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APPUNTI DI PATOLOGIA GENERALE - Camice d'Oro

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<strong>APPUNTI</strong><br />

<strong>DI</strong><br />

<strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong><br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 1


DEFINIZIONE E OGGETTO DELLA <strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong><br />

Patologia: letteralmente studio (in greco: logos) della sofferenza (in greco : pathos)<br />

La patologia è quindi lo studio delle “sofferenze” delle cellule e dei tessuti indotte da stimoli lesivi, cioè delle malattie<br />

• … delle cellule?<br />

◦ La cellula non è un’isola ma parte di un insieme. La cellula è l’unità morfologica e funzionale<br />

dell’organismo<br />

◦ Il patologo guarda alla cellula come ad un “paziente elementare”<br />

• … malattia?<br />

◦ La malattia è una condizione del corpo o della mente che diminuisca le probabilità di sopravvivenza<br />

dell’individuo o della specie. E' vero? Molte le critiche possibili:<br />

▪ sono da escludere condizioni estrinseche<br />

▪ si deve ammettere che alcune malattie possano talora favorire la probabilità di sopravvivenza (es.<br />

anemia falciforme e talassemie)<br />

▪ non sempre individuo e specie sono svantaggiati contemporaneamente<br />

▪ non si può ignorare come i diversi contesti sociali e culturali possano influenzare la definizione di<br />

malattia<br />

• Definizione di salute dell'OMS: Salute è una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale<br />

◦ la malattia sarebbe quindi una limitazione in questo<br />

Il numero delle possibili malattie è enorme!<br />

Oltre 8000 malattie comprese nell’elenco della Classificazione Internazionale delle Malattie (1980):<br />

Sangue 71<br />

Cute 143<br />

Condizioni perinatali 162<br />

Respiratorie 174<br />

Varie 195<br />

Endocrine, nutrizionali, metaboliche, immunitarie 228<br />

Mentali 293<br />

Circolatorie 300<br />

Genitourinarie 311<br />

Digestive 332<br />

Congenite 357<br />

Neoplasie 579<br />

Infettive e parassitarie 691<br />

Muscolo, scheletro, tessuto connettivo 858<br />

Gravidanza, parto, puerpuerio 917<br />

Sistema nervoso 1167<br />

Traumi e avvelenamenti 1516<br />

TOTALE 8294<br />

Il termine “<strong>PATOLOGIA</strong>” significa letteralmente studio (in greco: logos) della sofferenza (in greco: pathos). La<br />

patologia è quindi lo studio delle sofferenze cellulari indotte da stimoli lesivi, cioè delle malattie. Il numero delle<br />

possibili malattie è enorme! La <strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong> studia i fenomeni reattivi “generali” delle cellule sottoposte<br />

a stimoli lesivi, cioè quei fenomeni che sono alla base di tutte le malattie.<br />

Alcune definizioni<br />

• ETIOLOGIA di una malattia significa causa<br />

• PATOGENESI è l’insieme dei meccanismi attraverso i quali l’agente etiologico conduce alla malattia<br />

• DECORSO<br />

◦ acuto = se inizia e poi termina con la guarigione o con la morte dell'individuo<br />

◦ cronico = se si instaura una sorta di equilibrio tra l'agente patogeno e l'organismo (per malattie infettive,<br />

es. tubercolosi), oppure non è risolvibile (es. per endocrinopatie come il diabete)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 2


◦ sub-acuto<br />

◦ sub-cronico<br />

• TOPOGRAFIA: localizzazione di una malattia<br />

◦ focale = se limitata ad una zona precisa di<br />

un organo (es. tonsillite, apice dentario)<br />

◦ diffusa = se colpisce un distretto (es.<br />

polmonite)<br />

◦ disseminata = es. malattia esantematica<br />

infantile (morbillo, varicella, rosolia)<br />

◦ sistemica = se occupa un intero sistema<br />

(sistema emopoietico, app.<br />

◦<br />

gastrointestinale, SNC)<br />

generalizzata = se si distribuisce a diversi organi, apparati, sistemi<br />

• <strong>DI</strong>AGNOSI <strong>DI</strong>FFERENZIALE<br />

◦ alcuni segni e sintomi sono comuni a più malattie, si tratta di conoscere e identificare quelli che le<br />

differenziano<br />

Cause di danno cellulare<br />

• CHIMICHE (acidi, alcali, veleni, inquinanti ambientali, alcool etilico)<br />

• FISICHE (alte e basse temperature, radiazioni ionizzanti, shock elettrico)<br />

• IPOSSIA<br />

• INFEZIONI<br />

• AUTOIMMUNITA’<br />

• ALTERAZIONI GENETICHE (esempio delle talassemie)<br />

• SQUILIBRI NUTRIZIONALI (esempio dell’aterosclerosi)<br />

Possibili reazioni della cellula all’agente dannoso<br />

• ADATTAMENTI CELLULARI (esempi: ipertrofia, atrofia)<br />

• Se sono superati i limiti dell’adattamento cellulare si crea una sofferenza o danno cellulare:<br />

• SOFFERENZA O DANNO CELLULARE REVERSIBILE (corrisponde alla degenerazione della patologia<br />

classica)<br />

• SOFFERENZA O DANNO CELLULARE IRREVERSIBILE E MORTE CELLULARE<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 3


ADATTAMENTO CELLULARE<br />

Risposta di un gruppo di cellule ad uno stimolo fisiologico o patologico che ne alteri l'equilibrio, lo stimolo è dannoso,<br />

ma non è tale da provocare un danno cellulare reversibile o irreversibile, ma altera solamente le caratteristiche<br />

funzionali e/o morfologiche della cellula, che la rende adatta alla nuova funzione richiesta.<br />

Cause di stimoli patologici<br />

• Genetici: difetti genetici, difetti cromosomici<br />

• Nutrizionale: deficienze o eccessi di sostanze nutritive, ad esempio ferro, vitamine<br />

• Immunologico: danni causati dal sistema immunitario, ad esempio autoimmunità<br />

• Endocrino: attività ormonale carente o eccessiva<br />

• Agenti fisici: traumi meccanici, danno termico, radiazioni<br />

• Agenti chimici: molti agenti chimici tossici, ad esempio metalli pesanti, solventi, farmaci<br />

• Agenti infettivi: infezioni da virus, batteri, parassiti, funghi e altri organismi<br />

• Anossia: di regola secondaria ad alterazioni della funzione respiratoria o della funzione circolatoria<br />

Le cellule sono unità capaci di adattamento: se le cellule costituissero un sistema statico e rigido ogni cambiamento<br />

ambientale provocherebbe uno sconvolgimento della funzione dei tessuti.<br />

Le cellule si adattano a cambiamenti di ambiente accettabili: per mantenere una funzione normale le cellule<br />

adottano modificazioni metaboliche fisiologiche.<br />

Esempi sono: la mobilizzazione del calcio dalla matrice ossea per effetto del paratormone nelle carenze; la<br />

metabolizzazione degli acidi grassi nel digiuno; enzimi lisosomiali epatici dopo somministrazione di rifampicina.<br />

Le cellule possono anche andare incontro a modificazioni strutturali: ciò accade anche in condizioni fisiologiche<br />

(adattamenti fisiologici strutturali):<br />

• Ipertrofia<br />

• Iperplasia<br />

• Atrofia<br />

• Metaplasia<br />

Modificazioni severe dell’ambiente di vita delle cellule costituiscono stimoli patologici.<br />

Non sempre i confini fra fisiologico e patologico sono rigidi e possono essere schematizzati a priori: molte le variabili.<br />

Meccanismi come ipertrofia e iperplasia possono verificarsi contemporaneamente in seguito alla risposta di organi e<br />

tessuti a un aumentato stress e alla perdita cellulare.<br />

Iperplasia = aumento del numero di cellule => aumento del volume dell'organo. E' possibile negli organi le cui cellule<br />

possono dividersi (es. fegato).<br />

− Fisiologica<br />

− da stimoli ormonali (es. utero in gravidanza, mammella in lattazione)<br />

− compensatoria = es. in seguito a epatectomia parziale => promossa da fattori di crescita a effetto promitogeno<br />

e da ormoni come GH => in seguito, quando la massa epatica si è ripristinata, il fegato stesso<br />

produce fattori inibitori per la proliferazione<br />

− Patologica<br />

− in genere da iperstimolazione ormonale o per effetto dei fattori di crescita<br />

− es. iperplasia adenomatosa dell'endometrio (aumenta il numero di elementi ghiandolari) => dovuta a<br />

squilibrio tra estrogeni (che sono troppo elevati) e progestinici<br />

− es. iperplasia prostatica<br />

L'iperplasia regredisce al cessare dello stimolo ormonale, ma quella patologica è un terreno fertile sul quale può<br />

eventualmente instaurarsi una proliferazione neoplastica.<br />

L'iperplasia è una risposta importante del tessuto connettivale nella guarigione delle ferite.<br />

Ipertrofia = aumento di dimensioni delle cellule (e conseguentemente dell'organo), è sempre accompagnata da aumento<br />

di numero degli organelli intracellulari (mitocondri, fibrille, ecc.). In alcuni casi non può verificarsi insieme<br />

all'iperplasia (non c'è aumento di numero di cellule) perché le cellule dell'organo non possono dividersi (es. miocardio).<br />

− fisiologica o patologica<br />

− da stimolazione ormonale (estrogeni nell'utero gravidico)<br />

− da aumentata richiesta funzionale (muscolo scheletrico/cardiaco per aumentato carico di lavoro)<br />

− muscolare = in questo tessuto è sempre ipertrofia, per aumento del carico di lavoro (aumento del numero<br />

di miofibrille per cellula)<br />

− nel miocardio la ipertensione arteriosa sistemica comporta ipertrofia cardiaca per aumento di lavoro<br />

− aumentano le dimensioni cellulari, ma non il numero di capillari del microcircolo e quindi c'è tendenza<br />

all'ipossia<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 4


− il rapporto tra volume cellulare e superficie non aumenta proporzionalmente<br />

Atrofia = sarebbe più corretto chiamarla ipotrofia, perché il tessuto non scompare! E' la riduzione delle dimensioni<br />

della cellula per perdita di elementi cellulari. Può culminare con la morte cellulare (per necrosi o apoptosi).<br />

− fisiologica o patologica<br />

− da disuso (es. arto ingessato)<br />

− atrofia del muscolo<br />

− osteoporosi da non uso<br />

− da denervazione (es. poliomielite)<br />

− da diminuito apporto sanguigno<br />

− da inadeguata nutrizione<br />

− da perdita di stimolazione endocrina<br />

− nell'invecchiamento (es. del cervello, forse per diminuito apporto sanguigno)<br />

− nell'atrofia timica il tessuto dell'organo è sostituito da quello adiposo<br />

− da compressione prolungata del tessuto<br />

L'atrofia si verifica attraverso la degradazione degli elementi cellulari, ad es. la degradazione proteica. Normalmente c'è<br />

un equilibrio tra produzione e degradazione delle proteine, che è regolata anche da ormoni:<br />

− Ormoni tiroidei e glucocorticoidi => stimolano la degradazione proteica<br />

− Insulina => stimola l'effetto opposto<br />

L’atrofia senile è associata con autofagia proteine strutturali ed organuli delle cellule sono distrutti =>Il materiale non<br />

digeribile forma i granuli (o pigmenti) di lipofuscina => restano questi addensamenti scuri visibili al microscopio.<br />

Quando c'è apoptosi non si vede mai un grande numero di cellule in questa fase, mentre ciò avviene quando c'è necrosi.<br />

Metaplasia = Si pensa che insorga per una riprogrammazione genetica di cellule staminali residenti in molti tipi di<br />

epitelio o di cellule mesenchimali indifferenziate presenti nel tessuto connettivale. Deriva dalla riprogrammazione degli<br />

elementi staminali del tessuto.<br />

• E’ la sostituzione di una cellula adulta epiteliale o connettivale con un’altra cellula adulta di diverso tipo, più<br />

adatta alle nuove condizioni ambientali<br />

• es. nelle vie aeree superiori = sostituzione dell'epitelio cilindrico ciliato con un epitelio pavimentoso<br />

pluristratificato (detta perciò metaplasia pavimentosa) che non può allontanare il pulviscolo, ne produrre<br />

muco. Ha però un maggior spessore dell'epitelio originale e dà maggior difesa da insulto chimico del fumo.<br />

Arma a doppio taglio: più adatto alla sopravvivenza ma meno protetto<br />

◦ provocata anche da carenza di vitamina A<br />

• es. metaplasia colonnare dell'esofago per reflusso gastrico<br />

• metaplasia connettivale = quando si forma cartilagine, osso, tessuto adiposo dove normalmente non sono<br />

presenti<br />

Fatti principali dell'adattamento cellulare:<br />

− le cellule possono adattarsi entro limiti fisiologici<br />

− producono proteine da stress (HSP) che proteggono dal danno e facilitano il recupero<br />

− quando lo stimolo è ripetuto<br />

− una richiesta funzionale aumentata è soddisfatta da ipertrofia e iperplasia<br />

− riduzione per disuso o per scarsa nutrizione è soddisfatta con atrofia e riduzione metabolica<br />

− riduzione del numero di cellule nei tessuti è soddisfatta da apoptosi => fagocitosi<br />

− i tessuti possono adattarsi alla funzione con un cambiamento di differenziamento (metaplasia)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 5


DANNO CELLULARE<br />

Danno = stimolo nocivo di varia natura subito dalla cellula<br />

− chimico = alcali, acidi, detergenti, inquinanti ambientali, alcol etilico<br />

− fisico = calore, raffreddamento, radiazioni ionizzanti, radiazioni eccitanti, shock elettrico<br />

− biologico = veleni: interferiscono con le principali funzioni energetiche/di sintesi della cellula<br />

− ipossia<br />

− infezioni<br />

− autoimmunità<br />

− alterazioni genetiche (es. talassemie)<br />

− squilibri nutrizionali (es. aterosclerosi)<br />

Entità del danno = dipende dall'intensità e dalla durata dell'insulto<br />

− lieve e breve => sofferenza cellulare => reversibilità => ritorno alla normalità<br />

− si parla di degenerazione = perché si è visto che prevale la alterazione morfologica<br />

− forte e prolungato => morte cellulare<br />

− programmata = apoptosi<br />

− non facente capo a meccanismi genetici predisposti = necrosi<br />

Possibili reazioni della cellula all'agente dannoso<br />

− adattamenti cellulari: es. ipertrofia, iperplasia, atrofia, metaplasia<br />

− produzione di proteine da stress<br />

− se sono superati i limiti dell'adattamento cellulare si crea una sofferenza o danno cellulare:<br />

− sofferenza o danno cellulare reversibile = corrisponde alla degenerazione della patologia classica<br />

− es. rigonfiamento torbido, degenerazione vacuolare, degenerazione idropica, steatosi<br />

− sofferenza o danno cellulare irreversibile e morte cellulare<br />

− la necrosi rappresenta sempre un processo patologico<br />

− l'apoptosi non è necessariamente associata al danno cellulare<br />

DEGENERAZIONI CELLULARI – DANNO CELLULARE REVERSIBILE<br />

Aspetti morfologici del danno cellulare ancora reversibile:<br />

− modesta formazione di bolle sulla superficie cellulare<br />

− rigonfiamento mitocondriale di lieve entità<br />

− disaggregazione del reticolo endoplasmatico<br />

1) Rigonfiamento torbido<br />

Aumento di volume, aspetto opaco, visione offuscata del nucleo, confini intercellulari indistinti.<br />

E' torbido perché aumenta il volume dei mitocondri che assumono un aspetto rotondeggiante, non sono visibili al<br />

microscopio ottico, ma danno diffusione laterale della luce proporzionalmente alla loro dimensione e quindi si ha una<br />

minor trasparenza.<br />

L’aspetto torbido è palese nell’osservazione cellulare a fresco o al microscopio elettronico.<br />

Nelle comuni fissazioni e colorazioni si osserva solo l’aumento di volume delle cellule e una certa granulosità del<br />

citoplasma.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 6


Cause:<br />

− tossine batteriche (es. difterica negli stadi iniziali, in seguito può dare steatosi)<br />

− veleni<br />

− ipossia = diminuito apporto di ossigeno<br />

− anemica = diminuito trasporto di ossigeno con l'emoglobina<br />

− ipossica = scambi respiratori insufficienti<br />

− da ristagno = per ristagno locale di sangue<br />

− istotossica = se c'è una limitazione nel trasporto degli elettroni nella catena mitocondriale<br />

− ischemia = difetto di apporto ematico (e quindi di ossigeno e nutrienti) per ostruzione arteriosa o per ristagno<br />

venoso<br />

Cellule colpite: epatociti, tubuli renali, miocardiociti<br />

Lesione biochimica del rigonfiamento torbido<br />

Minore efficienza della fosforilazione ossidativa => diminuzione del rapporto P/O => riduzione ATP => riduzione<br />

pompe di membrana (sono il primo sistema a risentire dell'insufficienza di ATP, ad es. la pompa Na+/K+) => accumulo<br />

acqua cellulare => rigonfiamento cellulare.<br />

Sintesi proteiche nel rigonfiamento torbido<br />

• L’aumento di volume cellulare è accompagnato da una aumentata sintesi proteica<br />

• Il peso del fegato nel rigonfiamento torbido aumenta del 20%, ma l’iperidratazione giustifica solo il 5%<br />

• Il rigonfiamento torbido è una ipertrofia cellulare tendente alla degenerazione<br />

• La cellula dirotta l’energia disponibile alle sintesi macromolecolari, con compromissione invece di altre<br />

funzioni<br />

Il rigonfiamento torbido non è ormai più preso in considerazione, perché oggi si va più nello specifico.<br />

2) Degenerazione vacuolare<br />

Formazione di vacuoli nel citoplasma di<br />

dimensioni sempre più grandi, fino ad arrivare<br />

ad una forma vescicolare vera e propria<br />

• microvacuolare<br />

• macrovacuolare<br />

• vescicolare<br />

Sedi: rene, cuore e soprattutto fegato.<br />

Cause: principalmente ipossia, specialmente nel<br />

fegato, che ha il circolo portale e nella zona<br />

centrolobulare le cellule sono prossime al punto<br />

di asfissia perché c'è sangue venoso ed è la<br />

prima parte a risentire dell'ipossia.<br />

Danni biochimici: ridotta produzione di ATP per<br />

minor quantità di ossidazione nella catena<br />

mitocondriale, ridotta attività delle pompe e<br />

ridotta sintesi macromolecolare.<br />

Fosfofruttochinasi = catalizza reazione fru =><br />

fru 1,6BP<br />

Il termine edema qui è un po' improprio.<br />

Qui la riduzione dell'ATP è dovuta alla riduzione<br />

dell'ossidazione e non da disaccoppiamento P/O.<br />

Non c'è aumentata sintesi macromolecolare, ma il<br />

rigonfiamento è dato solo dall'ingresso di acqua.<br />

4) Degenerazione idropica<br />

Dovuta a danno della membrana e/o delle pompe di<br />

mebrana => tutta la cellula è rigonfia a causa<br />

dell'ingresso di acqua per osmosi. Non ci sono<br />

vescicole.<br />

Sedi: soprattutto epitelio renale e altri epiteli.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 7


3) Steatosi<br />

Definizione: E’ un accumulo di grasso istochimicamente dimostrabile al microscopio ottico in cellule che normalmente<br />

non ne contengono.<br />

Sedi: soprattutto fegato, ma anche rene e cuore (nel fegato perché è un organo centrale nel metabolismo dei lipidi).<br />

Coloranti dei lipidi per microscopia ottica:<br />

− Sudan V => nero<br />

− Sudan III => arancio<br />

− acido osmico => precipita e colora in nero i grassi<br />

Il grasso deve ovviamente rimanere nelle cellule del preparato, normalmente invece si usa includerlo in paraffina dopo<br />

passaggio in alcol e xilolo => tutta la procedura scioglie i grassi e dove erano presenti resta solo un buco. Il grasso è<br />

preservato affettando il preparato col microtomo al congelatore (con anidride carbonica liquida che congela il pezzo<br />

rendendolo affettabile) => poi si colora.<br />

Alternativamente si può usare fissazione attraverso sali dell'acido osmico => i grassi si colorano in nero => è più adatto<br />

alla visione al microscopio elettronico.<br />

Il vacuolo delle degenerazioni vacuolari ha sempre una nube eosinofila attorno, mentre il vacuolo normale è solo un<br />

buco. Il nucleo nella degenerazione vacuolare resta centrale, mentre nella steatosi si sposta perifericamente (detto anello<br />

con castone).<br />

Metabolismo dei grassi:<br />

− i grassi dall'intestino tenue (origine esogena) => chilomicroni => cedono grassi al tessuto adiposo attraverso la<br />

lipasi lipoproteica => si trasformano in un residuo chilomicronico che può essere captato dal fegato.<br />

− grassi da adipociti (origine endogena) => il fegato riceve da loro anche NEFA (non-esterified fatty acids) sotto<br />

stimolo di adenilato ciclasi o di adrenalina => viaggiano legati ad albumina<br />

− il fegato rilascia i grassi attraverso le VLDL<br />

Se c'è equilibrio tra grassi acquisiti dal fegato ed esportati si ha una situazione normale, ma se ne assume troppi o ne<br />

rilascia pochi il grassi si accumulano.<br />

Il fegato macroscopicamente esternamente appare traslucido, lucente, giallastro.<br />

CLASSIFICAZIONE DELLA STEATOSI<br />

• Classificazione etiologica (per cause che portano all'insorgenza della patologia)<br />

• da cause dietetiche<br />

• da cause ormonali<br />

• da cause tossiche<br />

• da ipossia<br />

• da infezioni<br />

• Classificazione patogenetica (per meccanismi che portano all'insorgenza della patologia) => migliore<br />

• sovraccarico di grassi di origine extraepatica<br />

• provenienti da dieta iperlipidica<br />

• provenienti da eccessiva mobilizzazione di acidi grassi dai depositi (tessuti adiposi)<br />

• diabete<br />

• obesità<br />

• eccessiva sintesi di trigliceridi negli epatociti<br />

• soprattutto da alcolismo (intossicazione da etanolo)<br />

• anche per dieta iperlipidica<br />

• carenza di acidi grassi polinsaturi<br />

• deficiente ossidazione epatica degli acidi grassi (β-ossidazione)<br />

• ipossia ipossica/anemica/stagnante/istotossica<br />

• carenze vitaminiche del gruppo B [di biotina (B8) e cobalamina (B12) => necessarie per<br />

l'ossidazione finale del propionil-coA (3 atomi di carbonio) che deriva dagli acidi grassi a catena<br />

dispari]<br />

• danno mitocondriale da etanolo<br />

• deficiente escrezione epatica di lipoproteine ricche di trigliceridi (VLDL)<br />

• digiuno prolungato<br />

• deficit proteico<br />

• diete ipoproteiche<br />

• inibizione della trascrizione (aflatossina, amanitina)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 8


• inibizione della traduzione (puromicina, tossina difterica, ricina/modeccina, etionina [trappola<br />

ATP e inibizione dell'attivazione degli aminoacidi])<br />

• kwashiorkor [gravissima forma di denutrizione in particolare proteica, es. bambini africani<br />

svezzati troppo in fretta ai quali viene data una dieta composta praticamente solo da carboidrati<br />

=> edema generalizzato, lesioni cutanee, fortissimo calo ponderale, ecc.]<br />

• sostanze inibenti la sintesi proteica ma non la mobilizzazione dei lipidi<br />

• variazioni qualitative dei lipidi di membrana<br />

• deficit di fosfolipidi (dieta priva di colina, ipervitaminosi PP [niacina, vitamina del gruppo B])<br />

• avvelenamento da CCl4 (teatracloruro di carbonio)<br />

• scissione omolitica del CCl4 in radicali perossidanti (CCl4 + e- => CCl3 + Cl-)<br />

• cloroalchilazione delle proteine del reticolo endoplasmico<br />

• perossidazione lipidica delle membrane intracellulari delle vescicole che dovrebbero esportare le<br />

VLDL<br />

• alterazioni funzionali del citoscheletro +<br />

• acetaldeide proveniente dal metabolismo dell'etanolo<br />

Steatosi epatica = accumulo negli epatociti di trigliceridi (glicerolo + 3 catene di acidi grassi) perché si instaura un<br />

disequilibrio fra quantità presente e capacità di smaltimento.<br />

PATOGENESI DELLA STEATOSI DA ETANOLO<br />

Abuso di alcool<br />

L’etanolo è la sostanza più usata e abusata del mondo. Si calcola che negli Stati Uniti vi siano tra i 15 e i 20 milioni di<br />

alcolisti e circa 100 000 decessi all'anno sono dovuti all'eccesso di alcool, con un costo in termini economici stimato in<br />

100-130 miliardi di dollari.<br />

L'assunzione di etanolo avviene attraverso le bevande alcoliche come la birra, il vino e i superalcolici. Un livello<br />

ematico di alcool pari a 50 mg/dl è considerato, in Italia, il limite di legge per la definizione di guida in stato di<br />

ebbrezza.<br />

Si raggiunge questo livello ematico (uomo di 70 kg di peso) con l’assunzione di circa 45 ml di etanolo<br />

a livelli ematici di 300-400 mg/dl si ha coma, arresto respiratorio e morte.<br />

Fenomeno della induzione enzimatica: i bevitori abituati possono tollerare tassi alcolici fino a 700 mg/dl. Questa<br />

tolleranza metabolica può essere spiegata da una induzione, (5-10 volte rispetto alla norma) degli enzimi microsomiali<br />

di biotrasformazione, soprattutto il citocromo P-450 (CYP2El).<br />

Tasso alcolemico e guida<br />

La guida in stato di ebbrezza è sanzionata dall' art. 186 del codice della strada. E' un reato di competenza del Tribunale e<br />

non del Giudice di pace.<br />

Con il nuovo decreto legge del 3 agosto 2007, convertito il legge 2 ottobre 2007, le sanzioni sono ancora più severe:<br />

• tra 0,5 g/l a 0,8 g/l ammenda da 500 a 2.000 euro. Sospensione della patente da 3 a 6 mesi.<br />

• tra 0,8 e 1,5g/l ammenda tra 800 e 3.200 euro e arresto fino a 3 mesi. Sospensione della patente per un periodo<br />

di tempo compreso fra 6 mesi e 1 anno.<br />

• oltre 1,5 g/l ammenda tra 1.500 e 6.000 euro e arresto fino a 6 mesi. Sospensione della patente da 1 a 2 anni.<br />

BIOTRASFORMAZIONE DELL'ETANOLO<br />

L'etanolo viene trasformato in acetaldeide da tre enzimi:<br />

− l'alcol-deidrogenasi presente nel fegato e nella mucosa gastrica<br />

− il citocromo P-450 (CYP2El) e la catalasi presenti a livello epatico<br />

L'acetaldeide a sua volta viene convertita in acido acetico dall'enzima aldeide-deidrogenasi.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 9


Il gene dell'aldeide-deidrogenasi mostra un polimorfismo che influenza il metabolismo dell'etanolo. Circa il 50% dei<br />

Cinesi, dei Giapponesi e dei Vietnamiti ha una attività ridotta dell'enzima, a seguito di una mutazione puntiforme che<br />

converte il residuo aminoacidico 487 da glutamina a lisina.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 10


DANNI DA ETANOLO<br />

Danni epatici, in ordine di apparizione:<br />

− steatosi (o degenerazione grassa) = manifestazione acuta e reversibile dell'assunzione di etanolo.<br />

Nell'alcolismo cronico l'accumulo di lipidi può determinare un notevole ingrossamento del fegato<br />

− epatite alcolica acuta<br />

− cirrosi = aumento del tessuto connettivo fibroso attorno ai lobuli epatici degenerati<br />

Patogenesi del danno epatico<br />

• Aumenta il catabolismo lipidico nei tessuti periferici => incremento dell'apporto di acidi grassi liberi al fegato<br />

• Stimolo della sintesi lipidica epatica da acido acetico => accumulo di lipidi<br />

• la biotrasformazione dell'etanolo ad acetaldeide nel citosol e dell'acetaldeide ad acido acetico nel<br />

mitocondrio, converte il NAD+ a NADH un eccesso di NADH stimola la biosintesi lipidica<br />

• Nel mitocondrio diminuisce l'ossidazione degli acidi grassi<br />

• L'acetaldeide forma addotti con la tubulina alterando le funzioni dei microtubuli, ciò causa una diminuzione<br />

della liberazione di lipoproteine di origine epatica<br />

Danni acuti dell'etanolo al sistema nervoso<br />

• L’etanolo ha un effetto di depressione del SNC, e provoca disinibizione comportamentale.<br />

◦ Il meccanismo di questa azione centrale non è completamente chiaro. Sebbene l'etanolo, a concentrazioni<br />

efficaci, produca un aumento del disordine strutturale di membrana, è più probabile che la sua azione<br />

dipenda principalmente dai suoi effetti sui canali ionici di membrana e su recettori specifici.<br />

• Le principali attività sono:<br />

◦ aumento dell'inibizione mediata dal GABA, principale amminoacido inibitorio del sistema nervoso<br />

centrale: l'etanolo aumenta l'azione del GABA sui recettori GABAA.<br />

◦ inibizione dell'ingresso del calcio attraverso i canali del calcio voltaggio-dipendenti: l'etanolo inibisce il<br />

rilascio dei trasmettitori in risposta alla depolarizzazione delle terminazioni nervose attraverso l'inibizione<br />

dell'apertura dei canali del calcio neuronali<br />

◦ inibizione della funzione dei recettori NMDA (recettore post-sinaptico dell'acido glutammico, principale<br />

neurotrasmettitore della nocicezione)<br />

• Altre attività dell'etanolo, la cui importanza non è ancora ben chiara, sono l'aumento degli effetti eccitatori<br />

prodotti dai recettori colinergici nicotinici e dai recettori serotoninergici 5-HT3<br />

Danni cronici dell'etanolo al sistema nervoso<br />

• La somministrazione cronica causa sindromi neurologiche irreversibili, dovute all'etanolo stesso o ai suoi<br />

metaboliti, o secondarie alla carenza di tiamina che viene costantemente osservata negli alcolisti<br />

• La maggior parte degli etilisti cronici mostra un grado di demenza associato a un allargamento dei ventricoli<br />

• Può anche essere presente degenerazione del cervelletto e in altre regioni encefaliche<br />

• Sindrome di Wernicke: atassia (progressiva perdita della coordinazione muscolare), alterazione delle capacità<br />

cognitive, oftalmoplegia (paralisi dei muscoli oculari) e nistagmo (movimento oscillatorio involontario dei<br />

globi oculari), a causa di lesioni al cervelletto<br />

• Sindrome di Korsakoff: gravi alterazioni della memoria con disorientamento spaziale<br />

Danni dell'etanolo al sistema cardiocircolatorio<br />

• L’alcol ha numerosi effetti acuti e cronici sull’apparato circolatorio<br />

• Vasodilatazione cutanea e iperemia gastrica<br />

◦ Aumentata perdita di calore (che dà la tipica sensazione di calore) con diminuzione della temperatura<br />

corporea, che, insieme alla depressione dei centri termoregolatori, aumenta il rischio di morte per<br />

ipotermia<br />

• Aritmie cardiache (prolungamento dell’intervallo QT nell’elettrocardiogramma) e depressione della<br />

contrattilità del muscolo cardiaco, con conseguente cardiomiopatia<br />

• Aumento della pressione sanguigna<br />

• Aumentata incidenza di infarto in chi beve tra i 40 e i 60 grammi di alcol al giorno<br />

• Un moderato consumo giornaliero (20-40 g/dì) invece è correlato a una riduzione di circa il 30% della<br />

mortalità da ischemia miocardica<br />

◦ Questo effetto è dovuto all’inibizione dell'aggregazione piastrinica e un aumento del colesterolo HDL, con<br />

una conseguente protezione dalle coronaropatie e prevenzione dell’aterosclerosi che è invece comune tra<br />

gli etilisti cronici<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 11


◦ il vino rosso contiene anche antiossidanti<br />

Danni dell’etanolo al tratto gastrointestinale<br />

• Aumento della secrezione salivare e gastrica, effetti riflessi prodotti dal gusto e dall'azione irritante di alte<br />

concentrazioni di etanolo a livello gastrico<br />

• In bevitori cronici di alcol si ha malassorbimento intestinale e diarrea, probabilmente dovuti a cambiamenti<br />

morfologici dell’epitelio intestinale (con un appiattimento dei villi) e una diminuzione degli enzimi digestivi<br />

◦ una riduzione di assorbimento delle proteine significa anche un minor apporto di aminoacidi al fegato, che<br />

può produrre di conseguenza meno proteine => meno VLDL => steatosi<br />

• Effetto tossico sia acuto che cronico sul pancreas, con conseguenti pancreatiti probabilmente per una azione<br />

tossica diretta sulle cellule degli acini pancreatici<br />

• I maggiori effetti tossici si osservano nel fegato:<br />

◦ steatosi<br />

◦ Il danno epatico progredisce verso un'irreversibile necrosi e fibrosi epatica: cirrosi<br />

◦ l'aumento ematico della gamma-glutamil-transpeptidasi (GGT) è un indice di danno epatico<br />

◦ La cirrosi è fattore di rischio per l'epatocarcinoma (HCC)<br />

Danni dell’etanolo al sistema riproduttivo<br />

• L’assunzione, sia acuta che cronica, provoca impotenza nell’uomo<br />

• Circa il 50% degli etilisti cronici di sesso maschile sono impotenti e mostrano segni di femminilizzazione<br />

testicolare e ginecomastia (sviluppo delle mammelle nell'uomo)<br />

• Questi effetti sono sia secondari a un’alterata funzione dell’ipotalamo, che diretti sulle cellule di Leydig,<br />

provocando una inibizione della sintesi steroidea testicolare<br />

• In donne alcoliste è stata segnalata una diminuzione della libido e della lubrificazione vaginale e alterazioni del<br />

ciclo mestruale<br />

• L’etanolo riduce la secrezione di ossitocina, il che provoca un ritardo del parto<br />

• Inoltre nelle donne che fanno uso di alcool si osserva un aumento del rischio di aborto spontaneo<br />

Embrio e Fetopatia<br />

• L’assunzione di alcol durante la gravidanza provoca effetti tossici gravi sull’embrione e sul feto<br />

• Nel primo trimestre aumenta significativamente il rischio di aborto spontaneo<br />

• Nel bambino si osserva tipicamente la sindrome alcolica fetale:<br />

◦ anomalie craniofacciali (tra cui microcefalia)<br />

◦ disfunzioni del sistema nervoso centrale (iperattività, deficit di attenzione, ritardo mentale e disfunzioni<br />

dell’apprendimento)<br />

◦ rallentamento della crescita.<br />

• L’incidenza della sindrome alcolica fetale negli Stati Uniti è di circa 0,5-1 bambino su 1000 nati<br />

Altri effetti<br />

• L’alcol stimola la diuresi a causa di una inibizione del rilascio di vasopressina (ADH) da parte dell’ipofisi<br />

posteriore (neuroipofisi). Il consumo cronico di alcol provoca tolleranza a questo effetto.<br />

• L’alcol stimola l'ipofisi anteriore a secernere ACTH provocando un aumento della secrezione di ormoni<br />

steroidei dal surrene (sindrome pseudo-Cushing).<br />

Intossicazione acuta<br />

I primi ben noti sintomi di intossicazione acuta da etanolo nell'uomo sono un eloquio indistinto, incoordinazione<br />

muscolare motoria aumentata fiducia in se stessi ed euforia.<br />

La maggior parte dei soggetti sono rumorosi ed estroversi, mentre altri diventano più chiusi e solitari: comunque<br />

l'umore rimane labile, con atteggiamenti alternati di aggressività, sottomissione, euforia, malinconia.<br />

La dose tossica di etanolo dipende da individuo a individuo, per età, sesso, popolazione, alimentazione, malattie,<br />

assuefazione. Mentre sotto i 20-40 g non si osservano generalmente effetti sul comportamento, assunzioni più elevate<br />

provocano, tra l'altro, un aumento esponenziale della probabilità di incidenti stradali poiché dosi anche relativamente<br />

basse di etanolo diminuiscono la capacità di guida.<br />

• 15g al giorno nella donna e fino a 30g nell'uomo possono diminuire il rischio d‘infarto miocardico e di<br />

accidente vascolare ischemico;<br />

• fino a 20g al giorno nella donna e fino a 40g nell'uomo non si rileva significativo cambiamento del<br />

comportamento;<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 12


• 50 mg/100 ml (10,9 mmol/l) è l'attuale limite di etanolemia secondo il Codice della strada italiano: oltre questo<br />

livello le prestazioni intellettuali e motorie e le discriminazioni sensoriali sono ridotte, ma i soggetti sono<br />

incapaci di rendersene conto;<br />

• 80 mg/100 ml (17,4 mmol/l) corrisponde al precedente livello alcolemico, tollerato dalla legge prima del 2002:<br />

è stato ridotto poiché fino a 80 mg/100 ml la probabilità di incidenti stradali aumenta di circa 4 volte;<br />

• al di sopra di 150/100 ml (32,6 mmol/l) aumenta di circa 25 volte la probabilità di incidenti stradali;<br />

• con circa 300 mg/100 ml si manifesta il coma;<br />

• oltre i 400 mg/100 ml si ha il blocco respiratorio e conseguentemente la morte.<br />

L'insieme degli effetti comportamentali dell'assunzione elevata di alcol viene definito ubriachezza, e gli effetti fisici che<br />

si osservano in seguito sono chiamati postumi dell'ubriachezza.<br />

Dipendenza da alcol<br />

• Dipendenza = condizione patologica per cui la persona perde ogni possibilità di controllo sull'abitudine<br />

• dal punto di vista degli effetti è utile suddividere la dipendenza in<br />

• dipendenza fisica => alterato stato biologico<br />

• dipendenza psichica => alterato stato psichico e comportamentale<br />

• La dipendenza fisica, prodotta essenzialmente dai condizionamenti neurobiologici, è superabile con<br />

relativa facilità; la dipendenza psichica, difficile punto nodale della tossicodipendenza, richiede interventi<br />

terapeutici lenti, complessi, multicausali.<br />

• Le forme più gravi comportano dipendenza fisica e psichica con compulsività, cioè con bisogno di<br />

assunzione ripetuta della droga da cui si dipende per risperimentarne l'effetto psichico ed evitare la<br />

sindrome di astinenza.<br />

• Dal punto di vista delle cause si può dipendere patologicamente da sostanze stupefacenti (tossicodipendenza),<br />

in cui rientrano l'alcolismo e il fumo, da cibo (bulimia, binge eater disorder), da sesso (dipendenza sessuale),<br />

da lavoro (work-a-holic), da comportamenti come il gioco (gioco d'azzardo patologico), lo shopping (shopping<br />

compulsivo), la televisione, internet (internet dipendenza), i videogame.<br />

• Rientrano nelle dipendenze patogene anche quelle da luoghi e culture (sindrome da sradicamento) ed anche da<br />

rapporti umani (interdipendenza di relazione). La dipendenza da sigaretta rientra invece tra le dipendenze<br />

"oggettuali", dove il rapporto con l'oggetto risponde ad un bisogno relazionale di tipo proiettivo.<br />

L’alcol provoca dipendenza fisica e psicologica, dimostrata dai sintomi osservati in seguito alla deprivazione. La forma<br />

di astinenza fisica nell'uomo, si sviluppa nella forma grave dopo circa 8 ore.<br />

Al primo stadio, i sintomi principali sono tremore, nausea, aumento della sudorazione, febbre e qualche volta<br />

allucinazioni. Questa fase dura circa 24 ore.<br />

La fase può essere seguita dal delirium tremens, caratterizzato da allucinazioni, delirio, febbre, tachicardia, e/o da<br />

convulsioni tonico cloniche indistinguibili da quelle del grande male epilettico. Può ridursi durante la quarta o quinta<br />

giornata, ma alcuni sintomi possono persistere, con intensità ridotta, persino per 3-6 mesi. Il delirium tremens può avere<br />

esito fatale.<br />

La ricerca continua ed il bisogno di assunzione di alcol sono tipici segni di dipendenza psicologica (che si osservano<br />

anche nelle dipendenze da droghe).<br />

Il meccanismo per il quale l’etanolo provoca dipendenza è sconosciuto, ma si ipotizzano effetti a livello di corteccia<br />

cerebrale, che è particolarmente sensibile ai danni da abuso di alcol.<br />

Il quadro di etilosi irreversibile è rappresentato dalla sindrome di Wernicke-Korsakoff:<br />

• encefalopatia correlata al deficit di tiamina (vit. B1) = Sindrome di Wernicke, reversibile<br />

• oftalmoplegia, nistagmo, atassia cinetica e statica<br />

• alterazioni delle funzioni mentali: confusione mentale, apatia, svogliatezza, disorientamento<br />

• deficit irreversibile della memoria a breve termine (Sindrome di Korsakoff, è l'aggravamento della sindrome di<br />

Wernicke, sempre correlato ad un deficit di tiamina)<br />

• amnesia retrograda, incapacità di acquisire nuove informazioni, confabulazione<br />

• Inoltre:<br />

• deficit cognitivi<br />

• alterazioni della personalità<br />

• anomalie comportamentali<br />

• nei casi estremi si giunge alla necessità di parziale o totale accudimento<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 13


Grafico comparativo dei possibili effetti negativi dell'alcol<br />

rispetto alle altre droghe (da The Lancet)<br />

Danni generali dell'abuso di alcol<br />

Sintesi della patogenesi da etanolo:<br />

ETANOLO ====> ACETALDEIDE ====> ACETATO<br />

Acetaldeide:<br />

− danni alla catena respiratoria mitocondriale =><br />

− compromessa la beta-ossidazione degli acidi grassi => si accumulano<br />

− formazione di radicali liberi => danno ai mitocondri e danni ad altri substrati proteici e lipidici =><br />

ulteriore aumento di acidi grassi<br />

− danni al citoscheletro (tubulina)<br />

− diminuisce la secrezione di lipidi => accumulo di trigliceridi<br />

Acetato:<br />

− aumento di NADH => più disponibilità di glicerolo per formazione di trigliceridi<br />

Morte cellulare + rigenerazione + formazione di tessuto connettivo => formazione di noduli => cirrosi.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 14


PATOGENESI DELLA STEATOSI DA TETRACLORURO <strong>DI</strong> CARBONIO<br />

Utilizzi del CCl4<br />

All'inizio del XX Secolo il tetracloruro di carbonio era ampiamente usato come solvente per il lavaggio a secco, come<br />

liquido di raffreddamento e negli estintori. Dal 1940 il suo impiego comincia a diminuire, per via della sua dimostrata<br />

tossicità.<br />

Prima della stipula del protocollo di Montreal, grandi quantità di tetracloruro di carbonio erano impiegate per produrre i<br />

freon R-11 e R-12, oggi non più usati per via del loro effetto deleterio sullo strato di ozono dell'alta atmosfera. È<br />

tuttavia ancora una materia prima per la produzione di freon meno distruttivi.<br />

Tossicità del CCl4<br />

L'esposizione ad elevate concentrazioni di tetracloruro di carbonio, anche in forma di vapori, colpisce il Sistema<br />

Nervoso Centrale, incluso il cervello. Le vittime avvertono mal di testa, nausea, confusione, sonnolenza e vomito. In<br />

casi gravi si può arrivare al coma e alla morte.<br />

L'esposizione cronica e prolungata può danneggiare fegato e reni; l'effetto dannoso a carico del fegato è amplificato<br />

dalla presenza di alcol. I danni sono reversibili, se l'esposizione viene fermata in tempo.<br />

L'ingestione cronica è correlata al cancro al fegato negli animali; studi sugli esseri umani non sono disponibili, ma<br />

molte autorità considerano questo composto un agente cancerogeno quasi certo.<br />

Caratteristiche del CCl4<br />

− liquido<br />

− molto volatile<br />

− non miscibile con acqua (altamente polare)<br />

− tende a scindersi in due radicali: CCl4 + e - => CCl3 + Cl -<br />

− pur essendo organico è ignifugo (un tempo usato negli estintori)<br />

− tossico, probabilmente cancerogeno nell'uomo, ma senza evidenze certe negli animali (classe 2B dello IARC)<br />

Patogenesi della steatosi da CCl4<br />

E' metabolizzato nel reticolo endoplasmatico liscio dal sistema enzimatico del cyt P450 => viene prodotto un radicale<br />

triclorometile (CCl3)in grado di provocare lipoperossidazione:<br />

• la catena alifatica dell'acido grasso si trasforma da polare in apolare => si formano buchi nelle membrane<br />

(plasmatica e subcellulari) => si scompagina il RE => non può avvenire il montaggio delle VLDL => i grassi<br />

non vengono esportati (o in modo minore) => accumulo di trigliceridi<br />

• anche i mitocondri sono danneggiati => minor ossidazione dei FA => accumulo di trigliceridi<br />

• in seguito al danno mitocondriale si ha minor energia a disposizione => rallenta la sintesi proteica => minor<br />

disponibilità di apolipoproteine per VLDL => accumulo di trigliceridi<br />

• colpisce anche il citoscheletro e i lisosomi con fuoriuscita di enzimi lisosomiali che possono danneggiare la<br />

cellula => può seguire morte cellulare preceduta da accumulo di trigliceridi<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 15


DANNO CELLULARE IRREVERSIBILE<br />

Aspetti morfologici del danno cellulare ormai irreversibile<br />

• il superamento del "punto di non ritorno" è<br />

indicato morfologicamente da:<br />

◦ estremo formarsi di bolle sulla superficie<br />

cellulare<br />

◦ notevole rigonfiamento dei mitocondri<br />

(aspetto più importante) con formazione di<br />

aree elettrondense nella matrice<br />

◦<br />

mitocondriale (corrispondenti a precipitati)<br />

rottura della membrana cellulare<br />

◦ dissoluzione degli organuli, compreso il<br />

nucleo (picnosi, cariolisi, carioressi),<br />

degenerazione lisosomiale<br />

▪ picnosi = nucleo molto compatto e<br />

addensato, leggermente più piccolo<br />

▪ carioressi = il nucleo si frammenta grossolanamente<br />

▪ cariolisi = dissoluzione del nucleo in frammenti sempre più piccoli, fino a scomparire<br />

Funzioni cellulari vulnerabili<br />

Qualunque sia l’agente scatenante, sono sempre compromesse le seguenti funzioni cellulari:<br />

− capacità della cellula di mantenere l’integrità della propria membrana (con compromissione dell’equilibrio<br />

ionico ed osmotico della cellula)<br />

− respirazione aerobia (fosforilazione ossidativa mitocondriale)<br />

− sintesi proteica (sia di proteine strutturali, sia enzimatiche)<br />

− capacità della cellula di mantenere l’integrità del genoma<br />

E' difficile che un danno intenso ad una o più di queste funzioni consenta la vita cellulare.<br />

Entità del danno e potenziale reversibilità<br />

L’entità del danno e la sua eventuale reversibilità dipendono sia dalle caratteristiche dell’agente lesivo, sia da quelle<br />

della cellula colpita:<br />

• AGENTE LESIVO: tipo, durata, intensità dello stimolo dannoso<br />

• CELLULA COLPITA: tipo cellulare (es. i neuroni sono molto sensibili all'ischemia, i fibroblasti la tollerano<br />

meglio), stato fisiologico (esempio del ratto in diverse condizioni dietetiche). Più in generale: capacità di<br />

adattamento di “quella” cellula in “quel” contesto.<br />

Tra i vari elementi biochimici e strutturali di una cellula vi è una interdipendenza così stretta che, ovunque inizi<br />

l’attacco dell’agente etiologico, il danno si propaga a tutti i distretti.<br />

Meccanismi biochimici che mediano il passaggio dal danno sino alla morte<br />

− aumento del calcio intracellulare<br />

− Tale aumento innesca l’attivazione di numerosi enzimi la cui azione risulta deleteria per l’integrità di<br />

membrana, come fosfolipasi (la cui azione promuove la perdita di integrità della membrana); proteasi (che<br />

degradano proteine citoscheletriche e di membrana); ATPasi (che esauriscono l’ ATP)<br />

− è il meccanismo più comune e il più importante<br />

− deplezione di ATP<br />

− alterazione della permeabilità di membrana<br />

− per danno diretto (sostanze chimiche, fisiche, tossine batteriche, virus) o indiretto<br />

− azione dell'ossigeno e dei radicali liberi da esso derivati<br />

− Tale meccanismo rappresenta la via finale comune nel danno cellulare indotto da una notevole varietà di<br />

agenti, fra i quali quelli coinvolti nel danno da radiazioni e da diverse sostanze chimiche. I radicali liberi<br />

sono specie chimiche che contengono un unico elettrone spaiato in un orbitale esterno. Altamente reattivi e<br />

capaci di innescare reazioni a catena. Sono causa di perossidazione lipidica della membrana cellulare e di<br />

danno del DNA.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 16


NECROSI<br />

Secondo Maino dovrebbe essere detta oncosi, ovvero "morte per rigonfiamento", in contrapposizione all'apoptosi che<br />

significa "morte per restringimento". Infatti c'è sempre rigonfiamento quando c'è necrosi, fino alla morte per esplosione<br />

della cellula. Questo provoca spargimento dei contenuti cellulari nel tessuto circostante, con innesco di un processo<br />

infiammatorio. Infatti dove c'è necrosi c'è sempre infiammazione.<br />

Es. infarto del miocardio = ostruzione di un'arteria miocardica => il tessuto muore => reazione infiammatoria => si<br />

forma una cicatrice biancastra nel tessuto cardiaco (tessuto fibroso) => qui il cuore non funziona => a seconda della<br />

parte colpita si hanno diversi effetti.<br />

Due sono essenzialmente i processi causa delle alterazioni che caratterizzano il processo necrotico:<br />

1) Necrosi colliquativa = prevalgono fenomeni enzimatici di autolisi (ed eterolisi da enzimi leucocitari nelle<br />

infezioni) => spargimento del contenuto => risposta infiammatoria acuta => arrivo in massa di granulociti<br />

neutrofili pieni di vescicole contenenti enzimi litici<br />

◦ danno da congelamento = perché quando il tessuto si congela si creano dei cristalli che perforano le<br />

membrane cellulari, il danno diventa evidente allo scongelamento<br />

2) Necrosi coagulativa = prevalgono fenomeni di denaturazione proteica (coagulazione proteica), consegue a:<br />

◦ danno da calore, ustione (es. cottura di un uovo => l'albume (albumina) si denatura e coagula)<br />

◦ ipossia (ischemia)<br />

L'interno della cellula non è più riconoscibile, ma il suo contorno si => l'architettura grossolana del tessuto è mantenuta,<br />

le cellule appaiono più grandi.<br />

La denaturazione proteica è anche denaturazione degli enzimi litici: quindi, in questo tipo di necrosi, sono assenti<br />

fenomeni di autolisi.<br />

Eccezione: il tessuto cerebrale in caso di ipossia va incontro a necrosi colliquativa, le ipotesi a questo riguardo sono:<br />

− il tessuto cerebrale è ricchissimo di lipidi, che non coagulano, ma si sciolgono<br />

− il tessuto cerebrale è sostenuto da microglia, cellule simili a macrofagi che colliquano il tessuto se c'è necrosi<br />

In genere questi due tipi di necrosi sono presenti contemporaneamente, ma di caso in caso si può presentare prevalenza<br />

di una delle due.<br />

Quadri particolari di necrosi<br />

• La necrosi caseosa è un tipo particolare di necrosi coagulativa caratteristico del granuloma tubercolare e<br />

dell'infiammazione cronica<br />

• l'organismo non è in grado di degradare il granuloma => si addensano attorno cellule macrofagiche e<br />

infiammatorie<br />

• aspetto e colorito del formaggio fuso<br />

• la TBC è stata riportata nelle nostre zone per movimenti di massa<br />

• il granuloma è una fase molto avanzata della malattia<br />

• La necrosi gommosa è tipica del granuloma sifilitico, con una porzione centrale che ha aspetto gommoso<br />

• La necrosi gangrenosa è anch’essa un tipo particolare di necrosi coagulativa da disvascolarizzazione dell’arto<br />

inferiore (con claudicatio):<br />

• gangrena umida = simile a buccia d'arancia ammuffita, trapassa in colliquativa per infezione,<br />

disidratazione non intensa<br />

• gangrena secca = simile a buccia d'arancia rinsecchita (aspetto asciutto, verdognolo), intensi fenomeni di<br />

disidratazione (un po' orientata alla colliquazione)<br />

• gangrena gassosa = infezione da microrganismi che producono gas, con tessuti crepitanti<br />

• La necrosi grassa, nota come necrosi pancreatica acuta, è una forma particolare di necrosi colliquativa.<br />

• esistono anche la necrosi fibrinoide e la necrosi emorragica<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 17


L'APOPTOSI<br />

Sino a 20-25 anni fa si riteneva che la morte della cellula fosse solo dovuta a danno. Invece può anche essere<br />

puntiforme, ordinata e programmata, con la partecipazione della cellula interessata.<br />

L'apoptosi può insorgere spontaneamente, è stata osservata morfologicamente nel 1972 per la prima volta, ma passarono<br />

10-15 anni prima che la scoperta fosse presa in considerazione: è stata studiata a partire dagli anni '90.<br />

Apoptosi = apò (allontanamento) + ptosi (caduta) => caduta e allontanamento, come accade per le foglie di un albero.<br />

In genere riguarda uno o pochi elementi cellulari per volta.<br />

Comportamento della cellula apoptotica<br />

1) Isolamento: la cellula normalmente ha giunzioni con quelle vicine, la prima cosa che fa è ritirarle e perdere<br />

tutte le strutture specializzate di superficie<br />

2) Coartazione: la cellula si restringe perdendo liquido fino a circa il 50% del volume, senza spargere il proprio<br />

contenuto all'esterno (anche gli organelli fanno lo stesso). Si formano delle bolle piene d'acqua che si fondono<br />

con la membrana determinando perdita del contenuto liquido della cellula.<br />

• le proteine di membrana si transglutaminano diventando insolubili => diventano un'impalcatura cellulare<br />

subito sotto la membrana che impedisce il passaggio di materiale all'esterno della cellula<br />

• il DNA è frammentato a livello delle giunzioni nucleosomiche, i frammenti sono discreti (circa 200bp,<br />

mentre nella necrosi la digestione è diffusa casualmente => all'esame elettroforetico si riconoscono delle<br />

lunghezze a gradini/a bande ben riconoscibili se si tratta di apoptosi, lunghezze diffuse casualmente se si<br />

tratta di necrosi)<br />

• gli enzimi più studiati chiamati in causa sono:<br />

• NUK18 (nucleasi attiva nell'apoptosi) = agisce a pH neutro, è calcio-magnesio dipendente, inattivato<br />

da zinco. Studiato in vitro in timociti stimolati con alta concentrazione di corticosteroidi che induce<br />

apoptosi.<br />

• DNAasi I = in vitro non produce una frammentazione discreta, non si è convinti del suo ruolo<br />

nell'apoptosi<br />

• DNAasi II = agisce a pH acido (e non a pH neutro come nell'apoptosi), non si è convinti del suo ruolo<br />

nell'apoptosi<br />

• Caspasi = enzimi che sono capaci di digerire quasi tutti i tipi di molecole della cellula, si attivano a<br />

cascata<br />

3) Frammentazione: la cellula si frammenta in 2-3 corpi apoptotici<br />

4) La cellula viene fagocitata da fagociti specializzati, ma anche da cellule vicine (cannibalismo, sono le cellule<br />

dello stesso tessuto, che fino a poco prima erano "sorelle") stimolate da segnali di "magiami!" rilasciati dalla<br />

cellula apoptotica<br />

Esistono almeno 11 segnali di "mangiami!", quelli sicuri sono:<br />

1. recettori per la vitronectina<br />

2. esposizione della fosfatidilserina (normalmente stra nello strato interno della membrana cellulare)<br />

3. anche molecole di tipo lectinico (che legano zuccheri) sui fagociti potrebbero essere responsabili del<br />

riconoscimento di oligosaccaridi presenti sulla cellula apoptotica<br />

5) Alla fine non resta nulla della cellula apoptotica, i corpi apoptotici durano dalle 4 alle 9 ore (sono quindi<br />

difficili da identificare, per questo la loro scoperta è recente). Non c'è infiammazione e non resta nessuna<br />

traccia.<br />

Le cellule apoptotiche appaiono rotonde, ovalari, intensamente eosinofile.<br />

Funzione dell'apoptosi<br />

Nell'adulto:<br />

− bilancia la mitosi per mantenere l'omeostasi tissutale<br />

− elimina cellule senescenti o malfunzionanti (non si sviluppano molti tumori per questo)<br />

Nell'embrione:<br />

− ha il ruolo di "scultore" dell'organismo (per es. per la cavitazione degli organi che nascono come cordoni<br />

solidi)<br />

− per eliminare membrane come quelle interdigitali<br />

− per eliminare neuroni che non hanno stretto rapporti con l'organo bersaglio (i neuroni nell'embrione sono il<br />

doppio rispetto al neonato)<br />

− il NGF (nerve growth factor, scoperto da Rita Levi Montalcini nel 1966, per questo ha ricevuto il Nobel) è<br />

un fattore antiapoptotico => mantiene repressi geni killer, se manca si dereprimono provocando apoptosi<br />

− esperimenti di Hamburger = tagliava gli arti ad embrioni => i neuroni che dovevano stringere rapporti con<br />

quelle sedi morivano<br />

Altri ruoli dell'apoptosi:<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 18


− negli organi ciclici come la mammella, mentre i fattori di crescita hanno il ruolo di regolare l'apoptosi e la<br />

crescita cellulare<br />

− eliminazione dei granulociti neutrofili che hanno terminato la loro funzione<br />

− se si lega il dotto escretore di una ghiandola esocrina questa si riduce per apoptosi<br />

Apoptosi in patologia<br />

L'apoptosi può conseguire a danno cellulare moderato (non certo ad un danno estremo) come quello da tossico, da<br />

agenti fisici, chimici. Infatti quando la cellula ne ha modo preferisce morire per apoptosi attivando geni killer<br />

(proapoptotici) piuttosto che per necrosi.<br />

Geni apoptotici<br />

Sono stati studiati in C. Elegans e sono stati chiamati CED (Cell Death), alcuni sono proapoptotici, altri antiapoptotici.<br />

Nell'uomo si è trovata corrispondenza con questi geni:<br />

− Bcl-2 = prototipo della classe di geni antiapoptotici => se non funziona correttamente provoca linfomi<br />

follicolari a basso grado di malignità<br />

− Bcr-Abl = alterati in leucemia mieloide cronica, a non elevata malignità<br />

− Bax = gene killer – proapoptotico => agiscono quando i protettori sono silenti (normalmente sono da loro<br />

inibiti)<br />

− P53 = guardiano del genoma => se mutata non induce apoptosi in caso di danno al genoma<br />

Iniziazione all'apoptosi, avvio, salvataggio<br />

• Non si sa quali siano i fattori legati all'iniziazione della cellula, anche se si ritiene che sia legata ad una<br />

conformazione o modulazione genica, essendo l'apoptosi una morte che si verifica per attivazione di un<br />

programma genico (attivazione di geni killer o repressione di geni protettori).<br />

I linfociti T immaturi nel timo sono cellule iniziate, in quanto all'incontro con l'antigene vanno incontro ad apoptosi,<br />

mentre quelli maturi a contatto con l'antigene attivano un programma di risposta, ma cominciano anche a proliferare<br />

dando luogo ad un clone.<br />

• Il meccanismo di avvio è invece più noto: fra i segnali di avvio quello più conosciuto è quello di aumento di<br />

calcio intracellulare plasmatico che deriva dal danno delle membrane degli organelli (che hanno una<br />

concentrazione di calcio molto più elevata rispetto al citoplasma). Se il danno è molto forte non c'è il tempo di<br />

innescare l'apoptosi e la cellula muore per necrosi. Se invece il danno è piccolo può attivare l'apoptosi.<br />

• Fattori di salvataggio: molti fattori di crescita e ormoni inibiscono l'apoptosi.<br />

Differenze morfologiche fra apoptosi e necrosi<br />

• Necrosi<br />

• evento accidentale, violento, improvviso, disordinato<br />

• è sempre diffusa a più cellule<br />

• passivo (la cellula lo subisce passivamente)<br />

• la cellula si rigonfia => esplode spargendo il suo contenuto all'esterno => infiammazione<br />

• Apoptosi<br />

• evento programmato geneticamente<br />

• selettivo<br />

• attivo (la cellula partecipa attivamente alla propria morte)<br />

• la cellula si coarta (si rimpicciolisce, si rinsecchisce)<br />

• non c'è spargimento di materiale, che è fagocitato (corpi apoptotici) dalle cellule vicine => non c'è<br />

infiammazione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 19


LO STRESS<br />

Stress è un termine anglosassone usato in fisica per indicare la situazione in cui una forza applicata ad un corpo solido<br />

lo deforma per compressione, trazione o torsione.<br />

Il termine fu introdotto in biologia in contrapposizione al concetto di omeostasi dal fisiologo americano Cannon<br />

all’inizio del 900:<br />

− omeostasi = equilibrio stazionario dei parametri biochimici e fisiologici fondamentali dell'organismo (possono<br />

variare entro limiti molto ristretti).<br />

− stress = perdita della omeostasi per azione di fattori capaci di alterare i parametri biochimici o fisiologici<br />

fondamentali<br />

Il concetto di stress riferito all'organismo è approfondito qualche decennio più tardi negli studi del canadese Hans Selye,<br />

che nel 1936 su Nature definisce i concetti di:<br />

− Stress = risposta dell'organismo verso qualunque agente che ne perturbi la omeostasi<br />

− Stressor = agente stressante, possono essere molteplici, distinti da Selye in:<br />

− fisiologici = malattie, interventi chirurgici e anestesia, sforzo fisico, emorragie, traumi<br />

− ambientali = esposizione al caldo e al freddo, "polluzione ambientale"<br />

− psicologici = competitività fra membri della stessa specie per il territorio o altro; con altre specie (ad<br />

esempio nell'incontro col predatore); conflitti prolungati, situazioni nuove, sensazioni di ansia,<br />

frustrazione, inferiorità, intense emozioni, passioni (da pathos, come il termine patologia!)<br />

SINDROME <strong>GENERALE</strong> <strong>DI</strong> ADATTAMENTO ALLO STRESS(OR)<br />

Il concetto fondamentale introdotto da Selye è: alla molteplicità e varietà di stressors corrisponde l'unicità di<br />

risposta da parte dell'organismo, questa risposta è costituita dalla sindrome generale di adattamento allo stress(or)<br />

