso sistemico)<br />
◦ da temperature estreme<br />
◦ da microrganismi (es. meningococchi, rickettsie)<br />
Conseguenze<br />
• Diffusa deposizione di fibrina nel microcircolo<br />
◦ con ischemia e microinfarti degli organi colpiti (encefalo, con segni neurologici bizzarri, cuore, polmoni,<br />
con trombi alveolari ed essudazione fibrinosa, reni, milza e fegato) e anemia emolitica per<br />
frammentazione dei globuli rossi da parte della fibrina nel microcircolo (anemia emolitica<br />
microangiopatica)<br />
• Emorragie<br />
◦ per consumo di piastrine e di fattori della coagulazione<br />
◦ per attivazione del plasminogeno e formazione di plasmina (o fibrinolisina). Plasmina digerisce la fibrina<br />
dando luogo alla formazione di prodotti di degradazione della fibrina, che inibiscono l’aggregazione<br />
piastrinica<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 78
Decorso clinico<br />
• ESOR<strong>DI</strong>O ACUTO E FULMINANTE<br />
◦ come nello shock endotossinico o nell’embolia di liquido amniotico<br />
◦ prevale l’aspetto emorragico<br />
◦ terapia pro-coagulante (con plasma fresco congelato)<br />
• ESOR<strong>DI</strong>O INSI<strong>DI</strong>OSO, ma più prolungato nel tempo<br />
◦ adenocarcinomi muco secernenti<br />
◦ feto morto ritenuto<br />
◦ prevale l’aspetto trombotico<br />
◦ terapia anticoagulante (con eparina)<br />
PROGNOSI variabile in relazione alla malattia di base<br />
INFARTO<br />
Area di necrosi ischemica dovuta al blocco dell’apporto arterioso (o del drenaggio venoso).<br />
Cause:<br />
• il 99% da tromboembolia arteriosa (quella venosa invece è causa solo dell'infarto polmonare).<br />
• A volte: vasospasmo locale, espansione ateroma per emorragia interna, compressione neoplastica di un vaso<br />
dall’esterno, torsione di un vaso.<br />
Sedi: cuore, cervello, polmone, reni<br />
Tipi di infarto<br />
• Infarto rosso o emorragico: occlusione venosa, tessuti con pregressa congestione venosa (polmone con<br />
insufficienza cuore sinistro).<br />
• Infarto bianco: occlusione arteriosa, in organi solidi come il cuore, la milza, i reni.<br />
− Forma: a cono con apice all’occlusione<br />
− Necrosi coagulativa, tranne che nel cervello dove si ha necrosi colliquativa<br />
− Area infiammatoria periferica<br />
− Fattori che (in presenza di ischemia) condizionano l’instaurarsi di un infarto:<br />
− Circolazione di tipo terminale (anatomicamente nel rene, funzionalmente nelle coronarie)<br />
− il polmone ha doppia circolazione<br />
− arteria polmonare (se c'è un trombo si forma solo edema)<br />
− arteria bronchiale<br />
− Rapidità dell’occlusione<br />
− Sensibilità all’ipossia del tessuto che subisce l’ischemia<br />
− Contenuto di O2 nel sangue (più grave l’infarto in caso di anemia)<br />
Quando si arresta la circolazione per blocco c'è la possibilità che il sangue venoso torni indietro (rosso) ma il blocco<br />
ematico causa anche un rigonfiamento delle cellule in sofferenza che provocano uno spremimento del sangue venoso<br />
rimasto in zona (bianco).<br />
Evidenze tissutali dell'infarto<br />
• All'inizio (entro le 12h) non è istologicamente rilevabile<br />
• 12-24h dopo => necrosi coagulativa => infarto bianco<br />
• 24-72h dopo => afflusso di cellule con attività fagocitica<br />
• 3-10gg dopo => zona infiammata (bordo iperemico)<br />
• in seguito (settimane-mesi) => formazione di cicatrice bianca<br />
Tassi di mortalità per malattia<br />
ischemica cardiovascolare per 100.000<br />
uomini, standardizzati per età, in<br />
diversi paesi europei<br />
Irlanda del Nord 266<br />
UK, Scozia 263<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 79
Finlandia 253<br />
Ungheria 215<br />
Svezia 206<br />
Danimarca 203<br />
Norvegia 194<br />
Olanda 146<br />
Polonia 128<br />
Svizzera 105<br />
Belgio 105<br />
Italia 92<br />
Grecia 86<br />
Spagna 73<br />
Portogallo 71<br />
Francia 68<br />
LA FEBBRE<br />
Aspetti fisiologici della termoregolazione<br />
• Nell’uomo in condizioni normali la temperatura corporea è di 37°C con oscillazioni inferiori ad 1°C.<br />
• La temperatura del mattino è di circa ½ grado inferiore a quella tra le 12 e le 20<br />
• Nella donna in età fertile la temperatura è più bassa nel periodo preovulatorio (fase follicolinica) => si innalza<br />
di circa ½ grado all’ovulazione e tale rimane nel periodo successivo del ciclo (fase luteinica)<br />
• La termoregolazione è un processo omeostatico regolato a livello ipotalamico<br />
◦ l'ipotalamo ha sia il meccanismo afferente per il rilevamento della temperatura che quello effettore per il<br />
suo controllo<br />
La termogenesi<br />
• Il calore prodotto dall’organismo è la risultante del calore prodotto da ogni singola cellula. A livello cellulare il<br />
calore è prodotto in reazioni metaboliche esotermiche, prevalentemente ossidative.<br />
• I nutrienti che generano la maggior parte di calore sono i glicidi e i lipidi; meno i protidi.<br />
• L’energia chimica degli alimenti è immagazzinata in ATP.<br />
• Dal consumo di ATP, catalizzato dall’ATPasi, si genera lavoro (muscolare trasporto attivo, sintesi di molecole,<br />
ecc.) e calore.<br />
• La termogenesi è proporzionale al consumo di ossigeno.<br />
• La produzione di calore a digiuno e in condizioni di riposo fisico e psichico è detta metabolismo basale ed è di<br />
circa 1400-1800 calorie al giorno, cioè circa 70 calorie per ora.<br />
• Termogenesi obbligatoria: produzione “basale” di calore generato dall’attività metabolica, in assenza di<br />
qualsiasi sovraccarico funzionale di tutti gli organi. Alla sua regolazione presiedono essenzialmente gli ormoni<br />
tiroidei.<br />
• Termogenesi facoltativa: produzione di calore in eccesso rispetto a quella basale, tramite la stimolazione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 80
metabolica; è indipendente dalla volontà e alla sua regolazione sovrintendono le catecolamine.<br />
◦ L’azione di questi ormoni sarebbe mediata da fenomeni di depressione genica che porta ad una maggior<br />
produzione delle proteine che regolano i flussi ionici (calcio, sodio e potassio) e della stessa ATPasi.<br />
◦ L’aumento di ADP e fosforo inorganico Pi porta ad un aumento dei processi ossidativi. Ogni aumento di<br />
1°C della temperatura corporea porta ad un aumento di circa il 13% dei processi ossidativi per la legge di<br />
Vant’Hoff (calore genera calore)<br />
◦ Alla produzione di calore dovuta alle reazioni metaboliche si può aggiungere quella dovuta alla<br />
contrazione muscolare e cioè al brivido.<br />
La distribuzione del calore nell’organismo<br />
• il sistema circolatorio<br />
◦ distribuisce a tutto l’organismo il calore prodotto negli organi metabolicamente attivi, e<br />
◦ disperde il calore attraverso i vasi cutanei superficiali, la cui portata è sotto controllo dei centri<br />
ipotalamici, a livello del tuber cinereum.<br />
◦ A livello periferico la vasocostrizione è determinata dalla noradrenalina, come è dimostrato dalla<br />
persistente vasodilatazione locale a seguito di simpaticectomia, o dall’ipotermia (per persistente<br />
vasodilatazione associata a ridotta termogenesi a seguito di surrenectomia).<br />
• la termodispersione<br />
◦ In condizioni fisiologiche la qualità di calore prodotto è pari a quella del calore perduto.<br />
◦ Tra le vie attraverso cui il calore è perduto, la più efficiente e continuativa è quella cutanea, a causa della<br />
sua rilevante superficie, delle variazioni di tono dei vasi superficiali, dell’evaporazione del sudore e della<br />
perspiratio insensibilis.<br />
◦ Perdita di calore si ha anche con la respirazione, con l’emissione delle feci e delle urine e con<br />
l’introduzione di cibi e bevande freddi.<br />
• modalità di dispersione del calore<br />
◦ Conduzione: ad esempio dai vasi arteriosi a quelli venosi quando il decorso è comune e le pareti sono a<br />
contatto.<br />
◦ Convezione: ad esempio dalla superficie cutanea a contatto con l’aria. L’aria riscaldata si espande e si<br />
muove verso l’alto, sostituita da aria più fredda. La ventilazione aumenta questa modalità di dispersione<br />
del calore.<br />
◦ Irraggiamento: dalla superficie cutanea, quando questa ha una temperatura superiore a quella<br />
dell’ambiente e degli oggetti circostanti. E’ funzione della quarta potenza della temperatura assoluta del<br />
corpo che irradia. La temperatura cutanea varia con la vasodilatazione o vasocostrizione e quindi<br />
l’irraggiamento dipende dall’afflusso ematico superficiale. L'irraggiamento non prevede contatto diretto<br />
tra gli scambiatori, e non necessita di un mezzo per propagarsi.<br />
◦ Evaporazione: La sudorazione rappresenta la modalità termodispersiva più efficiente. L’evaporazione di<br />
100 ml di acqua impedisce che la temperatura cutanea aumenti di un grado.<br />
◦ Quando la temperatura ambiente è superiore a quella corporea le prime tre modalità sono inefficienti e<br />
solo l’evaporazione può sottrarre calore, ma solo se l’aria ambiente non sia satura di umidità.<br />
L’esposizione al caldo secco è sopportata meglio che quella al caldo umido.<br />
◦ Acclimatamento: capacità di adattarsi, dopo alcuni giorni, a condizioni di caldo umido.<br />
◦ Un soggetto acclimatato o abituato all’esercizio fisico può produrre sino a 3 litri/ora di sudore.<br />
◦ Le ghiandole sudoripare di un soggetto acclimatato o allenato all’esercizio fisico sono iperplastiche.<br />
I centri termoregolatori<br />
• Con il riscaldamento localizzato dell’area preottica si ha una risposta termodispersiva (vasodilatazione,<br />
sudorazione, tachipnea, ecc).<br />
• Con il raffreddamento dell’area preottica si ha una risposta termogenetica e termoconservativa (vasocostrizione<br />
cutanea, orripilazione, brivido, secrezione di ormoni termogenetici e dei relativi fattori ipotalamici di rilascio).<br />
• Esistono due tipi di centri termoregolatori, gerarchicamente coordinati, inferiori e superiori: l’area preottica è il<br />
centro superiore.<br />
• Temperatura di riferimento: E’ la temperatura ottimale per ogni specie (37°C nell’uomo, 39°C nel coniglio)<br />
rispetto alla quale ogni scostamento verso valori inferiori innesca meccanismi termogenetici e verso valori<br />
superiori meccanismi termodispersivi. I meccanismi vasomotori e metabolici sono regolati da una complessa<br />
rete neuroendocrina.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 81
◦ Ad esempio ad un abbassamento della temperatura dei centri si può avere: ipotalamo → rilascio di TRH<br />
→ adenoipofisi → produzione di TSH → tiroide → produzione tiroxina → risposta termogenetica negli<br />
organi bersaglio.<br />
Tiroide e termogenesi - Meccanismi di controllo della funzione tiroidea<br />
La regolazione dell’attività della tiroide è volta al mantenimento di livelli circolanti adeguati di T3 e T4 ed è affidata a 3<br />
sistemi di controllo:<br />
1) il primo è costituito dalla liberazione ipofisaria di TSH, "thyroid stimulating hormone", (a sua volta controllato<br />
dall’ipotalamo, con meccanismo a feed-back, dal TRH, “Thyrotropin- releasing hormone“, detto anche TRF,<br />
“Thyrotropin-releasing factor”)<br />
2) il secondo intratiroideo consiste nella possibilità di autoregolazione della liberazione di T3 e T4 in funzione dei<br />
livelli di iodio organico intracellulare<br />
3) il terzo, periferico, è rappresentato dall’attività delle monodeiodinasi microsomiali e dalla conseguente<br />
trasformazione della T4 in T3, biologicamente più attiva<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 82
Effetti biologici degli ormoni tiroidei<br />
• L’azione più nota è l’aumento del consumo di ossigeno e la produzione di calore.<br />
• A livello metabolico gli ormoni tiroidei stimolano la glicogenolisi, la neoglucogenesi ed hanno azione<br />
iperglicemizzante; sul metabolismo dei lipidi hanno un’azione lipolitica, attraverso l’attività delle<br />
catecolamine.<br />
• Sul cuore T4 e T3 determinano tachicardia e incremento della pompa (effetti cronotropi e inotropi positivi).<br />
• Sul tubo digerente, un aumento della motilità ma una riduzione dell’assorbimento.<br />
• Sul sistema scheletrico, attivazione degli osteoclasti e, quindi, di riassorbimento osseo.<br />
• Azioni dirette sui mitocondri determinano un rialzo della produzione di ATP e del consumo di ossigeno.<br />
Organizzazione del centro termoregolatore<br />
• Nell’area preottica si possono distinguere 4 tipi di neuroni<br />
• neuroni W (warm) = neuroni recettivi ai segnali termici al di sopra e al di sotto di 37°C:<br />
• neuroni I (insensitive) = neuroni insensibili agli stimoli termici<br />
• neuroni w = neuroni effettori della perdita di calore<br />
• neuroni c (cold) = neuroni effettori della produzione di calore<br />
Alterazioni della temperatura corporea<br />
• Ipertermie: aumento della temperatura corporea al di sopra di quella di riferimento.<br />
• Ipotermie: abbassamento della temperatura corporea al di sotto di quella di riferimento per riduzione della<br />
termogenesi o aumento della termodispersione senza modificazione dei neuroni termosensibili.<br />
• Ipertermie non febbrili: aumento della temperatura dato da<br />
◦ aumento della termogenesi<br />
◦ riduzione della termodispersione<br />
• Ipertermie febbrili: aumento della temperatura corporea dato da una particolare alterazione dei centri<br />
termoregolatori prodotta dal rilascio di citochine pirogeniche che induce il riassetto a livello superiore del<br />
punto sensibile alla temperatura di riferimento con la conseguenza che sia i processi termogenetici che quelli<br />
termodispersivi si adattano a questa nuova condizione.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 83
TIPI <strong>DI</strong> FEBBRE<br />
• Continua: oscillazioni giornaliere < 1° C (esempio febbre da Salmonella typhi)<br />
• Remittente: oscillazioni giornaliere > 1°C (febbre di tipo settico)<br />
• Intermittente: alternanza di periodi febbrili a periodi di apiressia con intervalli di giorni (quotidiana, terzana,<br />
quartana)<br />
• Ricorrente: alternanza di periodi febbrili della durata di alcuni giorni a periodi di apiressia anch’essi della<br />
durata di alcuni giorni: la defervescenza avviene per crisi: esempio febbri da tripanosomi, da Borrelia.<br />
• Ondulante: alternanza di periodi febbrili della durata di alcuni giorni a periodi di apiressia anch’essi della<br />
durata di alcuni giorni: la defervescenza avviene per lisi: è tipica delle infezioni da Brucella<br />
La frebbe può scendere per:<br />
− crisi = in modo brusco a seguito di sudorazione, in poche ore<br />
− lisi = in modo decrescente, in qualche giorno<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 84
La febbre<br />
• Ippocrate: sbilanciamento dell’equilibrio tra gli umori (bile nera, bile gialla, flegma e sangue) per eccesso di<br />
bile gialla.<br />
• Paracelso: (1493-1541): squilibrio tra i costituenti dell’organismo (mercurio, sale, zolfo).<br />
• Claude Bernard (1813-1878): i processi metabolici come fonte dell’energia calorica dell’organismo.<br />
• Fine XIX secolo: relazione tra processi infettivi e febbre.<br />
• 1950: le endotossine come “pirogeni”<br />
Le endotossine come pirogeni endogeni<br />
• Periodo di latenza tra inoculazione della endotossina e rialzo febbrile<br />
• Il periodo di latenza poteva essere abbreviato per incubazione in vitro dell’endotossina con il sangue e<br />
successiva inoculazione<br />
• Dei componenti del sangue apparivano determinanti i leucociti<br />
• Attenuazione o scomparsa del rialzo febbrile per inoculazione di<br />
endotossine in conigli resi leucopenici<br />
Pirogeni esogeni ed endogeni<br />
• I pirogeni endogeni sono prodotti in seguito ad azione fagocitaria<br />
dei leucociti sia nei confronti dei gram-negativi (endotossine,<br />
LPS) sia dei gram-positivi (muramildipeptide, MDP, vedi figura<br />
a fianco). Questi ultimi sono detti pirogeni esogeni<br />
• Mentre il LPS purificato è un pirogeno assai potente (2 ng/Kg<br />
peso corporeo danno un aumento di 2°C) il MDP isolato è assai<br />
poco pirogenico.<br />
Pirogeni endogeni: le citochine pirogeniche<br />
• Dapprima fu dimostrata la natura proteica del pirogeno endogeno<br />
e la sua produzione da parte dei monociti e macrofagi.<br />
• Successivamente si accertò che tali cellule producevano non una ma numerose molecole con attività<br />
pirogenica, dotate anche di un’altra importante attività: l’induzione negli epatociti della produzione e<br />
secrezione delle proteine della fase acuta, associate al processo flogistico.<br />
• Inoltre fu possibile dare anche una spiegazione della patogenesi delle febbri non associate ad infezioni da<br />
gram-negativi, ma a infezioni virali e fungine, a malattie sistemiche quali il lupus eritematoso, a reazioni<br />
indesiderate a farmaci, a tumori, riscontrando come in queste condizioni si verifichi liberazione, da varie<br />
cellule, di altre molecole pirogeniche, poi identificate con le citochine.<br />
• Le cellule che producono citochine pirogeniche non sono limitate ai monociti e macrofagi, ma includono<br />
cheratinociti, cellule endoteliali, miociti, cellule nervose.<br />
• Le citochine pirogeniche possono, con meccanismi autocrini, paracrini e endocrini, indurre la sintesi di altre<br />
molecole, tra cui se stesse, contribuendo ad amplificare il fenomeno.<br />
• Le più attive citochine pirogeniche sono IL-1 e TNF.<br />
Principali induttori della produzione di interleuchina-1<br />
• Microrganismi; Virus; Batteri; Spirochete; Funghi<br />
• Prodotti microbici; Endotossine dei batteri gram-negativi; Peptidoglicani batterici; Esotossine di stafilococchi e<br />
streptococchi patogeni; Polisaccaridi fungini<br />
• Agenti infiammatori<br />
• Sali biliari<br />
• Cristalli di acido urico<br />
• Cristalli di silice<br />
• Componenti del complemento (C5a)<br />
• Metaboliti ormonali (etiocolanolone)<br />
• Antigeni (azione indiretta)<br />
• Antigeni microbici (proteine stafilococciche tubercolina)<br />
• Antigeni non microbici (varie proteine)<br />
Azione delle citochine a livello dei centri termoregolatori<br />
• Come possono penetrare nell’encefalo se la membrana ematoencefalica non consente il passaggio di proteine?<br />
• Si ritiene che le cellule endoteliali della barriera ematoencefalica, stimolate da IL-1 nel loro lato, o polo<br />
vascolare, stimolino la produzione di nuova IL-1 dal polo encefalico della barriera.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 85
• Ma si ritiene anche che le citochine pirogeniche plasmatiche possano attraversare la barriera ematoencefalica<br />
in corrispondenza della zona che circonda i neuroni della regione preottica, detta Organum vasculosum<br />
laminae terminalis (OVLT), zona in cui la barriera è più permeabile.<br />
• E’ interessante ricordare che fattori di crescita emopoietici, come il GM-CSF e il G-CSF, a dosi elevate<br />
stimolano i leucociti a sintetizzare IL-1 e TNF.<br />
• A tale effetto è da attribuire la comparsa di febbre in pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo e trattati<br />
con fattori di crescita.<br />
• Inoltre in pazienti con febbre o in soggetti sani inoculati con endotossine si è riscontrata la presenza nelle urine<br />
di una proteina del p.m. di 25 kD, analoga a IL-1, che rappresenta un antagonista di IL-1, detta IL-1-ra (IL-1<br />
receptor antagonist), capace di fissarsi ai recettori cellulari per IL-1, competendo con il legame di IL-1.<br />
• Recettori solubili per IL-1 e TNF bloccano in circolo le rispettive citochine limitando l’interazione con i<br />
recettori cellulari.<br />
Ruolo delle prostaglandine nella patogenesi della febbre<br />
• Le citochine pirogeniche non agiscono direttamente sui centri termoregolatori, ma tramite la produzione di<br />
prostaglandine della serie E2.<br />
• Le citochine pirogeniche (in particolare IL-1 e TNF) stimolano in vitro la produzione di PGE2 da parte di<br />
cellule endoteliali in coltura.<br />
• La conclusione è avvalorata dall’osservazione di un effetto antipiretico dei farmaci, quali l’aspirina, che<br />
inibiscono la ciclossigenasi.<br />
• PGE2 aumenta nella regione ipotalamica e nel liquido cefalorachidiano a seguito del trattamento con pirogeni<br />
esogeni o con pirogeni endogeni e si mantiene ad una elevata concentrazione per tutta la durata della febbre.<br />
• Non si conosce tuttavia il meccanismo molecolare con cui PGE2 modifica la “temperatura di riferimento” dei<br />
neuroni termoregolatori.<br />
• Ricerche di elettrofisiologia hanno stabilito che PGE2 provocano nei neuroni W un effetto inibitorio mediato<br />
da un incremento di cAMP intracellulare. C’è proporzionalità tra concentrazione di PGE2, incremento di<br />
cAMP e inibizione di W. L’inibizione di W consiste in un innalzamento della soglia di sensibilità termica e<br />
quindi i segnali termici vengono avvertiti ad una temperatura superiore.<br />
Meccanismo neuronale della febbre<br />
• Nella fase di rialzo termico W non inviano segnali eccitatori ai neuroni w e inibitori ai neuroni c. Prevalgono i<br />
segnali di I (inibitori per w e eccitatori per c) e si ha una risposta termogenetica.<br />
• Nella fase del fastigio l’ipotalamo è ad una temperatura T > 37°C e i neuroni W (con livelli di cAMP<br />
intracellulare aumentati) controbilanciano i neuroni I.<br />
• Nella fase della defervescenza diminuisce cAMP, si riattivano W che avvertono la maggior temperatura<br />
ipotalamica e si innesca la risposta termodispersiva<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 86
Sindromi febbrili periodiche ereditarie<br />
Sindrome Gene Proteina Popolazione Durata attacco Altri sintomi<br />
febbrile<br />
Febbre mediterranea MEFV Pirina o marenostrina<br />
Ebrei, Armeni, Arabi, 1-3 gg Peritonite,<br />
familiare, FMF<br />
16p 13.3 Proteina dei granulociti<br />
Turchi<br />
costipazione,<br />
moderatrice della infiammazione<br />
amiloidosi<br />
Ipertermia-IgD, HIDS MVK Chinasi per mevalonato<br />
Olandesi, altri Europei 3-7 gg Dolori<br />
12q24 Precursore steroidi<br />
addominali,<br />
diarrea<br />
Febbre periodica associata TNFR1 Recettore-1 per il TNF Irlandesi, Scozzesi, > 7 gg Diarrea, pleurite,<br />
al recettore per il TNF, 12p13<br />
Finlandesi, altri<br />
mialgie,<br />
TRAPS<br />
amiloidosi<br />
Alterazioni metaboliche nella febbre<br />
• Aumento del metabolismo basale del 13% per grado al di sopra di 37°C.<br />
• Carboidrati: aumento della glicogenolisi epatica e muscolare, aumento della glicemia, con ridotta utilizzazione<br />
del glucosio da parte delle cellule. Aumento della glicolisi con aumento dell’acido lattico e piruvico nel<br />
sangue.<br />
• Lipidi: comparsa di corpi chetonici nel sangue e chetonuria. Lipolisi nei tessuti adiposi. Acidosi metabolica<br />
solo per febbri di lunga durata.<br />
• Protidi: bilancio azotato negativo. Aumento sino a 3 volte dell’azoto urinario che da 10-15 g/die può arrivare a<br />
40-45 g/die (aumenta più l’azoto ammoniacale che l’urea, che tuttavia è aumentata), ipercreatininuria e<br />
comparsa di creatinuria (che nel normale è assente). Tali dati riflettono il danno muscolare (con sensazione<br />
soggettiva<br />
• Riduzione della diuresi per maggiore eliminazione di acqua per via respiratoria e con il sudore: eliminazione di<br />
urina ad alto peso specifico. Ritenzione di cloruri, eliminazione di fosfati. Si riscontra aumento di eliminazione<br />
di potassio, in conseguenza del danno muscolare ed altre cellule.<br />
Effetti della febbre sull'organismo<br />
• Nel periodo prodromico prevalenza del tono simpatico.<br />
• Nella fase di fastigio si ha vasodilatazione (da prostaglandine, da endotossine stesse), ma in complesso la<br />
pressione sistolica non è ridotta.<br />
• Si ha tachicardia con aumento medio di 8 pulsazioni per grado al di sopra di 37°C. Si ha polipnea = aumento<br />
degli atti respiratori per minuto.<br />
• Nella fase della defervescenza si ha un quadro simile alle ipertermie non febbrili (vasodilatazione,<br />
sudorazione, ecc.)<br />
IPERTERMIA MALIGNA E ANESTESIA<br />
La ipertermia maligna (IM) è una rara ma gravissima complicanza dell’anestesia generale (AG), che occorre in soggetti<br />
predisposti geneticamente (soggetti suscettibili all’IM) in seguito alla esposizione a fattori scatenanti. E' quindi di<br />
importanza fondamentale riconoscere i soggetti potenzialmente suscettibili, proprio perché a questo livello si può<br />
effettuare il primo intervento di prevenzione della esposizione ai fattori scatenanti.<br />
L’IM è una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante.<br />
Studi di genetica molecolare hanno dimostrato che il difetto primario della IM risiede nel canale del calcio del muscolo<br />
scheletrico comunemente noto come recettore della rianodina (RYR1).<br />
Il gene che codifica per questa proteina, che in forma tetramerica costituisce il canale del calcio, si trova sul cromosoma<br />
19q.<br />
Incidenza dell'ipertermia maligna<br />
Nella sua espressione clinica l’I.M. è un’affezione rara.<br />
Si può stimare che l’incidenza globale si collochi intorno a 1:15.000 anestesie nella popolazione pediatrica e 1:50.000 in<br />
quella adulta, con una lieve predisposizione per il sesso maschile e per l’età pediatrica, senza peraltro che siano<br />
riconoscibili dei fattori di predittività (un soggetto già esposto a fattori scatenanti, in cui non sia comparsa la sindrome,<br />
non può essere considerato senza rischio ad una successiva esposizione).<br />
La mortalità si attesta attualmente sul 7% dei casi nel mondo.<br />
Cosa scatena l'ipertermia maligna?<br />
Farmaci scatenanti una crisi di IM nei soggetti suscettibili sono gli anestetici volatili alogenati e/o la succinilcolina.<br />
Si possono distinguere tre tipi di crisi di IM, in relazione al quadro clinico: forme fulminanti, forme moderate, forme<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 87
abortive.<br />
È importante ricordare che nei pazienti IM-suscettibili l’intervento chirurgico in anestesia generale con agenti scatenanti<br />
non sempre induce una crisi; un soggetto IM-suscettibile può essere sottoposto numerose volte senza conseguenze<br />
all’anestesia generale e reagire con una crisi di IM la volta successiva.<br />
Patogenesi e decorso dell'ipertermia maligna<br />
Una volta scatenata, la crisi di IM può evolvere fino al decesso. Nei casi mortali il progredire degli eventi può<br />
manifestarsi rapidamente, anche nel giro di 15 minuti, o durare oltre un’ora.<br />
La caratteristica patogenetica fondamentale dell’affezione consiste in una difettosa regolazione del calcio libero<br />
citoplasmatico nella cellula muscolare striata dovuta ad un’alterazione genetica dei canali del calcio.<br />
I farmaci scatenanti nei soggetti suscettibili provocano una prolungata apertura dei canali del calcio con un aumento<br />
abnorme della concentrazione di tale ione nel citoplasma della fibrocellula muscolare.<br />
Il flusso non regolato di calcio provoca una contrazione muscolare patologica ed aumenta l’attività metabolica dei<br />
muscoli.<br />
I muscoli attivati in tali condizioni consumano un’eccessiva quantità di ossigeno con produzione di acqua, anidride<br />
carbonica e lattati e conseguente grande produzione di calore.<br />
E’ alterata l’integrità della membrana cellulare: proteine quali Creatinchinasi (CPK) e mioglobina si liberano nel<br />
sangue.<br />
L’aumento di potassio nel sangue provoca tachicardia e tachiaritmia fino all’arresto cardiaco, se non si interviene<br />
tempestivamente.<br />
La mancanza di ossigeno può causare danni cerebrali.<br />
L’aumento di anidride carbonica nel sangue stimola una respirazione rapida e profonda.<br />
La mioglobina si sposta dalle cellule dei muscoli nei reni dove può causare un’insufficienza renale acuta.<br />
Il rilascio di grandi quantità di calore da parte dei muscoli sottoposti ad eccessiva attività metabolica provoca<br />
l’innalzamento della temperatura del paziente più rapidamente di quanto il sistema naturale di termoregolazione possa<br />
tenere sotto controllo.<br />
Nel giro di pochi minuti può verificarsi un aumento a 41°C ed oltre.<br />
Trattamento dell'ipertermia maligna<br />
Oltre ad uno specifico trattamento farmacologico (sodio dantrolene), è utile:<br />
• Sospendere la somministrazione di anestetici volatili e di succinilcolina.<br />
• Iperventilare con O2 al 100%.<br />
• Controllare le aritmie cardiache con antiaritmici.<br />
• Monitorare la temperatura centrale.<br />
• Raffreddare il paziente.<br />
• Seguire il profilo coagulativo - può insorgere CID.<br />
• Dosare il CK ogni 12 ore fino alla sua normalizzazione.<br />
• Mantenere controllato il paziente perché sono possibili recrudescenze nel 25% dei casi.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 88
L'INFIAMMAZIONE o FLOGOSI<br />
Infiammazione = dal latino: fiamma<br />
Flogosi = dal greco: fuoco<br />
L'infiammazione acuta è caratterizzata infatti da calore e rossore.<br />
Nomenclatura: aggiungere il suffisso -ite al nome dell'organo interessato dall'infiammazione (acuta o cronica).<br />
− es. pancreatite, artrite, connettivite<br />
− malattie autoimmuni sistemiche, ad es. lupus eritematoso sistemico<br />
Le due grandi risposte difensive dell'organismo sono:<br />
− immunitaria = altissima specificità, data da anticorpi specifici per l'antigene<br />
− infiammatoria = altamente aspecifica, sempre uguale, stereotipata, qualunque sia la causa del danno<br />
− nasce come una risposta difensiva, ma può avere effetti negativi<br />
− è la risposta più comune dell'organismo ad un danno tissutale<br />
Cause dell'infiammazione<br />
• Cause: tutte le cause biologiche, chimiche o fisiche che provocano danno cellulare<br />
◦ Chimiche (acidi, alcali, silicio, berillio, asbesto, olio di croton)<br />
◦ Fisiche (radiazioni, temperature estreme, traumi, corpi estranei, protesi)<br />
◦ Biologiche (viventi: microrganismi; non viventi: tossine, detriti)<br />
L’infiammazione coinvolge anzi tutto i vasi sanguigni:<br />
• Negli organismi semplici privi di sistema vascolare (unicellulari, parassiti pluricellulari) reagiscono al danno<br />
localizzato intrappolando e fagocitando l’agente lesivo<br />
• Negli organismi evoluti tali forme di intrappolamento e di fagocitosi sono conservate ma la risposta al danno<br />
localizzato è anzi tutto la reazione dei vasi sanguigni<br />
Segni classici di infiammazione o flogosi<br />
• L’etimo rimanda al significato di fiamma, fuoco<br />
• Segni classici di infiammazione (noti sin dall’antichità):<br />
◦ rubor, tumor, calor, dolor (descritti da Celso, medico romano)<br />
◦ functio laesa (aggiunto da Virchow, 1793) = alterazione funzionale del tessuto interessato<br />
• Ricordiamo inoltre:<br />
◦ Conheim, pieno 800, per la descrizione dei fenomeni vascolari<br />
◦ Metchnikoff, un “romantico” di fine 800, per aver identificato nella fagocitosi la finalità<br />
dell’infiammazione (dando in pasto spine di rosa a larve di stella marina);<br />
◦ Lewis, primi del 900, pone le basi per la scoperta dei mediatori chimici (primo conosciuto è l'istamina)<br />
La reazione dei vasi sanguigni porta ad un accumulo di liquidi, proteine e cellule difensive nella sede del danno, con lo<br />
scopo di:<br />
• diluire l’agente lesivo (liquidi)<br />
• intrappolarlo (proteine?)<br />
• di distruggerlo (cellule)<br />
• Se non è possibile distruggere l’agente lesivo, lo scopo diventa circoscriverlo.<br />
Nel processo infiammatorio:<br />
− alcune cellule sono protagoniste nell'acuta, altre in quella cronica<br />
− le cellule comunicano fra loro intensamente attraverso rilascio di molecole solubili e esposizione di altre sulla<br />
loro superficie<br />
Infiammazione acuta:<br />
− è la vera e propria infiammazione, caratterizzata da calore e rossore<br />
− scopo della flogosi acuta è eliminare l’agente lesivo e riparare il danno<br />
− è detta angioflogosi perché la risposta è una complessa reazione del tessuto connettivo vascolarizzato, in<br />
particolare dal microcircolo (tra arteriola e venula)<br />
− nasce come risposta ai microbi, ma si dirige anche verso altre cause di danno<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 89
− una delle possibili evoluzioni dell'infiammazione acuta è quella cronica<br />
Infiammazione cronica:<br />
− scopo della flogosi cronica è contenere, controllare, circoscrivere l’infezione o il danno. La flogosi cronica può<br />
seguire una flogosi acuta non risolta, oppure è tale sin dall’inizio (sostanze insolubili, corpi estranei, TBC)<br />
− è detta istoflogosi perché deriva frequentemente dall'infiammazione acuta che non è riuscita a debellare il<br />
danno => circoscrive con diversi citotipi l'agente eziologico inglobandolo<br />
− es. per micobatterio della tubercolosi, che l'infiammazione acuta non riesce a debellare<br />
L’infiammazione acuta si completa con il processo riparativo<br />
− Infatti, una volta eliminata la causa del danno nel focolaio flogistico, interviene il processo riparativo a<br />
sostituire i tessuti lesi tramite (a seconda del tipo e dell’entità del danno):<br />
− rigenerazione parenchimale (dove possibile) => restitutio ad integrum<br />
− fibrosi e cicatrizzazione<br />
− o entrambe<br />
Nella flogosi cronica il processo riparativo è presente, ma assume un significato diverso.<br />
L’infiammazione è una risposta difensiva. Tuttavia infiammazione e riparazione possono talora essere dannose,<br />
ad esempio:<br />
− Le pericolose reazioni di ipersensibilità<br />
− Molte forme di artrite (ad esempio l’artrite reumatoide) = risposta immunitaria + risposta infiammatoria =><br />
distruzione dell'articolazione<br />
− L’arteriosclerosi = principale forma di aterosclerosi, è una risposta infiammatoria della parete vascolare<br />
− Le cicatrici deformanti, le sinechie (cicatrici deformanti), le aderenze che provocano ostruzione intestinale o<br />
limitano la mobilità delle articolazioni<br />
− L’epiglottidite da Haemophylus influenzae (asfissia)<br />
− Le conseguenze infiammatorie della meningite meningococcica<br />
CELLULE DELL'INFIAMMAZIONE<br />
− Le cellule del processo infiammatorio: protagoniste, attrici, comparse e parte interpretata da ciascuna<br />
− 10 tipi di cellule possono “recitare” sul “palcoscenico” del processo infiammatorio<br />
− nella flogosi acuta l’attore protagonista è il neutrofilo<br />
− nella infiammazione cronica il protagonista è il macrofago, o istiocita, che entra anche in gioco al<br />
termine dell'infiammazione acuta per ripulire i residui<br />
− tutti i tipi sono quiescenti in condizioni normali, ma si attivano nel focolaio infiammatorio<br />
− tutti producono mediatori chimici: il linguaggio chimico dell’infiammazione<br />
Granulocita neutrofilo<br />
• è l'attore principale dell'infiammazione acuta, agisce sempre in gruppi numerosi<br />
• è un po' più grande del globulo rosso => deve deformarsi per passare nei capillari più piccoli<br />
• è in grado di strisciare appiattendosi<br />
• Leucocita presente, in condizioni normali, solo nel sangue e nel midollo osseo. Vita breve: 12-20 ore.<br />
• Poco reticolo endoplasmico, pochi mitocondri, notevoli riserve di glicogeno dalle quali estraggono energia per<br />
il movimento.<br />
• Dotato di elevata capacità battericida, conferitagli da circa 2000 granuli di tre tipi:<br />
◦ granuli primari o azzurrofili, simili ai lisosomi e, come questi, contenenti principalmente idrolasi acide<br />
(enzimi attivi a pH acido con meccanismo idrolitico). Contengono inoltre: catepsine, elastasi, fosfolipasi;<br />
◦ granuli secondari o specifici, i più numerosi ed i primi ad essere “consumati” durante la fagocitosi.<br />
Contengono collagenasi, lisozima, lattoferrina<br />
◦ granuli terziari o particelle C, contenenti catepsine e gelatinasi<br />
• Uccide quando, attivato, va incontro ad una esplosione respiratoria, durante la quale secerne enzimi e radicali<br />
liberi dell’ossigeno. I microorganismi ingeriti sono demoliti attraverso la generazione di composti tossici<br />
dell’ossigeno. E’ dunque una cellula secretoria la cui secrezione inizia quando è richiamata da stimoli<br />
chemiotattici.<br />