(Selye, 1936):<br />

1. Reazione di allarme, nell'"impact" con lo stressor<br />

2. Fase di resistenza verso quello stressor, con neo-omeostasi<br />

3. Fase di esaurimento verso tutti i possibili stressor<br />

Quindi se lo stimolo stressante perdura si verifica il trapasso dello stress da situazione "fisiologica", cioè tale da<br />

consentire il ritrovamento della omeostasi, a situazione patologica (possibili meccanismi: ipertensione, gluconeogenesi).<br />

STRESS CELLULARE – Estrapolazione del concetto di stress dall'organismo alla cellula<br />

Le prime osservazioni risalgono al 1962 da parte dell'italiano Federico Ritossa, che sottopone a stress termico<br />

(riscaldamento) cellule di Drosophila melanogaster e osserva un rigonfiamento dei cromosomi per incremento della<br />

sintesi di RNA (e quindi di proteine) causata dal calore.<br />

In seguito Tissières nel 1970 sottopose vari tipi di cellule a vari stressors (metalli pesanti, etanolo, anossia, riduzione del<br />

glucosio intracellulare e anche, in cellule di mammifero, febbre, flogosi, infezioni) osservando che tutti gli stressor<br />

inducono la sintesi di una particolare classe di proteine.<br />

La sindrome di adattamento allo stress, che Selye aveva descritto per l'intero organismo, è ora riferita alla cellula e può<br />

essere così definita:<br />

− risposta unitaria della cellula verso stimoli abnormi e molto eterogenei fra loro ma di intensità tale da<br />

non impedire (generalmente) la sopravvivenza della cellula<br />

LE HEAT SHOCK PROTEINS<br />

La cellula risponde agli stress con la derepressione di geni il cui prodotto è costituito dalle Heat Shock Proteins (HSP,<br />

proteine da stress termico, perché furono inizialmente osservate in questo contesto, ma in seguito definite anche<br />

proteine da stress).<br />

Quello che accomuna i vari tipi di stress cellulare, e che quindi comporta una risposta univoca, è la denaturazione<br />

proteica. La dimostrazione sperimentale di questo è data dal fatto che l'introduzione di proteine denaturate nella cellula<br />

(mediante iniezione intracellulare) induce la trascrizione e quindi la sintesi di HSP.<br />

Nelle cellule eucariotiche l'attivazione della trascrizione delle HSP è determinata dall'attivazione del Heat Shock<br />

Factor (HSF):<br />

− fattore di trascrizione presente normalmente inattivo nella cellula in forma monomerica e incapace di legarsi al<br />

DNA<br />

− in conseguenza dello shock termico e di altri stressors, forma un trimero capace di legarsi al DNA dell'HSE<br />

(Heat Shock Element) dei geni che codificano per HSP<br />

Nella molecola HSF in conseguenza dello stress:<br />

− sono inibiti i domini presenti nella porzione carbossiterminale della molecola deputati al mantenimento della<br />

forma monomerica<br />

− sono favoriti i domini idrofobici della porzione NH2 della molecola che favoriscono la trimerizzazione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 20


Quindi:<br />

• agenti stressanti ambientali<br />

• shock termico<br />

• metalli pesanti<br />

• condizioni patologiche<br />

• processi flogistici<br />

• febbre<br />

• infezioni e infestazioni<br />

• ischemia<br />

• danno ossidativo<br />

• ipertrofia<br />

determinano denaturazione delle proteine e conseguentemente attivazione di HSF, il quale determina l'attivazione della<br />

trascrizione dei geni per HSP.<br />

Importanza delle HSP<br />

− sono presenti nelle cellule di tutte le specie e costituiscono il complesso strutturale biologico maggiormente<br />

conservato nelle varie specie nel corso dell'evoluzione<br />

− sono citoprotettive e svolgono il ruolo di chaperone molecolari (proteine tutrici o con funzione tutoriale)<br />

HSP adattative e costitutive<br />

− le HSP sono proteine adattative, cioè sono sintetizzate in conseguenza allo stress<br />

− piccole quantità di HSP costitutive sono presenti anche in cellule non sottoposte a stress, hanno il ruolo di<br />

riparare o prevenire i danni cellulari "spontanei" che impediscano la necessaria perfezione sterica e funzionale<br />

delle proteine neosintetizzate<br />

Funzioni delle HSP<br />

− adattative (o inducibili)<br />

− riavvolgimento di proteine cellulari denaturate da uno stressor<br />

− degradazione selettiva di proteine fortemente alterate da stressors<br />

− costitutive<br />

− pronto soccorso delle proteine danneggiate da uno stressor, nellefasi che precedono la sinesi delle HSP<br />

adattative<br />

− servizio permanente effettivo per l'assemblaggio assistito di proteine di nuova sintesi<br />

− Tutte le HSP svolgono la funzione di chaperone molecolare: mentre il processo di sintesi di una catena<br />

polipeptidica è noto, ancora poco chiari appaiono i meccanismi sottesi al raggiungimento della struttura<br />

quaternaria (assemblaggio dei monomeri), che consente alle proteine, in particolar modo alle proteine<br />

enzimatiche, di raggiungere la conformazione finale idonea alla funzione da svolgere<br />

− Anfisen nel 1973 ipotizza, l'autoassemblaggio proteico: i geni codificanti per la proteina contengono anche<br />

l'informazione specifica per il confezionamento sterico della proteina adatto all'espletamento delle funzioni<br />

− L'autoassemblaggio può anche essere assistito:<br />

− proteine tutrici si legano a siti interattivi delle proteine substrato che, nelle proteine di neosintesi, sono<br />

esposti durante le fasi iniziali dell'assemblaggio e, nelle proteine finite, sono esposti in seguito a<br />

denaturazione per effetto di uno stressor. Il legame non è covalente, ma consente ugualmente la<br />

formazione di un complesso stabile che guida l'assemblaggio ed impedisce errori. Ad assemblaggio<br />

effettuato il legame si scinde.<br />

− sono soprattutto proteine enzimatiche e proteine dapprima intra- e poi extra-cellulari che hanno bisogno di<br />

chaperone (e difatti ne sono dotate).<br />

MORTE CELLULARE E HSP<br />

L'attivazione dei geni delle HSP non necessariamente è in associazione alla morte della cellula, essendo la risposta della<br />

cellula agli stressors (attraverso la sintesi di HSP) una risposta adattiva (in parte anche, come abbiamo visto,<br />

costitutiva), finalizzata all'adattamento, alla riparazione proteica, al ripristino dell'omeostasi cellulare.<br />

• L'attivazione dei geni delle HSP precede (o accompagna) talora l'apoptosi che consegue a condizioni<br />

patologiche (ad esempio l'apoptosi da tossici a piccole dosi). Le HSP intervengono soprattutto con funzione di<br />

"riassemblaggio" proteico. Se le proteine danneggiate sono fondamentali per la funzione o la struttura della<br />

cellula, o troppo numerose, si attivano i geni killer dell'apoptosi.<br />

• L'attivazione dei geni delle HSP precede (o accompagna) il danno cellulare irreversibile della necrosi.<br />

L'ubiquitina, la più piccola delle HSP, degrada proteine seriamente danneggiate in cellule in necrosi.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 21


Appunti di Patologia Generale – Pag, 22


TERMOTOLLERANZA<br />

− Acquisizione di resistenza all'azione lesiva del calore indotta da shock termico in Dm (fenocopie)<br />

− La concentrazione di HSP i.c è proporzionale al livello di termoresistenza<br />

TOLLERANZA ALLO STRESS<br />

− Miocardiociti sottoposti a modesto stress termico accumulano nel loro citoplasma HSP-70 e diventano<br />

termotolleranti<br />

− acquisiscono inoltre la capacità temporanea di resistere allo stress provocato dall'ischemia<br />

− la preventiva esposizione del miocardio allo shock termico, inducendo la sintesi di proteine da stress, riduce la<br />

liberazione di enzimi lisosomiali e incrementa la ripresa funzionale contrattile del miocardio<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 23


DANNI BIOLOGICI DA RA<strong>DI</strong>AZIONI IONIZZANTI<br />

Le radiazioni elettromagnetiche possono esistere sotto forma di onde o di particelle. In ogni caso la lunghezza d'onda è<br />

inversamente proporzionale alla frequenza.<br />

Radiazioni ionizzanti: ad alta frequenza e bassa lunghezza d'onda<br />

• raggi X<br />

• raggi γ<br />

• raggi cosmici<br />

Radiazioni non ionizzanti: a bassa frequenza e alta lunghezza d'onda<br />

• onde radio<br />

• microonde<br />

• luce visibile<br />

LET = trasferimento lineare di energia [eV/mm]<br />

A parità di energia:<br />

• alto LET = la radiazione/particella è in grado di produrre un danno grave, ma per un percorso breve<br />

• basso LET = la radiazione/particella è in grado di produrre un danno lieve, ma per un percorso lungo<br />

Le radiazioni particolate sono quelle che hanno un LET maggiore, ad esempio in ordine dal LET più alto al più basso si<br />

hanno:<br />

• particelle α<br />

• particelle β<br />

• raggi γ<br />

• raggi X<br />

Le radiazioni ionizzanti<br />

Possiedono energia sufficiente a far sì che se colpiscono un atomo venga espulso un elettrone e così si formi uno ione<br />

=> ionizzazione. L'energia deve essere maggiore di 10 eV.<br />

Radiazioni particolate<br />

Esempi:<br />

• particelle α<br />

• particelle β/elettroni<br />

• protoni<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 24


Radiazioni elettromagnetiche<br />

Derivate da accelerazione.<br />

• λ = h υ<br />

• λ = lunghezza d'onda<br />

• h= costante di Plank<br />

• υ = frequenza<br />

Maggiore è la densità di ionizzazione e<br />

maggiore è la probabilità che la<br />

molecola biologica venga colpita in<br />

punti vicini.<br />

Curva tipica di ionizzazione specifica di particelle alfa<br />

Le particelle alfa perdono energia rapidamente in pochi<br />

cm, e man mano che fanno il loro percorso aumenta la<br />

ionizzazione specifica, cioè il numero di ioni per cm,<br />

quindi la loro densità di ionizzazione è inversamente<br />

proporzionale alla loro energia o velocità.<br />

Relazione tra ionizzazione specifica e energia per<br />

particelle beta<br />

Le particelle beta hanno ionizzazione specifica più<br />

bassa.<br />

Modalità di ionizzazione<br />

Le modalità con cui le radiazioni ionizzanti provocano ionizzazione sono:<br />

1) effetto fotoelettrico (tungsteno) = un fotone incidente<br />

dotato di una certa energia colpisce un elettrone con una<br />

certa energia di legame espellendolo => l'elettrone<br />

emesso acquista una certa energia che è la differenza fra<br />

l'energia del fotone incidente e quella dello stato iniziale<br />

dell'elettrone.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 25


2) effetto Copton = trasferimento parziale<br />

dell'energia del fotone incidente sull'elettrone.<br />

Parte dell'energia del fotone viene mantenuta<br />

dal fotone per eventualmente compiere altre<br />

ionizzazioni (fotone diffuso)<br />

3) formazione di coppie = solo per livelli<br />

di energia alti: il fotone incidente ha<br />

energia > 1,1 MeV => colpisce il nucleo<br />

dell'atomo e fa rilasciare un elettrone e<br />

un positrone. L'elettrone e il positrone<br />

possono interagire e annichilirsi con<br />

trasformazione della massa in energia =><br />

2 raggi gamma (0,5 MeV per ogni raggio<br />

gamma).<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 26


Danno tissutale da radiazioni<br />

Quando le radiazioni ionizzanti colpiscono i tessuti si verificano eventi in successione:<br />

− stadio fisico:<br />

− ionizzazioni dirette = da parte del fotone incidente<br />

− ionizzazioni indirette<br />

− stadio fisico-chimico<br />

− si formano delle molecole che sono modificate con conseguente danno chimico<br />

Danno diretto: effetto diretto della radiazione<br />

incidente sulla molecola biologica (DNA,<br />

fosfolipide, ecc.).<br />

Teoria del bersaglio = tanto maggiore è la<br />

dimensione della molecola, tanto maggiore è il<br />

danno che subisce => sono quindi più colpite<br />

molecole di grandi dimensioni e che hanno un ruolo<br />

strategico nella funzione cellulare (il DNA è il più<br />

colpito, è un bersaglio molto sensibile).<br />

Danno indiretto: la radiazione colpisce le molecole d'acqua, che costituiscono il 60-90% del peso corporeo, dando<br />

origine a radicali:<br />

H2O + hυ → H2O + + e-<br />

e - + H2O → H2O -<br />

H2O + → H + + OH* (radicale ossidante - sottrae elettroni)<br />

H2O - → OH- + H* (radicale riducente – cede elettroni)<br />

H* + H* → H2<br />

OH* + OH* → H2O2 (acqua ossigenata)<br />

H2O2 + OH* → H2O + HO2* (radicale idroperossido)<br />

* Indica un radicale (o radicale libero) = una specie chimica molto reattiva avente vita media di norma brevissima,<br />

costituita da un atomo o una molecola formata da più atomi che presenta un elettrone spaiato: tale elettrone rende il<br />

radicale una particella estremamente reattiva, in grado di legarsi ad altri radicali o di sottrarre un elettrone ad altre<br />

molecole vicine [da Wikipedia]<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 27


DANNI RA<strong>DI</strong>OBIOLOGICI NEI MAMMIFERI<br />

• La sensibilità a queste radiazioni è direttamente proporzionale all'indice mitotico e inversamente proporzionale<br />

al differenziamento cellulare<br />

◦ le cellule più sensibili sono quelle che si trovano in fase G2 o in mitosi => danno al DNA<br />

• una dose forte e unica provoca un danno maggiore rispetto a dosi più piccole e ripetute (ad intervalli di tempo),<br />

perché queste ultime danno il tempo alle cellule di riparare il danno<br />

• alcuni tipi cellulari sono più sensibili di altri alle radiazioni<br />

Unità di misura, dose assorbita, equivalente ed efficace<br />

Con il termine "Attività" di una sostanza radioattiva si intende il numero di nuclei di questa sostanza che si disintegrano<br />

nell’unita di tempo:<br />

• una vecchia unita di misura dell’attività è il Curie (Ci), ora sostituita nel Sistema Internazionale (S.I.) dal<br />

Bequerel (Bq): 1 Ci = 3.700.000 dis./sec, 1 Bq = 1 dis./sec.<br />

◦ dis/sec = disintegrazioni al secondo<br />

• Per quantificare il danno biologico delle radiazioni sugli organismi sono state introdotte delle unità di misura<br />

che definiscono la "Dose assorbita" , cioè l’energia depositata dalla radiazione nel materiale irradiato per unità<br />

di massa:<br />

◦ la più antica è il "RAD“: 1 RAD = 100 erg/g<br />

◦ Attualmente nel S.I. si usa il "GRAY" (Gy): 1 Gy = 1J/Kg, 1 Gy = 100 RAD<br />

Ma l’effetto delle radiazioni, anche a parità di energia è dipendente dal tipo di radiazione.<br />

Perciò si è introdotto il fattore di qualità della radiazione "Q", la grandezza che si considera diventa quindi<br />

l’equivalente di dose "H" legata alla dose assorbita "D" dalla relazione:<br />

• H = QxD<br />

◦ Per elettroni, raggi X e raggi gamma Q = 1<br />

◦ Per neutroni e protoni Q da 5 a 20<br />

◦ Per le particelle alfa Q = 20<br />

Tessuti più colpiti dalle radiazioni ionizzanti<br />

− midollo osseo<br />

− intestino<br />

− osso<br />

− SNC<br />

− occhio (cataratta)<br />

− cellule germinali e staminali<br />

− feto<br />

Tessuti più sensibili a tumori da radiazioni<br />

− seno<br />

− tiroide<br />

− osso (osteosarcoma)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 28


− midollo osseo (leucemie)<br />

− cute<br />

Effetti sull'organismo in base alla dose<br />

• 10 Gy => Sindrome cerebrale => necrosi, emorragia cerebrale, convulsioni, delirio, coma, morte entro poche<br />

ore<br />

• 3-10 Gy => Sindrome gastrointestinale => necrosi delle cellule epiteliali dell'intestino, nausea, diarrea entro<br />

poche ore, perdita di fluidi => porta facilmente a morte<br />

• 2-6 Gy => Sindrome emopoietica => iperplasia del midollo osseo, diminuzione di tutte le cellule ematiche<br />

entro 2 settimane, caduta dei capelli, morte per infezione nel 50% dei casi<br />

• 0,5-2 Gy => diminuzione di neutrofili e linfociti, stato letargico, nausea, anoressia<br />

• < 0,5 Gy => mutazione delle cellule staminali => predisposizione a neoplasie<br />

Principali effetti sui tessuti<br />

− aumento di deposizione di collageno nei tessuti per danno vascolare e distruzione di cellule staminali =><br />

fibrosi<br />

− necrosi in polmone e epiteli<br />

− danni al DNA => apoptosi, cancro, mutazioni<br />

− atrofia di midollo osseo, timo, linfonodi e tumori associati a questi tessuti<br />

− atresia ovarica<br />

Inattivazione di un enzima: effetto della dose in relazione alla concentrazione dell'enzima<br />

Inattivazione di un virus da radiazione.<br />

Effetto della dose.<br />

A destra rappresentazione semilogaritmica<br />

Ritardo della mitosi per blocco in G2<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 29


La spalla iniziale di fig. 29 è dovuta al fatto che a bassa dose c'è maggior probabilità che gli enzimi di riparazione<br />

cellulare possano intervenire.<br />

Sopravvivenza di fibroblasti in relazione<br />

alla dose.<br />

Simboli pieni, fibroblasti da soggetti con<br />

difetto ereditario degli enzimi di riparazione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 30


Effetti della panirradiazione su roditori<br />

Incidenza naturale di malattie genetiche nell’uomo<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 31


Relazione tra dose e eventi recessivi letali in Drosofila<br />

Stime di rischio per varie neoplasie radioindotte<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 32


DANNI BIOLOGICI DA RA<strong>DI</strong>AZIONI ECCITANTI<br />

Le radiazioni eccitanti stanno tutte sotto lo spettro del visibile, si tratta prevalentemente di raggi UV e di alcuni raggi X.<br />

Non hanno grande capacità di penetrazione, perciò i loro effetti si limitano alla cute.<br />

I danni sono soprattutto per la ossidazione della melanina preesistente.<br />

Eritema = iperemia con arrossamento.<br />

Leggi della fotochimica<br />

Prima legge: affinché una radiazione produca un effetto fotochimico, i fotoni devono prima essere assorbiti da una<br />

molecola o da un atomo. Non tutte le molecole o gli atomi assorbono egualmente le radiazioni dello spettro visibile o<br />

ultravioletto. Ciò si verifica solo quando la lunghezza d'onda della luce incidente corrisponde a quella di assorbimento<br />

specifica e caratteristica (spettro di assorbimento) di quel atomo o di quella molecola.<br />

Seconda legge: vi è reciprocità tra la dose di radiazione che causa un determinato effetto e la potenza e il tempo di<br />

esposizione. In accordo con questa legge, lo stesso effetto può essere raggiunto applicando per un lungo periodo di<br />

tempo una radiazione di modesta potenza (cioè con un basso tasso di erogazione dei fotoni) oppure fornendo una<br />

radiazione di elevata potenza per un tempo di esposizione molto breve purché il numero totale di fotoni sia lo stesso.<br />

Terza legge (o della efficienza di una reazione fotochimica, o resa quantica o efficienza quantica): l'assorbimento di un<br />

fotone determina sempre una modificazione fotochimica a carico di una molecola o di un atomo. Quando si fa<br />

riferimento a questo fenomeno l'efficienza quantica è pari al 100%. In pratica però l'efficienza è quasi sempre inferiore e<br />

raggiunge valori modesti: 0,001 o 0,1 %.<br />

Effetti delle radiazioni ionizzanti<br />

• dimerizzazione della timina nel DNA =><br />

impedendo così di formare legami con la<br />

adenina dell'altra catena => ci può essere una<br />

delezione con conseguente frame shift<br />

• addotti con la timina:<br />

• monoaddotti<br />

• diaddotti => cross linking delle due<br />

catene del DNA<br />

• produzione di ROS = specie reattive<br />

dell'ossigeno, si formano per riduzione<br />

dell'ossigeno:<br />

− radicale superossido O2-<br />

− si può formare per interazione con<br />

elettroni che occasionalmente sfuggono<br />

alla catena o per ossidazione metallodipendente<br />

di certe molecole (Adr,<br />

NorA), o per produzione diretta durante<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 33


certe reazioni ossidative<br />

− E' fortemente reattivo e citotossico perché si comporta come energico ossidante attaccando un ampio<br />

numero di substrati<br />

− convertito in perossido d'idrogeno dalla superossido dismutasi<br />

− vitamina A può sequestrarlo<br />

− perossido di idrogeno<br />

− si forma dalla superossido dismutasi<br />

− è demolito dalla catalasi<br />

− glutatione perossidasi attraverso due molecole di glutatione lo trasforma in acqua<br />

− radicale idrossile (o ossidrile, -OH) è formato per la combinazione fra radicale superossido O2 - e perossido di<br />

idrogeno<br />

− affinché si formi è necessaria la presenza di Fe 2+ (bivalente) libero, che si ha quando c'è basso pH<br />

− è la molecola più tossica fra tutti i ROS perché non ci sono enzimi intracellulari di detossificazione.<br />

− ossigeno singoletto<br />

− si può formare dentro i macrofagi<br />

− può nuocere perossidando diverse molecole organiche (proteine, acidi nucleici, ecc.)<br />

Il danno ossidativo si verifica su:<br />

− acidi nucleici => il danno al DNA è il più pericoloso<br />

− lipidi => danno luogo al fenomeno della lipoperossidazione => bersaglio più frequente: ac. grassi polinsaturi<br />

nei fosfolipidi di membrana<br />

− 3 fasi: inizio, propagazione, terminazione (inizia e poi prosegue a catena interessando un numero sempre<br />

maggiore di molecole)<br />

− lipide insaturo (OH radicalico) => in presenza di O2 si forma radicale perossidico => il perossido può dar<br />

luogo a formazione di radicali<br />

− ac. arachidonico => in presenza di ossidante => perossido ciclico<br />

− malonil dialdeide = punto di arrivo della perossidazione lipidica<br />

− proteine => bersaglio più frequente: gruppo -SH (residui cisteine), possono dimerizzare<br />

− rotture possono essere irreversibili: es. anello del Trp e His<br />

− carboidrati<br />

I radicali ossidanti si formano anche per azione delle radiazioni ionizzanti, hanno importanza in fenomeni di<br />

mutagenesi, cancerogenesi, invecchiamento.<br />

Malattie associate alle radiazioni ultraviolette<br />

L'OMS ha associato 9 malattie alle radiazioni ultraviolette:<br />

− melanoma cutaneo = tumore maligno dei melanociti produttore di melanina<br />

− carcinoma squamoso (o epitelioma spinocellulare), dallo strato acinoso, forma le perle cornee (cheratosi nello<br />

strato profondo della pelle), fortemente maligno, più lento del melanoma, tende a metastatizzare e recidivare<br />

− carcinoma basocellulare (basalioma) = deriva dallo strato basale, è meno maligno di quello squamoso<br />

− formazione cataratta (opacizzazione del cristallino)<br />

− ispessimento della congiuntiva, opacizzazione della cornea<br />

− ricomparsa herpes labiale<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 34


MALATTIE FOTO<strong>DI</strong>NAMICHE<br />

Sono causate dalla presenza nell’organismo di sostanze che captano l’energia incidente, raggiungono lo stato elettronico<br />

eccitato e restituiscono l’energia come reattività fotochimica.<br />

Sono spesso molecole fluorescenti, possono essere esogene o endogene, mediano il danno.<br />

Captano la luce incidente, raggiungono lo stato eccitato e lo trasferiscono alle cellule e alle sostanze circostanti.<br />

Molecole esogene:<br />

− di origine vegetale, come gli psoraleni<br />

− farmaci, come tetracicline, sulfonamidi, FANS, fenotiazine<br />

Molecole endogene:<br />

− es. le porfirine<br />

L’azione fotodinamica si esplica con:<br />

− formazione di radicali liberi<br />

− fotodimerizzazione di molecole endogene<br />

− formazione di fotoaddotti<br />

Quando queste molecole ricevono energia => raggiungono uno stato eccitato => restituiscono l'energia ricevuta (o parte<br />

di essa):<br />

• attraverso la fluorescenza:<br />

• luce incidente ad una determinata lunghezza d'onda => dopo nanosecondi riemettono la luce a frequenza<br />

maggiore (quindi a energia minore) => la differenza di energia corrisponde allo stato eccitato della<br />

molecola fluorescente che può avere maggiore reattività chimica => effetti sulle molecole vicine<br />

• senza la fluorescenza => tutta l'energia si traduce in attivazione della molecola (nella fluorescenza una quota<br />

abbondante è restituita come fotone) => effetti sulle molecole vicine<br />

Effetti:<br />

− formazione di radicali liberi, dimerizzazioni, addotti<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 35


LE PORFIRIE<br />

Alterazioni della sintesi dell'EME possono dar luogo alla formazione di sostanze che si accumulano (le porfirine),<br />

queste sostanze possono poi trovarsi in circolo, nelle urine, nelle feci, depositate nei tessuti (ad es. nei denti).<br />

L'EME si trova nell'emoglobina, nella mioglobina e nei citocromi, viene sintetizzato in tutti i tessuti, ma soprattutto nel<br />

midollo osseo (per l'emoglobina dei globuli rossi) e nel fegato (per i citocromi).<br />

Le porfirie sono malattie fotodinamiche causate da accumulo di porfirine, si manifestano sulla cute esposta alla luce con<br />

esfoliazione degli strati più superficiali ed accumulo di liquido fra derma e lo strato germinativo => si forma una bolla.<br />

Biosintesi dell'eme<br />

Avviene in tutti i tessuti, ma soprattutto:<br />

− nel midollo osseo => per la formazione dell'emoglobina destinata ai globuli rossi<br />

− nel fegato => per la formazione dei citocromi<br />

ALA = acido delta-amino levulinico<br />

PBG = porfobilinogeno<br />

Solo da UROgeno III si può formare l'EME, i porfinogeni della serie I (derivati da UROgeno I), l’uroporfirina III<br />

(derivato dell'UROgeno III) e la coproporfirina III (derivato del COPROgeno III) sono prodotti collaterali non utilizzati<br />

nella sintesi dell’EME.<br />

L'attività dei seguenti enzimi è fondamentale nello sviluppo delle porfirie qualora una delle 3 tappe sia impedita:<br />

− ALA-sintetasi = enzima inducibile, può perciò aumentare e comportare un aumento della sintesi di acido Damino<br />

lebulinico<br />

− urosintetasi III<br />

− ferro chelatasi = se non cè il ferro non viene incorporato e si accumula la protoporfirina IX<br />

Punti di regolazione:<br />

− ALA-sintetasi = può avere feedback negativo quando c'è un eccesso di EME<br />

− ferro chelatasi = la sua attività dipende dalla disponibilità di ferro<br />

Profirie croniche (ereditarie)<br />

• Porfiria eritropoietica congenita (epatica) o Morbo di Gunther (CEP) - E' molto rara; causa anemia<br />

emolitica (distruzione dei globuli rossi) e fotosensibilità: i sintomi sono presenti fin dalla nascita. Le urine sono<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 36


osso scuro, per la grande quantità di porfirine eliminate. Particolare di questa malattia è l'eritrodonzia:<br />

illuminando i denti con luce ultravioletta questi sono rosso fluorescente. La fluorescenza è dovuta alle porfirine<br />

che si depositano nel fosfato di calcio dei denti.<br />

◦ in questa porfiria si ha carenza di urosintetasi III => sovrapproduzione di URO I (uroporfirina I)<br />

• Porfiria cutanea tarda (epatica) (PCT) - La Porfiria Cutanea Tarda è la più frequente in Italia. Compare<br />

generalmente intorno ai 30-40 anni, quasi mai si riscontra nell'infanzia. Come dice il nome stesso, questo tipo<br />

di porfiria presenta effetti cutanei presenti nelle zone esposte al sole che consiste in fragilità cutanea con<br />

formazione di bolle, erosioni che si trasformano in croste e cisti. Le persone affette da PCT tendono ad avere<br />

problemi epatici più facilmente della media, soprattutto in conseguenza all'eccessiva assunzione di alcool, al<br />

sovraccarico di ferro, all'infezione da virus, e qualche volta, a causa dell'assunzione di farmaci, soprattutto gli<br />

estrogeni.<br />

◦ il difetto più importante è la diminuzione della urodecarbossilasi, perciò si forma uroporfinogeno, ma non<br />

si arriva al protoporfinogeno<br />

• Protoporfiria eritropoietica: non è molto frequente. Compare durante i primi anni di vita. La sintomatologia<br />

è caratterizzata da bruciore, eritema ed edema delle zone esposte al sole, ispessimento della cute, soprattutto in<br />

corrispondenza del dorso delle mani e del naso. Spesso sono presenti problemi epatici dovuti alla stasi di<br />

protoporfirine nelle cellule del fegato e nei canalicoli biliari, con conseguente formazione di calcoli nella<br />

colecisti.<br />

◦ carenza dell'enzima ferro chelatasi<br />

◦ forse è autosomica dominante, ma altri sostengono che i malati sono doppi eterozigoti:<br />

▪ dominanti per ferro chelatasi<br />

▪ dominanti per altri enzimi della via biosintetica dell'EME<br />

◦ si accumula così la protoporfirina IX nelle cellule emopoietiche e nel sangue<br />

Porfirie acute<br />

• deficit di ALA-Deidrasi (epatica)<br />

• porfiria acuta intermittente (epatica)<br />

• coproporfiria ereditaria (epatica)<br />

• porfiria variegata (epatica)<br />

Le porfirie acute sono accomunate dall'avere una sintomatologia neurologica anche se la Porfiria Variegata e la<br />

Coproporfiria Ereditaria possono causare sintomi cutanei. Le Porfirie acute sono causate dall'assunzione di sostanze, da<br />

variazioni ormonali o condizioni nutrizionali particolari. Se si riesce a controllare l'assunzione dell'agente che risulta<br />

tossico, la malattia rimane nel 90% dei casi allo stato di latenza.<br />

La sostanza tossica scatenante solitamente è un farmaco, anche se a volte possono essere gli ormoni stessi<br />

dell'organismo specialmente nelle donne dopo la pubertà. Altre cause responsabili possono essere: infezioni, diete<br />

povere di zuccheri, e, secondo alcuni, alcool e fumo.<br />

La malattia è presente, ma latente, si manifesta solo se si assumono tali sostanze.<br />

I sintomi più frequenti delle porfirie acute<br />

sono: dolori addominali (coliche =<br />

contrazioni spastiche e dolorose di un organo<br />

viscerale cavo), febbre, leucocitosi (eccesso<br />

di globuli bianchi), vomito, stitichezza,<br />

tachicardia e ipertensione labile, ritenzione<br />

urinaria, sudorazione abbondante, riflessi<br />

tendinei profondi diminuiti, carenza di sodio<br />

nel sangue (iponatriemia), perdita della<br />

sensibilità (iperestesie e parestesie),<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 37


instabilità emotiva, tetania; nei casi più gravi: coma, paralisi, atrofia del nervo ottico, allucinazioni e disturbi<br />

comportamentali, paralisi respiratoria.<br />

Trattamento delle porfirie<br />

Nei casi di porfiria acuta importante è la prevenzione: non somministrare farmaci (o altre sostanze) che possano indurre<br />

la malattia. Per le porfirie non acute per i malati di Morbo di Gunther si cerca di effettuare il trapianto di midollo osseo<br />

o, in alternativa, trasfusioni. Nella Porfiria Cutanea Tarda la terapia iniziale deve essere concentrata all'allontanamento<br />

della sostanza tossica (virus, alcool, ferro, farmaci) ed alla protezione dal sole. In seguito, si può intervenire<br />

aumentando l'eliminazione di porfirine. Per la Protoporfiria la terapia consiste nella protezione dal sole attraverso creme<br />

schermanti e mediante β-carotene.<br />

Porfirie umane ereditarie<br />

Porfirie tossiche e sperimentali<br />

Non c'è base ereditaria, ma sono porfirie occasionali causate dall'assunzione di particolari sostanze. Sintomi tipici sono:<br />

− disturbi neurologici<br />

− disturbi addominali (coliche)<br />

− disturbi cutanei (fotosensibilità)<br />

PCH = paracloroetano; DDC = 3,5-dicarbetoxi-1,4-diidrocollidina<br />

http://www.msd-italia.it/altre/manuale/sez02/0140200.html<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 38


Appunti di Patologia Generale – Pag, 39


PNEUMOCONIOSI<br />

Sono malattie polmonari causate dall’inalazione di polveri fini inorganiche che danno luogo a reazioni fibrose.<br />

Sono oltre 40 i minerali la cui inalazione provoca lesioni polmonari<br />

− alcuni (ferro, alluminio, bario) sono innocui e si limitano ad accumularsi nel polmone<br />

− altri portano a malattie polmonari invalidanti<br />

Tipi specifici di pneumoconiosi prendono il nome dalla sostanza inalata:<br />

− silicosi, antracosi, asbestosi, talcosi…<br />

− a volte non si conosce o non si conosceva l’agente eziologico: polmone del saldatore, polmone dell’arrotino (in<br />

questo caso è una silicosi)<br />

Meccanismo patogenetico<br />

Il meccanismo patogenetico comune nella determinazione delle pneumoconiosi è la capacità delle polveri inalate a<br />

stimolare la FIBROSI POLMONARE.<br />

Lo sviluppo delle pneumoconiosi e l'entità delle lesioni dipendono da:<br />

• dose = dipende dalla concentrazione nell’aria respirata e dal tempo di esposizione all'inalante<br />

• dimensioni, forma => galleggiabilità delle particelle<br />

◦ le particelle più patogene sono quelle più piccole (1-5 um) => raggiungono gli acini<br />

polmonari<br />

◦ le particelle > 10 micron vengono espulse con il trasporto mucociliare<br />

• solubilità e reattività biochimica<br />

• particelle piccole vanno prima in soluzione => danno acuto<br />

• particelle più grandi => fibrosi<br />

• ulteriori effetti di altri irritanti come il fumo (soprattutto nell'asbestosi)<br />

• fattori genetici => in genere solo piccole percentuali di persone esposte sviluppano la malattia<br />

I macrofagi rappresentano sia una difesa sia un meccanismo di trasporto delle particelle ai linfatici e ai linfonodi.<br />

Pneumociti<br />

• Pneumociti di tipo I, definiti anche piccole cellule alveolari, ricoprono circa il 90% della superficie alveolare<br />

totale. Sono cellule piccole, sottili, come un sottile film che ricopre la superficie dell' alveolo. Aderiscono alla<br />

superficie dei vasi capillari tramite la membrana basale, permettendo la diffusione e lo scambio dei gas. Sono<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 40


cellule che non si possono replicare e sono molto sensibili alle sostanze tossiche.<br />

• Pneumociti di tipo II, inferiori per numero rispetto a quelli di tipo I, sono cellule voluminose di struttura<br />

cuboide le quali ricoprono circa il 5% della superficie alveolare. Sebbene poco numerosi, rappresentano<br />

cellulle di notevole importanza nello funzionalità del polmone, poiché sono responsabili della secrezione del<br />

surfattante, composto glico-proteico che abbassa la tensione superficiale e favorisce gli scambi gassosi.<br />

Silicosi<br />

Causata dall’inalazione di biossido di silicio. La silice è captata dal macrofago, si può produrre collageno nello spazio<br />

alveolare => nodulo silicotico.<br />

La malattia potrebbe risalire al Paleolitico (con la forgiatura di utensili di pietra)<br />

Lavorazioni che espongono alla malattia: intaglio di pietre, affilatura e levigatura di metalli, manifattura di ceramiche,<br />

fonderie, pulitura di caldaie, “sabbiatura” di superfici metalliche<br />

Patogenesi<br />

• La silice cristallina è più tossica della forma amorfa<br />

• Le particelle >0.2 e 2 cm in un contesto di silicosi nodulare semplice<br />

◦ Masse anche di 10 cm di asse maggiore, situate nelle porzioni superiori di entrambi i polmoni<br />

◦ Le lesioni possono essere cavitate centralmente<br />

◦ Si ha insufficienza respiratoria per distruzione del parenchima polmonare<br />

• Silicosi acuta<br />

◦ Oggi rara<br />

◦ Esposizione a polveri finissime per operazioni di sabbiatura e di pulitura<br />

◦ Fibrosi diffusa del polmone, senza noduli<br />

◦ Si accumula materiale denso eosinofilo negli alveoli: silicoproteinosi<br />

◦ La malattia progredisce repidamente in pochi anni<br />

Caratteristiche cliniche<br />

• La silicosi nodulare semplice spesso asintomatica è rilevabile radiologicamente<br />

• Nella fibrosi massiva progressiva si ha dispnea<br />

• Nella silicosi acuta si ha dispnea rapidamente invalidante<br />

• Frequente l’associazione con la tubercolosi perché la silicosi determina la perdita delle difese macrofagiche a<br />

livello polmonare.<br />

Antracosi<br />

L’antracite (carbone duro) contiene anche particelle di silice, cui vanno attribuite le lesioni polmonari: antracosilicosi<br />

Il carbone bituminoso (carbone morbido) contiene assai poco silicio: antracosi<br />

Il carbone amorfo non è fibrogenico perché incapace di uccidere i macrofagi<br />

Il carbone viene assunto dai macrofagi, che passano nell'interstizio e liberano le particelle => bronchioli dilatati,<br />

vengono colpiti sia i pneumociti I (95%) che II (5%) => enfisema focale da polveri.<br />

Lesioni morfologiche<br />

• Antracosi semplice<br />

◦ Macule<br />

◦ Noduli (macrofagi circondati da fibrosi)<br />

• Antracosi complicata (o fibrosi massiva progressiva)<br />

◦ Noduli > di 2 cm di diametro con riduzione della funzionalità respiratoria ed enfisema<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 41


Asbestosi<br />

L’amianto o asbesto, dal greco “inestinguibile”, comprende un gruppo di minerali fibrosilicati con fibre lunghe e sottili<br />

Le Vestali romane lo usavano per gli stoppini delle lampade<br />

Marco Polo osservò che vestiti intessuti con fibre di asbesto erano resistenti al fuoco<br />

In epoca moderna è (o è stato) utilizzato per l’isolamento in edilizia e nei freni<br />

Il suo utilizzo, cresciuto in tutto il XX secolo, ha subito un arresto per l’evidenza dei suoi danni<br />

L'amianto è captato dai macrofagi => interstizio => stimolano l'attivazione di fibroblasti => asbestosi.<br />

L'amianto è un silicato di magnesio esistente sotto varie forme minerali, di cui le principali sono:<br />

• Amosite Amianto bruno (Mg,Fe)7Si8O22(OH)2 dalle miniere del South Africa<br />

• Crisotilo Amianto bianco Mg3Si2O5(OH)4 dal greco: "fibra d'oro“<br />

• Crocidolite Amianto blu Na2Fe 2+ 3Fe 3+ 2Si8O22(OH)2 dal greco: "fiocco di lana“<br />

• Tremolite Ca2Mg5Si8O22(OH)2 dal nome della Val Tremola, in Svizzera<br />

• Antofillite(Mg,Fe)7Si8O22(OH)2 dal greco: "garofano“<br />

• Actinolite Ca2(Mg,Fe)5Si8O22(OH)2 dal greco: "pietra raggiata"<br />

L’amianto in natura è presente in due gruppi mineralogici:<br />

• Serpentino: crisotilo (fibre lunghe e resistenti)<br />

• Anfiboli: antofillite, actinolite, amosite, crocidolite, tremolite (fibre fragili, che si spezzano facilmente,<br />

possono essere intessute come le coperte antincendio)<br />

Mentre il carbone ha molta polvere e poche fibre, l’opposto è per l’amianto.<br />

Le malattie provocate dall’amianto sono causate dall’inalazione di materiale fibroso.<br />

Tra le varie orme di amianto gli anfiboli, ed in particolare la crocidolite, provocano maggiormente malattie rispetto al<br />

crisotilo.<br />

Patogenesi<br />

ASBESTOSI = fibrosi polmonare interstiziale diffusa causata dall’inalazione di fibre di amianto.<br />

Le fibre sono lunghe sino a 100 um, ma sottili 0.5-1 um.<br />

Si depositano negli alveoli più distali. Alcune inglobate dai macrofagi, altre insinuate nell’interstizio.<br />

Lesioni polmonari<br />

• All’inizio una alveolite essudativa, seguita da fibrosi polmonare interstiziale<br />

• Si osservano i corpi di asbesto che contengono una fibra sottile di asbesto lunga più di 50 um circondata da<br />

ferro e proteine<br />

• Le fibre sono parzialmente inglobate nei macrofagi e circondate da numerosi macrofagi, perché troppo grandi<br />

• Sia in alveoli che in bronchioli si ha una reazione fibrogenica, con patologia respiratoria restrittiva e ostruttiva<br />

Lesioni pleuriche<br />

• Versamento pleurico benigno (in circa il 3% degli esposti)<br />

• Placche pleuriche nella pleura parietale e diaframmatica: Sono costituite da tessuto fibroso collageno<br />

ialinizzato e possono avere noduli calcificati<br />

• Fibrosi pleurica diffusa<br />

• Atelettasia rotonda: l’atelettasia è data dal collabire degli alveoli polmonari per ostruzione e perdita del<br />

contenuto aereo<br />

• Mesotelioma pleurico<br />

◦ E’ stata dimostrata una netta correlazione tra esposizione all’amianto e sviluppo di un tumore mesoteliale<br />

pleurico maligno<br />

◦ Talvolta l’esposizione è minima, come i familiari dei lavoratori dell’amianto, che lavano i vestiti da lavoro<br />

◦ I più colpiti sono i lavoratori dell’amianto che sono esposti alla crocidolite<br />

Divieto d'uso in Italia<br />

L'impiego dell'amianto è fuori legge in Italia dal 1992. La legge n. 257 del 1992, oltre a stabilire termini e procedure per<br />

la dismissione delle attività inerenti l'estrazione e la lavorazione dell'asbesto, è stata la prima ad occuparsi anche dei<br />

lavoratori esposti all'amianto.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 42


All'art. 13 essa ha introdotto diversi benefici consistenti sostanzialmente in una rivalutazione contributiva del 50% ai<br />

fini pensionistici dei periodi lavorativi comportanti un'esposizione al minerale nocivo. In particolare, tale beneficio è<br />

stato previsto per i lavoratori di cave e miniere di amianto, a prescindere dalla durata dell'esposizione; per i lavoratori<br />

che abbiano contratto una malattia professionale asbesto-correlata in riferimento al periodo di comprovata esposizione;<br />

per tutti i lavoratori che siano stati esposti per un periodo.<br />

Nella Regione Emilia-Romagna è attivo il Registro Regionale dei Mesoteliomi, con sede a Reggio-Emilia presso il<br />

Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Azienda USL omonima, che rileva tutti i casi di mesotelioma incidenti dal 1996.<br />

Dal 1.01.96 al 31.03.01 sono stati individuati 323 casi di mesotelioma (225 uomini e 98 donne).<br />

Di questi, finora, ne sono deceduti 188. L’età media dei deceduti è di 66 anni.<br />

La sopravvivenza mediana dal momento della diagnosi è di 157 giorni.<br />

Considerato che risale al 1994 il divieto totale della estrazione, importazione e produzione di materiali/manufatti che<br />

contengono amianto e che sono in corso a livello regionale le verifiche delle situazioni che richiedono interventi di<br />

bonifica e in molti casi esse sono già state ultimate, purtroppo si deve attendere ancora come numero previsto di<br />

mesoteliomi 1000 nuovi casi/anno in Italia e 70 nuovi casi/anno in Emilia-Romagna.<br />

In Provincia di Bologna i casi di mesotelioma registrati a partire dal 1.01.96 sono 71.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 43


DANNI DA FUMO (da uso di tabacco)[Da libro]<br />

L'uso di prodotti del tabacco come sigarette, sigari, pipe e tabacco da fiuto è associato ad una mortalità e morbilità<br />

maggiori rispetto a qualsiasi altra esposizione individuale, ambientale o professionale.<br />

L'esposizione precoce ai cancerogeni del fumo di tabacco può aumentare il rischio di sviluppare il carcinoma al<br />

polmone.<br />

Composizione del fumo di sigaretta<br />

• oltre 4000 costituenti di cui 43 cancerogeni noti<br />

• cancerogeni organo-specifici<br />

• polmone, laringe => idrocarburi aromatici policiclici, NNK (4-1-1 butanone), polonio 210<br />

• esofago => NNN (N-Nitrosonornicortina)<br />

• pancreas => NNK?<br />

• vescica => 4-aminobifenile, 2-naftilamina<br />

• cavità orale (fumo) => idrocarburi aromatici policiclici, NNK, NNN<br />

• cavità orale (tabacco da fiuto) => NNK, NNN, polonio 210<br />

• metalli cancerogeni<br />

• arsenico, nichel, cadmio, cromo<br />

• potenziali favorenti<br />

• acetaldeide, fenolo<br />

• irritanti<br />

• biossido d'azoto, formaldeide<br />

• inibitori della motilità delle ciglia dell'epitelio delle vie respiratorie<br />

• acido cianidrico<br />

• monossido di carbonio = ha un'affinità 200 volte superiore all'ossigeno per Hb e ne ostacola il rilascio di<br />

ossigeno; lega altre proteine contenenti EME come la mioglobina e la citocromo ossidasi<br />

• nicotina = alcaloide, attraversa facilmente la barriera emato-encefalica, responsabile della dipendenza e degli<br />

effetti farmacologici (aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, aumento del flusso ematico<br />

coronario, aumento della contrattilità e della gittata cardiaca, mobilizzazione degli acidi grassi liberi)<br />

Patologie legate al fumo<br />

1. carcinoma del polmone<br />

2. cardiopatia ischemica<br />

3. broncopneumopatia cronica ostruttiva<br />

L'epitelio tracheobronchiale dei fumatori di sigaretta presenta modificazioni preneoplastiche dose-correlate.<br />

L'insorgenza di cancro del polmone è direttamente legata al numero di sigarette fumate.<br />

• 30% dei morti per cancro dovuti al fumo di sigaretta<br />

• 90% dei morti per cancro al polmone dovuti al fumo di sigaretta<br />

Fattore moltiplicativo sul rischio di:<br />

• ipertensione - ipercolesterolemia – sviluppo di malattia coronaria e aterosclerosi<br />

• nelle donne che assumono contraccettivi orali: infarto miocardico acuto e ictus<br />

Può contribuire all'arresto cardiaco aumentando l'adesività e l'aggregazione piastrinica, scatenando artimie. provocando<br />

squilibrio tra richiesta e apporto di ossigeno al miocardio.<br />

Aumento di infezioni e altre patologie delle vie respiratorie.<br />

Il feto è soggetto all'abitudine al fumo della madre:<br />

• ipossia fetale per alti livelli di carbossiemoglobina, con le seguenti possibili conseguenze:<br />

• basso peso alla nascita<br />

• prematurità<br />

• aborto spontaneo<br />

• placenta previa<br />

• distacco della placenta<br />

Fattore di aggravamento per:<br />

• pneumoconiosi<br />

• asma<br />

• bronchite<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 44


Fumo passivo (ETS = environmental tobacco smoke)<br />

Riconosciuto come agente cancerogeno umano, aumenta il rischio di:<br />

• carcinoma polmonare<br />

• cardiopatia ischemica<br />

• infarto miocardico acuto<br />

Particolarmente pericoloso per lattanti e bambini, aumenta incidenza di:<br />

• sindrome da morte improvvisa<br />

• malattie respiratorie<br />

• infezioni dell'orecchio<br />

• aggravamento dell'asma<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 45


<strong>PATOLOGIA</strong> DELLA TRASCRIZIONE<br />

La trascrizione è quel processo attraverso cui vengono sintetizzati i vari RNA sullo stampo di DNA. Gli inibitori della<br />

trascrizione possono agire sul DNA stampo o su enzimi implicati nel processo.<br />

INIBITORI DELLA TRASCRIZIONE AGENTI SUL DNA STAMPO<br />

Micotossine<br />

Le micotossine (aflatossine, ocratossine, zearalenone, ecc.) sono delle molecole tossiche prodotte dal metabolismo di<br />

alcuni funghi microscopici (miceti), appartenenti ai generi Aspergillus, Penicillium e Fusarium quando proliferano, in<br />

opportune condizioni di temperatura e di umidità, sulle derrate alimentari, mangimi, foraggi...<br />

Sono i più importanti inibitori della trascrizione.<br />

Lo sviluppo delle muffe e dei loro metaboliti tossici sulle derrate alimentari può verificarsi durante la coltivazione,<br />

oppure in tempi diversi, fino ad arrivare al consumo. Quando alimenti e mangimi contaminati vengono ingeriti<br />

dall'uomo e dagli animali, le micotossine sono capaci di indurre una varietà di effetti tossici.<br />

• Aflatossine B1 e M1<br />

◦ L'aflatossina M1 è il metabolita 4-idrossi derivato dell'aflatossina B1, la<br />

quale deriva dall'Aspergillus flavus. Se presente nei mangimi e foraggi<br />

contaminati, l'aflatossina B1 viene ingerita dagli animali dove, nel loro<br />

fegato, viene idrossilata ad aflatossina M1.<br />

◦<br />

◦<br />

L'aflatossina M1 deve la sua sigla a "milk", latte, in quanto passa, in<br />

quantità rilevanti, nel latte. In bibliografia esistono evidenze della<br />

presenza della M1 anche in organi quali fegato e rene<br />

L'aflatossina M1, legata alla frazione proteica del latte, viene escreta<br />

L'aflatossina M1:<br />

C17H12O7<br />

MW 328 3<br />

◦<br />

dalle ghiandole mammarie delle mucche. L'aflatossina M1 è destinata inevitabilmente ad essere ingerita<br />

dall'uomo, sia con il latte che con i prodotti da questo derivati, in quanto nessun trattamento è in grado di<br />

eliminarla (M1 e' una molecola termostabile).<br />

Pertanto, l'aflatossina M1 non è prodotta direttamente dalla muffa Aspergillus, bensì deriva dal<br />

metabolismo degli animali che si nutrono di alimenti contaminati dall'Aspergillus, quindi contenenti<br />

l'aflatossina B1.<br />

◦ Anche l'aflatossina M1 è riconosciuta tra i potenziali carcinogeni per l'uomo.<br />

◦ L'aflatossina M1 compare nel latte dopo circa 4 ore dall'ingestione, da parte della mucca, di aflatossina B1<br />

con gli alimenti.<br />

◦ Scompare dal latte, in media, già entro 3-4 giorni dalla sospensione dell’assunzione di Aflatossina B1.<br />

◦ I produttori di latte devono controllare la presenza di M1.<br />

◦ Il danno più importante da aflatossine è al fegato => intossicazione acuta => si formano isolotti di necrosi<br />

epatica. Il fegato può rigenerare => la rigenerazione delle cellule danneggiate nel DNA può dar luogo a<br />

trasformazione tumorale.<br />

• Azione cancerogena delle aflatossine<br />

◦ L’azione cancerogena e l’azione mutagena delle aflatossine B1, e M1 sono il risultato della formazione<br />

dell'epossido, un intermedio metabolico particolarmente reattivo, in grado di formare legami covalenti con<br />

gli acidi nucleici.<br />

◦<br />

Epossidi<br />

Numerosi studi hanno dimostrato che l'aflatossina M1 avrebbe un potere epato-cancerogeno inferiore a<br />

B1, ma un potere cancerogeno per il rene leggermente superiore.<br />

• Molti epossidi, soprattutto quando hanno estese strutture aromatiche, sono cancerogeni. Infatti hanno la<br />

capacità di intercalare tra le basi azotate del DNA e quindi di alchilarle (specialmente la guanina). Talvolta gli<br />

epossidi si formano nel fegato per ossidazione biologica di sistemi poliaromatici.<br />

Actinomicina<br />

• E’ un antibiotico cromo-peptidico prodotto da numerose specie del genere Actinomices.<br />

• Il cromoforo (actinocina) è un fenoxazone legato a due anelli pentapeptidici<br />

• E’ molto tossica anche per le cellule eucariotiche dell’uomo, ma si impiega come farmaco antitumorale e non<br />

come antibiotico<br />

• Azione dell'actinomicina:<br />

◦ L’anello fenoxazonico (il cromoforo) si intercala tra due coppie di basi di DNA stampo, adiacenti ad una<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 46


coppia G-C, mentre gli anelli pentapeptidici si proiettano nel solco minore del DNA.<br />

◦ A bassa concentrazione (1 um) inibisce l’iniziazione della trascrizione (soprattutto RNA ribosomiale con<br />

conseguente caratteristica alterazione del nucleolo che diventa compatto), mentre a più alta concentrazione<br />

(10 um) inibisce l’elongazione.<br />

• Lesioni da actinomicina<br />

◦ Le lesioni indotte dall'actinomicina D sono il prototipo degli<br />

effetti di molti agenti il cui primario meccanismo d'azione è il<br />

disturbo della funzione stampo del DNA per la sintesi<br />

dell'RNA.<br />

◦ Per quanto la sintesi di tutte le specie di RNA sia inibita<br />

dall'actinomicina, una bassa dose provoca precoce inibizione<br />

della sintesi dell'RNA 45 S, precursore degli RNA ribosomiali<br />

28 S e 18 S.<br />

• Alterazioni strutturali nel nucleo<br />

◦ Caratteristiche sono le alterazioni morfologiche nucleolari<br />

prodotte dall'actinomicina. Il nucleolo diviene compatto, con<br />

separazione (segregazione) della componente granulare<br />

◦<br />

(ribosomi neoformati) da quella fibrillare (non contiene più<br />

RNA, ma solo istoni e proteine)<br />

Può comparire una zona di ribonucleoproteine alterate, o<br />

placca densa.<br />

◦ Questo fenomeno di redistribuzione dei componenti del<br />

nucleolo è noto come «segregazione nucleolare».<br />

• La segregazione nucleolare<br />

◦ Essa si manifesta in conseguenza non solo dell'azione dell'actinomicina, ma di molte altre sostanze<br />

tossiche (cancerogeni, tossine fungine, virus) o agenti fisici (radiazioni UV e radiazioni ionizzanti, calore)<br />

che compromettono la trascrizione.<br />

◦ In generale la «segregazione nucleolare» inizia con una separazione dei componenti fibrillare e granulare,<br />

prima frammisti. Si rendono così evidenti due regioni, la parte amorfa e la massa densa.<br />

◦ Gli effetti precoci sono nel nucleolo, ma in seguito si ha anche la condensazione della cromatina a livello<br />

del nucleoplasma => tutta la cromatina si trova in forma di eterocromatina (compatta, non più<br />

trascrivibile)<br />

• Basi molecolari della segregazione nucleolare<br />

◦ Mediante la autoradiografia ad elevata risoluzione si è seguita la sintesi ed il destino dell'RNA sotto<br />

l'azione dell'actinomicina.<br />

◦ Nel nucleolo di cellule trattate in vitro, l'incorporazione di uridina marcata con 3H si localizza dapprima<br />

nella componente fibrillare (sintesi di nuovo RNA); dopo 30 minuti di trattamento con actinomicina la<br />

radioattività incorporata migra nella componente granulare (arresto della sintesi di nuovo RNA e<br />

marcatura solo nei ribosomi) => inizia la «segregazione nucleolare»<br />

◦ Dopo 7 ore la «segregazione» è completa e la radioattività è localizzata solo nella componente granulare.<br />

◦ Le regioni fibrillari contengono materiale resistente alla digestione con RNAasi e DNAasi, ma sensibile<br />

alla pepsina e quindi istoni e proteine.<br />

◦ L'RNA 45S è completamente scomparso e la componente fibrillare di nucleoli completamente segregati<br />

non contiene più nuovo RNA.<br />

• Alterazioni strutturali del nucleoplasma<br />

◦ Non mancano, tra gli effetti dell'actinomicina, le alterazioni del nucleoplasma.<br />

◦ L'actinomicina D, insieme a molte altre sostanze che inibiscono la sintesi dell'RNA (proflavina, etionina,<br />

amanitine), induce una marcata condensazione della cromatina.<br />

◦ I nuclei di cellule trattate con queste sostanze mostrano aggregati di cromatina che spiccano nel<br />

nucleoplasma o si raccolgono lungo la membrana nucleare o intorno ai nucleoli.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 47


RA<strong>DI</strong>AZIONI COME INIBITORI DELLA TRASCRIZIONE<br />

• Tra gli agenti che agiscono sulla trascrizione (oltre che sulla duplicazione del DNA) vanno ricordate le<br />

radiazioni, sia ionizzanti, sia eccitanti.<br />

• La rottura dei filamenti o la formazione di dimeri tra le basi alterano la funzione stampo del DNA e inibiscono<br />

la sintesi di RNA.<br />

• È interessante che la microirradiazione con raggi UV della parte extranucleolare del nucleo induce una pronta<br />

«segregazione nucleolare»<br />

INIBITORI DELLA TRASCRIZIONE AGENTI SULLE RNA-POLIMERASI<br />

• Due modelli di inibitori delle RNA polimerasi, con stretta specificità per il tipo di enzima inibito sono:<br />

◦ la rifampicina, specifica per l'RNA polimerasi procariotica, impiegato in terapia come farmaco<br />

antitubercolare e altro. Dà anche tossicità mitocondriale (perchè ha ribosomi 50s, ecc.)<br />

◦ la α-amanitina, specifica per le RNA polimerasi eucariotiche nucleoplasmatiche B I e B II.<br />

Rifampicina<br />

• Le rifampicine A e B, antibiotici prodotti dallo Streptomyces mediterranei, ed il derivato sintetico rifamicina<br />

sono potenti inibitori della RNA polimerasi batterica.<br />

• La rifampicina si lega non covalentemente alla subunità beta.<br />

• È inibita l'iniziazione e non l'elongazione.<br />

• Gli enzimi nucleari delle cellule eucariotiche non sono inibiti dalla rifampicina, ma le RNA-polimerasi dei<br />

mitocondri sono sensibili.<br />

• Le proprietà e la specificità delle rifampicine come inibitori dell'RNA polimerasi batterica ne consentono<br />

l'impiego come farmaco antibatterico, in particolare antitubercolare.<br />

Amanitine<br />

• Nei funghi velenosi mortali Amanita phalloides, A.<br />

verna, e A. virosa sono presenti due classi di sostanze<br />

tossiche, le amanitine e le falloidine.<br />

• Le amanitine sono potentissimi inibitori dell'RNA<br />

polimerasi delle cellule eucariotiche.<br />

• I vari tipi di RNA polimerasi sono diversamente sensibili<br />

a amanitine<br />

• Trattandosi di veleni termoresistenti sono attivi anche<br />

dopo cottura dei funghi.<br />

• La massima parte di decessi per avvelenamento da<br />

funghi è dovuta alla specie più diffusa A. phalloides, la<br />

cui ingestione, nella quantità di 50 g di fungo fresco,<br />

causa la morte di un uomo adulto.<br />

• Avvelenamento da amanitina<br />

◦ Dopo una iniziale sintomatologia, consistente in<br />

violenti dolori addominali con vomito e diarrea, che può portare rapidamente a morte con una sindrome<br />

simile al colera, i sintomi gastrointestinali regrediscono; ma molto spesso, dopo un variabile periodo di<br />

latenza di alcuni giorni, compaiono segni di insufficienza epatica e renale che, aggravandosi, possono<br />

portare a morte l'avvelenato.<br />

• Avvelenamento sperimentale<br />

◦ Le prime lesioni cellulari sono localizzate nel nucleo con segregazione e poi frammentazione dei nucleoli<br />

e condensazione della cromatina nucleoplasmatica.<br />

◦ Nel topo le lesioni cellulari sono manifeste prima nel fegato, con steatosi e necrosi degli epatociti e poi nel<br />

rene con necrosi delle cellule dei tubuli contorti prossimali (necrosi da tossico).<br />

◦ Nel ratto mancano i danni renali e ciò è stato interpretato con il fatto che le cellule dei tubuli prossimali<br />

del ratto sono incapaci di riassorbire l'amanitina filtrata con la preurina.<br />

• Avvelenamento sperimentale e orale<br />

◦ Nel topo e nel ratto l’amanitina non è assorbita dall’intestino e quindi non è attiva per via orale, ma solo<br />

per iniezione parenterale.<br />

◦ Nell’uomo e nel cane l’amanitina lede prima l’intestino e poi fegato e rene e quindi in queste specie è<br />

possibile l’avvelenamento per via alimentare<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 48


La possibilità di avvelenamento da queste sostanze è quindi legata alla presenza di recettori nelle cellule, presenti<br />

diversamente nei vari tessuti e nelle varie specie: nell'uomo e nel cane sono simili.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 49


<strong>PATOLOGIA</strong> DELLA TRADUZIONE<br />

E' quel processo attraverso il quale viene tradotto dell'mRNA in proteine, negli eucarioti avviene nel reticolo<br />

endoplasmatico rugoso.<br />

Vi sono differenze tra i sistemi procariotici ed eucariotici:<br />

• Ribosomi procarioti: 70S (30S+50S)<br />

• Ribosomi eucarioti: 80S (40S+60S)<br />

• Procarioti ed eucarioti hanno enzimi di iniziazione ed elongazione differenti => diverse sostanze agiscono sui<br />

due tipi.<br />

• I mitocondri hanno un sistema simil-batterico per quanto riguarda ribosomi ed enzimi.<br />

Pertanto diverse sostanze agiscono diversamente su procarioti ed eucarioti.<br />

Tappe della sintesi proteica eucariotica<br />

• Fase di inizio<br />

◦ mRNA si porta al reticolo endoplasmatico<br />

◦ mRNA si lega alla subunità 40S (che ha legato preventivamente alcuni fattori di inizio eIF) formando il<br />

complesso di pre-inizio<br />

◦ si aggiunge al sito P l'aminoacil-tRNA iniziatore (metionil-tRNA) con legato eIF-2 e GTP<br />

◦ vengono rilasciati i fattori di inizio (GTP è idrolizzato) e il ribosoma si posiziona sul codone di inizio<br />

(AUG)<br />

◦ si lega la subunità 60S => si è formato il complesso di inizio<br />

• Fase di allungamento<br />

◦ eEF-1 si aggiunge => lega il 2° aminoacil-tRNA al sito A<br />

◦ attività peptidiltrasferasica intrinseca alla subunità 60S del ribosoma forma il primo dipeptide, collocato<br />

sul sito A<br />

◦ eEF-2 trasloca il peptidil-tRNA dal sito A al sito P => il sito A si libera<br />