• A valori inferiori a 1000-500/mm3 (neutropenia): minaccia di infezioni batteriche (questo significa che agisce<br />
anche normalmente).<br />
• La sua presenza nei tessuti (e un valore alto nel sangue) è indicativa di eventi acuti come un’invasione<br />
batterica o un altro tipo di danno tissutale.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 90
• Riconoscibilissimo per il nucleo, che nel granulocita neutrofilo è suddiviso in due-cinque lobi connessi da un<br />
filamento (non si sa il perché di questo)<br />
• Può emettere pseudopodi per "abbracciare" il microbo => rilascia granuli => fagocitosi<br />
Leucocitosi = aumento di globuli bianchi<br />
Neutrofilia = aumento di neutrofili<br />
Linfocitosi = aumento dei globuli bianchi, in particolare dei linfociti<br />
Granulocita eosinofilo<br />
• Vive più a lungo del neutrofilo, ed è quindi anche meglio “equipaggiato” di reticolo endoplasmatico e di<br />
mitocondri. Se stimolato, produce un’esplosione respiratoria più grande del neutrofilo: risponde, infatti, ad<br />
invasori più grandi, essendo la sua azione difensiva diretta nei confronti di infestioni parassitarie (potremmo<br />
ricordarlo come un killer dei vermi!).<br />
• Nel sangue: 2-3 eosinofili ogni 55 neutrofili. Nei tessuti gli eosinofili sono molto diffusi, specialmente ove<br />
abbondano i mastociti, come nella mucosa del tratto gastroenterico (sembra inattivino l’istamina liberata<br />
durante le reazioni allergiche di tipo anafilattico causate da anticorpi IgE. A meno che non stiano lì ad aspettare<br />
i vermi!)<br />
• I granuli degli eosinofili contengono proteine cationiche, cioè cariche positivamente (un fatto che si accorda<br />
con la loro affinità con il colorante acido eosina), con cui si legano a molecole cariche negativamente della<br />
membrana di cellule parassitarie:<br />
◦ PBM (proteina basica maggiore) = occupa tutta la porzione centrale di un granulo, come un cristallo, è<br />
molto lesiva<br />
◦ Proteina cationica degli eosinofili<br />
• Nei soggetti allergici è presente una certa eosinofilia (non si sa perché) e forse in questo caso gli eosinofili<br />
fanno più danno che beneficio, ad es. nell'asma.<br />
Granulocita basofilo e mastocita => intervengono nelle reazioni allergiche<br />
• Le mast-zellen (o mastociti) si trovano sia nelle mucose (soprattutto quella intestinale), sia nel connettivo<br />
della maggior parte dei tessuti ed organi, come elementi cellulari derivati da un precursore midollare comune.<br />
Ricchi di granuli contenenti ISTAMINA e altri mediatori dell’infiammazione: PAF e diverse citochine,<br />
compreso il TNF-α. Contengono inoltre eparina e proteoglicani per immagazzinare i mediatori senza che<br />
questi siano dannosi per la cellula. Iperplasia delle mast-zellen mucosali nelle infestioni parassitarie.<br />
• I basofili sono leucociti del sangue circolante. Anch’essi, come le mast-zellen, sono ricchi di granuli di<br />
ISTAMINA, eparina e numerosi enzimi. Esprimono sulla loro superficie recettori per le IgE. Rappresentano il<br />
corrispettivo “circolante” delle mast-zellen tissutali: pur avendo precursori diversi, basofili e mast-zellen hanno<br />
struttura e funzioni simili.<br />
Monociti e macrofagi<br />
• I monociti e i macrofagi rappresentano due fasi della stessa cellula, la fase circolante e la fase tissutale.<br />
Nell’infiammazione fanno la loro comparsa come una seconda ondata di cellule, per portare a termine ciò che i<br />
neutrofili avevano incominciato. Nella cronicizzazione della flogosi, subentrano definitivamente ai neutrofili.<br />
Sono, quindi, le cellule protagoniste della flogosi cronica.<br />
• Molte attività: fagocitosi, immunità, angiogenesi, fibrosi, eliminazione dei rifiuti, secrezione di una vasta<br />
gamma di proteine, induzione della febbre e di altre reazioni generali dell’organismo nella flogosi.<br />
Ricordiamoci che SONO MACROFAGI anche:<br />
• le cellule giganti dell’infiammazione cronica<br />
• le cellule schiumose dell’aterosclerosi<br />
• le cellule che producono TNF (detto anche cachettina) per i suoi effetti generali<br />
• Inoltre:<br />
◦ i macrofagi dei siti extravascolari dei tessuti sono denominati anche istiociti<br />
◦ Sono macrofagi gli osteoclasti del midollo osseo, le cellule di Kupffer dei sinusoidi epatici, le cellule<br />
microgliali del cervello.<br />
Piastrine<br />
• Indispensabili per interrompere le emorragie, chiudendo le lesioni endoteliali formando il primo tappo<br />
emosatico, e per mantenere l’integrità dell’endotelio.<br />
• All’infiammazione partecipano col rilascio di 19 diversi tipi di molecole.<br />
• sono presenti nell'infiammazione perché spessissimo ci sono vasi troncati (nella flogosi il danno tissutale è<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 91
seguito da danno vascolare)<br />
Linfociti, fibroblasti, cellule endoteliali<br />
• LINFOCITI T, LINFOCITI B = Cellule della risposta immunitaria (specifica). Possono intervenire anche nella<br />
risposta flogistica (aspecifica), come pure le CELLULE NK (citolitiche)<br />
• FIBROBLASTI = Non solo stanziali produttori di fibre, ma anche elementi cellulari dinamici e capaci di<br />
spostarsi in risposta a stimoli chemiotattici. Sintetizzano collageno, elastina e glicosaminoglicani, anche se<br />
oggi è noto che non sono il solo tipo cellulare capace (anche fibrocellule muscolari lisce ed endotelio possono<br />
farlo). Sono le cellule protagoniste del processo riparativo.<br />
• CELLULE ENDOTELIALI = Fondamentali nell’infiammazione, poiché costituiscono la barriera che deve<br />
essere attraversata dai due componenti dell’essudato infiammatorio: i leucociti e il plasma.<br />
N.B.: ESSUDAZIONE: passaggio di liquido ricco di proteine nel tessuto interstiziale extravascolare per aumento della<br />
permeabilità vascolare nella infiammazione acuta.<br />
L'INFIAMMAZIONE ACUTA O ANGIOFLOGOSI<br />
Dinamica dell'angioflogosi:<br />
1) le modificazioni del flusso e del calibro<br />
vascolare, che portano all’aumento del flusso<br />
sanguigno<br />
2) Le modificazioni del microcircolo e la<br />
formazione dell’essudato infiammatorio<br />
3) il richiamo (chemiotattico) del leucocita<br />
all’azione<br />
4) la fagocitosi<br />
Le modificazioni del flusso e del calibro vascolare iniziano<br />
subito dopo lo stimolo lesivo.<br />
Ad una vasocostrizione arteriolare transitoria (dura pochi<br />
secondi) ed incostante (non sempre presente) segue una<br />
vasodilatazione intensa dapprima arteriolare poi<br />
coinvolgente tutto il microcircolo. E’ la fase<br />
dell’IPEREMIA ATTIVA, con aumento del numero dei<br />
capillari pervi ed aumento del flusso ematico, cui<br />
corrispondono il rubor ed il calor.<br />
L’evento successivo è il RALLENTAMENTO DELLA<br />
CIRCOLAZIONE che introduce alla fase<br />
dell’IPEREMIA PASSIVA (o stasi).<br />
Il rallentamento del flusso è causato dall’aumento di<br />
permeabilità dei capillari con l’essudazione di liquido<br />
ricco di proteine (essudato) dai vasi nei tessuti<br />
extravascolari dell’interstizio. Aumenta la viscosità del<br />
sangue (rappresentato dalla presenza di globuli rossi<br />
fittamente stipati nei capillari dilatati = formano rouleau,<br />
in francese significa rullo, addensamenti cilindrici).<br />
L'essudato è quel liquido ricco di proteine caratteristico<br />
dell'infiammazione.<br />
Il trasudato è invece un liquido povero di proteine.<br />
Modello fondamentale della risposta infiammatoria acuta:<br />
• in corrispondenza del danno locale si ha una risposta vascolare e cellulare così configurata:<br />
◦ modificazioni del flusso e del calibro vascolare<br />
▪ (iperemia attiva e passiva)<br />
◦ permeabilizzazione endoteliale e formazione dell’essudato<br />
◦ migrazione dei leucociti nell’interstizio e accumulo nel focolaio della lesione<br />
◦ fagocitosi<br />
Chemiotassi dei leucociti<br />
E’ definibile semplicemente come un movimento orientato lungo un gradiente chimico. Lo stesso processo avviene per<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 92
neutrofili, monociti, linfociti, basofili e eosinofili.<br />
• I chemoattraenti possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (frazioni del sistema complementare,<br />
leucotrieni, citochine).<br />
• Mentre la stasi è in atto, si nota un orientamento periferico dei neutrofili, lungo l’endotelio dei vasi<br />
(marginazione): normalmente i leucociti stanno al centro del flusso ematico, in questo caso vanno invece alla<br />
periferia prendendo contatto con l'endotelio vascolare.<br />
• Alla marginazione segue l’adesione, i leucociti rotolano sull'endotelio come ciotoli di un fiume perché iniziano<br />
a verificarsi fenomeni di adesione, inizialmente labili (con precise molecole di adesione implicate), poi più<br />
“avidamente” con un vero e proprio ancoraggio e arresto, in modo da formare una "pavimentazione". Infine<br />
avviene il passaggio attraverso l’endotelio (diapedesi) sino all’interstizio, in cui segue la migrazione verso lo<br />
stimolo chemiotattico.<br />
◦ L'endotelio normalmente è chiuso, continuo e liscio, ma nel processo infiammatorio c'è un allargamento<br />
delle maglie dell'endotelio con aumento della permeabilità, inoltre l'endotelio è attivato ed espone<br />
molecole di adesione => i neutrofili ancorati emettono uno pseudopodo (dato da rete di filamenti di actina<br />
e miosina) nel varco tra una cellula e l'altra e trascinano dietro tutta la cellula, che esce quindi dal vaso<br />
Ci sono molecole di adesione contenute in corpiccioli intracellulari e pronte ad essere espresse sulla superficie cellulare<br />
(come la P-selectina) quando raggiungono siti infiammati => consentono un legame labile (che determina il<br />
rotolamento), altre molecole di adesione richiedono un po' più di tempo e servono per l'ancoraggio. I leucociti sono<br />
chemo-attratti dai mediatori chimici dell'infiammazione.<br />
Marginazione => pavimentazione => adesione labile => adesione stabile => migrazione<br />
Camera di Boyle = utilizzata per valutare quali sostanze sono più chemioattraenti e quali meno. Ha in mezzo un filtro<br />
con pori più piccoli rispetto alle cellule, che si trovano da un lato di esso, dal lato opposto si mette un chemoattraente<br />
che fa migrare le cellule attraverso il filtro.<br />
Microscopia elettronica a scansione = come una visione dall'alto<br />
Microscopia elettronica a trasmissione = osservo una sezione<br />
MECCANISMO <strong>DI</strong> AUMENTO DELLA PERMEABILITÀ<br />
L'aumento della permeabilità consente la fuoriuscita di liquido ricco di proteine dai vasi, aumentando la pressione<br />
osmotica interstiziale con ulteriore richiamo di liquido e formazione dell'edema. L'aumento di pressione idrostatica nei<br />
vasi dovuto alla vasodilatazione incrementa questa fuoriuscita di liquido dai vasi.<br />
In relazione al danno locale l'aumento della permeabilità può avvenire secondo i seguenti meccanismi:<br />
1) CONTRAZIONE DELLE CELLULE ENDOTELIALI<br />
La cellula contratta ha dei contorni festonati,tutta la cellula nel suo insieme (giunzioni e corpo cellulare) è contratta.<br />
E' indotta da mediatori chimici (istamina, leucotrieni, bradichinina) e la contrazione provoca l'apertura di varchi e<br />
quindi aumento di permeabilità.<br />
Questo meccanismo è immediato ed ha una durata transitoria => risposta immediata transitoria soprattutto a livello<br />
delle venule. Si ritiene che ci sia una maggior densità di recettori a livello delle venule per questi mediatori chimici.<br />
2) RETRAZIONE ENDOTELIALE<br />
Non si ha nessuna festonatura, perché la retrazione riguarda solo la regione giunzionale, oltre ad un riarrangiamento del<br />
citoscheletro che provoca contrazione solo a livello delle giunture.<br />
I mediatori chimici che la inducono sono citochine (IL-1) e la risposta è ritardata e prolungata.<br />
E' un meccanismo molto più studiato in vitro e molto meno conosciuto in vivo.<br />
3) DANNO IRREVERSIBILE <strong>DI</strong>RETTO SULL'ENDOTELIO<br />
Meccanismo molto evidente per danni diretti citolitici o da agenti microbiologici dotati di perforine (capacità citolitica)<br />
=> perdita di più cellule endoteliali => si formano delle falle nell'endotelio, con grossa perdita di liquido (per es.<br />
succede nei grandi ustionati => grande perdita di liquidi e proteine).<br />
Nel caso di una ustione (per es.) non mortale si ha una intensa essudazione che dura a lungo ed interviene subito dopo il<br />
danno. Può riguardare tutti i distretti del microcircolo perché non sono coinvolti i mediatori chimici, ma il danno è il<br />
calore. E' una risposta immediata e prolungata.<br />
4) DANNO ENDOTELIALE ME<strong>DI</strong>ATO DAI LEUCOCITI<br />
E' dovuto ai radicali dell'ossigeno o a enzimi proteolitici, che dovrebbero essere diretti contro il danno, ma che può<br />
invece danneggiare l'endotelio con perdita di cellule. Questo avviene perché i leucociti possono essere attivati mentre<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 93
sono ancora nella fase migratoria.<br />
5) ESSUDAZIONE DA SCOTTATURE SOLARI (solo in certe condizioni particolari)<br />
E' una risposta prolungata e ritardata per stimoli termici lievi e moderati (raggi X e UV). Si manifesta dopo 2-12 ore<br />
dall'esposizione solare con una essudazione che dura molto, anche dei giorni.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 94
6) ESSUDAZIONE DA CAPILLARI IN GENERAZIONE (solo in certe condizioni particolari)<br />
Nella fase di rigenerazione (cessa l'infiammazione acuta) grazie all'apporto trofico dei capillari: le gemme capillari e le<br />
cellule endoteliali non sono ancora mature e quindi prive di giunzioni => ci sono delle fenestrature => turgore<br />
caratteristico delle giovani ferite. Maturando poi si formano le giunzioni, scompaiono le fenestrature e quindi anche il<br />
turgore.<br />
MOLECOLE <strong>DI</strong> ADESIONE DEI LEUCOCITI E DELLE CELLULE ENDOTELIALI<br />
Si trovano sulle cellule endoteliali e sui leucociti => legame a due solo nel caso di processo di infiammazione acuta.<br />
Le quattro fasi sono: marginazione, pavimentazione, adesione, migrazione.<br />
Le molecole di adesione le distinguiamo in tre categorie:<br />
− selectine E, P, L = le loro porzioni N-terminali extramembrana legano zuccheri<br />
− P (GMP140) è presente sull'endotelio quando c'è infiammazione<br />
− E (Elam1) è presente sull'endotelio<br />
− L (Lam1) è presente sui leucociti<br />
− immunoglobuline: ICAM-1 (molecola di adesione intercellulare), VCAM-1 (molecola di adesione vascolare)<br />
=> interagiscono con le integrine situate sui leucociti<br />
− ICAM-1 e VCAM-2 sono molecole proprie dell'endotelio<br />
− integrine: poste sui leucociti<br />
− β1 lega VCAM-1<br />
− β2 lega ICAM-1<br />
Esistono dei meccanismi di modulazione di tali molecole che possono essere:<br />
− ridistribuite<br />
− modificate nella loro configurazione sterica<br />
− ridotte per diminuita sintesi<br />
• La P-selectina è presente sui corpi di Weber-Palade all'interno delle cellule endoteliali e durante<br />
l'infiammazione viene esposta sulla membrana cellulare => viene ridistribuita => media legami labili<br />
(rotolamento).<br />
• Le citochine (IL-1, TNF) invece possono indurre fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2 nelle cellule<br />
endoteliali. La sintesi richiede più tempo e queste molecole sono utilizzate nel legame forte.<br />
• Le integrine sono già presenti, ma hanno una conformazione poco affine al legame, perciò modificano la loro<br />
conformazione quando si trovano a contatto con chemochine, nel momento in cui è aumentata la sintesi di<br />
ICAM e VCAM-1. Ciò aumenta l'avidità di legame e si ha una fase di ancoraggio stabile.<br />
Nel caso di deficienze genetiche di molecole di adesione si hanno notevoli conseguenze cliniche, fra cui infezioni<br />
batteriche ricorrenti.<br />
FAGOCITOSI<br />
Consegue alla chemiotassi.<br />
− opsonizzazione (rendere appetitoso) ovvero un rivestimento di opsonine (proteine seriche) di ciò che dovrà<br />
essere fagocitato<br />
− vacuolo = segue alla interazione recettoriale, gli pseudopodi hanno cominciato a circondare l'area opsonizzata<br />
− fagosoma = si chiude l'abbraccio e quindi il vacuolo<br />
− fagolisosoma = si fonde con i lisosomi<br />
Fagocitosi frustrata = quando la particella è troppo grande e l'abbraccio non riesce a chiuderla bene, perciò fuoriesce. Il<br />
rigurgito durante il pasto si ha quanto il materiale fagocitato è troppo grande e fuoriesce.<br />
Riguardare le tappe biochimiche che portano alla formazione dei radicali dell'ossigeno.<br />
EFFETTI SISTEMICI DELL'INFIAMMAZIONE<br />
− febbre<br />
− aumento del sonno<br />
− diminuzione dell'appetito<br />
− aumento del catabolismo proteico<br />
− ipotensione<br />
− alterazioni emodinamiche<br />
− sintesi delle proteine della fase acuta (proteina C reattiva)<br />
− alterazioni dell'assetto leucocitario (neutrofili)<br />
− in infez. batt. si ha linfocitosi in parotite, rosolia, mononucleosi infettiva, leucopenia nella frebbre tifoidea<br />
− mediatori IL-1, IL-8, TNF<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 95
ASPETTI MORFOLOGICI DELLE INFIAMMAZIONI ACUTE<br />
Quadri morfologici diversi si hanno in relazione a:<br />
− origine della causa<br />
− intensità dell'agente etiologico<br />
− tessuto colpito<br />
Ciò determina aspetti particolari dell’essudato, che può essere:<br />
• Essudato sieroso<br />
• Essudato siero-fibrinoso<br />
• Essudato fibrinoso<br />
• Essudato fibrinoso-emorragico<br />
• Essdato fibrinoso-necrotizzante<br />
• Essudato catarrale<br />
• Essudato muco-purulento<br />
• Essudato purulento<br />
Sieroso, fibrinoso, catarrale, purulento = tipi puri.<br />
Essudato sieroso<br />
• Essudato abbondante, povero di fibrina e di cellule<br />
• Ustioni, congelamento, radiazioni<br />
• Tra strato basale e spinoso dell’epidermide o tra epidermide e derma (= bolla o flittene)<br />
• Agenti batterici (anche M. tuberculosis)<br />
• Pleura, pericardio, peritoneo<br />
• Si ha questo tipo di essudato quando l'aumento di permeabilità è piccolo, quindi nelle infiammazioni meno<br />
gravi, e passano solo le proteine più piccole. Essenzialmente in questo tipo di essudato troviamo la proteina<br />
sierica più piccola: l'albumina (PM circa 50.000 Da).<br />
Essudato siero-fibrinoso<br />
• Essudato con presenza di filamenti di fibrina, che forma aderenze labili, che possono “organizzarsi” a formare<br />
sinechie.<br />
• Agenti batterici.<br />
• Pleura, pericardio, peritoneo<br />
• Il fibrinogeno (PM circa 340.000 Da) ha bisogno di una permeabilizzazione ben maggiore rispetto a quella<br />
necessaria per lasciar passare l'albumina.<br />
Essudato fibrinoso<br />
• La fibrina rappresenta la parte più importante dell’essudato e può formare faldoni nelle sierose<br />
• Aspetto quasi solido, con strati feltrosi, colorabili in rosa con l’eosina o in violetto col cristal-violetto<br />
(Colorazione di Weigert)<br />
• Agenti batterici<br />
• Pleura (pleuriti secche con rumore di sfregamento)<br />
• Pericardio (cor villosum) => pericardite fibrinosa<br />
Fibrinosa emorragica<br />
• Essudato fibrinoso con presenza di eritrociti<br />
• Pneumococco<br />
• Polmonite franca lobare<br />
Essudato fibrinoso-necrotizzante<br />
• Essudato fibrinoso tenacemente ancorato ad una mucosa necrotica<br />
• Corynebacterium diphtheriae => tipico, forma membrana ancorata alla faringe che può portare a soffocamento<br />
• Tonsille, faringe, laringe<br />
Essudato catarrale<br />
• Essudato accompagnato da ipersecrezione di muco (quindi in sedi contenenti ghiandole mucipare).<br />
• Agenti batterici (soprattutto) e virali<br />
• Vie aeree superiori (riniti, faringiti, laringiti, tracheiti, bronchiti)<br />
• Tubo digerente (gastriti, enteriti coliti)<br />
• Congiuntiva (congiuntivite)<br />
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Essudato muco-purulento<br />
• idem + granulociti<br />
• Agenti batterici<br />
• Idem<br />
Essudato purulento<br />
• Provocato dai piociti (batteri che inducono produzione di pus) che attraggono molto i neutrofili (in particolare<br />
staphylococcus aureus), che si trovano in grande quantità vivi e morti.<br />
• Presenza del pus, essudato ricco di cellule infiammatorie e di prodotti del loro disfacimento<br />
• aspetto cremoso<br />
• Agenti batterici piogeni<br />
• Il pus può raccogliersi in cavità preesistenti (empiema => cavo pleurico, peritoneo, pericardio, sinovia<br />
articolare) o neoformate per la necrosi del tessuto (ascesso)<br />
• Possono formarsi fistolizzazioni per lo svuotamento dell'ascesso.<br />
Ascesso = raccolta di pus in cavità neoformate. E' lo stesso essudato che stimola la formazione della capsula fibrosa che<br />
lo racchiude. In genere è rimosso chirurgicamente, altrimenti tende a fistolizzare per lo svuotamento (formando un<br />
tragitto che trova sfogo all'esterno). Il varco nei tessuti si forma in seguito a necrosi.<br />
Empiema = quando il pus si raccoglie in una cavità pre-esistente (es. sierosa, nella cistifellea è comune).<br />
Ulcera gastrica = causata da helicobacter pylori. Si ha dapprima una gastrite (infiammazione acuta) che continua alla<br />
base come tale a causa del batterio e dell'HCl, mentre ai bordi cronicizza formando anche tessuto di riparazione. Oggi<br />
si interviene prontamente con antibiotici in caso di gastrite, ma se non si facesse questa diverrebbe un'ulcera e in seguito<br />
potenzialmente un tumore gastrico.<br />
ME<strong>DI</strong>ATORI CHIMICI DELL'INFIAMMAZIONE<br />
Sono stati scoperti dalla osservazione che una varietà di stimoli dannosi provocano sempre la stessa risposta. Il primo<br />
mediatore scoperto è l'istamina.<br />
Si distinguono in due gruppi:<br />
1) cellulari = prodotti dalle cellule protagoniste dell'infiammazione<br />
− preformati (in granuli di secrezione)<br />
− istamina (basofili, mastociti, piastrine)<br />
− serotonina (piastrine)<br />
− enzimi lisosomiali (neutrofili, macrofagi)<br />
− sintetizzati ex-novo<br />
− prostaglandine (tutti i leucociti, piastrine, cellule endoteliali)<br />
− leucotrieni (tutti i leucociti)<br />
− fattori attivanti le piastrine (tutti i leucociti, cellule endoteliali)<br />
− specie reattive dell'ossigeno (tutti i leucociti)<br />
− ossido nitrico (macrofagi)<br />
− citochine (linfociti, macrofagi, cellule endoteliali)<br />
2) plasmatici = presenti nel plasma come precursori (la fonte principale è il fegato), devono perciò essere attivati<br />
− attivazione del fattore XII della coagulazione (fattore di Hageman)<br />
− sistema delle chinine (bradichinina)<br />
− sistema della coagulazione/fibrinolisi<br />
− attivazione del complemento (via alternativa)<br />
− C3a, C5a (ha anche azione chemotattica) => sono dette anafilotossine perché sono in grado di far<br />
rilasciare istamina dalle mastcellule come una reazione anafilattica<br />
− C3b, C5b-9 (complesso di attacco alla membrana)<br />
Alcuni mediatori:<br />
− hanno effetti vasoattivi<br />
− sono fattori chemiotattici<br />
Mediatori cellulari preformati<br />
Amine vasoattive: ISTAMINA<br />
Si trova principalmente nei granuli metacromatici delle mast-cellule, nei basofili e nelle piastrine.<br />
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I mastociti sono presenti sulla parete dei vasi e sparsi nell'interstizio.<br />
L'istamina provoca<br />
− dilatazione degli sfinteri arteriolari precapillari<br />
− aumento della permeabilità venulare per contrazione delle cellule endoteliali<br />
− fasi iniziali della flogosi<br />
Amine vasoattive: SEROTONINA<br />
Si trova nelle piastrine (nei roditori anche nelle mast-cellule).<br />
Azione simile all’istamina.<br />
Enzimi lisosomiali<br />
Presenti in granuli di secrezione di tipo lisosomiale nelle cellule ad attività fagocitaria: neutrofili e macrofagi.<br />
• granulociti neutrofili<br />
◦ granuli primari o azzurrofili, simili ai lisosomi e, come questi, contenenti principalmente idrolasi acide<br />
(enzimi attivi a pH acido) con meccanismo idrolitico. Contengono inoltre: catepsine, elastasi, fosfolipasi<br />
A2, mieloperossidasi, proteine cationiche (come le defensine)<br />
◦ granuli secondari o specifici, i più numerosi ed i primi ad essere “consumati” durante la fagocitosi (previa<br />
liberazione nell’ambiente pericellulare). Non contengono idrolasi acide, bensì collagenasi e proteine<br />
basiche battericide: lisozima, lattoferrina<br />
◦ granuli terziari o particelle C, contenenti catepsine e gelatinasi<br />
• monociti/macrofagi<br />
◦ idrolasi acide, collagenasi, elastasi attive nelle infiammazioni croniche.<br />
N.B.: Sistema di antiproteasi seriche: alfa-1-antitripsina, alfa-2-macroglobulina<br />
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Mediatori cellulari neoformati<br />
Derivati dell’acido arachidonico, acido grasso essenziale di 20 atomi di C assunto con la dieta o ottenuto per<br />
trasformazione dell’acido linoleico.<br />
Non libero ma esterificato nei fosfolipidi di membrana. Viene scisso da fosfolipasi cellulari.<br />
− Via ciclossigenasica (aspirina, indometacina la inibiscono): prostaglandine (dolore, febbre, effetti generali)<br />
− PGG2 (prostaglandina endoperossido) poi convertita in PGH2, la quale viene convertita in:<br />
− trombossano A2 dalla trombossano sintetasi (vasocostrittore e fattore di aggregazione<br />
piastrinica)<br />
− prostaciclina PGI2 dalla prostaciclina sintetasi nelle cellule endoteliali (vasodilatatore e<br />
inibitore dell’aggregazione piastrinica, dolore febbre)<br />
− PGD2, PGE2, PGF2 provocano vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare potenziando<br />
l'edema<br />
− Via lipossigenasica: leucotrieni, attivi in tutte le fasi della flogosi<br />
− vasocostrizione, broncospasmo, aumento permeabilità<br />
PAF = Fattore attivante le piastrine<br />
− prodotto da tutti i leucociti (soprattutto basofili) e da cellule endoteliali, è fatto come un fosfolipide<br />
− è proflogistico a basse concentrazioni<br />
− aggregazione, adesione, chemiotassi dei<br />
leucociti<br />
− attivazione piastrinica<br />
− stimolazione di altri mediatori<br />
− molto più attivo dell'istamina (10-10.000<br />
volte)<br />
Citochine<br />
Prodotte da linfociti, macrofagi e endotelio vascolare<br />
attivati => IL-1/TNF<br />
− attivazione endoteliale<br />
− reazioni della fase acuta<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 99
Ossido d'azoto<br />
“Nuovo” mediatore, simile all’EDRF (fattore rilassante derivato dall’endotelio) prodotto dai macrofagi e dall'endotelio<br />
(e anche da alcuni neuroni cerebrali)<br />
− decontrae la muscolatura liscia vascolare (arteriole, sfinteri)<br />
− antimicrobico<br />
• iNOS = NO sintasi inducibile = si trova nei macrofagi ed è attivata alla loro attivazione (attraverso aumento<br />
del calcio intracitoplasmatico)<br />
• eNOS = NO sintasi endoteliale = espressa costitutivamente a bassi livelli, può essere aumentata per aumento di<br />
ioni calcio nella cellula<br />
• lo stesso vale per nNOS = NO sintasi neuronale<br />
• alti livelli di NO sembrano limitare la replicazione di batteri, elminti, protozoi, virus e cellule tumorali<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 100
Mediatori plasmatici<br />
Il fegato ne è la fonte principale.<br />
Fattore di Hageman (fattore XII della coagulazione)<br />
Può essere attivato da:<br />
− superfici cariche negativamente<br />
− LPS batterico<br />
− vetro<br />
− collagene<br />
− membrana basale<br />
− piastrine attivate<br />
L'attivazione del fattore XII ha due effetti:<br />
− sistema delle chinine<br />
− produzione di bradichinina (provoca contrazione del muscolo liscio => aumento permeabilità, inoltre<br />
induce vasodilatazione e dolore)<br />
− attivazione del complemento (per attivazione di C3 da parte della plasmina)<br />
− attivazione del sistema fibrinolitico<br />
− via intrinseca coagulazione => sistema della coagulazione<br />
− effetto finale: conversione del fibrinogeno in fibrina per azione della trombina<br />
− durante la conversione, si formano Fibrinopeptidi che producono aumento della permeabilità<br />
vascolare ed hanno attività chemiotattica per i leucociti.<br />
Anche la trombina ha proprietà proinfiammatorie, costituendo il mediatore di collegamento tra la coagulazione e<br />
l'infiammazione e provocando:<br />
− aumento dell’adesività dei leucociti (espressione di selectine su endotelio)<br />
− proliferazione dei fibrolasti<br />
− aumento di produzione di metaboliti dell'acido arachidonico, di PAF, di ossido nitrico (NO)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 101
Complemento<br />
Il sistema del complemento è costituito da 20 componenti proteici con i loro prodotti di scissione presenti nel plasma in<br />
forma inattiva. Attivati, agiscono nelle reazioni immunitarie contro gli agenti microbici al fine di:<br />
• aumento della permeabilità vascolare e vasodilatazione (C3a, C5a => inducono liberazione di istamina dai<br />
mastociti)<br />
• chemiotassi (C3a, C5a)<br />
• opsonizzazione (C3b)<br />
• adesione leucocitaria (C3a, C5a)<br />
• attivazione della produzione dei metaboliti dell'acido arachidonico nei neutrifili (C5a)<br />
• la cascata del complemento porta alla formazione del complesso di attacco alle membrane (MAC) che<br />
determina la lisi del microbo<br />
C3 e C5 possono essere attivati anche dalla plasmina o altri enzimi proteolitici lisosomiali.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 102
Classificazione dei mediatori dell'infiammazione per effetto<br />
• Vasodilatazione: prostaglandine; NO; istamina<br />
• Aumento della permeabilità vascolare: Amine vasoattive; C3a e C5a (attraverso la liberazione di amine);<br />
Bradichinina; Leucotrieni C4, D4, E4; PAF; Sostanza P<br />
• Chemiotassi, attivazione dei leucociti: C5a; Leucotriene B4; Chemochine; Prodotti batterici<br />
• Febbre: IL-1, IL-6, TNF; Prostaglandine<br />
• Dolore: Prostaglandine; Bradichinina<br />
• Danno tissutale: Enzimi lisosomiali dei neutrofili e dei macrofagi; metaboliti dell'ossigeno; NO<br />
PROTEINE DELLA FASE ACUTA<br />
Presenti nel plasma, per lo più aumentano nella fase acuta (una minima parte scende).<br />
In generale sono quelle proteine plasmatiche che subiscono una variazione del 25% nella fase acuta.<br />
Le condizioni che portano all'aumento della loro concentrazione sono molte, in primo luogo l'infiammazione, che può<br />
essere a sua volta causata da molti eventi, tra cui:<br />
− infezioni<br />
− infarti di tessuto<br />
− traumi<br />
− interventi chirurgici<br />
− ustioni<br />
− infiammazioni immunologiche<br />
Il loro aumento non è uniforme, cioè alcune aumentano di più, altre meno => i meccanismi di regolazione sono diversi.<br />
Sono sintetizzate nel fegato sotto l'azione di citochine e chemochine (per lo più IL-1, IL-6, TNF).<br />
Si ritiene che alcune PFA possano modificare l'una o l'altra fase del processo infiammatorio.<br />
Le PFA che aumentano in modo più significativo e che possono essere utilizzate come marker di infiammazione sono:<br />
• proteina A dell'amiloide aumenta<br />
◦ durante la fase acuta va a costituire la apoproteina A delle HDL, per consentirne la ricezione da parte dei<br />
macrofagi, che ne utilizzeranno i grassi a scopo energetico<br />
• alcune proteine del complemento aumentano<br />
• fattore XII e albumina invece diminuiscono in modo significativo<br />
• fibrinogeno aumenta di 100-200 volte in caso di infiammazione<br />
• proteina C reattiva aumenta<br />
• procalcitonina aumenta<br />
VES (velocità di eritrosedimentazione), PCR (proteina C reattiva) e procalcitonina sono gli indicatori più significativi<br />
per la pratica clinica:<br />
• la VES aumenta quando aumenta il fibrinogeno, ma VES è influenzata da parametri ematologici (va sempre<br />
interpretata, soprattutto in base a ematocrito e dimensione media dei globuli rossi)<br />
◦ anche cessato lo stimolo infiammatorio la VES resta alta per un certo periodo<br />
• la PCR è più veloce e ampia nelle variazioni ed è più significativa<br />
• La procalcitonina aumenta soprattutto nelle infezioni batteriche, mentre non si modifica nelle infezioni virali e<br />
nelle flogosi non infettive (significato diagnostico più specifico). C'è inoltre una proporzionalità fra i livelli<br />
della procalcitonina e il grado (l'intensità) del danno flogistico<br />
◦ ha valore predittivo, sensibilità (e specificità in caso di infezioni batteriche) per l'infiammazione maggiore<br />
rispetto alla PCR (controllare)<br />
◦ normalmente nel sangue ha concentrazione bassissima (0,01 ng/mL), sale di 100 volte in caso di infezioni<br />
virali, fino a 20.000-200.000 volte in caso di infezioni batteriche (controllare)<br />
In definitiva le PFA più significative sono la PCR e la procalcitonina.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 103
POSSIBILI ESITI DELL'INFIAMMAZIONE ACUTA<br />
1. Completa risoluzione<br />
◦ ritorno allo stato normale del tessuto, possibile quando il danno è stato lieve e le cellule parenchimali<br />
hanno la possibilità di rigenerarsi<br />
◦ i mediatori non sono più prodotti e/o quelli presenti sono neutralizzati<br />
◦ morte per apoptosi (principalmente) dei neutrofili presenti nel tessuto<br />
◦ fine della migrazione leucocitaria<br />
◦ rimozione dei detriti da parte dei fagociti<br />
2. Guarigione tramite sostituzione con tessuto connettivo (fibrosi)<br />
◦ quando il danno è di notevole intensità, quando i tessuti non sono in grado di rigenerare, quando c'è un<br />
notevole essudato di fibrina<br />
◦ la formazione di una massa di tessuto fibroso dove la fibrina non è più rimovibile (es. cavità sierose) è<br />
detta organizzazione (la fibrina stimola l'accrescimento di fibroblasti e vasi sanguigni => formazione di<br />
una cicatrice)<br />
◦ il pus è riassorbito e sostituito da fibrosi<br />
3. Progressione della risposta tissutale verso l'infiammazione cronica<br />
◦ talvolta l'infiammazione può definirsi cronica sin dal suo esordio<br />
◦ quando la risposta infiammatoria acuta non può essere risolta a causa della persistenza dell'agente lesivo o<br />
per qualche interferenza con il normale processo di guarigione<br />
◦ es. ulcera peptica del duodeno e dello stomaco<br />
◦ es. infezione batterica del polmone con formazione di ascesso<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 104
RIPARAZIONE E GUARIGIONE DELLE FERITE<br />
Chiarimento in merito ad una classificazione che fanno alcuni<br />
libri:<br />
Essudazione mediata = si verifica per aumento di permeabilità<br />
dell'endotelio per mezzo di mediatori chimici (tipica l'istamina).<br />
Essudazione non mediata = per ustione o per batterio citolitico<br />
=> necrosi delle cellule endoteliali => danno diretto.<br />
In realtà in quest'ultimo caso è solo l'essudazione che non è legata<br />
a mediatori chimici, l'infiammazione invece lo è sempre!<br />
Conclusione dell’infiammazione acuta: l’essudato è rimosso<br />
La rimozione dell’essudato è la premessa per la risoluzione<br />
dell'infiammazione acuta e si realizza attraverso le seguenti tappe:<br />
− la fluidificazione dell’essudato da parte degli enzimi dei<br />
neutrofili<br />
− la fagocitosi dei detriti solidi (e dei neutrofili) da parte dei<br />
macrofagi che produce un'ulteriore fluidificazione<br />
dell'essudato<br />
− il riassorbimento dell’essudato fluidificato da parte dei<br />
linfatici<br />
Alla rimozione dell’essudato possono seguire:<br />
• la RISOLUZIONE per restituzione (o rigenerazione) =<br />
restituzione sta per restitutio ad integrum<br />
◦ il tessuto torna come nuovo, a funzionare come prima<br />
▪ es. polmonite lobare (o franca) = gli alveoli sono in grado di rigenerarsi, ma solo per quanto riguarda i<br />
pneumociti di I tipo, quelli di II tipo (che producono surfactante e sono molto meno rappresentate<br />
delle altre) non possono rigenerare, ma in genere sono risparmiati dalla distruzione del tessuto<br />
▪ es. epatectomia parziale: il tessuto epatico è in grado di rigenerare, anche se si tratterà di una<br />
iperplasia del tessuto rimasto e non una vera e propria rigenerazione (i lobi rimossi non si rigenerano)<br />
• nei mammiferi si tratta in genere di una crescita compensatoria e non di una vera e propria<br />
rigenerazione (es. nei rettili possono rigenerare, nel vero senso della parola, coda e arti)<br />
◦ presupposti:<br />
▪ risoluzione del processo infiammatorio con rimozione dell'essudato<br />
▪ le cellule del tessuto devono avere la capacità di rigenerarsi<br />
▪ in genere serve uno stroma intatto come impalcatura<br />
• eccezione: gli epatociti hanno grande capacità di rigenerarsi anche senza stroma (es. per<br />
epatectomia), perché nel fegato lo stroma è molto leggero. In ogni caso la rigenerazione con<br />
mancanza di stroma è più disordinata e tumultuosa.<br />
oppure<br />
• la RIPARAZIONE per fibrosi e cicatrizzazione<br />
◦ resta un danno funzionale<br />
▪ es. infarto del miocardio<br />
◦ presupposti:<br />
▪ risoluzione del processo infiammatorio con rimozione dell'essudato<br />
▪ le cellule non sono capaci di rigenerarsi (perenni) e/o lo stroma è troppo degradato<br />
Processo di riparazione<br />
1. rimozione dell'essudato<br />
2. migrazione e proliferazione dei fibroblasti richiamati dai macrofagi, che producono anche sostanze<br />
angiogeniche<br />
• deposizione di matrice<br />
• angiogenesi = si forma una palizzata di vasi neoformati nella zona interessata<br />
• si forma un tessuto di granulazione: tessuto vascolare neoformato con molte gemme vascolari<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 105
• le gemme vascolari crescono formando una rete<br />
• l'angiogenesi può avvenire per proliferazione e migrazione delle cellule endoteliali dei vasi<br />
preesistenti oppure anche attraverso elementi cellulari provenienti da cellule staminali del midollo<br />
osseo (emangioblasti, a livello embrionale sono precursori sia di cellule endoteliali che di quelle<br />
plasmatiche)<br />
• il VEGF è il principale fattore di crescita implicato e la sua sintesi è stimolata dall'ipossia e da fattori<br />
di crescita come il PDGF e il TGF<br />
• i fibroblasti proliferano e cominciano a depositare collagene => si ottiene un tessuto di granulazione<br />
fibrovascolare<br />
3. rimodellamento (organizzazione del tessuto fibroso, è dato dall'equilibrio tra sintesi di matrice e sua<br />
degradazione ad opera delle metallo proteasi della matrice, MMP)<br />
◦ a questo punto si è formata una cicatrice<br />
◦ il collagene è denso<br />
◦ i fibroblasti divengono inattivi => fibrociti<br />
◦ la vascolarità viene ridotta<br />
▪ la cicatrice giovane è rosea perché è ancora molto vascolarizzata, poi restano solo i vasellini definitivi<br />
e continua la deposizione di collagene => la cicatrice si imbianca<br />
◦ le cicatrici non sono mai definitive: carenza di vitamina C (es. nei marinai in passato) le fa riaprire perché<br />
è un fattore necessario per la produzione di collageno (sono sempre un rimodellamento)<br />
◦ le cicatrici possono essere cutanee, ma anche interne, negli organi<br />
▪ nelle cicatrici cutanee non ci sono più gli annessi, perché non sono in grado di rigenerare => la<br />
cicatrice è un tessuto diverso da quello originale<br />
Miofibroblasti: scoperti da Majno, sono i fibroblasti del tessuto di granulazione, hanno un fenotipo fortemente<br />
fibrillare => rispondono alle sostanze che fanno contrarre/rilassare la muscolatura liscia.<br />
I fibroblasti tendono ad allinearsi secondo linee di maggior tensione e riempiono gli spazi fra i rametti vascolari.<br />
Al temine del processo di riparazione diventano inattivi e si trasformano in fibrociti.<br />
GUARIGIONE DELLE FERITE<br />
Ferita = danno tissutale => c'è sempre infiammazione.<br />
Anche la guarigione delle ferite avviene attraverso un processo riparativo.<br />
Più precisamente, il grandioso scenario della guarigione delle ferite mette in gioco tre diversi processi:<br />
• emostasi (lesione vascolare)<br />
• infiammazione (danno)<br />
• riparazione (è necessario ricostruire)<br />
Guarigione primaria o per prima intenzione<br />
− ferite deterse<br />
− a margini ravvicinati e regolari<br />
Guarigione secondaria o per seconda intenzione (più lenta e difficoltosa)<br />
− ferite aperte (margini frastagliati e allontanati, perdita di sostanza)<br />
− ferite aperte e infette<br />
Ciò che determina la differenza è:<br />
• l’entità della perdita di sostanza (e quindi la vicinanza dei lembi)<br />
• l’entità della contaminazione microbica<br />
Dove c'è una ferita ci sono dei vasi troncati, quindi per prima cosa si forma un tappo piastrinico e poi un tappo<br />
emostatico secondario con fibrina.<br />
La fibrina:<br />
− fa anche da collante per i lembi della ferita<br />
− insieme trombina e PDGF stimola la migrazione dei fibroblasti e l'angiogenesi<br />
− insieme a fibronectina (più abbondante proteina della matrice extracellulare) forma una sorta letto su cui le<br />
cellule del tessuto possono moltiplicarsi anche in assenza di una membrana basale con movimento a cavallina<br />
(la cellula si moltiplica, passa sotto ad un'altra cellula inducendo l'avanzamento del tessuto) o a bruco (le<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 106
cellule si moltiplicano e spingono in avanti il tessuto).<br />
MODELLO <strong>DI</strong> GUARIGIONE PER PRIMA INTENZIONE: FERITA CHIRURGICA DETERSA<br />
• Minuti, ore<br />
◦ Coagulazione e formazione di una rete di fibrina<br />
◦ Disidratazione del coagulo e formazione della crosta<br />
◦ la velocità di questi processi può variare da individuo a individuo<br />
• 24-48 ore<br />
◦ si instaura l'infiammazione acuta => compaiono abbondanti neutrofili<br />
◦ Si formano gettoni endoteliali sotto la crosta che tendono ad anastomizzarsi (1/2 mm/giorno, 3 diametri di<br />
cellula/ora!!) (la crosta cadrà; n.b. punti di sutura)<br />
◦ Si comincia a formare il tessuto di granulazione: fibroblasti che sintetizzano fibre collagene e neovasi<br />
• Terzo giorno<br />
◦ I macrofagi sostituiscono i neutrofili<br />
◦ I fibroblasti sintetizzano collagene, il tessuto di granulazione si accresce<br />
◦ inosculazione (bacio-abbraccio fraterno) => fusione dei vasellini dello stesso tipo (arteriosi, venosi,<br />
linfatici) e cellule dello stesso tipo provenienti dai due lati della ferita (secondo legami molecolari ligandorecettore)<br />
▪ negli anfibi questo processo avviene sopra la crosta e dieci volte più veloce che nell'uomo per evitare<br />
che la presenza di acqua dovuta all'immersione possa riaprire la ferita<br />
◦ L’epitelio si ispessisce<br />
• Quinto giorno<br />
◦ Tessuto di granulazione e neovascolarizzazione massimi<br />
◦ Edema<br />
• Seconda settimana<br />
◦ Edema e neovasi si vanno riducendo, il collagene aumenta, cicatrice iniziale (rosa)<br />
• 1 mese, 2 anni<br />
◦ Sbiancamento, elevato turnover del collageno<br />
Alcune considerazioni sulla guarigione per prima intenzione<br />
• Sono persi tutti gli annessi cutanei (peli, ghiandole)<br />
• La cicatrice è solitamente più pallida, perché i melanociti rigenerano poco<br />
• Il livello di ossigenazione (legato alla perfusione) incide fortemente sulla neo-angiogenesi. Probabilmente<br />
l’ipossia induce la secrezione di un fattore chimico (TNF-alfa)<br />
Resistenza della cicatrice<br />
Dopo la prima settimana, quando in genere vengono rimossi i punti di sutura, è a circa il 10% della resistenza rispetto<br />
alla cute normale.<br />
Raggiunge un massimo pari al 70-80% di quella della cute normale, impiega 3-4 mesi.<br />
La massima resistenza viene raggiunta grazie alla deposizione di collagene e alla formazione di fibrille di dimensioni<br />
maggiori, che assumono in seguito anche disposizione crociata.<br />
GUARIGIONE PER SECONDA INTENZIONE<br />
1) PIÙ INTENSA INFIAMMAZIONE (e formazione di pus) se è anche infetta<br />
2) C O N T R A Z I O N E (CONTRAZIONE!!)<br />
Inizialmente (primi giorni) => contrazione della crosta<br />
Successivamente => contrazione dei miofibroblasti mediante:<br />
accorciamento<br />
trazione “a mano a mano”<br />
N.B.: Il tessuto di granulazione che riempie una ferita aperta è un organo contrattile temporaneo<br />
Nella ferita detersa si ha subito accostamento, mentre in quella infetta si forma pus che rallenta il processo di<br />
guarigione.<br />
La contrazione è così imponente in questo caso da esser considerata un processo caratteristico della guarigione per<br />
seconda intenzione. I miofibroblasti contraendosi tirano anche il tessuto circostante deformandolo.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 107
INFEZIONE DELLE FERITE<br />
La resistenza delle ferite all’infezione è proporzionale alla loro irrorazione. I leucociti possono muoversi anche in<br />
anaerobiosi, ma per uccidere hanno bisogno dell’ossigeno. L’anaerobiosi favorisce i germi anaerobiotici (ferite contuse)<br />
come il clostridium tetani, inoltre i neutrofili sono inibiti.<br />
Infezioni e corpi estranei: terriccio (ferite sporche), schegge, biomateriali rappresentano una fonte di batteri, abbassano<br />
la concentrazione infettante di batteri, complicano la terapia, favoriscono la crescita di microrganismi formatori di slime<br />
o dotati di speciali adesine.<br />
Le ferite da schiacciamento (poco irrorate) contaminate da terriccio sono ad alto rischio di infezione da microrganismi<br />
anaerobi.<br />
PRESENZA <strong>DI</strong> BIOMATERIALI E INFEZIONI<br />
La carica microbica necessaria per indurre infezione è 100 volte più piccola se c'è un biomateriale impiantato nel<br />
tessuto, perché presenta sempre microcrivellature/frattuosità (anche se all'apparenza è liscio) che sono nicchie<br />
accoglienti per batteri.<br />
Molti materiali protesici sono inseriti in fase di polimerizzazione (perché devono essere malleabili, ad es. per<br />
ricostruzione di una testa di femore) => questa reazione è esotermica => nelle cellule vicine può provocare necrosi => si<br />
crea un locus con minor resistenza all'infezione.<br />
La protesi di un capo articolare col tempo tende ad usurarsi rilasciando nel tessuto microframmenti che aumentano la<br />
possibilità di infezione (oggi si usano materiali molto più resistenti come il titanio).<br />
Stafilococco aureus e stafilococco epidermidis = sono batteri saprofiti (che si cibano di materiale organico morto), ne<br />
abbiamo tutti sulla cute, sono normalmente innocui, ma possono assumere capacità patogenetica in quei locus di minor<br />
resistenza all'infezione, dove riescono ad ancorarsi e moltiplicarsi, soprattutto in condizioni di abbassamento della<br />
risposta immunitaria. S. Epidermidis inoltre è anche anti-coagulante (coagulasi-negativo). Questi batteri utilizzano in<br />
queste occasioni la loro capacità di ancorarsi nelle nicchie e produrre una sostanza chiamata slime (inglese: fango) , un<br />
polimero di N-acetilglucosamina (una mucillagine zuccherina) che li protegge dall'azione del sistema immunitario e<br />
degli antibiotici.<br />
Se c'è un'infezione di questo tipo l'impianto è fallito ed è la causa più frequente di questi fallimenti. Dove c'è un<br />
impianto c'è un'alta probabilità di infezione.<br />
Lo slime<br />
• Il polimero è sintetizzato da una specifica N-acetilglucosaminil transferasi<br />
• La produzione dell’enzima è codificata da un complesso genico detto locus ica, costituito da quattro geni<br />
strutturali: icaA, icaD, icaB e icaC (nell’ordine in cui si allineano nell’operone, e da un gene regolatore icaR<br />
• Lo slime consente la tenace adesione degli Stafilococchi anche a materiali protesici e ostacola l’accesso alle<br />
colonie batteriche delle difese dell’ospite (anticorpi, complemento) e degli antibiotici<br />
Test fenotipico e genotipico per la produzione di slime in Staphyloccus epidermidis<br />
• I ceppi dotati del locus ica e produttori di slime possono essere riconosciuti, dopo il loro isolamento,<br />
mediante:<br />
• A) coltura su piastre di Agar-Rosso-Congo (CRA) in cui i ceppi non produttori danno colonie rosse e i ceppi<br />
produttori colonie nere;<br />
• B) dimostrazione molecolare della presenza dei geni icaA e icaD mediante amplificazione PCR dei rispettivi<br />
segmenti genici, impiegando primer specifici e il DNA batterico come template<br />
ASPETTI PATOLOGICI DELLA RIPARAZIONE<br />
• ALIMENTAZIONE: carenze proteiche e vitaminiche (vit C)<br />
• <strong>DI</strong>ABETE: Ridotta resistenza alle infezioni, Insufficiente processo di guarigione<br />
• FATTORI MECCANICI: Deiscenza (complicanza post-operatoria rappresentata dalla riapertura spontanea di<br />
una ferita precedentemente suturata) della ferita da pressione addominale<br />
• CORPI ESTRANEI E PROTESI<br />
• FIBROSI INFIAMMATORIE CRONICHE CON DANNO DA COLLAGENASI<br />
◦ Artrite reumatoide, cirrosi epatica, connettivite: le collagenasi del rimodellamento sono di nocumento in<br />
tale ambito<br />
• ABERRAZIONI <strong>DI</strong> CRESCITA<br />
◦ cicatrice esuberante e cheloide = variabilità individuale e predisposizione genetica => produzione di<br />
collagene eccessiva, se viene rimossa si riforma ancora più grossa<br />
◦ granulazione esuberante (carne eccessiva) = componente vascolare e connettivale eccessiva<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 108
◦ desmoidi (o fibromatosi aggressive) = più pericolose, dovuto a fibroblasti<br />
◦ la forma dell'ammanco tissutale incide moltissimo nella ricostruzione del tessuto => il taglio chirurgico a<br />
seconda della forma ottiene una cicatrice diversa. La perdita circolare provoca grande difficoltà dei tessuti<br />
a richiudere la cicatrice => è la condizione peggiore.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 109
INFIAMMAZIONE CRONICA O ISTOFLOGOSI<br />
Quando uno stimolo lesivo persiste, la guarigione completa non può aver luogo e compare una infiammazione<br />
cronica.<br />
La sequenza danno dei tessuti → infiammazione acuta → essudato → organizzazione dell'essudato → tessuto di<br />
granulazione → cicatrice fibrosa ha luogo solo quando lo stimolo lesivo è di breve durata e non persiste. In questi casi i<br />
cambiamenti che portano alla formazione della cicatrice sono consecutivi.<br />
Se lo stimolo lesivo persiste, i processi di necrosi, di tessuto di granulazione e di riparazione avvengono<br />
contemporaneamente.<br />
Oltre al processo infiammatorio acuto, sono attivate intorno all'area lesa le difese specifiche del sistema immunitario, e i<br />
tessuti sono infiltrati da elementi linfoidi attivati.<br />
All'esame istologico, l'area colpita rivelerà la presenza di detriti di cellule necrotiche, di essudato infiammatorio acuto,<br />
di tessuto di granulazione vascolare e fibroso, di cellule linfoidi, di macrofagi e di cicatrice collagene. Questo stato,<br />
detto di infiammazione cronica, persisterà fino a che lo stimolo lesivo sarà stato rimosso o neutralizzato.<br />
Fattori favorenti<br />
• E' favorita da quei fattori che impediscono l'eliminazione degli stimoli lesivi<br />
• danno tissutale, infiammazione acuta, tessuto di granulazione, riparazione, risposta immunitaria, si svolgono<br />
tutti contemporaneamente<br />
• è associata a una risposta immunitaria dei tessuti, visibile in forma di infiltrazione linfocitaria<br />
• alla fine l'infiammazione cronica guarisce per cicatrice<br />
• può svilupparsi dopo un'infiammazione acuta o può essere una risposta primaria ad alcuni stimoli, ad esempio<br />
nella tubercolosi<br />
• i fattori predisponenti includono:<br />
◦ stimoli lesivi persistenti<br />
▪ es. l'acido gastrico nell'ulcera peptica<br />
▪ es. silice nella silicosi<br />
▪ es. lipidi plasmatici (almeno in parte responsabili) nell'aterosclerosi<br />
◦ un'inadeguata risposta dell'ospite alle infezioni<br />
▪ es. infezioni da mycobacterium tuberculosis (tubercolosi da contagio aerogeno), mycobacterium bovis<br />
(tubercolosi da contagio tramite il latte), treponema pallidum (sifilide)<br />
◦ una malattia immune persistente (autoimmunità)<br />
▪ es. la malattia reumatoide<br />
▪ es. la colite ulcerosa cronica<br />
▪ es. lupus eritematoso sistemico<br />
Caratteristiche morfologiche dell'infiammazione cronica<br />
• infiltrazione di cellule mononucleate => macrofagi, linfociti, plasmacellule<br />
• danno tissutale (mediato in gran parte dai macrofagi)<br />
• sostituzione del tessuto con connettivo per tentativo di guarigione, neoangiogenesi, e soprattutto fibrosi<br />
Cellule dell'infiammazione cronica<br />
• macrofagi = responsabili della maggior parte del danno tissutale<br />
• secernono IL-1 e TNF che attivano i linfociti (i linfociti secernono a loro volta IFN-γ che attiva i<br />
macrofagi)<br />
• linfociti = producono anticorpi (plasmacellule, derivate di linfociti B), uccidono cellule infette (T CTL),<br />
collaborano alla risposta insieme ai macrofagi (T H)<br />
• eosinofili = si trovano in reazioni immunitarie mediate da IgE e in infezioni parassitarie<br />
• mastociti = ampiamente distribuiti nei tessuti, partecipano sia all'infiammazione acuta che cronica<br />
Infiammazione granulomatosa<br />
Caratteristica forma di una reazione infiammatoria cronica, caratterizzata da accumulo di macrofagi attivati, che spesso<br />
assumono aspetto di cellule epitelioidi e si fondono a formare cellule giganti, con la formazione di granulomi. Attorno<br />
ai macrofagi c'è un forte richiamo di linfociti e talvolta sono presenti plasmacellule.<br />
Può essere:<br />
• granuloma immunitario = tipico della tubercolosi (in questo caso è detto anche tubercolo) = infezione da<br />
mycobacterium tuberculosis, ha in genere al centro un'area di necrosi caseosa e cellule giganti di Langhans,<br />
con in nuclei ordinati alla periferia<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 110
• granuloma da corpo estraneo = il corpo estraneo è circondato dai macrofagi e dalle cellule giganti (da corpo<br />
estraneo, con i nuclei dispersi disordinatamente nella cellula)<br />
Il sistema linfatico nell'infiammazione<br />
I vasi linfatici possono drenare il liquido di edema della zona infiammata, ma in caso di infezioni gravi possono essere<br />
portati via anche gli agenti infettivi, che possono poi essere eliminati nei linfonodi (oppure in caso si scateni una<br />
reazione infiammatoria linfonodale provocare linfoadenite), oppure giungere anche al sangue provocando batteriemia.<br />
Nel sangue le difese sono date dai fagociti del fegato, della milza, del midollo osseo, ma se non riescono a debellare<br />
l'agente microbico si possono infettare soprattutto: valvole cardiache (con conseguente endocardite), reni (ascessi),<br />
articolazioni (artriti settiche) e meningi (meningiti).<br />
TUBERCOLOSI<br />
E' causata da Mycobacterium Tuberculosis. Il microrganismo induce una risposta da ipersensibilità di IV tipo.<br />
Caratteristica istologia è l'infiammazione granulomatosa caseificante, la sede principale è il polmone.<br />
Nel bambino l'infezione polmonare comprende il focolaio di Ghom (tende a guarire per fibrosi) e la linfoadenopatia<br />
(complesso primario).<br />
Nella vita adulta l'infezione causa un focolaio di Assmann (tende a progredire ai vasi sanguigni) => la diffusione<br />
ematogena provoca tubercolosi miliare.<br />
La diffusione broncogena provoca broncopolmonite tubercolare.<br />
Una riattivazione dell'infezione può aver luogo in età più avanzata se le risposte dell'ospite sono affievolite, ad es. da<br />
un'immunodepressione.<br />
M. tuberculosis infetta circa un terzo della popolazione mondiale e ogni anno uccide circa 3 milioni di persone.<br />
Con la diminuzione delle condizioni di sovraffollamento che causano la diffusione di M. tuberculosis e con<br />
l'introduzione negli anni '50 di antibiotici efficaci, gli Stati Uniti e i Paesi Occidentali hanno beneficiato di un lungo<br />
periodo conclusosi alla metà degli anni 80 durante il quale la prevalenza delle infezioni e delle morti da M. tuberculosis<br />
erano in costante declino.<br />
Da allora, la tubercolosi è andata aumentando negli Stati Uniti e in Europa, ma particolarmente in Africa.<br />
La causa di ciò in parte è dovuta al fatto che M. tuberculosis spesso infetta ed in modo drammatico, i malti di AIDS.<br />
L'incidenza maggiore della malattia si trova in Asia, Africa e Sud America.<br />
Vedi: http://www.epicentro.iss.it/problemi/Tubercolosi/tec.htm<br />
Tubercolosi e AIDS<br />
Gli ammalati di AIDS hanno una resistenza cellulo-mediata di tipo T diminuita e sviluppano la tubercolosi più<br />
frequentemente rispetto alle persone sane.<br />
Inoltre, nei pazienti con AIDS si sono sviluppati ceppi di M. tuberculosis multiresistenti ai farmaci.<br />
Tali ceppi rappresentano un serio pericolo per le persone che vivono a stretto contatto con i pazienti e per il personale<br />
sanitario.<br />
La resistenza nei confronti dei farmaci antimicobatterici più attivi (rifampicina e isoniazide) è causata da mutazioni<br />
rispettivamente dell'RNA polimerasi e della catalasi.<br />
Eziologia e patogenesi<br />
I micobatteri sono baciIli aerobi, asporigeni, immobili con un involucro di cera che consente loro di ritenere la<br />
colorazione rossa quando trattati con acido nelle colorazioni per batteri acido-resistenti. Due sono le specie di<br />
Mycobacterium che provocano la tubercolosi: M. tuberculosis (contagio aerogeno) e M. bovis (contagio tramite il<br />
latte).<br />
Patogenicità di M. Tuberculosis<br />
La patogenicità di M. tuberculosis è legata alla capacità di sfuggire all'uccisione da parte dei macrofagi e di indurre<br />
un'ipersensibilità di tipo ritardato.<br />
Ciò è stato attribuito a diverse componenti della parete cellulare di M. tuberculosis.<br />
1) fattore cordale = un glicolipide di superficie che fa sì che il M. tuberculosis cresca in vitro in filamenti<br />
serpiginosi<br />
2) lipoarabinomannano (LAM) = un importante etero-polisaccaride simile per struttura all' endotosssina dei<br />
batteri gram-negativi, in grado di inibire l'attivazione dei macrofagi da parte dell'IFN-γ<br />
3) complemento = attivato sulla superficie dei micobatteri può opsonizzare i microrganismi facilitandone la<br />
captazione da parte del recettore per il complemento CR3 (l'integrina Mac-1) presente sui macrofagi, senza<br />
peraltro innescare l'esplosione respiratoria necessaria per uccidere il batterio.<br />
4) una proteina da shock termico (heat shock protein) del M. tuberculosis, di 65-kD, simile alle heat shock<br />
proteins umane che probabilmente è coinvolta nelle reazioni autoimmuni prodotte da M. tuberculosis<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 111
Ipersensibilità nella TBC<br />
Lo sviluppo di ipersensibilità cellulo-mediata o di tipo IV nei confronti del bacillo tubercolare probabilmente spiega<br />
l'attività distruttiva del microrganismo nei tessuti, ma anche lo sviluppo di resistenza nei confronti dello stesso.<br />
Al primo contatto con il microrganismo, la risposta infiammatoria è di tipo non specifico.<br />
Nelle successive 2 o 3 settimane, in coincidenza con la positivizzazione della reazione cutanea, la risposta diviene<br />
granulomatosa e la parte centrale dei granulomi diviene caseosa, con la formazione di tipici "granulomi molli".<br />
Infezione primaria<br />
La fase primaria dell'infezione da M. tuberculosis incomincia con l'inalazione dei micobatteri e termina con la risposta<br />
immunitaria mediata dalle cellule T che provoca ipersensibilità al microrganismo e che porta al controllo del 95% delle<br />
infezioni.<br />
Molto spesso è alla periferia del polmone che il M. tuberculosis viene prima fagocitato dai macrofagi alveolari e<br />
trasportato da queste cellule ai linfonodi ilari. Il macrofago non attivato è incapace di uccidere i micobatteri che infatti<br />
si moltiplicano al suo interno, lisano la cellula ospite, infettano altri macrofagi e a volte si disseminano per via ematica<br />
ad altre parti del polmone o in altri organi.<br />
Ruolo dei macrofagi<br />
Dopo poche settimane, si sviluppa l'immunità mediata dalle cellule T (positività della reazione al test con PPD)<br />
(purified protein derivative).<br />
Le cellule T attivate dagli antigeni micobatterici interagiscono con i macrofagi in tre modi.<br />
1. Le cellule T helper CD4+ secernono IFN-γ che attiva i macrofagi rendendoli capaci di uccidere i micobatteri<br />
intracellulari attraverso composti intermedi dell'azoto quali NO, NO2 e HNO3. Si formano granulomi a cellule<br />
epitelioidi<br />
2. Le cellule T CD8+ lisano i macrofagi infettati dai micobatteri attraverso una reazione Fas-indipendente<br />
3. Le cellule T CD4- CD8- (doppia negatività) lisano i macrofagi col meccanismo Fas-dipendente senza uccidere<br />
i micobatteri. La lisi dei macrofagi porta alla formazione di granulomi caseosi (reazioni di ipersensibilità<br />
ritardata)<br />
Tubercolosi secondaria e disseminata<br />
Alcuni soggetti dopo un'infezione primaria possono infettarsi di nuovo, altri possono andare incontro ad una<br />
riattivazione di una malattia già in fase quiescente, altri ancora possono passare direttamente dalle lesioni<br />
micobatteriche primarie ad una malattia disseminata. Ciò può avvenire perché i ceppi micobatterici sono<br />
particolarmente virulenti o perché l'ospite è particolarmente recettivo.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 112
ESEMPIO DELL'ULCERA PEPTICA – INFIAMMAZIONE CRONICA<br />
L’epitelio di rivestimento del tratto alimentare superiore<br />
normalmente è ben protetto dagli effetti lesivi dell'acido<br />
cloridrico diluito e degli enzimi proteolitici prodotti dalla<br />
mucosa gastrica per la digestione del cibo.<br />
Se il meccanismo protettivo cessa di funzionare, l'acido e<br />
gli enzimi distruggono l'epitelio e lo stroma di sostegno<br />
(causando ulcerazione) della parete del canale<br />
alimentare, di solito a livello dello stomaco e del<br />
duodeno.<br />
In questo caso lo stimolo lesivo è persistente, perché lo<br />
stomaco continua a secernere acido ed enzimi.<br />
Il danno stimola un processo infiammatorio acuto, con<br />
formazione di un essudato dove agisce l'acido.<br />
Nella profondità dell'ulcera, nei punti più lontani<br />
dall'acido, ci saranno tentativi di organizzazione<br />
dell'essudato e si formerà un tessuto di granulazione che<br />
progredirà a formare una cicatrice collagene.<br />
In un'ulcera consolidata, tutti questi processi avvengono<br />
contemporaneamente. Perciò, un'ulcera peptica cronica è<br />
un esempio di infiammazione cronica causata dalla<br />
persistenza dello stimolo lesivo.<br />
Possibili esiti dell'ulcera peptica<br />
a) Guarigione. Lo stimolo lesivo è vinto dal processo di guarigione, di<br />
solito perché le secrezione acida gastrica è ridotta o neutralizzata. La<br />
perdita di tessuto è colmata con la cicatrice fibrosa ed è ricoperta da<br />
mucosa cosa gastrica. L'ulcera guarisce.<br />
b) Perforazione. I processi di guarigione e di riparazione sono travolti<br />
dal continuare del danno, prodotto dall’ acido gastrico. Il processo di<br />
ulcerazione continua, penetrando a pieno spessore nella parete e<br />
causando perforazione.<br />
c) Cronicizzazione. Il danno prodotto dall'acido è controbilanciato (ma<br />
non superato) dalla risposta di guarigione dei tessuti. Questa situazione<br />
di stallo porta alla cronicizzazione, e l'ulcera spesso può persistere per<br />
anni. Ogni alterazione dell'equilibrio tra i due fattori in conflitto può<br />
portare ad (a) o a (b).<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 113
ARTERIOSCLEROSI<br />
Struttura delle arterie<br />
− tonaca intima<br />
− endotelio<br />
− sottile strato di connettivo subendoteliale<br />
− lamina elastica interna<br />
− tonaca media<br />
− lamina elastica esterna<br />
− tonaca avventizia = può contenere vasa vasorum<br />
in grandi vasi<br />
Tre categorie di arterie, in base a calibro e caratteristiche<br />
istologiche:<br />
− arterie di grosso calibro o di tipo elastico,<br />
comprendenti l’aorta e i suoi rami principali<br />
(carotidi, iliache, ecc.): hanno molte fibre<br />
elastiche nella media perché sostengono più da<br />
vicino la pulsazione cardiaca (hanno la maggior<br />
sollecitazione meccanica)<br />
− arterie di medio calibro o muscolari, come le coronarie e le arterie renali: sono diramazioni delle arterie<br />
elastiche. Prevalenza di fibre muscolari lisce che si contraggono e si rilasciano inducendo vasocostrizione e<br />
vasodilatazione.<br />
− piccole arterie di diametro inferiore ai 2mm, arteriole 100-20 micron<br />
N.B. La resistenza è inversamente proporzionale alla quarta potenza del raggio del vaso.<br />
FORME <strong>DI</strong> ARTERIOSCLEROSI<br />
Il termine ARTERIOSCLEROSI significa letteralmente “indurimento delle arterie” (scleros = duro) e, più precisamente,<br />
indica un gruppo di condizioni patologiche accomunate da:<br />
− “indurimento” della parete arteriosa (cioè rigidità, perdita di elasticità)<br />
− ispessimento della parete arteriosa<br />
Tipi di aterosclerosi:<br />
• Sclerosi calcifica mediale di Monckeberg = formazione di calcificazioni anelliformi che circondano le arterie<br />
di medio calibro degli arti e dei genitali maschili in soggetti oltre i 50 anni (nella tonaca media), talora con<br />
metaplasia ossea.<br />
• non provocano protrusione, né restringimento, non danno quindi problemi, ma vengono riscontrate nelle<br />
radiografie<br />
• la patogenesi è sconosciuta<br />
• spesso i soggetti ne presentano più d'una in più sedi e possono coesistere con placche aterosclerotiche, ma<br />
non c'è correlazione causale tra le due<br />
• Arteriolosclerosi = colpisce in particolare le arteriole renali, se ne distinguono due tipi:<br />
• ialina<br />
• correlata a ipertensione (poco) => sollecitazione dei vasi => ispessimento, perché le cellule muscolari<br />
producono collagene<br />
• strettamente correlata a diabete: passaggio di sostanza ialina (vitrea) da vasi a parete delle arteriole<br />
• iperplastica<br />
• strettamente correlata ad ipertensione => ispessimento della parete (iperplasia del tessuto muscolare)<br />
a bulbo di cipolla (con tanti strati concentrici), a causa dell'alta pressione che determina forte<br />
sollecitazione meccanica => ispessimento continuo, più intenso in certi punti<br />
• Aterosclerosi = formazione di “strie”, “placche” o “lesioni complicate” in arterie di medio e grosso calibro,<br />
forma più importante di arteriosclerosi (per le sue conseguenze cliniche)<br />
ATEROSCLEROSI<br />
• La radice “atero” deriva dal termine greco che significa “pappa”, “farinata”.<br />
• Perché questo nome?<br />
◦ La lesione tipica della aterosclerosi, l’ateroma o placca aterosclerotica, ha un cuore interno biancogiallastro,<br />
di consistenza poltacea, con grumi di colore giallastro, simile ad una pappa grumosa.<br />
• Quali vasi colpisce?<br />
◦ L’aterosclerosi colpisce le ARTERIE di grande calibro (a. elastiche) e di medio calibro (a. muscolari)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 114
◦ Arterie elastiche: aorta, carotidi (importanti per ictus cerebrale), a. iliache<br />
◦ Arterie muscolari: arterie coronarie e poplitea.<br />
• Dove è localizzata la lesione?<br />
◦ Nella tonaca intima, subito al di sotto dell’endotelio, la placca protrude nel vaso<br />
Evoluzione e conseguenze<br />
La placca aterosclerotica tende ad accrescersi e ad invadere non soltanto la tonaca intima, come è nelle placche iniziali<br />
o comunque meno estese, ma anche la tonaca media.<br />
Le placche aterosclerotiche hanno conseguenze cliniche diverse a seconda della sede, delle dimensioni,<br />
dell’approfondimento:<br />
• a livello di arterie medie o medio-piccole possono provocare occlusione e causare lesioni ischemiche (es.<br />
coronarie: infarto del miocardio; carotidi: ictus cerebrale)<br />
• a livello delle arterie di grosso calibro, distruggono l’architettura della parete arteriosa e la sfiancano,<br />
provocando la formazione di aneurismi (es. aneurisma dell’aorta) o la rottura dell’arteria<br />
• la placca è sede e causa di trombi<br />
• dagli ateromi più estesi e più friabili possono staccarsi emboli di colesterolo (ateroemboli) che vengono liberati<br />
nel circolo. Tali formazioni si riscontrano più frequentemente nei reni.<br />
Fattori di rischio dell'aterosclerosi<br />
Si parla di causa quando si dimostra una stretta correlazione tra agente eziopatologico e patologia.<br />
Si parla invece di fattori di rischio quando nessuno di essi può essere considerato una causa, ma il legame con la<br />
patologia è correlato da osservazioni statistiche, non è causale [all'esame chiede perché si parla di fattori di rischio e non<br />
di cause].<br />
MAGGIORI (correlazione statistica più stretta con l'aterosclerosi)<br />
• Iperlipidemia (LDL)<br />
• Ipertensione<br />
• Fumo di sigaretta (se "aspira" la correlazione è più stretta)<br />
• Diabete<br />
MINORI<br />
• Dieta ricca di grassi animali<br />
• Dieta ricca di carboidrati<br />
• Obesità<br />
• Stress, stile di vita competitivo<br />
• Sesso maschile, ma le donne dopo la menopausa hanno lo stesso rischio (prima ridotto dagli estrogeni)<br />
• Progressione dell’età<br />
• Familiarità<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 115
Appunti di Patologia Generale – Pag, 116
Iperlipidemia<br />
L’esistenza del legame fra ipercolesterolemia (aumento LDL) e aterosclerosi è dimostrata da diversi elementi:<br />
• una dieta ricca di grassi saturi (burro, uova, grassi animali) si associa frequentemente a lesioni aterosclerotiche;<br />
• nelle popolazioni con alti livelli di colesterolemia è più alta la mortalità per cardiopatia ischemica;<br />
• trial clinici hanno dimostrato che, abbassando con diete o farmaci il livello di colesterolo ematico, si riduce la<br />
mortalità per malattie cardiovascolari.<br />
• nell’animale da esperimento, l’ipercolesterolemia indotta con una dieta iperlipidica produce lesioni<br />
aterosclerotiche;<br />
• malattie genetiche che provocano grave ipercolesterolemia (es. assenza recettore LDL, lipoproteine a bassa<br />
densità, le più pericolose) determina aterosclerosi precoce;<br />
Quale tipo di iperlipidemia è associata ad aterosclerosi?<br />
• L’associazione più significativa è con elevati livelli serici di LDL o lipoproteine a bassa densità, le più ricche<br />
di colesterolo;<br />
• anche l’ipertrigliceridemia comporta un aumento del rischio.<br />
• Aumento delle IDL<br />
• Aumento di una lipoproteina anomala, la lipoproteina (a), forma alterata di LDL fortemente associata ad<br />
aterosclerosi<br />
• Al contrario:<br />
◦ I livelli serici di HDL (lipoproteine ad alta densità) sono inversamente correlati al rischio: per questo, le<br />
HDL sono denominate “colesterolo buono”.<br />
L'ipercolesterolemia è così correlata all'aterosclerosi da avere quasi identità di causa.<br />
Cenni su altri fattori di rischio<br />
• IPERTENSIONE<br />
◦ E’ uno dei maggiori fattori di rischio per l’aterosclerosi per qualunque età, ma dopo i 45 anni diviene il più<br />
importante. A questa età e fino ai 62 anni valori superiori a 169/95 mmHg hanno un rischio 5 volte<br />
maggiore rispetto al controllo con pressione arteriosa normale.<br />
• FUMO <strong>DI</strong> SIGARETTA<br />
◦ 1-2 pacchetti al giorno per dieci anni aumenta il rischio del 200%. L’astensione dal fumo dimezza il<br />
rischio. Fattore di rischio sia per gli uomini, sia per le donne.<br />
• ALTERAZIONI DELL’EMOSTASI<br />
◦ Potenziale fattore di rischio per eventi trombotici maggiori (infarto miocardico, ictus cerebrale = infarto<br />
cerebrale).<br />
◦ Marker predittivi sono alti livelli di:<br />
▪ inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1)<br />
▪ fibrinogeno plasmatico<br />
▪ proteina C reattiva<br />
• Tutti questi fattori sono accomunati dalla capacità di danneggiare l'endotelio provocando infiammazione =><br />
risposta della parete => aterosclerosi<br />
Tipologia e aspetti morfologici delle lesioni<br />
• STRIA LIPI<strong>DI</strong>CA<br />
◦ Macchie giallastre multiple (1 mm), dapprima, poi confluenti in strie allungate (1 cm o più). Soprattutto<br />
cellule schiumose. Talora presente anche nei bambini molto piccoli e in tutte le persone dopo i dieci anni.<br />