◦ si aggiungono altri aminoacil-tRNA e la catena si allunga<br />

◦ i fattori di allungamento portano GTP, che viene idrolizzato dopo l'utilizzo a GDP => per un nuovo ciclo<br />

deve essere nuovamente scambiato con GTP => ci sono delle protein chinasi che possono fosforilare i<br />

fattori di allungamento rendendo impossibile questo scambio e regolando così la traduzione proteica<br />

• Fase di terminazione<br />

◦ al raggiungimento del codone di stop (UAG, UGA, UAA) => al posto dell'aminoacil-tRNA si lega il<br />

fattore di rilascio eRF-1 => rilascio della catena polipeptidica e dissociazione del ribosoma dal mRNA<br />

Nei procarioti il processo è simile, ma alcuni aspetti e tutti i fattori sono diversi:<br />

• IF-2 lega GTP e la subunità 30S del ribosoma<br />

• il primo aminoacido inserito è formilmetionina<br />

• EF-Tu = analogo di eEF-1<br />

• EF-G = analogo di eEF-2<br />

• ci sono 2 fattori di rilascio (RF-1 e 2)<br />

• assenza di regolazione della traduzione da fosforilazione dei fattori di allungamento<br />

Sia negli eucarioti che nei procarioti ogni mRNA può essere tradotto simultaneamente da più ribosomi.<br />

Inibitori della traduzione<br />

• Gli inibitori della sintesi proteica possono agire specificamente sulle singole tappe della traduzione.<br />

• Proprio la specificità della loro azione ne consente l'impiego nella ricerca biochimica come mezzi per<br />

frazionare in eventi singoli il concatenato processo della sintesi proteica.<br />

• Alcuni sono inibitori specifici per il sistema procariotico e ciò consente il loro impiego come farmaci<br />

antibatterici ad elevato coefficiente terapeutico.<br />

• Altri sono attivi sia nel sistema procariotico che in quello eucariotico, come gli antibiotici del gruppo delle<br />

tetracicline o il cloramfenicolo e ciò spiega la loro relativa tossicità per l'uomo.<br />

• Infine altre sostanze sono inibitori specifici del sistema eucariotico (per i ribosomi 80S o per gli enzimi degli<br />

animali e delle piante superiori) e come tali sono potenti veleni anche per l'uomo, come la tossina difterica, la<br />

shiga-tossina, la ricina e altre tossine vegetali<br />

• Tutti gli antibiotici e altri inibitori delle sintesi proteiche agiscono legandosi in proporzioni equimolecolari con<br />

i componenti del sistema (ribosomi o loro subunità, enzimi o acidi nucleici) e quindi sono efficaci a<br />

concentrazioni eguali o superiori a quelle del loro bersaglio biochimico.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 50


• Invece le tossine citate e altri peptidi inibitori delle sintesi proteiche agiscono come enzimi, capaci di<br />

modificare e inattivare irreversibilmente specifici componenti del sistema. Questa proprietà spiega la loro<br />

estrema potenza tossica.<br />

Gli inibitori della traduzione si possono suddividere in tre gruppi:<br />

• antibiotici<br />

• tossine (batteriche e vegetali)<br />

• inibitori endogeni implicati in meccanismi di controllo cellulare della sintesi proteica<br />

ANTIBIOTICI<br />

Streptomicina<br />

• È un antibiotico scoperto nel 1944 in colture di Streptomyces griseus che, per la sua bassa tossicità, per l'ampio<br />

spettro antibiotico e per l'efficacia nei confronti del Mycobacterium tubercolosis acquistò subito grande<br />

importanza e largo impiego.<br />

• Agisce sulla subunità ribosomiale minore (30S) e la tappa inibita è il legame ai ribosomi dell'aminoacil-tRNA,<br />

catalizzata dall'EF-Tu (richiede GTP)<br />

• Ma l'effetto più notevole della streptomicina è quello noto come «miscoding», cioè la incorporazione di<br />

aminoacidi diversi da quelli codificati dalla sequenza di triplette di basi sull'mRNA.<br />

• Antibiotico-resistenza alla streptomicina<br />

◦ Il miscoding induce la sintesi batterica di proteine “mutanti”.<br />

◦ Il vasto impiego di questo antibiotico ha causato la comparsa e la disseminazione di ceppi resistenti di<br />

microrganismi gram-negativi quali Proteus, Pseudomonas aeruginosa, E. coli, e di gram-positivi quali<br />

Staphylococcus aureus e Streptococcus faecalis.<br />

◦ Alcuni di questi microrganismi, parassiti opportunisti, sono causa di gravi infezioni ospedaliere.<br />

Puromicina<br />

• È un antibiotico nucleosidico isolato da colture di Streptomyces alboniger, attivo con ampio spettro su batteri<br />

gram-positivi e gram-negativi, amebe e protozoi, ma non usato in terapia clinica perché attivo anche su cellule<br />

eucariotiche.<br />

• Lo studio del meccanismo d'azione della puromicina ha contribuito a far comprendere una delle tappe della<br />

elongazione peptidica, la transpeptidazione.<br />

Meccanismo d’azione della puromicina<br />

• La struttura chimica della puromicina presenta una stretta somiglianza con la porzione 3'-OH terminale di un<br />

aminoacil-tRNA<br />

◦ si ricordi che la sequenza terminale del tRNA è: CCA con l'aminoacido esterificato al 3'-OH del ribosio<br />

dell'adenosina => in figura è rappresentata l'adenosina terminale cui è legato l'ultimo aminoacido inserito<br />

della catena peptidica (R' sul ribosio del peptidil-tRNA rappresenta la parte restante del tRNA, che non si<br />

trova nella puromicina)<br />

• A causa di questa analogia strutturale, la puromicina interagisce con il sito A del centro peptidiltransferasico<br />

della subunità ribosomiale maggiore (50 S o 60 S) => si forma il legame peptidico tra catena peptidica<br />

nascente e puromicina<br />

• Ma la puromicina manca di quella parte della molecola dell'aminoacil-tRNA che assicura una interazione<br />

stabile con il ribosoma.<br />

• Perciò la puromicina, dopo aver reagito con un peptidil-tRNA posto nel sito ribosomiale P, si stacca dal<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 51


ibosoma, causando un precoce rilascio delle catene peptidiche nascenti e quindi una interruzione della sintesi<br />

proteica.<br />

L'interesse per la puromicina è più che altro sperimentale al fine di misurare il numero di catene peptidiche nascenti<br />

presenti in P attraverso l'impiego di puromicina radioattiva o di aminoacidi radioattivi.<br />

Se un animale assume puromicina e questa va nel fegato, si trova inizialmente steatosi epatica, perché una delle cause<br />

patogenetiche della steatosi è il blocco della sintesi proteica e impossibilità di produrre apolipoproteine per il trasporto<br />

dei lipidi, ma in seguito si arriva fino alla necrosi per interruzione delle sintesi macromolecolari.<br />

LE TOSSINE<br />

Tossina difterica<br />

• E’ una esotossina proteica prodotta da Corynebacterium diphtheriae.<br />

• L’infezione si localizza a faringe e laringe e provoca una infiammazione fibrinosa necrotizzante.<br />

• Più gravi lesioni si manifestano a distanza dalla sede dell'infezione, nel cuore (steatosi e necrosi a focolaio), nel<br />

fegato (steatosi), nel rene (degenerazione a gocce ialine, steatosi e infine necrosi tubulare); si accompagnano<br />

segni di neurite tossica con paralisi del velopendulo, dei muscoli oculari, dei muscoli faringei e laringei.<br />

• Le lesioni sono prodotte dalla tossina che si diffonde per via ematica e sono sperimentalmente riproducibili con<br />

l'iniezione della sola tossina, in assenza di infezione.<br />

• Molti animali come la cavia, il coniglio e la scimmia hanno la stessa sensibilità dell'uomo alla tossina: pochi<br />

ug sono letali per l'uomo.<br />

• Una misura standard della tossicità è la dose minima letale (DML) per la cavia: è la dose necessaria per<br />

causare la morte di una cavia di 250 g di peso corporeo in 4-5 giorni, ed è circa 60 ng.<br />

◦ altra misura è la LD50 = dose letale per il 50% degli animali in cui è iniettata<br />

Meccanismo d'azione della tossina difterica<br />

• Cellule in coltura sono sensibili all’azione della tossina.<br />

• La lesione biochimica più precoce provocata dalla tossina nelle cellule in coltura è l'inibizione delle sintesi<br />

proteiche.<br />

• L’inibizione delle sintesi proteiche si ha anche in sistemi acellulari, costituiti da componenti purificati<br />

(ribosomi, enzimi solubili, mRNA, tRNA, aminoacidi, e ATP e GTP come fonte di energia).<br />

• L’effetto della tossina in sistemi acellulari richiede la presenza di un cofattore cellulare termostabile e<br />

dializzabile, identificato con il nicotinamide-adenina-dinucleotide (NAD).<br />

• Il bersaglio della tossina è stato identificato nell'EF-2 (elongation factor 2), l'enzima che catalizza la<br />

translocazione nel ciclo di elongazione peptidica.<br />

• La tossina si comporta come un enzima che catalizzala formazione di un legame covalente tra un frammento<br />

del NAD, l'ADPribosio, e la molecola di EF-2, con formazione di ADPribosil-EF2.<br />

• L’ADPribosil-EF2 è inattivo nelle sintesi proteiche perché, pur legando il GTP, è incapace di translocare il<br />

peptidil-tRNA dal sito A al sito P.<br />

• Le catene peptidiche nascenti si bloccano nel sito A.<br />

• Perciò non possono essere aggiunti ulteriori aminoacil-tRNA<br />

Tossina difterica: struttura e penetrazione nelle cellule<br />

• Mentre poche specie sono sensibili alla tossina, in tutti gli estratti di cellule eucariotiche la tossina inattiva<br />

l'EF- 2.<br />

• Ciò si spiega tenendo conto della struttura della tossina e del suo meccanismo di penetrazione cellulare.<br />

• La molecola di tossina è rilasciata dalla cellula batterica come singola catena polipeptidica.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 52


• La proteina viene inglobata per pinocitosi => il frammento B (binding) può legarsi alla<br />

superficie delle cellule sensibili.<br />

• La tossina ha due ponti di disolfuro, uno dei quali delimita una zona della molecola di circa 10 aminoacidi dei<br />

quali 3 sono residui di arginina => la presenza di arginina rende tale zona particolarmente sensibile all'azione<br />

proteolitica della tripsina che la intacca.<br />

• La successiva riduzione del ponte S-S con gruppi tiolitici (es. glutatione) separa la tossina in due frammenti.<br />

• il frammento A (active) ha l’azione enzimatica di ADP-ribosilazione ed è molto resistente alla digestione,<br />

mentre il B viene degradato<br />

• una sola molecola di A in una cellula può ucciderla in 24 ore, purché ci sia NAD sufficiente per ADP-ribosilare<br />

EF-2<br />

Lo stesso meccanismo d'azione (ADP ribosilazione di EF-2) ce l'ha pseudomonas aeruginosa.<br />

La tossina del colera col suo frammento A invece ha effetto ADP-ribosilante nei confronti di una proteina G che risulta<br />

attivata costitutivamente e determina l'attivazione dell'adenilato ciclasi con produzione di AMPc => efflusso di acqua e<br />

bicarbonato dalle cellule intestinali che determina la diarrea.<br />

Le tossine delle piante<br />

• Le tossine sono proteine e si trovano per lo più nei semi, ma a volte anche nelle foglie<br />

• Sin dall’antichità è nota la tossicità dei semi di Ricinus communis e di Abrus praecatorius.<br />

• Sono stati descritti centinaia di casi di intossicazione umana da semi di ricino, e i semi di Abrus sono stati usati<br />

in India a scopo criminale, per intossicare il bestiame o uomini, introducendo sotto la pelle delle vittime aculei<br />

fatti di un impasto di semi essiccato.<br />

• Alla fine del secolo scorso fu riconosciuta la natura proteica dei veleni di Abrus e di Ricinus e le due proteine<br />

tossiche, denominate abrina e ricina, furono poi largamente studiate da Ehrlich dal punto di vista<br />

immunologico.<br />

• L'olio da spremitura del ricino non è tossico perché non contiene la tossina, è stato impiegato come lubrificante<br />

e come purgante<br />

Struttura delle tossine vegetali<br />

• La ricina e l'abrina sono tossine proteiche molto potenti, letali per l'uomo e per gli animali.<br />

• Attualmente il numero delle proteine tossiche isolate e purificate dalle piante (semi, foglie o radici) è in<br />

continuo aumento e l'interesse per questi veleni dipende dall'aver riconosciuto:<br />

◦ 1. che sono potenti inibitori delle sintesi proteiche,<br />

◦ 2. che alcuni di essi hanno uno specifico effetto citotossico per cellule neoplastiche (la ricina è più potente<br />

sulle cellule tumorali)<br />

◦ 3. che la loro struttura è bicatenaria e comprende un peptide dotato di potere inibitorio sulle sintesi<br />

proteiche (catena A) e un altro dotato di specificità di legame per recettori delle membrane cellulari<br />

(catena B). Le due catene sono legate solo da ponti disolfuro<br />

Tossine vegetali e peptidi inibitori non tossici<br />

• Insieme a proteine vegetali tossiche sono state isolate da alcune piante proteine non tossiche, attive come<br />

inibitori delle sintesi proteiche solo in sistemi acellulari (RIP = ribosome inactivating protein). La mancanza di<br />

tossicità in vivo o su cellule in coltura dipende dall'essere costituite solo dall'inibitore e prive del peptide che<br />

consente l'attacco alla membrana e la penetrazione nelle cellule.<br />

• Lo studio di queste sostanze può consentire di isolare o di ricostituire (per ibridazione molecolare) potenti<br />

agenti antineoplastici con elevato coefficiente terapeutico (rapporto tra dose efficace e dose tossica).<br />

◦ es. attraverso ibridazione con anticorpi monoclonali, fattori di crescita, ormoni, ecc. => si raggiungono le<br />

cellule target, a quel punto la sostanza può agire solo su quelle cellule, inoltre ha grande attività perché si<br />

tratta di un enzima<br />

Bersaglio dell’azione della ricina<br />

La catena A della ricina inattiva specificamente la subunità ribosomiale<br />

60S e l’inattivazione è irreversibile, permane cioè dopo allontanamento<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 53


dell’inibitore.<br />

Azione della ricina A sulla subunità 60S<br />

Agisce elettivamente sulla subunità ribosomiale 60S<br />

inibendone il legame con EF2 (effetto simile alla tossina<br />

difterica).<br />

E’ inibita la GTPasi EF2- ed EF1-dipendente.<br />

E’ bloccata la translocazione dal sito A al sito P.<br />

Non è bloccata la peptidiltransferasi.<br />

Le catene peptidiche nascenti sono bloccate in A<br />

Meccanismo molecolare d’azione della ricina<br />

Rappresentazione schematica del GAGA loop dell’RNA 28S della subunità<br />

60S.<br />

Con l’asterisco è segnata l’adenina 4324 che, per effetto della ricina A, è<br />

staccata dall’RNA, senza rottura della continuità polinucleotidica.<br />

A destra con la barretta è indicato il punto di scissione nucleasica dell’αsarcina,<br />

una tossina fungina.<br />

In conclusione, la ricina A e gli inibitori vegetali hanno azione enzimatica<br />

RNA-N-glicosidasica.<br />

Azione in vivo<br />

La ricina NON PENETRA negli epatociti e provoca necrosi emorragica<br />

epatica in quanto lede le cellule endoteliali dei sinusoidi e le cellule del<br />

Kuppfer.<br />

La ricina è pensata come una possibile sostanza per la guerra biologica.<br />

Modeccina<br />

La modeccina (da Adenia digitata), simile alla ricina nell’effetto sui ribosomi, PENETRA negli epatociti e provoca<br />

arresto delle sintesi proteiche e disaggregazione del reticolo endoplasmatico rugoso in vescicole rotonde. Provoca anche<br />

danno mitocondriale (i mitocondri appaiono rigonfi).<br />

Tossine, lectine e peptidi vegetali inibitori delle sintesi proteiche<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 54


LINKS<br />

http://www.floridata.com/ref/R/rici_com.cfm<br />

http://2bnthewild.com/plants/H171.htm<br />

http://www.ces.ncsu.edu/depts/hort/consumer/poison/Phytoam.htm<br />

http://www.ehso.com/ricin.php<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 55


INVECCHIAMENTO<br />

Aspettativa media di vita umana<br />

• Durata media, o aspettativa media di vita: l’età alla quale il 50% dei nati è sopravvivente<br />

• Durata massima di vita, o longevità massima<br />

L'aspettativa media di vita umana è aumentata in Europa negli ultimi due secoli, e in particolare negli ultimi decenni, a<br />

causa di:<br />

• Diminuzione della mortalità infantile<br />

• Miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie<br />

Tuttavia le curve tendono allo zero quasi allo stesso punto (95-100 anni):<br />

limite massimo della durata di vita?<br />

Mentre l’aspettativa media di vita è influenzata da molti fattori ambientali,<br />

dalle malattie e dagli incidenti traumatici, la durata massima di vita è<br />

indipendente da questi fattori e sembra avere una base esclusivamente<br />

genetica.<br />

La durata massima di vita è diversa da specie a specie ed è costante in ogni<br />

specie.<br />

Curve di sopravvivenza in popolazioni animali in condizioni protette o<br />

in ambiente selvatico<br />

Il “falso” di Alexis Carrel<br />

Sostenne, nel 1912, di aver ottenuto, al Rockefeller Institute di New York, una coltura di cellule di cuore di embrione di<br />

pollo, che si sarebbero replicate senza nessun segno di invecchiamento, fino al 1946 mediante l’aggiunta di “succo<br />

embrionale”.<br />

Ma era una ingenua collaboratrice del Maestro, che, per non deluderlo, aggiungeva, insieme al “succo embrionale”,<br />

cellule fresche.<br />

Tutte le colture cellulare di linea tuttora sopravviventi, come le HeLa (da un carcinoma uterino di Henrietta<br />

Lack) del 1952, derivano da cellule tumorali.<br />

Senescenza e immortalizzazione cellulare<br />

Le cellule somatiche in replicazione muoiono e vengono sostituite da altre. Ma ciò non serve ad impedire<br />

l’invecchiamento dell’organismo.<br />

Le cellule in coltura vanno incontro a senescenza a meno che non siano “immortalizzate” dalla trasformazione<br />

neoplastica (dimostrazione di Leonard Hayflick nel 1960).<br />

Fenomeno di Hayflick<br />

Le cellule nel tempo perdono la loro capacità di dividersi, a meno che non subiscano una trasformazione tumorale.<br />

Questo limite della capacità di replicazione cellulare (limite o fenomeno di Hayflick) può essere dimostrato sui<br />

fibroblasti coltivati in vitro.<br />

I fibroblasti si dividono solo fino a quando sono presenti in densità tale da entrare in contatto l’uno con l’altro,<br />

fenomeno chiamato inibizione da contatto. Se diluiti, i fibroblasti si dividono nuovamente fino a raggiungere la densità<br />

massima. Questo processo si può ripetere.<br />

Dopo circa 50 mitosi cellulari, i fibroblasti non si dividono più indipendentemente dalla loro densità. Si pensa che il<br />

limite di Hayflick rifletta i processi che si verificano in vivo; i fibroblasti prelevati da persone anziane tendono a<br />

dividersi meno volte.<br />

Alcuni studi hanno dimostrato che la perdita della capacità replicativa non dipende dal tempo totale di coltura delle<br />

cellule (età cronologica), ma dal numero delle divisioni (età biologica).<br />

Quando le cellule si dividono così tante volte da non potersi dividere ulteriormente, aumentano di volume e<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 56


sopravvivono per poco tempo, per poi andare gradualmente incontro a morte.<br />

Tali cellule differiscono nella morfologia e nella funzione dalle cellule giovani che sono ancora in grado di dividersi e<br />

dalle cellule la cui divisione è stata arrestata mediante manipolazione sperimentale.<br />

Limite della replicazione cellulare e malattie genetiche con accorciamento della durata di vita<br />

Basi biologiche della senescenza replicativa: i telomeri<br />

I telomeri sono brevi sequenze di DNA non codificante TTAGGG ripetute in tandem migliaia di volte alle estremità dei<br />

cromosomi eucariotici.<br />

Servono come punti di ancoraggio lungo i quali i cromosomi si muovono durante la telofase della meiosi.<br />

Hanno la funzione di impedire la fusione tra le estremità dei cromosomi, e quindi sono fondamentali per il corretto<br />

appaiamento meiotico e per la segregazione dei cromosomi durante la mitosi.<br />

I telomeri si accorciano irreversibilmente ad ogni mitosi.<br />

Quando i telomeri diventano troppo corti, la cellula non può più dividersi<br />

Accorciamento dei telomeri<br />

Nella divisione cellulare le DNA-polimerasi replicano il DNA in direzione 5'=>3' utilizzando come innesco brevi<br />

sequenze di RNA.<br />

Mentre il primo filamento di DNA è copiato interamente, il frammento "in ritardo" lo è incompletamente a causa della<br />

rimozione dell'innesco di RNA.<br />

Quindi, ad ogni divisione cellulare, viene perduto un frammento telomerico di 50-200 coppie di basi e, quando<br />

l'accorciamento dei telomeri ha raggiunto un check-point critico per l'attivazione di geni controllori della divisione<br />

cellulare quali p53 e rb, la replicazione si arresta.<br />

Cellule di organismi senescenti mostrano telomeri più corti rispetto a cellule prelevate da individui giovani.<br />

Il progressivo accorciamento dei telomeri sarebbe l'orologio biologico, o il meccanismo conta-mitosi previsto dalle<br />

ricerche di Hayflick.<br />

Nella replicazione terminale agisce un enzima, la telomerasi, costituito da due componenti di RNA, una con funzione<br />

di stampo, l'altra con funzione catalitica, legate a due proteine, TRFI e<br />

TRF2, destinate a permetterne il legame al DNA.<br />

Questo complesso ribonucleoproteico replica l'estremità telomerica<br />

del filamento di DNA incompletamente copiato comportandosi come<br />

una trascrittasi inversa, impedendo così l'accorciamento del telomero.<br />

La senescenza replicativa delle cellule eucariotiche normali dipende<br />

dal fatto che in esse la telomerasi non è espressa, o lo è a livelli molto<br />

bassi (ad esempio, nei linfociti).<br />

Che questo sia un meccanismo fondamentale della senescenza<br />

replicativa è dimostrato dal fatto che recentemente è stato possibile<br />

ottenere cellule umane immortalizzate mediante la transfezione di<br />

cellule normali con i geni codificanti per il frammento catalitico<br />

dell'RNA della telomerasi umana e con quelli per le proteine del<br />

complesso ribonucleoproteico.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 57


La telomerasi nei tumori<br />

La telomerasi è attiva anche in almeno il 90% delle cellule di tumori umani e animali.<br />

Tale attività, che comporta la inattivazione di importanti meccanismi di controllo del ciclo cellulare quali la p53, è<br />

responsabile della "immortalizzazione" dei cloni neoplastici.<br />

Nella maggior parte dei tumori i telomeri non sono più lunghi di quelli delle cellule normali, ma ciò dipende dal fatto<br />

che la riattivazione della telomerasi non è un fenomeno iniziale della cancerogenesi, ma avviene dopo un certo numero<br />

di cicli mutazionali.<br />

Dubbi che l’accorciamento dei telomeri sia alla base della senescenza<br />

I mammiferi più piccoli e a vita più breve come il topo e il ratto non mostrano l'accorciamento dei telomeri come<br />

meccanismo conta-mitosi per arrestare la replicazione cellulare, arresto che in coltura avviene dopo 10-15 divisioni.<br />

I loro telomeri sono 5-10 volte più lunghi di quelli dei cromosomi umani e nelle loro cellule la telomerasi è<br />

permanentemente attiva.<br />

Si può ipotizzare che la senescenza replicativa si sia realizzata nel corso dell'evoluzione come un meccanismo atto a<br />

prevenire l'accumulo di mutazioni responsabili di trasformazione maligna delle cellule piuttosto che come meccanismo<br />

di invecchiamento .<br />

GENETICA DELL'INVECCHIAMENTO<br />

La ovvia considerazione che l'invecchiamento e la morte degli individui sono condizioni necessarie per la<br />

sopravvivenza della specie è alla base di un gruppo di teorie evoluzionistiche.<br />

La pressione evoluzionistica che elimina gli individui portatori di geni aventi effetti dannosi che si manifestano nel<br />

periodo pre-riproduttivo della vita, viene meno se questi effetti si verificano solo nel periodo post-riproduttivo.<br />

La senescenza sarebbe la conseguenza della perdita della forza della selezione naturale: "gli individui invecchiano nel<br />

periodo post-riproduttivo della vita perché non c'è nessuno motivo che non lo facciano” (Rose, 1991).<br />

[Michael Rose è un biologo evoluzionista dell'Istituto di Scienze biologiche dell'università di Irvine (California) che ha<br />

impostato ricerche molto personali]<br />

Teoria della pleiotropia antagonista, proposta da Williams, che postula l'esistenza di meccanismi genetici che causano<br />

caratteristiche favorevoli nella fase pre-riproduttiva della vita, mentre inducono effetti dannosi dopo la riproduzione.<br />

Teoria del disposable soma ("soma usa e getta"), proposta da Kirkwood nel 1990, secondo la quale la selezione<br />

naturale privilegia la riproduzione a danno della conservazione indefinita del soma, in quanto quest'ultima sarebbe<br />

troppo costosa in termini di risorse energetiche: una riprova è offerta dalla abbreviazione del periodo fertile e dal<br />

dimezzamento dell'aspettativa di vita che si osserva nei "supertopi" transgenici portatori di più extra-copie del gene dell'<br />

ormone della crescita, nei quali le risorse sono appunto indirizzate all'aumento della massa corporea, a spese della<br />

fertilità e della protezione dallo stress ossidativo.<br />

Gerontogéni e longevity assurance genes<br />

Esistono geni la cui funzione sia quella di indurre i molteplici fenomeni dell’invecchiamento?<br />

Come modello di invecchiamento A. Comfort (Neuropsychiatry Institute, University of California, Los Angeles)<br />

propone quello della gerarchia degli orologi biologici: l'invecchiamento non sarebbe causato da un singolo sistema<br />

genico regolatore, ma dalla interazione tra numerosi processi temporizzati indipendentemente uno dall'altro.<br />

Vi sarebbe un "master clock" e una serie di "peripheral clocks", alcuni dei quali regolati dal master, altri indipendenti,<br />

ma ognuno dei quali capace di indurre deterioramento e morte.<br />

I geni dell'invecchiamento<br />

Un ceppo di Drosophila melanogaster (ceppo La) sopravvivente il doppio del normale è stato ottenuto da Rose nel 1987<br />

mediante opportuni incroci.<br />

In questo ceppo con eccezionale longevità si osserva una maggiore espressione dei geni codificanti per enzimi protettivi<br />

nei riguardi dello stress ossidativo, quali la superossidodismutasi (SOD) e la catalasi.<br />

Questi geni sono localizzati sul cromosoma 3 dell'insetto e inibiti da geni mappati sul cromosoma 2, che si potrebbero<br />

pertanto considerare come possibili "geni dell'invecchiamento".<br />

Nel 1998 Benzer (California Institute of Technology, Pasadena, California) ha clonato e sequenziato in un ceppo<br />

mutante di Drosophila con longevità aumentata del 40% un gene, mappato sul cromosoma 3, poi denominato mth (da<br />

Methuselah), codificante per una proteina trans-membrana che induce resistenza allo stress ossidativo.<br />

La transfezione in embrioni di Drosophila di geni soprannumerari della SOD ha permesso di ottenere ceppi iperlongevi.<br />

Emerge l'idea che la determinazione genetica della durata di vita possa essere correlata con i meccanismi di difesa dallo<br />

stress ossidativo.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 58


Geni in Caenorhabditis elegans<br />

Con indagini di genetica molecolare sono stati identificati i geni responsabili della apoptosi che colpisce 131 cellule di<br />

questo organismo nel passaggio dalla fase larvale a quella adulta.<br />

Si tratta dei geni ced-3, omologo del gene umano per la caspasi-l, e ced-4, ai quali si contrappone come gene<br />

antiapoptotico il ced-9, omologo del gene umano bcl-2, uno dei più studiati tra gli oncogeni.<br />

Questi geni regolatori della morte cellulare programmata non hanno però, in Caenorhabditis, un ruolo dimostrato nella<br />

durata di vita.<br />

Ricerche successive hanno invece consentito di isolare e donare due sistemi di geni implicati nella longevità di questo<br />

nematode:<br />

• iI primo di questi geni, codificante per una fosfatidil-inositolo-3-chinasi, è denominato Age-1.<br />

◦ Le mutazioni inattivanti di questo gene inducono un cospicuo allungamento, fino a due volte, della durata<br />

di vita di Caenorhabditis.<br />

• In seguito sono stati isolati diversi geni della famiglia daf, tra i quali il più interessante è daf-2, le cui<br />

mutazioni inducono un allungamento della durata di vita di 2-3 volte, mentre daf-23 si è rivelato una variante<br />

di Age-1<br />

• Una seconda famiglia di geni controllori della durata<br />

di vita di Caenorhabditis è quella dei geni clk (da<br />

clock), che controllano la temporizzazione di<br />

fenomeni quali le divisioni cellulari durante lo<br />

sviluppo embrionaIe, l'alimentazione e la<br />

locomozione<br />

Mentre le mutazioni inattivanti di clk-1, clk-2 e clk-3<br />

determinano solo un modesto aumento della durata di vita, le<br />

mutazioni associate di Age-1 e clk-1 la allungano anche di 6-<br />

7 volte.<br />

Comune a tutti i mutanti iperlongevi di Caenorhabditis<br />

elegans è l'aumentata resistenza allo stress ossidativo, come<br />

nei ceppi iperlongevi di DrosophiIa<br />

Geni della longevità in organismi superiori<br />

Nel 1999 è stata dimostrata l'esistenza nel topo di un gene che<br />

sembra influire sulla sua durata di vita.<br />

È stato infatti identificato un gene, p66shC, facente parte di<br />

una via di trasduzione di segnali attivata da radicali<br />

dell'ossigeno e implicata nell'induzione di apoptosi.<br />

Topi eterozigoti p66shC+/- mostravano un modesto aumento<br />

della sopravvivenza, gli omozigoti p66shC-/- l'aumento della<br />

durata di vita era del 30%.<br />

A tutt'oggi questo è l'unico modello di un possibile "gene<br />

dell'invecchiamento" identificato nei mammiferi, e anche in<br />

questo caso si tratta di un gene implicato in qualche modo<br />

nella resistenza allo stress ossidativo.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 59


Apoptosi e invecchiamento<br />

Sembra doversi escludere che l'apoptosi sia un meccanismo generale di senescenza operante nei sistemi di cellule<br />

intermitotiche: fibroblasti e linfociti senescenti vanno meno facilmente incontro ad apoptosi di quelli ottenuti da<br />

individui giovani, i primi per maggiore espressione di bcl-2 e i secondi per minore espressione di Fas.<br />

È stata anzi ripetutamente avanzata da vari autori l'idea che sia proprio la minore efficienza del processo apoptotico ad<br />

essere un meccanismo di invecchiamento nei sistemi di cellule intermitotiche, in quanto causa dell'accumulo nei tessuti<br />

di cellule danneggiate o comunque meno funzionali, che sarebbero state eliminate nel giovane.<br />

Le ricerche sul sistema immunitario degli ultracentenari suggeriscono l'idea che essi siano tali per essere le loro cellule<br />

più soggette all'apoptosi.<br />

Sindrome di Werner<br />

Qualche entusiasmo è derivato dal recente isolamento del gene Werner, le cui mutazioni determinano l’omonima<br />

malattia recessiva, una tra le malattie ereditarie dell'uomo causa di invecchiamento accelerato.<br />

Questa sindrome è caratterizzata da esordio intorno ai 20 anni, con atrofia cutanea, incanutimento dei capelli, cataratta,<br />

osteoporosi, diabete, aterosclerosi accelerata, riduzione della fertilità, frequente insorgenza di neoplasie, tutti fenomeni<br />

caratteristici dell'invecchiamento, fino al decesso intorno alla quarta decade.<br />

II gene Werner, mappato sul braccio corto del cromosoma 8, codifica per una proteina di 1432 aminoacidi appartenente<br />

alla famiglia delle elicasi, enzimi deputati allo srotolamento delle eliche del DNA e quindi essenziali per la sua<br />

replicazione e riparazione.<br />

Tuttavia, il fenotipo Werner mostra numerose altre anomalie che non sono caratteristiche dell'invecchiamento<br />

fisiologico, e per questo e per vari altri motivi si ritiene oggi che questa malattia, come anche la progeria e le tante<br />

sindromi progeroidi dell'uomo aventi un fondamento genetico, non possa in alcun modo essere considerata come un<br />

valido modello di invecchiamento.<br />

Speranze di longevità<br />

Restano le speranze, o forse le illusioni, di coloro i quali pensano che i futuri progressi della genetica molecolare<br />

possano portare all'identificazione nel genoma umano di geni simili al p66Sht del topo, e che in un futuro ancora più<br />

lontano la manipolazione di geni di questo tipo possa permettere a tutti gli individui il raggiungimento dei limiti<br />

massimi della longevità umana, piuttosto arbitrariamente fissati a 120 anni (in realtà, il primato al riguardo è quello di<br />

una donna francese deceduta a 122 anni).<br />

È certamente vero che i progressi della biologia e della medicina, accanto a quelli dell'economia e dell'organizzazione<br />

sociale delle popolazioni, potrebbero portare in un futuro ad allungare, forse anche di una decina di anni, l'aspettativa<br />

media di vita dell'uomo.<br />

È stato calcolato che se si potessero eliminare tutte le malattie dell'apparato cardio-vascolare, oggi ancora la più comune<br />

causa di morte nei paesi occidentali, l'aspettativa media di vita aumenterebbe di 7 anni, che diventerebbero 9 se si<br />

potessero prevenire o guarire tutti i tumori maligni.<br />

Tutto ciò è certamente possibile, e potrebbe portare la maggioranza degli individui al limite massimo della longevità<br />

della nostra specie, che le curve delle sopravvivenze indicano intorno ai 90-95 anni.<br />

Ma questo limite non ne verrebbe sostanzialmente modificato. Ciò sarebbe possibile solo con una profonda<br />

manipolazione dei supposti geni dell'invecchiamento umano.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 60


EDEMA<br />

Aumento di liquido negli spazi interstiziali.<br />

Regolazione della distribuzione dei liquidi extracellulari<br />

In un uomo di 70 Kg il liquido interstiziale è di circa 12 litri.<br />

• Circa il 99% dell’acqua interstiziale è trattenuta dalle<br />

molecole di proteoglicani del connettivo = liquido<br />

non mobile<br />

• Solo l’1% circa può spostarsi liberamente = liquido<br />

mobile<br />

C’è un equilibrio dinamico tra liquido non mobile e mobile e<br />

tra liquido interstiziale e compartimenti intravasale e<br />

intracellulare.<br />

Perdita eccessiva di liquidi si può avere per diarree profuse,<br />

vomito, diuresi osmotica elevata, insufficiente apporto di<br />

liquidi.<br />

Si può giungere alla disidratazione che può essere:<br />

− ipertonica (naufraghi senza acqua potabile, coma<br />

diabetico iperosmolare, diabete insipido)<br />

− isotonica (perdita di elettroliti proporzionale a quella dell’acqua)<br />

− ipotonica (se la perdita di NaCl eccede quella dell’acqua)<br />

Aumento eccessivo di assunzione di liquido non accompagnato da adeguata assunzione di NaCl provoca una<br />

iperidratazione ipotonica (intossicazione da acqua). Una eccessiva introduzione di NaCl o di bicarbonato provoca una<br />

iperidratazione ipertonica.<br />

Si ha iperidratazione isotonica quando l’aumento di liquido è accompagnato da un pari aumento di sodio, come<br />

nell’EDEMA.<br />

Il gel della sostanza fondamentale del connettivo non è idratato al massimo, e può contenere alcuni litri di acqua in più<br />

del normale e anche molto Na+.<br />

Se viene superata la capacità di imbibizione, la pressione idrostatica interstiziale, prima negativa, supera la pressione<br />

atmosferica e quindi aumenta l’acqua libera con pressione idrostatica positiva => EDEMA<br />

Contenuto proteico del liquido interstiziale<br />

• Plasma sanguigno 7-8 g/dl con un rapporto albumina/globuline = 1.5 e con una pressione colloidosmotica di 28<br />

mm Hg.<br />

• Il 75-80% della pressione colloidosmotica del plasma è dato dall’albumina (maggior concentrazione molare +<br />

legame di cationi)<br />

• Il liquido interstiziale ha un volume 4 volte quello ematico e contiene circa 100 g di proteine<br />

Dinamica del liquido interstiziale<br />

La dinamica dei fluidi tra il compartimento vascolare ed interstiziale è regolato dalla legge di Starling.<br />

All’interno del vaso c’è una pressione positiva di filtrazione che determina la produzione del liquido interstiziale<br />

(drenato dal sistema linfatico).<br />

Mentre la concentrazione proteica all’interno del vaso genera una pressione oncotica (colloidosmotica) che determina il<br />

riassorbimento.<br />

L'edema<br />

Dal greco = tumefazione, consiste nell’aumento di volume di una parte corporea o di un tessuto per aumento del<br />

contenuto idrico nel compartimento interstiziale.<br />

L’edema può essere di natura trasudatizia (TRASUDATO) o di natura infiammatoria (ESSUDATO) .<br />

Il liquido può aumentare anche in cavità sierose, nei ventricoli cerebrali, negli spazi subaracnoidei.<br />

Oppure può essere generalizzato.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 61


Caratteristiche del trasudato<br />

• Liquido limpido citrino, come plasma sanguigno diluito<br />

• A differenza degli essudati ha pH alcalino<br />

• Nessuna o poche cellule<br />

• Nessuna tendenza alla coagulazione<br />

• Contenuto proteico TRASUDATO < 1 g/dl<br />

• Contenuto proteico ESSUDATO 3-3.5 g/dl<br />

Nomi diversi a seconda delle sedi:<br />

• IDROPE nelle cavità sierose<br />

• IDROTORACE nel cavo pleurico<br />

• ASCITE nel cavo peritoneale<br />

• IDROCELE nella vaginale del testicolo<br />

• IDROCEFALO nei ventricoli cerebrali<br />

• ANASARCA quando esteso a tutto il corpo<br />

Localizzazione:<br />

• Può localizzarsi in qualsiasi tessuto, tranne dove il connettivo e più compatto (palmo della mano e del piede)<br />

• Per gravità tende a spostarsi nelle parti declivi<br />

• E’ improntabile (toccandolo con un dito per qualche tempo resta l'impronta), a differenza del mixedema che,<br />

poiché è dato da un aumento dei proteoglicani, è duro<br />

Conseguenze locali:<br />

• Se l’edema dura a lungo aumenta il connettivo fibrillare (edemi linfatici)<br />

• Nei tessuti edematosi è rallentata la diffusione dei nutrienti<br />

• La maggior pressione idrostatica interstiziale favorisce la stasi sanguigna<br />

• I fenomeni infiammatori sono più torpidi<br />

• La guarigione delle ferite è più lenta<br />

• Se l'edema perdura si ha anche stasi venosa<br />

Fattori che determinano la formazione dell’edema<br />

• Aumento della pressione venosa<br />

• Diminuzione del deflusso linfatico<br />

• Aumento della pressione colloidosmotica interstiziale<br />

◦ in realtà è più una conseguenza che una causa, solo nella infiammazione quando c'è aumento di flusso<br />

ematico in tutti i compartimenti articolari si ha edema, però essudatizio<br />

• Diminuzione della pressione colloidosmotica intravasale<br />

Prova di Rivalta: si fa cadere una goccia di acido acetico nel prelievo dell'edema => se si forma una nubecola è essudato<br />

(perché le proteine si dispongono attorno all'acido precipitando).<br />

CAUSE CHE DETERMINANO VARIAZIONI DELLE PRESSIONI E CONSEGUENTE EDEMA<br />

Aumento della pressione idrostatica<br />

− dilatazione arteriolare<br />

− infiammazione<br />

− calore<br />

− alterazioni neuroumorali<br />

− aumento della pressione venosa (anche ostruzione e compressione)<br />

− trombosi venosa<br />

− scompenso gastrico congestizio<br />

− cirrosi (ascite)<br />

− inattività posturale (ad es. essere rimasti a lungo in piedi o a letto)<br />

− compressione esterna (per es. massa di diversa natura)<br />

− ipervolemia<br />

− ritenzione di sodio (ad es. diminuita funzionalità renale)<br />

Diminuzione della pressione oncotica<br />

− ipoproteinemia<br />

− sindrome nefrosica<br />

− cirrosi<br />

− gastroenteropatia con perdita di proteine<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 62


− malnutrizione<br />

− aumentata permeabilità capillare<br />

− infiammazione<br />

− ustione<br />

− sindrome da difficoltà respiratoria dell'adulto<br />

− ostruzione linfatica<br />

− cancro<br />

− linfedema posturale<br />

− infiammazione<br />

− postchirurgica<br />

− in seguito a irradiazione<br />

Margine di sicurezza contro l'edema<br />

• Pressione negativa interstiziale: - 6 mm Hg<br />

• Maggior pressione negativa interstiziale per drenaggio linfatico -7 mm Hg<br />

• Diminuzione pressione oncotica interstiziale per drenaggio linfatico delle proteine -4 mm Hg<br />

• TOTALE -17 mm Hg<br />

Edemi localizzati<br />

• Edemi da ostruzione venosa<br />

• Edema linfatico: da ostruzione linfatica di natura neoplastica o parassitaria (Wuchereria bancrofti)<br />

Edema polmonare<br />

• Organo con doppia circolazione<br />

• Pressione idrostatica media del sangue particolarmente bassa<br />

• Permeabilità del microcircolo polmonare maggiore che in altri distretti<br />

• Produzione deflusso della linfa particolarmente efficiente<br />

• Ostacolo al passaggio di liquido negli alveoli per la presenza di surfactanti<br />

• Nella stasi cronica polmonare il basso valore della pressione idrostatica capillare (7 mm Hg) e l’efficiente<br />

drenaggio linfatico (che inoltre aumenta di efficienza nella stasi cronica) tendono a limitare l’edema alveolare.<br />

• Il margine di sicurezza contro l’edema che negli altri tessuti è 17 mm Hg, nel polmone è di 23 mm Hg e nella<br />

stasi cronica può arrivare a 35-40 mm Hg<br />

• Ma quando viene superato questo valore si ha un trasudato roseo schiumoso negli alveoli polmonari<br />

• Cause<br />

◦ Cause idrodinamiche: ipertensione nel piccolo circolo (stenosi mitralica o insufficienza del ventricolo<br />

sinistro del cuore)<br />

◦ Ipossiemie: esposizione a grandi altezze<br />

◦ Overdose di eroina<br />

◦ Azione tossica diretta sul tessuto polmonare: fosgene, cloro, vapori di acido nitrico, anidride solforosa<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 63


EDEMA GENERALIZZATI<br />

Edema cardiaco<br />

Se c'è insufficienza cardiaca per diminuzione della forza contrattile si ha una diminuzione della gittata cardiaca e la<br />

ipoperfusione renale porta alla liberazione di renina dalle arteriole afferenti dell'apparato iuxtaglomerulare =><br />

attivazione dell'angiotensinogeno a angiotensina I (decapeptide) => enzima ACE => angiotensina II (octapeptide) e III<br />

(esapeptide) =><br />

effetti dell'angiotensina<br />

− vasocrostrizione di tutte le arteriole<br />

− aumento del riassorbimento di acqua e soluti nel tubulo prossimale<br />

− aumento della secrezione di aldosterone => aumento del riassorbimento di acqua e NaCl nel tubulo distale<br />

(accompagnato da perdita di potassio)<br />

− aumento della secrezione di ADH => aumento del riassorbimento di acqua nel tubulo distale e nel dotto<br />

collettore; stimolo della sete<br />

=> aumento di volume plasmatico (solo liquido) => aumento di filtrazione => essudato => edema<br />

L'edema comprime il microcircolo venoso e impedisce il riassorbimento contribuendo così all'insufficienza cardiaca.<br />

Un eccesso di aldosterone porta ad una ritenzione eccessiva di sodio e acqua, ad un aumento del volume di plasma e<br />

all’ipertensione. Nelle malattie renali c’è aldosteronismo secondario alla maggior produzione di angiotensina.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 64


L'edema da scompenso cardiaco si localizza:<br />

− ipertensione polmonare (se c'è scompenso sinistro)<br />

− effusione pleurale<br />

− congestione polmonare cronica<br />

− ascite<br />

− edema periferico<br />

− congestione splenica cronica<br />

− dilatazione cardiaca<br />

Sindrome nefrosica<br />

Alterazioni del filtro glomerulare e del riassorbimento<br />

glomerulare.<br />

7-8 g di proteine totali plasmatiche di cui 70% è albumina.<br />

Se c'è perdita di proteine plasmatiche si ha abbassamento<br />

della pressione colloidosmotica plasmatica.<br />

• Proteinuria massiva con perdita giornaliera di più<br />

di 3.5 g di proteine<br />

• Ipoalbuminemia con concentrazione di albumina<br />

plasmatica < 3 g/dl<br />

• EDEMA GENERALIZZATO<br />

• Iperlipidemia e lipiduria<br />

• Facilità alle infezioni da stafilococchi e da<br />

pneumococchi<br />

Per insufficiente apporto dietetico, per steatosi epatica, per<br />

perdita di proteine (ad es. per ustione).<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 65


EMOSTASI<br />

Emostasi = è materia di studio del campo della fisiologia<br />

Trombosi, embolia ed emorragia = aspetti patologici dell'emostasi<br />

L’EMOSTASI NORMALE è il processo attraverso il quale:<br />

• è mantenuta la fluidità del sangue nel sistema vascolare<br />

• è consentita, quando e dove necessario (es. ferite, rotture dei vasi sanguigni), la rapida formazione di un solido<br />

tappo (tappo emostatico) per tamponare l’emorragia (chiusura della parete basale del vaso)<br />

Se la patologia riguarda la regolazione della fluidità:<br />

− si formano tappi fuori luogo e fuori tempo = trombosi => se si stacca un pezzo = embolia<br />

− al contrario potrebbe invece esserci impossibilità di creare un tappo emostatico<br />

L'emostasi è affidata a tre fattori:<br />

1) parete vascolare<br />

2) piastrine<br />

3) fattori solubili del sistema della coagulazione<br />

Emostasi normale (molto in breve)<br />

Le tre tappe dell'emostasi in una piccola arteria recisa:<br />

1) Breve fase di vasocostrizione finalizzata alla riduzione tempestiva ma momentanea della perdita di sangue<br />

• dovuto a meccanismi neurogeni riflessi e forse accentuato da fattori umorali come l’endotelina, un potente<br />

vasocostrittore di origine endoteliale. Tale contrazione è finalizzata alla riduzione tempestiva ma<br />

momentanea della perdita di sangue<br />

2) Emostasi primaria: formazione di un tappo di piastrine ad arginare la lesione: ciò avviene entro pochi minuti<br />

dalla lesione<br />

• La lesione endoteliale espone il tessuto connettivo subendoteliale altamente trombogenico, al quale le<br />

piastrine aderiscono attivandosi. Le piastrine attivate, che hanno cambiato forma, liberano ADP,<br />

trombossano A2 e serotonina. Sono così reclutate altre piastrine, che si aggregano alle prime e formano il<br />

tappo piastrinico: ciò avviene entro pochi minuti dalla lesione.<br />

• il legame fra le piastrine e di queste col connettivo è mediato da molecole di adesione => difetti genetici<br />

possono rendere impossibile o inefficiente il processo<br />

3) Emostasi secondaria: nella sede della lesione, non più solo le piastrine, ma anche la fibrina. La fibrina,<br />

insieme alle piastrine, forma una massa solida (tappo emostatico) per tamponare stabilmente l’emorragia<br />

• Il rilascio di fattori tissutali nella sede della lesione attiva la sequenza della coagulazione del plasma, che<br />

culmina nella formazione della trombina (dalla protrombina). La trombina converte il fibrinogeno in<br />

fibrina, che cinge e avvolge le piastrine come un cemento. Tutto ciò richiede tempo (alcuni minuti).<br />

L'aggregazione piastrinica - E' l'insieme di:<br />

• adesione nei punti di lesione al connettivo del subendotelio (pseudopodo, distensione)<br />

◦ vWF (von Willebrand Factor) = fattore plasmatico sintetizzato dall'endotelio e dai megacariociti in grado<br />

di legare da una parte il connettivo subendoteliale in caso questo venga esposto in seguito ad una lesione,<br />

dall'altra le piastrine, consentendo di fatto l'adesione delle piastrine al connettivo subendoteliale. Funge<br />

inoltre da carrier per il fattore VIII della coagulazione.<br />

◦ se il vWF è mancante => malattia di von Willebrand<br />

◦ se manca il recettore piastrinico per vWF (GpIb) => sindrome di Bernard-Souier<br />

• reazione di liberazione, cioè secrezione di sostanze contenute nei granuli (come ADP) e sintesi e liberazione<br />

di altre (trombossano). [Complesso fosfolipidico piastrinico: viene esposto sulla superficie piastrinica ed è un<br />

sito dove in presenza di ioni Ca++ si legano i fattori della coagulazione nella via intrinseca]<br />

• “aggregazione”, cioè adesione piastrina-piastrina (vWF). Oltre all’ADP e al trombossano, con la formazione<br />

della trombina (per attivazione della cascata coagulativa) si aggiunge un ulteriore potente stimolo<br />

all’aggregazione, che porta alla contrazione piastrinica e alla metamorfosi viscosa. La fibrina è il cemento dei<br />

mattoni piastrinici (è necessaria per l'aggregazione). Lo stesso recettore sulle piastrine può essere legato da<br />

fibrinogeno e da fibrina: quest'ultima richiede un certo tempo per essere attivata => nel frattempo svolge la sua<br />

funzione il fibrinogeno<br />

◦ per "aggregazione piastrinica" si può intendere tutto questo insieme di fenomeni oppure solo quest'ultimo<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 66


(attenzione: questo può portare a confusione)<br />

La liberazione di ADP determina una modificazione conformazionale del recettore per il fibrinogeno tale per cui si<br />

attiva e può stabilirsi il legame.<br />

Sistema della coagulazione<br />

Nella cascata della coagulazione è importante sapere che<br />

esistono due vie di attivazione:<br />

• Via estrinseca, avviata da un fattore tissutale liberato<br />

dai tessuti lesi, che attiva il fattore VII (VII => VIIa)<br />

• Via intrinseca, avviata dal contatto con superfici<br />

estranee, che attiva il fattore di Hageman (XII => XIIa)<br />

◦ XIIa converte il fattore XI in XIa<br />

• N.B.: le due vie convergono nell’attivazione del fattore<br />

X<br />

• Via comune: Xa + Va + fosfolipidi promuovono la<br />

conversione protrombina => trombina. La trombina, a<br />

sua volta, promuove la conversione fibrinogeno =><br />

FIBRINA.<br />

Ogni Fattore è substrato del Fattore attivato che lo precede e,<br />

quando a sua volta attivato, diventa enzima attivatore del<br />

Fattore che lo segue.<br />

N.B.: importanza del “supporto” fosfolipidico esposto da<br />

piastrine attivate su cui si attivano i fattori e degli ioni Ca++<br />

Tappe del processo emostatico normale<br />

A)<br />

adesione delle piastrine al subendotelio<br />

degranulazione = rilascio di sostanze dalle piastrine<br />

B)<br />

le piastrine hanno aderito al connettivo e anche tra loro<br />

le piastrine assumono un aspetto più globoso<br />

C)<br />

la trombina ha agito sul fibrinogeno trasformandolo in fibrina e questa ha cinto le piastrine<br />

D)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 67


Il tempo di coagulazione è molto legato all'entità del fenomeno e alla possibilità di risolvere.<br />

Rilascio di t-PA = attivatore tissutale del plasminogeno. Il plasminogeno è la molecola da cui si forma la plasmina, la<br />

più importante molecola anticoagulante del nostro organismo, è importantissima perché accanto al processo emostatico<br />

(piastrine, fibrina, ecc.) ci sono le cellule endoteliali che producono un anticoagulante: il processo emostatico avviene<br />

localmente (e non in tutto il circolo!), per cui l'endotelio sano provvede immediatamente a secernere sostanze<br />

anticoagulanti per evitare che si propaghi.<br />

Il tappo emostatico secondario è fatto da piastrine e fibrina, in realtà non è infrequente trovare qualche globulo rosso<br />

imprigionato. A livello fisiologico è di scarsa importanza, ma a livello patologico è importante perché ci sono<br />

condizioni patologiche in cui l'elemento globulo rosso è addirittura superiore a quello piastrina.<br />

Anticoagulanti:<br />

− antitrombine<br />

− proteine C ed S<br />

− sistema plasminogeno-plasmina = la plasmina una volta attivata distrugge la fibrina (fibrinolisi)<br />

<strong>PATOLOGIA</strong> DELL'EMOSTASI<br />

Trombosi<br />

Tre fattori principali sono causa di trombosi:<br />

• LESIONI ENDOTELIALI<br />

• ALTERAZIONI DEL FLUSSO SANGUIGNO (turbolenza, stasi)<br />

• IPERCOAGULABILITA’ DEL SANGUE<br />

Questa è la “triade di Virchow”. In realtà in nessuno degli scritti di Virchow si trova menzione di una “triade”, sebbene<br />

Virchow abbia discusso ciascuno di questi fattori in una lezione del 1845 (aveva 23 anni). Il manoscritto è stato<br />

ritrovato nel 1966.<br />

Lesioni endoteliali<br />

Il trombo si forma soprattutto su placche aterosclerotiche:<br />

− placche fissurate (75%), placche ulcerate (25%)<br />

− La lesione endoteliale è fortemente trombogena. Sempre.<br />

Una conseguenza clinica grave ed esemplare è l’infarto del miocardio:<br />

− infarto = area di necrosi ischemica<br />

Danno dell’endotelio => esposizione collagene sottoendoteliale => adesione piastrinica<br />

• Soprattutto nel cuore e nelle arterie:<br />

◦ su placche aterosclerotiche: placche fissurate (75%), placche ulcerate (25%)<br />

◦ su valvole infiammate<br />

◦ su protesi valvolari (devono essere costituite da biomateriali non trombogenici)<br />

◦ nelle infezioni miocardiche<br />

◦ anche per danni minori, come quello da fumo di tabacco (monossido di carbonio, nicotina)<br />

• La lesione endoteliale è fortemente trombogena. Sempre.<br />

Alterazioni del flusso<br />

• La stasi consente alle piastrine di giungere a contatto con l’endotelio. La lentezza del flusso impedisce la<br />

diluizione dei fattori attivi della coagulazione.<br />

◦ aumenta la concentrazione di fattori attivati della coagulazione e ostacola l’afflusso di inibitori della<br />

coagulazione<br />

◦ Si verifica stasi:<br />

▪ in vene molto varicose<br />

▪ in cuori infartuati a contrazione ridotta (anche microstasi: zone dove il sangue non si muove)<br />

▪ in zone cardiache particolari in seguito a difetti valvolari<br />

• La turbolenza del flusso può causare un trauma fisico alle cellule endoteliali e, con la perdita del flusso<br />

laminare, porta le piastrine in contatto “forzato” con l’endotelio<br />

◦ causa zone di stasi localizzata:<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 68


▪ distrugge la laminarità del flusso e spinge e costringe le piastrine al contatto con l’endotelio<br />

▪ favorisce il danno endoteliale<br />

◦ Si verifica turbolenza:<br />

▪ in arterie con placche<br />

▪ in arterie aneurismatiche<br />

− Il flusso turbolento dà trombi arteriosi<br />

− Il flusso rallentato (stasi) dà trombi venosi e cardiaci<br />

Ipercoagulabilità<br />

• Primitiva:<br />

◦ per difetti genetici (ad esempio: deficienza ereditaria di anticoagulanti come proteina S o antitrombina III.<br />

Difetti rari ma importanti)<br />

• Secondaria a:<br />

◦ Aumento della concentrazione di fibrinogeno nelle risposte di fase acuta<br />

◦ Aumento della concentrazione di fibrinogeno e di protrombina nei trattamenti con anticoncezionali orali<br />

estrogenici<br />

◦ Anticorpi anti-fosfolipidi (contro i fosfolipidi delle piastrine). Di sempre più frequente riscontro<br />

◦ interventi chirurgici (lesioni ai tessuti)<br />

◦ ustioni con ampio danno tessutale<br />

◦ prolungata degenza a letto e immobilità (un tempo i degenti restavano a letto a lungo e succedeva che<br />

appena si alzavano si staccavano i trombi formati nelle vene e morivano poco dopo. Oggi si cerca di far<br />

muovere i pazienti il prima possibile)<br />

◦ gravidanza avanzata<br />

◦ insufficienza cardiaca<br />

◦ gravi traumi (soprattutto per schiacciamento)<br />

◦ cancro diffuso<br />

◦ protesi valvolari cardiache<br />

Colore dei trombi<br />

• Trombi arteriosi: prevalentemente bianchi. Parietali o occlusivi<br />

• Trombi cardiaci: con strie di Zahn<br />

◦ le strie bianche e rosse si formano per fenomeni di stasi, ma anche per turbolenza<br />

• Trombi venosi: rossi (sono infarciti di globuli rossi). Sono quasi sempre occlusivi, con la coda che può<br />

staccarsi e costituire un embolo<br />

Nelle autopsie si deve comprendere se i trombi si sono formati prima o dopo la morte, quindi per comprendere se sono<br />

stati la causa di morte:<br />

− i trombi formati post-mortem hanno un aspetto "a gelatina di ribes" (perché vischiosi, appiccicosi, gelatinosi),<br />

inoltre si rileva una tendenza alla separazione in fasi del sangue, il colore è rosso-violaceo<br />

− i trombi formati in vivo hanno un aspetto compatto e non c'è separazione di fasi<br />

Evoluzione del trombo<br />

• Occlusione (fenomeno più frequente): accumulo di quantità crescenti di piastrine e fibrina fino all’occlusione<br />

del vaso<br />

• Embolizzazione: per frammentazione o distacco => nel momento in cui si stacca non si chiama più trombo, ma<br />

embolo<br />

• Organizzazione e ricanalizzazione = succede soprattutto nei grossi trombi: formano canalicoli che consentono,<br />

se pur in maniera ridotta, il passaggio di sangue<br />

• Dissoluzione e risoluzione per attività fibrinolitica: anche questa è una possibile evoluzione, ovviamente la più<br />

auspicabile => guarigione<br />

Importanza clinica del trombo<br />

• Provoca ostruzione di arterie o vene<br />

• E’ fonte di emboli<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 69


• Trombosi venosa<br />

◦ a) Superficiale => può provocare ulcere varicose<br />

◦ b) Profonda => può essere dapprima asintomatica e poi provocare embolia polmonare<br />

• Trombosi arteriosa<br />

◦ Frequente nelle arterie aterosclerotiche<br />

◦ Nel cuore, trombi da discinesie della parete per danno miocardico o endocardico. Esempio: reumatismo<br />

cardicaco => stenosi mitralica => dilatazione atriale => fibrillazione atriale => aumento della stasi atriale<br />

=> trombosi<br />

Trombo a cavaliere = che si forma in una biforcazione.<br />

Catetere di Fogarty = catetere utilizzato in tecnica chirurgica di estrazione di un trombo arterioso: viene inserito<br />

nell'arteria, passa dentro al trombo e una volta trapassato viene gonfiato un palloncino posto alla sua estremità. Tirando<br />

indietro il catetere il palloncino tira con sé anche il trombo.<br />

Forme di infarto cardiaco [non fatto a lezione]<br />

• Infarto regionale (90%) dei casi interessa una porzione della parete del ventricolo. L’area interessata può essere<br />

più o meno grande. Se l’occlusione del ramo arterioso che irrora l’area è completa, l’infarto è “a tutto<br />

spessore”<br />

• Infarto circonferenziale sottoendocardico: interessa la regione sottoendocardica del ventricolo ed è provocata<br />

da una ipoperfusione generalizzata delle principali arterie coronariche<br />

Note “fisiopatologiche” sulla terapia fibrinolitica nell’infarto miocardico:<br />

• La somministrazione di farmaci fibrinolitici (streptochinasi o tPA) può indurre lisi del trombo e ristabilire il<br />

flusso.<br />

• Se la lisi è conseguita poco dopo la occlusione del vaso, è possibile ridurre l’estensione del danno ischemico<br />

SHOCK<br />

• Lo shock è uno stato clinico caratterizzato da una insufficienza generalizzata della perfusione tissutale<br />

• A differenza delle insufficienze locali del flusso ematico, lo shock si accompagna a netta riduzione dei valori<br />

pressori (ipotensione)<br />

• Tra le molte cause di shock, le principali:<br />

◦ S. cardiogeno (insufficienza della pompa cardiaca)<br />

◦ S. ostruttivo (ostruzione delle arterie principali )<br />

◦ S. ipovolemico (emorragie gravi, perdita di liquidi)<br />

◦ S. angiogeno (una dilatazione anormale dei vasi periferici può causare un difetto di ritorno del sangue:<br />

così è nello s. setticemico/endotossico, nello s. anafilattico, nello s. neurogeno)<br />

EMBOLIA<br />

• Definizione [da sapere]: Un embolo è una massa estranea rispetto ai normali costituenti del sangue, di natura<br />

solida, liquida o gassosa, che viene trasportata dal sangue in una sede lontana dall’origine (cioè è mobile)<br />

• Tipi di embolia<br />

◦ tromboembolia<br />

▪ tromboembolia sistemica = frammenti di placche aterosclerotiche nelle arterie che si staccano e<br />

vanno ad occludere delle arterie più piccole<br />

▪ tromboembolia polmonare = frammenti di trombi venosi o trombi murali del cuore sinistro che<br />

finiscono nelle vene polmonari e le occludono<br />

◦ embolia grassosa o lipidica = goccioline di grasso (fratture ossa lunghe, specie nel femore) dal midollo<br />

osseo => in genere si fermano nei polmoni<br />

◦ embolia gassosa = bolle d’aria<br />

◦ embolia da liquido amniotico = vedi CID<br />

• Nella quasi totalità dei casi (99%) gli emboli derivano dalla frammentazione di un trombo (tromboemboli)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 70