Le strie lipidiche non sporgono nel lume (quindi non alterano il flusso sanguigno) e non hanno<br />
conseguenze cliniche.<br />
◦ Relazione fra stria e placca: molto dibattuta. Possono diventare placche? Forse, comunque tutti abbiamo<br />
strie, ma non tutti abbiamo placche.<br />
◦ Le strie sono presenti in tutti i tratti dell'arteria, mentre le placche soprattutto in diramazioni e biforcazioni.<br />
◦ La stria può regredire, la placca no.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 117
• PLACCA ATEROMATOSA<br />
◦ 0,3 – 1,5 cm di diametro, protrudente nel lume. Cappuccio fibroso biancastro e consistente (ma fragile<br />
come un guscio d'uovo), parte centrale interna bianco-giallastra e molliccia.<br />
▪ si considera piccola se tra 0,2-0,3 mm, grande fino a 1,5 mm<br />
▪ può anche essere una confluenza di più placche<br />
▪ è una lesione eccentrica: non è centrata, ma riguarda solo una parte dell'arteria<br />
▪ la parete dell'arteria può diventare frastagliata e irregolare => alterazioni del flusso sanguigno<br />
◦ Tre componenti:<br />
▪ cellulari: cellule muscolari lisce, macrofagi e altri leucociti;<br />
▪ tessuto connettivo della matrice extracellulare (collagene, fibre elastiche, proteoglicani);<br />
▪ depositi lipidici intra- ed extra- cellulari.<br />
◦ Un ampio spettro di lesioni a seconda della “combine” dei diversi componenti.<br />
◦ Cappuccio: cellule muscolari lisce e connettivo denso.<br />
◦ Spalla: cellule muscolari lisce, macrofagi, Linfociti<br />
T<br />
▪ macrofagi: anche cellule schiumose per<br />
▪<br />
fagocitosi di lipidi<br />
anche le cellule muscolari lisce possono<br />
fagocitare lipidi e trasformarsi in schiumose<br />
◦ Nucleo: lipidi, detriti cellulari, cellule schiumose.<br />
▪ grigiastro con granulosità gialle<br />
▪ cristalli di colesterolo, lipidi intracellulari e<br />
extracellulari per lipidi riversati da macrofagi<br />
morti, materiale necrotico<br />
LESIONE COMPLICATA, QUALI “COMPLICAZIONI”?<br />
• Calcificazione focale o diffusa. Fragilità del guscio<br />
d’uovo. Evidenza all’ultrasonografia o alla TC<br />
◦ invecchiando può calcificarsi il cappuccio fibroso<br />
=> si vede con l'ecodoppler<br />
• A causa della calcificazione si può avere rottura<br />
localizzata:<br />
▪ per fissurazione = crepa nella placca =><br />
emorragie (frequenti nelle coronarie) per<br />
rottura dei vasellini del cappuccio con<br />
formazione di ematomi, con aumento del<br />
rischio di rottura della placca => il sangue può<br />
anche spandersi all'esterno con formazione di<br />
trombi<br />
• L’immissione nel torrente circolatorio di<br />
frammenti necrotici e lipidi può dare<br />
embolizzazione => ischemia in piccoli vasi<br />
▪ per ulcerazione con conseguente esposizione di<br />
sostanze trombogeniche (tessuto connettivo =><br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 118
è molto trombogenico, vi aderiscono piastrine): si formano trombi che possono organizzarsi<br />
◦ Coinvolgimento della media: atrofia da adattamento della media, perdita della componente elastica,<br />
rigidità della parete arteriosa, conseguente sfiancamento della parete con possibile formazione di<br />
aneurismi.<br />
aneurisma = dilatazione sacciforme (lesione centrica a forma di sacco) della parete arteriosa. Si forma solo nelle arterie<br />
di grande calibro perché la placca si accresce nel lume (rapidamente) tende però a comprimere la tonaca media (più<br />
lentamente)<br />
• => nelle arterie di medio calibro si occlude prima il vaso a causa della grossa parete muscolare<br />
• => nelle grandi arterie è difficile arrivare all'occlusione => si arriva ad una alterazione della struttura e ad un<br />
certo punto a sfiancamento => aneurisma<br />
PATOGENESI<br />
L’ipotesi patogenetica attualmente più accreditata è chiamata ipotesi della reazione al danno. Tale ipotesi individua<br />
l’inizio della lesione aterosclerotica nella risposta vasale ad un danno dell’endotelio. Il danno non è necessariamente<br />
fisico, può anche essere funzionale in assenza di alterazioni morfologiche.<br />
Il danno dell’endotelio (per es. da stress meccanico) aumenta la permeabilità a vari costituenti del plasma, fra cui i lipidi<br />
=> essudazione lipidica => richiamo di monociti e piastrine circolanti, che aderiscono all’endotelio.<br />
Dopo l’adesione, i monociti penetrano all’interno dell’intima, fagocitano il materiale lipidico e si trasformano in<br />
macrofagi.<br />
Fattori rilasciati da monociti e piastrine stimolano la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla tonaca media<br />
all’intima e cominciano a proliferare. Inoltre, la sintesi da parte delle cellule muscolari lisce dei componenti della<br />
matrice extracellulare porta all’accumulo di collagene e di proteoglicani => la lesione si "imbottisce" nella regione<br />
subendoteliale.<br />
Se l’insulto è singolo e di breve durata: ripristino della funzione endoteliale e regressione.<br />
Insulti cronici o ripetuti: placca ateromasica => non può più regredire.<br />
Ruolo del danno endoteliale<br />
Il danno endoteliale indotto nell’animale da esperimento mediante lesioni meccaniche, fattori emodinamici (fistole<br />
artero-venose => più velocità del sangue => più turbolenza => danno endoteliale), irradiazione, sostanze chimiche,<br />
determina la proliferazione intimale delle cellule muscolari lisce e la formazione dei tipici ateromi, se la dieta è ricca di<br />
lipidi. Le lesioni precoci si sviluppano a livello di un endotelio morfologicamente NON danneggiato.<br />
La turbolenza può essere indotta anche da ipertensione, che se si trova in concomitanza con iperlipidemia può dare<br />
origine alla placca. Nelle diramazioni e biforcazioni c'è più turbolenza => maggior sviluppo di placche.<br />
Adesione dei monociti alle cellule endoteliali<br />
Per interazione recettoriale (come nell'infiammazione). L’espressione di VCAM-1, la cosiddetta molecola di adesione<br />
endoteliale per i leucociti, è un marker molecolare precoce delle aree a rischio di lesione. Nell’uomo, l’espressione di<br />
ICAM-1 e di VCAM-1 aumenta sull’endotelio delle placche.<br />
Altre deduzioni dai modelli sperimentali<br />
Le alterazioni endoteliali provocate da fattori emodinamici (traumi chirurgici o flusso turbolento) possono spiegare la<br />
particolare distribuzione delle placche (soprattutto biforcazioni, diramazioni).<br />
Fumo, ipertensione aumentano la permeabilità dell’endotelio.<br />
Ruolo dei macrofagi<br />
La migrazione dei monociti nello spazio subendoteliale rappresenta la risposta al gradiente che si viene a creare<br />
nell’intima di vari fattori chemiotattici, come proteine della matrice, citochine infiammatorie (P-1CM = proteina 1<br />
chemiotattica per macrofagi, FSC-M = fattore stimolante colonie per macrofago). Ruolo preminente dei macrofagi che<br />
producono anche:<br />
• IL-1, TNF che causano aumento di adesione dei leucociti<br />
• P1CM, FSC-M, che determinano l’ulteriore reclutamento di leucociti nella placca<br />
• forme tossiche dell’ossigeno che causano ossidazione delle LDL (captate dal recettore spazzino)<br />
• fattori inibenti o stimolanti la crescita (PDGF; FGF; TGF) con cui modulano la proliferazione delle cellule<br />
muscolari lisce e la deposizione della matrice.<br />
Ruolo delle cellule muscolari lisce<br />
Da dove originano? Dalla media, per migrazione o da cellule miointimali pre-esistenti<br />
La proliferazione delle cellule muscolari lisce e la deposizione della matrice extracellulare nell’intima sono i processi<br />
più importanti per l’accrescimento progressivo della placca ateromasica (anche passaggio da stria a placca).<br />
Sostanze mitogene e chemiotattiche per le cellule muscolari lisce:<br />
• stimolanti<br />
◦ PDGF (fattore di crescita derivato dalle piastrine), prodotto non solo dalle piastrine, ma anche da MF, CE,<br />
cellule muscolari lisce<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 119
◦ FGF (fattore di crescita fibroblastico)<br />
◦ TGF-alfa (fattore trasformante alfa della crescita) = funzione mitogena e chemiotattica<br />
• inibenti:<br />
◦ Sostanze eparino-simili (prodotte dalle cellule endoteliali e muscolari)<br />
◦ TGF-beta (fattore trasformante beta della crescita, prodotto da cellule endoteliali e macrofagi)<br />
Il risultato è una vera e propria modulazione.<br />
Lipoproteine plasmatiche<br />
Le lipoproteine plasmatiche sono particelle globulari costituite da:<br />
• un nucleo centrale di lipidi neutri (trigliceridi ed esteri del colesterolo)<br />
• una parte esterna di lipidi polari (fosfolipidi e colesterolo libero)<br />
• apolipoproteine o apoproteine<br />
• Recettori lipoproteici riconoscono le lipoproteine e ne assicurano la captazione cellulare.<br />
Difetti genetici (primitivi o secondari) e acquisiti sono sottesi alle varie forme di iperlipidemia. Esempi di difetti<br />
genetici:<br />
• difetto del recettore per le LDL (inadeguata captazione epatica), nell’ipercolesterolemia familiare (1:500<br />
eterozigote, xantomi tendinei aterosclerosi precoce; omozigote: infarto prima dei 20 anni)<br />
• Difetto apo-E<br />
• Difetto apoproteina B-100<br />
Conclusioni<br />
Farmaci e vitamine antiossidanti sembrano esercitare un effetto protettivo nei confronti dell’aterosclerosi.<br />
L’iperlipidemia porta alla formazione di lesioni aterosclerotiche attraverso un danno ossidativo dell’endotelio per<br />
aumentata produzione di radicali liberi dell’ossigeno.<br />
Gli orientamenti attuali considerano l’aterosclerosi come una risposta infiammatoria dei tessuti dell’intima ad un danno<br />
(anche solo funzionale) dell’endotelio, danno che può essere provocato da diversi fattori. Meccanismi patogenetici<br />
multipli contribuiscono alla formazione ed alla progressione della placca: l’infiltrazione dei monociti, la proliferazione<br />
delle cellule muscolari lisce, la deposizione di matrice extracellulare, l’accumulo di lipidi e la trombosi.<br />
Predisposizione genetica all'aterosclerosi<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 120
IPERTENSIONE<br />
L’ipertensione, o pressione arteriosa eccessivamente elevata, è una condizione cronica molto comune, che colpisce circa<br />
il 5% della popolazione occidentale e dà un importante contributo alle cause di mortalità umana.<br />
Il riferimento migliore per stabilire la gravità della malattia è la pressione diastolica.<br />
Il limite oltre il quale c’è ipertensione può considerarsi di 95 mm Hg nell’uomo e di 100 mm Hg nella donna.<br />
Età e pressione arteriosa<br />
• Pressione sistolica normale: 90-140 mm Hg<br />
• Pressione diastolica normale: 60-90 mm Hg<br />
La pressione aumenta con l’età e l’ipertensione è più frequente nell’età media e avanzata.<br />
E’ da considerare l’effetto delle condizioni ambientali (dieta e eccessiva ingestione di sale, obesità, stress, sedentarietà,<br />
fumo, ecc.).<br />
Pressi<br />
one<br />
Sistolica (mmHg) Diastolica (mmHg)<br />
ottima<br />
le<br />
norma<br />
le<br />
alta<br />
norma<br />
le<br />
iperte<br />
nsione<br />
lieve<br />
iperte<br />
nsione<br />
moder<br />
ata<br />
iperte<br />
nsione<br />
grave<br />
< 120 < 80<br />
< 130 < 85<br />
130-139 85-89<br />
140-159 90-99<br />
160-179 100-109<br />
>= 180 >= 110<br />
• Ipertensione essenziale = la maggior parte dei casi, quando non si riscontra una causa identificabile o una<br />
malattia associata<br />
• attinente alla costituzione<br />
• polifattoriale<br />
• Ipertensione secondaria = quando è la conseguenza di altre malattie (circa 10% dei casi), ipertensione<br />
sistolica e diastolica può essere secondaria a:<br />
• Nefrosclerosi, nefriti e nefrosi<br />
• Tumori secernenti renina<br />
• Sindromi con eccesso di mineralcorticoidi (aldosteronismo, iperplasia surrenalica congenita, ingestione di<br />
liquirizia)<br />
• Sindrome di Cushing<br />
• Feocromocitoma<br />
• Contraccettivi orali<br />
• Gravidanza<br />
• Coartazione dell’aorta<br />
• Iperparatiroidismo<br />
• Ipertensione endocranica<br />
Decorso (evoluzione della malattia)<br />
• Rapidamente progressivo, sino al decesso, con pressione diastolica > 130 mm Hg, e si definisce ipertensione<br />
maligna.<br />
• La morte avviene entro un anno dalla diagnosi ed è causata da uremia, insufficienza del ventricolo sinistro,<br />
danni renali o emorragia cerebrale. Colpisce il 5% degli ipertesi, ad una età di circa 40 anni<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 121
• Decorso lento, in questo caso si parla di ipertensione benigna.<br />
• Frequente in soggetti di età media ed avanzata con ipertensione essenziale. Le conseguenze cliniche sono<br />
attribuibili all’aterosclerosi associata, il cui decorso è aggravato dall’ipertensione.<br />
Conseguenze dell'ipertensione<br />
Effetti tanto più gravi quanto più elevata la pressione.<br />
1. Alterazioni degenerative delle arterie e delle arteriole:<br />
◦ Aterosclerosi: ipertensione => sollecitazioni emodinamiche sulla parete arteriosa => permeabilità ai lipidi<br />
=> adesione piastrinica.<br />
▪ Viene così accelerata l’aterosclerosi con malattia ischemica cardiaca, infarto del miocardio e del<br />
cervello.<br />
◦ Ispessimento dell’intima e degenerazione ialina: specie nelle arteriole afferenti dei glomeruli renali<br />
(dove l'apparato juxaglomerulare risponde alle variazioni di pressione arteriosa col sistema reninaangiotensina),<br />
nell’ipertensione benigna. Aspetto omogeneo e vitreo (= ialino) della parete vasale; il<br />
materiale omogeneo, eosinofilo è costituito da fibrina e da fibre collagene. Il lume vasale è ristretto. Si<br />
crea così un circolo vizioso: riduzione della perfusione renale => produzione di renina => ipertensione.<br />
◦ Ipertrofia della media: aumento della muscolatura liscia in risposta allo stimolo pressorio. L’ipertrofia<br />
diffusa aumenta le resistenze periferiche e contribuisce al mantenimento dell’ipertensione.<br />
◦ arteriolonefrosclerosi, glomerulonefrite (le anse glomerulari sono sostituite da tessuto fibroso),<br />
nefrosclerosi maligna (ipertrofia delle arteriole a bulbo di cipolla)<br />
◦ Necrosi fibrinoide: nelle piccole arterie e nelle arteriole si ha essudazione di plasma, frammentazione<br />
delle fibre muscolari lisce, infiltrazione infiammatoria di neutrofili, globuli rossi e deposizione di fibrina<br />
(nel preparato non si vedono più le fibre muscolari, ma solo fibrina, molto colorata con eosina, rosa). Si<br />
può avere emorragia e trombosi, oppure ispessimento fibroso dell’intima. La necrosi fibrinoide è<br />
responsabile di:<br />
▪ ischemia e lesioni renali<br />
▪ lesioni ischemiche della retina che possono portare a cecità<br />
▪ emorragie cerebrali<br />
◦ Aneurismi: il cedimento della media delle piccole arterie cerebrali porta a dilatazioni o microaneurismi,<br />
avviene soprattutto nelle arterie cerebrali. La rottura di queste porta a emorragie cerebrali, causa frequente<br />
di morte nell’ipertensione maligna. Il termine colpo apoplettico indica danno cerebrale da emorragia,<br />
trombosi o embolia.<br />
2. Danni cardiaci<br />
◦ Il sovraccarico del cuore dato dall’elevata pressione cardiaca porta a ipertrofia cardiaca. Aumenta quindi<br />
lo spessore delle fibre miocardiche, ma senza un corrispondente aumento della vascolarizzazione => il<br />
cuore è ingrossato e lavora sempre di più e sempre più al limite dell'ipossia. Quando l’ipertensione è molto<br />
grave si ha insufficienza ventricolare sinistra che può essere fatale.<br />
Fisiopatologia dell'ipertensione<br />
La regolazione della pressione del sangue è data dalla combinazione di diversi fattori:<br />
• Pressione arteriosa media = gittata cardiaca x resistenza periferica totale<br />
◦ Le resistenze periferiche sono date principalmente dalle piccole arterie e arteriole, molto meno da capillari<br />
e venule.<br />
• Nell’ipertensione la gittata cardiaca è di solito normale e l’aumento di pressione è dovuto all’aumento delle<br />
resistenze periferiche, per il diminuito diametro dei vasi.<br />
• In alcuni casi l’ipertensione è causata dall’aumento del volume ematico (ipervolemia) e di conseguenza dalla<br />
gittata cardiaca aumentata.<br />
Con farmaci si può agire sulla volemia (volume ematico) => di<br />
conseguenza varia la gittata.<br />
− ipervolemia => causa di ipertensione<br />
Riflessi dei barocettori arteriosi<br />
I barocettori sono recettori di stiramento situati sotto l’avventizia<br />
di grosse arterie elastiche nei punti in cui la parete è<br />
particolarmente sottile (seno carotideo, arco aortico).<br />
Aumento pressorio => stimolazione barocettori => inibizione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 122
centrale dei centri pressori => dilatazione vasi periferici => diminuzione della resistenza periferica;<br />
contemporaneamente si ha rallentamento cardiaco per stimolazione del centro cardioinibitore vagale.<br />
Nell’ipertensione cronica o con l’invecchiamento diminuisce la sensibilità dei barorecettori e diminuisce pertanto la<br />
inibizione centrale dei centri pressori, con aumento della pressione.<br />
Adrenalina e noradrenalina<br />
Inducono aumento di pressione arteriosa mediante costrizione delle arteriole. La loro secrezione dalla midollare<br />
surrenale aumenta la pressione durante lo stress, lo stato di eccitazione, l’esercizio muscolare e l’asfissia.<br />
Il feocromocitoma, un tumore delle cellule cromaffini della midollare surrenale, produce grandi quantità di<br />
noradrenalina ed è causa di ipertensione secondaria.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 123
Fattori emodinamici che controllano la pressione<br />
Sistema renina-angiotensina-aldosterone<br />
• E’ nota da tempo l’associazione tra malattie renali ed ipertensione.<br />
• Si può produrre sperimentalmente ipertensione nel cane con la riduzione del calibro di un’arteria renale<br />
◦ riduzione del flusso ematico => riduzione del flusso alle arteriole afferenti e quindi all'apparato<br />
juxtaglomerulare => rilascio di renina (enzima proteolitico che agisce su angiotensinogeno, sintetizzato<br />
nel fegato, staccando un decapeptide) => angiotensina I => enzima ACE => angiotensina II (octapeptide)<br />
=> angiotensina III (esapeptide)<br />
◦ angiotensina II e III = forme attive, provocano:<br />
▪ vasocostrizione sulle arteriole (effetto diretto)<br />
▪ rilascio di noradrenalina dalle terminazioni simpatiche e dalla midollare surrenale<br />
◦ renina e angiotensina => anche implicate nella regolazione del contenuto di sodio e di acqua => + volemia<br />
=> + gittata => + pressione arteriosa<br />
▪ se c'è una riduzione della concentrazione plasmatica di sodio o della volemia (per disidratazione,<br />
perdita di plasma o di sangue) => rilascio di renina<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 124
▪ angiotensina => aumenta il riassorbimento nel tubulo prossimale di acqua e sodio => + volemia<br />
• Ipertensione si riscontra in:<br />
◦ pielonefrite cronica<br />
◦ glomerulonefrite cronica<br />
◦ stenosi dell’arteria renale<br />
◦ rene policistico (maggior pressione verso la capsula renale, che è inestensibile)<br />
• L’angiotensina (in particolare la III) provoca la secrezione di aldosterone dalla corteccia surrenale e questo il<br />
riassorbimento di sodio nei tubuli distali.<br />
• L’acqua è riassorbita con il sodio, ma è perduto potassio.<br />
• Un eccesso di aldosterone porta ad una ritenzione eccessiva di sodio e acqua, ad un aumento del volume di<br />
plasma e all’ipertensione.<br />
• Ciò si verifica nella Sindrome di Conn in cui l’eccessiva produzione di aldosterone provoca ipertensione per<br />
aumento della volemia e non delle resistenze periferiche (non c’è aumento di renina-angiotensina)<br />
• Nelle malattie renali c’è aldosteronismo secondario alla maggior produzione di angiotensina: l’ipertensione è<br />
quindi data sia dall’aumento delle resistenze periferiche (angiotensina) sia dalla volemia (aldosterone).<br />
Fattori che modulano il rilascio di renina<br />
FAVORENTI INIBENTI<br />
Abbassamento della P sanguigna Innalzamento della P sanguigna<br />
Passaggio dalla posizione supina e quella eretta Assunzione della posizione supina<br />
Deplezione salina Sovraccarico salino<br />
Stimolazione beta-adrenergica Angiotensina II<br />
Ormoni e prostaglandine vasodilatatori Vasopressina<br />
Peptidi oppiacei Inibitori della ciclossigenasi<br />
Callicreina Potassio<br />
Calcitonina Calcio<br />
Dieta iperproteica Endotelina<br />
Fattori di crescita e citochine (TNF, IL-1, TGF-beta) Fattori di rilascio di origine endoteliale (EDRF)<br />
Adenosina<br />
ANP<br />
Alcuni farmaci beta-bloccanti (beta-bloccanti, alfa,<br />
metildopa, clonidina)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 125
Sistema di compenso della risposta renale - sistema callicreine-chinine-prostaglandine<br />
Il rene esercita anche un effetto anti-ipertensivo che si oppone alle attività delle angiotensine e dell’aldosterone: il<br />
sistema renina-angiotensine è controbilanciato nel rene dal sistema callicreina-chinina che, in collaborazione con la<br />
prostaglandina PGE2 induce vasodilatazione nel rene ed escrezione di sodio e di acqua.<br />
Gli stimoli all’attivazione della callicreina sono l’aumento del volume plasmatico, l’angiotensina e l’aldosterone.<br />
Il ruolo del sistema callicreina-chinina è quindi quello di proteggere il rene dagli effetti vasocostrittori dell’angiotensina<br />
(determinerebbe ulteriore ipoperfusione dell'organo, in una condizione già di carenza) e di bilanciare gli effetti<br />
dell’angiotensina e dell’aldosterone sulla pressione arteriosa e sul volume plasmatico.<br />
E' un meccanismo a feedback che porta ad abbassamento della pressione arteriosa.<br />
Stimolazione da parte delle chinine della sintesi di prostaglandine<br />
Abuso di FANS => danni renali, perché inibisce la ciclossigenasi inibendo questo meccanismo di salvaguardia renale.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 126
Eziologia dell'ipertensione, alcune cause di ipertensione secondaria<br />
Causa Meccanismo<br />
Stenosi dell'arteria renale Predisposizione familiare a ipertensione<br />
Ispessimento parete vasale arteria renale<br />
(fibrodisplasia muscolare)<br />
Predisposizione familiare a ipertensione<br />
Iperaldosteronismo primario (sindrome di Conn) Abnorme secrezione di aldosterone e ritenzione di sodio<br />
Ipercorticalismi (Sindrome di Cushing): eccesso<br />
di cortisolo<br />
Spill-over su recettore per aldosterone da cortisolo in eccesso e non<br />
trasformato in cortisone<br />
Eccessivo consumo di liquirizia (ac. glicirrizico) Acido glicirrizico inibisce la 11-b-idrossisteroido-deidrogenasi<br />
impedendo la trasformazione del cortisolo in cortisone: spill-over su<br />
recettore per aldosterone<br />
Feocromocitoma Abnorme secrezione di catecolamine e vasocostrizione<br />
Ipertiroidismi Aumento della gittata cardiaca per l'aumento della frequenza.<br />
Ipertrofia cardiaca e del muscolo vascolare.<br />
Tumori renali o extrarenali secernenti renina Abnormi livelli di renina e attivazione del signalling aldosteronico<br />
Spill-over = il cortisolo in grandi quantità agisce anche sui recettori per l'aldosterone (lo stesso meccanismo avviene<br />
anche per altre molecole).<br />
Acido glicizzirico = idrolizzato è attivato => analogo degli ormoni steroidei.<br />
Cause acquisite di ipertensione<br />
Eziologia dell'ipertensione essenziale<br />
• aumento costituzionale, sebbene non costante, dei livelli di renina, adrenalina e noradrenalina, aldosterone, e<br />
cortisolo. La determinazione dei loro livelli dà utili indicazioni per la terapia.<br />
• Si può osservare una disposizione ereditaria famigliare alla ipertensione, su cui agiscono fattori ambientali:<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 127
stress, sedentarietà, eccessiva assunzione di NaCl, fumo, obesità.<br />
• Una azione prolungata di fattori esogeni può portare a ipertrofia della media e ispessimento dell’intima,<br />
aumento delle resistenze periferiche e quindi consolidamento degli elevati livelli di pressione.<br />
• L’ispessimento ialino delle arteriole renali porta alla aumentata secrezione di renina. In alcuni casi la causa<br />
dell’ipertensione può essere un abnorme livello di aldosterone, ritenzione di sodio e acqua e quindi<br />
ipervolemia.<br />
Familiarità per l'ipertensione arteriosa<br />
Complessivamente in Italia la familiarità per l’ipertensione arteriosa riguarda il 41% degli uomini e il 54% delle donne.<br />
• Nord Ovest: il 39% degli uomini e il 50% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />
• Nord Est: il 41% degli uomini e il 53% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />
• Centro: il 43% degli uomini e il 56% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />
• Sud e Isole: il 41% degli uomini e il 56% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />
Genetica molecolare dell'ipertensione<br />
• Iperaldosteronismo glucocorticoide rimediabile (GRA): malattia autosomica dominante in cui l’increzione<br />
di aldosterone è data da ACTH piuttosto che da angiotensina II. Mutazioni del gene dell’aldosterone sintasi e<br />
del 11-beta-idrossilasi steroideo, entrambi contigui sul cromosoma 8, danno origine ad un gene ibrido con<br />
produzione eccessiva di aldosterone nella zona fascicolata del surrene sotto il controllo dell’ACTH.<br />
Aumentano anche i mineralcorticoidi con ipervolemia.<br />
• Sindrome da eccesso apparente di mineralcorticoidi (AME): malattia autosomica recessiva in cui si osserva<br />
stimolazione eccessiva dei recettori del mineralcorticoidi (aumento di ritenzione di sodio e acqua), con livelli<br />
normali (o diminuiti) di aldosterone. Mutazione inattivante del gene per la 11-beta-idrossisteroide idrossilasi,<br />
che dovrebbe convertire il cortisolo a cortisone, che quindi si accumula e stimola il suo recettore.<br />
◦ Nel consumo eccessivo di liquirizia, l’acido glicirretinico inibisce la 11-beta-idrossisteroide idrossilasi<br />
• Sindrome di Liddle malattia autosomica dominante in cui si ha basso livello di mineralcorticoidi, ma un<br />
canale del sodio costitutivamente attivato nel tubulo renale. Come conseguenza si ha riassorbimento eccessivo<br />
di Na e acqua, indipendente da mineralcorticoidi con conseguente ipervolemia e ipertensione.<br />
◦ La sindrome di Liddle è causata da una mutazione di un canale del sodio (denominato ENaC) a livello del<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 128
locus 16p12-p13. L'effetto della mutazione è una modificazione del canale che ne impedisce la<br />
degradazione da parte del sistema proteosomico dell'ubiquitina.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 129
Acquaporine<br />
Le acquaporine (AQP) sono una famiglia di proteine-canale che facilitano il flusso molto veloce delle molecole d’acqua<br />
all'interno o all'esterno delle cellule di specifici tessuti che richiedono questa capacità (tubuli prossimali, eritrociti,<br />
membrane dei vacuoli delle cellule vegetali).<br />
L'acquaporina 2 è importante nel processo di riassorbimento dell'acqua nel dotto collettore, la sua attività è regolata<br />
dalla vasopressina (ADH), cioè, in seguito a ipovolemia, si ha la liberazione di ADH che controlla l'attività<br />
dell'acquaporina 2.<br />
• In assenza dell'acquaporina 2, anche se viene liberato l'ormone antidiuretico (ADH), non avviene nessun<br />
riassorbimento, per cui si verifica una patologia chiamata diabete insipido nefrogenico, a differenza del<br />
diabete insipido neurogenico, dovuto ad un mancato rilascio di ADH<br />
• Un eccesso di funzione dell'acquaporina 2 provocherebbe eccessivo riassorbimento d’acqua, ipervolemia e<br />
ipertensione<br />
Prevenzione dell'ipertensione<br />
1. Riduzione del consumo di NaCl<br />
2. Ridurre il peso negli obesi, perché il sangue costituisce circa il 10% del peso corporeo => contribuisce alla<br />
pressione<br />
Links<br />
http://www.salus.it/temacuore/ipertensione.html<br />
http://www.epicentro.iss.it/ben/pre_2002/settembre02/2.htm<br />
http://www.dica33.it/argomenti/cardiologia/ipertensione/default.asp<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 130
IPERLIPOPROTEINEMIE<br />
Eccesso di lipidi nel sangue. Non tutti i lipidi hanno potere aterogeno, solo alcuni sono fattori di rischio per<br />
l'aterosclerosi.<br />
Lipoproteine plasmatiche<br />
I lipidi sono associati a proteine specifiche, dette apolipoproteine, in complessi ad alto peso molecolare.<br />
Le lipoproteine hanno una densità più bassa delle altre proteine del plasma e centrifugate in soluzioni saline di<br />
opportuna densità si muovono verso l'alto (flottazione, tendono a galleggiare).<br />
Lipidi plasmatici<br />
Una quota molto piccola dei lipidi plasmatici è libera, costituita dagli acidi grassi non esterificati (NEFA), nel plasma<br />
associati all'albumina.<br />
Il complesso NEFA-albumina non è compreso di solito tra le lipoproteine plasmatiche perché ha una densità > 1.21<br />
g/mL, che è il limite superiore convenzionale delle tipiche lipoproteine plasmatiche.<br />
Struttura delle lipoproteine<br />
• nucleo centrale apolare (core, in inglese) costituito da lipidi idrofobici, ovvero che non hanno gruppi polari<br />
esposti => trigliceridi e esteri del colesterolo. Il colesterolo diventa apolare quando è esterificato il suo gruppo<br />
alcolico<br />
• rivestimento di lipidi polari (fosfolipidi e colesterolo libero) e proteine (apolipoproteine)<br />
Classi di lipoproteine<br />
Classe Densità (g/mL) Lipidi Apoproteine<br />
Chilomicroni < 0.94 Trigliceridi esogeni apo-B48, anche apo-A (in circolo dalle HDL)<br />
apo-C, apo-E<br />
VLDL 0.94-1.006 Trigliceridi endogeni apo-B100, apo-C, apo-E<br />
IDL 1.006-1.019 Trigliceridi endogeni apo-B100, apo-C, apo-E<br />
LDL 1.019-1.063 ricche di esteri del colesterolo apo-B100<br />
HDL 1.063-1.210 fosfolipidi ed esteri del colesterolo apo A-I, apo-A-II<br />
Da chilomicroni a HDL diminuisce sempre di più la % di trigliceridi e aumenta il colesterolo esterificato con massimo<br />
nelle LDL. La quota proteica va da un minimo nei chilomicroni (2%) e un massimo nelle HDL (55%).<br />
Le LDL non hanno apo-E => non possono interagire con alta affinità con gli epatociti (serve apo-B e apo-E) => restano<br />
a lungo in circolo => maggior potenziale aterogeno.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 131
Chilomicroni<br />
Dall'intestino tenue i grassi alimentari vengono assorbiti, prima scissi dalla lipasi enterica, poi riesterificati, uniti a<br />
apoproteine A, B-48, C, E=> chilomicroni.<br />
I chilomicroni passano nella linfa e giungono al circolo venoso. La lipasi lipoproteica, presente sull'endotelio dei<br />
capillari di tessuto adiposo e muscolare scheletrico (ma anche di altri tessuti), scinde i trigliceridi in acidi grassi non<br />
esterificati => diventano NEFA o sono consumati nella beta-ossidazione, oppure nel tessuto adiposo possono essere<br />
riesterificati a trigliceridi di deposito.<br />
I chilomicroni in circolo scambiano con HDL apo-A, apo-C, trigliceridi e colesterolo.<br />
Dopo questo processo di scambio con HDL, cessione di trigliceridi a endotelio e poi al tessuto adiposo e muscolare, il<br />
chilomicrone perde apo-A e apo-C => resta solo con apo-B48 e apo-E => è detto residuo chilomicronico => captato<br />
dal fegato.<br />
Lipoproteine<br />
Il fegato può esportare le VLDL, che contengono apo-B-100, apo-E, apo-C. La VLDL perde parte dei trigliceridi<br />
attraverso l'interazione con la lipasi lipoproteica endoteliale => IDL => può essere captata dal fegato, oppure se resta in<br />
circolo si trasforma in LDL perdendo apo-E (resta apo-B-100).<br />
Circa il 70% delle LDL è captata dal fegato dal recettore per LDL, ma mentre le IDL possono interagire sia col recettore<br />
E (per apo-E) che col recettore B (per apo-B), le LDL possono interagire solo col recettore B, quindi con minore<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 132
affinità.<br />
Una parte di LDL resta quindi a lungo in circolo. Se si ossidano possono essere captate dai recettori scavenger dei<br />
monociti/macrofagi. In caso di iperlipoproteinemie i macrofagi acquisiscono più LDL del normale e possono diventare<br />
cellule schiumose.<br />
Le HDL sono prodotte dal fegato e assorbono fosfolipidi, ma soprattutto colesterolo da IDL e dalle cellule dei tessuti<br />
(evitando un eccesso di colesterolo), tramite la lecitina-colesterolo-acil-transferasi (LCAT) possono esterificare il<br />
colesterolo e cederlo a IDL e fegato.<br />
Gli enzimi importanti nel trasporto delle lipoproteine sono:<br />
− lipasi lipoproteica (soprattutto si trova a livello del tessuto adiposo e del muscolo striato) = consente l'idrolisi<br />
dei trigliceridi di chilomicroni e VLDL, consentendo l'utilizzazione degli acidi grassi<br />
− lipasi epatica (simile alla lipasi lipoproteica) = partecipa alla lipolisi<br />
− LCAT (lecitina-colesterolo-acil-transferasi) = enzima delle HDL responsabile della sintesi della maggior parte<br />
degli esteri del colesterolo<br />
Le LDL hanno effetti sulle cellule endoteliali, sulle cellule muscolari lisce, sui monociti/macrofagi. Cellule presenti<br />
nelle lesioni aterosclerotiche possono ossidare le LDL, le LDL ossidate:<br />
• Alterano il tono vascolare<br />
• Attivano infiammazione<br />
• Tossiche per le cellule endoteliali<br />
• Chemotattiche per i macrofagi<br />
Scambio dei componenti delle lipoproteine plasmatiche<br />
I componenti superficiali di ciascuna lipoproteina scambiano con quelli di altre lipoproteine e con quelli delle<br />
membrane cellulari.<br />
Fanno eccezione le apo-B (B-100 delle VLDL e IDL, e B-48 dei chilomicroni) che non vengono mai scambiate: sono<br />
parte integrante e vi rimangono anche durante importanti trasformazioni, come VLDL => IDL => LDL o nel passaggio<br />
CM => residuo CM.<br />
Funzione delle apolipoproteine<br />
Esempi:<br />
− apo-C-II attiva la lipasi lipoproteica degli endoteli capillari dei tessuti extra-epatici<br />
− apo-A-I, apo-C-I e forse apo-D attivano LCAT (lecitina-colesterolo-acil-transferasi)<br />
− apo-B-100 e apo-E sono segnali per recettori (con maggiore affinità se sono entrambe presenti)<br />
IPERLIPOPROTEINEMIE FAMILIARI<br />
Fenotipo Lipoproteine<br />
aumentate<br />
Classe di lipidi aumentata Rischio<br />
aterosclerosi<br />
Alterazione genetica nota<br />
tipo I CM Aumento massivo di trigliceridi minimale Mut. gene lipoproteinlipasi<br />
tipo IIa LDL colesterolo forte Mut. gene per recettore apo-B o<br />
gene apo-B<br />
tipo IIb LDL e VLDL colesterolo e trigliceridi forte Mut. gene per recettore apo-B o<br />
gene apo-B<br />
tipo III residui CM e IDL trigliceridi e colesterolo forte Mut. gene per recettore apo-E<br />
tipo IV VLDL trigliceridi Sconosciuto<br />
tipo V VLDL e CM trigliceridi e colesterolo normale Mut. gene per recettore apo-C-II<br />
Iperlipoproteinemie familiari<br />
• deficienza familiare di lipasi lipoproteica = tipo I, autosomica recessiva<br />
• accumulo di chilomicroni nel plasma<br />
• coliche addominali ripetute<br />
• attacchi di pancreatite<br />
• xantomi (placche cutanee giallastre)<br />
• epatosplenomegalia<br />
• scarsa tendenza alla aterosclerosi<br />
• deficienza familiare di apolipoproteina C-II = tipo V, autosomica recessiva (rarissima), poiché C-II è un<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 133
attivatore della lipasi lipoproteica degli endoteli:<br />
• accumulo nel plasma di chilomicroni e VLDL<br />
• attacchi di pancreatite<br />
• siero lattescente a digiuno<br />
• non c'è tendenza all'aterosclerosi precoce<br />
• ipercolesterolemia familiare = tipo II, autosomica dominante, frequente (1:500), difetto nei recettori delle<br />
LDL (B-E) presenti sugli epatociti e su molte altre cellule<br />
• omozigoti => 600-1000 mg/dL di colesterolo<br />
• eterozigoti => 250-500 mg/dL di colesterolo<br />
• aumento selettivo LDL con ipercolesterolemia<br />
• xantomi nei tendini e xantelasmi (palpebrali, anche arcus lipoides sulla cornea, prima dei 10 anni)<br />
• ateromi nelle arteriole<br />
• precoce aterosclerosi coronarica<br />
• infarti precoci del miocardio<br />
• iperlipoproteinemia tipo III familiare = anomalo allele E d al posto del normale E n nel locus genetico<br />
polimorfico che specifica la struttura dell'apo-E: apo-E alterata, con scarsa affinità per i recettori epatici,<br />
quindi:<br />
• accumulo IDL<br />
• xantomi cutanei (palmari e plantari, papulonodosi) e palpebrali (xantelasmi)<br />
• grave forma di aterosclerosi precoce<br />
Anomalie dei recettori epatici delle LDL (recettori B-E) nell'ipercolesterolemia familiare<br />
Si conoscono almeno 3 mutazioni:<br />
1. è presente un gene che codifica per un prodotto genico che non ha proprietà di recettore<br />
2. è prodotto un recettore con bassissima attività legante (1-10% del normale)<br />
3. è prodotto un recettore che lega normalmente la LDL ma non è capace di trasportarla all'interno dell'epatocita<br />
<strong>DI</strong>SOR<strong>DI</strong>NI ERE<strong>DI</strong>TARI DEL METABOLISMO LIPI<strong>DI</strong>CO E RELAZIONE CON L’ATEROSCLEROSI<br />
Varianti di apoE<br />
Il locus genico di apoE è polimorfico (19q): E2, E3, E4 sono varianti comuni, con 6 fenotipi, che spiegano la variabilità<br />
individuale del livello di colesterolo<br />
• apoE 3/3 è il più frequente.<br />
• apoE 3/2 ha un livello di colesterolo più basso del 20% di apoE 3/3<br />
• apoE4 è l’allele che dà il più alto livello di colesterolo<br />
• negli ottuagenari (persone tra gli 80 e 90 anni) maschi bassa frequenza di E4 e alta di E2<br />
Lipoproteine ad alta densità<br />
• Correlazione inversa tra livello di colesterolo HDL e malattia ischemica cardiaca<br />
• apoA1 a apoCIII sul cromosoma 11 e fisicamente concatenati<br />
• Polimorfismi di apoA1 associati ad aterosclerosi precoce<br />
• I livelli di HDL variano con il genere, lo stile di vita e le abitudini alimentari<br />
• Alti livelli di HDL: genere femminile, attività fisica e moderato consumo di alcol<br />
• Bassi livelli di HDL: obesità del tronco, diabete, fumo di sigaretta, androgeni<br />
Lipoproteina(a)<br />
• Lp(a) è una particella simile all’LDL in cui l’apo(a) e legata con ponte di disolfuro a apoB-100<br />
• Apo(a), correlata geneticamente al plasminogeno, potenzia il trasporto di colesterolo ai vasi danneggiati,<br />
sopprime la produzione di plasmina, promuove la proliferazione di cellule muscolari lisce<br />
• Lp(a) associata ad alto rischio di aterosclerosi (relazione tra aterosclerosi e trombosi)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 134
LE ANEMIE<br />
Definizione dal punto di vista fisiopatologico: è la condizione in cui la quantità o la qualità dei globuli rossi o del<br />
patrimonio emoglobinico non soddisfa la richiesta di ossigeno nei tessuti => “ridotta capacità del sangue di ossigenare i<br />
tessuti”.<br />
Definizione dal punto di vista della pratica clinica: quando si osservi una riduzione della concentrazione<br />
dell’emoglobina al di sotto dei valori ritenuti normali per quel dato individuo. Il riferimento per la valutazione dello<br />
stato anemico è il valore della concentrazione ematica dell’emoglobina (essendo l’anemia una “diminuzione del<br />
patrimonio emoglobinico”).<br />
Concentrazione di Hb = peso Hb (g) / volume di sangue (dL) = g/dL<br />
NB: concentrazione, non quantità!<br />
Si tratta di un valore di concentrazione in cui si assume costante il volume ematico => valutare con attenzione, bisogna<br />
tenere quindi conto:<br />
• della possibilità che la riduzione della concentrazione sia imputabile non ad una riduzione di Hb ma ad<br />
emodiluizione, come accade nella gravida nei mesi alti di gravidanza (anemia factitia = fasulla) => nell'ultimo<br />
trimestre c'è un aumento del volume plasmatico per ritenzione idrica<br />
• della possibilità che il valore di concentrazione (misurato su un campione di sangue) non sia quantitativamente<br />
rappresentativo del patrimonio emoglobinico, come può accadere, ad esempio, in una grave emorragia acuta<br />
Valori ematologici normali riferiti agli eritrociti (da esame emocromocitometrico) [non sono da sapere]<br />
• Numero degli eritrociti (in un mm3 di sangue) x 10 6<br />
◦ 4,4-5,9 nell’uomo - 3,8-5,2 nella donna<br />
• Concentrazione della emoglobina (g/dl di sangue)<br />
◦ 13,3-17,7 nell’uomo - 11,7-15,7 nella donna<br />
• Ematocrito (volume percentuale occupato dalle cellule nel sangue)<br />
◦ 39,8-52,2 nell’uomo - 34,9-46,9 nella donna<br />
• Volume Corpuscolare Medio (MCV) (μm3) Ht/n°<br />
◦ 80,5-99,7 nell’uomo - 80,8-100,0 nella donna<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 135
• Emoglobina Corpuscolare Media (MCH) (pg) Hb/n°<br />
◦ 26,6-33,8 nell’uomo - 26,4-34,0 nella donna<br />
• Concentrazione Hb corpuscolare media (MCHC) (g/dl di GR) Hb/Ht<br />
◦ 31,5-36,3 nell’uomo - 31,4-35,8 nella donna<br />
I valori vanno sempre interpretati (in particolare la concentrazione dell'Hb) in relazione a criteri fisiopatologici, ed<br />
essere confermati solo dopo l'inserimento nel contesto clinico. Ad es. in un cardiopatico c'è già una situazione di<br />
compromissione che non garantisce un apporto ematico corretto, quindi anche un valore di Hb che appare leggermente<br />
basso, ma non problematico in una persona normale, può essere importante. I criteri per la trasfusione cambiano sulla<br />
base dello stato del paziente (es. cardiopatico o no).<br />
Striscio di sangue<br />
per valutare uno stato anemico si guardano i globuli rossi e in particolare i loro:<br />
• colore = se è normale (bisogna conoscerlo per valutarlo)<br />
◦ Normocromico: contenuto di emoglobina normale e, quindi, normale colorito; normocitico aspetto<br />
normale degli eritrociti per forma e dimensioni<br />
◦ Ipercromia o ipocromia: maggiore o minore contenuto di emoglobina (Hb)<br />
◦ Policromasia: colore vario degli eritrociti, da cellula a cellula<br />
• dimensioni<br />
◦ il globulo rosso normale è grande poco più di 7 um (media circa 7,3 um), ma è variabile nei soggetti<br />
◦ Anisocitosi: dimensioni variabili tra gli eritrociti<br />
◦ Macrociti e microciti: eritrociti più grandi o più piccoli<br />
▪ Microciti: per difetto di emoglobinizzazione provocato da carenza di ferro (anemia sideropenica) o da<br />
difetto di sintesi della emoglobina (talassemie).<br />
▪ Macrociti: per eritropoiesi megaloblastica, displasia midollare<br />
• forma<br />
◦ forma normale = biconcava<br />
◦ Poichilocitosi: forma variabile tra gli eritrociti (a “lacrima”, ad elmetto, forme frammentate, ecc.) per<br />
presenza di aggregati deformanti<br />
◦ Sferociti (eritrociti sferici che nello striscio appaiono fortemente emoglobinizzati): indicativi, solitamente,<br />
di un danno della membrana. Questo può essere la conseguenza di un difetto genetico o di una anomalia<br />
acquisita (es. danno da anticorpi)<br />
◦ Cellule a bersaglio (eritrociti con un’area centrale colorata). Per formazione di aggregati intraeritrocitari.<br />
Es. talassemie<br />
◦ Ellissociti (eritrociti di forma ovale o ellittica): in danni della membrana da difetto genetico<br />
◦ Schistociti (eritrociti allungati): indicano un danno subito nella microcircolazione in caso di<br />
microangiopatia. Poichilocitosi di grado variabile si ha nelle anemie megaloblastiche ed in altre patologie<br />
della eritropoiesi.<br />
• Anisopoichilociti: nelle talassemie<br />
• Drepanociti (eritrociti a forma di falce): anemia falciforme<br />
• Acantocitosi: disordini genetici del metabolismo lipidico<br />
• Inclusioni: granuli di ferro (siderociti), corpi di Howell-Jolly e anelli di Cabot (residui nucleari), corpi di<br />
Heinz (precipitati di emoglobina o di subunità della globina, ad es. nelle talassemie). Si osservano soprattutto<br />
dopo splenectomia<br />
E' importante valutare anche:<br />
• Ferritina = forma di deposito del ferro, se è bassa significa che sono state esaurite anche le riserve<br />
• Transferrina = froma di trasporto del ferro<br />
• Emosiderina = prodotto di polimerizzazione e di insolubilizzazione della Ferritina<br />
• presenza di reticolociti = importantissima, perché se presenti nell'anemico indicano che il midollo osseo<br />
funziona e l'anemia è dovuta ad es. ad una emorragia, comunque non deriva da una patologia del midollo<br />
La sintomatologia dell’anemico<br />
La sintomatologia dell’anemico interessa molti organi ed apparati; gran parte di essa riflette un adattamento<br />
compensatorio cardiovascolare e respiratorio all’ipossia tissutale:<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 136
• ASTENIA, <strong>DI</strong>SPNEA, TACHIPNEA, CAR<strong>DI</strong>OPALMO (il cuore batte forte) DA SFORZO sono fra i primi<br />
sintomi lamentati dall’anemico.<br />
• PALLORE DELLA CUTE E DELLE MUCOSE, evidente nel letto ungueale (unghie), nella mucosa<br />
congiuntivale, sul palmo delle mani. Nell’anemico varia la distribuzione di sangue tra tessuti a bassa richiesta<br />
di O2, come la cute (vasocostrizione) e tessuti ad alta richiesta (miocardio, tessuto cerebrale). Secchezza della<br />
cute, delle mucose, capelli secchi e fragili.<br />
• AUMENTO DELLA GITTATA CAR<strong>DI</strong>ACA: si verifica solo quando la conc. Hb scende al di sotto di 7-8 g/dl<br />
di sangue. Al di sotto di tale valore la gittata cresce proporzionalmente alla diminuzione di Hb, sino a 4-5 volte<br />
il normale.<br />
• <strong>DI</strong>MINUZIONE DELLA VISCOSITÀ DEL SANGUE E AUMENTO DELLA VELOCITÀ <strong>DI</strong> CIRCOLO. Il<br />
sangue delle coronarie è già insaturo a riposo, per cui ogni ulteriore richiesta di O2 da parte del tessuto<br />
miocardico richiede un aumento del flusso piuttosto che una maggior estrazione di O2. Perciò, in presenza di<br />
coronaropatie, l’anemia può provocare angina. In generale, l’anemico è in uno stato iperdinamico che può<br />
portare, soprattutto un soggetto già compromesso, a scompenso cardiaco.<br />
• Frequentemente compaiono SINTOMI A CARICO DEL SNC: cefalea, acufeni, vertigine, facile affaticabilità e<br />
mancanza di concentrazione nell’impegno intellettuale, irritabilità.<br />
• APPARATO GASTROENTERICO: anoressia, difficoltà digestive, nausea, irregolarità dell’alvo. Caratteristico<br />
di alcune forme di anemia è il picacismo<br />
◦ picacismo = un bimbo piccolo che mangia pezzettini di carta, gesso, pietruzze, ecc., cose asciutte<br />
soprattutto, nella gran parte dei casi è segno di anemia. I bambini, soprattutto maschi cresciuti in fretta,<br />
quando attorno ai sei mesi vengono svezzati, hanno bisogno di ferro (carne), si può instaurare anemia,<br />
difficile da diagnosticare in un bimbo così piccolo, il picacismo è un segno importantissimo<br />
E' importante sapere se l'anemia si è instaurata velocemente o lentamente:<br />
− lentamente = è più facile che si instaurino dei meccanismi di compenso<br />
− velocemente = è più pericolosa<br />
Classificazione delle anemie<br />
Le anemie possono essere distinte in base a:<br />
• CLASSIFICAZIONE FISIOPATOLOGICA = in base alla diversità delle cause, come ad es.:<br />
• anemie da carenza di ferro<br />
• anemie emolitiche<br />
• anemie da aplasia midollare<br />
• etc.<br />
• MORFOLOGIA ERITROCITARIA<br />
• anemia macrocitica<br />
• anemia microcitica<br />
• anemia normocitica<br />
• anemie da iperemolisi<br />
Anemia microcitica<br />
L’anemia MICROCITICA è caratterizzata dalla diminuzione del diametro medio dei globuli rossi. E’ un’anemia<br />
IPOCROMICA, vale a dire con basso contenuto di Hb per globulo rosso.<br />
• per insufficiente introduzione di ferro attraverso l’alimentazione (es. tardiva introduzione di alimentazione<br />
carnea nel lattante da svezzare)<br />
• per aumentata necessità funzionale di ferro da parte dell’organismo (es. nell’adolescenza)<br />
• carenza di ferro per insufficiente assorbimento del ferro di origine gastrica o intestinale<br />
• emorragie occulte<br />
Vi sono inoltre anemie microcitiche da causa non ben definibile:<br />
• anemia ipocromica essenziale<br />
• clorosi (malattia verde delle giovanette)<br />
Anemia normocitica<br />
L’anemia NORMOCITICA è un’anemia caratterizzata da normalità del diametro medio dei globuli rossi. E’ un’anemia<br />
NORMOCROMICA vale a dire con normale contenuto di emoglobina per globulo rosso. Ciò nonostante, la<br />
diminuzione del numero di globuli rossi è tale da comportare ugualmente una riduzione del patrimonio emoglobinico<br />
totale.<br />
L’anemia normocitica può essere dovuta a:<br />
• emorragia acuta<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 137
• insufficienza midollare (aplasia idiopatica primitiva o acquisita da radiazioni o infettiva)<br />
Anemia macrocitica<br />
L’anemia macrocitica è un’anemia caratterizzata dall’aumento del diametro medio dei globuli rossi che normalmente si<br />
aggira intorno a 7,2 um.<br />
E’ un’anemia ipercromica, cioè con alto contenuto di Hb per globulo rosso. Tuttavia la riduzione del numero dei globuli<br />
rossi è tale per cui la quantità totale di Hb finisce per essere inferiore alla norma.<br />
L’anemia macrocitica da mancanza di vitamina B12 è detta “anemia perniciosa” e può essere dovuta a:<br />
• carenza alimentare di vit. B12 (rarissima, 5mg nel fegato, 1-2 ug /die il fabbisogno)<br />
• carenza del fattore intrinseco che trasporta la vitamina B12<br />
• carenza di acido folico<br />
◦ N.B.: la vitamina B12 e l’acido folico esercitano un’attività integrata finalizzata alla sintesi<br />
macromolecolare (DNA , soprattutto, e proteine) nelle cellule emopoietiche. La compromissione della<br />
sintesi del DNA inibisce la divisione cellulare, per cui le cellule si accrescono più in volume che in<br />
numero<br />
• cattivo assorbimento nell’intestino della vitamina B12 legata al fattore intrinseco (tale legame si verifica nello<br />
stomaco)<br />
• alterazione dell’organo di deposito (fegato) della vitamina B12 (ad esempio per cirrosi epatica)<br />
Anemie emolitiche<br />
L’anemia emolitica è un’anemia non classificabile tra le precedenti, dovuta ad iperemolisi conseguente ad alterazioni<br />
morfologiche varie degli eritrociti oppure alla presenza nel plasma di particolari fattori capaci di provocare emolisi.<br />
Tra le forme legate al difetto intraglobulare ricordiamo:<br />
• la sferocitosi ereditaria o anemia emolitica costituzionale<br />
• la talassemia maior o morbo di Cooley<br />
• l’anemia depranocitica o falciforme<br />
• il favismo (deficienza di G-6-P deidrogenasi)<br />
Tra le forme legate al difetto extraglobulare ricordiamo:<br />
• la malattia emolitica del neonato<br />
• l’anemia emolitica post-trasfusionale<br />
• l’anemia emolitica da autoanticorpi<br />
Note sull’anemia depranocitica o falciforme:<br />
• Sulla base di una mutazione genica, val al posto di glu in posizione 6 nella catena beta di Hb. Hb diviene<br />
insolubile quando, de-ossigenata, forma cristalli (tactoidi) che inducono nel gr la caratteristica deformazione<br />
Note sul favismo (deficienza di G-6-P deidrogenasi):<br />
• Il gr non resiste agli stress ossidativi indotti da fave e da alcuni farmaci (sulfamidici, fenacetina) perché è<br />
carente il GSH che dovrebbe essere rigenerato dall’enzima G-6-PD (carente per mutazione)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 138
ERITROPOIESI<br />
Le emoglobine si presentano in diverse forme tetrameriche a seconda dello stato embrionale o adulto:<br />
1. il primo organo emopoietico è il sacco vitellino => emoglobina ζ2ε2 (Hb Gower 1) e ζ2γ2 (Hb Portland)<br />
2. l'emopoiesi poi passa al fegato => emoglobina α2ε2 (Hb Gower 2)<br />
3. infine inizia l'emopoiesi midollare => emoglobina α2γ2 (Hb F, fetale)<br />
4. emoglobina dell'adulto = α2β2 (Hb A) e α2 δ2 (Hb A2, in piccola %)<br />
Emocitoblasti = emoblasti = cellule staminali emopoietiche (progenitori)<br />
In circolo gli eritrociti prevalgono rispetto ai leucociti, ma a livello midollare c'è una prevalenza di cellule staminali<br />
della serie granulocitaria. Questo perché la vita media di un globulo rosso è 120 giorni, mentre quella dei granulociti è<br />
molto più breve.<br />
Tempo di transito compartimentale = tempo medio trascorso da una cellula in un compartimento, in questo caso si<br />
intende quello midollo-ematico.<br />
• proeritroblasti => eritroblasti basofili => e. policromatofili (inizia accumulo di Hb) => e. ortocromatici (Hb<br />
prevale) => reticolociti => eritrociti<br />
◦ questi termini si riferiscono alla quantità relativa di Hb che si va formando rispetto alla quota di<br />
produzione proteica dell'apparato sintetico della cellula<br />
L'esperimento che ha messo in luce l'importanza delle cellule staminali è l'ablazione midollare mediante radiazioni, se<br />
poi si impiantano cellule di un altro individuo (compatibile immunologicamente) queste colonizzano il midollo osseo e<br />
soprattutto la milza, dalle quali si svilupperanno poi colonie dei tre stipiti cellulari.<br />
Si può dimostrare che ogni colonia deriva da una singola cellula (clone) e questa si chiama CFU-S (colony forming<br />
unit-spleen). Sono in G0 al momento della trasfusione, la mitosi si manifesta quando c'è richiesta cellulare, attraverso<br />
fattori di crescita entrano in ciclo: IL-3, …<br />
CFU-S => possono differenziarsi in BFU-E e poi in CFU-E sotto stimolo dell'eritropoietina => diventano<br />
proeritroblasti.<br />
Per la serie dei granulociti, si hanno inizialmente CFU miste, che devono poi separarsi nelle varie serie.<br />
Ogni giorno circa l'1% dei globuli rossi è sostituito, quindi l'1% degli eritrociti sono reticolociti.<br />
Non tutte le cellule prodotte raggiungono la maturità, normalmente ne muoiono circa il 10%, ma questa quota può<br />
aumentare in casi patologici.<br />
L'RNAm permane fino ai reticolociti (sintetizzato fino al policromatofilo) => il patrimonio emoglobinico poi resta lo<br />
stesso per tutta la vita dell'eritrocita.<br />
Il globulo rosso maturo:<br />
− utilizza il glucosio solo nella via glicolitica<br />
− anucleato (quindi non ha sintesi proteica!)<br />
− senza mitocondri<br />
− la sintesi energetica (ATP) serve alla pompa di membrana e al mantenimento dello stato ridotto del glutatione<br />
per riparare gli stress ossidativi anche a carico di Hb e proteine di membrana<br />
Lo stimolo che governa la sintesi dei globuli rossi (attività eritropoietica) è l'ipossia:<br />
− a bassa pressione parziale di ossigeno dell'aria respirata corrisponde una aumentata eritropoiesi<br />
− l'ormone è l'eritropoietina ed è prodotta dal rene, ha un'emivita di 5 ore, stimola più che altro la CFU-E<br />
probabilmente per differente quantità di recettore<br />
− aumenta la produzione di Hb<br />
− aumenta il numero di globuli rossi in circolo<br />
− vantaggi => se il soggetto è anemico<br />
− svantaggi => se è normale, aumenta la viscosità del sangue con rischi correlati<br />
− controllata dalla perfusione renale, la quale a sua volta dipende da:<br />
− gittata cardiaca<br />
− scambio di gas a livello polmonare<br />
− affinità dell'Hb per ossigeno<br />
Fattori eritropoietici<br />
− ferro = essenziale costituente dell'eme<br />
− vit. B12<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 139
− acidi folici<br />
− acido ascorbico<br />
− altre vitamine<br />
− rame, manganese, cobalto<br />
Ferro<br />
Contenuto nell'organismo in una quantità di 4-6 grammi in varie forme:<br />
− ferro emico = emoglobina, mioglobina, citocromi mitocondriali, citocromi microsomiali<br />
− legato a proteine di trasporto come la transferrina<br />
− legato a proteine di deposito come la ferritina (deposito più labile) e emosiderina (deposito più stabile) in<br />
fegato, milza, midollo osseo (negli istiociti) => possono metterlo a disposizione in caso di necessità<br />
Circa 1mg di ferro viene perduto ogni giorno con desquamazione, urine, feci, maggiore nelle donne per ciclo mestruale.<br />
L'apporto normalmente è molto superiore al fabbisogno, ma viene assorbita solo la quota che serve per far fronte alla<br />
perdita. Non c'è nessun meccanismo per l'eliminazione del ferro, il controllo è solo all'ingresso.<br />
Il ferro alimentare può essere:<br />
− ferro emico => da alimenti carnei => assorbimento diretto come ferro bivalente, assorbito come tale dalla<br />
mucosa enterica, non molto influenzato dalle secrezioni gastrointestinali<br />
− carne rossa => lo è perché ha molta mioglobina<br />
− ferro non emico => è legato a molecole organiche come ferro di deposito (emosiderina, ferritina) per liberarsi<br />
devono essere digerite le proteine dalla secrezione cloropeptica gastrica e deve essere legato a sostanze<br />
chelanti che lo mantengano solubile (fruttosio, acido lattico, acido ascorbico, cisteina) altrimenti precipita<br />
Apoferritina intestinale è depositata nella cellula intestinale => legando il ferro diventa ferritina, ma resta nella cellula<br />
intestinale, che può cederlo alla apotrasferrina plasmatica (che si trasforma in trasferrina, può legare 2 molecole di<br />
ferro) solo se questa non è già saturata. Se non c'è questo fabbisogno il ferro resta nell'enterocita e viene perduto con la<br />
desquamazione intestinale.<br />
− apo = capace di legare<br />
Ci sono anche dei chelanti che legano il ferro e lo rendono indisponibile.<br />
Una situazione di sovraccarico di ferro si può generare in soggetti sottoposti a ripetute trasfusioni, perché si forniscono<br />
globuli rossi e il sistema di controllo intestinale dell'assunzione di ferro è bypassato.<br />
ANEMIE FERROPRIVE<br />
Si intendono quelle anemie nelle quali la disponibilità del ferro è diminuita o ci sono delle perdite maggiori di ferro<br />
rispetto all'apporto. Sono dette anche anemie sideropeniche.<br />
Etiopatogenesi<br />
Periodo neonatale:<br />
• prematurità neonatale (i prematuri necessitano, nel primo anno di vita, di 240 mg Fe rispetto ai 160 mg dei nati<br />
a termine)<br />
• emorragie neonatali con riduzione delle riserve di Fe<br />
• carenze di Fe nella madre<br />
• difettoso apporto per regime latteo prolungato (il latte non ha il regime di ferro necessario)<br />
Periodo dell’adolescenza:<br />
• deficit di apporto di Fe, associato alla maggior richiesta per la maggior velocità di accrescimento<br />
Adulto:<br />
• da eccesso di perdita di Fe, per sanguinamento cronico: ulcera peptica, varici esofagee, neoplasie dello<br />
stomaco e dell’intestino, emorroidi, parassiti intestinali, metrorragie, menorragie che raddoppino o triplichino<br />
la perdita ematica fisiologica.<br />
◦ Il sanguinamento influenza più le riserve di Fe che la massa ematica: 10 ml di sangue corrispondono a 5<br />
mg di Fe, assai più dell’assorbimento quotidiano. Ci sono le riserve, ma se il sanguinamento continua si<br />
arriva ad anemia.<br />
• Da deficit di apporto di Fe (assai più rare): difetti di assorbimento per disturbi digestivi o per gastroresezione<br />
(deficit di HCl e pepsina).<br />
Manifestazioni cliniche<br />
L’anemia da carenza di ferro è inizialmente normocromica, ma al manifestarsi di un deficit di Fe si ha anemia<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 140
ipocromica e microcitica, con aniso-poichilocitosi: diminuzione del MCHC e del MCV.<br />
− MCV = volume degli eritrociti (ematocrito)/numero di eritrociti (dalla conta)<br />
Si evidenzia nel siero un aumento della transferrina insatura.<br />
La protoporfirina IX in carenza di ferro non si può trasformare in eme e si accumula negli eritroblasti => può dar luogo<br />
ad emolisi nelle zone esposte alla luce (vedi malattie fotodinamiche).<br />
Nella carenza di ferro la parte centrale dei globuli rossi è molto più pallida del normale.<br />
Emocromatosi<br />
Eccesso di ferro si può avere in caso di trasfusioni<br />
ripetute.<br />
Il ferro in eccesso si deposita nel fegato, nel pancreas,<br />
nel miocardio, sotto forma di emosiderina => si può<br />
avere una risposta di fibrosi.<br />
Le complicanze della emocromatosi sono sistemiche:<br />
− ipopituitarismo<br />
− pigmentazione cutanea<br />
− insufficienza cardiaca<br />
− cirrosi => carcinoma epatocellulare<br />
− sclerosi della milza e del pancreas => diabete<br />
− artropatia diabetica<br />
− atrofia testicolare<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 141
ERITROENZIMOPATIE<br />
CARENZA DELLA GLUCOSIO-6-P<br />
Metabolismo enzimatico del globulo rosso<br />
Non ha mitocondri, può utilizzare il glucosio per via glicolitica che porta a piruvato e lattato.<br />
L'enzima glucoso-6-P deidrogenasi<br />
trasforma il glucoso-6-P in 6-P-gluconato<br />
(shunt dell'esoso monofosfato), questa<br />
trasformazione è una deidrogenazione ed<br />
è accompagnata da trasformazione di<br />
NADP in NADPH, quest'ultimo riduce il<br />
glutatione (glicina+cisteina) ossidato a<br />
ridotto che serve per ridurre l'ossigeno<br />
singoletto o l'anione superossido che si<br />
possono produrre nei processi ossidativi.<br />
Quindi questa via è molto importante per<br />
la rigenerazione del glutatione ridotto e<br />
contrastare gli stress ossidativi.<br />
Alterazioni della G-6-PD<br />
La carenza di glucosio-6-fosfato<br />
deidrogenasi fu scoperta come risultato di<br />
ricerche sull'effetto emolitico del farmaco<br />
antimalarico primachina.<br />
Le persone carenti di G-6-PD sviluppano<br />
anemia emolitica anche se esposte a<br />
sulfonamidi, acetanilide, fenacetina,<br />
furadantin, e una varietà di altri farmaci.<br />
L'emolisi può verificarsi durante<br />
infezioni, nel periodo neonatale o, in<br />
alcune persone, per esposizione a semi di<br />
fava.<br />
Composti che inducono emolisi nella G-6-PD [non sono da sapere!]<br />
• Analgesici: acetanilide; acido acetilsalicilico; acetofenetidina (fenacetina)<br />
• Sulfonamidi e sulfoni: sulfanilamide; suIfapiridina; diafenilsuIfone; N-acetilsulfanilamide; sulfacetamide;<br />
tiazolsulfone; salicilazosulfapiridina (Azulfadina); Sulfametossipiridazina (Kynex);<br />
• Antimalarici: primachina; pamachina; pentachina; chinocide; chinacrina (Atabrina)<br />
• Agenti antibatterici non sulfonamidici: furazolidone; furmetonolo; nitrofurantoina (Furadantin); nitrofurazone;<br />
cloramfenicolo<br />
• Miscellanea: naftalene; trinitrotoluene; blu di metilene; acido naldissico; fenilidrazina; chinina; chinidina;<br />
acido ascorbico (a dosi massicce)<br />
Alterazioni genetiche della G-6-PD<br />
Il gene per la G-6-PD è nel cromosoma X. Le femmine eterozigoti per la carenza della G-6-PD hanno due popolazioni<br />
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di globuli rossi (mosaicismo): cellule con normale attività enzimatica e cellule con attività enzimatica carente.<br />
La carenza di G-6-PD può essere prontamente individuata per mezzo di un saggio legato al NADP o tramite test<br />
molecolari.<br />
La carenza di G-6-PD è largamente distribuita nelle popolazioni del mondo.<br />
Uno dei fattori che possono causare il mantenimento dell'alta incidenza di tale anormalità in alcune popolazioni è il suo<br />
possibile effetto protettivo contro la malaria da Plasmodium falciparum.<br />
Ci sono molte differenti varianti genetiche della G-6-PD:<br />
− Alcune varianti hanno attività normale e sono interessanti principalmente come marcatori genetici<br />
− La più comune delle varianti comprende la G-6-PD A (trovata in popolazioni Africane), la G-6-PD<br />
mediterranea (trovata nei Greci, negli Ebrei Sefarditi, e in altre popolazioni mediterranee) e la G-6-PD di<br />
Canton (trovata in soggetti Cinesi)<br />
− Meno comuni sono le varianti di G-6-PD funzionalmente molto carenti che causano anemia emolitica non<br />
sferocitica congenita.<br />
− Sono note le mutazioni di G-6-PD e sono state identificate le sostituzioni aminoacidiche<br />
− È nota la sequenza aminoacidica della G-6-PD normale.<br />
Le manifestazioni cliniche della carenza di G-6-PD sono quasi del tutto limitate al suo effetto sugli eritrociti.<br />
• La deficienza di G-6-PD del tipo Mediterraneo è il prototipo di deficienza grave di G-6-PD:<br />
◦ la maggior parte dei pazienti con deficienza di G-6-PD di tipo Mediterraneo non hanno segni clinici o<br />
sintomi se non esposti a farmaci.<br />
◦ a volte contatto (ingestione) con semi di fava o infezioni possono indurre crisi emolitiche<br />
◦ la crisi emolitica è seguita da ittero (aumento di bilirubina circolante che deriva dall'apertura dell'anello<br />
pirrolico dell'EME dopo degradazione dei globuli rossi) che è particolarmente grave quando un soggetto<br />
con deficienza di G-6-PD contrae l'epatite (la bilirubina è prodotta negli organi emocateretici –<br />
soprattutto la milza – e nel fegato è coniugata con acido glucuronico per renderla solubile ed eliminarla<br />
con la bile, in caso di malattia epatica l'ittero si accentua)<br />
◦ in alcuni casi si ha emolisi intravascolare anche senza il concorso manifesto di cause scatenanti, che può<br />
causare gravi disfunzioni renali, perché l'emoglobina libera si scinde nelle 4 globuline, filtrata a livello<br />
glomerulare, captata per pinocitosi dalle cellule tubulari => si accumula e forma una degenerazione a<br />
gocce ialine nelle cellule tubulari, le quali si desquamano formando cilindri ialini, che possono trovarsi<br />
nelle urine e sono segno di affezione renale (non solo in questa malattia)<br />
Patogenesi<br />
La carenza di G-6-PD provoca a sua volta carenza di NADPH necessario per la formazione del glutatione ridotto =><br />
l'Hb diventa sensibile a stress ossidativi => ossidazione di alcuni gruppi SH esposti delle cisteine ne determina<br />
alterazione => può staccarsi l'EME, che precipita e forma corpuscoli di materiale eosinofilo insolubile (corpi di Heinz?)<br />
=> irrigidiscono l'eritrocita => il suo passaggio è rallentato nella milza e questo ne determina l'emolisi (alcuni perdono<br />
solo un pezzo di membrana e tornano in circolo)<br />
Quadro clinico<br />
• è classificabile come anemia emolitica normocitica<br />
◦ anemia = drastica riduzione del numero dei globuli rossi<br />
◦ emolitica = basata sulla distruzione dei globuli rossi<br />
◦ normocitica = le dimensioni dei globuli rossi sono normali<br />
• Correlata ad esposizione a farmaci e fave => non c'è normalmente => in questi casi si hanno rapidi sintomi<br />
anemici (dolori lombari, ittero) => in pochi giorni si arriva a crisi emolitica<br />
◦ Favismo = una delle forme che si presenta solo nel fenotipo mediterraneo, le sostanze chimiche della fava<br />
non sono volatili, perciò l'attacco emolitico deriva solo da ingestione, tuttalpiù da inalazione di pollini<br />
▪ si può avere emoglobinuria se l'emolisi è anche intravascolare<br />
▪ febbre<br />
▪ insufficienza renale per danno tubulare<br />
Diagnosi<br />
• esami di laboratorio con valutazione ematocrito, globuli rossi, presenza di reticolociti è segno di immissione di<br />
nuovi globuli rossi in circolo<br />
• dosaggio dell'attività enzimatica lontano dalla crisi emolitica per valutare se c'è un difetto enzimatico<br />
geneticamente trasmesso<br />
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◦ durante la crisi emolitica vengono messi in circolo continuamente reticolociti, che sono più attivi dei<br />
globuli rossi normali, quindi il test sarebbe invalidato da questo<br />
SFEROCITOSI ERE<strong>DI</strong>TARIA<br />
La sferocitosi ereditaria (eredità dominante, 1/5000, prevalenza 1% in Europa) è una anemia emolitica congenita<br />
provocata da un difetto intrinseco dell'eritrocita che si manifesta negli eterozigoti.<br />
Dall'azione reciproca tra questo intrinseco difetto e il particolare sistema di filtro della milza deriva una prematura<br />
distruzione degli eritrociti.<br />
Gli eritrociti anormali sono sferici e vengono intrappolati nella milza dove essi sono ulteriormente modificati<br />
(“condizionati”) e alla fine distrutti.<br />
La splenectomia è curativa malgrado la persistenza dell'intrinseco difetto ereditario (soprattutto nei bambini la<br />
splenectomia può dar luogo a aumentata suscettibilità alle infezioni).<br />
Difetto della membrana nella sferocitosi ereditaria<br />
Il difetto risiede nella membrana. Si manifesta con una diminuzione nell'area della superficie di membrana, con uno<br />
specifico aumento della permeabilità di membrana al sodio, con una maggiore rigidità della membrana e con una<br />
diminuzione quantitativa dei lipidi di membrana.<br />
Si ritiene che sia alterata una proteina di membrana associata ai lipidi e correlata al trasporto del sodio.<br />
Effetti dell'eritrostasi splenica<br />
Il risultato di questo difetto intrinseco della membrana è uno sferocita con un esterno rigido e con un interno viscoso.<br />
Quando viene intrappolato nella milza ed esposto al basso pH e al basso pO2, sia la sferoidicità sia la rigidità sono<br />
aumentate.<br />
Sebbene le necessità di estrusione attiva del sodio siano soddisfatte da una aumentata velocità glicolitica di queste<br />
cellule in circolo, tali necessità non sono soddisfatte nelle condizioni di eritrostasi che si verificano nella milza.<br />
Con la deplezione energetica la regolazione attiva del flusso dei cationi e perciò il controllo del volume è perduto, la<br />
membrana perde le sue essenziali proprietà di permeabilità e nella agonia cellulare vi è una progressiva perdita dei lipidi<br />
di membrana.<br />
Distruzione degli eritrociti nella sferocitosi ereditaria<br />
Dopo ripetute esposizioni a tali condizioni nella milza, gli sferociti sono danneggiati irreversibilmente.<br />
Le cellule “condizionate” sono riconoscibili come una popolazione percentualmente minore di cellule altamente<br />
sferoidali e osmoticamente fragili nel sangue periferico.<br />
Esse sono più soggette ad essere intrappolate e all'eritrostasi nella milza.<br />
Alla fine esse sono incapaci di fuoriuscire dalla milza e subiscono l'emolisi all'interno della polpa splenica.<br />
Diagnosi<br />
Attraverso una curva di fragilità osmotica: si sottopongono i globuli rossi a diverse concentrazioni di cloruro di sodio e<br />
misurando la quota di emolisi (emoglobina liberata) alle diverse concentrazioni => si osserva che circa 1% dei soggetti<br />
hanno una fragilità osmotica aumentata (osservata in donatori di sangue).<br />
Difetti genetici<br />
Le proteine alterate possono essere le proteine associate alla membrana l'anchirina (difetto più frequentemente<br />
riscontrato), la banda 3, la spectrina, la banda 4.1.<br />
Patogenesi<br />
Il globulo rosso all'esterno è molto rigido, perché perde lipidi, all'interno è iperosmotico perché la permeabilità al sodio<br />
è aumentata => quando viene intrappolato nella milza, esposta quindi a basso pH e basso glucosio, aumenta la sfericità<br />
perché in quello stato va in sofferenza energetica e le pompe di membrana diventano carenti => ogni passaggio nella<br />
milza comporta un danno di membrana => alla fine sono incapaci di fuoriuscire dalla milza e si ha emolisi splenica<br />
Quadro clinico<br />
• anemia emolitica probabilmente accompagnata da emissione di reticolociti<br />
• ittero (blando)<br />
• calcoli biliari di bilirubina<br />
• splenomegalia<br />
• ulcere<br />
• dolori addominali<br />
• alterazioni scheletriche (per forte stimolazione eritropoietica)<br />
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Diagnosi<br />
• si osserva una anemia iperrigenativa normocitica o ?<br />
• sferociti<br />
• aumentata fragilità osmotica<br />
• analisi proteine di membrana può dimostrare alterazioni quali-quantitative<br />
Terapia<br />
• splenectomia<br />
◦ dopo i 20 anni per anemia moderata<br />
◦ aumenta il rischio di sepsi => necessarie vaccinazioni<br />
1/12/09<br />
ANEMIA FALCIFORME<br />
E' stata la prima patologia correlata ad una mutazione puntiforme di un gene, scoperta da Linus Pauling, che ha dato il<br />
via alla patologia molecolare.<br />
I globuli rossi assumono forma di falce, è detta anche anemia drepanocitica (da greco, falce).<br />
Linus Pauling (2 Nobel) coniò il termine "malattia molecolare" per l'anemia falciforme.<br />
La scoperta avvenne in base al fatto che l'emoglobina è alterata (ancora non si conosceva molto del genoma) ed ha una<br />
particolare attività elettroforetica: la migrazione di parte della proteina alterata avviene più lentamente verso il catodo<br />
rispetto a quella normale.<br />