◦ o più raramente sono costituiti da gocce di grasso, originato o dal midollo osseo o dal colesterolo derivante<br />

dal disfacimento di placche aterosclerotiche;<br />

◦ oppure possono originare da una bolla gassosa (aria o azoto).<br />

Destino dell'embolo<br />

• L’embolo si arresta dove il calibro vasale non consente più la progressione, occludendo parzialmente o<br />

totalmente il circolo => con conseguente ischemia e, se non vi sono circoli vicarianti, necrosi ischemica<br />

(infarto).<br />

• Secondo l’origine, venosa o arteriosa, dell’embolo, esso può localizzarsi, rispettivamente, nel polmone o nel<br />

circolo sistemico, causando rispettivamente:<br />

◦ TROMBOEMBOLIA POLMONARE<br />

◦ TROMBOEMBOLIA SISTEMICA<br />

La maggior parte degli emboli sono piccoli, vengono quindi riassorbiti/organizzati sulla parete vasale. Sono pericolosi<br />

quando sono grossi o numerosi.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 71


TROMBOEMBOLIA POLMONARE<br />

• Incidenza = 20-25 su 100.000 pazienti ospedalizzati con tasso di mortalità (mortalità proporzionale, cioè<br />

mortalità sul numero dei casi) che è sceso dal 6% di 30 anni fa all’1.5% di oggi.<br />

• Gli emboli derivano (nel 95% dei casi) da trombosi venose profonde e, attraverso il cuore destro, giungono ad<br />

una arteria polmonare: o l’arteria principale, o la biforcazione (emboli a sella) o le arterie più piccole.<br />

• La maggior parte degli emboli polmonari è silente perché di piccole dimensioni. Vengono poi organizzati e<br />

inglobati nella parete vasale.<br />

• Se più del 60% del circolo polmonare è ostruito si ha morte improvvisa, scompenso del cuore destro (cor<br />

pulmonale) e collasso.<br />

TROMBOEMBOLIA SISTEMICA<br />

• Per l’80% derivano da trombi murali di origine cardiaca (da dilatazione atriale sinistra secondaria a<br />

reumatismo cardiaco, o da infarti del ventricolo sinistro).<br />

• I rimanenti derivano da placche aterosclerotiche ulcerate, da aneurismi e da trombi arteriosi.<br />

• Le sedi di arresto degli emboli sistemici sono:<br />

◦ le estremità inferiori (75%), il cervello (10%) e poi intestino, rene e milza.<br />

• Le conseguenze dipendono dalla presenza o meno di un circolo collaterale.<br />

EMBOLIA LIPI<strong>DI</strong>CA<br />

• Le gocce lipidiche derivano di solito da frattura della diafisi di ossa lunghe contenenti midollo osseo<br />

prevalentemente adiposo.<br />

• Il passaggio nel circolo venoso delle gocce lipidiche (che possono poi confluire) è favorito dalla dilatazione dei<br />

vasi prossimi al trauma per la condizione di danno tissutale (e flogosi!).<br />

• Dopo 2-3 giorni dal trauma si hanno i sintomi dell’embolia polmonare:<br />

◦ tachipnea, dispnea, tachicardia, agitazione, ansia, fino anche a delirio e coma<br />

• La presenza in circolo di lipidi porta all’adesione piastrinica sulle gocce di grasso che aggrava l’embolia, le<br />

piastrine sono sottratte al circolo e si può giungere a trombocitopenia (un segno può essere la formazione di<br />

petecchie in aree non declivi della cute)<br />

EMBOLIA GASSOSA<br />

Bolle di gas presenti nel circolo possono provocare ostruzione.<br />

L’aria può penetrare durante manovre ostetriche o per traumi al torace.<br />

Patologia da decompressione. E' la causa più frequente, quando si respira aria compressa (quindi ad alta pressione) in<br />

immersioni subacquee profonde (ogni 10m di profondità la pressione aumenta di 1 atm) e si riemerge velocemente, o<br />

quando in aeroplani improvvisamente depressurizzati ad alta quota si respira aria a bassa pressione.<br />

Durante la respirazione ad alta pressione si discioglie nel sangue e nei tessuti una maggiore quantità dei gas respirati. In<br />

particolare di azoto, che costituisce il 78% dell’aria respirata e che, a differenza dell’ossigeno, non è utilizzato nella<br />

respirazione cellulare.<br />

Con la decompressione l’azoto si espande in fase gassosa e ostruisce vasi e comprime tessuti e terminazioni nervose<br />

(grave sintomatologia dolorosa).<br />

Terapia: ricompressione alla pressione a cui l'azoto si scioglie e lenta decompressione<br />

10/12/09 17:30 1°file<br />

Patologia da decompressione è un termine che comprende l’embolia gassosa arteriosa e la malattia da decompressione.<br />

Le relative cause presunte sono differenti, tuttavia da un punto di vista pratico distinguerle può essere impossibile, dal<br />

momento che segni e sintomi di ciascuna sono simili.<br />

La condizione del paziente impone iniziale primo soccorso, stabilizzazione e conseguente trattamento.<br />

Embolia gassosa arteriosa (EGA)<br />

Quando un subacqueo risale rapidamente senza “compensare”, l’aria contenuta nei polmoni si espande e può<br />

danneggiare il tessuto polmonare, alcune bolle possono passare nella circolazione e distribuirsi nei tessuti, compresi<br />

quelli di organi vitali come cuore e cervello. Questa è l’embolia gassosa arteriosa o EGA .<br />

In alcuni casi il sub può essere risalito in panico, o egli può rendersi conto di aver trattenuto il respiro durante la risalita.<br />

Tuttavia un’embolia gassosa può verificarsi anche quando la risalita è apparentemente normale. Se confinate in piccole<br />

arterie le bolle possono ostruire la circolazione e provocare una ischemia e danno polmonare.<br />

L’ischemia cerebrale spesso porta alla perdita di coscienza e alla paralisi, condizione che impone un trattamento<br />

immediato.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 72


Il termine medico preciso è embolia gassosa alle arterie cerebrali, ma i sub parlano semplicemente di embolia<br />

gassosa.<br />

Il modo più drammatico in cui l’embolia si presenta è quando il subacqueo emerge inconscio o perde coscienza nei<br />

primi dieci minuti dopo l’emersione.<br />

In questi casi si tratta di una vera emergenza che richiede l’immediato trasferimento ad una struttura medica per il<br />

trattamento.<br />

Manifestazioni minori dell'EGA<br />

L’embolia gassosa può anche provocare sintomi neurologici minimi come formicolii o intorpidimento, debolezza senza<br />

evidente paralisi, o difficoltà di pensiero senza evidente confusione. In questi casi c’è tempo per una valutazione più<br />

completa per escludere altre possibili cause di tali sintomi<br />

Sintomi e segni<br />

• Sintomi: vertigini, visione annebbiata, dolore toracico, disorientamento, variazione della personalità, paralisi o<br />

debolezza.<br />

• Segni: schiuma sanguinolenta dalla bocca o dal naso, paralisi o debolezza, convulsioni, incoscienza,<br />

interruzione del respiro, morte.<br />

Segni e sintomi appaiono al momento dell’emersione o immediatamente dopo, e possono somigliare a quelli<br />

dell’infarto.<br />

Prevenzione e trattamento<br />

Alterazioni del polmone come asma, infezioni, cisti, tumori, tessuto cicatriziale dopo interventi chirurgici o malattia<br />

ostruttiva polmonare possono predisporre all’embolia gassosa.<br />

Il trattamento di elezione consiste nella ricompressione eseguita in “camera iperbarica”.<br />

E’ tuttavia utile stabilizzare il paziente e fornire le prime cure nella struttura medica più vicina, prima di trasportarlo alla<br />

camera iperbarica.<br />

Il primo soccorso con ossigeno può ridurre i sintomi in modo sostanziale; quando è disponibile si deve sempre istituire<br />

tale terapia, ma essa non deve cambiare il complessivo piano di trattamento.<br />

I sintomi di un’embolia gassosa e di una grave malattia da decompressione (MDD) spesso possono migliorare dopo<br />

aver iniziato a respirare ossigeno, ma possono riapparire in seguito.<br />

Anche quando è ritardata, la terapia ricompressiva per un’embolia gassosa può avere efficacia.<br />

Il trattamento tempestivo è più facile e più efficace, ma alcuni trattamenti hanno avuto successo fino a due giorni dopo<br />

l’incidente.<br />

Malattia da decompressione (chiamata anche male del palombaro, malattia dei cassoni)<br />

La EGA è più una malattia ricreativa, questa invece è più una malattia professionale.<br />

E' il risultato della decompressione che segue l’esposizione ad una pressione aumentata.<br />

Mentre l’immediata ricompressione non è di solito questione di vita o di morte – come per l’embolia gassosa – possono<br />

comunque verificarsi danni gravi, e prima inizia la ricompressione, migliore sarà la guarigione.<br />

Durante un’immersione il gas respirato si discioglie nei tessuti del corpo in proporzione alla pressione ambientale.<br />

La legge di Henry, formulata da William Henry nel 1803, regola la solubilità dei gas in un liquido. In particolare essa<br />

sostiene che:<br />

− un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido, vi entra in soluzione finché avrà raggiunto in<br />

quel liquido la stessa pressione che esercita sopra di esso.<br />

Raggiunto l'equilibrio, il liquido si definisce saturo di quel gas a quella pressione. Tale stato di equilibrio permane fino a<br />

quando la pressione esterna del gas resterà inalterata, altrimenti, se essa aumenta, altro gas entrerà in soluzione; se<br />

diminuisce, il liquido si troverà in una situazione di sovrasaturazione ed il gas si libererà fino a quando le pressioni<br />

saranno nuovamente equilibrate.<br />

Una espressione matematica della legge di Henry può essere la seguente: P = kC<br />

− dove P è la pressione del gas, C è la sua concentrazione e k il coefficiente di solubilità del gas nel liquido<br />

O2 k = 4.34×104 atm/mol<br />

CO2 k = 1.64×103 atm/mol<br />

H2 k = 7.04×104 atm/mol<br />

N2 k = 8.68×104 atm/mol<br />

Durante un’immersione i tessuti del corpo assorbono azoto dal gas respirato in proporzione alla pressione ambientale.<br />

Finché il subacqueo resta a quella pressione, il gas normalmente non crea alcun problema.<br />

Se si elimina troppo velocemente la pressione, l’azoto esce dalla soluzione e forma bolle nei tessuti e nella circolazione<br />

sanguigna.<br />

Questo può capitare anche quando un subacqueo segue le linee guida accettate per la decompressione.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 73


Le bolle che si formano nei tessuti vicino alle giunture provocano il classico dolore della MDD.<br />

Quando i livelli di bolle che si formano sono alti, nell’organismo possono aver luogo reazioni complesse, i cui sintomi<br />

sono intorpidimento, paralisi, sintomi congestizi del polmone e shock circolatorio.<br />

Sintomi e segni<br />

• Sintomi: affaticamento insolito, prurito alla pelle, dolore a giunture e/o a muscoli, braccia, gambe o torso,<br />

capogiri, intorpidimento, formicolio e paralisi, respiro corto.<br />

• Segni: eruzione cutanea a chiazze, paralisi, debolezza, camminare barcollando, spasmi di tosse, collasso o<br />

incoscienza.<br />

Segni e sintomi di solito compaiono tra 15 minuti e 12 ore dopo l’emersione; nei casi più gravi possono apparire prima<br />

dell’emersione o immediatamente dopo. La comparsa dei sintomi oltre le 12 ore è rara, ma si può verificare,<br />

specialmente quando all’immersione segue un viaggio aereo.<br />

Prevenzione<br />

I subacquei ricreativi dovrebbero usare le tabelle in modo conservativo.<br />

La procedura standard prevede di scegliere la profondità in tabella uguale o superiore alla profondità effettiva,<br />

ottenendo così un grado di sicurezza maggiore.<br />

Subacquei esperti spesso scelgono una profondità in tabella superiore di tre metri rispetto a ciò che richiede la<br />

procedura standard.<br />

Si raccomanda questa pratica ogni volta che ci si immerge in acqua fredda o in condizioni difficili.<br />

Chi utilizza il computer dovrebbe essere cauto nell’avvicinarsi ai limiti di non decompressione, specialmente quando si<br />

superano i 30 metri di profondità.<br />

I principali rischi associati alla malattia da decompressione sono profondità e tempo di permanenza sul fondo, ma è<br />

bene non trascurarne altri: esercizio fisico durante l’immersione, risalita rapida, immersioni ripetitive ed immersioni<br />

sotto i 24 metri sono fattori di rischio ben documentati.<br />

Pesante esercizio fisico immediatamente dopo un’immersione ed esposizione all’altitudine possono aumentare il rischio<br />

di MDD.<br />

Trattamento<br />

La malattia da decompressione richiede la ricompressione, tuttavia il sub deve essere stabilizzato, ricevere primo<br />

soccorso con ossigeno e cure mediche immediate alla più vicina struttura, prima di essere trasportato alla camera<br />

iperbarica.<br />

Per migliorare segni e sintomi da MDD si deve fornire ossigeno immediatamente ogni volta che è disponibile.<br />

Anche se questa terapia può ridurre sostanzialmente i sintomi, non si deve in alcun modo cambiare il trattamento<br />

pianificato.<br />

La ricompressione, specialmente se tempestiva, si è dimostrata efficace per tutte le forme di MDD. L’efficacia dei<br />

trattamenti si è verificata anche molti giorni dopo l’insorgenza dei primi sintomi, ma è maggiore quando il trattamento è<br />

immediato<br />

Il ponte di Brooklyn<br />

Il Ponte di Brooklyn, completato nel 1883 ad opera dell'ingegnere tedesco John Augustus Roebling, rappresenta oggi il<br />

primo ponte costruito in acciaio ed ha rappresentato per lungo tempo il ponte sospeso più grande al mondo.<br />

Collega tra di loro l'isola di Manhattan ed il quartiere di Brooklyn (un tempo due cittadine distinte dello Stato di New<br />

York, oggi due quartieri di New York City) attraversando il fiume East River.<br />

La costruzione del ponte iniziò nel 1867 e richiese la manodopera di 600 operai. Durante i lavori 20 persero la vita, la<br />

maggior parte per embolia gassosa dopo aver effettuato immersioni nelle camere di scavo sottomarine. Infatti i lavori<br />

subacquei si facevano in cassoni contenenti aria compressa a fondo aperto (es. per fare i piloni dei ponti), quindi gli<br />

operai respiravano aria ad alta pressione). Anche l'ingegner Roebling rimase vittima nel 1869 di un incidente durante<br />

l'attracco di un traghetto. Il suo posto venne preso dal figlio, Washington Roebling, che rimase a sua volta ferito e<br />

paralizzato parzialmente a causa di un'embolia gassosa. Venne aiutato nel completamento dell'opera della moglie, Emily<br />

Warren Roebling, che operò sotto la sua supervisione. Il ponte venne definitivamente aperto al transito il 24 maggio<br />

1883.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 74


EMORRAGIA<br />

• Ematoma = accumulo di sangue all'interno di un tessuto<br />

• Petecchie = piccole emorragie (1-2 mm) nella pelle, nelle mucose, nelle sierose<br />

• Porpora = emorragie di dimensioni maggiori di 3 mm, ad es. per vasculiti, o aumentata fragilità dei vasi per<br />

amiloidosi<br />

• Ecchimosi = ematomi sottocutanei di dimensioni maggiori a 1-2 cm, ad es. per traumi, possono essere<br />

esacerbati da altri fattori (vedi esempi nella porpora)<br />

◦ cambiamento di colore delle ecchimosi:<br />

▪ rosso-bluastro = dato da Hb<br />

▪ blu-verde = dato da bilirubina (dal catabolismo enzimatico di Hb)<br />

▪ marrone-dorato = dato da emosiderina (dal catabolismo enzimatico di bilirubina)<br />

TEST SUI FATTORI DELLA COAGULAZIONE<br />

Conta piastrinica<br />

• Valore normale = 150.000-400.000 piastrine/uL<br />

• Un abbassamento del loro numero può essere causa di emorragie<br />

• Possono essere alterate numericamente e qualitativamente<br />

PT = tempo di protrombina (o tempo di Quick) – valutazione della via estrinseca<br />

• Tempo in secondi necessario per la formazione del coagulo di fibrina<br />

• misurato attraverso un apparecchio fotoelettrico che vede quando la soluzione si intorbidisce<br />

• Valore normale = 2,7-15,4 secondi<br />

• Il plasma contiene tutti i componenti delle vie estrinseca e intrinseca, ad eccezione della tromboplastina (che<br />

insieme al VII può agire sul X attivandolo [via estrinseca]) che viene aggiunta al sangue insieme a Ca2+<br />

• prolungamento del PT può essere dovuto a carenze o disfunzioni dei fattori V, VII, X, della protrombina, del<br />

fibrinogeno<br />

PTT = tempo parziale di tromboplastina – valutazione della via intrinseca<br />

• si aggiungono: fosfolipidi, calcio, attivatore di contatto per XII (caolino)<br />

• si chiama parziale perché non c'è la tromboplastina tissutale<br />

• si misura come il PT<br />

• Valore normale = 28-40 secondi<br />

• prolungamento del PTT può essere dovuto a carenze o disfunzioni dei fattori V, VIII, IX, X, XI, XII, della<br />

protrombina, del fibrinogeno<br />

TT = tempo di trombina<br />

• valuta l'attività della trombina sul fibrinogeno<br />

• si fa un confronto tra un plasma in esame e uno normale => vengono fatti coagulare aggiungendo trombina<br />

bovina e calcio in modo che nel plasma di controllo 10-15 secondi (tempo che ci mette a crearsi i primi<br />

filamenti di trombina)<br />

• alterato se c'è notevole attività antitrombinica, terapia eparinica (eparina = sostanza anticoagulante, compete<br />

con attivazione della trombina, contenuta in granuli di basofili e mastociti), alterazioni quali-quantitative del<br />

fibrinogeno<br />

INR = rapporto normalizzato internazionale<br />

• il tempo di protrombina può essere espresso come attività percentuale (rispetto a un pool di plasmi normali, a<br />

cui viene assegnata una attività convenzionale del 100%<br />

• nel soggetto normale l'attività protrombinica può andare dal 70 al 100%<br />

• oppure e preferibilmente può essere espresso come INR, rapporto normalizzato internazionale, formalmente<br />

definito come segue:<br />

• INR = ( PTpaziente / PTmedia dei controlli ) ISI<br />

• a ogni tromboplastina commerciale viene assegnato un indice di sensibilità (ISI) per confronto con un<br />

preparato internazionale di riferimento;<br />

• per ogni paziente si calcola il rapporto tra il PT del paziente e il PT di una miscela di plasmi normali, e poi<br />

si normalizza questo rapporto (INR) mediante elevazione all’ISI. In questo modo gli INR dei pazienti<br />

diventano confrontabili fra loro anche quando il paziente effettua l'analisi presso laboratori che usano<br />

reagenti differenti.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 75


• Il valore normale dell’INR varia da 0.9 a 1.2<br />

Tempo di emorragia o di stillicidio<br />

• Serve per valutare la funzionalità delle piastrine e dei microvasi sanguigni (valuta tutto il sistema emostatico e<br />

non solo quello coagulativo)<br />

• con una lancetta si provoca una piccola emorragia in una zona sottile della cute (dito, orecchio)<br />

• Il tempo di emorragia di solito è normale anche in presenza di difetti della coagulazione<br />

• Può considerarsi normale quando l'arresto dell'emorragia avviene nel giro di 5 minuti, altrimenti si potrebbe<br />

avere una piastrinopenia o piastrinopatia, cioè una alterata funzionalità delle piastrine, oppure danno<br />

endoteliale<br />

• è il tempo che ci mette ad arrestare l'emorragia allontanando ogni tanto con una carta assorbente la goccia<br />

di sangue che si forma<br />

Tabella 1312 del Manuale Meck.esami di laboratorio per lo studio dell’emostasi:<br />

http://www.msd-italia.it/altre/manuale/tabelle/13102.html<br />

<strong>DI</strong>ATESI EMORRAGICHE<br />

Diatesi = disposizione dell'organismo (acquisita o su base ereditaria) a sviluppare una certa patologia.<br />

Disturbi dell’emostasi in forma di diatesi emorragiche possono essere provocate da:<br />

• Aumentata fragilità dei vasi<br />

◦ in molte infezioni (emorragie petecchiali)<br />

▪ petecchie = macchioline irregolari visibili sulla cute dovute a emorragia, tipiche in meningite<br />

meningococcica, morbillo, rickettsiosi => danno microbico alla parete microvascolare, oppure CID<br />

◦ in seguito a reazioni a farmaci => possono formarsi anticorpi contro il farmaco => deposizione di<br />

complessi immuni nella parete => vasculite<br />

◦ nello scorbuto => carenza di vitamina C => carenza di collagene => fragilità dei vasi<br />

▪ la fragilità dei vasi è fisiologica in età senile, perché nell'anziano c'è un'alterazione nella sintesi del<br />

collageno<br />

▪ nella sindrome di Cushing la fragilità è dovuta a perdita proteica indotta dall'eccessiva produzione di<br />

corticosteroidi => atrofia del tessuto di sostegno perivascolare<br />

◦ in malattie ereditarie come la teleangectasia emorragica ereditaria autosomica dominante (vasi tortuosi e<br />

dilatati, pareti sottili che sanguinano facilmente) => sanguinamento più frequente in mucose del naso<br />

(epistassi), lingua, bocca, occhi e di tutto il tratto gastrointestinale<br />

▪ angectasia = dilatazione dei vasi; tele = fa riferimento al punto in cui i vasi si rompono, cioè alle<br />

estremità, alle ultime diramazioni; emorragica = la fragilità comporta emorragia, in questo caso in<br />

forma di petecchie (evidentissime nel fondo dell'occhio attraverso l'oftalmoscopio) => vasi molto<br />

tortuosi e emorragie (nel fondo dell'occhio una certa tortuosità e rigidità dei vasi è normale nell'età<br />

senile)<br />

◦ infiltrazione amilioide dei vasi<br />

• Difetto o disfunzione piastrinici<br />

◦ trombocitopenia (o piastrinopenia)<br />

▪ ci sono soggetti che hanno costituzionalmente un numero minore di piastrine rispetto al normale<br />

• nel soggetto normale: 150.000-300.000/mm3, si parla di piastrinopenia se < 100.000<br />

• tra 30.000-20.000 si hanno sanguinamenti in seguito a traumi<br />

• sotto 20.000 si hanno anche sanguinamenti spontanei, si osservano soprattutto a livello delle<br />

mucose, soprattutto gastrointestinale e genitale, ma anche della congiuntiva<br />

• sanguinamenti traumatici in seguito a trauma cranico possono essere molto gravi nell'anziano a<br />

causa dell'atrofia cerebrale => il cranio non è ben riempito => piccoli traumi possono far<br />

sbattere l'encefalo nel cranio, inoltre c'è fragilità dei piccoli vasi dovuto a carenza di collagene<br />

=> anche piccoli traumi cranici vanno valutati con attenzione<br />

▪ possono anche essere collegati a situazioni patologiche come leucemie, a trattamenti farmacologici<br />

▪ difficoltà a formare il tappo piastrinico<br />

▪ PIT (Porpora Idiopatica Trombocitopenica) da autoanticorpi diretti verso glicoproteine della<br />

membrana piastrinica =>si sviluppa nel bambino e si risolve spontaneamente in 4-6 settimane<br />

▪ PTT (Porpora Trombotica Trombocitopenica) => soprattuto nelle donne adulte, associata a sindromi<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 76


neurologiche<br />

▪ SEU (Sindrome Emolitico-Uremica) => nell'età infantile, non associata a sindromi neurologiche<br />

• Patogenesi oscura. Ipotesi: sulla base di alterazioni endoteliali formazione di miriadi di<br />

microaggregati piastrinici<br />

▪ ipersplenismo = splenomegalia molto intensa => la milza è molto ingrossata e ha aumentato di molto<br />

la sua funzione => sequestra un gran numero di piastrine<br />

▪ trasfusioni ripetute = si abbassa il numero di piastrine, perché sono labili, non resistono più di 24h<br />

▪ le piastrine sono piccole e delicate => se sbattono o si trovano a contatto con superfici anfrattose o<br />

irregolari ad es. di vecchie placche possono rompersi (la turbolenza spesso sbatte le piastrine alle<br />

pareti)<br />

◦ trombocitopatie congenite<br />

▪ Difetti di adesione, come il deficit ereditario della glicoproteina che lega il fattore di vWF con cui la<br />

piastrina si lega al collagene (sindrome di Bernard-Soulier)<br />

▪ Difetti di aggregazione, per deficit del recettore per il fibrinogeno con cui le piastrine si legano le une<br />

alle altre (tromboastenia)<br />

• Alterazioni della coagulazione<br />

◦ malattia di vW :<br />

▪ carenza quali-quantitativa del fattore vWF e quindi del complesso “fattore VIII-vWF”. vWF è un<br />

carrier del fattore VIII necessario per la sua stabilità e la sua funzione<br />

◦ Emofilia A (carenza fattore VIII)<br />

▪ eredità diaginica recessiva (ereditata attraverso gli elementi femminili della famiglia) = carenza del<br />

fattore VIII<br />

• nota quella della famiglia reale inglese => numerosi figli maschi che dovevano stare molto attenti<br />

a non avere nemmeno piccoli traumi a causa dell'alterazione della coagulazione => morivano in<br />

giovane età (oggi si somministrano i fattori mancanti e la persona ha una vita normale)<br />

▪ varie alterazioni genetiche => ampia varietà fenotipica quantitativa<br />

▪ emorragie da traumi e interventi chirurgici, emartri (emorragie spontanee ricorrenti in zone soggette<br />

normalmente a trauma, in particolare le articolazione)<br />

▪ terapia: infusione di fattore VIII (negli anni '80 provocò infezione da HIV in molti emofilici, perché i<br />

donatori erano inconsapevolmente infetti; oggi è disponibile il fattore VIII ricombinante)<br />

◦ Emofilia B (deficit F IX, malattia di Christmas)<br />

▪ clinicamente indistinguibile dalla emofilia A (IX agisce insieme a VIII per l'attivazione del X)<br />

COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE <strong>DI</strong>SSEMINATA (CID)<br />

E' una sindrome che si può manifestare in forma acuta, subacuta o cronica come complicanza secondaria di varei<br />

patologie.<br />

• Sindrome = insieme di segni e sintomi che troviamo in diverse malattie, ma che compaiono sempre<br />

insieme<br />

• sintomi = ciò che il paziente riferisce (es. bruciore alla gola, dolore all'articolazione)<br />

• segni = ciò che rileva il medico col suo esame obiettivo<br />

Nella CID si riscontrano trombosi ed emorragie insieme:<br />

• Trombosi = processo coagulativo generalizzato con microtrombi e microemboli (si staccano dai trombi) diffusi<br />

◦ in condizioni fisiologiche il processo coagulativo è localizzato, perché sono liberate sostanze<br />

anticoagulanti, qui si ha invece una propagazione del processo coagulativo<br />

• Emorragia<br />

◦ la formazione di microtrombi, microemboli e fibrina esauriscono le piastrine e i fattori della coagulazione<br />

circolanti<br />

◦ si formano anche peptidi di degradazione della fibrina (FDP)<br />

◦ per questo la CID è detta anche coagulopatia da consumo o microtrombosi emorragica<br />

La CID è una complicanza secondaria di varie patologie:<br />

• 50% dei casi di CID in malattie ostetriche (es. feto morto ritenuto e rottura della placenta)<br />

• 33% nei tumori, soprattutto nei tumori muco-secernenti (prostata, pancreas, stomaco, polmone)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 77


• inoltre sepsi (soprattutto da Gram-)<br />

• traumi gravi<br />

• il veleno di certi serpenti contiene un enzima capace di convertire velocemente il fibrinogeno in fibrina<br />

Perché si “accende” la CID?<br />

Ricordiamoci che la coagulazione può avere inizio da due differenti vie:<br />

1. Rilascio di TPT (tromboplastina tissutale) dai tessuti lesi (via estriseca)<br />

2. Contatto con collagene o con superfici cariche negativamente (via intrinseca)<br />

◦ es. sangue a contatto con provetta di vetro<br />

Tutto questo deve accadere non in un punto solo (altrimenti sarebbe fisiologico), ma in maniera diffusa, ad es.<br />

liberazione in circolo di sostanze, come muco in circolo da tumori.<br />

Cause della CID<br />

• Rilascio in circolo di TPT<br />

• Diffusi danni all’endotelio<br />

Quindi per:<br />

• Complicanze ostetriche<br />

◦ abruptio placentae<br />

◦ feto morto ritenuto => rilascio di materiale fetale nel circolo materno<br />

◦ embolia di liquido amniotico<br />

◦ agiscono come TPT-simili provocando attivazione delle piastrine => attivazione della cascata coagulativa<br />

=> formazione di tralci di fibrina<br />

• Tumori maligni<br />

◦ adenocarcinomi muco-secernenti, il muco agisce come sostanza TP<br />

◦ granuli nella Leucemia Acuta Promielocitica<br />

▪ i granuli sono sostanze che attivano la coagulazione<br />

• Infezioni da Gram- (sepsi)<br />

◦ lesione delle cellule endoteliali da endotossina<br />

◦ l’endotossina induce liberazione di IL-1 e TNF dai monociti, che causano aumento di espressione di TPT<br />

sulle cellule endoteliali<br />

◦ l’endotossina inibisce l’attività anticoagulante della proteina C (uno dei fattori anticoagulanti del sangue)<br />

• Traumi, Ustioni, Estesi interventi chirurgici => esposizione di TPT<br />

◦ traumi gravi da schiacciamento<br />

◦ interventi chirurgici che comportano tecniche laboriose e invasive per i tessuti<br />

◦ nelle ustioni si ha necrosi, lesione dell'endotelio, esposizione del collageno<br />

• Danno endoteliale<br />

◦ infiammazione => il TNF media aumento di espressione delle molecole di adesione sui leucociti, che<br />

possono danneggiare l'endotelio con il rilascio di radicali dell'ossigeno e proteasi<br />

◦ da deposizione di immunocomplessi (es. lupus eritematoso sistemico)<br />

◦ da temperature estreme<br />

◦ da microrganismi (es. meningococchi, rickettsie)<br />

Conseguenze<br />

• Diffusa deposizione di fibrina nel microcircolo<br />

◦ con ischemia e microinfarti degli organi colpiti (encefalo, con segni neurologici bizzarri, cuore, polmoni,<br />

con trombi alveolari ed essudazione fibrinosa, reni, milza e fegato) e anemia emolitica per<br />

frammentazione dei globuli rossi da parte della fibrina nel microcircolo (anemia emolitica<br />

microangiopatica)<br />

• Emorragie<br />

◦ per consumo di piastrine e di fattori della coagulazione<br />

◦ per attivazione del plasminogeno e formazione di plasmina (o fibrinolisina). Plasmina digerisce la fibrina<br />

dando luogo alla formazione di prodotti di degradazione della fibrina, che inibiscono l’aggregazione<br />

piastrinica<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 78


Decorso clinico<br />

• ESOR<strong>DI</strong>O ACUTO E FULMINANTE<br />

◦ come nello shock endotossinico o nell’embolia di liquido amniotico<br />

◦ prevale l’aspetto emorragico<br />

◦ terapia pro-coagulante (con plasma fresco congelato)<br />

• ESOR<strong>DI</strong>O INSI<strong>DI</strong>OSO, ma più prolungato nel tempo<br />

◦ adenocarcinomi muco secernenti<br />

◦ feto morto ritenuto<br />

◦ prevale l’aspetto trombotico<br />

◦ terapia anticoagulante (con eparina)<br />

PROGNOSI variabile in relazione alla malattia di base<br />

INFARTO<br />

Area di necrosi ischemica dovuta al blocco dell’apporto arterioso (o del drenaggio venoso).<br />

Cause:<br />

• il 99% da tromboembolia arteriosa (quella venosa invece è causa solo dell'infarto polmonare).<br />

• A volte: vasospasmo locale, espansione ateroma per emorragia interna, compressione neoplastica di un vaso<br />

dall’esterno, torsione di un vaso.<br />

Sedi: cuore, cervello, polmone, reni<br />

Tipi di infarto<br />

• Infarto rosso o emorragico: occlusione venosa, tessuti con pregressa congestione venosa (polmone con<br />

insufficienza cuore sinistro).<br />

• Infarto bianco: occlusione arteriosa, in organi solidi come il cuore, la milza, i reni.<br />

− Forma: a cono con apice all’occlusione<br />

− Necrosi coagulativa, tranne che nel cervello dove si ha necrosi colliquativa<br />

− Area infiammatoria periferica<br />

− Fattori che (in presenza di ischemia) condizionano l’instaurarsi di un infarto:<br />

− Circolazione di tipo terminale (anatomicamente nel rene, funzionalmente nelle coronarie)<br />

− il polmone ha doppia circolazione<br />

− arteria polmonare (se c'è un trombo si forma solo edema)<br />

− arteria bronchiale<br />

− Rapidità dell’occlusione<br />

− Sensibilità all’ipossia del tessuto che subisce l’ischemia<br />

− Contenuto di O2 nel sangue (più grave l’infarto in caso di anemia)<br />

Quando si arresta la circolazione per blocco c'è la possibilità che il sangue venoso torni indietro (rosso) ma il blocco<br />

ematico causa anche un rigonfiamento delle cellule in sofferenza che provocano uno spremimento del sangue venoso<br />

rimasto in zona (bianco).<br />

Evidenze tissutali dell'infarto<br />

• All'inizio (entro le 12h) non è istologicamente rilevabile<br />

• 12-24h dopo => necrosi coagulativa => infarto bianco<br />

• 24-72h dopo => afflusso di cellule con attività fagocitica<br />

• 3-10gg dopo => zona infiammata (bordo iperemico)<br />

• in seguito (settimane-mesi) => formazione di cicatrice bianca<br />

Tassi di mortalità per malattia<br />

ischemica cardiovascolare per 100.000<br />

uomini, standardizzati per età, in<br />

diversi paesi europei<br />

Irlanda del Nord 266<br />

UK, Scozia 263<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 79


Finlandia 253<br />

Ungheria 215<br />

Svezia 206<br />

Danimarca 203<br />

Norvegia 194<br />

Olanda 146<br />

Polonia 128<br />

Svizzera 105<br />

Belgio 105<br />

Italia 92<br />

Grecia 86<br />

Spagna 73<br />

Portogallo 71<br />

Francia 68<br />

LA FEBBRE<br />

Aspetti fisiologici della termoregolazione<br />

• Nell’uomo in condizioni normali la temperatura corporea è di 37°C con oscillazioni inferiori ad 1°C.<br />

• La temperatura del mattino è di circa ½ grado inferiore a quella tra le 12 e le 20<br />

• Nella donna in età fertile la temperatura è più bassa nel periodo preovulatorio (fase follicolinica) => si innalza<br />

di circa ½ grado all’ovulazione e tale rimane nel periodo successivo del ciclo (fase luteinica)<br />

• La termoregolazione è un processo omeostatico regolato a livello ipotalamico<br />

◦ l'ipotalamo ha sia il meccanismo afferente per il rilevamento della temperatura che quello effettore per il<br />

suo controllo<br />

La termogenesi<br />

• Il calore prodotto dall’organismo è la risultante del calore prodotto da ogni singola cellula. A livello cellulare il<br />

calore è prodotto in reazioni metaboliche esotermiche, prevalentemente ossidative.<br />

• I nutrienti che generano la maggior parte di calore sono i glicidi e i lipidi; meno i protidi.<br />

• L’energia chimica degli alimenti è immagazzinata in ATP.<br />

• Dal consumo di ATP, catalizzato dall’ATPasi, si genera lavoro (muscolare trasporto attivo, sintesi di molecole,<br />

ecc.) e calore.<br />

• La termogenesi è proporzionale al consumo di ossigeno.<br />

• La produzione di calore a digiuno e in condizioni di riposo fisico e psichico è detta metabolismo basale ed è di<br />

circa 1400-1800 calorie al giorno, cioè circa 70 calorie per ora.<br />

• Termogenesi obbligatoria: produzione “basale” di calore generato dall’attività metabolica, in assenza di<br />

qualsiasi sovraccarico funzionale di tutti gli organi. Alla sua regolazione presiedono essenzialmente gli ormoni<br />

tiroidei.<br />

• Termogenesi facoltativa: produzione di calore in eccesso rispetto a quella basale, tramite la stimolazione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 80


metabolica; è indipendente dalla volontà e alla sua regolazione sovrintendono le catecolamine.<br />

◦ L’azione di questi ormoni sarebbe mediata da fenomeni di depressione genica che porta ad una maggior<br />

produzione delle proteine che regolano i flussi ionici (calcio, sodio e potassio) e della stessa ATPasi.<br />

◦ L’aumento di ADP e fosforo inorganico Pi porta ad un aumento dei processi ossidativi. Ogni aumento di<br />

1°C della temperatura corporea porta ad un aumento di circa il 13% dei processi ossidativi per la legge di<br />

Vant’Hoff (calore genera calore)<br />

◦ Alla produzione di calore dovuta alle reazioni metaboliche si può aggiungere quella dovuta alla<br />

contrazione muscolare e cioè al brivido.<br />

La distribuzione del calore nell’organismo<br />

• il sistema circolatorio<br />

◦ distribuisce a tutto l’organismo il calore prodotto negli organi metabolicamente attivi, e<br />

◦ disperde il calore attraverso i vasi cutanei superficiali, la cui portata è sotto controllo dei centri<br />

ipotalamici, a livello del tuber cinereum.<br />

◦ A livello periferico la vasocostrizione è determinata dalla noradrenalina, come è dimostrato dalla<br />

persistente vasodilatazione locale a seguito di simpaticectomia, o dall’ipotermia (per persistente<br />

vasodilatazione associata a ridotta termogenesi a seguito di surrenectomia).<br />

• la termodispersione<br />

◦ In condizioni fisiologiche la qualità di calore prodotto è pari a quella del calore perduto.<br />

◦ Tra le vie attraverso cui il calore è perduto, la più efficiente e continuativa è quella cutanea, a causa della<br />

sua rilevante superficie, delle variazioni di tono dei vasi superficiali, dell’evaporazione del sudore e della<br />

perspiratio insensibilis.<br />

◦ Perdita di calore si ha anche con la respirazione, con l’emissione delle feci e delle urine e con<br />

l’introduzione di cibi e bevande freddi.<br />

• modalità di dispersione del calore<br />

◦ Conduzione: ad esempio dai vasi arteriosi a quelli venosi quando il decorso è comune e le pareti sono a<br />

contatto.<br />

◦ Convezione: ad esempio dalla superficie cutanea a contatto con l’aria. L’aria riscaldata si espande e si<br />

muove verso l’alto, sostituita da aria più fredda. La ventilazione aumenta questa modalità di dispersione<br />

del calore.<br />

◦ Irraggiamento: dalla superficie cutanea, quando questa ha una temperatura superiore a quella<br />

dell’ambiente e degli oggetti circostanti. E’ funzione della quarta potenza della temperatura assoluta del<br />

corpo che irradia. La temperatura cutanea varia con la vasodilatazione o vasocostrizione e quindi<br />

l’irraggiamento dipende dall’afflusso ematico superficiale. L'irraggiamento non prevede contatto diretto<br />

tra gli scambiatori, e non necessita di un mezzo per propagarsi.<br />

◦ Evaporazione: La sudorazione rappresenta la modalità termodispersiva più efficiente. L’evaporazione di<br />

100 ml di acqua impedisce che la temperatura cutanea aumenti di un grado.<br />

◦ Quando la temperatura ambiente è superiore a quella corporea le prime tre modalità sono inefficienti e<br />

solo l’evaporazione può sottrarre calore, ma solo se l’aria ambiente non sia satura di umidità.<br />

L’esposizione al caldo secco è sopportata meglio che quella al caldo umido.<br />

◦ Acclimatamento: capacità di adattarsi, dopo alcuni giorni, a condizioni di caldo umido.<br />

◦ Un soggetto acclimatato o abituato all’esercizio fisico può produrre sino a 3 litri/ora di sudore.<br />

◦ Le ghiandole sudoripare di un soggetto acclimatato o allenato all’esercizio fisico sono iperplastiche.<br />

I centri termoregolatori<br />

• Con il riscaldamento localizzato dell’area preottica si ha una risposta termodispersiva (vasodilatazione,<br />

sudorazione, tachipnea, ecc).<br />

• Con il raffreddamento dell’area preottica si ha una risposta termogenetica e termoconservativa (vasocostrizione<br />

cutanea, orripilazione, brivido, secrezione di ormoni termogenetici e dei relativi fattori ipotalamici di rilascio).<br />

• Esistono due tipi di centri termoregolatori, gerarchicamente coordinati, inferiori e superiori: l’area preottica è il<br />

centro superiore.<br />

• Temperatura di riferimento: E’ la temperatura ottimale per ogni specie (37°C nell’uomo, 39°C nel coniglio)<br />

rispetto alla quale ogni scostamento verso valori inferiori innesca meccanismi termogenetici e verso valori<br />

superiori meccanismi termodispersivi. I meccanismi vasomotori e metabolici sono regolati da una complessa<br />

rete neuroendocrina.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 81


◦ Ad esempio ad un abbassamento della temperatura dei centri si può avere: ipotalamo → rilascio di TRH<br />

→ adenoipofisi → produzione di TSH → tiroide → produzione tiroxina → risposta termogenetica negli<br />

organi bersaglio.<br />

Tiroide e termogenesi - Meccanismi di controllo della funzione tiroidea<br />

La regolazione dell’attività della tiroide è volta al mantenimento di livelli circolanti adeguati di T3 e T4 ed è affidata a 3<br />

sistemi di controllo:<br />

1) il primo è costituito dalla liberazione ipofisaria di TSH, "thyroid stimulating hormone", (a sua volta controllato<br />

dall’ipotalamo, con meccanismo a feed-back, dal TRH, “Thyrotropin- releasing hormone“, detto anche TRF,<br />

“Thyrotropin-releasing factor”)<br />

2) il secondo intratiroideo consiste nella possibilità di autoregolazione della liberazione di T3 e T4 in funzione dei<br />

livelli di iodio organico intracellulare<br />

3) il terzo, periferico, è rappresentato dall’attività delle monodeiodinasi microsomiali e dalla conseguente<br />

trasformazione della T4 in T3, biologicamente più attiva<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 82


Effetti biologici degli ormoni tiroidei<br />

• L’azione più nota è l’aumento del consumo di ossigeno e la produzione di calore.<br />

• A livello metabolico gli ormoni tiroidei stimolano la glicogenolisi, la neoglucogenesi ed hanno azione<br />

iperglicemizzante; sul metabolismo dei lipidi hanno un’azione lipolitica, attraverso l’attività delle<br />

catecolamine.<br />

• Sul cuore T4 e T3 determinano tachicardia e incremento della pompa (effetti cronotropi e inotropi positivi).<br />

• Sul tubo digerente, un aumento della motilità ma una riduzione dell’assorbimento.<br />

• Sul sistema scheletrico, attivazione degli osteoclasti e, quindi, di riassorbimento osseo.<br />

• Azioni dirette sui mitocondri determinano un rialzo della produzione di ATP e del consumo di ossigeno.<br />

Organizzazione del centro termoregolatore<br />

• Nell’area preottica si possono distinguere 4 tipi di neuroni<br />

• neuroni W (warm) = neuroni recettivi ai segnali termici al di sopra e al di sotto di 37°C:<br />

• neuroni I (insensitive) = neuroni insensibili agli stimoli termici<br />

• neuroni w = neuroni effettori della perdita di calore<br />

• neuroni c (cold) = neuroni effettori della produzione di calore<br />

Alterazioni della temperatura corporea<br />

• Ipertermie: aumento della temperatura corporea al di sopra di quella di riferimento.<br />

• Ipotermie: abbassamento della temperatura corporea al di sotto di quella di riferimento per riduzione della<br />

termogenesi o aumento della termodispersione senza modificazione dei neuroni termosensibili.<br />

• Ipertermie non febbrili: aumento della temperatura dato da<br />

◦ aumento della termogenesi<br />

◦ riduzione della termodispersione<br />

• Ipertermie febbrili: aumento della temperatura corporea dato da una particolare alterazione dei centri<br />

termoregolatori prodotta dal rilascio di citochine pirogeniche che induce il riassetto a livello superiore del<br />

punto sensibile alla temperatura di riferimento con la conseguenza che sia i processi termogenetici che quelli<br />

termodispersivi si adattano a questa nuova condizione.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 83


TIPI <strong>DI</strong> FEBBRE<br />

• Continua: oscillazioni giornaliere < 1° C (esempio febbre da Salmonella typhi)<br />

• Remittente: oscillazioni giornaliere > 1°C (febbre di tipo settico)<br />

• Intermittente: alternanza di periodi febbrili a periodi di apiressia con intervalli di giorni (quotidiana, terzana,<br />

quartana)<br />

• Ricorrente: alternanza di periodi febbrili della durata di alcuni giorni a periodi di apiressia anch’essi della<br />

durata di alcuni giorni: la defervescenza avviene per crisi: esempio febbri da tripanosomi, da Borrelia.<br />

• Ondulante: alternanza di periodi febbrili della durata di alcuni giorni a periodi di apiressia anch’essi della<br />

durata di alcuni giorni: la defervescenza avviene per lisi: è tipica delle infezioni da Brucella<br />

La frebbe può scendere per:<br />

− crisi = in modo brusco a seguito di sudorazione, in poche ore<br />

− lisi = in modo decrescente, in qualche giorno<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 84


La febbre<br />

• Ippocrate: sbilanciamento dell’equilibrio tra gli umori (bile nera, bile gialla, flegma e sangue) per eccesso di<br />

bile gialla.<br />

• Paracelso: (1493-1541): squilibrio tra i costituenti dell’organismo (mercurio, sale, zolfo).<br />

• Claude Bernard (1813-1878): i processi metabolici come fonte dell’energia calorica dell’organismo.<br />

• Fine XIX secolo: relazione tra processi infettivi e febbre.<br />

• 1950: le endotossine come “pirogeni”<br />

Le endotossine come pirogeni endogeni<br />

• Periodo di latenza tra inoculazione della endotossina e rialzo febbrile<br />

• Il periodo di latenza poteva essere abbreviato per incubazione in vitro dell’endotossina con il sangue e<br />

successiva inoculazione<br />

• Dei componenti del sangue apparivano determinanti i leucociti<br />

• Attenuazione o scomparsa del rialzo febbrile per inoculazione di<br />

endotossine in conigli resi leucopenici<br />

Pirogeni esogeni ed endogeni<br />

• I pirogeni endogeni sono prodotti in seguito ad azione fagocitaria<br />

dei leucociti sia nei confronti dei gram-negativi (endotossine,<br />

LPS) sia dei gram-positivi (muramildipeptide, MDP, vedi figura<br />

a fianco). Questi ultimi sono detti pirogeni esogeni<br />

• Mentre il LPS purificato è un pirogeno assai potente (2 ng/Kg<br />

peso corporeo danno un aumento di 2°C) il MDP isolato è assai<br />

poco pirogenico.<br />

Pirogeni endogeni: le citochine pirogeniche<br />

• Dapprima fu dimostrata la natura proteica del pirogeno endogeno<br />

e la sua produzione da parte dei monociti e macrofagi.<br />

• Successivamente si accertò che tali cellule producevano non una ma numerose molecole con attività<br />

pirogenica, dotate anche di un’altra importante attività: l’induzione negli epatociti della produzione e<br />

secrezione delle proteine della fase acuta, associate al processo flogistico.<br />

• Inoltre fu possibile dare anche una spiegazione della patogenesi delle febbri non associate ad infezioni da<br />

gram-negativi, ma a infezioni virali e fungine, a malattie sistemiche quali il lupus eritematoso, a reazioni<br />

indesiderate a farmaci, a tumori, riscontrando come in queste condizioni si verifichi liberazione, da varie<br />

cellule, di altre molecole pirogeniche, poi identificate con le citochine.<br />

• Le cellule che producono citochine pirogeniche non sono limitate ai monociti e macrofagi, ma includono<br />

cheratinociti, cellule endoteliali, miociti, cellule nervose.<br />

• Le citochine pirogeniche possono, con meccanismi autocrini, paracrini e endocrini, indurre la sintesi di altre<br />

molecole, tra cui se stesse, contribuendo ad amplificare il fenomeno.<br />

• Le più attive citochine pirogeniche sono IL-1 e TNF.<br />

Principali induttori della produzione di interleuchina-1<br />

• Microrganismi; Virus; Batteri; Spirochete; Funghi<br />

• Prodotti microbici; Endotossine dei batteri gram-negativi; Peptidoglicani batterici; Esotossine di stafilococchi e<br />

streptococchi patogeni; Polisaccaridi fungini<br />

• Agenti infiammatori<br />

• Sali biliari<br />

• Cristalli di acido urico<br />

• Cristalli di silice<br />

• Componenti del complemento (C5a)<br />

• Metaboliti ormonali (etiocolanolone)<br />

• Antigeni (azione indiretta)<br />

• Antigeni microbici (proteine stafilococciche tubercolina)<br />

• Antigeni non microbici (varie proteine)<br />

Azione delle citochine a livello dei centri termoregolatori<br />

• Come possono penetrare nell’encefalo se la membrana ematoencefalica non consente il passaggio di proteine?<br />

• Si ritiene che le cellule endoteliali della barriera ematoencefalica, stimolate da IL-1 nel loro lato, o polo<br />

vascolare, stimolino la produzione di nuova IL-1 dal polo encefalico della barriera.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 85


• Ma si ritiene anche che le citochine pirogeniche plasmatiche possano attraversare la barriera ematoencefalica<br />

in corrispondenza della zona che circonda i neuroni della regione preottica, detta Organum vasculosum<br />

laminae terminalis (OVLT), zona in cui la barriera è più permeabile.<br />

• E’ interessante ricordare che fattori di crescita emopoietici, come il GM-CSF e il G-CSF, a dosi elevate<br />

stimolano i leucociti a sintetizzare IL-1 e TNF.<br />

• A tale effetto è da attribuire la comparsa di febbre in pazienti sottoposti a trapianto di midollo osseo e trattati<br />

con fattori di crescita.<br />

• Inoltre in pazienti con febbre o in soggetti sani inoculati con endotossine si è riscontrata la presenza nelle urine<br />

di una proteina del p.m. di 25 kD, analoga a IL-1, che rappresenta un antagonista di IL-1, detta IL-1-ra (IL-1<br />

receptor antagonist), capace di fissarsi ai recettori cellulari per IL-1, competendo con il legame di IL-1.<br />

• Recettori solubili per IL-1 e TNF bloccano in circolo le rispettive citochine limitando l’interazione con i<br />

recettori cellulari.<br />

Ruolo delle prostaglandine nella patogenesi della febbre<br />

• Le citochine pirogeniche non agiscono direttamente sui centri termoregolatori, ma tramite la produzione di<br />

prostaglandine della serie E2.<br />

• Le citochine pirogeniche (in particolare IL-1 e TNF) stimolano in vitro la produzione di PGE2 da parte di<br />

cellule endoteliali in coltura.<br />

• La conclusione è avvalorata dall’osservazione di un effetto antipiretico dei farmaci, quali l’aspirina, che<br />

inibiscono la ciclossigenasi.<br />

• PGE2 aumenta nella regione ipotalamica e nel liquido cefalorachidiano a seguito del trattamento con pirogeni<br />

esogeni o con pirogeni endogeni e si mantiene ad una elevata concentrazione per tutta la durata della febbre.<br />

• Non si conosce tuttavia il meccanismo molecolare con cui PGE2 modifica la “temperatura di riferimento” dei<br />

neuroni termoregolatori.<br />

• Ricerche di elettrofisiologia hanno stabilito che PGE2 provocano nei neuroni W un effetto inibitorio mediato<br />

da un incremento di cAMP intracellulare. C’è proporzionalità tra concentrazione di PGE2, incremento di<br />

cAMP e inibizione di W. L’inibizione di W consiste in un innalzamento della soglia di sensibilità termica e<br />

quindi i segnali termici vengono avvertiti ad una temperatura superiore.<br />

Meccanismo neuronale della febbre<br />

• Nella fase di rialzo termico W non inviano segnali eccitatori ai neuroni w e inibitori ai neuroni c. Prevalgono i<br />

segnali di I (inibitori per w e eccitatori per c) e si ha una risposta termogenetica.<br />

• Nella fase del fastigio l’ipotalamo è ad una temperatura T > 37°C e i neuroni W (con livelli di cAMP<br />

intracellulare aumentati) controbilanciano i neuroni I.<br />

• Nella fase della defervescenza diminuisce cAMP, si riattivano W che avvertono la maggior temperatura<br />

ipotalamica e si innesca la risposta termodispersiva<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 86


Sindromi febbrili periodiche ereditarie<br />

Sindrome Gene Proteina Popolazione Durata attacco Altri sintomi<br />

febbrile<br />

Febbre mediterranea MEFV Pirina o marenostrina<br />

Ebrei, Armeni, Arabi, 1-3 gg Peritonite,<br />

familiare, FMF<br />

16p 13.3 Proteina dei granulociti<br />

Turchi<br />

costipazione,<br />

moderatrice della infiammazione<br />

amiloidosi<br />

Ipertermia-IgD, HIDS MVK Chinasi per mevalonato<br />

Olandesi, altri Europei 3-7 gg Dolori<br />

12q24 Precursore steroidi<br />

addominali,<br />

diarrea<br />

Febbre periodica associata TNFR1 Recettore-1 per il TNF Irlandesi, Scozzesi, > 7 gg Diarrea, pleurite,<br />

al recettore per il TNF, 12p13<br />

Finlandesi, altri<br />

mialgie,<br />

TRAPS<br />

amiloidosi<br />

Alterazioni metaboliche nella febbre<br />

• Aumento del metabolismo basale del 13% per grado al di sopra di 37°C.<br />

• Carboidrati: aumento della glicogenolisi epatica e muscolare, aumento della glicemia, con ridotta utilizzazione<br />

del glucosio da parte delle cellule. Aumento della glicolisi con aumento dell’acido lattico e piruvico nel<br />

sangue.<br />

• Lipidi: comparsa di corpi chetonici nel sangue e chetonuria. Lipolisi nei tessuti adiposi. Acidosi metabolica<br />

solo per febbri di lunga durata.<br />

• Protidi: bilancio azotato negativo. Aumento sino a 3 volte dell’azoto urinario che da 10-15 g/die può arrivare a<br />

40-45 g/die (aumenta più l’azoto ammoniacale che l’urea, che tuttavia è aumentata), ipercreatininuria e<br />

comparsa di creatinuria (che nel normale è assente). Tali dati riflettono il danno muscolare (con sensazione<br />

soggettiva<br />

• Riduzione della diuresi per maggiore eliminazione di acqua per via respiratoria e con il sudore: eliminazione di<br />

urina ad alto peso specifico. Ritenzione di cloruri, eliminazione di fosfati. Si riscontra aumento di eliminazione<br />

di potassio, in conseguenza del danno muscolare ed altre cellule.<br />

Effetti della febbre sull'organismo<br />

• Nel periodo prodromico prevalenza del tono simpatico.<br />

• Nella fase di fastigio si ha vasodilatazione (da prostaglandine, da endotossine stesse), ma in complesso la<br />

pressione sistolica non è ridotta.<br />

• Si ha tachicardia con aumento medio di 8 pulsazioni per grado al di sopra di 37°C. Si ha polipnea = aumento<br />

degli atti respiratori per minuto.<br />

• Nella fase della defervescenza si ha un quadro simile alle ipertermie non febbrili (vasodilatazione,<br />

sudorazione, ecc.)<br />

IPERTERMIA MALIGNA E ANESTESIA<br />

La ipertermia maligna (IM) è una rara ma gravissima complicanza dell’anestesia generale (AG), che occorre in soggetti<br />

predisposti geneticamente (soggetti suscettibili all’IM) in seguito alla esposizione a fattori scatenanti. E' quindi di<br />

importanza fondamentale riconoscere i soggetti potenzialmente suscettibili, proprio perché a questo livello si può<br />

effettuare il primo intervento di prevenzione della esposizione ai fattori scatenanti.<br />

L’IM è una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante.<br />

Studi di genetica molecolare hanno dimostrato che il difetto primario della IM risiede nel canale del calcio del muscolo<br />

scheletrico comunemente noto come recettore della rianodina (RYR1).<br />

Il gene che codifica per questa proteina, che in forma tetramerica costituisce il canale del calcio, si trova sul cromosoma<br />

19q.<br />

Incidenza dell'ipertermia maligna<br />

Nella sua espressione clinica l’I.M. è un’affezione rara.<br />

Si può stimare che l’incidenza globale si collochi intorno a 1:15.000 anestesie nella popolazione pediatrica e 1:50.000 in<br />

quella adulta, con una lieve predisposizione per il sesso maschile e per l’età pediatrica, senza peraltro che siano<br />

riconoscibili dei fattori di predittività (un soggetto già esposto a fattori scatenanti, in cui non sia comparsa la sindrome,<br />

non può essere considerato senza rischio ad una successiva esposizione).<br />

La mortalità si attesta attualmente sul 7% dei casi nel mondo.<br />

Cosa scatena l'ipertermia maligna?<br />

Farmaci scatenanti una crisi di IM nei soggetti suscettibili sono gli anestetici volatili alogenati e/o la succinilcolina.<br />

Si possono distinguere tre tipi di crisi di IM, in relazione al quadro clinico: forme fulminanti, forme moderate, forme<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 87


abortive.<br />

È importante ricordare che nei pazienti IM-suscettibili l’intervento chirurgico in anestesia generale con agenti scatenanti<br />

non sempre induce una crisi; un soggetto IM-suscettibile può essere sottoposto numerose volte senza conseguenze<br />

all’anestesia generale e reagire con una crisi di IM la volta successiva.<br />

Patogenesi e decorso dell'ipertermia maligna<br />

Una volta scatenata, la crisi di IM può evolvere fino al decesso. Nei casi mortali il progredire degli eventi può<br />

manifestarsi rapidamente, anche nel giro di 15 minuti, o durare oltre un’ora.<br />

La caratteristica patogenetica fondamentale dell’affezione consiste in una difettosa regolazione del calcio libero<br />

citoplasmatico nella cellula muscolare striata dovuta ad un’alterazione genetica dei canali del calcio.<br />

I farmaci scatenanti nei soggetti suscettibili provocano una prolungata apertura dei canali del calcio con un aumento<br />

abnorme della concentrazione di tale ione nel citoplasma della fibrocellula muscolare.<br />

Il flusso non regolato di calcio provoca una contrazione muscolare patologica ed aumenta l’attività metabolica dei<br />

muscoli.<br />

I muscoli attivati in tali condizioni consumano un’eccessiva quantità di ossigeno con produzione di acqua, anidride<br />

carbonica e lattati e conseguente grande produzione di calore.<br />

E’ alterata l’integrità della membrana cellulare: proteine quali Creatinchinasi (CPK) e mioglobina si liberano nel<br />

sangue.<br />

L’aumento di potassio nel sangue provoca tachicardia e tachiaritmia fino all’arresto cardiaco, se non si interviene<br />

tempestivamente.<br />

La mancanza di ossigeno può causare danni cerebrali.<br />

L’aumento di anidride carbonica nel sangue stimola una respirazione rapida e profonda.<br />

La mioglobina si sposta dalle cellule dei muscoli nei reni dove può causare un’insufficienza renale acuta.<br />

Il rilascio di grandi quantità di calore da parte dei muscoli sottoposti ad eccessiva attività metabolica provoca<br />

l’innalzamento della temperatura del paziente più rapidamente di quanto il sistema naturale di termoregolazione possa<br />

tenere sotto controllo.<br />

Nel giro di pochi minuti può verificarsi un aumento a 41°C ed oltre.<br />

Trattamento dell'ipertermia maligna<br />

Oltre ad uno specifico trattamento farmacologico (sodio dantrolene), è utile:<br />

• Sospendere la somministrazione di anestetici volatili e di succinilcolina.<br />

• Iperventilare con O2 al 100%.<br />

• Controllare le aritmie cardiache con antiaritmici.<br />

• Monitorare la temperatura centrale.<br />

• Raffreddare il paziente.<br />

• Seguire il profilo coagulativo - può insorgere CID.<br />

• Dosare il CK ogni 12 ore fino alla sua normalizzazione.<br />

• Mantenere controllato il paziente perché sono possibili recrudescenze nel 25% dei casi.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 88


L'INFIAMMAZIONE o FLOGOSI<br />

Infiammazione = dal latino: fiamma<br />

Flogosi = dal greco: fuoco<br />

L'infiammazione acuta è caratterizzata infatti da calore e rossore.<br />

Nomenclatura: aggiungere il suffisso -ite al nome dell'organo interessato dall'infiammazione (acuta o cronica).<br />

− es. pancreatite, artrite, connettivite<br />

− malattie autoimmuni sistemiche, ad es. lupus eritematoso sistemico<br />

Le due grandi risposte difensive dell'organismo sono:<br />

− immunitaria = altissima specificità, data da anticorpi specifici per l'antigene<br />

− infiammatoria = altamente aspecifica, sempre uguale, stereotipata, qualunque sia la causa del danno<br />

− nasce come una risposta difensiva, ma può avere effetti negativi<br />

− è la risposta più comune dell'organismo ad un danno tissutale<br />

Cause dell'infiammazione<br />

• Cause: tutte le cause biologiche, chimiche o fisiche che provocano danno cellulare<br />

◦ Chimiche (acidi, alcali, silicio, berillio, asbesto, olio di croton)<br />

◦ Fisiche (radiazioni, temperature estreme, traumi, corpi estranei, protesi)<br />

◦ Biologiche (viventi: microrganismi; non viventi: tossine, detriti)<br />

L’infiammazione coinvolge anzi tutto i vasi sanguigni:<br />

• Negli organismi semplici privi di sistema vascolare (unicellulari, parassiti pluricellulari) reagiscono al danno<br />

localizzato intrappolando e fagocitando l’agente lesivo<br />

• Negli organismi evoluti tali forme di intrappolamento e di fagocitosi sono conservate ma la risposta al danno<br />

localizzato è anzi tutto la reazione dei vasi sanguigni<br />

Segni classici di infiammazione o flogosi<br />

• L’etimo rimanda al significato di fiamma, fuoco<br />

• Segni classici di infiammazione (noti sin dall’antichità):<br />

◦ rubor, tumor, calor, dolor (descritti da Celso, medico romano)<br />

◦ functio laesa (aggiunto da Virchow, 1793) = alterazione funzionale del tessuto interessato<br />