Infatti in posizione 6 della catena polipeptidica della subunità β della Hbs (s = sickle = falce) si ha la mutazione di un<br />
acido glutammico (carico negativamente, è un acido dicarbossilico) in valina (idrofobico) con perdita di una carica<br />
negativa. La mutazione è data dal cambio di una sola base nel DNA (GAG => GUG) Inoltre questa valina interagisce<br />
con un'altra valina della stessa proteina formando un occhiello terminale che abbassa la solubilità della proteina stessa,<br />
inoltre non interagisce con la subunità α (cosa che fa normalmente l'acido glutammico) e quindi anche l'eterodimero αβ<br />
è meno solubile.<br />
Portatore del trait falcemico = è l'individuo eterozigote per il gene mutato, producono 50% di Hb normale e 50% di<br />
Hbs. Risulta protetto dalla malaria perché la vita dei globuli rossi è inferiore e l'agente malarico non può riprodursi<br />
normalmente al loro interno.<br />
La riduzione di solubilità fa assumere all'Hb una forma di gel filiforme (poco solubile) che costringe il globulo rosso ad<br />
assumere la forma di falce. Si verifica prevalentemente nel microcircolo e nel circolo venoso.<br />
L'Hb ossigenata forma tetrameri, ma quella deossigenata no, per cui le subunità β mutate polimerizzano. Gli eritrociti<br />
che fanno parte del sangue deossigenato prendono di conseguenza la forma a falce.<br />
Dopo cicli ripetuti di polimerizzazione/solubilizzazione si formano polimeri insolubili che costringono gli eritrociti ad<br />
assumere la forma a falce. Gli eritrociti aumentano l'adesione all'endotelio e formano dei grumi nei piccoli vasi, con<br />
conseguenti:<br />
− cervello: ictus<br />
− polmone: polmonite, infarti, sindrome toracica acuta<br />
− milza: atrofia<br />
− rene: alterazioni<br />
− colecisti: calcoli, perché aumenta la bilirubina e a livello biliare può precipitare e dare calcoli<br />
− ossa: microtrombi nei canali haversiani con diminuzione del nutrimento osseo<br />
La condizione non è molto grave, tanto che esistono atleti portatori.<br />
ANEMIE MEGALOBLASTICHE<br />
Causate da carenza di vitamina B12 o di acido folico. Ne consegue difetto nel metabolismo del DNA e quindi della<br />
proliferazione e della maturazione cellulare nei tessuti in attiva proliferazione: midollo osseo, epiteli, gonadi, tessuto<br />
nervoso che ha un'attiva sintesi di RNA anch'essa compromessa da carenza di B12.<br />
Nel midollo osseo si ha produzione di eritrociti di forma anomala (eritropoiesi megaloblastica) con presenza in circolo<br />
di GR più grandi (macrociti). I megaloblasti (precursori eritroidi megaloblastici) rappresentano una forma più primitiva<br />
della maturazione eritrocitaria, con aspetti simili a quelli fetali.<br />
La produzione di Hb può avvenire normalmente, a causa di una asincronia tra maturazione nucleare e citoplasmatica.<br />
Vitamina B12<br />
Ha 4 anelli pirrolici, al centro un atomo di cobalto, può avere diversi sostituenti.<br />
E' una vitamina idrosolubile, quindi di norma non passa la membrana cellulare.<br />
Nello stomaco l'acidità e la digestione peptica distaccano la B12 dalle proteine a cui è legata. La B12 si lega ad una<br />
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glicoproteina detta fattore intrinseco prodotta dalle cellule parietali del fondo dello stomaco.<br />
Nell'ileo si trova il recettore per il FI, lo lega, entra nell'enterocita, si libera al polo vascolare e si lega alla<br />
transcobalamina (I e II) che la portano agli organi di utilizzazione e al fegato, dove si accumula.<br />
Fabbisogno quotidiano min. di B12: 1 ug/die, c'è una riserva di B12 nel fegato i circa 2 mg => riserva per alcuni anni.<br />
B12 interviene in 2 processi:<br />
− conversione di metil-malonil-coA in succinil-coA<br />
− carenza di B12 => accumulo di metil-malonil-coA (si rileva nelle urine) => danni cerebrali nel neonato<br />
− sintesi dei due desossiribonucleotidi purinici<br />
− carenza di B12 => ridotta/mancata sintesi del DNA<br />
− conversione dell'omocisteina in metionina, aiutata anche da acidi folici<br />
− carenza di B12 => aumento di omocisteina in circolo => aumento del rischio di aterosclerosi e trombosi<br />
Acido folico<br />
Captato direttamente nell'ileo con il poliglutammato.<br />
La carenza di B12 compromette più la sintesi del DNA che non quella proteica => la quantità di Hb non è ridotta negli<br />
eritrociti, i cui precursori diventano molto grandi perché la sintesi di Hb è continua senza divisione cellulare.<br />
Megaloblasti = precursori eritroidi nel midollo osseo<br />
Macrociti = globuli rossi ingrossati e ipercromatici<br />
Granulociti ipersegmentati = granulociti con numero di lobi superiore a quello ordinario<br />
Esperimento di Castle (1925)<br />
Castle somministrò della carne macinata bovina a soggetti volontari sani => prelevando con una sonda gastrica il<br />
materiale dopo un certo tempo e iniettandolo nello stomaco dei soggetti affetti, questi ultimi andavano incontro a<br />
miglioramento, presentando una crisi reticolocitaria (picco di emissione in circolo di reticolociti) entro pochi giorni =><br />
significa che c'è avvio di una eritropoiesi normale.<br />
− I reticolociti sono degli eritrociti giovani, privi di nucleo cellulare, che sono stati appena immessi nel circolo<br />
sanguigno e conservano per qualche tempo (circa 24 h) un esiguo numero di ribosomi. È proprio questa<br />
caratteristica a determinare la loro denominazione. Infatti con una particolare colorazione precipitano sotto<br />
forma di sostanza granulosa e filamentosa: "reticolare". [da: Wikipedia]<br />
La carne bovina pertanto doveva contenere un fattore estrinseco (la vit. B12), mentre il succo gastrico dei soggetti sani<br />
un fattore intrinseco.<br />
Anche la dieta contenente fegato crudo migliora la situazione: contiene grande quantità di B12, che pertanto può essere<br />
assorbita (in piccola parte, ma sufficientemente) anche in assenza di FI.<br />
Si vide come lo stesso fattore (B12) era anche un fattore di crescita batterico: si poterono fare esperimenti in vitro per<br />
determinare la sostanza e purificarla.<br />
L'identificazione e la purificazione della B12 fu un lavoro lunghissimo, che richiedette un avanzamento delle<br />
conoscenze anche in microbiologia.<br />
Causa della carenza di B12 => come si giunge all'anemia perniciosa<br />
1) Ridotto apporto dietetico: nell’alimentazione esclusivamente vegetariana (raro)<br />
2) Ridotto assorbimento da mancanza di fattore intrinseco. Può essere:<br />
− congenito (autosomico recessivo, raro)<br />
− secondario a gastrectomie<br />
3) Difettosa utilizzazione, perché un'alterazione della flora batterica intestinale può portare ad un eccessivo<br />
consumo della B12 nell'ileo e quindi un inferiore assorbimento<br />
4) Atrofia della mucosa gastrica => CAUSA PIÙ FREQUENTE<br />
− su predisposizione genetica, c'è una familiarità, più frequente in soggetti di certe popolazioni (Scandinavi),<br />
c'è un'associazione col gruppo sanguigno A<br />
− ha una patogenesi autoimmunitaria<br />
− caratterizzata da infiltrazione linfocitaria, assenza di secrezione cloro-peptica anche dopo stimolazione con<br />
istamina e prostaglandine<br />
− sono evidenziabili autoanticorpi contro le cellule parietali delle ghiandole gastriche, nonché IgG e IgA<br />
contro il fattore intrinseco nel siero, nella saliva e nel succo gastrico<br />
5) Ridotto assorbimento di B12 nell'ileo a causa di:<br />
− resezioni chirurgiche dell’ileo<br />
− ileiti (infiammazione dell'ileo)<br />
− morbo di Crohn = infiammazione cronica dell'apparato gastrointestinale, più frequentemente dell'ileo terminale<br />
e del colon<br />
− diverticoli con stasi e alterazione flora batterica<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 146
− infestazioni da elminti<br />
6) Deficit congenito di transcobalamina.<br />
Disturbi caratteristici dell'anemia perniciosa<br />
− anemia<br />
− glossite atrofica = la lingua è liscia senza papille, fessurata e ulcerata<br />
− sindrome neurologica<br />
− si manifesta con degenerazione dei cordoni laterali e dorsali del midollo spinale: inizialmente si ha<br />
rigonfiamento di singole fibre mieliniche, e poi confluenza in larghi foci che coinvolgono molti sistemi di<br />
fibre<br />
− degenerazione a chiazze nella sostanza bianca del cervello.<br />
− vari quadri clinici: manifestazioni cerebrali con “pazzia megaloblastica”, alterazioni del gusto e<br />
dell’olfatto, difetti della vista con scotoma centrale e atrofia del nervo ottico, atassia (ridotta funzione dei<br />
cordoni dorsali), neuropatia periferica e paraplegia spastica<br />
− in aggiunta alle lesioni neurologiche c’è colorito itterico per aumento della bilirubina non coniugata<br />
(dovuta a morte precoce dei globuli rossi) e, in 1/3 dei casi, splenomegalia<br />
Anemia da carenza di acidi folici<br />
Causa della carenza di acidi folici:<br />
− Ridotto apporto: dieta povera in frutta e verdura;<br />
− Ridotto assorbimento: malattie del digiuno: morbo celiaco, malassorbimento, sprue tropicale<br />
− Aumentato fabbisogno: gravidanza; aumentata attività midollare come nelle anemie emolitiche croniche,<br />
sindromi mieloproliferative<br />
− Iatrogene: Farmaci antiblastici, come il metotrexate e antifolati; farmaci anti-convulsivanti, probabilmente<br />
alterando l’assorbimento intestinale<br />
− Il quadro clinico è simile a quello da carenza di B12, ma mancano i sintomi neurologici<br />
Fisiopatologia delle anemie megaloblastiche<br />
− Sono un esempio di eritropoiesi inefficace. Anemia marcata => eritropoietina => iperplasia midollare con<br />
distruzione intramidollare di precursori eritrocitari perché alterati.<br />
− L’eritropoiesi midollare è aumentata sino a 3x rispetto alla norma, ma l’effettiva produzione di GR è assai<br />
inferiore alla norma. I GR in circolo hanno vita più breve.<br />
− si arriva a 1,5-2 milioni/mm3 di globuli rossi circolanti<br />
− Con la somministrazione di B12 o di acido folico si ha entro 24 - 48 h una “crisi reticolocitaria”, aumentano i<br />
GR in 3-5 giorni con un picco dopo 7-10 giorni<br />
− guarigione entro 3 mesi<br />
TALASSEMIE<br />
Le SINDROMI TALASSEMICHE o TALASSEMIE sono disordini ereditari della sintesi emoglobinica nelle quali un<br />
difetto genetico comporta riduzione o abolizione della sintesi di una o più catene globiniche con alterazione dei normali<br />
rapporti fra le diverse catene globiniche e con conseguenze ematologiche e cliniche di diversa gravità.<br />
Si tratta di forme particolari di anemia.<br />
Le anemie possono essere classificate secondo criteri fisiopatologici (seguiti fino ad ora), oppure morfologici:<br />
− anemie microcitiche<br />
− anemie macrocitiche<br />
− anemie normocitiche (tipica delle emorragie acute)<br />
Le anemie emolitiche e talassemie sono sindromi che non trovano posto in questa classificazione.<br />
Così chiamate (talassa = mare in greco) perché si tratta di sindromi diffuse in popolazioni che vivono nelle zone situate<br />
lungo il bacino del Mediterraneo.<br />
Difetti genetici causa di talassemia<br />
I difetti genetici che sono alla base delle sindromi talassemiche sono molto numerosi ed eterogenei, mentre le loro<br />
espressioni cliniche o fenotipiche sono relativamente limitate: ne consegue che lo stesso quadro clinico può essere<br />
dovuto ad alterazioni genetiche estremamente diverse.<br />
Diffusione nel mondo e in Italia<br />
Le sindromi talassemiche sono probabilmente le condizioni morbose ereditarie più diffuse nel mondo: bacino del<br />
Mediterraneo, Sud-Est asiatico, Nord Africa, Nord America. In queste regioni sono diffuse anche alcune varianti<br />
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strutturali dell’Hb (es. HbS) per cui non è infrequente che uno stesso individuo possa essere simultaneamente portatore<br />
di uno o più geni per una sindrome talassemica. Grande eterogeneità genetica e, in piccola parte, clinica.<br />
Il quadro clinico varia soprattutto quantitativamente.<br />
In Italia la regione più colpita è quella del delta padano (Ferrara-Rovigo), ma anche la Calabria e la Sardegna.<br />
L'emoglobina<br />
E’ una proteina tetramerica ed è una proteina coniugata. E’ infatti costituita da quattro subunità e ciascuna di queste è<br />
costituita da una catena polipeptidica e da un gruppo ferroso, l’eme (parte prostetica della molecola). Le quattro catene<br />
polipeptidiche sono uguali a due a due e costituiscono la parte proteica vera e propria della molecola.<br />
La globina è sintetizzata nei ribosomi, mentre l’eme nei mitocondri.<br />
Costituita da due catene di tipo alfa e due di tipo beta:<br />
− sul cromosoma 16 si trovano i geni per le catene di tipo alfa (ζ, α, α => ci sono due geni per α)<br />
− ζ = zeta<br />
− sul cromosoma 11 si trovano i geni per le catene di tipo beta (ε, Gγ, Aγ, δ, β)<br />
Diverse combinazioni tra due catene di tipo alfa uguali tra loro e due catene di tipo beta uguali tra loro danno i diversi<br />
tipi di emoglobina:<br />
− embrione<br />
− Hb Gower 1 ( ζ2 ε2)<br />
− Hb Portland ( ζ2 γ2)<br />
− Hb Gower 2 (α2 ε2)<br />
− feto<br />
− Hb F (α2 γ2)<br />
− adulto<br />
− Hb A2 (α2 δ2)<br />
− Hb A (α2 β2)<br />
Classificazione genetica delle talassemie<br />
• α-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene α<br />
◦ tipiche del sud-est asiatico, zona in cui la α-talassemia maior è la causa più frequente di morte fetale<br />
• β-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene β<br />
◦ quelle che osserviamo in Italia<br />
• δβ-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene δβ<br />
• γδβ-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene γ nella vita fetale e di catene δ , β nella vita adulta<br />
Classificazione clinica delle talassemie<br />
• Thalassemia maior: forma grave nella quale la sopravvivenza dipende dalle trasfusioni (e da terapia chelante<br />
del ferro)<br />
• Thalassemia intermedia: condizione meno grave, ma sintomatica, con Hb compresa fra 6 e 9 g/dl e fabbisogno<br />
solo saltuario di trasfusioni<br />
• Thalassemia minor: lieve anemia (Hb > 9g/dl) e modiche manifestazioni cliniche<br />
• Thalassemia minima o trait talassemico: assenza di anemia, alterazioni degli eritrociti e della composizione<br />
emoglobinica<br />
α0 = condizione di mancanza di catene α<br />
α+ = condizione di riduzione di catene α<br />
α-TALASSEMIE<br />
Siccome abbiamo 2 geni per catene α per ogni cromosoma 16 => ci sono diverse possibilità di malattia a seconda di<br />
quanti geni sono mutati:<br />
− 1 mutaz => tratto α-talassemico tipo 2 – portatore sano<br />
− può essere del tutto asintomatica<br />
− pone problemi di diagnosi differenziale con anemia sideropenica e sferocitosi ereditaria attraverso studio<br />
dello stato del ferro<br />
− si può fare un rapporto tra quantità di sintesi di catene α e β è indicativo della malattia (nel tratto αtalassemico<br />
0.7-0.9; nella malattia da HbH 0.4; nell'individuo normale è 1)<br />
− 1 mutaz su un cromosoma + 1 mutaz sull'altro => tratto α-talassemico tipo 1 omozigote<br />
− può essere del tutto asintomatica<br />
− 2 mutaz sullo stesso cromosoma => tratto α-talassemico tipo 1 eterozigote<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 148
− può essere del tutto asintomatica<br />
− 2 mutaz sullo stesso cromosoma + 1 mutaz sull'altro => malattia da HbH (β4)<br />
− quadro clinico di talassemia intermedia<br />
− la HbH ha un eccesso di catene β che le conferisce un'affinità molto elevata per l'ossigeno con<br />
conseguente ipossia tissutale<br />
− 2 mutaz su ogni cromosoma (tutti i geni sono mutati) => idrope fetale γ 4 (leggi: ìdrope) => è la causa più<br />
frequente di morte intrauterina nel sud-est asiatico, la morte sopraggiunge tra la 25a e la 40a settimana di<br />
gestazione, oppure pochi minuti dopo la nascita, se l'Hb embrionale è restata sufficientemente a lungo<br />
β-TALASSEMIE<br />
In questo caso abbiamo un gene solo per ogni cromosoma 11, quindi è più facile che si abbia manifestazione clinica in<br />
caso di mutazione:<br />
− mutazione di un gene = β-talassemia minor, tratto β-talassemico, β-talassemia eterozigote<br />
− eterogeneità nell'espressione clinica del difetto genetico<br />
− mutazione grave di un gene e meno grave sull'altro (questo funziona, ma in maniera ridotta), oppure mutazione<br />
non grave su entrambi i cromosomi (funzionano, ma in maniera ridotta) => β-talassemia intermedia (tipo 2 e<br />
3)<br />
− mutazione grave su entrambi i cromosomi => β-talassemia maior (o β-talassemia omozigote, o morbo di<br />
Cooley)<br />
Morbo di Cooley<br />
Esordisce attorno ai 6 mesi di età (prima ci sono residui di Hb fetale, che non contiene catene β) con uno stato anemico,<br />
i sintomi sono aspecifici: ritardo nella crescita, difficoltà a guarire dagli stati febbrili, pallore.<br />
Se viene eseguito un esame del sangue si nota subito microcitemia.<br />
Se invece non viene riconosciuto la malattia progredisce e a 1-2 anni di età si hanno:<br />
− epatomegalia e splenomegalia con addome batraciano (a rana, molto gonfio)<br />
− alterazioni scheletriche tipiche: fronte espansa, zigomi sporgenti, mascella ipertrofica (quindi i denti dell'arcata<br />
superiore tendono a rimanere sempre scoperti), naso che tende ad infossarsi<br />
− cranio a spazzola = assottigliamento delle ossa piatte del cranio per ipertrofia del midollo osseo al loro<br />
interno => si formano trabecole ossee a filamento/spazzola (visibile in radiografia)<br />
− rarefazione porosa delle ossa di mani e piede e tibia a sciabola (visibili in radiografia)<br />
− ritardo della crescita<br />
− anemia ipocromica e microcitica grave<br />
− anisopoichilocitosi = eterogeneità di forma e dimensioni delle cellule nello stesso striscio di sangue<br />
Dopo splenectomia (che in genere viene eseguita in questi pazienti) si trovano tanti globuli rossi alterati che restano in<br />
circolo, che prima venivano rimossi dalla milza:<br />
− siderociti = si colorano con blu di Prussia, contengono depositi di ferro<br />
Infatti si ha in questi casi patologia da sovraccarico di ferro, che si verifica per aumento dell'assorbimento intestinale<br />
anche in bimbi non trattati. I non trattati muoiono entro i 5-6 anni di vita per patologia da sovraccarico di ferro,<br />
soprattutto con danno a carico di cuore => scompenso cardiaco, fegato => fibrosi e poi cirrosi, ghiandole endocrine,<br />
pancreas => alterazioni funzionali => spesso diabete, gonadi (soprattutto nel maschio ipogonadismo).<br />
I pazienti trattati solo con ripetute trasfusioni vivono fino a circa 20 anni, poi muoiono per sovraccarico di ferro (che<br />
derivava anche dalle trasfusioni stesse aggravandola).<br />
Se i pazienti sono trattati il sovraccarico di ferro compare più tardi, ma in maniera più severa se non si somministrano<br />
chelanti del ferro. Questi pazienti muoiono attorno ai 30 anni, sempre a causa dei depositi di ferro nei tessuti.<br />
Fisiopatologia del morbo di Cooley<br />
All’interno degli eritroblasti: assenza di catene β, eccesso di catene α che, incapaci di formare tetrametri, precipitano<br />
nell’eritroblasto, danneggiandolo irreversibilmente e provocandone la morte intramidollare (eritropoiesi inefficace). I<br />
pochi eritrociti immessi in circolo vanno incontro a sequestro da parte degli organi emocateretici e, così, a precoce<br />
emolisi (iperemolisi periferica).<br />
Vengono prodotti molti globuli rossi, ma sono deformi e tanti vanno anche in circolo.<br />
L’eritropoiesi inefficace e l’iperemolisi periferica sono cause di anemia. L’anemia è a sua volta stimolo per l’increzione<br />
di eritropoietina renale con conseguente iperplasia midollare eritroblastica (deformità scheletriche). Il vantaggio<br />
selettivo a livello midollare degli eritroblasti in cui sono sintetizzate catene γ , porta all’aumento dell’Hb fetale. Questo<br />
riduce la formazione di eritroblasti con precipitati di catene α intraglobulari, ma accentua la situazione anemica per<br />
l’elevata affinità dell’HbF per l’O2 che, perciò, non è ceduto ai tessuti => la condizione anemica si esaspera e alimenta<br />
il circolo vizioso.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 149
La forte stimolazione del midollo osseo ne produce ipertrofia e iperplasia, che sono la causa delle deformità scheletriche<br />
in quelle sedi dove riesce meglio ad espandersi (mascella, zigomi, cranio, mani, ecc).<br />
Nota:<br />
Non si sa perché, ma si è osservato che nei soggetti con β-talassemia intermedia si hanno un meccanismi di compenso<br />
non presenti nei soggetti con talassemia maior:<br />
− degradazione di catene α in eccesso => diminuisce la deformità dei globuli rossi e quindi l'emolisi<br />
intramidollare<br />
− aumento della sintesi di Hb A2 (α2 δ2)<br />
Metodi diagnostici<br />
• Esame emocromocitometrico (Hb, MCH, MCHC, MCV)<br />
• Esame dello striscio di sangue periferico per lo studio della morfologia eritrocitaria<br />
• Conteggio dei reticolociti (forte aumento, molti GR immaturi sono immessi nel torrente circolatorio)<br />
• Esame della resistenza osmotica eritrocitaria (importante, selettivo, perché i GR dei talassemici sono molto più<br />
resistenti dal punto di vista osmotico rispetto ai normali)<br />
• Esame elettroforetico dell’Hb (mette in evidenza le varie forme di globine e la loro quantità quindi il rapporto)<br />
• Valutazione quantitativa dell’Hb fetale mediante tecnica della denaturazione alcalina<br />
• Valutazione quantitativa dello stato del ferro (sideremia e transferrinemia, ferritina sierica)<br />
◦ importante soprattutto nel tratto talassemico perché qui spesso si osserva una microcitemia, che potrebbe<br />
essere dovuta ad anemia sideropenica<br />
• Diagnostica molecolare (studio dei geni dell’Hb, di esecuzione non routinaria)<br />
• Studio della sintesi delle catene globiniche in vitro (per mettere in evidenza il rapporto tra le varie catene<br />
globiniche)<br />
• Estensione degli studi ai familiari<br />
Genetica molecolare<br />
Una grossa delezione è in genere associata a inattivazione di geni, quindi a problematiche gravi, ma talvolta spesso<br />
anche piccole mutazioni puntiformi possono avere gravi conseguenze.<br />
• Frameshift = slittamento nella lettura del codice per delezione di uno o più nucleotidi<br />
• Creazione di un codone di stop o di un codone non senso = ad esempio per mutazioni puntiformi, con<br />
prematuro arresto della traduzione<br />
Interferenza nello splicing degli esoni = per mutazioni anche puntiformi nella giunzione esone-introne e<br />
•<br />
interferenza nella riunione degli esoni dopo la scissione dagli introni. Associate a talassemia β+<br />
• Creazione di nuovi siti di splicing => incorporazione di una parte dell’introne nell’esone per cui l’mRNA non<br />
può essere usato per una sintesi di catene normali. Sono associate a talassemia β0<br />
• Mutazione di una singola base nelle regioni regolatrici situate upstream rispetto alla posizione 5’ con<br />
interferenza nella trascrizione di mRNA<br />
• Delezione di segmenti genici comprendenti numerose basi (sino a 600). Associata a talassemia β0<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 150
GLI ITTERI<br />
Le anemie sono spesso accompagnate alla distruzione dei globuli rossi, da cui può derivare un aumento di bilirubina nel<br />
sangue => conferisce colorazione giallastra di cute, sclere, mucose (anche se in realtà, essendo già rosa, è difficile che<br />
diventino gialle).<br />
Etiologia<br />
• aumentata emolisi midollare o splenica => aumentata liberazione di bilirubina<br />
• Emolisi intravascolare => viene liberato tutto l'EME e filtrato a livello renale => non c'è aumento di<br />
bilirubina<br />
• La bilirubina dovrebbe essere captata dal fegato e qui modificata, ma questi due eventi possono non avvenire<br />
Ci sono quindi 3 cause possibili:<br />
− pre-epatica = per aumento di eritrocateresi<br />
− epatica = per difetto di captazione (sindrome di Gilbert) o di coniugazione<br />
− per epatiti e altri problemi epatici<br />
− post-epatica = per calcoli nelle vie biliari => rigurgito di bile => finisce nel sangue<br />
Per comprendere le cause è importante determinare se la bilirubina è:<br />
− diretta = direttamente rilevabile (titolabile) nel siero con reazione colorimetrica, perché è stata coniugata nel<br />
fegato con 2 molecole di acido glucuronico => si rileva nel siero senza artifici<br />
− indiretta = quando deve essere estratta con alcol, perché non è coniugata e quindi non è idrosolubile (è legata<br />
labilmente all'albumina)<br />
Struttura della bilirubina<br />
Deriva dall'apertura dell'anello tetrapirrolico dell'EME.<br />
E' fotosensibile => può essere degradata dall'esposizione alla luce.<br />
Produzione di bilirubina<br />
Catabolismo: apertura dell'anello dell'EME + fenomeni di riduzione => si stacca il ferro => prodotto lineare non<br />
idrosolubile => veicolata nel sangue complessata a proteine, per lo più albumina => arriva al fegato => recettori<br />
superficiali che la legano e la trasportano nel citoplasma dove trova la ligandina (o proteina Y) e proteina Z.<br />
Nel fegato si lega attraverso l'enzima glucuronil trasferasi all'acido glucuronico (2 molecole) => diventa idrosolubile.<br />
Solitamente va nella bile e costituisce il suo colore verdastro scuro.<br />
A volte dopo la coniugazione con acido glucuronico, se c'è un'ostruzione delle vie biliari viene rigurgitata nel polo<br />
sinusoidale => la si ritrova nel sangue anche in forma coniugata.<br />
Bilirubina serica normale: 1 mg/dL [0,3 - 1,2]<br />
− 70-80% non coniugata (indiretta, pre-epatica, che viene dagli organi emocateretici)<br />
− 20-30% coniugata (diretta, post-epatica)<br />
Ittero = quando la bilirubina serica sale sopra 2-2,5 mg/dL [può arrivare anche a 20-30 mg/dL]<br />
− pre-epatico => per eccesso di emolisi, eccesso di produzione della bilirubina<br />
− anemie sideroblastiche, talassemie, drepanocitosi, eritroenzimopatie, sferocitosi ereditaria => tutte<br />
malattie in cui è aumentata la distruzione dei globuli rossi<br />
− epatico (o epatocellulare) =><br />
− sindrome di Gilbert = difetto lieve nella captazione epatica della bilirubina e della glucuronil-transferasi<br />
(non dà segni clinici)<br />
− sindrome di Crigler-Najjar tipo II => deficit della glucuronil-transferasi<br />
− sindrome di Dubin-Johnson => difetto nella escrezione di bilirubina dagli epatociti alle vie biliari<br />
− se c'è un difetto di coniugazione della bilirubina, questa manca nella bile => le feci sono acoliche =><br />
ipocolorate (ci sono i sali biliari, acido colico e desossicolico che servono per la emulsificazione dei lipidi,<br />
ma non i pigmenti biliari)<br />
− danni epatici da:<br />
− sindrome da ritenzione biliare => aumento della bilirubina coniugata, con colalemia (sali biliari nel<br />
sangue, danno prurito intenso)<br />
− insufficienza epatocellulare (es. per cirrosi) => riduzione anche delle proteine seriche (albumina,<br />
fibrinogeno, ecc.)<br />
− necrosi epatica es. per epatite virale grave => fuoriuscita delle transaminasi epatiche<br />
− infiammazione acuta del fegato => aumento di VES e proteine della fase acuta<br />
− post-epatico<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 151
− calcoli nelle vie biliari => la bile finisce nel sangue<br />
<strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong> DELLE INFEZIONI MICROBICHE<br />
INTERAZIONE DEI MICRORGANISMI CON L’OSPITE: IL PARASSITISMO<br />
Storicità delle malattie infettive<br />
La diffusione di grandi epidemie, il sorgere ed il tramontare di malattie infettive acute e croniche sono correlati alle<br />
modificazioni che l’uomo apporta all’ambiente naturale.<br />
L’esempio più dimostrativo della storicità delle malattie infettive è dato dalla TBC.<br />
Il declino o la scomparsa di una malattia infettiva è in rapporto con il progresso scientifico (scoperta dell’agente<br />
eziologico e delle sue proprietà biologiche) e con quello sociale (migliori condizioni abitative e igieniche, riduzione<br />
della giornata lavorativa, abolizione del lavoro minorile).<br />
Origine delle malattie infettive<br />
Origine filogenetica: saprofiti casualmente penetrati nei tessuti animali possono aver dato origine per mutazioni e<br />
selezione a parassiti; la produzione di tossine e di altri fattori della patogenicità divengono fattori selettivi favorevoli per<br />
il parassita quando attenuano le difese dell'ospite, ma sfavorevoli per il parassita se comportano la morte dell’ospite.<br />
Perciò le condizioni per l’evoluzione dei parassiti sono la patogenicità e la contagiosità, insieme all’associazione<br />
ecologica con animali gregari.<br />
Comparsa di nuove malattie infettive<br />
Il 1979 è stato dichiarato dall’OMS l’anno della estinzione ufficiale del vaiolo. Altre malattie da infezione batterica e<br />
virale sono scomparse o vanno scomparendo, come la poliomielite.<br />
Intanto si assiste alla comparsa di nuove malattie, causate da microrganismi cosiddetti opportunisti, ospiti abituali<br />
dell’uomo, del naso-faringe, dell’intestino, della cute.<br />
Le condizioni per l’instaurarsi di infezioni opportunistiche sono due: modificazioni dell’ecologia del parassita e<br />
compromissione delle difese dell’ospite<br />
Interazioni biologiche<br />
• Simbiosi: associazione tra due specie<br />
• Mutualismo: associazione con vantaggio reciproco delle specie simbionti (es. nei ruminanti i batteri<br />
demoliscono la cellulosa => i batteri si trovano in una nicchia ecologica che consente loro la sopravvivenza, la<br />
mucca riceve composti digeribili)<br />
• Commensalismo: associazione con vantaggio della specie commensale senza danno per l’ospite, che anzi ha<br />
solo un rischio (es. stafilococchi della cavità nasale)<br />
• Parassitismo: associazione tra due specie, delle quali una (parassita) trae vantaggio mentre l’altra (ospite)<br />
riceve danno<br />
Opportunisti = che vivono normalmente nell'organismo umano, ma che possono diventare patogeni se si trovano in<br />
tessuti in cui non stanno normalmente o se c'è compromissione delle difese immunitarie dell'ospite.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 152
Forme di parassitismo<br />
Facoltativi<br />
microrganismi in grado di<br />
vivere vita indipendente al di<br />
fuori dell’ospite (bacillo del<br />
tifo, del colera, del carbonchio)<br />
Occasionali<br />
microrganismi simbionti con<br />
l’uomo in associazione di<br />
commensalismo che possono<br />
occasionalmente acquisire<br />
comportamento parassitario<br />
(ad es. bacterium coli)<br />
Parassiti<br />
Obbligati<br />
microrganismi che non possono<br />
vivere, o che sopravvivono solo<br />
per poco, fuori dell’ospite (ad<br />
es. gonococco)<br />
Saprofiti<br />
microrganismi che vivono<br />
nell’ambiente nutrendosi di<br />
materiale in decomposizione e<br />
possono occasionalmente<br />
assumere comportamento<br />
parassitario<br />
Postulati di Koch<br />
L'agente di una malattia infettiva:<br />
1. deve essere presente in tutti i casi di malattia e la sua distribuzione nel corpo deve essere conforme alla sede e<br />
alla natura delle lesioni patologiche<br />
2. non deve essere presente in caso di altre malattie né in individui sani<br />
3. deve poter essere isolato dai tessuti lesi e crescere in coltura pura per parecchie generazioni<br />
4. l’introduzione, in un animale sensibile, del microrganismo cresciuto in coltura pura deve riprodurre la malattia;<br />
il microrganismo deve poi poter essere isolato di nuovo dai tessuti lesi della malattia sperimentale<br />
Lo straordinario aumento delle conoscenze sulle malattie infettive sostenute da batteri, avvenuto negli ultimi lustri del<br />
1800, condusse Robert Koch (1843-1910), con il suo maestro Henle, a formulare i suoi postulati.<br />
I postulati di Henle-Koch hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo del concetto di «causa» in medicina.<br />
Il fondamento dei suoi postulati è valido ancora oggi: ad esempio, la visione secondo cui un dato microrganismo causa<br />
una determinata malattia è alla base della dimostrazione (avvenuta nel 1977) che la "malattia dei legionari" è provocata<br />
da un batterio o che l'AIDS è provocata da un virus (anni '80).<br />
L'elaborazione dei postulati derivava soprattutto dall'esperienza che Henle e Koch avevano accumulato nel campo della<br />
tubercolosi dell'uomo; il suo agente etiologico, Mycobacterium tuberculosis, è stato denominato «bacillo di Koch»<br />
proprio in onore e memoria al suo «scopritore».<br />
Punti deboli dello schema di Henle-Koch<br />
• ogni malattia viene associata ad un singolo agente e viceversa<br />
• non si tiene conto di altri fattori in aggiunta all'agente principale (es. fattori ambientali, ecc.)<br />
Esistono molte malattie infettive che non rispondono del tutto allo schema rigido di Koch, che ignora i fattori ambientali<br />
e associa «una sola causa ad una malattia e una sola malattia ad una causa».<br />
Il principale limite dei postulati è proprio quello di non considerare la possibilità di una eziologia multipla (una malattia,<br />
molte cause - o meglio: «determinanti») né l'eventualità che una stessa causa possa indurre malattie differenti.<br />
ESEMPIO. Una malattia degli animali emblematica dell'inadeguatezza dei postulati di Koch è la «polmonite enzootica<br />
del vitello», malattia respiratoria che colpisce un gran numero di di animali in un allevamento (morbosità fino al 100%)<br />
e non raramente ad esito mortale (mortalità 20%). Questa malattia non è sostenuta da un singolo agente, ma da una<br />
triade di fattori:<br />
1) stress correlati alle tecniche ed alle condizioni di allevamento (management)<br />
2) una infezione primaria da parte di un virus<br />
3) una infezione secondaria da parte di un batterio<br />
Notare che in questo caso il termine infezione «primaria» e «secondaria» è da riferire al tempo (la primaria avviene<br />
prima della secondaria) e non alla gravità dell'infezione stessa.<br />
<strong>DI</strong>FESE NATURALI DELL’OSPITE<br />
• cute = si oppone con secrezione sebacea e sudore. Se è assottigliata e/o ha perso annessi può essere locus di<br />
infezione<br />
• lacrime = detersione, contengono lisozima<br />
• flora batterica commensale normale = si oppone per competizione biologica<br />
• acido gastrico = normalmente è una barriera, certi alimenti possono proteggere (latte => brucella)<br />
• tappeto mucociliare = es. nella trachea il movimento ciliare ha il compito di allontanare particelle e<br />
microrganismi, se si abbassa la temperatura (es. in trachea isolata di cavallo) il movimento si attenua e si ferma<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 153
a 15°C => questo può favorire l'attecchimento di batteri<br />
• bile, secrezioni salivari e pancreatiche<br />
• sistema di filtro del nasofaringe, secrezioni bronchiali, cervicali, uretrali e prostatiche<br />
• granulociti neutrofili, monociti, fattori del complemento, sistema monocitico-macrofagico, immunoglobuline,<br />
immunità cellulo-mediata<br />
Esempi di vie di disseminazione batterica:<br />
• batteri possono penetrare attraverso cute, gola, polmone, intestino, tratto urinario => questo avviene per<br />
influenza, difterite, dissenteria da shigella, pielonefrite ascendente<br />
• dalla cute possono andare in un linfonodo e poi al circolo ematico => questo aviene per dengue, malaria, tifo<br />
petecchiale<br />
• dal circolo ematico possono localizzarsi poi nel sistema nervoso (poliomielite), cute (varicella), pomoni<br />
(morbillo, rosolia), rene (pielonefrite ematogena), ghiandole salivari (parotite, rabbia), fegato (epatite B, febbre<br />
gialla)<br />
Penetrazione e invasione<br />
Il concetto dell'invasività va sempre valutato insieme alla tossinogenicità, e non sempre sono correlate.<br />
Il processo invasivo può essere superficiale come nel caso di C. diphtheriae e B. pertussis, generalmente ritenuti non<br />
invasivi, ma produttori di tossine. Avviene una adesione locale alle cellule epiteliali del tratto respiratorio, anche se i<br />
danni sistemici e sono causati dalle rispettive tossine.<br />
Il bacillo del tetano si moltiplica solo nella ferita, ma la tossina raggiunge il SN, senza dare sintomi locali nella ferita.<br />
Per altri batteri l’azione patogena si esplica attraverso la invasività. Tipico è il caso di Shigella e ceppi di E. coli<br />
enteroinvasivi.<br />
Tramite l’invasività nelle cellule della mucosa del colon Shigella si sottrae all’ambiente competitivo del lume<br />
intestinale.<br />
Alcuni ceppi di Shigella e E. coli hanno capacità di produrre una tossina che ha lo stesso effetto della ricina.<br />
Es. di lesione da tossina difterica => miocardite difterica<br />
Nel caso di streptococchi si parla di lesioni localizzate:<br />
− infezione primaria => erisipela, ulcera aftosa, faringite, ascessi polmonari, polmonite, impetigine, sepsi del<br />
puerperio<br />
− infezioni secondarie => meningite, endocardite batterica subacuta, setticemia<br />
− complicanze non infettive => febbre reumatica, scarlattina, glomerulonefrite<br />
Tifo da slamonella typhi<br />
Raggiunge facilmente l'intestino se ingerita con sostanze acquose perché passa rapidamente lo stomaco => penetra nella<br />
mucosa => attraverso il sangue raggiunge fegato e milza, attraverso i vasi linfatici raggiunge i linfonodi mesenterici =><br />
dal fegato può venire eliminato con la bile (condizione di portatore abbastanza prolungata), raggiunge una infezione<br />
successiva secondaria dell'intestino, con possibilità di danno alle placche del Peyer e possibilità di ulcerazione della<br />
mucosa.<br />
Bacillo del colera<br />
Arriva all'intestino sempre attraverso l'acqua inquinata, non dà un danno istopatologico alla mucosa, ma produce una<br />
tossina che si attacca ad un recettore nucleosidico => la sua subunità A induce ADP ribosilazione di una proteina G =><br />
resta attivata (inibizione dell'attività GTPasica) => aumento di cAMP => aumento di eliminazione di H2O e Na+ =><br />
diarrea colerica (grave) => disidratazione => shock => morte<br />
PATOGENICITÀ: VIRULENZA E TOSSIGENICITÀ<br />
Il potere patogeno di un parassita deriva da due caratteristiche:<br />
− virulenza = capacità di contrastare e vincere le difese dell'ospite una volta che ha colonizzato i tessuti<br />
− tossinogenicità = capacità produrre e liberare di tossine<br />
L'animale infettato (ospite) deve vivere in comunità, altrimenti il parassita non riesce a sopravvivere.<br />
FATTORI DELLA VIRULENZA<br />
I patogeni devono prima di tutto aderire ai tessuti, colonizzarli ed eventualmente diffondersi nell'organismo.<br />
Adesività: il legame dei batteri alle cellule epiteliali è essenziale per la resistenza nei confronti delle difese dell’ospite e<br />
per la successiva colonizzazione del tessuto. Gli apparati di adesione sono diversi per i diversi microrganismi. In ogni<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 154
caso è coinvolta una macromolecola di superficie, che può essere presentata da un organulo strutturale (es. i pili), una<br />
proteina trasmembrana presente costitutivamente sulla superficie della cellula o costituire un prodotto diffusibile.<br />
L’adesività dei batteri si esplica mediante specifici recettori della superficie batterica e importanti sono i recettori per le<br />
proteine della matrice extracellulare, detti adesine:<br />
• sono note adesine al collageno, alla fibronectina, al fibrinogeno, ecc.<br />
• di molte adesine sono noti i geni e la struttura proteica<br />
Es. analizzando colonie batteriche che si sono formate in cateteri o protesi interne si è visto che si sono selezionati<br />
quelli con adesine per il fibrinogeno.<br />
Lo slime<br />
L’adesività dei batteri si esplica anche attraverso la produzione di una sostanza mucillaginosa, detta biofilm o slime.<br />
Nel caso degli Stafilococchi il biofilm è costituito da un polimero polisaccaridico di N-acetilglucosamina.<br />
Il polimero è sintetizzato da una specifica N-acetilglucosaminil transferasi.<br />
La produzione dell’enzima è codificata da un complesso genico detto locus ica (intercellular adhesion), costituito da<br />
quattro geni strutturali: icaA, icaD, icaB e icaC (nell’ordine in cui si allineano nell’operone), e da un gene regolatore<br />
icaR (è un repressore, quando spento consente l'attivazione del locus ica), situato upstream rispetto a icaA.<br />
Lo slime consente la tenace adesione degli Stafilococchi anche a materiali protesici e ostacola l’accesso alle colonie<br />
batteriche delle difese dell’ospite (anticorpi, complemento, macrofagi) e degli antibiotici => l'infezione rischia di<br />
diventare irriducibile.<br />
Quando la densità di popolazione è molto alta i batteri smettono di produrre tossine e producono lo slime (regolazione<br />
genica).<br />
Ad es. quando viene inserita una protesi: il biomateriale viene rivestito prima da un velo di proteine (fibronectina,<br />
collageno solubile, fibrinogeno) => su questo film proteico i batteri aderiscono mediante le adesine specifiche => si<br />
attivano i geni della produzione dello slime (locus ica).<br />
Recentemente si è visto che nel biofilm non c'è solo la poli-acetilglucosamina, ma anche DNA extracellulare di batteri<br />
morti.<br />
Test fenotipico e genotipico per la produzione di slime in Staphyloccus epidermidis (batterio opportunista)<br />
• I ceppi dotati del locus ica e produttori di slime (60%) possono riconosciuti, dopo il loro isolamento, mediante:<br />
◦ A) coltura su piastre di Agar-Rosso-Congo (CRA) in cui i ceppi non produttori danno colonie rosse e i<br />
ceppi produttori colonie nere;<br />
◦ B) dimostrazione molecolare della presenza dei geni icaA e icaD mediante amplificazione PCR dei<br />
rispettivi segmenti genici, impiegando primer specifici e il DNA batterico come template<br />
◦ c'è quindi concordanza tra la dimostrazione fenotipica e quella genotipica per la presenza del locus ica<br />
Colonizzazione<br />
Dopo l’adesione i batteri aumentano di numero e instaurano l’infezione.<br />
La sopravvivenza implica la capacità di eludere le strategie antibatteriche dell’ospite.<br />
La moltiplicazione avviene se sono disponibili sostanze nutritizie indispensabili alla moltiplicazione batterica.<br />
A volte i fattori di crescita e metaboliti necessari alla moltiplicazione batterica sono presenti in particolari distretti, e ciò<br />
può spiegare la localizzazione.<br />
A volte la mancanza di tali fattori può spiegare la resistenza di specie: ad esempio alcuni ceppi di Y. pestis richiedono<br />
asparagina per la moltiplicazione e la presenza di asparaginasi nel sangue di cavia (assente nel sangue di topo) può<br />
spiegare l’assenza di patogenicità per la cavia.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 155
Fattori di virulenza dei parassiti extracellulari<br />
I parassiti extracellulari devono poter sopravvivere all’azione microbicida dei fagociti professionali<br />
Quindi i fattori di virulenza più efficaci per questi parassiti sono:<br />
• Esotossine ad azione antileucocitaria: Streptolisina O degli streptococchi, α-emolisina stafilococcica ed<br />
anche la tossina difterica o la tossina di P. aeruginosa => nel sito di infezione sono lesive delle difese<br />
leucocitarie, a distanza sono lesive per altri tessuti<br />
• Fattori antifagocitari di superficie: la capsula batterica, efficace come agente antifagocitario specialmente in<br />
Diplococcus pneumoniae => la polmonite franca lobaere da diplococcus pneumoniae si risolve nella seconda<br />
settimana, cioè quando i batteri sono opsonizzati da anticorpi che ne consentono la fagocitosi<br />
TOSSINE BATTERICHE: ESOTOSSINE E ENDOTOSSINE<br />
Caratteristiche principali delle esotossine e delle endotossine<br />
ESOTOSSINE ENDOTOSSINE<br />
Attivamente secrete dalle cellule, raggiungono elevate Sono parte integrante della parete batterica dei gram-<br />
concentrazioni nel mezzo extracellulare<br />
negativi. Vengono rilasciate dopo la morte della cellula<br />
batterica e anche in parte durante la replicazione. Non<br />
necessitano di essere liberate per essere attive<br />
Prodotte dai gram-negativi e dai gram-positivi Sono presenti unicamente nei gram-negativi<br />
Polipeptidi dal peso molecolare 10.000-900.000 Complessi lipopolisaccaridici. E’ il frammento<br />
corrispondente al lipide A il responsabile della attività<br />
tossica => gli anticorpi possono essere precipitanti ma non<br />
neutralizzanti<br />
Relativamente instabili: la tossicità è spesso distrutta Relativamente stabili: sopportano a lungo temperature al di<br />
rapidamente al di sopra dei 60°C<br />
sopra dei 60°C<br />
Molto antigeniche: stimolano la produzione di anticorpi Scarsamente immunogene: stimolano la produzione di<br />
(precipitanti e neutralizzanti per l'azione tossica) a anticorpi neutralizzanti di cui non è chiaro ancora il ruolo<br />
titolo elevato<br />
protettivo<br />
Convertibili in tossoide (o anatossina) Non sono convertibili in tossoide<br />
Elevata tossicità: letale a piccole dosi (microgrammo) Moderatamente tossiche: letali a dosi 10-100 volte più<br />
sugli animali (perché sono degli enzimi ed agiscono in<br />
dose catalitica e in difetto rispetto al substrato)<br />
elevate<br />
Legano specifici recettori Non legano specifici recettori<br />
Solitamente non inducono la febbre Inducono la febbre<br />
Sintesi diretta da geni extracromosomiali (ad es.<br />
plasmidi)<br />
Sintesi diretta da geni cromosomiali<br />
Principali tossine batteriche<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 156
Tossine<br />
cellulari<br />
Classe Gruppo Batteri Tossina<br />
Tossine<br />
extracellulari<br />
I. Legate alla parete cellulare<br />
II. Intracitoplasmatiche<br />
gramnegativi<br />
gramnegativi:<br />
Shigella dysenteriae<br />
Yersinia pestis<br />
Bordetella pertussis<br />
Vibrio cholerae<br />
III. Esotossine stricto sensu grampositivi:<br />
Corynebacterium<br />
diphtheriae<br />
Staphylococcus aureus<br />
IV. Tossine parzialmente<br />
endocellulari (liberate nel<br />
sito dell'infezione)<br />
Streptococcus pyogenes<br />
Clostridium perfringens<br />
grampositivi:<br />
Clostridium tetani<br />
Clostridium botulinum<br />
endotossine<br />
neurotossina<br />
tossina murina<br />
tossina termolabile<br />
enterotossina colerica<br />
tossina difterica<br />
emolisine (α, β, γ, δ);<br />
leucocidina; tossina<br />
epidermolitica;<br />
enterotossina<br />
streptolisine O e S; tossina<br />
eritrogenica<br />
α-tossina<br />
tossina tetanica<br />
tossina botulinica<br />
La tossina botulinica, contrariamente a quanto avviene per la tossina tetanica, non è prodotta in un'infezione, ma nel<br />
cibo contaminato, quindi si tratta di un'intossicazione.<br />
Esempi di meccanismi d'azione delle esotossine<br />
• Molte esotossine sono dimeriche e sono composte da due componenti legati da un ponte disolfuro:<br />
◦ B = binding => determina il legame al recettore<br />
◦ A = active => determina la tossinogenicità<br />
◦ La separazione tra A e B richiede una proteolisi mediata da tripsina.<br />
• Leucocidine stafilococciche (tossina alfa) si inseriscono nella membrana del leucocita e formano dei pori =><br />
morte cellulare.<br />
• Tossina alfa di C. perfringens idrolizza la fosforilcolina delle membrane cellulari (fosfolipasi C)<br />
determinandone la lisi e la morte della cellula. E' responsabile della gangrena gassosa delle ferite infette. Fu la<br />
prima tossina della quale è stato dimostrato il meccanismo d'azione.<br />
• Altre tossine hanno azione ADP-ribosil trasferasica: agiscono trasferendo un gruppo di ADP-riboso dal NAD<br />
(liberando la nicotinamide) ad una proteina bersaglio.<br />
◦ Tossina colerica = il frammento A ADP-ribosila una proteina G rendendola permanentemente attiva =><br />
attiva l'adenilico ciclasi => aumento di espulsione di Na+, H2O, Cl-, K+, HCO3- => diarrea<br />
◦ Tossina della pertosse = come colerica, ma lega una proteina G inibitoria con lo stesso effetto finale<br />
◦ Tossina di pseudomonas aeruginosa e Tossina difterica => il frammento B lega la membrana, il frammento<br />
A viene internalizzato per pinocitosi e inattiva il fattore di allungamento EF-2 della sintesi proteica<br />
attraverso ADP-ribosilazione [vedi <strong>PATOLOGIA</strong> DELLA TRADUZIONE]<br />
Azione patogena delle endotossine<br />
Più complesso, meno specifico, più polivalente.<br />
Non si tratta, come nel caso delle esotossine, di un'azione enzimatica specifica, ma di un complesso di interazioni che<br />
partono da una massiva produzione di citochine e dal loro effetto sulla termoregolazione (sono pirogeni), sulla<br />
coagulazione (possono arrivare a determinare CID) e sulla permeabilità vascolare (possono arrivare a dare shock).<br />
LPS agisce sui un macrofagi => questo produce TNF-alfa e IL-1 =><br />
• pirogeni endogeni => febbre<br />
• agiscono su cellule endoteliali aumentandone la permeabilità => essudazione generalizzata se l'intossicazione è<br />
molto grave => abbassamento volemia => shock potenzialmente mortale<br />
LPS può agire direttamente sulla coagulazione perché:<br />
• diventa attivatore del fattore di Agelman (XII) scatenando la via intrinseca della coagulazione<br />
• agisce sulle piastrine che possono liberare PAF e serotonina<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 157
• può attivare la via alternativa del complemento contribuendo alla produzione di C3a e C5a (dette anche<br />
anafilotossine) => vasodilatazione e vasopermeabilizzazione generalizzate => shock<br />
LPS può agire sul metabolismo epatico determinando ipoglicemia e rilascio di proteine della fase acuta.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 158
Per es. casi di meningite ipertossica da neisseria meningitidis possono liberare grandi quantità di endotossine e<br />
provocare lesioni anche letali dando:<br />
• CID, è una delle più temibili conseguenze dell'intossicazione da gram negativi<br />
• necrosi surrenalica ed emorragia a livello di questa ghiandola e shock da bassi livelli di glucocorticoidi e<br />
mineralcorticoidi<br />
• coagulazione in molti altri distretti con trombosi, gangrena => la patologia coagulativa può esistere a livello<br />
sistemico<br />
Quindi:<br />
• la tossina agisce sul macrofago => fa aumentare la produzione di TNF e IL-1 e radicali liberi =><br />
• in moderata quantità => febbre non elevata ("benefica"), stimolazione del sistema immunitario,<br />
soppressione dei meccanismi patogeni<br />
• in alta quantità => febbre elevata, ipotensione, CID, shock letale<br />
TOSSINE TETANICA E BOTULINICA<br />
Sono accomunate dal fatto che sono tossine neurotrope e agiscono sui meccanismi di trasmissione sinaptica.<br />
Aspetti storici<br />
1884: Antonio Carle e Giorgio Rattone (Istituto Patologia generale di Torino) dimostrano la natura infettiva del tetano,<br />
fino ad allora ritenuta una sindrome neurologica.<br />
1884-85: Arthur Nicolaier (medico tedesco) identifica il bacillo sporigeno: Clostridium tetani.<br />
1889 Shibasaburo Kitasato (Istituto di Igiene di Berlino) isola le spore, uccidendo ad 80°C la forma vegetativa. Allo<br />
stesso risultato giungono Guido Tizzoni e Giuseppina Cattani dell’Istituto di Patologia generale dell’Università di<br />
Bologna, con passaggi successivi della coltura in agar.<br />
1890: Guido Tizzoni e Giuseppina Cattani dell’Istituto di Patologia generale dell’Università di Bologna e Knut Farber<br />
in Danimarca dimostrano che una tossina proteica è responsabile dei sintomi del tetano.<br />
Sulla base di questi risultati Emile van Ermengem in Belgio, da un caso clinico di botulismo in cui numerose persone si<br />
ammalano dopo ingestione di prosciutto affumicato, isola il bacillo sporigeno che chiama Clostridium botulinum e<br />
dimostra la presenza di una tossina proteica che, prodotta dal bacillo quando è coltivato in anaerobiosi, è responsabile<br />
della malattia.<br />
La tossina botulinica è termolabile e questi batteri sono anerobi, per cui affinché si sviluppi in alimenti sono necessarie<br />
2 condizioni:<br />
1) che l'alimento sia conservato in condizioni anaerobie<br />
2) che l'alimento non venga cotto o sterilizzato ad alta temperatura (125°C) per 3 volte => consente la distruzione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 159
delle spore<br />
Es. insaccati, vegetali conservati.<br />
Sono resistenti alla digestione peptica.<br />
Potenza delle tossine tetanica e botulinica<br />
Sono tra le tossine più potenti: per via intramuscolare pochi miliardesimi di grammo sono letali per l’uomo. La tossicità<br />
per via orale della tossina botulinica è tuttavia più bassa, ma ancora talmente rilevante da averne suggerito l’uso come<br />
arma biologica.<br />
Se si costruisce un grafico dose/azione è importante valutare la pendenza della retta che ne deriva => se la pendenza è<br />
molto elevata significa che quando si definisce la dose letale per il 50% degli individui (è il valore indicativo della<br />
potenza della tossina) manca poco alla dose che ne uccide il 100%.<br />
Habitat dei clostridi tetanico e botulinico<br />
Le spore di Cl. Tetani sono ubiquitarie: particolarmente ricchi i materiali organici in decomposizione e le deiezioni di<br />
alcuni animali. E’ facile la contaminazione di ferite, anche poco profonde.<br />
In alcune regioni africane è frequente il tetanus neonatorum, causato da infezione del moncone del cordone<br />
ombelicale, reciso con strumenti non sterili, o addirittura “medicato” con sterco animale: ciò provoca la morte di<br />
450.000 neonati all’anno!<br />
Anche le spore di Cl. Botulinum sono ubiquitarie e più<br />
che ferite, esse contaminano alimenti: insaccati, in<br />
quanto il budello può essere portatore delle spore, o<br />
conserve vegetali, contaminate da tracce di terriccio e<br />
non sterilizzate in modo efficace da eliminare le spore.<br />
Queste durante la conservazione in anaerobiosi si<br />
sviluppano e producono la tossina.<br />
Vaccinazione antitetanica<br />
Nei primi anni ‘20 Gaston Ramon, all’Institut Pasteur<br />
ottiene il “tossoide” tetanico mediante trattamento con<br />
formaldeide (dura 15 giorni, a 37°C) della tossina: il<br />
tossoide è inattivo ma conserva la specificità<br />
immunologica: Ramon, inoculando il tossoide ad<br />
animali e a se stesso, dimostra la possibilità di una<br />
immunità attiva.<br />
Nella seconda guerra mondiale vi furono solo 35 morti<br />
per tetano tra le truppe britanniche, vaccinate, rispetto<br />
a numerosissimi casi di tetano tra le truppe tedesche e<br />
giapponesi, non vaccinate.<br />
Manifestazioni della tossina tetanica<br />
Contrazione simultanea di muscoli agonisti e antagonisti,<br />
inizia con una iperestensione della nuca (opistotono),<br />
contrazione muscoli flessori nell'arto superiore e dei muscoli<br />
estensori nell'arto inferiore (perché sono rispettivamente i più<br />
potenti).<br />
Tetano generale<br />
La tossina si sviluppa, si diffonde per via ematogena a tutti i<br />
muscoli e da questi il SNC. Il primo sintomo che compare è il<br />
sisma (contrazione spastica del massetere e del muscolo<br />
orbicolare della bocca), perché i nervi di questi muscoli sono i<br />
più brevi.<br />
La paralisi spastica dei muscoli respiratori è l'evento letale.<br />
Tetano locale<br />
Contrattura dei muscoli prossimi alla ferita infetta.<br />
Botulismo<br />
Raro nei paesi sviluppati per migliorate norme di preparazione<br />
e conservazione dei cibi.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 160
Una forma subdola di botulismo è quella infantile nella quale spore di Cl. botulinum, assunte con cibo contaminato,<br />
germinano nell’intestino del neonato ancora privo di una normale flora batterica competitiva.<br />
Importante per la conservazione e la propagazione di Cl. botulinum, è il botulismo degli uccelli.<br />
Studi sul meccanismo delle tossine tetanica e botulinica<br />
1892 Bruschettini (allievo di Tizzoni a Bologna) stabilisce la progressione retrograda della tossina tetanica lungo<br />
l’assone del motoneurone.<br />
La tossina tetanica non si arresta a livello della giunzione neuromuscolare, ma giunge all’interneurone inibitorio e<br />
blocca il rilascio di neurotrasmettitori inibitori.<br />
1949 Burgen, Dickens e Zatman al Meddlesex Hospital Medical School di Londra dimostrano che la tossina botulinica<br />
blocca la liberazione di acetilcolina a livello della giunzione neuromuscolare<br />
Tale scoperta ha promosso l’impiego della tossina botulinica come farmaco anticontratturante (blefarospasmo,<br />
strabismo, torcicollo, disfonia, patologie dei grandi muscoli dorsali e degli arti).<br />
Struttura delle tossine tetanica e botulinica<br />
• Prodotte come singole catene polipeptidiche di 150 kDa, prive di attività<br />
• Proteasi batteriche o tissutali tagliano in un singolo punto trasformandole in tossine bicatenarie: catena H (100<br />
kDa) e catena L (50 kDa), legate da un ponte di disolfuro<br />
Legame alle cellule nervose<br />
Cellule nervose (ad esempio cellule di feocromocitoma differenziate in vitro in senso neuronale con NGF) esprimono<br />
una proteina di membrana di 20 kDa che interagisce specificamente con la catena H della tossina tetanica.<br />
Altri dati indicano il ruolo di gangliosidi nel legare quantità anche assai piccole di tossina tetanica.<br />
Meccanismo di azione delle neurotossine<br />
Le catene H legano le cellule nervose o le vescicole sinaptiche.<br />
Le catene L delle due neurotossine bloccano il rilascio di neurotrasmettitori:<br />
• la botulinica blocca il rilascio dell’acetilcolina dalla giunzione neuromuscolare => paralisi flaccida<br />
• si distribuisce per via ematogena a tutte le terminazioni colinergiche<br />
• effetto simile al curaro, ma questo agisce postinapticamente impedendo il legame di Ach coi recettori<br />
• la tetanica blocca il rilascio della glicina (neurotrasmettitore inibitore) dal neurone intermedio e dalla cellula di<br />
Renshaw a livello delle corna anteriori del midollo spinale, che normalmente determina il rilasciamento del<br />
muscolo antagonista a quello contratto => paralisi spastica<br />
• quindi la sede di azione della tossina tetanica è il midollo spinale, per progressione lungo il neurone<br />
motorio<br />
Azione molecolare delle catene L<br />
• Un breve segmento al centro della catena L ha omologia di sequenza con le metallo-endopeptidasi a Zn.<br />
◦ His, Glu, aa, aa, His (HExxH, con il simbolo monoletterale)<br />
• Le Zn-endopeptidasi costituiscono una larga famiglia di proteasi comprendente gli enzimi che agiscono sui<br />
peptidi attivi sulla pressione (enzima ACE), nella degradazione delle encefaline, gli enzimi leucocitari, le<br />
proteasi di invasione dei tumori e delle metastasi.<br />
Substrati dell’azione endopeptidasica delle catene L delle due tossine<br />
I bersagli specifici dell’azione endopeptidasica delle due tossine sono:<br />
• La sinaptobrevina per la tossina tetanica e per le tossine botuliniche B, D ed F.<br />
• La SNAP-25 per le tossine botuliniche A ed E<br />
• La sintaxina per la tossina botulinica C<br />
Sono le proteine responsabili della liberazione dei neurotrasmettitori interessati nello spazio sinaptico e vengono<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 161
tagliate dalle tossine indicate.<br />
Specificità del substrato e resistenza al tetano<br />
• La sinaptobrevina esiste in due isoforme nel tessuto nervoso: 1 e 2<br />
◦ Nel ratto e nel pollo solo la forma 2 è scissa dalla tossina tetanica e dalla botulinica B. Nel ratto e nel pollo<br />
la forma 1 ha una valina al posto di una glutamina nel sito di taglio e ciò la rende resistente alla proteolisi.<br />
◦ Nell’uomo e nel topo entrambe le forme hanno glutamina.<br />
• Ciò potrebbe spiegare la relativa resistenza di ratto e pollo e la grande sensibilità dell’uomo e del topo<br />
Prospettive<br />
• Possibilità di sviluppare farmaci della classe degli inibitori delle Zn endopeptidasi (come il captopril, ACEinibitore),<br />
che siano in grado di penetrare nel sito d’azione delle tossine e consentire una terapia del tetano o<br />
del botulismo in fase sintomatica<br />
• Possibilità di sfruttare la proprietà di legame delle catene H a specifici siti del tessuto nervoso per veicolare<br />
farmaci o altri agenti biologici (es. per antispastici)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 162
FISIO<strong>PATOLOGIA</strong> DEL SISTEMA ENDOCRINO<br />
Il sistema endocrino<br />
• Gruppo integrato di organi che mantengono l’omeostasi<br />
• Secrezione “endocrina” di molecole segnale = ormoni che agiscono su organi bersaglio a distanza<br />
• L’aumento di attività dell’organo bersaglio inibisce l’attività dell’organo endocrino<br />
Ormoni<br />
• Molecole di segnalazione che interagiscono con recettori cellulari di superficie:<br />
◦ ormoni peptidici (ormone della crescita, insulina)<br />
◦ piccole molecole (epinefrina, istamina)<br />
• Il legame ai recettori di superficie provoca l’aumento intracellulare di “secondi messaggeri” (cAMP, inositolotrifosfato)<br />
e una variazione della concentrazione intracellulare di Ca<br />
• Ormoni steroidei liposolubili, che diffondono attraverso la membrana plasmatica e interagiscono con recettori<br />
intracellulari:<br />
◦ Ormoni steroidei (estrogeni, progesterone, glucocorticoidi, ecc.)<br />
◦ Tiroxina<br />
◦ Acido retinoico<br />
L'IPOFISI<br />
• Ipofisi anteriore, o adenoipofisi (80% della ghiandola)<br />
• Gli ormoni dell’adenoipofisi sono controllati da fattori di rilascio ipotalamici<br />
• Ipofisi posteriore, o neuroipofisi (20% della ghiandola)<br />
Cellule dell'adenoipofisi<br />
• Cellule somatotrope: producono GH (ormone della crescita, somatotropina)<br />
• Cellule lattotrope: producono prolattina<br />
• Cellule corticotrope: producono ACTH, MSH (stimolante i melanociti), endorfine<br />
• Cellule tireotrope: producono TSH<br />
• Cellule godanotrope: producono FSH, LH<br />
I vari tipi cellulari sono evidenziabili in preparati istologici mediante diverse colorazioni:<br />
− colorazione PAS-Orange G => in arancione cellule somatotrope e lattotrope, in violetto cellule corticotrope<br />
− colorazione immunoistochimica per ormoni proteici, es. per il GH => evidenzia le cellule somatotrope<br />
Cellule della neuroipofisi<br />
• Pituiciti (derivano da cellule gliali): non producono ormoni, sono cellule di sostegno agli assoni dei neuroni<br />
ipotalamici (dei nuclei sopraottico e paraventricolare) che producono ossitocina e vasopressina (ADH) e<br />
raggiungono la neuroipofisi, dove il loro secreto è rilasciato per microesocitosi<br />
MALATTIE DELL'IPOFISI ANTERIORE<br />
Provocano variazioni dei livelli ormonali:<br />
• ipo-pituitarismi: spesso da processi destruenti (danni ischemici, radiazioni, reazioni infiammatorie, neoplasie)<br />
• iper-pituitarismi: spesso da adenomi funzionanti del lobo anteriore<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 163
Iperpituitarismi: ademoni ipofisari<br />
• Eziologia sconosciuta<br />
• Insorgono tra i 20 e i 50 anni<br />
• Probabili mutazioni somatiche nelle cellule ipofisari con iperattività della proteina Gs stimolazione adenilicociclasi<br />
=> aumento cAMP => proliferazione cellulare e ipersecrezione di GH<br />
• Determinano aumento di funzione della funzione ghiandolare interessata<br />
Meccanismo di azione e alterata funzione nelle malattie endocrine<br />
La subunità della proteina Gs (proteina Gs-alfa) è un mediatore del messaggio di alcuni ormoni proteici (PTH, TSH,<br />
FSH/LH, GHRH, ACTH, ecc.) dalla membrana cellulare al 2° messaggero (cAMP). Quando l'ormone si lega al<br />
recettore di membrana, la proteina Gs si attiva: la subunità alfa si scinde dalle subunità beta-gamma, quindi si lega al<br />
GTP e scatena una cascata di eventi che porta all'attivazione dell'adenilato ciclasi. Questa, a sua volta, determina la<br />
formazione del cAMP, 2° messaggero del messaggio ormonale, che permette quindi l'effetto dell'ormone.<br />
Effetti clinici locali degli adenomi ipofisari<br />
• Infiltrazione del chiasma ottico<br />
• Emianopsia bitemporale (perdita del campo visivo temporale per lesione mediana del chiasma ottico) e perdita<br />
della vista centrale<br />
• Paralisi degli oculomotori<br />
• Cefalee intense<br />
• Possibile invasione dell’ipotalamo e compromissione della termoregolazione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 164
Adenomi lattotropi<br />
• Nelle donne: amenorrea, galattorrea e infertilità; l’aumento della prolattina inibisce il picco secretorio di LH,<br />
essenziale per l’ovulazione, inibisce anche la produzione di PRL<br />
• Negli uomini calo della libido e disfunzione erettile.<br />
La secrezione eccessiva di prolattina può essere trattata con agonisti dopaminergici (bromocriptina, uno stimolante dei<br />
recettori della dopamina nel cervello; inibisce anche il rilascio della prolattina da parte dell’ipofisi. La bromocriptina è<br />
usata anche per il trattamento della galattorrea, delle malattie cicliche benigne della mammella e per il trattamento dei<br />
prolattinomi (riducendo la concentrazione di prolattina nel plasma e le dimensioni del tumore).<br />
Adenomi somatotropi<br />
La eccessiva secrezione di GH provoca effetti drammatici sull’organismo:<br />
• Nel bambino o nell’adolescente, prima della saldatura delle epifisi, provoca gigantismo<br />
• Dopo la saldatura delle epifisi, e il raggiungimento dell’altezza definitiva, provoca acromegalia<br />
Caratteristiche cliniche dell'acromegalia:<br />
• Malattia rara, con incidenza annua di 3 x 10 -6<br />
• Si sviluppa lentamente: i lineamenti facciali diventano grossolani; prognatismo, ingrossamento del naso,<br />
diastasi degli incisivi superiori, aumento delle dimensioni delle mani e dei piedi e della taglia del cappello<br />
• Aumento della mortalità per eventi cardiovascolari, cerebrovascolari e respiratori;<br />
• Cefalee, artralgie, parestesie<br />
• Ipertensione e ipertrofia del ventricolo sinistro con tendenza allo scompenso congestizio<br />
• Anche gli organi viscerali sono ipertrofici<br />
• Ipertrofia (e non iperplasia!) delle ghiandole sebacee, perché aumenta il numero di cellule.<br />
Adenomi corticotropi<br />
Eccessiva produzione di ACTH con conseguente sindrome di Cushing (la sindrome di Cushing è il quadro clinico<br />
derivante da un eccesso di produzione dell’ormone cortisolo da parte del surrene).<br />
Il cortisolo:<br />
− aumenta l'attività degli osteoclasti => osteoporosi<br />
− prima di essere convertito a cortisone dalla β-idrolasi agisce sui recettori per l'aldosterone provocando<br />
ipertensione => ipertrofia cardiaca<br />
− l'aumento di cortisone rallenta la cicatrizzazione => ulcere cutanee<br />
Adenomi gonadotropi<br />
Secernono LH e FSH.<br />
Nel maschio di media età: cefalee, disturbi visivi e ipogonadismo acquisito; anche se LH dovrebbe stimolare la<br />
produzione di testosterone si ha un effetto paradosso forse per anomalie del LH o dei picchi di rilascio.<br />
Adenomi tireotropi<br />
Aumento del TSH e conseguentemente anche degli ormoni tiroidei: ciò si osserva solo in questo tipo di tumore, perché<br />
manca il feedback negativo di controllo della secrezione di TSH.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 165
MALATTIE DELL'IPOFISI POSTERIORE<br />
Il diabete insipido centrale è l’unica malattia dell’ipofisi posteriore:<br />
• incapacità a concentrare le urine: poliuria cronica, sete e polidipsia<br />
• Deficit di ADH (ormone antidiuretico o vasopressina)<br />
◦ Il mancato controllo da parte dell'ADH compromette il riassorbimento tubulare distale e collettore<br />
Cause del diabete insipido:<br />
• Mutazioni sporadiche o familiari del gene dell’ADH<br />
• Tumori cerebrali (craniofaringioma => comprime l'ipofisi)<br />
• Traumi cranici<br />
• Ipofisectomia per tumori dell’ipofisi anteriore (può compromettere la neuroipofisi)<br />
Manifestazioni del diabete insipido<br />
• Escrezioni di grandi quantità di urine diluite con peso specifico molto basso (poliuria = emissione di 5-25 litri<br />
di urina nelle 24h)<br />
• Il sodio sierico e l’osmolarità aumentano perché dal rene è perduta acqua libera<br />
• Sete intensa e polidipsia<br />
• Pazienti con limitazioni fisiche all’assunzione di acqua vanno incontro a disidratazione che può essere fatale<br />
Diabete insipido nefrogenico<br />
Raro, forma congenita in due varianti, entrambe recessive (evidentemente negli eterozigoti i prodotti dei rispettivi geni<br />
sono sufficienti):<br />
• <strong>DI</strong>N recessivo, legato al cromosoma X, gene mutante Xq28 che codifica per i recettori di tipo 2 della<br />
vasopressina<br />
• <strong>DI</strong>N autosomico recessivo. Il gene mutato codifica per l‘acquaporina 2, che deficita a livello dei tubuli<br />
collettori renali<br />
◦ Le acquaporine (AQP) sono una famiglia di proteine canale che facilitano il flusso molto veloce delle<br />
molecole d’acqua all'interno o all'esterno delle cellule di specifici tessuti che richiedono questa capacità<br />
(tubuli prossimali, eritrociti, membrane dei vacuoli delle cellule vegetali)<br />
◦ tipi di AQP presenti nel rene:<br />
▪ Acquaporina 1 => tubulo contorto prossimale e tratto discendente dell'ansa di Hanle<br />
▪ Acquaporina 3 e Acquaporina 4 => dotto collettore<br />
▪ Acquaporina 6 => dotto collettore<br />
▪ Acquaporina 7 e Acquaporina 8 => tubulo contorto prossimale<br />
▪ Acquaporina 2 => dotto collettore (è quella che interessa la <strong>DI</strong>N)<br />
• importante nel processo di riassorbimento dell'acqua<br />
• la sua attività è regolata dalla vasopressina (ADH), cioè, in seguito a ipovolemia, si ha la<br />
liberazione di ADH che controlla l'attività dell'acquaporina 2<br />
• in assenza dell'acquaporina 2, anche se viene liberato l'ormone antidiuretico, non avviene nessun<br />
riassorbimento, per cui si verifica una patologia chiamata diabete insipido nefrogenico, a<br />
differenza del diabete insipido neurogenico, dovuto ad un mancato rilascio di ADH<br />
La sindrome da inappropriata secrezione di ADH (o SIADH)<br />
È una malattia caratterizzata da un'elevazione patologica della secrezione dell'ormone antidiuretico con ritenzione<br />
d'acqua e iponatremia da diluizione (ipervolemica).<br />
Eziologia:<br />
• Può essere paraneoplastica, soprattutto dovuta al carcinoma bronchiale a piccole cellule (80% dei casi).<br />
• È raro il disturbo primario ipofisario, per problemi nervosi (meningite, lesioni vascolari cerebrali), farmaci<br />
(antidepressivi triciclici, ciclofosfamide) o per affezioni polmonari.<br />
Sintomi:<br />
• perdita d'appetito;<br />
• nausea, vomito, cefalea, crampi muscolari;<br />
• irritabilità, modificazioni della personalità;<br />
• intossicazione causata dall'acqua: stupor, epilessia;<br />
• non edemi, poiché la ritenzione idrica non supera i 3-4 litri;<br />
• iponatremia, spesso 300 mOsm/L);<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 166
• funzionalità renale e surrenalica normali;<br />
• ADH da normale ad aumentato, mentre in altre forme d'iponatriemia non è neanche misurabile<br />
ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO<br />
• Gruppi di cellule dell’ipotalamo rilasciano mediatori che stimolano l’ipofisi anteriore<br />
• Gli ormoni secreti dagli organi bersaglio antagonizzano questi mediatori (feedback)<br />
• Alcuni mediatori ipotalamici hanno azione inibente sul rilascio di ormoni dell’adenoipofisi (dopamina inibisce<br />
la prolattina)<br />
Dopamina (3,4-diidrossifeniletilammina)<br />
La dopamina è una amina biogena naturalmente sintetizzata dal corpo umano.<br />
All'interno del cervello la dopamina funziona da neurotrasmettitore tramite l'attivazione di recettori specifici (D1, D2 e<br />
D3).<br />
La dopamina è anche un neuro ormone rilasciato dall'ipotalamo. La sua principale funzione è quella di inibire il rilascio<br />
di prolattina da parte del lobo anteriore dell'ipofisi.<br />
La dopamina non può essere utilizzata come farmaco ma viene comunemente somministrato un suo precursore: la L-<br />
Dopa, che subisce decarbossilazione ad opera della decarbossilasi degli aminoacidi aromatici.<br />
La dopamina agisce sul Sistema Nervoso Simpatico causando tachicardia e ipertensione.<br />