• Ricordiamo inoltre:<br />

◦ Conheim, pieno 800, per la descrizione dei fenomeni vascolari<br />

◦ Metchnikoff, un “romantico” di fine 800, per aver identificato nella fagocitosi la finalità<br />

dell’infiammazione (dando in pasto spine di rosa a larve di stella marina);<br />

◦ Lewis, primi del 900, pone le basi per la scoperta dei mediatori chimici (primo conosciuto è l'istamina)<br />

La reazione dei vasi sanguigni porta ad un accumulo di liquidi, proteine e cellule difensive nella sede del danno, con lo<br />

scopo di:<br />

• diluire l’agente lesivo (liquidi)<br />

• intrappolarlo (proteine?)<br />

• di distruggerlo (cellule)<br />

• Se non è possibile distruggere l’agente lesivo, lo scopo diventa circoscriverlo.<br />

Nel processo infiammatorio:<br />

− alcune cellule sono protagoniste nell'acuta, altre in quella cronica<br />

− le cellule comunicano fra loro intensamente attraverso rilascio di molecole solubili e esposizione di altre sulla<br />

loro superficie<br />

Infiammazione acuta:<br />

− è la vera e propria infiammazione, caratterizzata da calore e rossore<br />

− scopo della flogosi acuta è eliminare l’agente lesivo e riparare il danno<br />

− è detta angioflogosi perché la risposta è una complessa reazione del tessuto connettivo vascolarizzato, in<br />

particolare dal microcircolo (tra arteriola e venula)<br />

− nasce come risposta ai microbi, ma si dirige anche verso altre cause di danno<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 89


− una delle possibili evoluzioni dell'infiammazione acuta è quella cronica<br />

Infiammazione cronica:<br />

− scopo della flogosi cronica è contenere, controllare, circoscrivere l’infezione o il danno. La flogosi cronica può<br />

seguire una flogosi acuta non risolta, oppure è tale sin dall’inizio (sostanze insolubili, corpi estranei, TBC)<br />

− è detta istoflogosi perché deriva frequentemente dall'infiammazione acuta che non è riuscita a debellare il<br />

danno => circoscrive con diversi citotipi l'agente eziologico inglobandolo<br />

− es. per micobatterio della tubercolosi, che l'infiammazione acuta non riesce a debellare<br />

L’infiammazione acuta si completa con il processo riparativo<br />

− Infatti, una volta eliminata la causa del danno nel focolaio flogistico, interviene il processo riparativo a<br />

sostituire i tessuti lesi tramite (a seconda del tipo e dell’entità del danno):<br />

− rigenerazione parenchimale (dove possibile) => restitutio ad integrum<br />

− fibrosi e cicatrizzazione<br />

− o entrambe<br />

Nella flogosi cronica il processo riparativo è presente, ma assume un significato diverso.<br />

L’infiammazione è una risposta difensiva. Tuttavia infiammazione e riparazione possono talora essere dannose,<br />

ad esempio:<br />

− Le pericolose reazioni di ipersensibilità<br />

− Molte forme di artrite (ad esempio l’artrite reumatoide) = risposta immunitaria + risposta infiammatoria =><br />

distruzione dell'articolazione<br />

− L’arteriosclerosi = principale forma di aterosclerosi, è una risposta infiammatoria della parete vascolare<br />

− Le cicatrici deformanti, le sinechie (cicatrici deformanti), le aderenze che provocano ostruzione intestinale o<br />

limitano la mobilità delle articolazioni<br />

− L’epiglottidite da Haemophylus influenzae (asfissia)<br />

− Le conseguenze infiammatorie della meningite meningococcica<br />

CELLULE DELL'INFIAMMAZIONE<br />

− Le cellule del processo infiammatorio: protagoniste, attrici, comparse e parte interpretata da ciascuna<br />

− 10 tipi di cellule possono “recitare” sul “palcoscenico” del processo infiammatorio<br />

− nella flogosi acuta l’attore protagonista è il neutrofilo<br />

− nella infiammazione cronica il protagonista è il macrofago, o istiocita, che entra anche in gioco al<br />

termine dell'infiammazione acuta per ripulire i residui<br />

− tutti i tipi sono quiescenti in condizioni normali, ma si attivano nel focolaio infiammatorio<br />

− tutti producono mediatori chimici: il linguaggio chimico dell’infiammazione<br />

Granulocita neutrofilo<br />

• è l'attore principale dell'infiammazione acuta, agisce sempre in gruppi numerosi<br />

• è un po' più grande del globulo rosso => deve deformarsi per passare nei capillari più piccoli<br />

• è in grado di strisciare appiattendosi<br />

• Leucocita presente, in condizioni normali, solo nel sangue e nel midollo osseo. Vita breve: 12-20 ore.<br />

• Poco reticolo endoplasmico, pochi mitocondri, notevoli riserve di glicogeno dalle quali estraggono energia per<br />

il movimento.<br />

• Dotato di elevata capacità battericida, conferitagli da circa 2000 granuli di tre tipi:<br />

◦ granuli primari o azzurrofili, simili ai lisosomi e, come questi, contenenti principalmente idrolasi acide<br />

(enzimi attivi a pH acido con meccanismo idrolitico). Contengono inoltre: catepsine, elastasi, fosfolipasi;<br />

◦ granuli secondari o specifici, i più numerosi ed i primi ad essere “consumati” durante la fagocitosi.<br />

Contengono collagenasi, lisozima, lattoferrina<br />

◦ granuli terziari o particelle C, contenenti catepsine e gelatinasi<br />

• Uccide quando, attivato, va incontro ad una esplosione respiratoria, durante la quale secerne enzimi e radicali<br />

liberi dell’ossigeno. I microorganismi ingeriti sono demoliti attraverso la generazione di composti tossici<br />

dell’ossigeno. E’ dunque una cellula secretoria la cui secrezione inizia quando è richiamata da stimoli<br />

chemiotattici.<br />

• A valori inferiori a 1000-500/mm3 (neutropenia): minaccia di infezioni batteriche (questo significa che agisce<br />

anche normalmente).<br />

• La sua presenza nei tessuti (e un valore alto nel sangue) è indicativa di eventi acuti come un’invasione<br />

batterica o un altro tipo di danno tissutale.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 90


• Riconoscibilissimo per il nucleo, che nel granulocita neutrofilo è suddiviso in due-cinque lobi connessi da un<br />

filamento (non si sa il perché di questo)<br />

• Può emettere pseudopodi per "abbracciare" il microbo => rilascia granuli => fagocitosi<br />

Leucocitosi = aumento di globuli bianchi<br />

Neutrofilia = aumento di neutrofili<br />

Linfocitosi = aumento dei globuli bianchi, in particolare dei linfociti<br />

Granulocita eosinofilo<br />

• Vive più a lungo del neutrofilo, ed è quindi anche meglio “equipaggiato” di reticolo endoplasmatico e di<br />

mitocondri. Se stimolato, produce un’esplosione respiratoria più grande del neutrofilo: risponde, infatti, ad<br />

invasori più grandi, essendo la sua azione difensiva diretta nei confronti di infestioni parassitarie (potremmo<br />

ricordarlo come un killer dei vermi!).<br />

• Nel sangue: 2-3 eosinofili ogni 55 neutrofili. Nei tessuti gli eosinofili sono molto diffusi, specialmente ove<br />

abbondano i mastociti, come nella mucosa del tratto gastroenterico (sembra inattivino l’istamina liberata<br />

durante le reazioni allergiche di tipo anafilattico causate da anticorpi IgE. A meno che non stiano lì ad aspettare<br />

i vermi!)<br />

• I granuli degli eosinofili contengono proteine cationiche, cioè cariche positivamente (un fatto che si accorda<br />

con la loro affinità con il colorante acido eosina), con cui si legano a molecole cariche negativamente della<br />

membrana di cellule parassitarie:<br />

◦ PBM (proteina basica maggiore) = occupa tutta la porzione centrale di un granulo, come un cristallo, è<br />

molto lesiva<br />

◦ Proteina cationica degli eosinofili<br />

• Nei soggetti allergici è presente una certa eosinofilia (non si sa perché) e forse in questo caso gli eosinofili<br />

fanno più danno che beneficio, ad es. nell'asma.<br />

Granulocita basofilo e mastocita => intervengono nelle reazioni allergiche<br />

• Le mast-zellen (o mastociti) si trovano sia nelle mucose (soprattutto quella intestinale), sia nel connettivo<br />

della maggior parte dei tessuti ed organi, come elementi cellulari derivati da un precursore midollare comune.<br />

Ricchi di granuli contenenti ISTAMINA e altri mediatori dell’infiammazione: PAF e diverse citochine,<br />

compreso il TNF-α. Contengono inoltre eparina e proteoglicani per immagazzinare i mediatori senza che<br />

questi siano dannosi per la cellula. Iperplasia delle mast-zellen mucosali nelle infestioni parassitarie.<br />

• I basofili sono leucociti del sangue circolante. Anch’essi, come le mast-zellen, sono ricchi di granuli di<br />

ISTAMINA, eparina e numerosi enzimi. Esprimono sulla loro superficie recettori per le IgE. Rappresentano il<br />

corrispettivo “circolante” delle mast-zellen tissutali: pur avendo precursori diversi, basofili e mast-zellen hanno<br />

struttura e funzioni simili.<br />

Monociti e macrofagi<br />

• I monociti e i macrofagi rappresentano due fasi della stessa cellula, la fase circolante e la fase tissutale.<br />

Nell’infiammazione fanno la loro comparsa come una seconda ondata di cellule, per portare a termine ciò che i<br />

neutrofili avevano incominciato. Nella cronicizzazione della flogosi, subentrano definitivamente ai neutrofili.<br />

Sono, quindi, le cellule protagoniste della flogosi cronica.<br />

• Molte attività: fagocitosi, immunità, angiogenesi, fibrosi, eliminazione dei rifiuti, secrezione di una vasta<br />

gamma di proteine, induzione della febbre e di altre reazioni generali dell’organismo nella flogosi.<br />

Ricordiamoci che SONO MACROFAGI anche:<br />

• le cellule giganti dell’infiammazione cronica<br />

• le cellule schiumose dell’aterosclerosi<br />

• le cellule che producono TNF (detto anche cachettina) per i suoi effetti generali<br />

• Inoltre:<br />

◦ i macrofagi dei siti extravascolari dei tessuti sono denominati anche istiociti<br />

◦ Sono macrofagi gli osteoclasti del midollo osseo, le cellule di Kupffer dei sinusoidi epatici, le cellule<br />

microgliali del cervello.<br />

Piastrine<br />

• Indispensabili per interrompere le emorragie, chiudendo le lesioni endoteliali formando il primo tappo<br />

emosatico, e per mantenere l’integrità dell’endotelio.<br />

• All’infiammazione partecipano col rilascio di 19 diversi tipi di molecole.<br />

• sono presenti nell'infiammazione perché spessissimo ci sono vasi troncati (nella flogosi il danno tissutale è<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 91


seguito da danno vascolare)<br />

Linfociti, fibroblasti, cellule endoteliali<br />

• LINFOCITI T, LINFOCITI B = Cellule della risposta immunitaria (specifica). Possono intervenire anche nella<br />

risposta flogistica (aspecifica), come pure le CELLULE NK (citolitiche)<br />

• FIBROBLASTI = Non solo stanziali produttori di fibre, ma anche elementi cellulari dinamici e capaci di<br />

spostarsi in risposta a stimoli chemiotattici. Sintetizzano collageno, elastina e glicosaminoglicani, anche se<br />

oggi è noto che non sono il solo tipo cellulare capace (anche fibrocellule muscolari lisce ed endotelio possono<br />

farlo). Sono le cellule protagoniste del processo riparativo.<br />

• CELLULE ENDOTELIALI = Fondamentali nell’infiammazione, poiché costituiscono la barriera che deve<br />

essere attraversata dai due componenti dell’essudato infiammatorio: i leucociti e il plasma.<br />

N.B.: ESSUDAZIONE: passaggio di liquido ricco di proteine nel tessuto interstiziale extravascolare per aumento della<br />

permeabilità vascolare nella infiammazione acuta.<br />

L'INFIAMMAZIONE ACUTA O ANGIOFLOGOSI<br />

Dinamica dell'angioflogosi:<br />

1) le modificazioni del flusso e del calibro<br />

vascolare, che portano all’aumento del flusso<br />

sanguigno<br />

2) Le modificazioni del microcircolo e la<br />

formazione dell’essudato infiammatorio<br />

3) il richiamo (chemiotattico) del leucocita<br />

all’azione<br />

4) la fagocitosi<br />

Le modificazioni del flusso e del calibro vascolare iniziano<br />

subito dopo lo stimolo lesivo.<br />

Ad una vasocostrizione arteriolare transitoria (dura pochi<br />

secondi) ed incostante (non sempre presente) segue una<br />

vasodilatazione intensa dapprima arteriolare poi<br />

coinvolgente tutto il microcircolo. E’ la fase<br />

dell’IPEREMIA ATTIVA, con aumento del numero dei<br />

capillari pervi ed aumento del flusso ematico, cui<br />

corrispondono il rubor ed il calor.<br />

L’evento successivo è il RALLENTAMENTO DELLA<br />

CIRCOLAZIONE che introduce alla fase<br />

dell’IPEREMIA PASSIVA (o stasi).<br />

Il rallentamento del flusso è causato dall’aumento di<br />

permeabilità dei capillari con l’essudazione di liquido<br />

ricco di proteine (essudato) dai vasi nei tessuti<br />

extravascolari dell’interstizio. Aumenta la viscosità del<br />

sangue (rappresentato dalla presenza di globuli rossi<br />

fittamente stipati nei capillari dilatati = formano rouleau,<br />

in francese significa rullo, addensamenti cilindrici).<br />

L'essudato è quel liquido ricco di proteine caratteristico<br />

dell'infiammazione.<br />

Il trasudato è invece un liquido povero di proteine.<br />

Modello fondamentale della risposta infiammatoria acuta:<br />

• in corrispondenza del danno locale si ha una risposta vascolare e cellulare così configurata:<br />

◦ modificazioni del flusso e del calibro vascolare<br />

▪ (iperemia attiva e passiva)<br />

◦ permeabilizzazione endoteliale e formazione dell’essudato<br />

◦ migrazione dei leucociti nell’interstizio e accumulo nel focolaio della lesione<br />

◦ fagocitosi<br />

Chemiotassi dei leucociti<br />

E’ definibile semplicemente come un movimento orientato lungo un gradiente chimico. Lo stesso processo avviene per<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 92


neutrofili, monociti, linfociti, basofili e eosinofili.<br />

• I chemoattraenti possono essere esogeni (prodotti batterici) o endogeni (frazioni del sistema complementare,<br />

leucotrieni, citochine).<br />

• Mentre la stasi è in atto, si nota un orientamento periferico dei neutrofili, lungo l’endotelio dei vasi<br />

(marginazione): normalmente i leucociti stanno al centro del flusso ematico, in questo caso vanno invece alla<br />

periferia prendendo contatto con l'endotelio vascolare.<br />

• Alla marginazione segue l’adesione, i leucociti rotolano sull'endotelio come ciotoli di un fiume perché iniziano<br />

a verificarsi fenomeni di adesione, inizialmente labili (con precise molecole di adesione implicate), poi più<br />

“avidamente” con un vero e proprio ancoraggio e arresto, in modo da formare una "pavimentazione". Infine<br />

avviene il passaggio attraverso l’endotelio (diapedesi) sino all’interstizio, in cui segue la migrazione verso lo<br />

stimolo chemiotattico.<br />

◦ L'endotelio normalmente è chiuso, continuo e liscio, ma nel processo infiammatorio c'è un allargamento<br />

delle maglie dell'endotelio con aumento della permeabilità, inoltre l'endotelio è attivato ed espone<br />

molecole di adesione => i neutrofili ancorati emettono uno pseudopodo (dato da rete di filamenti di actina<br />

e miosina) nel varco tra una cellula e l'altra e trascinano dietro tutta la cellula, che esce quindi dal vaso<br />

Ci sono molecole di adesione contenute in corpiccioli intracellulari e pronte ad essere espresse sulla superficie cellulare<br />

(come la P-selectina) quando raggiungono siti infiammati => consentono un legame labile (che determina il<br />

rotolamento), altre molecole di adesione richiedono un po' più di tempo e servono per l'ancoraggio. I leucociti sono<br />

chemo-attratti dai mediatori chimici dell'infiammazione.<br />

Marginazione => pavimentazione => adesione labile => adesione stabile => migrazione<br />

Camera di Boyle = utilizzata per valutare quali sostanze sono più chemioattraenti e quali meno. Ha in mezzo un filtro<br />

con pori più piccoli rispetto alle cellule, che si trovano da un lato di esso, dal lato opposto si mette un chemoattraente<br />

che fa migrare le cellule attraverso il filtro.<br />

Microscopia elettronica a scansione = come una visione dall'alto<br />

Microscopia elettronica a trasmissione = osservo una sezione<br />

MECCANISMO <strong>DI</strong> AUMENTO DELLA PERMEABILITÀ<br />

L'aumento della permeabilità consente la fuoriuscita di liquido ricco di proteine dai vasi, aumentando la pressione<br />

osmotica interstiziale con ulteriore richiamo di liquido e formazione dell'edema. L'aumento di pressione idrostatica nei<br />

vasi dovuto alla vasodilatazione incrementa questa fuoriuscita di liquido dai vasi.<br />

In relazione al danno locale l'aumento della permeabilità può avvenire secondo i seguenti meccanismi:<br />

1) CONTRAZIONE DELLE CELLULE ENDOTELIALI<br />

La cellula contratta ha dei contorni festonati,tutta la cellula nel suo insieme (giunzioni e corpo cellulare) è contratta.<br />

E' indotta da mediatori chimici (istamina, leucotrieni, bradichinina) e la contrazione provoca l'apertura di varchi e<br />

quindi aumento di permeabilità.<br />

Questo meccanismo è immediato ed ha una durata transitoria => risposta immediata transitoria soprattutto a livello<br />

delle venule. Si ritiene che ci sia una maggior densità di recettori a livello delle venule per questi mediatori chimici.<br />

2) RETRAZIONE ENDOTELIALE<br />

Non si ha nessuna festonatura, perché la retrazione riguarda solo la regione giunzionale, oltre ad un riarrangiamento del<br />

citoscheletro che provoca contrazione solo a livello delle giunture.<br />

I mediatori chimici che la inducono sono citochine (IL-1) e la risposta è ritardata e prolungata.<br />

E' un meccanismo molto più studiato in vitro e molto meno conosciuto in vivo.<br />

3) DANNO IRREVERSIBILE <strong>DI</strong>RETTO SULL'ENDOTELIO<br />

Meccanismo molto evidente per danni diretti citolitici o da agenti microbiologici dotati di perforine (capacità citolitica)<br />

=> perdita di più cellule endoteliali => si formano delle falle nell'endotelio, con grossa perdita di liquido (per es.<br />

succede nei grandi ustionati => grande perdita di liquidi e proteine).<br />

Nel caso di una ustione (per es.) non mortale si ha una intensa essudazione che dura a lungo ed interviene subito dopo il<br />

danno. Può riguardare tutti i distretti del microcircolo perché non sono coinvolti i mediatori chimici, ma il danno è il<br />

calore. E' una risposta immediata e prolungata.<br />

4) DANNO ENDOTELIALE ME<strong>DI</strong>ATO DAI LEUCOCITI<br />

E' dovuto ai radicali dell'ossigeno o a enzimi proteolitici, che dovrebbero essere diretti contro il danno, ma che può<br />

invece danneggiare l'endotelio con perdita di cellule. Questo avviene perché i leucociti possono essere attivati mentre<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 93


sono ancora nella fase migratoria.<br />

5) ESSUDAZIONE DA SCOTTATURE SOLARI (solo in certe condizioni particolari)<br />

E' una risposta prolungata e ritardata per stimoli termici lievi e moderati (raggi X e UV). Si manifesta dopo 2-12 ore<br />

dall'esposizione solare con una essudazione che dura molto, anche dei giorni.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 94


6) ESSUDAZIONE DA CAPILLARI IN GENERAZIONE (solo in certe condizioni particolari)<br />

Nella fase di rigenerazione (cessa l'infiammazione acuta) grazie all'apporto trofico dei capillari: le gemme capillari e le<br />

cellule endoteliali non sono ancora mature e quindi prive di giunzioni => ci sono delle fenestrature => turgore<br />

caratteristico delle giovani ferite. Maturando poi si formano le giunzioni, scompaiono le fenestrature e quindi anche il<br />

turgore.<br />

MOLECOLE <strong>DI</strong> ADESIONE DEI LEUCOCITI E DELLE CELLULE ENDOTELIALI<br />

Si trovano sulle cellule endoteliali e sui leucociti => legame a due solo nel caso di processo di infiammazione acuta.<br />

Le quattro fasi sono: marginazione, pavimentazione, adesione, migrazione.<br />

Le molecole di adesione le distinguiamo in tre categorie:<br />

− selectine E, P, L = le loro porzioni N-terminali extramembrana legano zuccheri<br />

− P (GMP140) è presente sull'endotelio quando c'è infiammazione<br />

− E (Elam1) è presente sull'endotelio<br />

− L (Lam1) è presente sui leucociti<br />

− immunoglobuline: ICAM-1 (molecola di adesione intercellulare), VCAM-1 (molecola di adesione vascolare)<br />

=> interagiscono con le integrine situate sui leucociti<br />

− ICAM-1 e VCAM-2 sono molecole proprie dell'endotelio<br />

− integrine: poste sui leucociti<br />

− β1 lega VCAM-1<br />

− β2 lega ICAM-1<br />

Esistono dei meccanismi di modulazione di tali molecole che possono essere:<br />

− ridistribuite<br />

− modificate nella loro configurazione sterica<br />

− ridotte per diminuita sintesi<br />

• La P-selectina è presente sui corpi di Weber-Palade all'interno delle cellule endoteliali e durante<br />

l'infiammazione viene esposta sulla membrana cellulare => viene ridistribuita => media legami labili<br />

(rotolamento).<br />

• Le citochine (IL-1, TNF) invece possono indurre fortemente la sintesi di ICAM-1 e VCAM-2 nelle cellule<br />

endoteliali. La sintesi richiede più tempo e queste molecole sono utilizzate nel legame forte.<br />

• Le integrine sono già presenti, ma hanno una conformazione poco affine al legame, perciò modificano la loro<br />

conformazione quando si trovano a contatto con chemochine, nel momento in cui è aumentata la sintesi di<br />

ICAM e VCAM-1. Ciò aumenta l'avidità di legame e si ha una fase di ancoraggio stabile.<br />

Nel caso di deficienze genetiche di molecole di adesione si hanno notevoli conseguenze cliniche, fra cui infezioni<br />

batteriche ricorrenti.<br />

FAGOCITOSI<br />

Consegue alla chemiotassi.<br />

− opsonizzazione (rendere appetitoso) ovvero un rivestimento di opsonine (proteine seriche) di ciò che dovrà<br />

essere fagocitato<br />

− vacuolo = segue alla interazione recettoriale, gli pseudopodi hanno cominciato a circondare l'area opsonizzata<br />

− fagosoma = si chiude l'abbraccio e quindi il vacuolo<br />

− fagolisosoma = si fonde con i lisosomi<br />

Fagocitosi frustrata = quando la particella è troppo grande e l'abbraccio non riesce a chiuderla bene, perciò fuoriesce. Il<br />

rigurgito durante il pasto si ha quanto il materiale fagocitato è troppo grande e fuoriesce.<br />

Riguardare le tappe biochimiche che portano alla formazione dei radicali dell'ossigeno.<br />

EFFETTI SISTEMICI DELL'INFIAMMAZIONE<br />

− febbre<br />

− aumento del sonno<br />

− diminuzione dell'appetito<br />

− aumento del catabolismo proteico<br />

− ipotensione<br />

− alterazioni emodinamiche<br />

− sintesi delle proteine della fase acuta (proteina C reattiva)<br />

− alterazioni dell'assetto leucocitario (neutrofili)<br />

− in infez. batt. si ha linfocitosi in parotite, rosolia, mononucleosi infettiva, leucopenia nella frebbre tifoidea<br />

− mediatori IL-1, IL-8, TNF<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 95


ASPETTI MORFOLOGICI DELLE INFIAMMAZIONI ACUTE<br />

Quadri morfologici diversi si hanno in relazione a:<br />

− origine della causa<br />

− intensità dell'agente etiologico<br />

− tessuto colpito<br />

Ciò determina aspetti particolari dell’essudato, che può essere:<br />

• Essudato sieroso<br />

• Essudato siero-fibrinoso<br />

• Essudato fibrinoso<br />

• Essudato fibrinoso-emorragico<br />

• Essdato fibrinoso-necrotizzante<br />

• Essudato catarrale<br />

• Essudato muco-purulento<br />

• Essudato purulento<br />

Sieroso, fibrinoso, catarrale, purulento = tipi puri.<br />

Essudato sieroso<br />

• Essudato abbondante, povero di fibrina e di cellule<br />

• Ustioni, congelamento, radiazioni<br />

• Tra strato basale e spinoso dell’epidermide o tra epidermide e derma (= bolla o flittene)<br />

• Agenti batterici (anche M. tuberculosis)<br />

• Pleura, pericardio, peritoneo<br />

• Si ha questo tipo di essudato quando l'aumento di permeabilità è piccolo, quindi nelle infiammazioni meno<br />

gravi, e passano solo le proteine più piccole. Essenzialmente in questo tipo di essudato troviamo la proteina<br />

sierica più piccola: l'albumina (PM circa 50.000 Da).<br />

Essudato siero-fibrinoso<br />

• Essudato con presenza di filamenti di fibrina, che forma aderenze labili, che possono “organizzarsi” a formare<br />

sinechie.<br />

• Agenti batterici.<br />

• Pleura, pericardio, peritoneo<br />

• Il fibrinogeno (PM circa 340.000 Da) ha bisogno di una permeabilizzazione ben maggiore rispetto a quella<br />

necessaria per lasciar passare l'albumina.<br />

Essudato fibrinoso<br />

• La fibrina rappresenta la parte più importante dell’essudato e può formare faldoni nelle sierose<br />

• Aspetto quasi solido, con strati feltrosi, colorabili in rosa con l’eosina o in violetto col cristal-violetto<br />

(Colorazione di Weigert)<br />

• Agenti batterici<br />

• Pleura (pleuriti secche con rumore di sfregamento)<br />

• Pericardio (cor villosum) => pericardite fibrinosa<br />

Fibrinosa emorragica<br />

• Essudato fibrinoso con presenza di eritrociti<br />

• Pneumococco<br />

• Polmonite franca lobare<br />

Essudato fibrinoso-necrotizzante<br />

• Essudato fibrinoso tenacemente ancorato ad una mucosa necrotica<br />

• Corynebacterium diphtheriae => tipico, forma membrana ancorata alla faringe che può portare a soffocamento<br />

• Tonsille, faringe, laringe<br />

Essudato catarrale<br />

• Essudato accompagnato da ipersecrezione di muco (quindi in sedi contenenti ghiandole mucipare).<br />

• Agenti batterici (soprattutto) e virali<br />

• Vie aeree superiori (riniti, faringiti, laringiti, tracheiti, bronchiti)<br />

• Tubo digerente (gastriti, enteriti coliti)<br />

• Congiuntiva (congiuntivite)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 96


Essudato muco-purulento<br />

• idem + granulociti<br />

• Agenti batterici<br />

• Idem<br />

Essudato purulento<br />

• Provocato dai piociti (batteri che inducono produzione di pus) che attraggono molto i neutrofili (in particolare<br />

staphylococcus aureus), che si trovano in grande quantità vivi e morti.<br />

• Presenza del pus, essudato ricco di cellule infiammatorie e di prodotti del loro disfacimento<br />

• aspetto cremoso<br />

• Agenti batterici piogeni<br />

• Il pus può raccogliersi in cavità preesistenti (empiema => cavo pleurico, peritoneo, pericardio, sinovia<br />

articolare) o neoformate per la necrosi del tessuto (ascesso)<br />

• Possono formarsi fistolizzazioni per lo svuotamento dell'ascesso.<br />

Ascesso = raccolta di pus in cavità neoformate. E' lo stesso essudato che stimola la formazione della capsula fibrosa che<br />

lo racchiude. In genere è rimosso chirurgicamente, altrimenti tende a fistolizzare per lo svuotamento (formando un<br />

tragitto che trova sfogo all'esterno). Il varco nei tessuti si forma in seguito a necrosi.<br />

Empiema = quando il pus si raccoglie in una cavità pre-esistente (es. sierosa, nella cistifellea è comune).<br />

Ulcera gastrica = causata da helicobacter pylori. Si ha dapprima una gastrite (infiammazione acuta) che continua alla<br />

base come tale a causa del batterio e dell'HCl, mentre ai bordi cronicizza formando anche tessuto di riparazione. Oggi<br />

si interviene prontamente con antibiotici in caso di gastrite, ma se non si facesse questa diverrebbe un'ulcera e in seguito<br />

potenzialmente un tumore gastrico.<br />

ME<strong>DI</strong>ATORI CHIMICI DELL'INFIAMMAZIONE<br />

Sono stati scoperti dalla osservazione che una varietà di stimoli dannosi provocano sempre la stessa risposta. Il primo<br />

mediatore scoperto è l'istamina.<br />

Si distinguono in due gruppi:<br />

1) cellulari = prodotti dalle cellule protagoniste dell'infiammazione<br />

− preformati (in granuli di secrezione)<br />

− istamina (basofili, mastociti, piastrine)<br />

− serotonina (piastrine)<br />

− enzimi lisosomiali (neutrofili, macrofagi)<br />

− sintetizzati ex-novo<br />

− prostaglandine (tutti i leucociti, piastrine, cellule endoteliali)<br />

− leucotrieni (tutti i leucociti)<br />

− fattori attivanti le piastrine (tutti i leucociti, cellule endoteliali)<br />

− specie reattive dell'ossigeno (tutti i leucociti)<br />

− ossido nitrico (macrofagi)<br />

− citochine (linfociti, macrofagi, cellule endoteliali)<br />

2) plasmatici = presenti nel plasma come precursori (la fonte principale è il fegato), devono perciò essere attivati<br />

− attivazione del fattore XII della coagulazione (fattore di Hageman)<br />

− sistema delle chinine (bradichinina)<br />

− sistema della coagulazione/fibrinolisi<br />

− attivazione del complemento (via alternativa)<br />

− C3a, C5a (ha anche azione chemotattica) => sono dette anafilotossine perché sono in grado di far<br />

rilasciare istamina dalle mastcellule come una reazione anafilattica<br />

− C3b, C5b-9 (complesso di attacco alla membrana)<br />

Alcuni mediatori:<br />

− hanno effetti vasoattivi<br />

− sono fattori chemiotattici<br />

Mediatori cellulari preformati<br />

Amine vasoattive: ISTAMINA<br />

Si trova principalmente nei granuli metacromatici delle mast-cellule, nei basofili e nelle piastrine.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 97


I mastociti sono presenti sulla parete dei vasi e sparsi nell'interstizio.<br />

L'istamina provoca<br />

− dilatazione degli sfinteri arteriolari precapillari<br />

− aumento della permeabilità venulare per contrazione delle cellule endoteliali<br />

− fasi iniziali della flogosi<br />

Amine vasoattive: SEROTONINA<br />

Si trova nelle piastrine (nei roditori anche nelle mast-cellule).<br />

Azione simile all’istamina.<br />

Enzimi lisosomiali<br />

Presenti in granuli di secrezione di tipo lisosomiale nelle cellule ad attività fagocitaria: neutrofili e macrofagi.<br />

• granulociti neutrofili<br />

◦ granuli primari o azzurrofili, simili ai lisosomi e, come questi, contenenti principalmente idrolasi acide<br />

(enzimi attivi a pH acido) con meccanismo idrolitico. Contengono inoltre: catepsine, elastasi, fosfolipasi<br />

A2, mieloperossidasi, proteine cationiche (come le defensine)<br />

◦ granuli secondari o specifici, i più numerosi ed i primi ad essere “consumati” durante la fagocitosi (previa<br />

liberazione nell’ambiente pericellulare). Non contengono idrolasi acide, bensì collagenasi e proteine<br />

basiche battericide: lisozima, lattoferrina<br />

◦ granuli terziari o particelle C, contenenti catepsine e gelatinasi<br />

• monociti/macrofagi<br />

◦ idrolasi acide, collagenasi, elastasi attive nelle infiammazioni croniche.<br />

N.B.: Sistema di antiproteasi seriche: alfa-1-antitripsina, alfa-2-macroglobulina<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 98


Mediatori cellulari neoformati<br />

Derivati dell’acido arachidonico, acido grasso essenziale di 20 atomi di C assunto con la dieta o ottenuto per<br />

trasformazione dell’acido linoleico.<br />

Non libero ma esterificato nei fosfolipidi di membrana. Viene scisso da fosfolipasi cellulari.<br />

− Via ciclossigenasica (aspirina, indometacina la inibiscono): prostaglandine (dolore, febbre, effetti generali)<br />

− PGG2 (prostaglandina endoperossido) poi convertita in PGH2, la quale viene convertita in:<br />

− trombossano A2 dalla trombossano sintetasi (vasocostrittore e fattore di aggregazione<br />

piastrinica)<br />

− prostaciclina PGI2 dalla prostaciclina sintetasi nelle cellule endoteliali (vasodilatatore e<br />

inibitore dell’aggregazione piastrinica, dolore febbre)<br />

− PGD2, PGE2, PGF2 provocano vasodilatazione e aumento della permeabilità vascolare potenziando<br />

l'edema<br />

− Via lipossigenasica: leucotrieni, attivi in tutte le fasi della flogosi<br />

− vasocostrizione, broncospasmo, aumento permeabilità<br />

PAF = Fattore attivante le piastrine<br />

− prodotto da tutti i leucociti (soprattutto basofili) e da cellule endoteliali, è fatto come un fosfolipide<br />

− è proflogistico a basse concentrazioni<br />

− aggregazione, adesione, chemiotassi dei<br />

leucociti<br />

− attivazione piastrinica<br />

− stimolazione di altri mediatori<br />

− molto più attivo dell'istamina (10-10.000<br />

volte)<br />

Citochine<br />

Prodotte da linfociti, macrofagi e endotelio vascolare<br />

attivati => IL-1/TNF<br />

− attivazione endoteliale<br />

− reazioni della fase acuta<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 99


Ossido d'azoto<br />

“Nuovo” mediatore, simile all’EDRF (fattore rilassante derivato dall’endotelio) prodotto dai macrofagi e dall'endotelio<br />

(e anche da alcuni neuroni cerebrali)<br />

− decontrae la muscolatura liscia vascolare (arteriole, sfinteri)<br />

− antimicrobico<br />

• iNOS = NO sintasi inducibile = si trova nei macrofagi ed è attivata alla loro attivazione (attraverso aumento<br />

del calcio intracitoplasmatico)<br />

• eNOS = NO sintasi endoteliale = espressa costitutivamente a bassi livelli, può essere aumentata per aumento di<br />

ioni calcio nella cellula<br />

• lo stesso vale per nNOS = NO sintasi neuronale<br />

• alti livelli di NO sembrano limitare la replicazione di batteri, elminti, protozoi, virus e cellule tumorali<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 100


Mediatori plasmatici<br />

Il fegato ne è la fonte principale.<br />

Fattore di Hageman (fattore XII della coagulazione)<br />

Può essere attivato da:<br />

− superfici cariche negativamente<br />

− LPS batterico<br />

− vetro<br />

− collagene<br />

− membrana basale<br />

− piastrine attivate<br />

L'attivazione del fattore XII ha due effetti:<br />

− sistema delle chinine<br />

− produzione di bradichinina (provoca contrazione del muscolo liscio => aumento permeabilità, inoltre<br />

induce vasodilatazione e dolore)<br />

− attivazione del complemento (per attivazione di C3 da parte della plasmina)<br />

− attivazione del sistema fibrinolitico<br />

− via intrinseca coagulazione => sistema della coagulazione<br />

− effetto finale: conversione del fibrinogeno in fibrina per azione della trombina<br />

− durante la conversione, si formano Fibrinopeptidi che producono aumento della permeabilità<br />

vascolare ed hanno attività chemiotattica per i leucociti.<br />

Anche la trombina ha proprietà proinfiammatorie, costituendo il mediatore di collegamento tra la coagulazione e<br />

l'infiammazione e provocando:<br />

− aumento dell’adesività dei leucociti (espressione di selectine su endotelio)<br />

− proliferazione dei fibrolasti<br />

− aumento di produzione di metaboliti dell'acido arachidonico, di PAF, di ossido nitrico (NO)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 101


Complemento<br />

Il sistema del complemento è costituito da 20 componenti proteici con i loro prodotti di scissione presenti nel plasma in<br />

forma inattiva. Attivati, agiscono nelle reazioni immunitarie contro gli agenti microbici al fine di:<br />

• aumento della permeabilità vascolare e vasodilatazione (C3a, C5a => inducono liberazione di istamina dai<br />

mastociti)<br />

• chemiotassi (C3a, C5a)<br />

• opsonizzazione (C3b)<br />

• adesione leucocitaria (C3a, C5a)<br />

• attivazione della produzione dei metaboliti dell'acido arachidonico nei neutrifili (C5a)<br />

• la cascata del complemento porta alla formazione del complesso di attacco alle membrane (MAC) che<br />

determina la lisi del microbo<br />

C3 e C5 possono essere attivati anche dalla plasmina o altri enzimi proteolitici lisosomiali.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 102


Classificazione dei mediatori dell'infiammazione per effetto<br />

• Vasodilatazione: prostaglandine; NO; istamina<br />

• Aumento della permeabilità vascolare: Amine vasoattive; C3a e C5a (attraverso la liberazione di amine);<br />

Bradichinina; Leucotrieni C4, D4, E4; PAF; Sostanza P<br />

• Chemiotassi, attivazione dei leucociti: C5a; Leucotriene B4; Chemochine; Prodotti batterici<br />

• Febbre: IL-1, IL-6, TNF; Prostaglandine<br />

• Dolore: Prostaglandine; Bradichinina<br />

• Danno tissutale: Enzimi lisosomiali dei neutrofili e dei macrofagi; metaboliti dell'ossigeno; NO<br />

PROTEINE DELLA FASE ACUTA<br />

Presenti nel plasma, per lo più aumentano nella fase acuta (una minima parte scende).<br />

In generale sono quelle proteine plasmatiche che subiscono una variazione del 25% nella fase acuta.<br />

Le condizioni che portano all'aumento della loro concentrazione sono molte, in primo luogo l'infiammazione, che può<br />

essere a sua volta causata da molti eventi, tra cui:<br />

− infezioni<br />

− infarti di tessuto<br />

− traumi<br />

− interventi chirurgici<br />

− ustioni<br />

− infiammazioni immunologiche<br />

Il loro aumento non è uniforme, cioè alcune aumentano di più, altre meno => i meccanismi di regolazione sono diversi.<br />

Sono sintetizzate nel fegato sotto l'azione di citochine e chemochine (per lo più IL-1, IL-6, TNF).<br />

Si ritiene che alcune PFA possano modificare l'una o l'altra fase del processo infiammatorio.<br />

Le PFA che aumentano in modo più significativo e che possono essere utilizzate come marker di infiammazione sono:<br />

• proteina A dell'amiloide aumenta<br />

◦ durante la fase acuta va a costituire la apoproteina A delle HDL, per consentirne la ricezione da parte dei<br />

macrofagi, che ne utilizzeranno i grassi a scopo energetico<br />

• alcune proteine del complemento aumentano<br />

• fattore XII e albumina invece diminuiscono in modo significativo<br />

• fibrinogeno aumenta di 100-200 volte in caso di infiammazione<br />

• proteina C reattiva aumenta<br />

• procalcitonina aumenta<br />

VES (velocità di eritrosedimentazione), PCR (proteina C reattiva) e procalcitonina sono gli indicatori più significativi<br />

per la pratica clinica:<br />

• la VES aumenta quando aumenta il fibrinogeno, ma VES è influenzata da parametri ematologici (va sempre<br />

interpretata, soprattutto in base a ematocrito e dimensione media dei globuli rossi)<br />

◦ anche cessato lo stimolo infiammatorio la VES resta alta per un certo periodo<br />

• la PCR è più veloce e ampia nelle variazioni ed è più significativa<br />

• La procalcitonina aumenta soprattutto nelle infezioni batteriche, mentre non si modifica nelle infezioni virali e<br />

nelle flogosi non infettive (significato diagnostico più specifico). C'è inoltre una proporzionalità fra i livelli<br />

della procalcitonina e il grado (l'intensità) del danno flogistico<br />

◦ ha valore predittivo, sensibilità (e specificità in caso di infezioni batteriche) per l'infiammazione maggiore<br />

rispetto alla PCR (controllare)<br />

◦ normalmente nel sangue ha concentrazione bassissima (0,01 ng/mL), sale di 100 volte in caso di infezioni<br />

virali, fino a 20.000-200.000 volte in caso di infezioni batteriche (controllare)<br />

In definitiva le PFA più significative sono la PCR e la procalcitonina.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 103


POSSIBILI ESITI DELL'INFIAMMAZIONE ACUTA<br />

1. Completa risoluzione<br />

◦ ritorno allo stato normale del tessuto, possibile quando il danno è stato lieve e le cellule parenchimali<br />

hanno la possibilità di rigenerarsi<br />

◦ i mediatori non sono più prodotti e/o quelli presenti sono neutralizzati<br />

◦ morte per apoptosi (principalmente) dei neutrofili presenti nel tessuto<br />

◦ fine della migrazione leucocitaria<br />

◦ rimozione dei detriti da parte dei fagociti<br />

2. Guarigione tramite sostituzione con tessuto connettivo (fibrosi)<br />

◦ quando il danno è di notevole intensità, quando i tessuti non sono in grado di rigenerare, quando c'è un<br />

notevole essudato di fibrina<br />

◦ la formazione di una massa di tessuto fibroso dove la fibrina non è più rimovibile (es. cavità sierose) è<br />

detta organizzazione (la fibrina stimola l'accrescimento di fibroblasti e vasi sanguigni => formazione di<br />

una cicatrice)<br />

◦ il pus è riassorbito e sostituito da fibrosi<br />

3. Progressione della risposta tissutale verso l'infiammazione cronica<br />

◦ talvolta l'infiammazione può definirsi cronica sin dal suo esordio<br />

◦ quando la risposta infiammatoria acuta non può essere risolta a causa della persistenza dell'agente lesivo o<br />

per qualche interferenza con il normale processo di guarigione<br />

◦ es. ulcera peptica del duodeno e dello stomaco<br />

◦ es. infezione batterica del polmone con formazione di ascesso<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 104


RIPARAZIONE E GUARIGIONE DELLE FERITE<br />

Chiarimento in merito ad una classificazione che fanno alcuni<br />

libri:<br />

Essudazione mediata = si verifica per aumento di permeabilità<br />

dell'endotelio per mezzo di mediatori chimici (tipica l'istamina).<br />

Essudazione non mediata = per ustione o per batterio citolitico<br />

=> necrosi delle cellule endoteliali => danno diretto.<br />

In realtà in quest'ultimo caso è solo l'essudazione che non è legata<br />

a mediatori chimici, l'infiammazione invece lo è sempre!<br />

Conclusione dell’infiammazione acuta: l’essudato è rimosso<br />

La rimozione dell’essudato è la premessa per la risoluzione<br />

dell'infiammazione acuta e si realizza attraverso le seguenti tappe:<br />

− la fluidificazione dell’essudato da parte degli enzimi dei<br />

neutrofili<br />

− la fagocitosi dei detriti solidi (e dei neutrofili) da parte dei<br />

macrofagi che produce un'ulteriore fluidificazione<br />

dell'essudato<br />

− il riassorbimento dell’essudato fluidificato da parte dei<br />

linfatici<br />

Alla rimozione dell’essudato possono seguire:<br />

• la RISOLUZIONE per restituzione (o rigenerazione) =<br />

restituzione sta per restitutio ad integrum<br />

◦ il tessuto torna come nuovo, a funzionare come prima<br />

▪ es. polmonite lobare (o franca) = gli alveoli sono in grado di rigenerarsi, ma solo per quanto riguarda i<br />

pneumociti di I tipo, quelli di II tipo (che producono surfactante e sono molto meno rappresentate<br />

delle altre) non possono rigenerare, ma in genere sono risparmiati dalla distruzione del tessuto<br />

▪ es. epatectomia parziale: il tessuto epatico è in grado di rigenerare, anche se si tratterà di una<br />

iperplasia del tessuto rimasto e non una vera e propria rigenerazione (i lobi rimossi non si rigenerano)<br />

• nei mammiferi si tratta in genere di una crescita compensatoria e non di una vera e propria<br />

rigenerazione (es. nei rettili possono rigenerare, nel vero senso della parola, coda e arti)<br />

◦ presupposti:<br />

▪ risoluzione del processo infiammatorio con rimozione dell'essudato<br />

▪ le cellule del tessuto devono avere la capacità di rigenerarsi<br />

▪ in genere serve uno stroma intatto come impalcatura<br />

• eccezione: gli epatociti hanno grande capacità di rigenerarsi anche senza stroma (es. per<br />

epatectomia), perché nel fegato lo stroma è molto leggero. In ogni caso la rigenerazione con<br />

mancanza di stroma è più disordinata e tumultuosa.<br />

oppure<br />

• la RIPARAZIONE per fibrosi e cicatrizzazione<br />

◦ resta un danno funzionale<br />

▪ es. infarto del miocardio<br />

◦ presupposti:<br />

▪ risoluzione del processo infiammatorio con rimozione dell'essudato<br />

▪ le cellule non sono capaci di rigenerarsi (perenni) e/o lo stroma è troppo degradato<br />

Processo di riparazione<br />

1. rimozione dell'essudato<br />

2. migrazione e proliferazione dei fibroblasti richiamati dai macrofagi, che producono anche sostanze<br />

angiogeniche<br />

• deposizione di matrice<br />

• angiogenesi = si forma una palizzata di vasi neoformati nella zona interessata<br />

• si forma un tessuto di granulazione: tessuto vascolare neoformato con molte gemme vascolari<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 105


• le gemme vascolari crescono formando una rete<br />

• l'angiogenesi può avvenire per proliferazione e migrazione delle cellule endoteliali dei vasi<br />

preesistenti oppure anche attraverso elementi cellulari provenienti da cellule staminali del midollo<br />

osseo (emangioblasti, a livello embrionale sono precursori sia di cellule endoteliali che di quelle<br />

plasmatiche)<br />

• il VEGF è il principale fattore di crescita implicato e la sua sintesi è stimolata dall'ipossia e da fattori<br />

di crescita come il PDGF e il TGF<br />

• i fibroblasti proliferano e cominciano a depositare collagene => si ottiene un tessuto di granulazione<br />

fibrovascolare<br />

3. rimodellamento (organizzazione del tessuto fibroso, è dato dall'equilibrio tra sintesi di matrice e sua<br />

degradazione ad opera delle metallo proteasi della matrice, MMP)<br />

◦ a questo punto si è formata una cicatrice<br />

◦ il collagene è denso<br />

◦ i fibroblasti divengono inattivi => fibrociti<br />

◦ la vascolarità viene ridotta<br />

▪ la cicatrice giovane è rosea perché è ancora molto vascolarizzata, poi restano solo i vasellini definitivi<br />

e continua la deposizione di collagene => la cicatrice si imbianca<br />

◦ le cicatrici non sono mai definitive: carenza di vitamina C (es. nei marinai in passato) le fa riaprire perché<br />

è un fattore necessario per la produzione di collageno (sono sempre un rimodellamento)<br />

◦ le cicatrici possono essere cutanee, ma anche interne, negli organi<br />

▪ nelle cicatrici cutanee non ci sono più gli annessi, perché non sono in grado di rigenerare => la<br />

cicatrice è un tessuto diverso da quello originale<br />

Miofibroblasti: scoperti da Majno, sono i fibroblasti del tessuto di granulazione, hanno un fenotipo fortemente<br />

fibrillare => rispondono alle sostanze che fanno contrarre/rilassare la muscolatura liscia.<br />

I fibroblasti tendono ad allinearsi secondo linee di maggior tensione e riempiono gli spazi fra i rametti vascolari.<br />

Al temine del processo di riparazione diventano inattivi e si trasformano in fibrociti.<br />

GUARIGIONE DELLE FERITE<br />

Ferita = danno tissutale => c'è sempre infiammazione.<br />

Anche la guarigione delle ferite avviene attraverso un processo riparativo.<br />

Più precisamente, il grandioso scenario della guarigione delle ferite mette in gioco tre diversi processi:<br />

• emostasi (lesione vascolare)<br />

• infiammazione (danno)<br />

• riparazione (è necessario ricostruire)<br />

Guarigione primaria o per prima intenzione<br />

− ferite deterse<br />

− a margini ravvicinati e regolari<br />

Guarigione secondaria o per seconda intenzione (più lenta e difficoltosa)<br />

− ferite aperte (margini frastagliati e allontanati, perdita di sostanza)<br />

− ferite aperte e infette<br />

Ciò che determina la differenza è:<br />

• l’entità della perdita di sostanza (e quindi la vicinanza dei lembi)<br />

• l’entità della contaminazione microbica<br />

Dove c'è una ferita ci sono dei vasi troncati, quindi per prima cosa si forma un tappo piastrinico e poi un tappo<br />

emostatico secondario con fibrina.<br />

La fibrina:<br />

− fa anche da collante per i lembi della ferita<br />

− insieme trombina e PDGF stimola la migrazione dei fibroblasti e l'angiogenesi<br />

− insieme a fibronectina (più abbondante proteina della matrice extracellulare) forma una sorta letto su cui le<br />

cellule del tessuto possono moltiplicarsi anche in assenza di una membrana basale con movimento a cavallina<br />

(la cellula si moltiplica, passa sotto ad un'altra cellula inducendo l'avanzamento del tessuto) o a bruco (le<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 106


cellule si moltiplicano e spingono in avanti il tessuto).<br />

MODELLO <strong>DI</strong> GUARIGIONE PER PRIMA INTENZIONE: FERITA CHIRURGICA DETERSA<br />

• Minuti, ore<br />

◦ Coagulazione e formazione di una rete di fibrina<br />

◦ Disidratazione del coagulo e formazione della crosta<br />

◦ la velocità di questi processi può variare da individuo a individuo<br />

• 24-48 ore<br />

◦ si instaura l'infiammazione acuta => compaiono abbondanti neutrofili<br />

◦ Si formano gettoni endoteliali sotto la crosta che tendono ad anastomizzarsi (1/2 mm/giorno, 3 diametri di<br />

cellula/ora!!) (la crosta cadrà; n.b. punti di sutura)<br />

◦ Si comincia a formare il tessuto di granulazione: fibroblasti che sintetizzano fibre collagene e neovasi<br />

• Terzo giorno<br />

◦ I macrofagi sostituiscono i neutrofili<br />

◦ I fibroblasti sintetizzano collagene, il tessuto di granulazione si accresce<br />

◦ inosculazione (bacio-abbraccio fraterno) => fusione dei vasellini dello stesso tipo (arteriosi, venosi,<br />

linfatici) e cellule dello stesso tipo provenienti dai due lati della ferita (secondo legami molecolari ligandorecettore)<br />

▪ negli anfibi questo processo avviene sopra la crosta e dieci volte più veloce che nell'uomo per evitare<br />

che la presenza di acqua dovuta all'immersione possa riaprire la ferita<br />

◦ L’epitelio si ispessisce<br />

• Quinto giorno<br />

◦ Tessuto di granulazione e neovascolarizzazione massimi<br />

◦ Edema<br />

• Seconda settimana<br />

◦ Edema e neovasi si vanno riducendo, il collagene aumenta, cicatrice iniziale (rosa)<br />

• 1 mese, 2 anni<br />

◦ Sbiancamento, elevato turnover del collageno<br />

Alcune considerazioni sulla guarigione per prima intenzione<br />

• Sono persi tutti gli annessi cutanei (peli, ghiandole)<br />

• La cicatrice è solitamente più pallida, perché i melanociti rigenerano poco<br />

• Il livello di ossigenazione (legato alla perfusione) incide fortemente sulla neo-angiogenesi. Probabilmente<br />

l’ipossia induce la secrezione di un fattore chimico (TNF-alfa)<br />

Resistenza della cicatrice<br />

Dopo la prima settimana, quando in genere vengono rimossi i punti di sutura, è a circa il 10% della resistenza rispetto<br />

alla cute normale.<br />

Raggiunge un massimo pari al 70-80% di quella della cute normale, impiega 3-4 mesi.<br />

La massima resistenza viene raggiunta grazie alla deposizione di collagene e alla formazione di fibrille di dimensioni<br />

maggiori, che assumono in seguito anche disposizione crociata.<br />

GUARIGIONE PER SECONDA INTENZIONE<br />

1) PIÙ INTENSA INFIAMMAZIONE (e formazione di pus) se è anche infetta<br />

2) C O N T R A Z I O N E (CONTRAZIONE!!)<br />

Inizialmente (primi giorni) => contrazione della crosta<br />

Successivamente => contrazione dei miofibroblasti mediante:<br />

accorciamento<br />

trazione “a mano a mano”<br />

N.B.: Il tessuto di granulazione che riempie una ferita aperta è un organo contrattile temporaneo<br />

Nella ferita detersa si ha subito accostamento, mentre in quella infetta si forma pus che rallenta il processo di<br />

guarigione.<br />

La contrazione è così imponente in questo caso da esser considerata un processo caratteristico della guarigione per<br />

seconda intenzione. I miofibroblasti contraendosi tirano anche il tessuto circostante deformandolo.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 107


INFEZIONE DELLE FERITE<br />

La resistenza delle ferite all’infezione è proporzionale alla loro irrorazione. I leucociti possono muoversi anche in<br />

anaerobiosi, ma per uccidere hanno bisogno dell’ossigeno. L’anaerobiosi favorisce i germi anaerobiotici (ferite contuse)<br />

come il clostridium tetani, inoltre i neutrofili sono inibiti.<br />

Infezioni e corpi estranei: terriccio (ferite sporche), schegge, biomateriali rappresentano una fonte di batteri, abbassano<br />

la concentrazione infettante di batteri, complicano la terapia, favoriscono la crescita di microrganismi formatori di slime<br />

o dotati di speciali adesine.<br />

Le ferite da schiacciamento (poco irrorate) contaminate da terriccio sono ad alto rischio di infezione da microrganismi<br />

anaerobi.<br />

PRESENZA <strong>DI</strong> BIOMATERIALI E INFEZIONI<br />

La carica microbica necessaria per indurre infezione è 100 volte più piccola se c'è un biomateriale impiantato nel<br />

tessuto, perché presenta sempre microcrivellature/frattuosità (anche se all'apparenza è liscio) che sono nicchie<br />

accoglienti per batteri.<br />

Molti materiali protesici sono inseriti in fase di polimerizzazione (perché devono essere malleabili, ad es. per<br />

ricostruzione di una testa di femore) => questa reazione è esotermica => nelle cellule vicine può provocare necrosi => si<br />

crea un locus con minor resistenza all'infezione.<br />

La protesi di un capo articolare col tempo tende ad usurarsi rilasciando nel tessuto microframmenti che aumentano la<br />

possibilità di infezione (oggi si usano materiali molto più resistenti come il titanio).<br />

Stafilococco aureus e stafilococco epidermidis = sono batteri saprofiti (che si cibano di materiale organico morto), ne<br />

abbiamo tutti sulla cute, sono normalmente innocui, ma possono assumere capacità patogenetica in quei locus di minor<br />

resistenza all'infezione, dove riescono ad ancorarsi e moltiplicarsi, soprattutto in condizioni di abbassamento della<br />

risposta immunitaria. S. Epidermidis inoltre è anche anti-coagulante (coagulasi-negativo). Questi batteri utilizzano in<br />

queste occasioni la loro capacità di ancorarsi nelle nicchie e produrre una sostanza chiamata slime (inglese: fango) , un<br />

polimero di N-acetilglucosamina (una mucillagine zuccherina) che li protegge dall'azione del sistema immunitario e<br />

degli antibiotici.<br />

Se c'è un'infezione di questo tipo l'impianto è fallito ed è la causa più frequente di questi fallimenti. Dove c'è un<br />

impianto c'è un'alta probabilità di infezione.<br />

Lo slime<br />

• Il polimero è sintetizzato da una specifica N-acetilglucosaminil transferasi<br />

• La produzione dell’enzima è codificata da un complesso genico detto locus ica, costituito da quattro geni<br />

strutturali: icaA, icaD, icaB e icaC (nell’ordine in cui si allineano nell’operone, e da un gene regolatore icaR<br />

• Lo slime consente la tenace adesione degli Stafilococchi anche a materiali protesici e ostacola l’accesso alle<br />

colonie batteriche delle difese dell’ospite (anticorpi, complemento) e degli antibiotici<br />

Test fenotipico e genotipico per la produzione di slime in Staphyloccus epidermidis<br />

• I ceppi dotati del locus ica e produttori di slime possono essere riconosciuti, dopo il loro isolamento,<br />

mediante:<br />

• A) coltura su piastre di Agar-Rosso-Congo (CRA) in cui i ceppi non produttori danno colonie rosse e i ceppi<br />

produttori colonie nere;<br />

• B) dimostrazione molecolare della presenza dei geni icaA e icaD mediante amplificazione PCR dei rispettivi<br />

segmenti genici, impiegando primer specifici e il DNA batterico come template<br />

ASPETTI PATOLOGICI DELLA RIPARAZIONE<br />

• ALIMENTAZIONE: carenze proteiche e vitaminiche (vit C)<br />

• <strong>DI</strong>ABETE: Ridotta resistenza alle infezioni, Insufficiente processo di guarigione<br />

• FATTORI MECCANICI: Deiscenza (complicanza post-operatoria rappresentata dalla riapertura spontanea di<br />

una ferita precedentemente suturata) della ferita da pressione addominale<br />

• CORPI ESTRANEI E PROTESI<br />

• FIBROSI INFIAMMATORIE CRONICHE CON DANNO DA COLLAGENASI<br />

◦ Artrite reumatoide, cirrosi epatica, connettivite: le collagenasi del rimodellamento sono di nocumento in<br />

tale ambito<br />

• ABERRAZIONI <strong>DI</strong> CRESCITA<br />

◦ cicatrice esuberante e cheloide = variabilità individuale e predisposizione genetica => produzione di<br />

collagene eccessiva, se viene rimossa si riforma ancora più grossa<br />

◦ granulazione esuberante (carne eccessiva) = componente vascolare e connettivale eccessiva<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 108


◦ desmoidi (o fibromatosi aggressive) = più pericolose, dovuto a fibroblasti<br />

◦ la forma dell'ammanco tissutale incide moltissimo nella ricostruzione del tessuto => il taglio chirurgico a<br />

seconda della forma ottiene una cicatrice diversa. La perdita circolare provoca grande difficoltà dei tessuti<br />

a richiudere la cicatrice => è la condizione peggiore.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 109


INFIAMMAZIONE CRONICA O ISTOFLOGOSI<br />

Quando uno stimolo lesivo persiste, la guarigione completa non può aver luogo e compare una infiammazione<br />

cronica.<br />

La sequenza danno dei tessuti → infiammazione acuta → essudato → organizzazione dell'essudato → tessuto di<br />

granulazione → cicatrice fibrosa ha luogo solo quando lo stimolo lesivo è di breve durata e non persiste. In questi casi i<br />

cambiamenti che portano alla formazione della cicatrice sono consecutivi.<br />

Se lo stimolo lesivo persiste, i processi di necrosi, di tessuto di granulazione e di riparazione avvengono<br />

contemporaneamente.<br />

Oltre al processo infiammatorio acuto, sono attivate intorno all'area lesa le difese specifiche del sistema immunitario, e i<br />

tessuti sono infiltrati da elementi linfoidi attivati.<br />

All'esame istologico, l'area colpita rivelerà la presenza di detriti di cellule necrotiche, di essudato infiammatorio acuto,<br />

di tessuto di granulazione vascolare e fibroso, di cellule linfoidi, di macrofagi e di cicatrice collagene. Questo stato,<br />

detto di infiammazione cronica, persisterà fino a che lo stimolo lesivo sarà stato rimosso o neutralizzato.<br />

Fattori favorenti<br />

• E' favorita da quei fattori che impediscono l'eliminazione degli stimoli lesivi<br />

• danno tissutale, infiammazione acuta, tessuto di granulazione, riparazione, risposta immunitaria, si svolgono<br />

tutti contemporaneamente<br />

• è associata a una risposta immunitaria dei tessuti, visibile in forma di infiltrazione linfocitaria<br />

• alla fine l'infiammazione cronica guarisce per cicatrice<br />

• può svilupparsi dopo un'infiammazione acuta o può essere una risposta primaria ad alcuni stimoli, ad esempio<br />

nella tubercolosi<br />

• i fattori predisponenti includono:<br />

◦ stimoli lesivi persistenti<br />

▪ es. l'acido gastrico nell'ulcera peptica<br />

▪ es. silice nella silicosi<br />

▪ es. lipidi plasmatici (almeno in parte responsabili) nell'aterosclerosi<br />

◦ un'inadeguata risposta dell'ospite alle infezioni<br />

▪ es. infezioni da mycobacterium tuberculosis (tubercolosi da contagio aerogeno), mycobacterium bovis<br />

(tubercolosi da contagio tramite il latte), treponema pallidum (sifilide)<br />

◦ una malattia immune persistente (autoimmunità)<br />

▪ es. la malattia reumatoide<br />

▪ es. la colite ulcerosa cronica<br />

▪ es. lupus eritematoso sistemico<br />

Caratteristiche morfologiche dell'infiammazione cronica<br />

• infiltrazione di cellule mononucleate => macrofagi, linfociti, plasmacellule<br />

• danno tissutale (mediato in gran parte dai macrofagi)<br />

• sostituzione del tessuto con connettivo per tentativo di guarigione, neoangiogenesi, e soprattutto fibrosi<br />

Cellule dell'infiammazione cronica<br />

• macrofagi = responsabili della maggior parte del danno tissutale<br />

• secernono IL-1 e TNF che attivano i linfociti (i linfociti secernono a loro volta IFN-γ che attiva i<br />

macrofagi)<br />

• linfociti = producono anticorpi (plasmacellule, derivate di linfociti B), uccidono cellule infette (T CTL),<br />

collaborano alla risposta insieme ai macrofagi (T H)<br />

• eosinofili = si trovano in reazioni immunitarie mediate da IgE e in infezioni parassitarie<br />

• mastociti = ampiamente distribuiti nei tessuti, partecipano sia all'infiammazione acuta che cronica<br />

Infiammazione granulomatosa<br />

Caratteristica forma di una reazione infiammatoria cronica, caratterizzata da accumulo di macrofagi attivati, che spesso<br />

assumono aspetto di cellule epitelioidi e si fondono a formare cellule giganti, con la formazione di granulomi. Attorno<br />

ai macrofagi c'è un forte richiamo di linfociti e talvolta sono presenti plasmacellule.<br />

Può essere:<br />

• granuloma immunitario = tipico della tubercolosi (in questo caso è detto anche tubercolo) = infezione da<br />

mycobacterium tuberculosis, ha in genere al centro un'area di necrosi caseosa e cellule giganti di Langhans,<br />

con in nuclei ordinati alla periferia<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 110


• granuloma da corpo estraneo = il corpo estraneo è circondato dai macrofagi e dalle cellule giganti (da corpo<br />

estraneo, con i nuclei dispersi disordinatamente nella cellula)<br />

Il sistema linfatico nell'infiammazione<br />

I vasi linfatici possono drenare il liquido di edema della zona infiammata, ma in caso di infezioni gravi possono essere<br />

portati via anche gli agenti infettivi, che possono poi essere eliminati nei linfonodi (oppure in caso si scateni una<br />

reazione infiammatoria linfonodale provocare linfoadenite), oppure giungere anche al sangue provocando batteriemia.<br />

Nel sangue le difese sono date dai fagociti del fegato, della milza, del midollo osseo, ma se non riescono a debellare<br />

l'agente microbico si possono infettare soprattutto: valvole cardiache (con conseguente endocardite), reni (ascessi),<br />

articolazioni (artriti settiche) e meningi (meningiti).<br />

TUBERCOLOSI<br />

E' causata da Mycobacterium Tuberculosis. Il microrganismo induce una risposta da ipersensibilità di IV tipo.<br />

Caratteristica istologia è l'infiammazione granulomatosa caseificante, la sede principale è il polmone.<br />

Nel bambino l'infezione polmonare comprende il focolaio di Ghom (tende a guarire per fibrosi) e la linfoadenopatia<br />

(complesso primario).<br />

Nella vita adulta l'infezione causa un focolaio di Assmann (tende a progredire ai vasi sanguigni) => la diffusione<br />

ematogena provoca tubercolosi miliare.<br />

La diffusione broncogena provoca broncopolmonite tubercolare.<br />

Una riattivazione dell'infezione può aver luogo in età più avanzata se le risposte dell'ospite sono affievolite, ad es. da<br />

un'immunodepressione.<br />

M. tuberculosis infetta circa un terzo della popolazione mondiale e ogni anno uccide circa 3 milioni di persone.<br />

Con la diminuzione delle condizioni di sovraffollamento che causano la diffusione di M. tuberculosis e con<br />

l'introduzione negli anni '50 di antibiotici efficaci, gli Stati Uniti e i Paesi Occidentali hanno beneficiato di un lungo<br />

periodo conclusosi alla metà degli anni 80 durante il quale la prevalenza delle infezioni e delle morti da M. tuberculosis<br />

erano in costante declino.<br />

Da allora, la tubercolosi è andata aumentando negli Stati Uniti e in Europa, ma particolarmente in Africa.<br />

La causa di ciò in parte è dovuta al fatto che M. tuberculosis spesso infetta ed in modo drammatico, i malti di AIDS.<br />

L'incidenza maggiore della malattia si trova in Asia, Africa e Sud America.<br />

Vedi: http://www.epicentro.iss.it/problemi/Tubercolosi/tec.htm<br />

Tubercolosi e AIDS<br />

Gli ammalati di AIDS hanno una resistenza cellulo-mediata di tipo T diminuita e sviluppano la tubercolosi più<br />

frequentemente rispetto alle persone sane.<br />

Inoltre, nei pazienti con AIDS si sono sviluppati ceppi di M. tuberculosis multiresistenti ai farmaci.<br />

Tali ceppi rappresentano un serio pericolo per le persone che vivono a stretto contatto con i pazienti e per il personale<br />

sanitario.<br />

La resistenza nei confronti dei farmaci antimicobatterici più attivi (rifampicina e isoniazide) è causata da mutazioni<br />

rispettivamente dell'RNA polimerasi e della catalasi.<br />

Eziologia e patogenesi<br />

I micobatteri sono baciIli aerobi, asporigeni, immobili con un involucro di cera che consente loro di ritenere la<br />

colorazione rossa quando trattati con acido nelle colorazioni per batteri acido-resistenti. Due sono le specie di<br />

Mycobacterium che provocano la tubercolosi: M. tuberculosis (contagio aerogeno) e M. bovis (contagio tramite il<br />

latte).<br />

Patogenicità di M. Tuberculosis<br />

La patogenicità di M. tuberculosis è legata alla capacità di sfuggire all'uccisione da parte dei macrofagi e di indurre<br />

un'ipersensibilità di tipo ritardato.<br />

Ciò è stato attribuito a diverse componenti della parete cellulare di M. tuberculosis.<br />

1) fattore cordale = un glicolipide di superficie che fa sì che il M. tuberculosis cresca in vitro in filamenti<br />

serpiginosi<br />

2) lipoarabinomannano (LAM) = un importante etero-polisaccaride simile per struttura all' endotosssina dei<br />

batteri gram-negativi, in grado di inibire l'attivazione dei macrofagi da parte dell'IFN-γ<br />

3) complemento = attivato sulla superficie dei micobatteri può opsonizzare i microrganismi facilitandone la<br />

captazione da parte del recettore per il complemento CR3 (l'integrina Mac-1) presente sui macrofagi, senza<br />

peraltro innescare l'esplosione respiratoria necessaria per uccidere il batterio.<br />

4) una proteina da shock termico (heat shock protein) del M. tuberculosis, di 65-kD, simile alle heat shock<br />

proteins umane che probabilmente è coinvolta nelle reazioni autoimmuni prodotte da M. tuberculosis<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 111


Ipersensibilità nella TBC<br />

Lo sviluppo di ipersensibilità cellulo-mediata o di tipo IV nei confronti del bacillo tubercolare probabilmente spiega<br />

l'attività distruttiva del microrganismo nei tessuti, ma anche lo sviluppo di resistenza nei confronti dello stesso.<br />

Al primo contatto con il microrganismo, la risposta infiammatoria è di tipo non specifico.<br />

Nelle successive 2 o 3 settimane, in coincidenza con la positivizzazione della reazione cutanea, la risposta diviene<br />

granulomatosa e la parte centrale dei granulomi diviene caseosa, con la formazione di tipici "granulomi molli".<br />

Infezione primaria<br />

La fase primaria dell'infezione da M. tuberculosis incomincia con l'inalazione dei micobatteri e termina con la risposta<br />

immunitaria mediata dalle cellule T che provoca ipersensibilità al microrganismo e che porta al controllo del 95% delle<br />

infezioni.<br />

Molto spesso è alla periferia del polmone che il M. tuberculosis viene prima fagocitato dai macrofagi alveolari e<br />

trasportato da queste cellule ai linfonodi ilari. Il macrofago non attivato è incapace di uccidere i micobatteri che infatti<br />

si moltiplicano al suo interno, lisano la cellula ospite, infettano altri macrofagi e a volte si disseminano per via ematica<br />

ad altre parti del polmone o in altri organi.<br />

Ruolo dei macrofagi<br />

Dopo poche settimane, si sviluppa l'immunità mediata dalle cellule T (positività della reazione al test con PPD)<br />

(purified protein derivative).<br />

Le cellule T attivate dagli antigeni micobatterici interagiscono con i macrofagi in tre modi.<br />

1. Le cellule T helper CD4+ secernono IFN-γ che attiva i macrofagi rendendoli capaci di uccidere i micobatteri<br />

intracellulari attraverso composti intermedi dell'azoto quali NO, NO2 e HNO3. Si formano granulomi a cellule<br />

epitelioidi<br />

2. Le cellule T CD8+ lisano i macrofagi infettati dai micobatteri attraverso una reazione Fas-indipendente<br />

3. Le cellule T CD4- CD8- (doppia negatività) lisano i macrofagi col meccanismo Fas-dipendente senza uccidere<br />

i micobatteri. La lisi dei macrofagi porta alla formazione di granulomi caseosi (reazioni di ipersensibilità<br />

ritardata)<br />

Tubercolosi secondaria e disseminata<br />

Alcuni soggetti dopo un'infezione primaria possono infettarsi di nuovo, altri possono andare incontro ad una<br />

riattivazione di una malattia già in fase quiescente, altri ancora possono passare direttamente dalle lesioni<br />

micobatteriche primarie ad una malattia disseminata. Ciò può avvenire perché i ceppi micobatterici sono<br />

particolarmente virulenti o perché l'ospite è particolarmente recettivo.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 112


ESEMPIO DELL'ULCERA PEPTICA – INFIAMMAZIONE CRONICA<br />

L’epitelio di rivestimento del tratto alimentare superiore<br />

normalmente è ben protetto dagli effetti lesivi dell'acido<br />

cloridrico diluito e degli enzimi proteolitici prodotti dalla<br />

mucosa gastrica per la digestione del cibo.<br />

Se il meccanismo protettivo cessa di funzionare, l'acido e<br />

gli enzimi distruggono l'epitelio e lo stroma di sostegno<br />

(causando ulcerazione) della parete del canale<br />

alimentare, di solito a livello dello stomaco e del<br />

duodeno.<br />

In questo caso lo stimolo lesivo è persistente, perché lo<br />

stomaco continua a secernere acido ed enzimi.<br />

Il danno stimola un processo infiammatorio acuto, con<br />

formazione di un essudato dove agisce l'acido.<br />

Nella profondità dell'ulcera, nei punti più lontani<br />

dall'acido, ci saranno tentativi di organizzazione<br />

dell'essudato e si formerà un tessuto di granulazione che<br />

progredirà a formare una cicatrice collagene.<br />

In un'ulcera consolidata, tutti questi processi avvengono<br />

contemporaneamente. Perciò, un'ulcera peptica cronica è<br />

un esempio di infiammazione cronica causata dalla<br />

persistenza dello stimolo lesivo.<br />

Possibili esiti dell'ulcera peptica<br />

a) Guarigione. Lo stimolo lesivo è vinto dal processo di guarigione, di<br />

solito perché le secrezione acida gastrica è ridotta o neutralizzata. La<br />

perdita di tessuto è colmata con la cicatrice fibrosa ed è ricoperta da<br />

mucosa cosa gastrica. L'ulcera guarisce.<br />

b) Perforazione. I processi di guarigione e di riparazione sono travolti<br />

dal continuare del danno, prodotto dall’ acido gastrico. Il processo di<br />

ulcerazione continua, penetrando a pieno spessore nella parete e<br />

causando perforazione.<br />

c) Cronicizzazione. Il danno prodotto dall'acido è controbilanciato (ma<br />

non superato) dalla risposta di guarigione dei tessuti. Questa situazione<br />

di stallo porta alla cronicizzazione, e l'ulcera spesso può persistere per<br />

anni. Ogni alterazione dell'equilibrio tra i due fattori in conflitto può<br />

portare ad (a) o a (b).<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 113


ARTERIOSCLEROSI<br />

Struttura delle arterie<br />

− tonaca intima<br />

− endotelio<br />

− sottile strato di connettivo subendoteliale<br />

− lamina elastica interna<br />

− tonaca media<br />

− lamina elastica esterna<br />

− tonaca avventizia = può contenere vasa vasorum<br />

in grandi vasi<br />

Tre categorie di arterie, in base a calibro e caratteristiche<br />

istologiche:<br />

− arterie di grosso calibro o di tipo elastico,<br />

comprendenti l’aorta e i suoi rami principali<br />

(carotidi, iliache, ecc.): hanno molte fibre<br />

elastiche nella media perché sostengono più da<br />

vicino la pulsazione cardiaca (hanno la maggior<br />

sollecitazione meccanica)<br />

− arterie di medio calibro o muscolari, come le coronarie e le arterie renali: sono diramazioni delle arterie<br />

elastiche. Prevalenza di fibre muscolari lisce che si contraggono e si rilasciano inducendo vasocostrizione e<br />

vasodilatazione.<br />

− piccole arterie di diametro inferiore ai 2mm, arteriole 100-20 micron<br />

N.B. La resistenza è inversamente proporzionale alla quarta potenza del raggio del vaso.<br />

FORME <strong>DI</strong> ARTERIOSCLEROSI<br />

Il termine ARTERIOSCLEROSI significa letteralmente “indurimento delle arterie” (scleros = duro) e, più precisamente,<br />

indica un gruppo di condizioni patologiche accomunate da:<br />

− “indurimento” della parete arteriosa (cioè rigidità, perdita di elasticità)<br />

− ispessimento della parete arteriosa<br />

Tipi di aterosclerosi:<br />

• Sclerosi calcifica mediale di Monckeberg = formazione di calcificazioni anelliformi che circondano le arterie<br />

di medio calibro degli arti e dei genitali maschili in soggetti oltre i 50 anni (nella tonaca media), talora con<br />

metaplasia ossea.<br />

• non provocano protrusione, né restringimento, non danno quindi problemi, ma vengono riscontrate nelle<br />

radiografie<br />

• la patogenesi è sconosciuta<br />

• spesso i soggetti ne presentano più d'una in più sedi e possono coesistere con placche aterosclerotiche, ma<br />

non c'è correlazione causale tra le due<br />

• Arteriolosclerosi = colpisce in particolare le arteriole renali, se ne distinguono due tipi:<br />

• ialina<br />

• correlata a ipertensione (poco) => sollecitazione dei vasi => ispessimento, perché le cellule muscolari<br />

producono collagene<br />

• strettamente correlata a diabete: passaggio di sostanza ialina (vitrea) da vasi a parete delle arteriole<br />

• iperplastica<br />

• strettamente correlata ad ipertensione => ispessimento della parete (iperplasia del tessuto muscolare)<br />

a bulbo di cipolla (con tanti strati concentrici), a causa dell'alta pressione che determina forte<br />

sollecitazione meccanica => ispessimento continuo, più intenso in certi punti<br />

• Aterosclerosi = formazione di “strie”, “placche” o “lesioni complicate” in arterie di medio e grosso calibro,<br />

forma più importante di arteriosclerosi (per le sue conseguenze cliniche)<br />

ATEROSCLEROSI<br />

• La radice “atero” deriva dal termine greco che significa “pappa”, “farinata”.<br />

• Perché questo nome?<br />

◦ La lesione tipica della aterosclerosi, l’ateroma o placca aterosclerotica, ha un cuore interno biancogiallastro,<br />

di consistenza poltacea, con grumi di colore giallastro, simile ad una pappa grumosa.<br />

• Quali vasi colpisce?<br />

◦ L’aterosclerosi colpisce le ARTERIE di grande calibro (a. elastiche) e di medio calibro (a. muscolari)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 114


◦ Arterie elastiche: aorta, carotidi (importanti per ictus cerebrale), a. iliache<br />

◦ Arterie muscolari: arterie coronarie e poplitea.<br />

• Dove è localizzata la lesione?<br />

◦ Nella tonaca intima, subito al di sotto dell’endotelio, la placca protrude nel vaso<br />

Evoluzione e conseguenze<br />

La placca aterosclerotica tende ad accrescersi e ad invadere non soltanto la tonaca intima, come è nelle placche iniziali<br />

o comunque meno estese, ma anche la tonaca media.<br />

Le placche aterosclerotiche hanno conseguenze cliniche diverse a seconda della sede, delle dimensioni,<br />

dell’approfondimento:<br />

• a livello di arterie medie o medio-piccole possono provocare occlusione e causare lesioni ischemiche (es.<br />

coronarie: infarto del miocardio; carotidi: ictus cerebrale)<br />

• a livello delle arterie di grosso calibro, distruggono l’architettura della parete arteriosa e la sfiancano,<br />

provocando la formazione di aneurismi (es. aneurisma dell’aorta) o la rottura dell’arteria<br />

• la placca è sede e causa di trombi<br />

• dagli ateromi più estesi e più friabili possono staccarsi emboli di colesterolo (ateroemboli) che vengono liberati<br />

nel circolo. Tali formazioni si riscontrano più frequentemente nei reni.<br />

Fattori di rischio dell'aterosclerosi<br />

Si parla di causa quando si dimostra una stretta correlazione tra agente eziopatologico e patologia.<br />

Si parla invece di fattori di rischio quando nessuno di essi può essere considerato una causa, ma il legame con la<br />

patologia è correlato da osservazioni statistiche, non è causale [all'esame chiede perché si parla di fattori di rischio e non<br />

di cause].<br />

MAGGIORI (correlazione statistica più stretta con l'aterosclerosi)<br />

• Iperlipidemia (LDL)<br />

• Ipertensione<br />

• Fumo di sigaretta (se "aspira" la correlazione è più stretta)<br />

• Diabete<br />

MINORI<br />

• Dieta ricca di grassi animali<br />

• Dieta ricca di carboidrati<br />

• Obesità<br />

• Stress, stile di vita competitivo<br />

• Sesso maschile, ma le donne dopo la menopausa hanno lo stesso rischio (prima ridotto dagli estrogeni)<br />

• Progressione dell’età<br />

• Familiarità<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 115


Appunti di Patologia Generale – Pag, 116


Iperlipidemia<br />

L’esistenza del legame fra ipercolesterolemia (aumento LDL) e aterosclerosi è dimostrata da diversi elementi:<br />

• una dieta ricca di grassi saturi (burro, uova, grassi animali) si associa frequentemente a lesioni aterosclerotiche;<br />

• nelle popolazioni con alti livelli di colesterolemia è più alta la mortalità per cardiopatia ischemica;<br />

• trial clinici hanno dimostrato che, abbassando con diete o farmaci il livello di colesterolo ematico, si riduce la<br />

mortalità per malattie cardiovascolari.<br />

• nell’animale da esperimento, l’ipercolesterolemia indotta con una dieta iperlipidica produce lesioni<br />

aterosclerotiche;<br />

• malattie genetiche che provocano grave ipercolesterolemia (es. assenza recettore LDL, lipoproteine a bassa<br />

densità, le più pericolose) determina aterosclerosi precoce;<br />

Quale tipo di iperlipidemia è associata ad aterosclerosi?<br />

• L’associazione più significativa è con elevati livelli serici di LDL o lipoproteine a bassa densità, le più ricche<br />

di colesterolo;<br />

• anche l’ipertrigliceridemia comporta un aumento del rischio.<br />

• Aumento delle IDL<br />

• Aumento di una lipoproteina anomala, la lipoproteina (a), forma alterata di LDL fortemente associata ad<br />

aterosclerosi<br />

• Al contrario:<br />

◦ I livelli serici di HDL (lipoproteine ad alta densità) sono inversamente correlati al rischio: per questo, le<br />

HDL sono denominate “colesterolo buono”.<br />

L'ipercolesterolemia è così correlata all'aterosclerosi da avere quasi identità di causa.<br />

Cenni su altri fattori di rischio<br />

• IPERTENSIONE<br />

◦ E’ uno dei maggiori fattori di rischio per l’aterosclerosi per qualunque età, ma dopo i 45 anni diviene il più<br />

importante. A questa età e fino ai 62 anni valori superiori a 169/95 mmHg hanno un rischio 5 volte<br />

maggiore rispetto al controllo con pressione arteriosa normale.<br />

• FUMO <strong>DI</strong> SIGARETTA<br />

◦ 1-2 pacchetti al giorno per dieci anni aumenta il rischio del 200%. L’astensione dal fumo dimezza il<br />

rischio. Fattore di rischio sia per gli uomini, sia per le donne.<br />

• ALTERAZIONI DELL’EMOSTASI<br />

◦ Potenziale fattore di rischio per eventi trombotici maggiori (infarto miocardico, ictus cerebrale = infarto<br />

cerebrale).<br />

◦ Marker predittivi sono alti livelli di:<br />

▪ inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1)<br />

▪ fibrinogeno plasmatico<br />

▪ proteina C reattiva<br />

• Tutti questi fattori sono accomunati dalla capacità di danneggiare l'endotelio provocando infiammazione =><br />

risposta della parete => aterosclerosi<br />

Tipologia e aspetti morfologici delle lesioni<br />

• STRIA LIPI<strong>DI</strong>CA<br />

◦ Macchie giallastre multiple (1 mm), dapprima, poi confluenti in strie allungate (1 cm o più). Soprattutto<br />

cellule schiumose. Talora presente anche nei bambini molto piccoli e in tutte le persone dopo i dieci anni.<br />

Le strie lipidiche non sporgono nel lume (quindi non alterano il flusso sanguigno) e non hanno<br />

conseguenze cliniche.<br />

◦ Relazione fra stria e placca: molto dibattuta. Possono diventare placche? Forse, comunque tutti abbiamo<br />

strie, ma non tutti abbiamo placche.<br />

◦ Le strie sono presenti in tutti i tratti dell'arteria, mentre le placche soprattutto in diramazioni e biforcazioni.<br />

◦ La stria può regredire, la placca no.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 117


• PLACCA ATEROMATOSA<br />

◦ 0,3 – 1,5 cm di diametro, protrudente nel lume. Cappuccio fibroso biancastro e consistente (ma fragile<br />

come un guscio d'uovo), parte centrale interna bianco-giallastra e molliccia.<br />

▪ si considera piccola se tra 0,2-0,3 mm, grande fino a 1,5 mm<br />

▪ può anche essere una confluenza di più placche<br />

▪ è una lesione eccentrica: non è centrata, ma riguarda solo una parte dell'arteria<br />

▪ la parete dell'arteria può diventare frastagliata e irregolare => alterazioni del flusso sanguigno<br />

◦ Tre componenti:<br />

▪ cellulari: cellule muscolari lisce, macrofagi e altri leucociti;<br />

▪ tessuto connettivo della matrice extracellulare (collagene, fibre elastiche, proteoglicani);<br />

▪ depositi lipidici intra- ed extra- cellulari.<br />

◦ Un ampio spettro di lesioni a seconda della “combine” dei diversi componenti.<br />

◦ Cappuccio: cellule muscolari lisce e connettivo denso.<br />

◦ Spalla: cellule muscolari lisce, macrofagi, Linfociti<br />

T<br />

▪ macrofagi: anche cellule schiumose per<br />

▪<br />

fagocitosi di lipidi<br />

anche le cellule muscolari lisce possono<br />

fagocitare lipidi e trasformarsi in schiumose<br />

◦ Nucleo: lipidi, detriti cellulari, cellule schiumose.<br />

▪ grigiastro con granulosità gialle<br />

▪ cristalli di colesterolo, lipidi intracellulari e<br />

extracellulari per lipidi riversati da macrofagi<br />

morti, materiale necrotico<br />

LESIONE COMPLICATA, QUALI “COMPLICAZIONI”?<br />

• Calcificazione focale o diffusa. Fragilità del guscio<br />

d’uovo. Evidenza all’ultrasonografia o alla TC<br />

◦ invecchiando può calcificarsi il cappuccio fibroso<br />

=> si vede con l'ecodoppler<br />

• A causa della calcificazione si può avere rottura<br />

localizzata:<br />

▪ per fissurazione = crepa nella placca =><br />

emorragie (frequenti nelle coronarie) per<br />

rottura dei vasellini del cappuccio con<br />

formazione di ematomi, con aumento del<br />

rischio di rottura della placca => il sangue può<br />

anche spandersi all'esterno con formazione di<br />

trombi<br />

• L’immissione nel torrente circolatorio di<br />

frammenti necrotici e lipidi può dare<br />

embolizzazione => ischemia in piccoli vasi<br />

▪ per ulcerazione con conseguente esposizione di<br />

sostanze trombogeniche (tessuto connettivo =><br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 118


è molto trombogenico, vi aderiscono piastrine): si formano trombi che possono organizzarsi<br />

◦ Coinvolgimento della media: atrofia da adattamento della media, perdita della componente elastica,<br />

rigidità della parete arteriosa, conseguente sfiancamento della parete con possibile formazione di<br />

aneurismi.<br />

aneurisma = dilatazione sacciforme (lesione centrica a forma di sacco) della parete arteriosa. Si forma solo nelle arterie<br />

di grande calibro perché la placca si accresce nel lume (rapidamente) tende però a comprimere la tonaca media (più<br />

lentamente)<br />

• => nelle arterie di medio calibro si occlude prima il vaso a causa della grossa parete muscolare<br />

• => nelle grandi arterie è difficile arrivare all'occlusione => si arriva ad una alterazione della struttura e ad un<br />

certo punto a sfiancamento => aneurisma<br />

PATOGENESI<br />

L’ipotesi patogenetica attualmente più accreditata è chiamata ipotesi della reazione al danno. Tale ipotesi individua<br />

l’inizio della lesione aterosclerotica nella risposta vasale ad un danno dell’endotelio. Il danno non è necessariamente<br />

fisico, può anche essere funzionale in assenza di alterazioni morfologiche.<br />

Il danno dell’endotelio (per es. da stress meccanico) aumenta la permeabilità a vari costituenti del plasma, fra cui i lipidi<br />

=> essudazione lipidica => richiamo di monociti e piastrine circolanti, che aderiscono all’endotelio.<br />

Dopo l’adesione, i monociti penetrano all’interno dell’intima, fagocitano il materiale lipidico e si trasformano in<br />

macrofagi.<br />

Fattori rilasciati da monociti e piastrine stimolano la migrazione delle cellule muscolari lisce dalla tonaca media<br />

all’intima e cominciano a proliferare. Inoltre, la sintesi da parte delle cellule muscolari lisce dei componenti della<br />

matrice extracellulare porta all’accumulo di collagene e di proteoglicani => la lesione si "imbottisce" nella regione<br />

subendoteliale.<br />

Se l’insulto è singolo e di breve durata: ripristino della funzione endoteliale e regressione.<br />

Insulti cronici o ripetuti: placca ateromasica => non può più regredire.<br />

Ruolo del danno endoteliale<br />

Il danno endoteliale indotto nell’animale da esperimento mediante lesioni meccaniche, fattori emodinamici (fistole<br />

artero-venose => più velocità del sangue => più turbolenza => danno endoteliale), irradiazione, sostanze chimiche,<br />

determina la proliferazione intimale delle cellule muscolari lisce e la formazione dei tipici ateromi, se la dieta è ricca di<br />

lipidi. Le lesioni precoci si sviluppano a livello di un endotelio morfologicamente NON danneggiato.<br />

La turbolenza può essere indotta anche da ipertensione, che se si trova in concomitanza con iperlipidemia può dare<br />

origine alla placca. Nelle diramazioni e biforcazioni c'è più turbolenza => maggior sviluppo di placche.<br />

Adesione dei monociti alle cellule endoteliali<br />

Per interazione recettoriale (come nell'infiammazione). L’espressione di VCAM-1, la cosiddetta molecola di adesione<br />

endoteliale per i leucociti, è un marker molecolare precoce delle aree a rischio di lesione. Nell’uomo, l’espressione di<br />

ICAM-1 e di VCAM-1 aumenta sull’endotelio delle placche.<br />

Altre deduzioni dai modelli sperimentali<br />

Le alterazioni endoteliali provocate da fattori emodinamici (traumi chirurgici o flusso turbolento) possono spiegare la<br />

particolare distribuzione delle placche (soprattutto biforcazioni, diramazioni).<br />

Fumo, ipertensione aumentano la permeabilità dell’endotelio.<br />

Ruolo dei macrofagi<br />

La migrazione dei monociti nello spazio subendoteliale rappresenta la risposta al gradiente che si viene a creare<br />

nell’intima di vari fattori chemiotattici, come proteine della matrice, citochine infiammatorie (P-1CM = proteina 1<br />

chemiotattica per macrofagi, FSC-M = fattore stimolante colonie per macrofago). Ruolo preminente dei macrofagi che<br />

producono anche:<br />

• IL-1, TNF che causano aumento di adesione dei leucociti<br />

• P1CM, FSC-M, che determinano l’ulteriore reclutamento di leucociti nella placca<br />

• forme tossiche dell’ossigeno che causano ossidazione delle LDL (captate dal recettore spazzino)<br />

• fattori inibenti o stimolanti la crescita (PDGF; FGF; TGF) con cui modulano la proliferazione delle cellule<br />

muscolari lisce e la deposizione della matrice.<br />

Ruolo delle cellule muscolari lisce<br />

Da dove originano? Dalla media, per migrazione o da cellule miointimali pre-esistenti<br />

La proliferazione delle cellule muscolari lisce e la deposizione della matrice extracellulare nell’intima sono i processi<br />

più importanti per l’accrescimento progressivo della placca ateromasica (anche passaggio da stria a placca).<br />

Sostanze mitogene e chemiotattiche per le cellule muscolari lisce:<br />

• stimolanti<br />

◦ PDGF (fattore di crescita derivato dalle piastrine), prodotto non solo dalle piastrine, ma anche da MF, CE,<br />

cellule muscolari lisce<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 119


◦ FGF (fattore di crescita fibroblastico)<br />

◦ TGF-alfa (fattore trasformante alfa della crescita) = funzione mitogena e chemiotattica<br />

• inibenti:<br />

◦ Sostanze eparino-simili (prodotte dalle cellule endoteliali e muscolari)<br />

◦ TGF-beta (fattore trasformante beta della crescita, prodotto da cellule endoteliali e macrofagi)<br />

Il risultato è una vera e propria modulazione.<br />

Lipoproteine plasmatiche<br />

Le lipoproteine plasmatiche sono particelle globulari costituite da:<br />

• un nucleo centrale di lipidi neutri (trigliceridi ed esteri del colesterolo)<br />

• una parte esterna di lipidi polari (fosfolipidi e colesterolo libero)<br />

• apolipoproteine o apoproteine<br />

• Recettori lipoproteici riconoscono le lipoproteine e ne assicurano la captazione cellulare.<br />

Difetti genetici (primitivi o secondari) e acquisiti sono sottesi alle varie forme di iperlipidemia. Esempi di difetti<br />

genetici:<br />

• difetto del recettore per le LDL (inadeguata captazione epatica), nell’ipercolesterolemia familiare (1:500<br />

eterozigote, xantomi tendinei aterosclerosi precoce; omozigote: infarto prima dei 20 anni)<br />

• Difetto apo-E<br />

• Difetto apoproteina B-100<br />

Conclusioni<br />

Farmaci e vitamine antiossidanti sembrano esercitare un effetto protettivo nei confronti dell’aterosclerosi.<br />

L’iperlipidemia porta alla formazione di lesioni aterosclerotiche attraverso un danno ossidativo dell’endotelio per<br />

aumentata produzione di radicali liberi dell’ossigeno.<br />

Gli orientamenti attuali considerano l’aterosclerosi come una risposta infiammatoria dei tessuti dell’intima ad un danno<br />

(anche solo funzionale) dell’endotelio, danno che può essere provocato da diversi fattori. Meccanismi patogenetici<br />

multipli contribuiscono alla formazione ed alla progressione della placca: l’infiltrazione dei monociti, la proliferazione<br />

delle cellule muscolari lisce, la deposizione di matrice extracellulare, l’accumulo di lipidi e la trombosi.<br />

Predisposizione genetica all'aterosclerosi<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 120


IPERTENSIONE<br />

L’ipertensione, o pressione arteriosa eccessivamente elevata, è una condizione cronica molto comune, che colpisce circa<br />

il 5% della popolazione occidentale e dà un importante contributo alle cause di mortalità umana.<br />

Il riferimento migliore per stabilire la gravità della malattia è la pressione diastolica.<br />

Il limite oltre il quale c’è ipertensione può considerarsi di 95 mm Hg nell’uomo e di 100 mm Hg nella donna.<br />

Età e pressione arteriosa<br />

• Pressione sistolica normale: 90-140 mm Hg<br />

• Pressione diastolica normale: 60-90 mm Hg<br />

La pressione aumenta con l’età e l’ipertensione è più frequente nell’età media e avanzata.<br />

E’ da considerare l’effetto delle condizioni ambientali (dieta e eccessiva ingestione di sale, obesità, stress, sedentarietà,<br />

fumo, ecc.).<br />

Pressi<br />

one<br />

Sistolica (mmHg) Diastolica (mmHg)<br />

ottima<br />

le<br />

norma<br />

le<br />

alta<br />

norma<br />

le<br />

iperte<br />

nsione<br />

lieve<br />

iperte<br />

nsione<br />

moder<br />

ata<br />

iperte<br />

nsione<br />

grave<br />

< 120 < 80<br />

< 130 < 85<br />

130-139 85-89<br />

140-159 90-99<br />

160-179 100-109<br />

>= 180 >= 110<br />

• Ipertensione essenziale = la maggior parte dei casi, quando non si riscontra una causa identificabile o una<br />

malattia associata<br />

• attinente alla costituzione<br />

• polifattoriale<br />

• Ipertensione secondaria = quando è la conseguenza di altre malattie (circa 10% dei casi), ipertensione<br />

sistolica e diastolica può essere secondaria a:<br />

• Nefrosclerosi, nefriti e nefrosi<br />

• Tumori secernenti renina<br />

• Sindromi con eccesso di mineralcorticoidi (aldosteronismo, iperplasia surrenalica congenita, ingestione di<br />

liquirizia)<br />

• Sindrome di Cushing<br />

• Feocromocitoma<br />

• Contraccettivi orali<br />

• Gravidanza<br />

• Coartazione dell’aorta<br />

• Iperparatiroidismo<br />

• Ipertensione endocranica<br />

Decorso (evoluzione della malattia)<br />

• Rapidamente progressivo, sino al decesso, con pressione diastolica > 130 mm Hg, e si definisce ipertensione<br />

maligna.<br />

• La morte avviene entro un anno dalla diagnosi ed è causata da uremia, insufficienza del ventricolo sinistro,<br />

danni renali o emorragia cerebrale. Colpisce il 5% degli ipertesi, ad una età di circa 40 anni<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 121


• Decorso lento, in questo caso si parla di ipertensione benigna.<br />

• Frequente in soggetti di età media ed avanzata con ipertensione essenziale. Le conseguenze cliniche sono<br />

attribuibili all’aterosclerosi associata, il cui decorso è aggravato dall’ipertensione.<br />

Conseguenze dell'ipertensione<br />

Effetti tanto più gravi quanto più elevata la pressione.<br />

1. Alterazioni degenerative delle arterie e delle arteriole:<br />

◦ Aterosclerosi: ipertensione => sollecitazioni emodinamiche sulla parete arteriosa => permeabilità ai lipidi<br />

=> adesione piastrinica.<br />

▪ Viene così accelerata l’aterosclerosi con malattia ischemica cardiaca, infarto del miocardio e del<br />

cervello.<br />

◦ Ispessimento dell’intima e degenerazione ialina: specie nelle arteriole afferenti dei glomeruli renali<br />

(dove l'apparato juxaglomerulare risponde alle variazioni di pressione arteriosa col sistema reninaangiotensina),<br />

nell’ipertensione benigna. Aspetto omogeneo e vitreo (= ialino) della parete vasale; il<br />

materiale omogeneo, eosinofilo è costituito da fibrina e da fibre collagene. Il lume vasale è ristretto. Si<br />

crea così un circolo vizioso: riduzione della perfusione renale => produzione di renina => ipertensione.<br />

◦ Ipertrofia della media: aumento della muscolatura liscia in risposta allo stimolo pressorio. L’ipertrofia<br />

diffusa aumenta le resistenze periferiche e contribuisce al mantenimento dell’ipertensione.<br />

◦ arteriolonefrosclerosi, glomerulonefrite (le anse glomerulari sono sostituite da tessuto fibroso),<br />

nefrosclerosi maligna (ipertrofia delle arteriole a bulbo di cipolla)<br />

◦ Necrosi fibrinoide: nelle piccole arterie e nelle arteriole si ha essudazione di plasma, frammentazione<br />

delle fibre muscolari lisce, infiltrazione infiammatoria di neutrofili, globuli rossi e deposizione di fibrina<br />

(nel preparato non si vedono più le fibre muscolari, ma solo fibrina, molto colorata con eosina, rosa). Si<br />

può avere emorragia e trombosi, oppure ispessimento fibroso dell’intima. La necrosi fibrinoide è<br />

responsabile di:<br />

▪ ischemia e lesioni renali<br />

▪ lesioni ischemiche della retina che possono portare a cecità<br />

▪ emorragie cerebrali<br />

◦ Aneurismi: il cedimento della media delle piccole arterie cerebrali porta a dilatazioni o microaneurismi,<br />

avviene soprattutto nelle arterie cerebrali. La rottura di queste porta a emorragie cerebrali, causa frequente<br />

di morte nell’ipertensione maligna. Il termine colpo apoplettico indica danno cerebrale da emorragia,<br />

trombosi o embolia.<br />

2. Danni cardiaci<br />

◦ Il sovraccarico del cuore dato dall’elevata pressione cardiaca porta a ipertrofia cardiaca. Aumenta quindi<br />

lo spessore delle fibre miocardiche, ma senza un corrispondente aumento della vascolarizzazione => il<br />

cuore è ingrossato e lavora sempre di più e sempre più al limite dell'ipossia. Quando l’ipertensione è molto<br />

grave si ha insufficienza ventricolare sinistra che può essere fatale.<br />

Fisiopatologia dell'ipertensione<br />

La regolazione della pressione del sangue è data dalla combinazione di diversi fattori:<br />

• Pressione arteriosa media = gittata cardiaca x resistenza periferica totale<br />

◦ Le resistenze periferiche sono date principalmente dalle piccole arterie e arteriole, molto meno da capillari<br />

e venule.<br />

• Nell’ipertensione la gittata cardiaca è di solito normale e l’aumento di pressione è dovuto all’aumento delle<br />

resistenze periferiche, per il diminuito diametro dei vasi.<br />

• In alcuni casi l’ipertensione è causata dall’aumento del volume ematico (ipervolemia) e di conseguenza dalla<br />

gittata cardiaca aumentata.<br />

Con farmaci si può agire sulla volemia (volume ematico) => di<br />

conseguenza varia la gittata.<br />

− ipervolemia => causa di ipertensione<br />

Riflessi dei barocettori arteriosi<br />

I barocettori sono recettori di stiramento situati sotto l’avventizia<br />

di grosse arterie elastiche nei punti in cui la parete è<br />

particolarmente sottile (seno carotideo, arco aortico).<br />

Aumento pressorio => stimolazione barocettori => inibizione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 122


centrale dei centri pressori => dilatazione vasi periferici => diminuzione della resistenza periferica;<br />

contemporaneamente si ha rallentamento cardiaco per stimolazione del centro cardioinibitore vagale.<br />

Nell’ipertensione cronica o con l’invecchiamento diminuisce la sensibilità dei barorecettori e diminuisce pertanto la<br />

inibizione centrale dei centri pressori, con aumento della pressione.<br />

Adrenalina e noradrenalina<br />

Inducono aumento di pressione arteriosa mediante costrizione delle arteriole. La loro secrezione dalla midollare<br />

surrenale aumenta la pressione durante lo stress, lo stato di eccitazione, l’esercizio muscolare e l’asfissia.<br />

Il feocromocitoma, un tumore delle cellule cromaffini della midollare surrenale, produce grandi quantità di<br />

noradrenalina ed è causa di ipertensione secondaria.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 123


Fattori emodinamici che controllano la pressione<br />

Sistema renina-angiotensina-aldosterone<br />

• E’ nota da tempo l’associazione tra malattie renali ed ipertensione.<br />

• Si può produrre sperimentalmente ipertensione nel cane con la riduzione del calibro di un’arteria renale<br />

◦ riduzione del flusso ematico => riduzione del flusso alle arteriole afferenti e quindi all'apparato<br />

juxtaglomerulare => rilascio di renina (enzima proteolitico che agisce su angiotensinogeno, sintetizzato<br />

nel fegato, staccando un decapeptide) => angiotensina I => enzima ACE => angiotensina II (octapeptide)<br />

=> angiotensina III (esapeptide)<br />

◦ angiotensina II e III = forme attive, provocano:<br />

▪ vasocostrizione sulle arteriole (effetto diretto)<br />

▪ rilascio di noradrenalina dalle terminazioni simpatiche e dalla midollare surrenale<br />

◦ renina e angiotensina => anche implicate nella regolazione del contenuto di sodio e di acqua => + volemia<br />

=> + gittata => + pressione arteriosa<br />

▪ se c'è una riduzione della concentrazione plasmatica di sodio o della volemia (per disidratazione,<br />

perdita di plasma o di sangue) => rilascio di renina<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 124


▪ angiotensina => aumenta il riassorbimento nel tubulo prossimale di acqua e sodio => + volemia<br />

• Ipertensione si riscontra in:<br />

◦ pielonefrite cronica<br />

◦ glomerulonefrite cronica<br />

◦ stenosi dell’arteria renale<br />

◦ rene policistico (maggior pressione verso la capsula renale, che è inestensibile)<br />

• L’angiotensina (in particolare la III) provoca la secrezione di aldosterone dalla corteccia surrenale e questo il<br />

riassorbimento di sodio nei tubuli distali.<br />

• L’acqua è riassorbita con il sodio, ma è perduto potassio.<br />

• Un eccesso di aldosterone porta ad una ritenzione eccessiva di sodio e acqua, ad un aumento del volume di<br />

plasma e all’ipertensione.<br />

• Ciò si verifica nella Sindrome di Conn in cui l’eccessiva produzione di aldosterone provoca ipertensione per<br />

aumento della volemia e non delle resistenze periferiche (non c’è aumento di renina-angiotensina)<br />

• Nelle malattie renali c’è aldosteronismo secondario alla maggior produzione di angiotensina: l’ipertensione è<br />

quindi data sia dall’aumento delle resistenze periferiche (angiotensina) sia dalla volemia (aldosterone).<br />

Fattori che modulano il rilascio di renina<br />

FAVORENTI INIBENTI<br />

Abbassamento della P sanguigna Innalzamento della P sanguigna<br />

Passaggio dalla posizione supina e quella eretta Assunzione della posizione supina<br />

Deplezione salina Sovraccarico salino<br />

Stimolazione beta-adrenergica Angiotensina II<br />

Ormoni e prostaglandine vasodilatatori Vasopressina<br />

Peptidi oppiacei Inibitori della ciclossigenasi<br />

Callicreina Potassio<br />

Calcitonina Calcio<br />

Dieta iperproteica Endotelina<br />

Fattori di crescita e citochine (TNF, IL-1, TGF-beta) Fattori di rilascio di origine endoteliale (EDRF)<br />

Adenosina<br />

ANP<br />

Alcuni farmaci beta-bloccanti (beta-bloccanti, alfa,<br />

metildopa, clonidina)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 125


Sistema di compenso della risposta renale - sistema callicreine-chinine-prostaglandine<br />

Il rene esercita anche un effetto anti-ipertensivo che si oppone alle attività delle angiotensine e dell’aldosterone: il<br />

sistema renina-angiotensine è controbilanciato nel rene dal sistema callicreina-chinina che, in collaborazione con la<br />

prostaglandina PGE2 induce vasodilatazione nel rene ed escrezione di sodio e di acqua.<br />

Gli stimoli all’attivazione della callicreina sono l’aumento del volume plasmatico, l’angiotensina e l’aldosterone.<br />

Il ruolo del sistema callicreina-chinina è quindi quello di proteggere il rene dagli effetti vasocostrittori dell’angiotensina<br />

(determinerebbe ulteriore ipoperfusione dell'organo, in una condizione già di carenza) e di bilanciare gli effetti<br />

dell’angiotensina e dell’aldosterone sulla pressione arteriosa e sul volume plasmatico.<br />

E' un meccanismo a feedback che porta ad abbassamento della pressione arteriosa.<br />

Stimolazione da parte delle chinine della sintesi di prostaglandine<br />

Abuso di FANS => danni renali, perché inibisce la ciclossigenasi inibendo questo meccanismo di salvaguardia renale.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 126


Eziologia dell'ipertensione, alcune cause di ipertensione secondaria<br />

Causa Meccanismo<br />

Stenosi dell'arteria renale Predisposizione familiare a ipertensione<br />

Ispessimento parete vasale arteria renale<br />

(fibrodisplasia muscolare)<br />

Predisposizione familiare a ipertensione<br />

Iperaldosteronismo primario (sindrome di Conn) Abnorme secrezione di aldosterone e ritenzione di sodio<br />

Ipercorticalismi (Sindrome di Cushing): eccesso<br />

di cortisolo<br />

Spill-over su recettore per aldosterone da cortisolo in eccesso e non<br />

trasformato in cortisone<br />

Eccessivo consumo di liquirizia (ac. glicirrizico) Acido glicirrizico inibisce la 11-b-idrossisteroido-deidrogenasi<br />

impedendo la trasformazione del cortisolo in cortisone: spill-over su<br />

recettore per aldosterone<br />

Feocromocitoma Abnorme secrezione di catecolamine e vasocostrizione<br />

Ipertiroidismi Aumento della gittata cardiaca per l'aumento della frequenza.<br />

Ipertrofia cardiaca e del muscolo vascolare.<br />

Tumori renali o extrarenali secernenti renina Abnormi livelli di renina e attivazione del signalling aldosteronico<br />

Spill-over = il cortisolo in grandi quantità agisce anche sui recettori per l'aldosterone (lo stesso meccanismo avviene<br />

anche per altre molecole).<br />

Acido glicizzirico = idrolizzato è attivato => analogo degli ormoni steroidei.<br />

Cause acquisite di ipertensione<br />

Eziologia dell'ipertensione essenziale<br />

• aumento costituzionale, sebbene non costante, dei livelli di renina, adrenalina e noradrenalina, aldosterone, e<br />

cortisolo. La determinazione dei loro livelli dà utili indicazioni per la terapia.<br />

• Si può osservare una disposizione ereditaria famigliare alla ipertensione, su cui agiscono fattori ambientali:<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 127


stress, sedentarietà, eccessiva assunzione di NaCl, fumo, obesità.<br />

• Una azione prolungata di fattori esogeni può portare a ipertrofia della media e ispessimento dell’intima,<br />

aumento delle resistenze periferiche e quindi consolidamento degli elevati livelli di pressione.<br />

• L’ispessimento ialino delle arteriole renali porta alla aumentata secrezione di renina. In alcuni casi la causa<br />

dell’ipertensione può essere un abnorme livello di aldosterone, ritenzione di sodio e acqua e quindi<br />

ipervolemia.<br />

Familiarità per l'ipertensione arteriosa<br />

Complessivamente in Italia la familiarità per l’ipertensione arteriosa riguarda il 41% degli uomini e il 54% delle donne.<br />

• Nord Ovest: il 39% degli uomini e il 50% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />

• Nord Est: il 41% degli uomini e il 53% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />

• Centro: il 43% degli uomini e il 56% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />

• Sud e Isole: il 41% degli uomini e il 56% delle donne hanno una familiarità per l’ipertensione arteriosa<br />

Genetica molecolare dell'ipertensione<br />

• Iperaldosteronismo glucocorticoide rimediabile (GRA): malattia autosomica dominante in cui l’increzione<br />

di aldosterone è data da ACTH piuttosto che da angiotensina II. Mutazioni del gene dell’aldosterone sintasi e<br />

del 11-beta-idrossilasi steroideo, entrambi contigui sul cromosoma 8, danno origine ad un gene ibrido con<br />

produzione eccessiva di aldosterone nella zona fascicolata del surrene sotto il controllo dell’ACTH.<br />

Aumentano anche i mineralcorticoidi con ipervolemia.<br />

• Sindrome da eccesso apparente di mineralcorticoidi (AME): malattia autosomica recessiva in cui si osserva<br />

stimolazione eccessiva dei recettori del mineralcorticoidi (aumento di ritenzione di sodio e acqua), con livelli<br />

normali (o diminuiti) di aldosterone. Mutazione inattivante del gene per la 11-beta-idrossisteroide idrossilasi,<br />

che dovrebbe convertire il cortisolo a cortisone, che quindi si accumula e stimola il suo recettore.<br />

◦ Nel consumo eccessivo di liquirizia, l’acido glicirretinico inibisce la 11-beta-idrossisteroide idrossilasi<br />

• Sindrome di Liddle malattia autosomica dominante in cui si ha basso livello di mineralcorticoidi, ma un<br />

canale del sodio costitutivamente attivato nel tubulo renale. Come conseguenza si ha riassorbimento eccessivo<br />

di Na e acqua, indipendente da mineralcorticoidi con conseguente ipervolemia e ipertensione.<br />

◦ La sindrome di Liddle è causata da una mutazione di un canale del sodio (denominato ENaC) a livello del<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 128


locus 16p12-p13. L'effetto della mutazione è una modificazione del canale che ne impedisce la<br />

degradazione da parte del sistema proteosomico dell'ubiquitina.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 129


Acquaporine<br />

Le acquaporine (AQP) sono una famiglia di proteine-canale che facilitano il flusso molto veloce delle molecole d’acqua<br />

all'interno o all'esterno delle cellule di specifici tessuti che richiedono questa capacità (tubuli prossimali, eritrociti,<br />

membrane dei vacuoli delle cellule vegetali).<br />

L'acquaporina 2 è importante nel processo di riassorbimento dell'acqua nel dotto collettore, la sua attività è regolata<br />

dalla vasopressina (ADH), cioè, in seguito a ipovolemia, si ha la liberazione di ADH che controlla l'attività<br />

dell'acquaporina 2.<br />

• In assenza dell'acquaporina 2, anche se viene liberato l'ormone antidiuretico (ADH), non avviene nessun<br />

riassorbimento, per cui si verifica una patologia chiamata diabete insipido nefrogenico, a differenza del<br />

diabete insipido neurogenico, dovuto ad un mancato rilascio di ADH<br />

• Un eccesso di funzione dell'acquaporina 2 provocherebbe eccessivo riassorbimento d’acqua, ipervolemia e<br />

ipertensione<br />

Prevenzione dell'ipertensione<br />

1. Riduzione del consumo di NaCl<br />

2. Ridurre il peso negli obesi, perché il sangue costituisce circa il 10% del peso corporeo => contribuisce alla<br />

pressione<br />

Links<br />

http://www.salus.it/temacuore/ipertensione.html<br />

http://www.epicentro.iss.it/ben/pre_2002/settembre02/2.htm<br />

http://www.dica33.it/argomenti/cardiologia/ipertensione/default.asp<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 130


IPERLIPOPROTEINEMIE<br />

Eccesso di lipidi nel sangue. Non tutti i lipidi hanno potere aterogeno, solo alcuni sono fattori di rischio per<br />

l'aterosclerosi.<br />

Lipoproteine plasmatiche<br />

I lipidi sono associati a proteine specifiche, dette apolipoproteine, in complessi ad alto peso molecolare.<br />

Le lipoproteine hanno una densità più bassa delle altre proteine del plasma e centrifugate in soluzioni saline di<br />

opportuna densità si muovono verso l'alto (flottazione, tendono a galleggiare).<br />

Lipidi plasmatici<br />

Una quota molto piccola dei lipidi plasmatici è libera, costituita dagli acidi grassi non esterificati (NEFA), nel plasma<br />

associati all'albumina.<br />

Il complesso NEFA-albumina non è compreso di solito tra le lipoproteine plasmatiche perché ha una densità > 1.21<br />

g/mL, che è il limite superiore convenzionale delle tipiche lipoproteine plasmatiche.<br />

Struttura delle lipoproteine<br />

• nucleo centrale apolare (core, in inglese) costituito da lipidi idrofobici, ovvero che non hanno gruppi polari<br />

esposti => trigliceridi e esteri del colesterolo. Il colesterolo diventa apolare quando è esterificato il suo gruppo<br />

alcolico<br />

• rivestimento di lipidi polari (fosfolipidi e colesterolo libero) e proteine (apolipoproteine)<br />

Classi di lipoproteine<br />

Classe Densità (g/mL) Lipidi Apoproteine<br />

Chilomicroni < 0.94 Trigliceridi esogeni apo-B48, anche apo-A (in circolo dalle HDL)<br />

apo-C, apo-E<br />

VLDL 0.94-1.006 Trigliceridi endogeni apo-B100, apo-C, apo-E<br />

IDL 1.006-1.019 Trigliceridi endogeni apo-B100, apo-C, apo-E<br />

LDL 1.019-1.063 ricche di esteri del colesterolo apo-B100<br />

HDL 1.063-1.210 fosfolipidi ed esteri del colesterolo apo A-I, apo-A-II<br />

Da chilomicroni a HDL diminuisce sempre di più la % di trigliceridi e aumenta il colesterolo esterificato con massimo<br />

nelle LDL. La quota proteica va da un minimo nei chilomicroni (2%) e un massimo nelle HDL (55%).<br />

Le LDL non hanno apo-E => non possono interagire con alta affinità con gli epatociti (serve apo-B e apo-E) => restano<br />

a lungo in circolo => maggior potenziale aterogeno.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 131


Chilomicroni<br />

Dall'intestino tenue i grassi alimentari vengono assorbiti, prima scissi dalla lipasi enterica, poi riesterificati, uniti a<br />

apoproteine A, B-48, C, E=> chilomicroni.<br />

I chilomicroni passano nella linfa e giungono al circolo venoso. La lipasi lipoproteica, presente sull'endotelio dei<br />

capillari di tessuto adiposo e muscolare scheletrico (ma anche di altri tessuti), scinde i trigliceridi in acidi grassi non<br />

esterificati => diventano NEFA o sono consumati nella beta-ossidazione, oppure nel tessuto adiposo possono essere<br />

riesterificati a trigliceridi di deposito.<br />

I chilomicroni in circolo scambiano con HDL apo-A, apo-C, trigliceridi e colesterolo.<br />

Dopo questo processo di scambio con HDL, cessione di trigliceridi a endotelio e poi al tessuto adiposo e muscolare, il<br />

chilomicrone perde apo-A e apo-C => resta solo con apo-B48 e apo-E => è detto residuo chilomicronico => captato<br />

dal fegato.<br />

Lipoproteine<br />

Il fegato può esportare le VLDL, che contengono apo-B-100, apo-E, apo-C. La VLDL perde parte dei trigliceridi<br />

attraverso l'interazione con la lipasi lipoproteica endoteliale => IDL => può essere captata dal fegato, oppure se resta in<br />

circolo si trasforma in LDL perdendo apo-E (resta apo-B-100).<br />

Circa il 70% delle LDL è captata dal fegato dal recettore per LDL, ma mentre le IDL possono interagire sia col recettore<br />

E (per apo-E) che col recettore B (per apo-B), le LDL possono interagire solo col recettore B, quindi con minore<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 132


affinità.<br />

Una parte di LDL resta quindi a lungo in circolo. Se si ossidano possono essere captate dai recettori scavenger dei<br />

monociti/macrofagi. In caso di iperlipoproteinemie i macrofagi acquisiscono più LDL del normale e possono diventare<br />

cellule schiumose.<br />

Le HDL sono prodotte dal fegato e assorbono fosfolipidi, ma soprattutto colesterolo da IDL e dalle cellule dei tessuti<br />

(evitando un eccesso di colesterolo), tramite la lecitina-colesterolo-acil-transferasi (LCAT) possono esterificare il<br />

colesterolo e cederlo a IDL e fegato.<br />

Gli enzimi importanti nel trasporto delle lipoproteine sono:<br />

− lipasi lipoproteica (soprattutto si trova a livello del tessuto adiposo e del muscolo striato) = consente l'idrolisi<br />

dei trigliceridi di chilomicroni e VLDL, consentendo l'utilizzazione degli acidi grassi<br />

− lipasi epatica (simile alla lipasi lipoproteica) = partecipa alla lipolisi<br />

− LCAT (lecitina-colesterolo-acil-transferasi) = enzima delle HDL responsabile della sintesi della maggior parte<br />

degli esteri del colesterolo<br />

Le LDL hanno effetti sulle cellule endoteliali, sulle cellule muscolari lisce, sui monociti/macrofagi. Cellule presenti<br />

nelle lesioni aterosclerotiche possono ossidare le LDL, le LDL ossidate:<br />

• Alterano il tono vascolare<br />

• Attivano infiammazione<br />

• Tossiche per le cellule endoteliali<br />

• Chemotattiche per i macrofagi<br />

Scambio dei componenti delle lipoproteine plasmatiche<br />

I componenti superficiali di ciascuna lipoproteina scambiano con quelli di altre lipoproteine e con quelli delle<br />

membrane cellulari.<br />

Fanno eccezione le apo-B (B-100 delle VLDL e IDL, e B-48 dei chilomicroni) che non vengono mai scambiate: sono<br />

parte integrante e vi rimangono anche durante importanti trasformazioni, come VLDL => IDL => LDL o nel passaggio<br />

CM => residuo CM.<br />

Funzione delle apolipoproteine<br />

Esempi:<br />

− apo-C-II attiva la lipasi lipoproteica degli endoteli capillari dei tessuti extra-epatici<br />

− apo-A-I, apo-C-I e forse apo-D attivano LCAT (lecitina-colesterolo-acil-transferasi)<br />

− apo-B-100 e apo-E sono segnali per recettori (con maggiore affinità se sono entrambe presenti)<br />

IPERLIPOPROTEINEMIE FAMILIARI<br />

Fenotipo Lipoproteine<br />

aumentate<br />

Classe di lipidi aumentata Rischio<br />

aterosclerosi<br />

Alterazione genetica nota<br />

tipo I CM Aumento massivo di trigliceridi minimale Mut. gene lipoproteinlipasi<br />

tipo IIa LDL colesterolo forte Mut. gene per recettore apo-B o<br />

gene apo-B<br />

tipo IIb LDL e VLDL colesterolo e trigliceridi forte Mut. gene per recettore apo-B o<br />

gene apo-B<br />

tipo III residui CM e IDL trigliceridi e colesterolo forte Mut. gene per recettore apo-E<br />

tipo IV VLDL trigliceridi Sconosciuto<br />

tipo V VLDL e CM trigliceridi e colesterolo normale Mut. gene per recettore apo-C-II<br />

Iperlipoproteinemie familiari<br />

• deficienza familiare di lipasi lipoproteica = tipo I, autosomica recessiva<br />

• accumulo di chilomicroni nel plasma<br />

• coliche addominali ripetute<br />

• attacchi di pancreatite<br />

• xantomi (placche cutanee giallastre)<br />

• epatosplenomegalia<br />

• scarsa tendenza alla aterosclerosi<br />

• deficienza familiare di apolipoproteina C-II = tipo V, autosomica recessiva (rarissima), poiché C-II è un<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 133


attivatore della lipasi lipoproteica degli endoteli:<br />

• accumulo nel plasma di chilomicroni e VLDL<br />

• attacchi di pancreatite<br />

• siero lattescente a digiuno<br />

• non c'è tendenza all'aterosclerosi precoce<br />

• ipercolesterolemia familiare = tipo II, autosomica dominante, frequente (1:500), difetto nei recettori delle<br />

LDL (B-E) presenti sugli epatociti e su molte altre cellule<br />

• omozigoti => 600-1000 mg/dL di colesterolo<br />

• eterozigoti => 250-500 mg/dL di colesterolo<br />

• aumento selettivo LDL con ipercolesterolemia<br />

• xantomi nei tendini e xantelasmi (palpebrali, anche arcus lipoides sulla cornea, prima dei 10 anni)<br />

• ateromi nelle arteriole<br />

• precoce aterosclerosi coronarica<br />

• infarti precoci del miocardio<br />

• iperlipoproteinemia tipo III familiare = anomalo allele E d al posto del normale E n nel locus genetico<br />

polimorfico che specifica la struttura dell'apo-E: apo-E alterata, con scarsa affinità per i recettori epatici,<br />

quindi:<br />

• accumulo IDL<br />

• xantomi cutanei (palmari e plantari, papulonodosi) e palpebrali (xantelasmi)<br />

• grave forma di aterosclerosi precoce<br />

Anomalie dei recettori epatici delle LDL (recettori B-E) nell'ipercolesterolemia familiare<br />

Si conoscono almeno 3 mutazioni:<br />

1. è presente un gene che codifica per un prodotto genico che non ha proprietà di recettore<br />

2. è prodotto un recettore con bassissima attività legante (1-10% del normale)<br />

3. è prodotto un recettore che lega normalmente la LDL ma non è capace di trasportarla all'interno dell'epatocita<br />

<strong>DI</strong>SOR<strong>DI</strong>NI ERE<strong>DI</strong>TARI DEL METABOLISMO LIPI<strong>DI</strong>CO E RELAZIONE CON L’ATEROSCLEROSI<br />

Varianti di apoE<br />

Il locus genico di apoE è polimorfico (19q): E2, E3, E4 sono varianti comuni, con 6 fenotipi, che spiegano la variabilità<br />

individuale del livello di colesterolo<br />

• apoE 3/3 è il più frequente.<br />

• apoE 3/2 ha un livello di colesterolo più basso del 20% di apoE 3/3<br />

• apoE4 è l’allele che dà il più alto livello di colesterolo<br />

• negli ottuagenari (persone tra gli 80 e 90 anni) maschi bassa frequenza di E4 e alta di E2<br />

Lipoproteine ad alta densità<br />

• Correlazione inversa tra livello di colesterolo HDL e malattia ischemica cardiaca<br />

• apoA1 a apoCIII sul cromosoma 11 e fisicamente concatenati<br />

• Polimorfismi di apoA1 associati ad aterosclerosi precoce<br />

• I livelli di HDL variano con il genere, lo stile di vita e le abitudini alimentari<br />

• Alti livelli di HDL: genere femminile, attività fisica e moderato consumo di alcol<br />

• Bassi livelli di HDL: obesità del tronco, diabete, fumo di sigaretta, androgeni<br />

Lipoproteina(a)<br />

• Lp(a) è una particella simile all’LDL in cui l’apo(a) e legata con ponte di disolfuro a apoB-100<br />

• Apo(a), correlata geneticamente al plasminogeno, potenzia il trasporto di colesterolo ai vasi danneggiati,<br />

sopprime la produzione di plasmina, promuove la proliferazione di cellule muscolari lisce<br />

• Lp(a) associata ad alto rischio di aterosclerosi (relazione tra aterosclerosi e trombosi)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 134