Gli antagonisti dopaminergici sono farmaci che trovano ampio utilizzo in ambito psichiatrico.<br />
Gli agonisti dopaminergici sono usati sia come terapia di prima scelta nel Morbo di Parkinson o come antidepressivi.<br />
Cause di danno dell'ipotalamo<br />
• Tumori primitivi o metastatici<br />
• Infezioni virali<br />
• Infiammazioni granulomatose<br />
• Malattie degenerative<br />
• Malattie ereditarie<br />
• A volte cause sconosciute<br />
Conseguenze del danno ipotalamico<br />
• Ipogonadismo<br />
• Pubertà precoce<br />
• Amenorrea<br />
• Disordini dell’alimentazione<br />
◦ Obesità<br />
◦ Anoressia<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 167
SURRENE<br />
Struttura del surrene:<br />
• Zona corticale<br />
◦ Glomerulosa: ormoni mineralcorticoidi,<br />
▪ controllo da renina-angiotensina<br />
◦ Fascicolata: ormoni glicocorticoidi,<br />
▪ controllo da ACTH<br />
◦ Reticolare: ormoni glicocorticoidi e androgeni<br />
▪ controllo da ACTH<br />
• Zona midollare<br />
◦ con cellule cromaffini<br />
Ormoni steroidi<br />
• Derivano dal colesterolo<br />
• Il colesterolo è portato alle cellule corticosurrenaliche dalle LDL<br />
• Il colesterolo è veicolato nei mitocondri dalla proteina StAR<br />
• Nei motocondri è trasformato in pregnenolone e poi in ormoni steroidi<br />
• Alcune tappe avvengono nel mitocondrio, altre nel reticolo endoplasmatico liscio<br />
Nomenclatura:<br />
• -olo: gruppo alcolico (colesterolo, cortisolo)<br />
• -diolo: due gruppi alcolici (estradiolo)<br />
• -one: gruppo chetonico (pregnenolone, progesterone, aldosterone)<br />
• -dione: due gruppi chetonici (androstenedione)<br />
Biosintesi degli ormoni steroidi nella corticale<br />
Mineralcorticoidi<br />
Recettori per mineralcorticoidi<br />
− sono un'ampia famiglia sintetizzati da un unico gene<br />
− allo stato libero hanno il loro dominio DNA-binding mascherato da una HSP, che si distacca in seguito<br />
all'interazione con l'ormone => viene fosforilato (attivato) => il complesso ormone-recettore viene traslocato<br />
nel nucleo => si lega a specifiche sequenze del DNA (HRE = hormone response elements) => una volta che il<br />
complesso ha agito si distacca e si dissocia => il recettore viene riciclato e l'ormone degradato => una<br />
molecola provoca un "quanto" di attivazione<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 168
Effetti dei mineralcorticoidi<br />
ACE = enzima a forbice di zinco => sostanze chelanti dello zinco possono bloccarlo (es. ACE inibitori)<br />
− Anche la tossina tetanica è a forbice di zinco => taglia le proteine (può essere inattivata da ACE inibitori, ma<br />
solo in vitro, perché non riesce ad entrare nelle cellule)<br />
Meccanismo d'azione dell'aldosterone nelle cellule dei tubuli distali e dei dotti collettori del rene:<br />
− il complesso ormone-recettore determina<br />
l'espressione di geni che codificano per le seguenti<br />
proteine:<br />
− pompa Na+/K+ ATP-dipendente =<br />
localizzata sulla membrana cellulare nel lato a<br />
contatto con il liquido interstiziale, che<br />
trasporta Na+ dal citoplasma alle cellule<br />
tubulari del liquido interstiziale ed il K+ dal<br />
liquido interstiziale nel citoplasma<br />
− canali del Na+ = localizzati sulla membrana<br />
cellulare nel lato a contatto col lume tubulare,<br />
adibiti al riassorbimeto di questo catione<br />
− canali del K+ = con la stessa localizzazione,<br />
adibiti al'escrezione di questo catione<br />
− controtrasportatori di Na+ e H+ = con la<br />
stessa localizzazione, che provvedono al<br />
riassorbimento del primo ed all'escrezione del<br />
secondo<br />
Glucocorticoidi<br />
Cortisolo e cortisone.<br />
Principali effetti:<br />
− iperglicemizzanti<br />
− stimolano la lipolisi => iperlipidemia<br />
− attività simil-mineralcorticoide<br />
− minor cicatrizzazione<br />
− maggior attività degli osteoclasti<br />
minor attività degli osteoblasti<br />
minor assorbimento di calcio<br />
− => osteoporosi<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 169
− immunodepressivi e antinfiammatori (perché agiscono più a monte dei FANS stabilizzando le membrane) =><br />
la PLP A2 non può staccare acido arachidonico per produrre prostaglandine<br />
− riducono l'edema cerebrale da danno cerebrale (passano la barriera emato-encefalica)<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 170
Ipercortisolismo - Sindromi e morbo di Cushing [leggi Cashing] e principali cause<br />
Comprendono tutte quelle condizioni che determinino un aumento dei livelli di glucocorticoidi.<br />
• Morbo di Cushing<br />
◦ microadenoma ACTH-secernente dell'adenoipofisi (corticotropinoma)<br />
◦ adenomi a cellule cromofobe secernenti ACTH<br />
=> consegue iperplasia della corticale surrenale => ipercortisolismo<br />
Somministrazione di alte dosi di glucocorticoidi => riduzione di secrezione ACTH (il feedback negativo è ancora<br />
presente).<br />
• Sindrome di Cushing surrenalica<br />
◦ adenomi e adenocarcinomi del surrene secernenti ormoni glicoattivi, la cui eccessiva concentrazione nel<br />
sangue, bloccando la secrezione ipofisaria di ACTH, determina ipotrofia delle zone fascicolata e reticolare<br />
non invase dal tumore (anche della surrenale controlaterale), risparmiando la zona glomerulosa<br />
=> ipercortisolismo con bassi livelli di ACTH<br />
• Sindrome di Cushing ectopica<br />
◦ somministrazione prolungata di steroidi glicoattivi<br />
◦ tumori producenti ACTH (generalmente microcitomi, ma anche carcinoidi, carcinomi midollari della<br />
tiroide, feocromocitomi, insulinomi)<br />
◦ iperproduzione ipotalamica di CRH<br />
◦ tumori producenti CRH (rari)<br />
Somministrazione di glucocorticoidi non abbassa i livelli di ACTH.<br />
L'etanolo stimola la produzione di ACTH => può causare una sindrome pseudo-Cushing.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 171
Iperaldosteronismo (sindrome di Conn) e principali cause<br />
• Adenoma o carcinoma surrenalico secernente aldosterone (indicata la terapia chirurgica)<br />
• Iperplasia bilaterale della zona glomerulosa (indicata la terapia medica con diuretici e ipotensivi )<br />
• Basso livello di renina<br />
• Si ha ipernatremia e ipervolemia<br />
• Deplezione potassica<br />
• Alcalosi metabolica per perdita di H+ con le urine insieme a K+<br />
Catecolamine<br />
Effetti contrastanti e simili dell’adrenalina e della noradrenalina<br />
Organi e apparati Adrenalina Noradrenalina<br />
Apparato cardiocircolatorio Incremento della pressione sistolica e riduzione<br />
di quella diastolica (aumento della pressione<br />
differenziale)<br />
Tachicardia<br />
Vasocostrizione nei distretti cutaneo, mucoso e<br />
renale<br />
Vasodilatazione negli apparati muscolare e<br />
scheletrico<br />
Incremento del flusso ematico epatico<br />
Apparato digerente Riduzione della motilità intestinale<br />
Contrazione degli sfinteri<br />
Incremento della pressione sistolica e diastolica<br />
(aumento della pressione media)<br />
Bradicardia<br />
Bronchi Broncodilatazione Nessun effetto<br />
Apparato pilifero Piloerezione Piloerezione<br />
Vasocostrizione generalizzata<br />
Lieve riduzione della motilità intestinale<br />
Lieve contrazione degli sfinteri<br />
Occhio Midriasi (per applicazione topica) Midriasi (per applicazione topica)<br />
Sintesi delle catecolamine<br />
Tirosina => tirosina => DOPA => DOPA decarbossilasi => dopamina => dopamina β-idrossilasi => noradrenalina =><br />
feniletanolamina-N-metil-transferasi (Pnmt) => adrenalina<br />
DOPA non c'è nell'albinismo (carenza di Tyr idrossilasi)<br />
TIROIDE<br />
Organo controllato a cascata da ipotalamo (rilascio di TRH) e ipofisi anteriore (rilascio di TSH sotto stimolo del TRH).<br />
Il TSH stimola la produzione di ormoni tiroidei: liberati al 90% sotto forma di tiroxina (T4) e al 10% triiodiotironina<br />
(T3), hanno un feedback negativo sulla produzione di TSH.<br />
T3 è considerata la forma attiva, T4 la forma di riserva plasmatica.<br />
I tireociti costituiscono la maggior parte della tiroide, ma ci sono anche cellule C che producono calcitonina.<br />
IPERTIROI<strong>DI</strong>SMI<br />
Frequenti<br />
• Iperplasia diffusa tossica (M. di Graves)<br />
• Gozzo multinodulare tossico<br />
• Adenoma tossico<br />
Meno frequenti<br />
• Tiroidite acuta e subacuta<br />
• Carcinoma tiroideo iperfunzionante<br />
• Tumori ipofisari con aumento di TSH<br />
• Tireotossicosi neonatale (madre con Graves)<br />
• Ipertiroidismo da eccesso di iodio (è discusso)<br />
• Ipertiroidismo iatrogeno (da farmaco che contiene ormoni tiroidei somministrato in maniera inappropriata)<br />
Ipertiroidismo = malattia di Graves (e Basedow) = quando c'è una reale iperfunzione tiroidea, quindi un aumento<br />
della produzione degli ormoni tiroidei rispetto al normale<br />
• in questi casi si osserva un'aumentata captazione del radioiodio da parte della ghiandola tiroidea, mediante il<br />
test standard della captazione del radioiodio (detto RAIU, si utilizza 125 I che ha un tempo di dimezzamento<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 172
eve, in modo da non farlo rimanere a lungo nell'organismo)<br />
Tireotossicosi = si intende un aumento della liberazione degli ormoni tiroidei rispetto al normale, ovvero uno stato<br />
ipermetabolico caratterizzato da elevati livelli ematici delle frazioni libere di T3 e T4<br />
• più frequente nel sesso femminile<br />
• la causa più frequente di tireotossicosi è l'ipertiroidismo, per cui i due termini vengono spesso intesi come<br />
sinonimi<br />
Manifestazioni cliniche della tireotossicosi<br />
• ingrossamento variabile della tiroide (non sempre è un vero e proprio gozzo, è un aumento di volume<br />
armonico)<br />
• collegate all'aumento dell'attività simpatica:<br />
• nervosismo, tachicardia, palpitazioni, ansia, fine tremore alle mani (soprattutto se distese), labilità emotiva<br />
• collegate ad un aumentato stimolo termogenetico:<br />
• intolleranza al caldo, cute calda, eccessiva sudorazione, perdita di peso anche con appetito normale,<br />
astenia, debolezza muscolare<br />
• altre:<br />
• modificazioni del ciclo mestruale, diarrea, modificazioni oculari<br />
La classificazione delle manifestazioni cliniche è un po' empirica, non è ne sicura ne precisa.<br />
Malattia di Graves [guardato anche su libro]<br />
Ipertiroidismo dovuto a un gozzo iperplastico diffuso iperfunzionante, talora associato a oftalmopatia e dermopatia<br />
infiltrativa.<br />
− Oftalmopatia: ampiezza delle rime palpebrali, retrazione delle palpebre superiori, fissità dello sguardo,<br />
debolezza dei muscoli oculari, diplopia, edema periorbitario ed esoftalmo.<br />
− Dermopatia: aree di edema localizzato sulla superficie dorsale delle gambe e dei piedi, in forma di placche o<br />
aree nodulari.<br />
Classicamente la malattia di Graves comprende la triade:<br />
• gozzo iperplastico diffuso<br />
• dermopatia<br />
• oftalmopatia.<br />
Tuttavia la dermopatia è presente solo nel 10-15% dei casi e l'oftalmopatia può essere assente o poco evidente, cosicché<br />
la diagnosi si fonda solo sulla documentazione delle alterazioni morfologiche e funzionali della tiroide.<br />
Eziopatogenesi della malattia di Graves<br />
Si sono rilevate associazioni frequenti con gli aplotipi HLA-B5 e DR3 tra i pazienti di razza caucasica.<br />
Inoltre, si osservano frequentemente predisposizioni familiari.<br />
È dimostrato che le alterazioni della tiroide nella malattia di Graves hanno origine autoimmune e sono correlate alla<br />
produzione di IgG contro epitopi specifici del recettore del TSH.<br />
1) Immunoglobuline tiroide-stimolanti (TSI, o anticorpi tiroide-stimolanti, TSAb) => in vitro stimolano la<br />
funzione delle cellule tiroidee, aumentando l'attività dell'adenil-ciclasi.<br />
2) Immunoglobuline inibenti il legame del tireotropo (TBII) => sono altri autoanticorpi, che agiscono legando<br />
il recettore per il TSH, impedendone il legame del TSH stesso<br />
◦ Questi autoanticorpi, legandosi anch'essi al recettore del TSH, ne simulano e potenziano l'azione. Quindi,<br />
sia le TBII che il TSAb sono responsabili dello stato di iperfunzione che si verifica nella malattia di<br />
Graves.<br />
◦ In alcuni casi si attua una sorta di competizione tra le TBII e il TSH, con conseguente inibizione<br />
dell'attività cellulare.<br />
Questa doppia capacità, stimolante e a volte inibente, sembra essere dovuta a epitopi differenti del recettore del TSH<br />
contro i quali vengono prodotte diverse classi di T.<br />
L’evento scatenante alla produzione di autoanticorpi è ancora sconosciuto.<br />
Per il morbo di Graves si ipotizza una patogenesi simile alla tiroidite di Hashimoto:<br />
• un difetto congenito, organo-specifico, nella funzione dei linfociti T soppressori permetterebbe la produzione e<br />
la proliferazione di linfociti T helper CD4+ diretti contro gli epitopi del recettore per il TSH. Questi linfociti T,<br />
cooperando con le cellule B, avrebbero la capacità di stimolare la produzione di autoanticorpi tiroide-specifici<br />
(effetto stimolante).<br />
Nella tiroidite di Hasimoto si ha invece una citotossicità cellulare anti-tireociti mediata da linfociti T CTL e B (con<br />
autoanticorpi), con la conseguenza di una ridotta attività della ghiandola.<br />
Talora l'ipertiroidismo si instaura su una pregressa tiroidite di Hashimoto (hashitossicosi).<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 173
Alterazioni oculari nella malattia di Graves<br />
Anche le alterazioni oculari del Graves hanno un'eziopatogenesi autoimmune. Le lesioni sono costituite da un massivo<br />
infiltrato di infociti T CD4+ o CD8+ e un aumento dei glicosaminoglicani nei muscoli extraoculari e dei tessuti<br />
fibroadiposi orbitari. Queste alterazioni, nel loro insieme, producono l'esoftalmo.<br />
Decorso clinico della malattia di Graves<br />
Se la triade è costituita da gozzo iperplastico, dermopatia e oftalmopatia la diagnosi è agevole.<br />
La conferma di laboratorio si ottiene con: aumento della captazione dello iodio, diminuzione dei livelli di TSH e livelli<br />
sopra la norma di T3 e T4 totali e liberi.<br />
In molti casi la tireotossicosi è persistente, ma talora ha un andamento ondulante.<br />
La terapia medica può facilmente controllare la tireotossicosi, ma non ha effetto sull'oftalmopatia. L'esoftalmo, spesso a<br />
decorso benigno, autolimitante, può talora assumere un decorso progressivo, tale da impedire la chiusura delle palpebre<br />
con conseguenti traumi e ulcere corneali fino alla perdita degli occhi.<br />
Manifestazioni cliniche della malattia di Graves<br />
Vedi tireotossicosi e vedi figura.<br />
Quindi si ha aumento del metabolismo basale con aumento della produzione di calore a scapito dell'accumulo di<br />
sostanze plastiche.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 174
IPOTIROI<strong>DI</strong>SMI<br />
Stato ipometabolico da insufficienza della ghiandola tiroide.<br />
Le manifestazioni cliniche possibili dipendono dall’età di insorgenza:<br />
1. Durante lo sviluppo fetale e nella prima infanzia => cretinismo<br />
2. Nelle età successive => mixedema<br />
Cretinismo<br />
Ritardo nello sviluppo fisico e mentale, inapparente alla nascita, si manifesta nelle prime settimane o nei primi mesi.<br />
La sindrome completa è caratterizzata da:<br />
• cute rugosa e secca,<br />
• ampia distanza interoculare, succulenza dei tessuti periorbitali<br />
• naso largo e piatto<br />
• lingua grossa e protrudente<br />
• gravi alterazioni nello sviluppo scheletrico e in quello cerebrale<br />
Il cretinismo endemico si manifesta nelle zone di gozzo endemico correlato alla carenza di iodio nella dieta.<br />
Il cretinismo sporadico è solitamente dovuto a difetti congeniti dello sviluppo tiroide o (cretinismo sporadico<br />
tireoprivo) o a difetti nella biosintesi degli ormoni tiroidei.<br />
Cretinismo nelle alpi svizzere. Il cretinismo è una deficienza irreversibile nello sviluppo del cervello umano, che si<br />
accompagna a sordomutismo, nanismo e a malformazione delle ossa e delle articolazioni. Il cretinismo si sviluppa in<br />
generale nel feto o nella fase immediatamente postnatale a causa di una grave carenza di iodio nell'alimentazione, che a<br />
sua volta comporta una insufficienza tiroidea (cretinismo endemico); solo in rari casi vi è un'origine genetica<br />
(cretinismo familiare).<br />
Probabilmente già dall'età della Pietra il cretinismo era presente in forma endemica in tutti i continenti, là dove era<br />
diffuso il gozzo dovuto a carenza di iodio.<br />
Nel XIX Secolo, nelle valli più elevate delle Alpi svizzere fino al 90% della popolazione aveva il gozzo e fino al 2% era<br />
affetta da cretinismo (endemico). Nel Vallese un censimento svolto dal 1843 dalla Società svizzera di scienze naturali.<br />
La più antica descrizione del cretinismo nelle Alpi risale al 1220 (Jacques de Vitry). In seguito, il fenomeno e la sua<br />
ricorrenza nelle regioni alpine furono più volte documentati da viaggiatori che attraversarono le Alpi diretti in Italia,<br />
così come da eruditi quali Felix Platter (1536-1614), Albrecht von Haller (1708-1777), Horace Bénédict de Saussure<br />
(1740-1799) e Heinrich Zschokke (1771-1848).<br />
La nozione medica di cretinismo fu formulata soltanto nel XVIII sec. nel Vallese. Il termine è derivato dal francese<br />
crétin o crestien, che a sua volta è riconducibile al lat. cristianus, cioè (povero) cristiano.<br />
Dato che un gozzo pronunciato era ritenuto segno di scarsa intelligenza, il "cretino delle Alpi" divenne un vero e<br />
proprio luogo comune delle arti figurative. In numerose rappresentazioni della Via Crucis, ad esempio, un accentuato<br />
gozzo e i tipici lineamenti grossolani del cretinoide contraddistinguono i torturatori di bassa.<br />
Gli scienziati svizzeri realizzarono sperimentazioni pionieristiche nella cura e nella prevenzione del cretinismo. Nel<br />
XIX Secolo la clinica per affetti da cretinismo di Abendberg, sopra Interlaken, fondata nel 1841 dal medico Johann<br />
Jakob Guggenbühl e oggi considerata precorritrice dei successivi istituti neuropsichiatrici, introdusse un idealistico<br />
metodo terapeutico di ispirazione romantica.<br />
La chirurgia del gozzo e le correlate ricerche scientifiche sul cretinismo, sviluppate dall'ultimo quarto del XIX sec.,<br />
valsero nel 1909 a Theodor Kocher il premio Nobel per la medicina, per la prima volta attribuito a un chirurgo.<br />
La profilassi con sale iodato, imposta a partire dal 1922 nel cantone Appenzello Esterno e più tardi in tutta la Svizzera<br />
per merito di alcuni medici, tra cui Hans Eggenberger, Otto Bayard, Heinrich Hunziker e Fritz de Quervain, assunse<br />
valore esemplare a livello mondiale.<br />
Da allora in Svizzera non nacquero più neonati affetti da cretinismo; l'ultima persona affetta dalla malattia morì negli<br />
anni 1970-80. Seguendo l'esempio svizzero, anche gli altri Paesi industrializzati riuscirono a debellare la malattia, che<br />
resta invece tuttora diffusa nel Terzo mondo.<br />
Mixedema [leggi mixedèma]<br />
E’ l'ipotiroidismo che insorge in bambini di età superiore e nell'adulto.<br />
• Nei bambini si hanno segni e sintomi intermedi tra il cretinismo e il mixedema adulto.<br />
• Nell'adulto, la condizione si instaura lentamente e insidiosamente.<br />
Manifestazioni cliniche del mixedema:<br />
• rallentamento progressivo delle attività psico-fisiche<br />
• stanchezza<br />
• apatia<br />
• letargia<br />
• intolleranza al freddo<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 175
• calo dell'attenzione<br />
La parola e le funzioni intellettuali diventano lente. Con il passare del tempo, si sviluppa edema peri orbitale e<br />
progressivi ispessimento e secchezza della cute. I lineamenti del volto si appesantiscono e diventano più marcati e la<br />
lingua si ingrossa.<br />
Altri sintomi:<br />
• Diminuita sudorazione e lentezza delle funzioni motorie.<br />
• Mixedema del cuore o cardiomiopatia ipotiroidea<br />
◦ Cuore flaccido e ingrossato, con le camere dilatate.<br />
◦ Istologicamente, i miociti appaiono ingrossati con perdita della striatura e si osserva edema interstiziale<br />
per accumulo di mucopolisaccaridi.<br />
◦ Nel sacco pericardico si accumula liquido ricco di mucopolisaccaridi.<br />
Tiroidite di Hashimoto<br />
E’ caratterizzata da un intenso infiltrato di linfociti e plasmacellule che virtualmente sostituisce in modo completo il<br />
tessuto tiroideo.<br />
La tiroidite di Hashimoto ha una notevole importanza clinica per i seguenti motivi:<br />
1. È la causa più comune di ipotiroidismo gozzigeno nelle regioni con sufficiente apporto di iodio.<br />
2. 2. È la causa principale di gozzo non endemico nei bambini.<br />
3. Tra le malattie autoimmuni, è stata la prima a essere riconosciuta e descritta e ne costituisce quindi il prototipo.<br />
La maggior parte dei pazienti con tiroidite di Hashimoto sviluppa, nel tempo, un ipotiroidismo.<br />
Tuttavia, in una piccola parte di casi si ha insorgenza di uno stato ipertiroideo, noto come hashitossicosi.<br />
Sia la tiroidite di Hashimoto sia la malattia di Graves hanno un'origine autoimmune e alcuni meccanismi patogenetici<br />
sono condivisi dalle due forme.<br />
Patogenesi della tiroidite di Hashimoto:<br />
• Patogenesi autoimmune, correlata probabilmente a un difetto nella funzione dei linfociti T soppressori tiroidespecifici.<br />
• E’ probabile un'ereditarietà autosomica dominante.<br />
• Il difetto funzionale dei linfociti T soppressori permetterebbe la predominanza dei linfociti helper CD4+,<br />
specifici per antigeni tiroidei e che cooperano con i linfociti B alla produzione di vari autoanticorpi.<br />
• I più importanti sono gli autoanticorpi contro le perossidasi tiroidee (chiamati anche anticorpi antimicrosomiali<br />
o anti-TPO).<br />
• Altri autoanticorpi sono specifici per la tireoglobulina (anti-TG), per ulteriori antigeni colloidali diversi dalla<br />
tireoglobulina, per il recettore del TSH, o per altri ancora.<br />
• i pazienti con Hashimoto soffrono spesso anche di altre malattie autoimmuni, come il lupus sistemico<br />
eritematoso, la sindrome di Sjögren, l'artrite reumatoide, l'anemia perniciosa, il diabete di tipo I e la malattia di<br />
Graves.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 176
PANCREAS<br />
La storia di Leonard Thompson<br />
L'11 gennaio 1922 Leonard Thompson di 12 anni, ricoverato in coma (oggi possiamo dire "coma diabetico")<br />
all'ospedale di Toronto, fu curato per la prima volta al mondo con un estratto grezzo di insule pancreatiche,<br />
L’estratto era stato preparato dall' ortopedico Banting e dallo studente Best nel laboratorio del fisiologo Macleod.<br />
Il preparato (siero di Macleod) abbassava la glicemia in cani cui era stato rimosso il pancreas.<br />
Il paziente superò il coma e fu in seguito curato per altri 15 anni con l'estratto, parzialmente purificato dal biochimico<br />
Collip. Morì per polmonite da stafilococco aureo (le complicanze infettive nel diabete sono frequenti).<br />
All'autopsia mostrò fibrosi diffusa del pancreas con diminuzione delle cellule insulari. C'era aterosclerosi diffusa con<br />
lesioni aortiche e coronariche. Era presente epatomegalia con accumulo di glicogeno negli epatociti e nelle cellule renali<br />
e edema cerebrale.<br />
L'insulina<br />
L'insulina cristallina fu ottenuta nel 1926 e<br />
ne fu stabilita la struttura negli anni '50 da<br />
Frederick Sanger (Biologo inglese,<br />
vincitore di due premi Nobel, per la<br />
caratterizzazione della struttura<br />
dell'insulina e per la scoperta di un<br />
metodo per l'analisi delle sequenze<br />
aminoacidiche).<br />
Sanger usò un marcatore speciale che si<br />
unisce ai gruppi NH2 liberi (il DNP,<br />
dinitrofenolo) con successiva idrolisi e<br />
cromatografia. Il marcatore impiegato da<br />
Sanger si unisce al terminale NH2 e<br />
resiste all'idrolisi.<br />
In questo modo, frazionando la molecola<br />
di insulina in differenti peptidi e<br />
marcandoli con DNP, si poteva procedere<br />
producendo l'idrolisi in modo da<br />
frazionare i peptidi, identificandone gli<br />
aminoacidi.<br />
L'insulina fu sintetizzata nel 1963.<br />
Dopo essere stata ottenuta per anni dal pancreas bovino e porcino, può ora essere ottenuta biotecnologicamente da DNA<br />
ricombinante espresso in Saccharomyces cerevisiae.<br />
Cellule del pancreas endocrino<br />
4 tipi maggiori di cellule nelle isole di Langherans:<br />
• Cellula B (beta) produce insulina; granuli con profilo rettangolare e matrice cristallina, circondati da un alone.<br />
• Cellula A (alfa) secerne glucagone; granuli rotondi con membrane strettamente aderenti e una zona centrale più<br />
scura.<br />
• Cellula D (delta) contiene la somatostatina; granuli grandi e pallidi con membrane strettamente aderenti.<br />
• Cellula PP produce un polipeptide che esercita svariati effetti sull'apparato gastrointestinaIe; granuli piccoli e<br />
scuri ed è presente non solo nelle isole, ma anche nel parenchima pancreatico.<br />
2 tipi minori di cellule nelle isole di Langherans:<br />
• Cellula D1 (delta1) produce produce un peptide vasoattivo intestinale (VIP); granuli caratteristici al<br />
microscopio elettronico.<br />
• Cellula enterocromaffine produce serotonina (il tessuto enterocromaffine è diffuso nella surrenale,<br />
nell'intestino e nel pancreas, in questo caso produce serotonina)<br />
Il glucagone<br />
Il glucagone è un'ormone peptidico secreto dal pancreas, esattamente dalle cellule α. Esso permette il controllo dei<br />
livelli di glucosio nel sangue, affinché rimangano entro certi limiti: se il livello ematico di glucosio scende sotto una<br />
soglia di circa 80mg/100ml (normalmente è 100-110), le cellule α cominciano a secernere glucagone. Questo si lega<br />
immediatamente ai suoi recettori presenti principalmente sugli epatociti, attivando la degradazione del glicogeno<br />
(glicogenolisi) ed un conseguente rilascio di glucosio nel sangue.<br />
Quando i livelli di glucosio scendono al di sotto di un valore minimo, il glucagone dà un segnale al fegato che dà inizio<br />
alla gluconeogenesi, ovvero alla sintesi di glucosio.<br />
Al contrario, quando i livelli di glucosio sono elevati la concentrazione di glucagone diminuisce e quindi viene attivata<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 177
a livello cellulare la glicolisi.<br />
Somatostatina<br />
La somatostatina è un ormone polipeptidico.<br />
Prodotta dalle cellule delta del pancreas, inibisce il rilascio di insulina e glucagone e di acido cloridrico nello stomaco,<br />
inibisce inoltre la produzione esocrina del pancreas.<br />
Inoltre è prodotta da:<br />
− ipotalamo, dove inibisce la secrezione di GH (ormone della crescita) e Prolattina<br />
− cellule D antrali dello stomaco, dove inibisce cellule G produttrici di gastrina<br />
Peptide vasoattivo intestinale<br />
Il VIP ha ruoli differenti a seconda delle differenti parti del corpo in cui agisce:<br />
• il suo ruolo nell'intestino è quello di stimolare la secrezione di acqua ed elettroliti, così come di dilatare la<br />
muscolatura liscia intestinale, dilatare i vasi sanguigni periferici, stimolare la secrezione di bicarbonato<br />
pancreatico e inibire la secrezione di acido gastrico stimolata dalla gastrina. Questi effetti agiscono insieme per<br />
aumentare la motilità intestinale.<br />
È presente inoltre nel cervello e in qualche nervo autonomo. Una regione del cervello include una specifica regione dei<br />
nuclei soprachiasmatici (SCN) dove si trova il pacemaker circadiano primario. Dato che i SCN sono responsabili nel<br />
rilevare la luce nell'ambiente circostante comunicatagli direttamente dalla retina, e comunicano questa informazione sul<br />
relativo 'momento del giorno' al resto del corpo, è probabile che VIP giochi un ruolo chiave nel meccanismo<br />
dell'orologio biologico dei mammiferi.<br />
È presente anche nel cuore ed ha effetti significativi sull'apparato cardiocircolatorio. Induce vasodilatazione coronarica<br />
ed ha anche un effetto inotropo e cronotropo positivo.<br />
<strong>DI</strong>ABETE MELLITO<br />
E’ un disordine cronico del metabolismo dei carboidrati, lipidi e proteine.<br />
La caratteristica della malattia è la risposta secretoria insufficiente o difettosa dell'insulina, che determina una<br />
alterazione del metabolismo dei carboidrati (glucosio), con conseguente iperglicemia.<br />
Circa il 3% della popolazione mondiale (100 milioni di individui) soffre di questa affezione, che quindi è una tra le più<br />
comuni malattie non infettive.<br />
Classificazione e incidenza<br />
Le forme più importanti di diabete mellito possono essere divise in due varianti più comuni (il tipo 1 ed il tipo 2) che si<br />
differenziano per l'ereditarietà, le risposte all'insulina e le origini; in modo meno specifico per difetti genetici delle<br />
funzioni delle cellule.<br />
Diabete primitivo<br />
1. Tipo 1 (in precedenza diabete mellito<br />
insulino-dipendente, IDDM: denominazione<br />
ora superata)<br />
◦ 1A autoimmune<br />
◦ 1B Idiopatico<br />
2. Tipo 2 (in precedenza diabete mellito non<br />
insulino-dipendente, NIDDM: denominazione<br />
ora superata)<br />
3. Difetti genetici della funzione delle cellule<br />
beta<br />
◦ Diabete giovanile ad insorgenza in età<br />
matura [MODY]) : non lo trattiamo<br />
◦ Cromosoma 2, HNF 4 a (MODY 1)<br />
◦ Cromosoma 7, glucochinasi (MODY 2)<br />
◦ Cromosoma 12, HNF 1 a (MODY 3)<br />
◦ DNA mitocondriale<br />
◦ Altri difetti genetici<br />
Quello che distingue tipo I e tipo II è il meccanismo<br />
patogenetico:<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 178
• tipo I = risposta immunitaria verso le isole pancreatiche => distruzione isole => carenza marcatissima di<br />
insulina<br />
◦ può esserci infiltrazione da linfociti nelle insule pancreatiche, con atrofia, fortissima riduzione numerica<br />
delle cellule beta<br />
• tipo II = resistenza periferica all'azione dell'insulina, non c'è deficit di insulina (può aumentare), ci può essere<br />
riduzione da esaurimento delle insule<br />
◦ non c'è infiltrazione linfocitaria, le cellule beta sono solo modicamente ridotte in numero, a volte ci sono<br />
dei depositi di amiloide<br />
Diabete secondario<br />
• Infezioni<br />
• Rosolia congenita<br />
• Citomegalovirus<br />
• Endocrinopatie (es. tumori ipofisari, surrenalici)<br />
• Farmaci<br />
• Altri difetti genetici (es. Sindrome di Down)<br />
• Diabete mellito gestazionale<br />
Fisiologia dell'insulina<br />
Lo stimolo alla produzione dell’insulina è costituito dal<br />
glucosio che, penetrando nella cellula beta dà avvio alla<br />
sintesi di insulina e alla sua secrezione.<br />
L’insulina è un ormone anabolizzante.<br />
Azioni:<br />
• Trasporto transmembrana glucosio e aminoacidi<br />
• Formazione di glicogeno epatico e muscolare<br />
• Conversione di glucosio in trigliceridi<br />
• Sintesi di acidi nucleici<br />
• Sintesi proteica<br />
Effetti dell'insulina<br />
• Trasporto transmembrana del glucosio nelle<br />
cellule muscolari striate e miocardiche, nei fibroblasti,<br />
negli adipociti.<br />
• Traslocazione GLUT-4<br />
◦ GLUT-2: nel fegato<br />
◦ GLUT-4 nel muscolo e nel tessuto adiposo<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 179
PATOGENESI DEL <strong>DI</strong>ABETE TIPO 1<br />
Risposta autoimmune verso le isole pancreatiche.<br />
• Fattori ambientali: all’autoimmunità si<br />
aggiungono fattori ambientali, poco noti, ma<br />
evidenziati dall’evidenza che emigranti di una<br />
etnia hanno rischio di ammalare più simile alle<br />
popolazioni del Paese di destinazione che a<br />
quella del Paese di origine.<br />
• Virus: associazione di nuove diagnosi con<br />
comuni infezioni virali stagionali, come<br />
Coxsackie B. Inoltre associazioni con parotite,<br />
morbillo, citomegalovirus, rosolia e<br />
mononucleosi. Si ritiene che giochi un fenomeno<br />
di mimetismo molecolare tra proteine virali e<br />
proteine delle cellule β<br />
Autoimmunità<br />
1. Insulite con infiltrato di CD8+ e CD4+ (i CD4+<br />
possono sperimentalmente trasferire<br />
l’autoimmunità).<br />
2. Si associa, nelle cellule β aumentata espressione<br />
di molecole di classe I e espressione aberrante di<br />
antigeni di classe II. (Questa ultima indotta da<br />
citochine prodotte localmente da CD4+).<br />
3. Presenza di autoanticorpi contro antigeni delle cellule insulari (tra cui contro GAD, decarbossilasi dell’acido<br />
glutammico)<br />
Sviluppo del diabete tipo 1<br />
Malgrado la terapia sostitutiva le complicanze sono difficili da controllare, perché in ogni caso restano picchi<br />
iperglicemici.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 180
<strong>DI</strong>ABETE TIPO II<br />
Resistenza periferica all'azione dell'insulina, non c'è deficit<br />
di insulina (può aumentare), ci può essere riduzione da<br />
esaurimento delle insule.<br />
Possono esserci difetti primitivi nella secrezione insulinica.<br />
Si può osservare deposizione di sostanza amiloide nelle<br />
insule.<br />
Patogenesi delle complicanze del diabete - Glicosilazione non enzimatica delle proteine<br />
Nelle proteine con gruppi laterali aminoacidici NH2 (es.<br />
lisina) può avvenire il legame tra glucosio e NH2 => si<br />
forma una base di Schiff, che porta alla stabilizzazione del<br />
gruppo aldeidico legato a NH2 => è detto prodotto di<br />
Amadori => questa proteina glicosilata tende a formare<br />
legami trasversi (crociati) con fenomeni di<br />
insolubilizzazione delle proteine e altri fenomeni deleteri.<br />
I prodotti di questa reazione sono detti advanced<br />
glycation end-products (AGE), che hanno capacità di:<br />
• formare legami crociati fra polipeptidi della<br />
stessa proteina (es. collagene)<br />
• intrappolare proteine non-glicosilate (es. LDL,<br />
Ig, complemento)<br />
• conferire resistenza alla digestione proteolitica<br />
• indurre ossidazione dei lipidi<br />
• inattivare l'ossido nitrico<br />
• legare acidi nucleici<br />
• legarsi ai recettori per AGE sui monociti e sulle<br />
cellule mesenchimali<br />
• indurre migrazione monocitaria<br />
• indurre secrezione di citochine e di fattori di<br />
screscita<br />
• indurre aumentata permeabilità vascolare<br />
• indurre attività procoagulante<br />
• indurre aumentata proliferazione cellulare<br />
• indurre aumentata produzione di ECM<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 181
Complicanze a lungo termine del diabete<br />
• microangiopatia = lesione di piccoli<br />
vasi, anche a livello cerebrale, che<br />
può formare aneurismi<br />
• alterazione dei vasi retinici con<br />
retinopatia, cataratta, glaucoma<br />
(aumento della pressione<br />
intraoculare, per mancanza del<br />
flusso dell'umor acqueo)<br />
• ipertensione<br />
• tendenza a infarto miocardio per<br />
aterosclerosi<br />
• perdita di cellule insulari, per<br />
insulite nel tipo I, per deposito di<br />
amiloide nel tipo II<br />
• nefrosclerosi, glomerulosclerosi,<br />
arteriolosclerosi sono le lesioni<br />
renali che portano ad ipertensione<br />
• neuropatia diabetica<br />
• aterosclerosi periferica con ischemia<br />
degli arti inferiori => gangrena =><br />
infezioni che possono interessare<br />
l'intero organismo per via<br />
ematogena<br />
Coma diabetico<br />
Un soggetto diabetico tende ad andare<br />
incontro ad iperglicemia, che porta alle due<br />
principali cause del coma diabetico:<br />
− poliuria iperosmotica, perché il<br />
glucosio passa nelle urine e ne<br />
aumenta la pressione osmotica =><br />
iperuria => ipovolemia<br />
(inizialmente compensata dalla<br />
necessità di bere) => caduta di<br />
pressione arteriosa => shock<br />
− eccesso di glucagone e carenza di<br />
insulina porta alla chetogenesi e<br />
alla formazione di chetoacidi,<br />
perché non può esservi<br />
ossidazione del glucosio =><br />
chetoacidosi<br />
NB: Non si parla del coma insulinico: un<br />
eccesso di insulina provoca grave<br />
ipoglicemia con tendenza a collasso, ecc.<br />
Appunti di Patologia Generale – Pag, 182
Appunti di Patologia Generale – Pag, 183