LE ANEMIE<br />

Definizione dal punto di vista fisiopatologico: è la condizione in cui la quantità o la qualità dei globuli rossi o del<br />

patrimonio emoglobinico non soddisfa la richiesta di ossigeno nei tessuti => “ridotta capacità del sangue di ossigenare i<br />

tessuti”.<br />

Definizione dal punto di vista della pratica clinica: quando si osservi una riduzione della concentrazione<br />

dell’emoglobina al di sotto dei valori ritenuti normali per quel dato individuo. Il riferimento per la valutazione dello<br />

stato anemico è il valore della concentrazione ematica dell’emoglobina (essendo l’anemia una “diminuzione del<br />

patrimonio emoglobinico”).<br />

Concentrazione di Hb = peso Hb (g) / volume di sangue (dL) = g/dL<br />

NB: concentrazione, non quantità!<br />

Si tratta di un valore di concentrazione in cui si assume costante il volume ematico => valutare con attenzione, bisogna<br />

tenere quindi conto:<br />

• della possibilità che la riduzione della concentrazione sia imputabile non ad una riduzione di Hb ma ad<br />

emodiluizione, come accade nella gravida nei mesi alti di gravidanza (anemia factitia = fasulla) => nell'ultimo<br />

trimestre c'è un aumento del volume plasmatico per ritenzione idrica<br />

• della possibilità che il valore di concentrazione (misurato su un campione di sangue) non sia quantitativamente<br />

rappresentativo del patrimonio emoglobinico, come può accadere, ad esempio, in una grave emorragia acuta<br />

Valori ematologici normali riferiti agli eritrociti (da esame emocromocitometrico) [non sono da sapere]<br />

• Numero degli eritrociti (in un mm3 di sangue) x 10 6<br />

◦ 4,4-5,9 nell’uomo - 3,8-5,2 nella donna<br />

• Concentrazione della emoglobina (g/dl di sangue)<br />

◦ 13,3-17,7 nell’uomo - 11,7-15,7 nella donna<br />

• Ematocrito (volume percentuale occupato dalle cellule nel sangue)<br />

◦ 39,8-52,2 nell’uomo - 34,9-46,9 nella donna<br />

• Volume Corpuscolare Medio (MCV) (μm3) Ht/n°<br />

◦ 80,5-99,7 nell’uomo - 80,8-100,0 nella donna<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 135


• Emoglobina Corpuscolare Media (MCH) (pg) Hb/n°<br />

◦ 26,6-33,8 nell’uomo - 26,4-34,0 nella donna<br />

• Concentrazione Hb corpuscolare media (MCHC) (g/dl di GR) Hb/Ht<br />

◦ 31,5-36,3 nell’uomo - 31,4-35,8 nella donna<br />

I valori vanno sempre interpretati (in particolare la concentrazione dell'Hb) in relazione a criteri fisiopatologici, ed<br />

essere confermati solo dopo l'inserimento nel contesto clinico. Ad es. in un cardiopatico c'è già una situazione di<br />

compromissione che non garantisce un apporto ematico corretto, quindi anche un valore di Hb che appare leggermente<br />

basso, ma non problematico in una persona normale, può essere importante. I criteri per la trasfusione cambiano sulla<br />

base dello stato del paziente (es. cardiopatico o no).<br />

Striscio di sangue<br />

per valutare uno stato anemico si guardano i globuli rossi e in particolare i loro:<br />

• colore = se è normale (bisogna conoscerlo per valutarlo)<br />

◦ Normocromico: contenuto di emoglobina normale e, quindi, normale colorito; normocitico aspetto<br />

normale degli eritrociti per forma e dimensioni<br />

◦ Ipercromia o ipocromia: maggiore o minore contenuto di emoglobina (Hb)<br />

◦ Policromasia: colore vario degli eritrociti, da cellula a cellula<br />

• dimensioni<br />

◦ il globulo rosso normale è grande poco più di 7 um (media circa 7,3 um), ma è variabile nei soggetti<br />

◦ Anisocitosi: dimensioni variabili tra gli eritrociti<br />

◦ Macrociti e microciti: eritrociti più grandi o più piccoli<br />

▪ Microciti: per difetto di emoglobinizzazione provocato da carenza di ferro (anemia sideropenica) o da<br />

difetto di sintesi della emoglobina (talassemie).<br />

▪ Macrociti: per eritropoiesi megaloblastica, displasia midollare<br />

• forma<br />

◦ forma normale = biconcava<br />

◦ Poichilocitosi: forma variabile tra gli eritrociti (a “lacrima”, ad elmetto, forme frammentate, ecc.) per<br />

presenza di aggregati deformanti<br />

◦ Sferociti (eritrociti sferici che nello striscio appaiono fortemente emoglobinizzati): indicativi, solitamente,<br />

di un danno della membrana. Questo può essere la conseguenza di un difetto genetico o di una anomalia<br />

acquisita (es. danno da anticorpi)<br />

◦ Cellule a bersaglio (eritrociti con un’area centrale colorata). Per formazione di aggregati intraeritrocitari.<br />

Es. talassemie<br />

◦ Ellissociti (eritrociti di forma ovale o ellittica): in danni della membrana da difetto genetico<br />

◦ Schistociti (eritrociti allungati): indicano un danno subito nella microcircolazione in caso di<br />

microangiopatia. Poichilocitosi di grado variabile si ha nelle anemie megaloblastiche ed in altre patologie<br />

della eritropoiesi.<br />

• Anisopoichilociti: nelle talassemie<br />

• Drepanociti (eritrociti a forma di falce): anemia falciforme<br />

• Acantocitosi: disordini genetici del metabolismo lipidico<br />

• Inclusioni: granuli di ferro (siderociti), corpi di Howell-Jolly e anelli di Cabot (residui nucleari), corpi di<br />

Heinz (precipitati di emoglobina o di subunità della globina, ad es. nelle talassemie). Si osservano soprattutto<br />

dopo splenectomia<br />

E' importante valutare anche:<br />

• Ferritina = forma di deposito del ferro, se è bassa significa che sono state esaurite anche le riserve<br />

• Transferrina = froma di trasporto del ferro<br />

• Emosiderina = prodotto di polimerizzazione e di insolubilizzazione della Ferritina<br />

• presenza di reticolociti = importantissima, perché se presenti nell'anemico indicano che il midollo osseo<br />

funziona e l'anemia è dovuta ad es. ad una emorragia, comunque non deriva da una patologia del midollo<br />

La sintomatologia dell’anemico<br />

La sintomatologia dell’anemico interessa molti organi ed apparati; gran parte di essa riflette un adattamento<br />

compensatorio cardiovascolare e respiratorio all’ipossia tissutale:<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 136


• ASTENIA, <strong>DI</strong>SPNEA, TACHIPNEA, CAR<strong>DI</strong>OPALMO (il cuore batte forte) DA SFORZO sono fra i primi<br />

sintomi lamentati dall’anemico.<br />

• PALLORE DELLA CUTE E DELLE MUCOSE, evidente nel letto ungueale (unghie), nella mucosa<br />

congiuntivale, sul palmo delle mani. Nell’anemico varia la distribuzione di sangue tra tessuti a bassa richiesta<br />

di O2, come la cute (vasocostrizione) e tessuti ad alta richiesta (miocardio, tessuto cerebrale). Secchezza della<br />

cute, delle mucose, capelli secchi e fragili.<br />

• AUMENTO DELLA GITTATA CAR<strong>DI</strong>ACA: si verifica solo quando la conc. Hb scende al di sotto di 7-8 g/dl<br />

di sangue. Al di sotto di tale valore la gittata cresce proporzionalmente alla diminuzione di Hb, sino a 4-5 volte<br />

il normale.<br />

• <strong>DI</strong>MINUZIONE DELLA VISCOSITÀ DEL SANGUE E AUMENTO DELLA VELOCITÀ <strong>DI</strong> CIRCOLO. Il<br />

sangue delle coronarie è già insaturo a riposo, per cui ogni ulteriore richiesta di O2 da parte del tessuto<br />

miocardico richiede un aumento del flusso piuttosto che una maggior estrazione di O2. Perciò, in presenza di<br />

coronaropatie, l’anemia può provocare angina. In generale, l’anemico è in uno stato iperdinamico che può<br />

portare, soprattutto un soggetto già compromesso, a scompenso cardiaco.<br />

• Frequentemente compaiono SINTOMI A CARICO DEL SNC: cefalea, acufeni, vertigine, facile affaticabilità e<br />

mancanza di concentrazione nell’impegno intellettuale, irritabilità.<br />

• APPARATO GASTROENTERICO: anoressia, difficoltà digestive, nausea, irregolarità dell’alvo. Caratteristico<br />

di alcune forme di anemia è il picacismo<br />

◦ picacismo = un bimbo piccolo che mangia pezzettini di carta, gesso, pietruzze, ecc., cose asciutte<br />

soprattutto, nella gran parte dei casi è segno di anemia. I bambini, soprattutto maschi cresciuti in fretta,<br />

quando attorno ai sei mesi vengono svezzati, hanno bisogno di ferro (carne), si può instaurare anemia,<br />

difficile da diagnosticare in un bimbo così piccolo, il picacismo è un segno importantissimo<br />

E' importante sapere se l'anemia si è instaurata velocemente o lentamente:<br />

− lentamente = è più facile che si instaurino dei meccanismi di compenso<br />

− velocemente = è più pericolosa<br />

Classificazione delle anemie<br />

Le anemie possono essere distinte in base a:<br />

• CLASSIFICAZIONE FISIOPATOLOGICA = in base alla diversità delle cause, come ad es.:<br />

• anemie da carenza di ferro<br />

• anemie emolitiche<br />

• anemie da aplasia midollare<br />

• etc.<br />

• MORFOLOGIA ERITROCITARIA<br />

• anemia macrocitica<br />

• anemia microcitica<br />

• anemia normocitica<br />

• anemie da iperemolisi<br />

Anemia microcitica<br />

L’anemia MICROCITICA è caratterizzata dalla diminuzione del diametro medio dei globuli rossi. E’ un’anemia<br />

IPOCROMICA, vale a dire con basso contenuto di Hb per globulo rosso.<br />

• per insufficiente introduzione di ferro attraverso l’alimentazione (es. tardiva introduzione di alimentazione<br />

carnea nel lattante da svezzare)<br />

• per aumentata necessità funzionale di ferro da parte dell’organismo (es. nell’adolescenza)<br />

• carenza di ferro per insufficiente assorbimento del ferro di origine gastrica o intestinale<br />

• emorragie occulte<br />

Vi sono inoltre anemie microcitiche da causa non ben definibile:<br />

• anemia ipocromica essenziale<br />

• clorosi (malattia verde delle giovanette)<br />

Anemia normocitica<br />

L’anemia NORMOCITICA è un’anemia caratterizzata da normalità del diametro medio dei globuli rossi. E’ un’anemia<br />

NORMOCROMICA vale a dire con normale contenuto di emoglobina per globulo rosso. Ciò nonostante, la<br />

diminuzione del numero di globuli rossi è tale da comportare ugualmente una riduzione del patrimonio emoglobinico<br />

totale.<br />

L’anemia normocitica può essere dovuta a:<br />

• emorragia acuta<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 137


• insufficienza midollare (aplasia idiopatica primitiva o acquisita da radiazioni o infettiva)<br />

Anemia macrocitica<br />

L’anemia macrocitica è un’anemia caratterizzata dall’aumento del diametro medio dei globuli rossi che normalmente si<br />

aggira intorno a 7,2 um.<br />

E’ un’anemia ipercromica, cioè con alto contenuto di Hb per globulo rosso. Tuttavia la riduzione del numero dei globuli<br />

rossi è tale per cui la quantità totale di Hb finisce per essere inferiore alla norma.<br />

L’anemia macrocitica da mancanza di vitamina B12 è detta “anemia perniciosa” e può essere dovuta a:<br />

• carenza alimentare di vit. B12 (rarissima, 5mg nel fegato, 1-2 ug /die il fabbisogno)<br />

• carenza del fattore intrinseco che trasporta la vitamina B12<br />

• carenza di acido folico<br />

◦ N.B.: la vitamina B12 e l’acido folico esercitano un’attività integrata finalizzata alla sintesi<br />

macromolecolare (DNA , soprattutto, e proteine) nelle cellule emopoietiche. La compromissione della<br />

sintesi del DNA inibisce la divisione cellulare, per cui le cellule si accrescono più in volume che in<br />

numero<br />

• cattivo assorbimento nell’intestino della vitamina B12 legata al fattore intrinseco (tale legame si verifica nello<br />

stomaco)<br />

• alterazione dell’organo di deposito (fegato) della vitamina B12 (ad esempio per cirrosi epatica)<br />

Anemie emolitiche<br />

L’anemia emolitica è un’anemia non classificabile tra le precedenti, dovuta ad iperemolisi conseguente ad alterazioni<br />

morfologiche varie degli eritrociti oppure alla presenza nel plasma di particolari fattori capaci di provocare emolisi.<br />

Tra le forme legate al difetto intraglobulare ricordiamo:<br />

• la sferocitosi ereditaria o anemia emolitica costituzionale<br />

• la talassemia maior o morbo di Cooley<br />

• l’anemia depranocitica o falciforme<br />

• il favismo (deficienza di G-6-P deidrogenasi)<br />

Tra le forme legate al difetto extraglobulare ricordiamo:<br />

• la malattia emolitica del neonato<br />

• l’anemia emolitica post-trasfusionale<br />

• l’anemia emolitica da autoanticorpi<br />

Note sull’anemia depranocitica o falciforme:<br />

• Sulla base di una mutazione genica, val al posto di glu in posizione 6 nella catena beta di Hb. Hb diviene<br />

insolubile quando, de-ossigenata, forma cristalli (tactoidi) che inducono nel gr la caratteristica deformazione<br />

Note sul favismo (deficienza di G-6-P deidrogenasi):<br />

• Il gr non resiste agli stress ossidativi indotti da fave e da alcuni farmaci (sulfamidici, fenacetina) perché è<br />

carente il GSH che dovrebbe essere rigenerato dall’enzima G-6-PD (carente per mutazione)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 138


ERITROPOIESI<br />

Le emoglobine si presentano in diverse forme tetrameriche a seconda dello stato embrionale o adulto:<br />

1. il primo organo emopoietico è il sacco vitellino => emoglobina ζ2ε2 (Hb Gower 1) e ζ2γ2 (Hb Portland)<br />

2. l'emopoiesi poi passa al fegato => emoglobina α2ε2 (Hb Gower 2)<br />

3. infine inizia l'emopoiesi midollare => emoglobina α2γ2 (Hb F, fetale)<br />

4. emoglobina dell'adulto = α2β2 (Hb A) e α2 δ2 (Hb A2, in piccola %)<br />

Emocitoblasti = emoblasti = cellule staminali emopoietiche (progenitori)<br />

In circolo gli eritrociti prevalgono rispetto ai leucociti, ma a livello midollare c'è una prevalenza di cellule staminali<br />

della serie granulocitaria. Questo perché la vita media di un globulo rosso è 120 giorni, mentre quella dei granulociti è<br />

molto più breve.<br />

Tempo di transito compartimentale = tempo medio trascorso da una cellula in un compartimento, in questo caso si<br />

intende quello midollo-ematico.<br />

• proeritroblasti => eritroblasti basofili => e. policromatofili (inizia accumulo di Hb) => e. ortocromatici (Hb<br />

prevale) => reticolociti => eritrociti<br />

◦ questi termini si riferiscono alla quantità relativa di Hb che si va formando rispetto alla quota di<br />

produzione proteica dell'apparato sintetico della cellula<br />

L'esperimento che ha messo in luce l'importanza delle cellule staminali è l'ablazione midollare mediante radiazioni, se<br />

poi si impiantano cellule di un altro individuo (compatibile immunologicamente) queste colonizzano il midollo osseo e<br />

soprattutto la milza, dalle quali si svilupperanno poi colonie dei tre stipiti cellulari.<br />

Si può dimostrare che ogni colonia deriva da una singola cellula (clone) e questa si chiama CFU-S (colony forming<br />

unit-spleen). Sono in G0 al momento della trasfusione, la mitosi si manifesta quando c'è richiesta cellulare, attraverso<br />

fattori di crescita entrano in ciclo: IL-3, …<br />

CFU-S => possono differenziarsi in BFU-E e poi in CFU-E sotto stimolo dell'eritropoietina => diventano<br />

proeritroblasti.<br />

Per la serie dei granulociti, si hanno inizialmente CFU miste, che devono poi separarsi nelle varie serie.<br />

Ogni giorno circa l'1% dei globuli rossi è sostituito, quindi l'1% degli eritrociti sono reticolociti.<br />

Non tutte le cellule prodotte raggiungono la maturità, normalmente ne muoiono circa il 10%, ma questa quota può<br />

aumentare in casi patologici.<br />

L'RNAm permane fino ai reticolociti (sintetizzato fino al policromatofilo) => il patrimonio emoglobinico poi resta lo<br />

stesso per tutta la vita dell'eritrocita.<br />

Il globulo rosso maturo:<br />

− utilizza il glucosio solo nella via glicolitica<br />

− anucleato (quindi non ha sintesi proteica!)<br />

− senza mitocondri<br />

− la sintesi energetica (ATP) serve alla pompa di membrana e al mantenimento dello stato ridotto del glutatione<br />

per riparare gli stress ossidativi anche a carico di Hb e proteine di membrana<br />

Lo stimolo che governa la sintesi dei globuli rossi (attività eritropoietica) è l'ipossia:<br />

− a bassa pressione parziale di ossigeno dell'aria respirata corrisponde una aumentata eritropoiesi<br />

− l'ormone è l'eritropoietina ed è prodotta dal rene, ha un'emivita di 5 ore, stimola più che altro la CFU-E<br />

probabilmente per differente quantità di recettore<br />

− aumenta la produzione di Hb<br />

− aumenta il numero di globuli rossi in circolo<br />

− vantaggi => se il soggetto è anemico<br />

− svantaggi => se è normale, aumenta la viscosità del sangue con rischi correlati<br />

− controllata dalla perfusione renale, la quale a sua volta dipende da:<br />

− gittata cardiaca<br />

− scambio di gas a livello polmonare<br />

− affinità dell'Hb per ossigeno<br />

Fattori eritropoietici<br />

− ferro = essenziale costituente dell'eme<br />

− vit. B12<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 139


− acidi folici<br />

− acido ascorbico<br />

− altre vitamine<br />

− rame, manganese, cobalto<br />

Ferro<br />

Contenuto nell'organismo in una quantità di 4-6 grammi in varie forme:<br />

− ferro emico = emoglobina, mioglobina, citocromi mitocondriali, citocromi microsomiali<br />

− legato a proteine di trasporto come la transferrina<br />

− legato a proteine di deposito come la ferritina (deposito più labile) e emosiderina (deposito più stabile) in<br />

fegato, milza, midollo osseo (negli istiociti) => possono metterlo a disposizione in caso di necessità<br />

Circa 1mg di ferro viene perduto ogni giorno con desquamazione, urine, feci, maggiore nelle donne per ciclo mestruale.<br />

L'apporto normalmente è molto superiore al fabbisogno, ma viene assorbita solo la quota che serve per far fronte alla<br />

perdita. Non c'è nessun meccanismo per l'eliminazione del ferro, il controllo è solo all'ingresso.<br />

Il ferro alimentare può essere:<br />

− ferro emico => da alimenti carnei => assorbimento diretto come ferro bivalente, assorbito come tale dalla<br />

mucosa enterica, non molto influenzato dalle secrezioni gastrointestinali<br />

− carne rossa => lo è perché ha molta mioglobina<br />

− ferro non emico => è legato a molecole organiche come ferro di deposito (emosiderina, ferritina) per liberarsi<br />

devono essere digerite le proteine dalla secrezione cloropeptica gastrica e deve essere legato a sostanze<br />

chelanti che lo mantengano solubile (fruttosio, acido lattico, acido ascorbico, cisteina) altrimenti precipita<br />

Apoferritina intestinale è depositata nella cellula intestinale => legando il ferro diventa ferritina, ma resta nella cellula<br />

intestinale, che può cederlo alla apotrasferrina plasmatica (che si trasforma in trasferrina, può legare 2 molecole di<br />

ferro) solo se questa non è già saturata. Se non c'è questo fabbisogno il ferro resta nell'enterocita e viene perduto con la<br />

desquamazione intestinale.<br />

− apo = capace di legare<br />

Ci sono anche dei chelanti che legano il ferro e lo rendono indisponibile.<br />

Una situazione di sovraccarico di ferro si può generare in soggetti sottoposti a ripetute trasfusioni, perché si forniscono<br />

globuli rossi e il sistema di controllo intestinale dell'assunzione di ferro è bypassato.<br />

ANEMIE FERROPRIVE<br />

Si intendono quelle anemie nelle quali la disponibilità del ferro è diminuita o ci sono delle perdite maggiori di ferro<br />

rispetto all'apporto. Sono dette anche anemie sideropeniche.<br />

Etiopatogenesi<br />

Periodo neonatale:<br />

• prematurità neonatale (i prematuri necessitano, nel primo anno di vita, di 240 mg Fe rispetto ai 160 mg dei nati<br />

a termine)<br />

• emorragie neonatali con riduzione delle riserve di Fe<br />

• carenze di Fe nella madre<br />

• difettoso apporto per regime latteo prolungato (il latte non ha il regime di ferro necessario)<br />

Periodo dell’adolescenza:<br />

• deficit di apporto di Fe, associato alla maggior richiesta per la maggior velocità di accrescimento<br />

Adulto:<br />

• da eccesso di perdita di Fe, per sanguinamento cronico: ulcera peptica, varici esofagee, neoplasie dello<br />

stomaco e dell’intestino, emorroidi, parassiti intestinali, metrorragie, menorragie che raddoppino o triplichino<br />

la perdita ematica fisiologica.<br />

◦ Il sanguinamento influenza più le riserve di Fe che la massa ematica: 10 ml di sangue corrispondono a 5<br />

mg di Fe, assai più dell’assorbimento quotidiano. Ci sono le riserve, ma se il sanguinamento continua si<br />

arriva ad anemia.<br />

• Da deficit di apporto di Fe (assai più rare): difetti di assorbimento per disturbi digestivi o per gastroresezione<br />

(deficit di HCl e pepsina).<br />

Manifestazioni cliniche<br />

L’anemia da carenza di ferro è inizialmente normocromica, ma al manifestarsi di un deficit di Fe si ha anemia<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 140


ipocromica e microcitica, con aniso-poichilocitosi: diminuzione del MCHC e del MCV.<br />

− MCV = volume degli eritrociti (ematocrito)/numero di eritrociti (dalla conta)<br />

Si evidenzia nel siero un aumento della transferrina insatura.<br />

La protoporfirina IX in carenza di ferro non si può trasformare in eme e si accumula negli eritroblasti => può dar luogo<br />

ad emolisi nelle zone esposte alla luce (vedi malattie fotodinamiche).<br />

Nella carenza di ferro la parte centrale dei globuli rossi è molto più pallida del normale.<br />

Emocromatosi<br />

Eccesso di ferro si può avere in caso di trasfusioni<br />

ripetute.<br />

Il ferro in eccesso si deposita nel fegato, nel pancreas,<br />

nel miocardio, sotto forma di emosiderina => si può<br />

avere una risposta di fibrosi.<br />

Le complicanze della emocromatosi sono sistemiche:<br />

− ipopituitarismo<br />

− pigmentazione cutanea<br />

− insufficienza cardiaca<br />

− cirrosi => carcinoma epatocellulare<br />

− sclerosi della milza e del pancreas => diabete<br />

− artropatia diabetica<br />

− atrofia testicolare<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 141


ERITROENZIMOPATIE<br />

CARENZA DELLA GLUCOSIO-6-P<br />

Metabolismo enzimatico del globulo rosso<br />

Non ha mitocondri, può utilizzare il glucosio per via glicolitica che porta a piruvato e lattato.<br />

L'enzima glucoso-6-P deidrogenasi<br />

trasforma il glucoso-6-P in 6-P-gluconato<br />

(shunt dell'esoso monofosfato), questa<br />

trasformazione è una deidrogenazione ed<br />

è accompagnata da trasformazione di<br />

NADP in NADPH, quest'ultimo riduce il<br />

glutatione (glicina+cisteina) ossidato a<br />

ridotto che serve per ridurre l'ossigeno<br />

singoletto o l'anione superossido che si<br />

possono produrre nei processi ossidativi.<br />

Quindi questa via è molto importante per<br />

la rigenerazione del glutatione ridotto e<br />

contrastare gli stress ossidativi.<br />

Alterazioni della G-6-PD<br />

La carenza di glucosio-6-fosfato<br />

deidrogenasi fu scoperta come risultato di<br />

ricerche sull'effetto emolitico del farmaco<br />

antimalarico primachina.<br />

Le persone carenti di G-6-PD sviluppano<br />

anemia emolitica anche se esposte a<br />

sulfonamidi, acetanilide, fenacetina,<br />

furadantin, e una varietà di altri farmaci.<br />

L'emolisi può verificarsi durante<br />

infezioni, nel periodo neonatale o, in<br />

alcune persone, per esposizione a semi di<br />

fava.<br />

Composti che inducono emolisi nella G-6-PD [non sono da sapere!]<br />

• Analgesici: acetanilide; acido acetilsalicilico; acetofenetidina (fenacetina)<br />

• Sulfonamidi e sulfoni: sulfanilamide; suIfapiridina; diafenilsuIfone; N-acetilsulfanilamide; sulfacetamide;<br />

tiazolsulfone; salicilazosulfapiridina (Azulfadina); Sulfametossipiridazina (Kynex);<br />

• Antimalarici: primachina; pamachina; pentachina; chinocide; chinacrina (Atabrina)<br />

• Agenti antibatterici non sulfonamidici: furazolidone; furmetonolo; nitrofurantoina (Furadantin); nitrofurazone;<br />

cloramfenicolo<br />

• Miscellanea: naftalene; trinitrotoluene; blu di metilene; acido naldissico; fenilidrazina; chinina; chinidina;<br />

acido ascorbico (a dosi massicce)<br />

Alterazioni genetiche della G-6-PD<br />

Il gene per la G-6-PD è nel cromosoma X. Le femmine eterozigoti per la carenza della G-6-PD hanno due popolazioni<br />

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di globuli rossi (mosaicismo): cellule con normale attività enzimatica e cellule con attività enzimatica carente.<br />

La carenza di G-6-PD può essere prontamente individuata per mezzo di un saggio legato al NADP o tramite test<br />

molecolari.<br />

La carenza di G-6-PD è largamente distribuita nelle popolazioni del mondo.<br />

Uno dei fattori che possono causare il mantenimento dell'alta incidenza di tale anormalità in alcune popolazioni è il suo<br />

possibile effetto protettivo contro la malaria da Plasmodium falciparum.<br />

Ci sono molte differenti varianti genetiche della G-6-PD:<br />

− Alcune varianti hanno attività normale e sono interessanti principalmente come marcatori genetici<br />

− La più comune delle varianti comprende la G-6-PD A (trovata in popolazioni Africane), la G-6-PD<br />

mediterranea (trovata nei Greci, negli Ebrei Sefarditi, e in altre popolazioni mediterranee) e la G-6-PD di<br />

Canton (trovata in soggetti Cinesi)<br />

− Meno comuni sono le varianti di G-6-PD funzionalmente molto carenti che causano anemia emolitica non<br />

sferocitica congenita.<br />

− Sono note le mutazioni di G-6-PD e sono state identificate le sostituzioni aminoacidiche<br />

− È nota la sequenza aminoacidica della G-6-PD normale.<br />

Le manifestazioni cliniche della carenza di G-6-PD sono quasi del tutto limitate al suo effetto sugli eritrociti.<br />

• La deficienza di G-6-PD del tipo Mediterraneo è il prototipo di deficienza grave di G-6-PD:<br />

◦ la maggior parte dei pazienti con deficienza di G-6-PD di tipo Mediterraneo non hanno segni clinici o<br />

sintomi se non esposti a farmaci.<br />

◦ a volte contatto (ingestione) con semi di fava o infezioni possono indurre crisi emolitiche<br />

◦ la crisi emolitica è seguita da ittero (aumento di bilirubina circolante che deriva dall'apertura dell'anello<br />

pirrolico dell'EME dopo degradazione dei globuli rossi) che è particolarmente grave quando un soggetto<br />

con deficienza di G-6-PD contrae l'epatite (la bilirubina è prodotta negli organi emocateretici –<br />

soprattutto la milza – e nel fegato è coniugata con acido glucuronico per renderla solubile ed eliminarla<br />

con la bile, in caso di malattia epatica l'ittero si accentua)<br />

◦ in alcuni casi si ha emolisi intravascolare anche senza il concorso manifesto di cause scatenanti, che può<br />

causare gravi disfunzioni renali, perché l'emoglobina libera si scinde nelle 4 globuline, filtrata a livello<br />

glomerulare, captata per pinocitosi dalle cellule tubulari => si accumula e forma una degenerazione a<br />

gocce ialine nelle cellule tubulari, le quali si desquamano formando cilindri ialini, che possono trovarsi<br />

nelle urine e sono segno di affezione renale (non solo in questa malattia)<br />

Patogenesi<br />

La carenza di G-6-PD provoca a sua volta carenza di NADPH necessario per la formazione del glutatione ridotto =><br />

l'Hb diventa sensibile a stress ossidativi => ossidazione di alcuni gruppi SH esposti delle cisteine ne determina<br />

alterazione => può staccarsi l'EME, che precipita e forma corpuscoli di materiale eosinofilo insolubile (corpi di Heinz?)<br />

=> irrigidiscono l'eritrocita => il suo passaggio è rallentato nella milza e questo ne determina l'emolisi (alcuni perdono<br />

solo un pezzo di membrana e tornano in circolo)<br />

Quadro clinico<br />

• è classificabile come anemia emolitica normocitica<br />

◦ anemia = drastica riduzione del numero dei globuli rossi<br />

◦ emolitica = basata sulla distruzione dei globuli rossi<br />

◦ normocitica = le dimensioni dei globuli rossi sono normali<br />

• Correlata ad esposizione a farmaci e fave => non c'è normalmente => in questi casi si hanno rapidi sintomi<br />

anemici (dolori lombari, ittero) => in pochi giorni si arriva a crisi emolitica<br />

◦ Favismo = una delle forme che si presenta solo nel fenotipo mediterraneo, le sostanze chimiche della fava<br />

non sono volatili, perciò l'attacco emolitico deriva solo da ingestione, tuttalpiù da inalazione di pollini<br />

▪ si può avere emoglobinuria se l'emolisi è anche intravascolare<br />

▪ febbre<br />

▪ insufficienza renale per danno tubulare<br />

Diagnosi<br />

• esami di laboratorio con valutazione ematocrito, globuli rossi, presenza di reticolociti è segno di immissione di<br />

nuovi globuli rossi in circolo<br />

• dosaggio dell'attività enzimatica lontano dalla crisi emolitica per valutare se c'è un difetto enzimatico<br />

geneticamente trasmesso<br />

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◦ durante la crisi emolitica vengono messi in circolo continuamente reticolociti, che sono più attivi dei<br />

globuli rossi normali, quindi il test sarebbe invalidato da questo<br />

SFEROCITOSI ERE<strong>DI</strong>TARIA<br />

La sferocitosi ereditaria (eredità dominante, 1/5000, prevalenza 1% in Europa) è una anemia emolitica congenita<br />

provocata da un difetto intrinseco dell'eritrocita che si manifesta negli eterozigoti.<br />

Dall'azione reciproca tra questo intrinseco difetto e il particolare sistema di filtro della milza deriva una prematura<br />

distruzione degli eritrociti.<br />

Gli eritrociti anormali sono sferici e vengono intrappolati nella milza dove essi sono ulteriormente modificati<br />

(“condizionati”) e alla fine distrutti.<br />

La splenectomia è curativa malgrado la persistenza dell'intrinseco difetto ereditario (soprattutto nei bambini la<br />

splenectomia può dar luogo a aumentata suscettibilità alle infezioni).<br />

Difetto della membrana nella sferocitosi ereditaria<br />

Il difetto risiede nella membrana. Si manifesta con una diminuzione nell'area della superficie di membrana, con uno<br />

specifico aumento della permeabilità di membrana al sodio, con una maggiore rigidità della membrana e con una<br />

diminuzione quantitativa dei lipidi di membrana.<br />

Si ritiene che sia alterata una proteina di membrana associata ai lipidi e correlata al trasporto del sodio.<br />

Effetti dell'eritrostasi splenica<br />

Il risultato di questo difetto intrinseco della membrana è uno sferocita con un esterno rigido e con un interno viscoso.<br />

Quando viene intrappolato nella milza ed esposto al basso pH e al basso pO2, sia la sferoidicità sia la rigidità sono<br />

aumentate.<br />

Sebbene le necessità di estrusione attiva del sodio siano soddisfatte da una aumentata velocità glicolitica di queste<br />

cellule in circolo, tali necessità non sono soddisfatte nelle condizioni di eritrostasi che si verificano nella milza.<br />

Con la deplezione energetica la regolazione attiva del flusso dei cationi e perciò il controllo del volume è perduto, la<br />

membrana perde le sue essenziali proprietà di permeabilità e nella agonia cellulare vi è una progressiva perdita dei lipidi<br />

di membrana.<br />

Distruzione degli eritrociti nella sferocitosi ereditaria<br />

Dopo ripetute esposizioni a tali condizioni nella milza, gli sferociti sono danneggiati irreversibilmente.<br />

Le cellule “condizionate” sono riconoscibili come una popolazione percentualmente minore di cellule altamente<br />

sferoidali e osmoticamente fragili nel sangue periferico.<br />

Esse sono più soggette ad essere intrappolate e all'eritrostasi nella milza.<br />

Alla fine esse sono incapaci di fuoriuscire dalla milza e subiscono l'emolisi all'interno della polpa splenica.<br />

Diagnosi<br />

Attraverso una curva di fragilità osmotica: si sottopongono i globuli rossi a diverse concentrazioni di cloruro di sodio e<br />

misurando la quota di emolisi (emoglobina liberata) alle diverse concentrazioni => si osserva che circa 1% dei soggetti<br />

hanno una fragilità osmotica aumentata (osservata in donatori di sangue).<br />

Difetti genetici<br />

Le proteine alterate possono essere le proteine associate alla membrana l'anchirina (difetto più frequentemente<br />

riscontrato), la banda 3, la spectrina, la banda 4.1.<br />

Patogenesi<br />

Il globulo rosso all'esterno è molto rigido, perché perde lipidi, all'interno è iperosmotico perché la permeabilità al sodio<br />

è aumentata => quando viene intrappolato nella milza, esposta quindi a basso pH e basso glucosio, aumenta la sfericità<br />

perché in quello stato va in sofferenza energetica e le pompe di membrana diventano carenti => ogni passaggio nella<br />

milza comporta un danno di membrana => alla fine sono incapaci di fuoriuscire dalla milza e si ha emolisi splenica<br />

Quadro clinico<br />

• anemia emolitica probabilmente accompagnata da emissione di reticolociti<br />

• ittero (blando)<br />

• calcoli biliari di bilirubina<br />

• splenomegalia<br />

• ulcere<br />

• dolori addominali<br />

• alterazioni scheletriche (per forte stimolazione eritropoietica)<br />

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Diagnosi<br />

• si osserva una anemia iperrigenativa normocitica o ?<br />

• sferociti<br />

• aumentata fragilità osmotica<br />

• analisi proteine di membrana può dimostrare alterazioni quali-quantitative<br />

Terapia<br />

• splenectomia<br />

◦ dopo i 20 anni per anemia moderata<br />

◦ aumenta il rischio di sepsi => necessarie vaccinazioni<br />

1/12/09<br />

ANEMIA FALCIFORME<br />

E' stata la prima patologia correlata ad una mutazione puntiforme di un gene, scoperta da Linus Pauling, che ha dato il<br />

via alla patologia molecolare.<br />

I globuli rossi assumono forma di falce, è detta anche anemia drepanocitica (da greco, falce).<br />

Linus Pauling (2 Nobel) coniò il termine "malattia molecolare" per l'anemia falciforme.<br />

La scoperta avvenne in base al fatto che l'emoglobina è alterata (ancora non si conosceva molto del genoma) ed ha una<br />

particolare attività elettroforetica: la migrazione di parte della proteina alterata avviene più lentamente verso il catodo<br />

rispetto a quella normale.<br />

Infatti in posizione 6 della catena polipeptidica della subunità β della Hbs (s = sickle = falce) si ha la mutazione di un<br />

acido glutammico (carico negativamente, è un acido dicarbossilico) in valina (idrofobico) con perdita di una carica<br />

negativa. La mutazione è data dal cambio di una sola base nel DNA (GAG => GUG) Inoltre questa valina interagisce<br />

con un'altra valina della stessa proteina formando un occhiello terminale che abbassa la solubilità della proteina stessa,<br />

inoltre non interagisce con la subunità α (cosa che fa normalmente l'acido glutammico) e quindi anche l'eterodimero αβ<br />

è meno solubile.<br />

Portatore del trait falcemico = è l'individuo eterozigote per il gene mutato, producono 50% di Hb normale e 50% di<br />

Hbs. Risulta protetto dalla malaria perché la vita dei globuli rossi è inferiore e l'agente malarico non può riprodursi<br />

normalmente al loro interno.<br />

La riduzione di solubilità fa assumere all'Hb una forma di gel filiforme (poco solubile) che costringe il globulo rosso ad<br />

assumere la forma di falce. Si verifica prevalentemente nel microcircolo e nel circolo venoso.<br />

L'Hb ossigenata forma tetrameri, ma quella deossigenata no, per cui le subunità β mutate polimerizzano. Gli eritrociti<br />

che fanno parte del sangue deossigenato prendono di conseguenza la forma a falce.<br />

Dopo cicli ripetuti di polimerizzazione/solubilizzazione si formano polimeri insolubili che costringono gli eritrociti ad<br />

assumere la forma a falce. Gli eritrociti aumentano l'adesione all'endotelio e formano dei grumi nei piccoli vasi, con<br />

conseguenti:<br />

− cervello: ictus<br />

− polmone: polmonite, infarti, sindrome toracica acuta<br />

− milza: atrofia<br />

− rene: alterazioni<br />

− colecisti: calcoli, perché aumenta la bilirubina e a livello biliare può precipitare e dare calcoli<br />

− ossa: microtrombi nei canali haversiani con diminuzione del nutrimento osseo<br />

La condizione non è molto grave, tanto che esistono atleti portatori.<br />

ANEMIE MEGALOBLASTICHE<br />

Causate da carenza di vitamina B12 o di acido folico. Ne consegue difetto nel metabolismo del DNA e quindi della<br />

proliferazione e della maturazione cellulare nei tessuti in attiva proliferazione: midollo osseo, epiteli, gonadi, tessuto<br />

nervoso che ha un'attiva sintesi di RNA anch'essa compromessa da carenza di B12.<br />

Nel midollo osseo si ha produzione di eritrociti di forma anomala (eritropoiesi megaloblastica) con presenza in circolo<br />

di GR più grandi (macrociti). I megaloblasti (precursori eritroidi megaloblastici) rappresentano una forma più primitiva<br />

della maturazione eritrocitaria, con aspetti simili a quelli fetali.<br />

La produzione di Hb può avvenire normalmente, a causa di una asincronia tra maturazione nucleare e citoplasmatica.<br />

Vitamina B12<br />

Ha 4 anelli pirrolici, al centro un atomo di cobalto, può avere diversi sostituenti.<br />

E' una vitamina idrosolubile, quindi di norma non passa la membrana cellulare.<br />

Nello stomaco l'acidità e la digestione peptica distaccano la B12 dalle proteine a cui è legata. La B12 si lega ad una<br />

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glicoproteina detta fattore intrinseco prodotta dalle cellule parietali del fondo dello stomaco.<br />

Nell'ileo si trova il recettore per il FI, lo lega, entra nell'enterocita, si libera al polo vascolare e si lega alla<br />

transcobalamina (I e II) che la portano agli organi di utilizzazione e al fegato, dove si accumula.<br />

Fabbisogno quotidiano min. di B12: 1 ug/die, c'è una riserva di B12 nel fegato i circa 2 mg => riserva per alcuni anni.<br />

B12 interviene in 2 processi:<br />

− conversione di metil-malonil-coA in succinil-coA<br />

− carenza di B12 => accumulo di metil-malonil-coA (si rileva nelle urine) => danni cerebrali nel neonato<br />

− sintesi dei due desossiribonucleotidi purinici<br />

− carenza di B12 => ridotta/mancata sintesi del DNA<br />

− conversione dell'omocisteina in metionina, aiutata anche da acidi folici<br />

− carenza di B12 => aumento di omocisteina in circolo => aumento del rischio di aterosclerosi e trombosi<br />

Acido folico<br />

Captato direttamente nell'ileo con il poliglutammato.<br />

La carenza di B12 compromette più la sintesi del DNA che non quella proteica => la quantità di Hb non è ridotta negli<br />

eritrociti, i cui precursori diventano molto grandi perché la sintesi di Hb è continua senza divisione cellulare.<br />

Megaloblasti = precursori eritroidi nel midollo osseo<br />

Macrociti = globuli rossi ingrossati e ipercromatici<br />

Granulociti ipersegmentati = granulociti con numero di lobi superiore a quello ordinario<br />

Esperimento di Castle (1925)<br />

Castle somministrò della carne macinata bovina a soggetti volontari sani => prelevando con una sonda gastrica il<br />

materiale dopo un certo tempo e iniettandolo nello stomaco dei soggetti affetti, questi ultimi andavano incontro a<br />

miglioramento, presentando una crisi reticolocitaria (picco di emissione in circolo di reticolociti) entro pochi giorni =><br />

significa che c'è avvio di una eritropoiesi normale.<br />

− I reticolociti sono degli eritrociti giovani, privi di nucleo cellulare, che sono stati appena immessi nel circolo<br />

sanguigno e conservano per qualche tempo (circa 24 h) un esiguo numero di ribosomi. È proprio questa<br />

caratteristica a determinare la loro denominazione. Infatti con una particolare colorazione precipitano sotto<br />

forma di sostanza granulosa e filamentosa: "reticolare". [da: Wikipedia]<br />

La carne bovina pertanto doveva contenere un fattore estrinseco (la vit. B12), mentre il succo gastrico dei soggetti sani<br />

un fattore intrinseco.<br />

Anche la dieta contenente fegato crudo migliora la situazione: contiene grande quantità di B12, che pertanto può essere<br />

assorbita (in piccola parte, ma sufficientemente) anche in assenza di FI.<br />

Si vide come lo stesso fattore (B12) era anche un fattore di crescita batterico: si poterono fare esperimenti in vitro per<br />

determinare la sostanza e purificarla.<br />

L'identificazione e la purificazione della B12 fu un lavoro lunghissimo, che richiedette un avanzamento delle<br />

conoscenze anche in microbiologia.<br />

Causa della carenza di B12 => come si giunge all'anemia perniciosa<br />

1) Ridotto apporto dietetico: nell’alimentazione esclusivamente vegetariana (raro)<br />

2) Ridotto assorbimento da mancanza di fattore intrinseco. Può essere:<br />

− congenito (autosomico recessivo, raro)<br />

− secondario a gastrectomie<br />

3) Difettosa utilizzazione, perché un'alterazione della flora batterica intestinale può portare ad un eccessivo<br />

consumo della B12 nell'ileo e quindi un inferiore assorbimento<br />

4) Atrofia della mucosa gastrica => CAUSA PIÙ FREQUENTE<br />

− su predisposizione genetica, c'è una familiarità, più frequente in soggetti di certe popolazioni (Scandinavi),<br />

c'è un'associazione col gruppo sanguigno A<br />

− ha una patogenesi autoimmunitaria<br />

− caratterizzata da infiltrazione linfocitaria, assenza di secrezione cloro-peptica anche dopo stimolazione con<br />

istamina e prostaglandine<br />

− sono evidenziabili autoanticorpi contro le cellule parietali delle ghiandole gastriche, nonché IgG e IgA<br />

contro il fattore intrinseco nel siero, nella saliva e nel succo gastrico<br />

5) Ridotto assorbimento di B12 nell'ileo a causa di:<br />

− resezioni chirurgiche dell’ileo<br />

− ileiti (infiammazione dell'ileo)<br />

− morbo di Crohn = infiammazione cronica dell'apparato gastrointestinale, più frequentemente dell'ileo terminale<br />

e del colon<br />

− diverticoli con stasi e alterazione flora batterica<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 146


− infestazioni da elminti<br />

6) Deficit congenito di transcobalamina.<br />

Disturbi caratteristici dell'anemia perniciosa<br />

− anemia<br />

− glossite atrofica = la lingua è liscia senza papille, fessurata e ulcerata<br />

− sindrome neurologica<br />

− si manifesta con degenerazione dei cordoni laterali e dorsali del midollo spinale: inizialmente si ha<br />

rigonfiamento di singole fibre mieliniche, e poi confluenza in larghi foci che coinvolgono molti sistemi di<br />

fibre<br />

− degenerazione a chiazze nella sostanza bianca del cervello.<br />

− vari quadri clinici: manifestazioni cerebrali con “pazzia megaloblastica”, alterazioni del gusto e<br />

dell’olfatto, difetti della vista con scotoma centrale e atrofia del nervo ottico, atassia (ridotta funzione dei<br />

cordoni dorsali), neuropatia periferica e paraplegia spastica<br />

− in aggiunta alle lesioni neurologiche c’è colorito itterico per aumento della bilirubina non coniugata<br />

(dovuta a morte precoce dei globuli rossi) e, in 1/3 dei casi, splenomegalia<br />

Anemia da carenza di acidi folici<br />

Causa della carenza di acidi folici:<br />

− Ridotto apporto: dieta povera in frutta e verdura;<br />

− Ridotto assorbimento: malattie del digiuno: morbo celiaco, malassorbimento, sprue tropicale<br />

− Aumentato fabbisogno: gravidanza; aumentata attività midollare come nelle anemie emolitiche croniche,<br />

sindromi mieloproliferative<br />

− Iatrogene: Farmaci antiblastici, come il metotrexate e antifolati; farmaci anti-convulsivanti, probabilmente<br />

alterando l’assorbimento intestinale<br />

− Il quadro clinico è simile a quello da carenza di B12, ma mancano i sintomi neurologici<br />

Fisiopatologia delle anemie megaloblastiche<br />

− Sono un esempio di eritropoiesi inefficace. Anemia marcata => eritropoietina => iperplasia midollare con<br />

distruzione intramidollare di precursori eritrocitari perché alterati.<br />

− L’eritropoiesi midollare è aumentata sino a 3x rispetto alla norma, ma l’effettiva produzione di GR è assai<br />

inferiore alla norma. I GR in circolo hanno vita più breve.<br />

− si arriva a 1,5-2 milioni/mm3 di globuli rossi circolanti<br />

− Con la somministrazione di B12 o di acido folico si ha entro 24 - 48 h una “crisi reticolocitaria”, aumentano i<br />

GR in 3-5 giorni con un picco dopo 7-10 giorni<br />

− guarigione entro 3 mesi<br />

TALASSEMIE<br />

Le SINDROMI TALASSEMICHE o TALASSEMIE sono disordini ereditari della sintesi emoglobinica nelle quali un<br />

difetto genetico comporta riduzione o abolizione della sintesi di una o più catene globiniche con alterazione dei normali<br />

rapporti fra le diverse catene globiniche e con conseguenze ematologiche e cliniche di diversa gravità.<br />

Si tratta di forme particolari di anemia.<br />

Le anemie possono essere classificate secondo criteri fisiopatologici (seguiti fino ad ora), oppure morfologici:<br />

− anemie microcitiche<br />

− anemie macrocitiche<br />

− anemie normocitiche (tipica delle emorragie acute)<br />

Le anemie emolitiche e talassemie sono sindromi che non trovano posto in questa classificazione.<br />

Così chiamate (talassa = mare in greco) perché si tratta di sindromi diffuse in popolazioni che vivono nelle zone situate<br />

lungo il bacino del Mediterraneo.<br />

Difetti genetici causa di talassemia<br />

I difetti genetici che sono alla base delle sindromi talassemiche sono molto numerosi ed eterogenei, mentre le loro<br />

espressioni cliniche o fenotipiche sono relativamente limitate: ne consegue che lo stesso quadro clinico può essere<br />

dovuto ad alterazioni genetiche estremamente diverse.<br />

Diffusione nel mondo e in Italia<br />

Le sindromi talassemiche sono probabilmente le condizioni morbose ereditarie più diffuse nel mondo: bacino del<br />

Mediterraneo, Sud-Est asiatico, Nord Africa, Nord America. In queste regioni sono diffuse anche alcune varianti<br />

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strutturali dell’Hb (es. HbS) per cui non è infrequente che uno stesso individuo possa essere simultaneamente portatore<br />

di uno o più geni per una sindrome talassemica. Grande eterogeneità genetica e, in piccola parte, clinica.<br />

Il quadro clinico varia soprattutto quantitativamente.<br />

In Italia la regione più colpita è quella del delta padano (Ferrara-Rovigo), ma anche la Calabria e la Sardegna.<br />

L'emoglobina<br />

E’ una proteina tetramerica ed è una proteina coniugata. E’ infatti costituita da quattro subunità e ciascuna di queste è<br />

costituita da una catena polipeptidica e da un gruppo ferroso, l’eme (parte prostetica della molecola). Le quattro catene<br />

polipeptidiche sono uguali a due a due e costituiscono la parte proteica vera e propria della molecola.<br />

La globina è sintetizzata nei ribosomi, mentre l’eme nei mitocondri.<br />

Costituita da due catene di tipo alfa e due di tipo beta:<br />

− sul cromosoma 16 si trovano i geni per le catene di tipo alfa (ζ, α, α => ci sono due geni per α)<br />

− ζ = zeta<br />

− sul cromosoma 11 si trovano i geni per le catene di tipo beta (ε, Gγ, Aγ, δ, β)<br />

Diverse combinazioni tra due catene di tipo alfa uguali tra loro e due catene di tipo beta uguali tra loro danno i diversi<br />

tipi di emoglobina:<br />

− embrione<br />

− Hb Gower 1 ( ζ2 ε2)<br />

− Hb Portland ( ζ2 γ2)<br />

− Hb Gower 2 (α2 ε2)<br />

− feto<br />

− Hb F (α2 γ2)<br />

− adulto<br />

− Hb A2 (α2 δ2)<br />

− Hb A (α2 β2)<br />

Classificazione genetica delle talassemie<br />

• α-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene α<br />

◦ tipiche del sud-est asiatico, zona in cui la α-talassemia maior è la causa più frequente di morte fetale<br />

• β-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene β<br />

◦ quelle che osserviamo in Italia<br />

• δβ-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene δβ<br />

• γδβ-talassemia: sintesi ridotta o nulla di catene γ nella vita fetale e di catene δ , β nella vita adulta<br />

Classificazione clinica delle talassemie<br />

• Thalassemia maior: forma grave nella quale la sopravvivenza dipende dalle trasfusioni (e da terapia chelante<br />

del ferro)<br />

• Thalassemia intermedia: condizione meno grave, ma sintomatica, con Hb compresa fra 6 e 9 g/dl e fabbisogno<br />

solo saltuario di trasfusioni<br />

• Thalassemia minor: lieve anemia (Hb > 9g/dl) e modiche manifestazioni cliniche<br />

• Thalassemia minima o trait talassemico: assenza di anemia, alterazioni degli eritrociti e della composizione<br />

emoglobinica<br />

α0 = condizione di mancanza di catene α<br />

α+ = condizione di riduzione di catene α<br />

α-TALASSEMIE<br />

Siccome abbiamo 2 geni per catene α per ogni cromosoma 16 => ci sono diverse possibilità di malattia a seconda di<br />

quanti geni sono mutati:<br />

− 1 mutaz => tratto α-talassemico tipo 2 – portatore sano<br />

− può essere del tutto asintomatica<br />

− pone problemi di diagnosi differenziale con anemia sideropenica e sferocitosi ereditaria attraverso studio<br />

dello stato del ferro<br />

− si può fare un rapporto tra quantità di sintesi di catene α e β è indicativo della malattia (nel tratto αtalassemico<br />

0.7-0.9; nella malattia da HbH 0.4; nell'individuo normale è 1)<br />

− 1 mutaz su un cromosoma + 1 mutaz sull'altro => tratto α-talassemico tipo 1 omozigote<br />

− può essere del tutto asintomatica<br />

− 2 mutaz sullo stesso cromosoma => tratto α-talassemico tipo 1 eterozigote<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 148


− può essere del tutto asintomatica<br />

− 2 mutaz sullo stesso cromosoma + 1 mutaz sull'altro => malattia da HbH (β4)<br />

− quadro clinico di talassemia intermedia<br />

− la HbH ha un eccesso di catene β che le conferisce un'affinità molto elevata per l'ossigeno con<br />

conseguente ipossia tissutale<br />

− 2 mutaz su ogni cromosoma (tutti i geni sono mutati) => idrope fetale γ 4 (leggi: ìdrope) => è la causa più<br />

frequente di morte intrauterina nel sud-est asiatico, la morte sopraggiunge tra la 25a e la 40a settimana di<br />

gestazione, oppure pochi minuti dopo la nascita, se l'Hb embrionale è restata sufficientemente a lungo<br />

β-TALASSEMIE<br />

In questo caso abbiamo un gene solo per ogni cromosoma 11, quindi è più facile che si abbia manifestazione clinica in<br />

caso di mutazione:<br />

− mutazione di un gene = β-talassemia minor, tratto β-talassemico, β-talassemia eterozigote<br />

− eterogeneità nell'espressione clinica del difetto genetico<br />

− mutazione grave di un gene e meno grave sull'altro (questo funziona, ma in maniera ridotta), oppure mutazione<br />

non grave su entrambi i cromosomi (funzionano, ma in maniera ridotta) => β-talassemia intermedia (tipo 2 e<br />

3)<br />

− mutazione grave su entrambi i cromosomi => β-talassemia maior (o β-talassemia omozigote, o morbo di<br />

Cooley)<br />

Morbo di Cooley<br />

Esordisce attorno ai 6 mesi di età (prima ci sono residui di Hb fetale, che non contiene catene β) con uno stato anemico,<br />

i sintomi sono aspecifici: ritardo nella crescita, difficoltà a guarire dagli stati febbrili, pallore.<br />

Se viene eseguito un esame del sangue si nota subito microcitemia.<br />

Se invece non viene riconosciuto la malattia progredisce e a 1-2 anni di età si hanno:<br />

− epatomegalia e splenomegalia con addome batraciano (a rana, molto gonfio)<br />

− alterazioni scheletriche tipiche: fronte espansa, zigomi sporgenti, mascella ipertrofica (quindi i denti dell'arcata<br />

superiore tendono a rimanere sempre scoperti), naso che tende ad infossarsi<br />

− cranio a spazzola = assottigliamento delle ossa piatte del cranio per ipertrofia del midollo osseo al loro<br />

interno => si formano trabecole ossee a filamento/spazzola (visibile in radiografia)<br />

− rarefazione porosa delle ossa di mani e piede e tibia a sciabola (visibili in radiografia)<br />

− ritardo della crescita<br />

− anemia ipocromica e microcitica grave<br />

− anisopoichilocitosi = eterogeneità di forma e dimensioni delle cellule nello stesso striscio di sangue<br />

Dopo splenectomia (che in genere viene eseguita in questi pazienti) si trovano tanti globuli rossi alterati che restano in<br />

circolo, che prima venivano rimossi dalla milza:<br />

− siderociti = si colorano con blu di Prussia, contengono depositi di ferro<br />

Infatti si ha in questi casi patologia da sovraccarico di ferro, che si verifica per aumento dell'assorbimento intestinale<br />

anche in bimbi non trattati. I non trattati muoiono entro i 5-6 anni di vita per patologia da sovraccarico di ferro,<br />

soprattutto con danno a carico di cuore => scompenso cardiaco, fegato => fibrosi e poi cirrosi, ghiandole endocrine,<br />

pancreas => alterazioni funzionali => spesso diabete, gonadi (soprattutto nel maschio ipogonadismo).<br />

I pazienti trattati solo con ripetute trasfusioni vivono fino a circa 20 anni, poi muoiono per sovraccarico di ferro (che<br />

derivava anche dalle trasfusioni stesse aggravandola).<br />

Se i pazienti sono trattati il sovraccarico di ferro compare più tardi, ma in maniera più severa se non si somministrano<br />

chelanti del ferro. Questi pazienti muoiono attorno ai 30 anni, sempre a causa dei depositi di ferro nei tessuti.<br />

Fisiopatologia del morbo di Cooley<br />

All’interno degli eritroblasti: assenza di catene β, eccesso di catene α che, incapaci di formare tetrametri, precipitano<br />

nell’eritroblasto, danneggiandolo irreversibilmente e provocandone la morte intramidollare (eritropoiesi inefficace). I<br />

pochi eritrociti immessi in circolo vanno incontro a sequestro da parte degli organi emocateretici e, così, a precoce<br />

emolisi (iperemolisi periferica).<br />

Vengono prodotti molti globuli rossi, ma sono deformi e tanti vanno anche in circolo.<br />

L’eritropoiesi inefficace e l’iperemolisi periferica sono cause di anemia. L’anemia è a sua volta stimolo per l’increzione<br />

di eritropoietina renale con conseguente iperplasia midollare eritroblastica (deformità scheletriche). Il vantaggio<br />

selettivo a livello midollare degli eritroblasti in cui sono sintetizzate catene γ , porta all’aumento dell’Hb fetale. Questo<br />

riduce la formazione di eritroblasti con precipitati di catene α intraglobulari, ma accentua la situazione anemica per<br />

l’elevata affinità dell’HbF per l’O2 che, perciò, non è ceduto ai tessuti => la condizione anemica si esaspera e alimenta<br />

il circolo vizioso.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 149


La forte stimolazione del midollo osseo ne produce ipertrofia e iperplasia, che sono la causa delle deformità scheletriche<br />

in quelle sedi dove riesce meglio ad espandersi (mascella, zigomi, cranio, mani, ecc).<br />

Nota:<br />

Non si sa perché, ma si è osservato che nei soggetti con β-talassemia intermedia si hanno un meccanismi di compenso<br />

non presenti nei soggetti con talassemia maior:<br />

− degradazione di catene α in eccesso => diminuisce la deformità dei globuli rossi e quindi l'emolisi<br />

intramidollare<br />

− aumento della sintesi di Hb A2 (α2 δ2)<br />

Metodi diagnostici<br />

• Esame emocromocitometrico (Hb, MCH, MCHC, MCV)<br />

• Esame dello striscio di sangue periferico per lo studio della morfologia eritrocitaria<br />

• Conteggio dei reticolociti (forte aumento, molti GR immaturi sono immessi nel torrente circolatorio)<br />

• Esame della resistenza osmotica eritrocitaria (importante, selettivo, perché i GR dei talassemici sono molto più<br />

resistenti dal punto di vista osmotico rispetto ai normali)<br />

• Esame elettroforetico dell’Hb (mette in evidenza le varie forme di globine e la loro quantità quindi il rapporto)<br />

• Valutazione quantitativa dell’Hb fetale mediante tecnica della denaturazione alcalina<br />

• Valutazione quantitativa dello stato del ferro (sideremia e transferrinemia, ferritina sierica)<br />

◦ importante soprattutto nel tratto talassemico perché qui spesso si osserva una microcitemia, che potrebbe<br />

essere dovuta ad anemia sideropenica<br />

• Diagnostica molecolare (studio dei geni dell’Hb, di esecuzione non routinaria)<br />

• Studio della sintesi delle catene globiniche in vitro (per mettere in evidenza il rapporto tra le varie catene<br />

globiniche)<br />

• Estensione degli studi ai familiari<br />

Genetica molecolare<br />

Una grossa delezione è in genere associata a inattivazione di geni, quindi a problematiche gravi, ma talvolta spesso<br />

anche piccole mutazioni puntiformi possono avere gravi conseguenze.<br />

• Frameshift = slittamento nella lettura del codice per delezione di uno o più nucleotidi<br />

• Creazione di un codone di stop o di un codone non senso = ad esempio per mutazioni puntiformi, con<br />

prematuro arresto della traduzione<br />

Interferenza nello splicing degli esoni = per mutazioni anche puntiformi nella giunzione esone-introne e<br />

•<br />

interferenza nella riunione degli esoni dopo la scissione dagli introni. Associate a talassemia β+<br />

• Creazione di nuovi siti di splicing => incorporazione di una parte dell’introne nell’esone per cui l’mRNA non<br />

può essere usato per una sintesi di catene normali. Sono associate a talassemia β0<br />

• Mutazione di una singola base nelle regioni regolatrici situate upstream rispetto alla posizione 5’ con<br />

interferenza nella trascrizione di mRNA<br />

• Delezione di segmenti genici comprendenti numerose basi (sino a 600). Associata a talassemia β0<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 150


GLI ITTERI<br />

Le anemie sono spesso accompagnate alla distruzione dei globuli rossi, da cui può derivare un aumento di bilirubina nel<br />

sangue => conferisce colorazione giallastra di cute, sclere, mucose (anche se in realtà, essendo già rosa, è difficile che<br />

diventino gialle).<br />

Etiologia<br />

• aumentata emolisi midollare o splenica => aumentata liberazione di bilirubina<br />

• Emolisi intravascolare => viene liberato tutto l'EME e filtrato a livello renale => non c'è aumento di<br />

bilirubina<br />

• La bilirubina dovrebbe essere captata dal fegato e qui modificata, ma questi due eventi possono non avvenire<br />

Ci sono quindi 3 cause possibili:<br />

− pre-epatica = per aumento di eritrocateresi<br />

− epatica = per difetto di captazione (sindrome di Gilbert) o di coniugazione<br />

− per epatiti e altri problemi epatici<br />

− post-epatica = per calcoli nelle vie biliari => rigurgito di bile => finisce nel sangue<br />

Per comprendere le cause è importante determinare se la bilirubina è:<br />

− diretta = direttamente rilevabile (titolabile) nel siero con reazione colorimetrica, perché è stata coniugata nel<br />

fegato con 2 molecole di acido glucuronico => si rileva nel siero senza artifici<br />

− indiretta = quando deve essere estratta con alcol, perché non è coniugata e quindi non è idrosolubile (è legata<br />

labilmente all'albumina)<br />

Struttura della bilirubina<br />

Deriva dall'apertura dell'anello tetrapirrolico dell'EME.<br />

E' fotosensibile => può essere degradata dall'esposizione alla luce.<br />

Produzione di bilirubina<br />

Catabolismo: apertura dell'anello dell'EME + fenomeni di riduzione => si stacca il ferro => prodotto lineare non<br />

idrosolubile => veicolata nel sangue complessata a proteine, per lo più albumina => arriva al fegato => recettori<br />

superficiali che la legano e la trasportano nel citoplasma dove trova la ligandina (o proteina Y) e proteina Z.<br />

Nel fegato si lega attraverso l'enzima glucuronil trasferasi all'acido glucuronico (2 molecole) => diventa idrosolubile.<br />

Solitamente va nella bile e costituisce il suo colore verdastro scuro.<br />

A volte dopo la coniugazione con acido glucuronico, se c'è un'ostruzione delle vie biliari viene rigurgitata nel polo<br />

sinusoidale => la si ritrova nel sangue anche in forma coniugata.<br />

Bilirubina serica normale: 1 mg/dL [0,3 - 1,2]<br />

− 70-80% non coniugata (indiretta, pre-epatica, che viene dagli organi emocateretici)<br />

− 20-30% coniugata (diretta, post-epatica)<br />

Ittero = quando la bilirubina serica sale sopra 2-2,5 mg/dL [può arrivare anche a 20-30 mg/dL]<br />

− pre-epatico => per eccesso di emolisi, eccesso di produzione della bilirubina<br />

− anemie sideroblastiche, talassemie, drepanocitosi, eritroenzimopatie, sferocitosi ereditaria => tutte<br />

malattie in cui è aumentata la distruzione dei globuli rossi<br />

− epatico (o epatocellulare) =><br />

− sindrome di Gilbert = difetto lieve nella captazione epatica della bilirubina e della glucuronil-transferasi<br />

(non dà segni clinici)<br />

− sindrome di Crigler-Najjar tipo II => deficit della glucuronil-transferasi<br />

− sindrome di Dubin-Johnson => difetto nella escrezione di bilirubina dagli epatociti alle vie biliari<br />

− se c'è un difetto di coniugazione della bilirubina, questa manca nella bile => le feci sono acoliche =><br />

ipocolorate (ci sono i sali biliari, acido colico e desossicolico che servono per la emulsificazione dei lipidi,<br />

ma non i pigmenti biliari)<br />

− danni epatici da:<br />

− sindrome da ritenzione biliare => aumento della bilirubina coniugata, con colalemia (sali biliari nel<br />

sangue, danno prurito intenso)<br />

− insufficienza epatocellulare (es. per cirrosi) => riduzione anche delle proteine seriche (albumina,<br />

fibrinogeno, ecc.)<br />

− necrosi epatica es. per epatite virale grave => fuoriuscita delle transaminasi epatiche<br />

− infiammazione acuta del fegato => aumento di VES e proteine della fase acuta<br />

− post-epatico<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 151


− calcoli nelle vie biliari => la bile finisce nel sangue<br />

<strong>PATOLOGIA</strong> <strong>GENERALE</strong> DELLE INFEZIONI MICROBICHE<br />

INTERAZIONE DEI MICRORGANISMI CON L’OSPITE: IL PARASSITISMO<br />

Storicità delle malattie infettive<br />

La diffusione di grandi epidemie, il sorgere ed il tramontare di malattie infettive acute e croniche sono correlati alle<br />

modificazioni che l’uomo apporta all’ambiente naturale.<br />

L’esempio più dimostrativo della storicità delle malattie infettive è dato dalla TBC.<br />

Il declino o la scomparsa di una malattia infettiva è in rapporto con il progresso scientifico (scoperta dell’agente<br />

eziologico e delle sue proprietà biologiche) e con quello sociale (migliori condizioni abitative e igieniche, riduzione<br />

della giornata lavorativa, abolizione del lavoro minorile).<br />

Origine delle malattie infettive<br />

Origine filogenetica: saprofiti casualmente penetrati nei tessuti animali possono aver dato origine per mutazioni e<br />

selezione a parassiti; la produzione di tossine e di altri fattori della patogenicità divengono fattori selettivi favorevoli per<br />

il parassita quando attenuano le difese dell'ospite, ma sfavorevoli per il parassita se comportano la morte dell’ospite.<br />

Perciò le condizioni per l’evoluzione dei parassiti sono la patogenicità e la contagiosità, insieme all’associazione<br />

ecologica con animali gregari.<br />

Comparsa di nuove malattie infettive<br />

Il 1979 è stato dichiarato dall’OMS l’anno della estinzione ufficiale del vaiolo. Altre malattie da infezione batterica e<br />

virale sono scomparse o vanno scomparendo, come la poliomielite.<br />

Intanto si assiste alla comparsa di nuove malattie, causate da microrganismi cosiddetti opportunisti, ospiti abituali<br />

dell’uomo, del naso-faringe, dell’intestino, della cute.<br />

Le condizioni per l’instaurarsi di infezioni opportunistiche sono due: modificazioni dell’ecologia del parassita e<br />

compromissione delle difese dell’ospite<br />

Interazioni biologiche<br />

• Simbiosi: associazione tra due specie<br />

• Mutualismo: associazione con vantaggio reciproco delle specie simbionti (es. nei ruminanti i batteri<br />

demoliscono la cellulosa => i batteri si trovano in una nicchia ecologica che consente loro la sopravvivenza, la<br />

mucca riceve composti digeribili)<br />

• Commensalismo: associazione con vantaggio della specie commensale senza danno per l’ospite, che anzi ha<br />

solo un rischio (es. stafilococchi della cavità nasale)<br />

• Parassitismo: associazione tra due specie, delle quali una (parassita) trae vantaggio mentre l’altra (ospite)<br />

riceve danno<br />

Opportunisti = che vivono normalmente nell'organismo umano, ma che possono diventare patogeni se si trovano in<br />

tessuti in cui non stanno normalmente o se c'è compromissione delle difese immunitarie dell'ospite.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 152


Forme di parassitismo<br />

Facoltativi<br />

microrganismi in grado di<br />

vivere vita indipendente al di<br />

fuori dell’ospite (bacillo del<br />

tifo, del colera, del carbonchio)<br />

Occasionali<br />

microrganismi simbionti con<br />

l’uomo in associazione di<br />

commensalismo che possono<br />

occasionalmente acquisire<br />

comportamento parassitario<br />

(ad es. bacterium coli)<br />

Parassiti<br />

Obbligati<br />

microrganismi che non possono<br />

vivere, o che sopravvivono solo<br />

per poco, fuori dell’ospite (ad<br />

es. gonococco)<br />

Saprofiti<br />

microrganismi che vivono<br />

nell’ambiente nutrendosi di<br />

materiale in decomposizione e<br />

possono occasionalmente<br />

assumere comportamento<br />

parassitario<br />

Postulati di Koch<br />

L'agente di una malattia infettiva:<br />

1. deve essere presente in tutti i casi di malattia e la sua distribuzione nel corpo deve essere conforme alla sede e<br />

alla natura delle lesioni patologiche<br />

2. non deve essere presente in caso di altre malattie né in individui sani<br />

3. deve poter essere isolato dai tessuti lesi e crescere in coltura pura per parecchie generazioni<br />

4. l’introduzione, in un animale sensibile, del microrganismo cresciuto in coltura pura deve riprodurre la malattia;<br />

il microrganismo deve poi poter essere isolato di nuovo dai tessuti lesi della malattia sperimentale<br />

Lo straordinario aumento delle conoscenze sulle malattie infettive sostenute da batteri, avvenuto negli ultimi lustri del<br />

1800, condusse Robert Koch (1843-1910), con il suo maestro Henle, a formulare i suoi postulati.<br />

I postulati di Henle-Koch hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo del concetto di «causa» in medicina.<br />

Il fondamento dei suoi postulati è valido ancora oggi: ad esempio, la visione secondo cui un dato microrganismo causa<br />

una determinata malattia è alla base della dimostrazione (avvenuta nel 1977) che la "malattia dei legionari" è provocata<br />

da un batterio o che l'AIDS è provocata da un virus (anni '80).<br />

L'elaborazione dei postulati derivava soprattutto dall'esperienza che Henle e Koch avevano accumulato nel campo della<br />

tubercolosi dell'uomo; il suo agente etiologico, Mycobacterium tuberculosis, è stato denominato «bacillo di Koch»<br />

proprio in onore e memoria al suo «scopritore».<br />

Punti deboli dello schema di Henle-Koch<br />

• ogni malattia viene associata ad un singolo agente e viceversa<br />

• non si tiene conto di altri fattori in aggiunta all'agente principale (es. fattori ambientali, ecc.)<br />

Esistono molte malattie infettive che non rispondono del tutto allo schema rigido di Koch, che ignora i fattori ambientali<br />

e associa «una sola causa ad una malattia e una sola malattia ad una causa».<br />

Il principale limite dei postulati è proprio quello di non considerare la possibilità di una eziologia multipla (una malattia,<br />

molte cause - o meglio: «determinanti») né l'eventualità che una stessa causa possa indurre malattie differenti.<br />

ESEMPIO. Una malattia degli animali emblematica dell'inadeguatezza dei postulati di Koch è la «polmonite enzootica<br />

del vitello», malattia respiratoria che colpisce un gran numero di di animali in un allevamento (morbosità fino al 100%)<br />

e non raramente ad esito mortale (mortalità 20%). Questa malattia non è sostenuta da un singolo agente, ma da una<br />

triade di fattori:<br />

1) stress correlati alle tecniche ed alle condizioni di allevamento (management)<br />

2) una infezione primaria da parte di un virus<br />

3) una infezione secondaria da parte di un batterio<br />

Notare che in questo caso il termine infezione «primaria» e «secondaria» è da riferire al tempo (la primaria avviene<br />

prima della secondaria) e non alla gravità dell'infezione stessa.<br />

<strong>DI</strong>FESE NATURALI DELL’OSPITE<br />

• cute = si oppone con secrezione sebacea e sudore. Se è assottigliata e/o ha perso annessi può essere locus di<br />

infezione<br />

• lacrime = detersione, contengono lisozima<br />

• flora batterica commensale normale = si oppone per competizione biologica<br />

• acido gastrico = normalmente è una barriera, certi alimenti possono proteggere (latte => brucella)<br />

• tappeto mucociliare = es. nella trachea il movimento ciliare ha il compito di allontanare particelle e<br />

microrganismi, se si abbassa la temperatura (es. in trachea isolata di cavallo) il movimento si attenua e si ferma<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 153


a 15°C => questo può favorire l'attecchimento di batteri<br />

• bile, secrezioni salivari e pancreatiche<br />

• sistema di filtro del nasofaringe, secrezioni bronchiali, cervicali, uretrali e prostatiche<br />

• granulociti neutrofili, monociti, fattori del complemento, sistema monocitico-macrofagico, immunoglobuline,<br />

immunità cellulo-mediata<br />

Esempi di vie di disseminazione batterica:<br />

• batteri possono penetrare attraverso cute, gola, polmone, intestino, tratto urinario => questo avviene per<br />

influenza, difterite, dissenteria da shigella, pielonefrite ascendente<br />

• dalla cute possono andare in un linfonodo e poi al circolo ematico => questo aviene per dengue, malaria, tifo<br />

petecchiale<br />

• dal circolo ematico possono localizzarsi poi nel sistema nervoso (poliomielite), cute (varicella), pomoni<br />

(morbillo, rosolia), rene (pielonefrite ematogena), ghiandole salivari (parotite, rabbia), fegato (epatite B, febbre<br />

gialla)<br />

Penetrazione e invasione<br />

Il concetto dell'invasività va sempre valutato insieme alla tossinogenicità, e non sempre sono correlate.<br />

Il processo invasivo può essere superficiale come nel caso di C. diphtheriae e B. pertussis, generalmente ritenuti non<br />

invasivi, ma produttori di tossine. Avviene una adesione locale alle cellule epiteliali del tratto respiratorio, anche se i<br />

danni sistemici e sono causati dalle rispettive tossine.<br />

Il bacillo del tetano si moltiplica solo nella ferita, ma la tossina raggiunge il SN, senza dare sintomi locali nella ferita.<br />

Per altri batteri l’azione patogena si esplica attraverso la invasività. Tipico è il caso di Shigella e ceppi di E. coli<br />

enteroinvasivi.<br />

Tramite l’invasività nelle cellule della mucosa del colon Shigella si sottrae all’ambiente competitivo del lume<br />

intestinale.<br />

Alcuni ceppi di Shigella e E. coli hanno capacità di produrre una tossina che ha lo stesso effetto della ricina.<br />

Es. di lesione da tossina difterica => miocardite difterica<br />

Nel caso di streptococchi si parla di lesioni localizzate:<br />

− infezione primaria => erisipela, ulcera aftosa, faringite, ascessi polmonari, polmonite, impetigine, sepsi del<br />

puerperio<br />

− infezioni secondarie => meningite, endocardite batterica subacuta, setticemia<br />

− complicanze non infettive => febbre reumatica, scarlattina, glomerulonefrite<br />

Tifo da slamonella typhi<br />

Raggiunge facilmente l'intestino se ingerita con sostanze acquose perché passa rapidamente lo stomaco => penetra nella<br />

mucosa => attraverso il sangue raggiunge fegato e milza, attraverso i vasi linfatici raggiunge i linfonodi mesenterici =><br />

dal fegato può venire eliminato con la bile (condizione di portatore abbastanza prolungata), raggiunge una infezione<br />

successiva secondaria dell'intestino, con possibilità di danno alle placche del Peyer e possibilità di ulcerazione della<br />

mucosa.<br />

Bacillo del colera<br />

Arriva all'intestino sempre attraverso l'acqua inquinata, non dà un danno istopatologico alla mucosa, ma produce una<br />

tossina che si attacca ad un recettore nucleosidico => la sua subunità A induce ADP ribosilazione di una proteina G =><br />

resta attivata (inibizione dell'attività GTPasica) => aumento di cAMP => aumento di eliminazione di H2O e Na+ =><br />

diarrea colerica (grave) => disidratazione => shock => morte<br />

PATOGENICITÀ: VIRULENZA E TOSSIGENICITÀ<br />

Il potere patogeno di un parassita deriva da due caratteristiche:<br />

− virulenza = capacità di contrastare e vincere le difese dell'ospite una volta che ha colonizzato i tessuti<br />

− tossinogenicità = capacità produrre e liberare di tossine<br />

L'animale infettato (ospite) deve vivere in comunità, altrimenti il parassita non riesce a sopravvivere.<br />

FATTORI DELLA VIRULENZA<br />

I patogeni devono prima di tutto aderire ai tessuti, colonizzarli ed eventualmente diffondersi nell'organismo.<br />

Adesività: il legame dei batteri alle cellule epiteliali è essenziale per la resistenza nei confronti delle difese dell’ospite e<br />

per la successiva colonizzazione del tessuto. Gli apparati di adesione sono diversi per i diversi microrganismi. In ogni<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 154


caso è coinvolta una macromolecola di superficie, che può essere presentata da un organulo strutturale (es. i pili), una<br />

proteina trasmembrana presente costitutivamente sulla superficie della cellula o costituire un prodotto diffusibile.<br />

L’adesività dei batteri si esplica mediante specifici recettori della superficie batterica e importanti sono i recettori per le<br />

proteine della matrice extracellulare, detti adesine:<br />

• sono note adesine al collageno, alla fibronectina, al fibrinogeno, ecc.<br />

• di molte adesine sono noti i geni e la struttura proteica<br />

Es. analizzando colonie batteriche che si sono formate in cateteri o protesi interne si è visto che si sono selezionati<br />

quelli con adesine per il fibrinogeno.<br />

Lo slime<br />

L’adesività dei batteri si esplica anche attraverso la produzione di una sostanza mucillaginosa, detta biofilm o slime.<br />

Nel caso degli Stafilococchi il biofilm è costituito da un polimero polisaccaridico di N-acetilglucosamina.<br />

Il polimero è sintetizzato da una specifica N-acetilglucosaminil transferasi.<br />

La produzione dell’enzima è codificata da un complesso genico detto locus ica (intercellular adhesion), costituito da<br />

quattro geni strutturali: icaA, icaD, icaB e icaC (nell’ordine in cui si allineano nell’operone), e da un gene regolatore<br />

icaR (è un repressore, quando spento consente l'attivazione del locus ica), situato upstream rispetto a icaA.<br />

Lo slime consente la tenace adesione degli Stafilococchi anche a materiali protesici e ostacola l’accesso alle colonie<br />

batteriche delle difese dell’ospite (anticorpi, complemento, macrofagi) e degli antibiotici => l'infezione rischia di<br />

diventare irriducibile.<br />

Quando la densità di popolazione è molto alta i batteri smettono di produrre tossine e producono lo slime (regolazione<br />

genica).<br />

Ad es. quando viene inserita una protesi: il biomateriale viene rivestito prima da un velo di proteine (fibronectina,<br />

collageno solubile, fibrinogeno) => su questo film proteico i batteri aderiscono mediante le adesine specifiche => si<br />

attivano i geni della produzione dello slime (locus ica).<br />

Recentemente si è visto che nel biofilm non c'è solo la poli-acetilglucosamina, ma anche DNA extracellulare di batteri<br />

morti.<br />

Test fenotipico e genotipico per la produzione di slime in Staphyloccus epidermidis (batterio opportunista)<br />

• I ceppi dotati del locus ica e produttori di slime (60%) possono riconosciuti, dopo il loro isolamento, mediante:<br />

◦ A) coltura su piastre di Agar-Rosso-Congo (CRA) in cui i ceppi non produttori danno colonie rosse e i<br />

ceppi produttori colonie nere;<br />

◦ B) dimostrazione molecolare della presenza dei geni icaA e icaD mediante amplificazione PCR dei<br />

rispettivi segmenti genici, impiegando primer specifici e il DNA batterico come template<br />

◦ c'è quindi concordanza tra la dimostrazione fenotipica e quella genotipica per la presenza del locus ica<br />

Colonizzazione<br />

Dopo l’adesione i batteri aumentano di numero e instaurano l’infezione.<br />

La sopravvivenza implica la capacità di eludere le strategie antibatteriche dell’ospite.<br />

La moltiplicazione avviene se sono disponibili sostanze nutritizie indispensabili alla moltiplicazione batterica.<br />

A volte i fattori di crescita e metaboliti necessari alla moltiplicazione batterica sono presenti in particolari distretti, e ciò<br />

può spiegare la localizzazione.<br />

A volte la mancanza di tali fattori può spiegare la resistenza di specie: ad esempio alcuni ceppi di Y. pestis richiedono<br />

asparagina per la moltiplicazione e la presenza di asparaginasi nel sangue di cavia (assente nel sangue di topo) può<br />

spiegare l’assenza di patogenicità per la cavia.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 155


Fattori di virulenza dei parassiti extracellulari<br />

I parassiti extracellulari devono poter sopravvivere all’azione microbicida dei fagociti professionali<br />

Quindi i fattori di virulenza più efficaci per questi parassiti sono:<br />

• Esotossine ad azione antileucocitaria: Streptolisina O degli streptococchi, α-emolisina stafilococcica ed<br />

anche la tossina difterica o la tossina di P. aeruginosa => nel sito di infezione sono lesive delle difese<br />

leucocitarie, a distanza sono lesive per altri tessuti<br />

• Fattori antifagocitari di superficie: la capsula batterica, efficace come agente antifagocitario specialmente in<br />

Diplococcus pneumoniae => la polmonite franca lobaere da diplococcus pneumoniae si risolve nella seconda<br />

settimana, cioè quando i batteri sono opsonizzati da anticorpi che ne consentono la fagocitosi<br />

TOSSINE BATTERICHE: ESOTOSSINE E ENDOTOSSINE<br />

Caratteristiche principali delle esotossine e delle endotossine<br />

ESOTOSSINE ENDOTOSSINE<br />

Attivamente secrete dalle cellule, raggiungono elevate Sono parte integrante della parete batterica dei gram-<br />

concentrazioni nel mezzo extracellulare<br />

negativi. Vengono rilasciate dopo la morte della cellula<br />

batterica e anche in parte durante la replicazione. Non<br />

necessitano di essere liberate per essere attive<br />

Prodotte dai gram-negativi e dai gram-positivi Sono presenti unicamente nei gram-negativi<br />

Polipeptidi dal peso molecolare 10.000-900.000 Complessi lipopolisaccaridici. E’ il frammento<br />

corrispondente al lipide A il responsabile della attività<br />

tossica => gli anticorpi possono essere precipitanti ma non<br />

neutralizzanti<br />

Relativamente instabili: la tossicità è spesso distrutta Relativamente stabili: sopportano a lungo temperature al di<br />

rapidamente al di sopra dei 60°C<br />

sopra dei 60°C<br />

Molto antigeniche: stimolano la produzione di anticorpi Scarsamente immunogene: stimolano la produzione di<br />

(precipitanti e neutralizzanti per l'azione tossica) a anticorpi neutralizzanti di cui non è chiaro ancora il ruolo<br />

titolo elevato<br />

protettivo<br />

Convertibili in tossoide (o anatossina) Non sono convertibili in tossoide<br />

Elevata tossicità: letale a piccole dosi (microgrammo) Moderatamente tossiche: letali a dosi 10-100 volte più<br />

sugli animali (perché sono degli enzimi ed agiscono in<br />

dose catalitica e in difetto rispetto al substrato)<br />

elevate<br />

Legano specifici recettori Non legano specifici recettori<br />

Solitamente non inducono la febbre Inducono la febbre<br />

Sintesi diretta da geni extracromosomiali (ad es.<br />

plasmidi)<br />

Sintesi diretta da geni cromosomiali<br />

Principali tossine batteriche<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 156


Tossine<br />

cellulari<br />

Classe Gruppo Batteri Tossina<br />

Tossine<br />

extracellulari<br />

I. Legate alla parete cellulare<br />

II. Intracitoplasmatiche<br />

gramnegativi<br />

gramnegativi:<br />

Shigella dysenteriae<br />

Yersinia pestis<br />

Bordetella pertussis<br />

Vibrio cholerae<br />

III. Esotossine stricto sensu grampositivi:<br />

Corynebacterium<br />

diphtheriae<br />

Staphylococcus aureus<br />

IV. Tossine parzialmente<br />

endocellulari (liberate nel<br />

sito dell'infezione)<br />

Streptococcus pyogenes<br />

Clostridium perfringens<br />

grampositivi:<br />

Clostridium tetani<br />

Clostridium botulinum<br />

endotossine<br />

neurotossina<br />

tossina murina<br />

tossina termolabile<br />

enterotossina colerica<br />

tossina difterica<br />

emolisine (α, β, γ, δ);<br />

leucocidina; tossina<br />

epidermolitica;<br />

enterotossina<br />

streptolisine O e S; tossina<br />

eritrogenica<br />

α-tossina<br />

tossina tetanica<br />

tossina botulinica<br />

La tossina botulinica, contrariamente a quanto avviene per la tossina tetanica, non è prodotta in un'infezione, ma nel<br />

cibo contaminato, quindi si tratta di un'intossicazione.<br />

Esempi di meccanismi d'azione delle esotossine<br />

• Molte esotossine sono dimeriche e sono composte da due componenti legati da un ponte disolfuro:<br />

◦ B = binding => determina il legame al recettore<br />

◦ A = active => determina la tossinogenicità<br />

◦ La separazione tra A e B richiede una proteolisi mediata da tripsina.<br />

• Leucocidine stafilococciche (tossina alfa) si inseriscono nella membrana del leucocita e formano dei pori =><br />

morte cellulare.<br />

• Tossina alfa di C. perfringens idrolizza la fosforilcolina delle membrane cellulari (fosfolipasi C)<br />

determinandone la lisi e la morte della cellula. E' responsabile della gangrena gassosa delle ferite infette. Fu la<br />

prima tossina della quale è stato dimostrato il meccanismo d'azione.<br />

• Altre tossine hanno azione ADP-ribosil trasferasica: agiscono trasferendo un gruppo di ADP-riboso dal NAD<br />

(liberando la nicotinamide) ad una proteina bersaglio.<br />

◦ Tossina colerica = il frammento A ADP-ribosila una proteina G rendendola permanentemente attiva =><br />

attiva l'adenilico ciclasi => aumento di espulsione di Na+, H2O, Cl-, K+, HCO3- => diarrea<br />

◦ Tossina della pertosse = come colerica, ma lega una proteina G inibitoria con lo stesso effetto finale<br />

◦ Tossina di pseudomonas aeruginosa e Tossina difterica => il frammento B lega la membrana, il frammento<br />

A viene internalizzato per pinocitosi e inattiva il fattore di allungamento EF-2 della sintesi proteica<br />

attraverso ADP-ribosilazione [vedi <strong>PATOLOGIA</strong> DELLA TRADUZIONE]<br />

Azione patogena delle endotossine<br />

Più complesso, meno specifico, più polivalente.<br />

Non si tratta, come nel caso delle esotossine, di un'azione enzimatica specifica, ma di un complesso di interazioni che<br />

partono da una massiva produzione di citochine e dal loro effetto sulla termoregolazione (sono pirogeni), sulla<br />

coagulazione (possono arrivare a determinare CID) e sulla permeabilità vascolare (possono arrivare a dare shock).<br />

LPS agisce sui un macrofagi => questo produce TNF-alfa e IL-1 =><br />

• pirogeni endogeni => febbre<br />

• agiscono su cellule endoteliali aumentandone la permeabilità => essudazione generalizzata se l'intossicazione è<br />

molto grave => abbassamento volemia => shock potenzialmente mortale<br />

LPS può agire direttamente sulla coagulazione perché:<br />

• diventa attivatore del fattore di Agelman (XII) scatenando la via intrinseca della coagulazione<br />

• agisce sulle piastrine che possono liberare PAF e serotonina<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 157


• può attivare la via alternativa del complemento contribuendo alla produzione di C3a e C5a (dette anche<br />

anafilotossine) => vasodilatazione e vasopermeabilizzazione generalizzate => shock<br />

LPS può agire sul metabolismo epatico determinando ipoglicemia e rilascio di proteine della fase acuta.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 158


Per es. casi di meningite ipertossica da neisseria meningitidis possono liberare grandi quantità di endotossine e<br />

provocare lesioni anche letali dando:<br />

• CID, è una delle più temibili conseguenze dell'intossicazione da gram negativi<br />

• necrosi surrenalica ed emorragia a livello di questa ghiandola e shock da bassi livelli di glucocorticoidi e<br />

mineralcorticoidi<br />

• coagulazione in molti altri distretti con trombosi, gangrena => la patologia coagulativa può esistere a livello<br />

sistemico<br />

Quindi:<br />

• la tossina agisce sul macrofago => fa aumentare la produzione di TNF e IL-1 e radicali liberi =><br />

• in moderata quantità => febbre non elevata ("benefica"), stimolazione del sistema immunitario,<br />

soppressione dei meccanismi patogeni<br />

• in alta quantità => febbre elevata, ipotensione, CID, shock letale<br />

TOSSINE TETANICA E BOTULINICA<br />

Sono accomunate dal fatto che sono tossine neurotrope e agiscono sui meccanismi di trasmissione sinaptica.<br />

Aspetti storici<br />

1884: Antonio Carle e Giorgio Rattone (Istituto Patologia generale di Torino) dimostrano la natura infettiva del tetano,<br />

fino ad allora ritenuta una sindrome neurologica.<br />

1884-85: Arthur Nicolaier (medico tedesco) identifica il bacillo sporigeno: Clostridium tetani.<br />

1889 Shibasaburo Kitasato (Istituto di Igiene di Berlino) isola le spore, uccidendo ad 80°C la forma vegetativa. Allo<br />

stesso risultato giungono Guido Tizzoni e Giuseppina Cattani dell’Istituto di Patologia generale dell’Università di<br />

Bologna, con passaggi successivi della coltura in agar.<br />

1890: Guido Tizzoni e Giuseppina Cattani dell’Istituto di Patologia generale dell’Università di Bologna e Knut Farber<br />

in Danimarca dimostrano che una tossina proteica è responsabile dei sintomi del tetano.<br />

Sulla base di questi risultati Emile van Ermengem in Belgio, da un caso clinico di botulismo in cui numerose persone si<br />

ammalano dopo ingestione di prosciutto affumicato, isola il bacillo sporigeno che chiama Clostridium botulinum e<br />

dimostra la presenza di una tossina proteica che, prodotta dal bacillo quando è coltivato in anaerobiosi, è responsabile<br />

della malattia.<br />

La tossina botulinica è termolabile e questi batteri sono anerobi, per cui affinché si sviluppi in alimenti sono necessarie<br />

2 condizioni:<br />

1) che l'alimento sia conservato in condizioni anaerobie<br />

2) che l'alimento non venga cotto o sterilizzato ad alta temperatura (125°C) per 3 volte => consente la distruzione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 159


delle spore<br />

Es. insaccati, vegetali conservati.<br />

Sono resistenti alla digestione peptica.<br />

Potenza delle tossine tetanica e botulinica<br />

Sono tra le tossine più potenti: per via intramuscolare pochi miliardesimi di grammo sono letali per l’uomo. La tossicità<br />

per via orale della tossina botulinica è tuttavia più bassa, ma ancora talmente rilevante da averne suggerito l’uso come<br />

arma biologica.<br />

Se si costruisce un grafico dose/azione è importante valutare la pendenza della retta che ne deriva => se la pendenza è<br />

molto elevata significa che quando si definisce la dose letale per il 50% degli individui (è il valore indicativo della<br />

potenza della tossina) manca poco alla dose che ne uccide il 100%.<br />

Habitat dei clostridi tetanico e botulinico<br />

Le spore di Cl. Tetani sono ubiquitarie: particolarmente ricchi i materiali organici in decomposizione e le deiezioni di<br />

alcuni animali. E’ facile la contaminazione di ferite, anche poco profonde.<br />

In alcune regioni africane è frequente il tetanus neonatorum, causato da infezione del moncone del cordone<br />

ombelicale, reciso con strumenti non sterili, o addirittura “medicato” con sterco animale: ciò provoca la morte di<br />

450.000 neonati all’anno!<br />

Anche le spore di Cl. Botulinum sono ubiquitarie e più<br />

che ferite, esse contaminano alimenti: insaccati, in<br />

quanto il budello può essere portatore delle spore, o<br />

conserve vegetali, contaminate da tracce di terriccio e<br />

non sterilizzate in modo efficace da eliminare le spore.<br />

Queste durante la conservazione in anaerobiosi si<br />

sviluppano e producono la tossina.<br />

Vaccinazione antitetanica<br />

Nei primi anni ‘20 Gaston Ramon, all’Institut Pasteur<br />

ottiene il “tossoide” tetanico mediante trattamento con<br />

formaldeide (dura 15 giorni, a 37°C) della tossina: il<br />

tossoide è inattivo ma conserva la specificità<br />

immunologica: Ramon, inoculando il tossoide ad<br />

animali e a se stesso, dimostra la possibilità di una<br />

immunità attiva.<br />

Nella seconda guerra mondiale vi furono solo 35 morti<br />

per tetano tra le truppe britanniche, vaccinate, rispetto<br />

a numerosissimi casi di tetano tra le truppe tedesche e<br />

giapponesi, non vaccinate.<br />

Manifestazioni della tossina tetanica<br />

Contrazione simultanea di muscoli agonisti e antagonisti,<br />

inizia con una iperestensione della nuca (opistotono),<br />

contrazione muscoli flessori nell'arto superiore e dei muscoli<br />

estensori nell'arto inferiore (perché sono rispettivamente i più<br />

potenti).<br />

Tetano generale<br />

La tossina si sviluppa, si diffonde per via ematogena a tutti i<br />

muscoli e da questi il SNC. Il primo sintomo che compare è il<br />

sisma (contrazione spastica del massetere e del muscolo<br />

orbicolare della bocca), perché i nervi di questi muscoli sono i<br />

più brevi.<br />

La paralisi spastica dei muscoli respiratori è l'evento letale.<br />

Tetano locale<br />

Contrattura dei muscoli prossimi alla ferita infetta.<br />

Botulismo<br />

Raro nei paesi sviluppati per migliorate norme di preparazione<br />

e conservazione dei cibi.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 160


Una forma subdola di botulismo è quella infantile nella quale spore di Cl. botulinum, assunte con cibo contaminato,<br />

germinano nell’intestino del neonato ancora privo di una normale flora batterica competitiva.<br />

Importante per la conservazione e la propagazione di Cl. botulinum, è il botulismo degli uccelli.<br />

Studi sul meccanismo delle tossine tetanica e botulinica<br />

1892 Bruschettini (allievo di Tizzoni a Bologna) stabilisce la progressione retrograda della tossina tetanica lungo<br />

l’assone del motoneurone.<br />

La tossina tetanica non si arresta a livello della giunzione neuromuscolare, ma giunge all’interneurone inibitorio e<br />

blocca il rilascio di neurotrasmettitori inibitori.<br />

1949 Burgen, Dickens e Zatman al Meddlesex Hospital Medical School di Londra dimostrano che la tossina botulinica<br />

blocca la liberazione di acetilcolina a livello della giunzione neuromuscolare<br />

Tale scoperta ha promosso l’impiego della tossina botulinica come farmaco anticontratturante (blefarospasmo,<br />

strabismo, torcicollo, disfonia, patologie dei grandi muscoli dorsali e degli arti).<br />

Struttura delle tossine tetanica e botulinica<br />

• Prodotte come singole catene polipeptidiche di 150 kDa, prive di attività<br />

• Proteasi batteriche o tissutali tagliano in un singolo punto trasformandole in tossine bicatenarie: catena H (100<br />

kDa) e catena L (50 kDa), legate da un ponte di disolfuro<br />

Legame alle cellule nervose<br />

Cellule nervose (ad esempio cellule di feocromocitoma differenziate in vitro in senso neuronale con NGF) esprimono<br />

una proteina di membrana di 20 kDa che interagisce specificamente con la catena H della tossina tetanica.<br />

Altri dati indicano il ruolo di gangliosidi nel legare quantità anche assai piccole di tossina tetanica.<br />

Meccanismo di azione delle neurotossine<br />

Le catene H legano le cellule nervose o le vescicole sinaptiche.<br />

Le catene L delle due neurotossine bloccano il rilascio di neurotrasmettitori:<br />

• la botulinica blocca il rilascio dell’acetilcolina dalla giunzione neuromuscolare => paralisi flaccida<br />

• si distribuisce per via ematogena a tutte le terminazioni colinergiche<br />

• effetto simile al curaro, ma questo agisce postinapticamente impedendo il legame di Ach coi recettori<br />

• la tetanica blocca il rilascio della glicina (neurotrasmettitore inibitore) dal neurone intermedio e dalla cellula di<br />

Renshaw a livello delle corna anteriori del midollo spinale, che normalmente determina il rilasciamento del<br />

muscolo antagonista a quello contratto => paralisi spastica<br />

• quindi la sede di azione della tossina tetanica è il midollo spinale, per progressione lungo il neurone<br />

motorio<br />

Azione molecolare delle catene L<br />

• Un breve segmento al centro della catena L ha omologia di sequenza con le metallo-endopeptidasi a Zn.<br />

◦ His, Glu, aa, aa, His (HExxH, con il simbolo monoletterale)<br />

• Le Zn-endopeptidasi costituiscono una larga famiglia di proteasi comprendente gli enzimi che agiscono sui<br />

peptidi attivi sulla pressione (enzima ACE), nella degradazione delle encefaline, gli enzimi leucocitari, le<br />

proteasi di invasione dei tumori e delle metastasi.<br />

Substrati dell’azione endopeptidasica delle catene L delle due tossine<br />

I bersagli specifici dell’azione endopeptidasica delle due tossine sono:<br />

• La sinaptobrevina per la tossina tetanica e per le tossine botuliniche B, D ed F.<br />

• La SNAP-25 per le tossine botuliniche A ed E<br />

• La sintaxina per la tossina botulinica C<br />

Sono le proteine responsabili della liberazione dei neurotrasmettitori interessati nello spazio sinaptico e vengono<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 161


tagliate dalle tossine indicate.<br />

Specificità del substrato e resistenza al tetano<br />

• La sinaptobrevina esiste in due isoforme nel tessuto nervoso: 1 e 2<br />

◦ Nel ratto e nel pollo solo la forma 2 è scissa dalla tossina tetanica e dalla botulinica B. Nel ratto e nel pollo<br />

la forma 1 ha una valina al posto di una glutamina nel sito di taglio e ciò la rende resistente alla proteolisi.<br />

◦ Nell’uomo e nel topo entrambe le forme hanno glutamina.<br />

• Ciò potrebbe spiegare la relativa resistenza di ratto e pollo e la grande sensibilità dell’uomo e del topo<br />

Prospettive<br />

• Possibilità di sviluppare farmaci della classe degli inibitori delle Zn endopeptidasi (come il captopril, ACEinibitore),<br />

che siano in grado di penetrare nel sito d’azione delle tossine e consentire una terapia del tetano o<br />

del botulismo in fase sintomatica<br />

• Possibilità di sfruttare la proprietà di legame delle catene H a specifici siti del tessuto nervoso per veicolare<br />

farmaci o altri agenti biologici (es. per antispastici)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 162


FISIO<strong>PATOLOGIA</strong> DEL SISTEMA ENDOCRINO<br />

Il sistema endocrino<br />

• Gruppo integrato di organi che mantengono l’omeostasi<br />

• Secrezione “endocrina” di molecole segnale = ormoni che agiscono su organi bersaglio a distanza<br />

• L’aumento di attività dell’organo bersaglio inibisce l’attività dell’organo endocrino<br />

Ormoni<br />

• Molecole di segnalazione che interagiscono con recettori cellulari di superficie:<br />

◦ ormoni peptidici (ormone della crescita, insulina)<br />

◦ piccole molecole (epinefrina, istamina)<br />

• Il legame ai recettori di superficie provoca l’aumento intracellulare di “secondi messaggeri” (cAMP, inositolotrifosfato)<br />

e una variazione della concentrazione intracellulare di Ca<br />

• Ormoni steroidei liposolubili, che diffondono attraverso la membrana plasmatica e interagiscono con recettori<br />

intracellulari:<br />

◦ Ormoni steroidei (estrogeni, progesterone, glucocorticoidi, ecc.)<br />

◦ Tiroxina<br />

◦ Acido retinoico<br />

L'IPOFISI<br />

• Ipofisi anteriore, o adenoipofisi (80% della ghiandola)<br />

• Gli ormoni dell’adenoipofisi sono controllati da fattori di rilascio ipotalamici<br />

• Ipofisi posteriore, o neuroipofisi (20% della ghiandola)<br />

Cellule dell'adenoipofisi<br />

• Cellule somatotrope: producono GH (ormone della crescita, somatotropina)<br />

• Cellule lattotrope: producono prolattina<br />

• Cellule corticotrope: producono ACTH, MSH (stimolante i melanociti), endorfine<br />

• Cellule tireotrope: producono TSH<br />

• Cellule godanotrope: producono FSH, LH<br />

I vari tipi cellulari sono evidenziabili in preparati istologici mediante diverse colorazioni:<br />

− colorazione PAS-Orange G => in arancione cellule somatotrope e lattotrope, in violetto cellule corticotrope<br />

− colorazione immunoistochimica per ormoni proteici, es. per il GH => evidenzia le cellule somatotrope<br />

Cellule della neuroipofisi<br />

• Pituiciti (derivano da cellule gliali): non producono ormoni, sono cellule di sostegno agli assoni dei neuroni<br />

ipotalamici (dei nuclei sopraottico e paraventricolare) che producono ossitocina e vasopressina (ADH) e<br />

raggiungono la neuroipofisi, dove il loro secreto è rilasciato per microesocitosi<br />

MALATTIE DELL'IPOFISI ANTERIORE<br />

Provocano variazioni dei livelli ormonali:<br />

• ipo-pituitarismi: spesso da processi destruenti (danni ischemici, radiazioni, reazioni infiammatorie, neoplasie)<br />

• iper-pituitarismi: spesso da adenomi funzionanti del lobo anteriore<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 163


Iperpituitarismi: ademoni ipofisari<br />

• Eziologia sconosciuta<br />

• Insorgono tra i 20 e i 50 anni<br />

• Probabili mutazioni somatiche nelle cellule ipofisari con iperattività della proteina Gs stimolazione adenilicociclasi<br />

=> aumento cAMP => proliferazione cellulare e ipersecrezione di GH<br />

• Determinano aumento di funzione della funzione ghiandolare interessata<br />

Meccanismo di azione e alterata funzione nelle malattie endocrine<br />

La subunità della proteina Gs (proteina Gs-alfa) è un mediatore del messaggio di alcuni ormoni proteici (PTH, TSH,<br />

FSH/LH, GHRH, ACTH, ecc.) dalla membrana cellulare al 2° messaggero (cAMP). Quando l'ormone si lega al<br />

recettore di membrana, la proteina Gs si attiva: la subunità alfa si scinde dalle subunità beta-gamma, quindi si lega al<br />

GTP e scatena una cascata di eventi che porta all'attivazione dell'adenilato ciclasi. Questa, a sua volta, determina la<br />

formazione del cAMP, 2° messaggero del messaggio ormonale, che permette quindi l'effetto dell'ormone.<br />

Effetti clinici locali degli adenomi ipofisari<br />

• Infiltrazione del chiasma ottico<br />

• Emianopsia bitemporale (perdita del campo visivo temporale per lesione mediana del chiasma ottico) e perdita<br />

della vista centrale<br />

• Paralisi degli oculomotori<br />

• Cefalee intense<br />

• Possibile invasione dell’ipotalamo e compromissione della termoregolazione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 164


Adenomi lattotropi<br />

• Nelle donne: amenorrea, galattorrea e infertilità; l’aumento della prolattina inibisce il picco secretorio di LH,<br />

essenziale per l’ovulazione, inibisce anche la produzione di PRL<br />

• Negli uomini calo della libido e disfunzione erettile.<br />

La secrezione eccessiva di prolattina può essere trattata con agonisti dopaminergici (bromocriptina, uno stimolante dei<br />

recettori della dopamina nel cervello; inibisce anche il rilascio della prolattina da parte dell’ipofisi. La bromocriptina è<br />

usata anche per il trattamento della galattorrea, delle malattie cicliche benigne della mammella e per il trattamento dei<br />

prolattinomi (riducendo la concentrazione di prolattina nel plasma e le dimensioni del tumore).<br />

Adenomi somatotropi<br />

La eccessiva secrezione di GH provoca effetti drammatici sull’organismo:<br />

• Nel bambino o nell’adolescente, prima della saldatura delle epifisi, provoca gigantismo<br />

• Dopo la saldatura delle epifisi, e il raggiungimento dell’altezza definitiva, provoca acromegalia<br />

Caratteristiche cliniche dell'acromegalia:<br />

• Malattia rara, con incidenza annua di 3 x 10 -6<br />

• Si sviluppa lentamente: i lineamenti facciali diventano grossolani; prognatismo, ingrossamento del naso,<br />

diastasi degli incisivi superiori, aumento delle dimensioni delle mani e dei piedi e della taglia del cappello<br />

• Aumento della mortalità per eventi cardiovascolari, cerebrovascolari e respiratori;<br />

• Cefalee, artralgie, parestesie<br />

• Ipertensione e ipertrofia del ventricolo sinistro con tendenza allo scompenso congestizio<br />

• Anche gli organi viscerali sono ipertrofici<br />

• Ipertrofia (e non iperplasia!) delle ghiandole sebacee, perché aumenta il numero di cellule.<br />

Adenomi corticotropi<br />

Eccessiva produzione di ACTH con conseguente sindrome di Cushing (la sindrome di Cushing è il quadro clinico<br />

derivante da un eccesso di produzione dell’ormone cortisolo da parte del surrene).<br />

Il cortisolo:<br />

− aumenta l'attività degli osteoclasti => osteoporosi<br />

− prima di essere convertito a cortisone dalla β-idrolasi agisce sui recettori per l'aldosterone provocando<br />

ipertensione => ipertrofia cardiaca<br />

− l'aumento di cortisone rallenta la cicatrizzazione => ulcere cutanee<br />

Adenomi gonadotropi<br />

Secernono LH e FSH.<br />

Nel maschio di media età: cefalee, disturbi visivi e ipogonadismo acquisito; anche se LH dovrebbe stimolare la<br />

produzione di testosterone si ha un effetto paradosso forse per anomalie del LH o dei picchi di rilascio.<br />

Adenomi tireotropi<br />

Aumento del TSH e conseguentemente anche degli ormoni tiroidei: ciò si osserva solo in questo tipo di tumore, perché<br />

manca il feedback negativo di controllo della secrezione di TSH.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 165


MALATTIE DELL'IPOFISI POSTERIORE<br />

Il diabete insipido centrale è l’unica malattia dell’ipofisi posteriore:<br />

• incapacità a concentrare le urine: poliuria cronica, sete e polidipsia<br />

• Deficit di ADH (ormone antidiuretico o vasopressina)<br />

◦ Il mancato controllo da parte dell'ADH compromette il riassorbimento tubulare distale e collettore<br />

Cause del diabete insipido:<br />

• Mutazioni sporadiche o familiari del gene dell’ADH<br />

• Tumori cerebrali (craniofaringioma => comprime l'ipofisi)<br />

• Traumi cranici<br />

• Ipofisectomia per tumori dell’ipofisi anteriore (può compromettere la neuroipofisi)<br />

Manifestazioni del diabete insipido<br />

• Escrezioni di grandi quantità di urine diluite con peso specifico molto basso (poliuria = emissione di 5-25 litri<br />

di urina nelle 24h)<br />

• Il sodio sierico e l’osmolarità aumentano perché dal rene è perduta acqua libera<br />

• Sete intensa e polidipsia<br />

• Pazienti con limitazioni fisiche all’assunzione di acqua vanno incontro a disidratazione che può essere fatale<br />

Diabete insipido nefrogenico<br />

Raro, forma congenita in due varianti, entrambe recessive (evidentemente negli eterozigoti i prodotti dei rispettivi geni<br />

sono sufficienti):<br />

• <strong>DI</strong>N recessivo, legato al cromosoma X, gene mutante Xq28 che codifica per i recettori di tipo 2 della<br />

vasopressina<br />

• <strong>DI</strong>N autosomico recessivo. Il gene mutato codifica per l‘acquaporina 2, che deficita a livello dei tubuli<br />

collettori renali<br />

◦ Le acquaporine (AQP) sono una famiglia di proteine canale che facilitano il flusso molto veloce delle<br />

molecole d’acqua all'interno o all'esterno delle cellule di specifici tessuti che richiedono questa capacità<br />

(tubuli prossimali, eritrociti, membrane dei vacuoli delle cellule vegetali)<br />

◦ tipi di AQP presenti nel rene:<br />

▪ Acquaporina 1 => tubulo contorto prossimale e tratto discendente dell'ansa di Hanle<br />

▪ Acquaporina 3 e Acquaporina 4 => dotto collettore<br />

▪ Acquaporina 6 => dotto collettore<br />

▪ Acquaporina 7 e Acquaporina 8 => tubulo contorto prossimale<br />

▪ Acquaporina 2 => dotto collettore (è quella che interessa la <strong>DI</strong>N)<br />

• importante nel processo di riassorbimento dell'acqua<br />

• la sua attività è regolata dalla vasopressina (ADH), cioè, in seguito a ipovolemia, si ha la<br />

liberazione di ADH che controlla l'attività dell'acquaporina 2<br />

• in assenza dell'acquaporina 2, anche se viene liberato l'ormone antidiuretico, non avviene nessun<br />

riassorbimento, per cui si verifica una patologia chiamata diabete insipido nefrogenico, a<br />

differenza del diabete insipido neurogenico, dovuto ad un mancato rilascio di ADH<br />

La sindrome da inappropriata secrezione di ADH (o SIADH)<br />

È una malattia caratterizzata da un'elevazione patologica della secrezione dell'ormone antidiuretico con ritenzione<br />

d'acqua e iponatremia da diluizione (ipervolemica).<br />

Eziologia:<br />

• Può essere paraneoplastica, soprattutto dovuta al carcinoma bronchiale a piccole cellule (80% dei casi).<br />

• È raro il disturbo primario ipofisario, per problemi nervosi (meningite, lesioni vascolari cerebrali), farmaci<br />

(antidepressivi triciclici, ciclofosfamide) o per affezioni polmonari.<br />

Sintomi:<br />

• perdita d'appetito;<br />

• nausea, vomito, cefalea, crampi muscolari;<br />

• irritabilità, modificazioni della personalità;<br />

• intossicazione causata dall'acqua: stupor, epilessia;<br />

• non edemi, poiché la ritenzione idrica non supera i 3-4 litri;<br />

• iponatremia, spesso 300 mOsm/L);<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 166


• funzionalità renale e surrenalica normali;<br />

• ADH da normale ad aumentato, mentre in altre forme d'iponatriemia non è neanche misurabile<br />

ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO<br />

• Gruppi di cellule dell’ipotalamo rilasciano mediatori che stimolano l’ipofisi anteriore<br />

• Gli ormoni secreti dagli organi bersaglio antagonizzano questi mediatori (feedback)<br />

• Alcuni mediatori ipotalamici hanno azione inibente sul rilascio di ormoni dell’adenoipofisi (dopamina inibisce<br />

la prolattina)<br />

Dopamina (3,4-diidrossifeniletilammina)<br />

La dopamina è una amina biogena naturalmente sintetizzata dal corpo umano.<br />

All'interno del cervello la dopamina funziona da neurotrasmettitore tramite l'attivazione di recettori specifici (D1, D2 e<br />

D3).<br />

La dopamina è anche un neuro ormone rilasciato dall'ipotalamo. La sua principale funzione è quella di inibire il rilascio<br />

di prolattina da parte del lobo anteriore dell'ipofisi.<br />

La dopamina non può essere utilizzata come farmaco ma viene comunemente somministrato un suo precursore: la L-<br />

Dopa, che subisce decarbossilazione ad opera della decarbossilasi degli aminoacidi aromatici.<br />

La dopamina agisce sul Sistema Nervoso Simpatico causando tachicardia e ipertensione.<br />

Gli antagonisti dopaminergici sono farmaci che trovano ampio utilizzo in ambito psichiatrico.<br />

Gli agonisti dopaminergici sono usati sia come terapia di prima scelta nel Morbo di Parkinson o come antidepressivi.<br />

Cause di danno dell'ipotalamo<br />

• Tumori primitivi o metastatici<br />

• Infezioni virali<br />

• Infiammazioni granulomatose<br />

• Malattie degenerative<br />

• Malattie ereditarie<br />

• A volte cause sconosciute<br />

Conseguenze del danno ipotalamico<br />

• Ipogonadismo<br />

• Pubertà precoce<br />

• Amenorrea<br />

• Disordini dell’alimentazione<br />

◦ Obesità<br />

◦ Anoressia<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 167


SURRENE<br />

Struttura del surrene:<br />

• Zona corticale<br />

◦ Glomerulosa: ormoni mineralcorticoidi,<br />

▪ controllo da renina-angiotensina<br />

◦ Fascicolata: ormoni glicocorticoidi,<br />

▪ controllo da ACTH<br />

◦ Reticolare: ormoni glicocorticoidi e androgeni<br />

▪ controllo da ACTH<br />

• Zona midollare<br />

◦ con cellule cromaffini<br />

Ormoni steroidi<br />

• Derivano dal colesterolo<br />

• Il colesterolo è portato alle cellule corticosurrenaliche dalle LDL<br />

• Il colesterolo è veicolato nei mitocondri dalla proteina StAR<br />

• Nei motocondri è trasformato in pregnenolone e poi in ormoni steroidi<br />

• Alcune tappe avvengono nel mitocondrio, altre nel reticolo endoplasmatico liscio<br />

Nomenclatura:<br />

• -olo: gruppo alcolico (colesterolo, cortisolo)<br />

• -diolo: due gruppi alcolici (estradiolo)<br />

• -one: gruppo chetonico (pregnenolone, progesterone, aldosterone)<br />

• -dione: due gruppi chetonici (androstenedione)<br />

Biosintesi degli ormoni steroidi nella corticale<br />

Mineralcorticoidi<br />

Recettori per mineralcorticoidi<br />

− sono un'ampia famiglia sintetizzati da un unico gene<br />

− allo stato libero hanno il loro dominio DNA-binding mascherato da una HSP, che si distacca in seguito<br />

all'interazione con l'ormone => viene fosforilato (attivato) => il complesso ormone-recettore viene traslocato<br />

nel nucleo => si lega a specifiche sequenze del DNA (HRE = hormone response elements) => una volta che il<br />

complesso ha agito si distacca e si dissocia => il recettore viene riciclato e l'ormone degradato => una<br />

molecola provoca un "quanto" di attivazione<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 168


Effetti dei mineralcorticoidi<br />

ACE = enzima a forbice di zinco => sostanze chelanti dello zinco possono bloccarlo (es. ACE inibitori)<br />

− Anche la tossina tetanica è a forbice di zinco => taglia le proteine (può essere inattivata da ACE inibitori, ma<br />

solo in vitro, perché non riesce ad entrare nelle cellule)<br />

Meccanismo d'azione dell'aldosterone nelle cellule dei tubuli distali e dei dotti collettori del rene:<br />

− il complesso ormone-recettore determina<br />

l'espressione di geni che codificano per le seguenti<br />

proteine:<br />

− pompa Na+/K+ ATP-dipendente =<br />

localizzata sulla membrana cellulare nel lato a<br />

contatto con il liquido interstiziale, che<br />

trasporta Na+ dal citoplasma alle cellule<br />

tubulari del liquido interstiziale ed il K+ dal<br />

liquido interstiziale nel citoplasma<br />

− canali del Na+ = localizzati sulla membrana<br />

cellulare nel lato a contatto col lume tubulare,<br />

adibiti al riassorbimeto di questo catione<br />

− canali del K+ = con la stessa localizzazione,<br />

adibiti al'escrezione di questo catione<br />

− controtrasportatori di Na+ e H+ = con la<br />

stessa localizzazione, che provvedono al<br />

riassorbimento del primo ed all'escrezione del<br />

secondo<br />

Glucocorticoidi<br />

Cortisolo e cortisone.<br />

Principali effetti:<br />

− iperglicemizzanti<br />

− stimolano la lipolisi => iperlipidemia<br />

− attività simil-mineralcorticoide<br />

− minor cicatrizzazione<br />

− maggior attività degli osteoclasti<br />

minor attività degli osteoblasti<br />

minor assorbimento di calcio<br />

− => osteoporosi<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 169


− immunodepressivi e antinfiammatori (perché agiscono più a monte dei FANS stabilizzando le membrane) =><br />

la PLP A2 non può staccare acido arachidonico per produrre prostaglandine<br />

− riducono l'edema cerebrale da danno cerebrale (passano la barriera emato-encefalica)<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 170


Ipercortisolismo - Sindromi e morbo di Cushing [leggi Cashing] e principali cause<br />

Comprendono tutte quelle condizioni che determinino un aumento dei livelli di glucocorticoidi.<br />

• Morbo di Cushing<br />

◦ microadenoma ACTH-secernente dell'adenoipofisi (corticotropinoma)<br />

◦ adenomi a cellule cromofobe secernenti ACTH<br />

=> consegue iperplasia della corticale surrenale => ipercortisolismo<br />

Somministrazione di alte dosi di glucocorticoidi => riduzione di secrezione ACTH (il feedback negativo è ancora<br />

presente).<br />

• Sindrome di Cushing surrenalica<br />

◦ adenomi e adenocarcinomi del surrene secernenti ormoni glicoattivi, la cui eccessiva concentrazione nel<br />

sangue, bloccando la secrezione ipofisaria di ACTH, determina ipotrofia delle zone fascicolata e reticolare<br />

non invase dal tumore (anche della surrenale controlaterale), risparmiando la zona glomerulosa<br />

=> ipercortisolismo con bassi livelli di ACTH<br />

• Sindrome di Cushing ectopica<br />

◦ somministrazione prolungata di steroidi glicoattivi<br />

◦ tumori producenti ACTH (generalmente microcitomi, ma anche carcinoidi, carcinomi midollari della<br />

tiroide, feocromocitomi, insulinomi)<br />

◦ iperproduzione ipotalamica di CRH<br />

◦ tumori producenti CRH (rari)<br />

Somministrazione di glucocorticoidi non abbassa i livelli di ACTH.<br />

L'etanolo stimola la produzione di ACTH => può causare una sindrome pseudo-Cushing.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 171


Iperaldosteronismo (sindrome di Conn) e principali cause<br />

• Adenoma o carcinoma surrenalico secernente aldosterone (indicata la terapia chirurgica)<br />

• Iperplasia bilaterale della zona glomerulosa (indicata la terapia medica con diuretici e ipotensivi )<br />

• Basso livello di renina<br />

• Si ha ipernatremia e ipervolemia<br />

• Deplezione potassica<br />

• Alcalosi metabolica per perdita di H+ con le urine insieme a K+<br />

Catecolamine<br />

Effetti contrastanti e simili dell’adrenalina e della noradrenalina<br />

Organi e apparati Adrenalina Noradrenalina<br />

Apparato cardiocircolatorio Incremento della pressione sistolica e riduzione<br />

di quella diastolica (aumento della pressione<br />

differenziale)<br />

Tachicardia<br />

Vasocostrizione nei distretti cutaneo, mucoso e<br />

renale<br />

Vasodilatazione negli apparati muscolare e<br />

scheletrico<br />

Incremento del flusso ematico epatico<br />

Apparato digerente Riduzione della motilità intestinale<br />

Contrazione degli sfinteri<br />

Incremento della pressione sistolica e diastolica<br />

(aumento della pressione media)<br />

Bradicardia<br />

Bronchi Broncodilatazione Nessun effetto<br />

Apparato pilifero Piloerezione Piloerezione<br />

Vasocostrizione generalizzata<br />

Lieve riduzione della motilità intestinale<br />

Lieve contrazione degli sfinteri<br />

Occhio Midriasi (per applicazione topica) Midriasi (per applicazione topica)<br />

Sintesi delle catecolamine<br />

Tirosina => tirosina => DOPA => DOPA decarbossilasi => dopamina => dopamina β-idrossilasi => noradrenalina =><br />

feniletanolamina-N-metil-transferasi (Pnmt) => adrenalina<br />

DOPA non c'è nell'albinismo (carenza di Tyr idrossilasi)<br />

TIROIDE<br />

Organo controllato a cascata da ipotalamo (rilascio di TRH) e ipofisi anteriore (rilascio di TSH sotto stimolo del TRH).<br />

Il TSH stimola la produzione di ormoni tiroidei: liberati al 90% sotto forma di tiroxina (T4) e al 10% triiodiotironina<br />

(T3), hanno un feedback negativo sulla produzione di TSH.<br />

T3 è considerata la forma attiva, T4 la forma di riserva plasmatica.<br />

I tireociti costituiscono la maggior parte della tiroide, ma ci sono anche cellule C che producono calcitonina.<br />

IPERTIROI<strong>DI</strong>SMI<br />

Frequenti<br />

• Iperplasia diffusa tossica (M. di Graves)<br />

• Gozzo multinodulare tossico<br />

• Adenoma tossico<br />

Meno frequenti<br />

• Tiroidite acuta e subacuta<br />

• Carcinoma tiroideo iperfunzionante<br />

• Tumori ipofisari con aumento di TSH<br />

• Tireotossicosi neonatale (madre con Graves)<br />

• Ipertiroidismo da eccesso di iodio (è discusso)<br />

• Ipertiroidismo iatrogeno (da farmaco che contiene ormoni tiroidei somministrato in maniera inappropriata)<br />

Ipertiroidismo = malattia di Graves (e Basedow) = quando c'è una reale iperfunzione tiroidea, quindi un aumento<br />

della produzione degli ormoni tiroidei rispetto al normale<br />

• in questi casi si osserva un'aumentata captazione del radioiodio da parte della ghiandola tiroidea, mediante il<br />

test standard della captazione del radioiodio (detto RAIU, si utilizza 125 I che ha un tempo di dimezzamento<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 172


eve, in modo da non farlo rimanere a lungo nell'organismo)<br />

Tireotossicosi = si intende un aumento della liberazione degli ormoni tiroidei rispetto al normale, ovvero uno stato<br />

ipermetabolico caratterizzato da elevati livelli ematici delle frazioni libere di T3 e T4<br />

• più frequente nel sesso femminile<br />

• la causa più frequente di tireotossicosi è l'ipertiroidismo, per cui i due termini vengono spesso intesi come<br />

sinonimi<br />

Manifestazioni cliniche della tireotossicosi<br />

• ingrossamento variabile della tiroide (non sempre è un vero e proprio gozzo, è un aumento di volume<br />

armonico)<br />

• collegate all'aumento dell'attività simpatica:<br />

• nervosismo, tachicardia, palpitazioni, ansia, fine tremore alle mani (soprattutto se distese), labilità emotiva<br />

• collegate ad un aumentato stimolo termogenetico:<br />

• intolleranza al caldo, cute calda, eccessiva sudorazione, perdita di peso anche con appetito normale,<br />

astenia, debolezza muscolare<br />

• altre:<br />

• modificazioni del ciclo mestruale, diarrea, modificazioni oculari<br />

La classificazione delle manifestazioni cliniche è un po' empirica, non è ne sicura ne precisa.<br />

Malattia di Graves [guardato anche su libro]<br />

Ipertiroidismo dovuto a un gozzo iperplastico diffuso iperfunzionante, talora associato a oftalmopatia e dermopatia<br />

infiltrativa.<br />

− Oftalmopatia: ampiezza delle rime palpebrali, retrazione delle palpebre superiori, fissità dello sguardo,<br />

debolezza dei muscoli oculari, diplopia, edema periorbitario ed esoftalmo.<br />

− Dermopatia: aree di edema localizzato sulla superficie dorsale delle gambe e dei piedi, in forma di placche o<br />

aree nodulari.<br />

Classicamente la malattia di Graves comprende la triade:<br />

• gozzo iperplastico diffuso<br />

• dermopatia<br />

• oftalmopatia.<br />

Tuttavia la dermopatia è presente solo nel 10-15% dei casi e l'oftalmopatia può essere assente o poco evidente, cosicché<br />

la diagnosi si fonda solo sulla documentazione delle alterazioni morfologiche e funzionali della tiroide.<br />

Eziopatogenesi della malattia di Graves<br />

Si sono rilevate associazioni frequenti con gli aplotipi HLA-B5 e DR3 tra i pazienti di razza caucasica.<br />

Inoltre, si osservano frequentemente predisposizioni familiari.<br />

È dimostrato che le alterazioni della tiroide nella malattia di Graves hanno origine autoimmune e sono correlate alla<br />

produzione di IgG contro epitopi specifici del recettore del TSH.<br />

1) Immunoglobuline tiroide-stimolanti (TSI, o anticorpi tiroide-stimolanti, TSAb) => in vitro stimolano la<br />

funzione delle cellule tiroidee, aumentando l'attività dell'adenil-ciclasi.<br />

2) Immunoglobuline inibenti il legame del tireotropo (TBII) => sono altri autoanticorpi, che agiscono legando<br />

il recettore per il TSH, impedendone il legame del TSH stesso<br />

◦ Questi autoanticorpi, legandosi anch'essi al recettore del TSH, ne simulano e potenziano l'azione. Quindi,<br />

sia le TBII che il TSAb sono responsabili dello stato di iperfunzione che si verifica nella malattia di<br />

Graves.<br />

◦ In alcuni casi si attua una sorta di competizione tra le TBII e il TSH, con conseguente inibizione<br />

dell'attività cellulare.<br />

Questa doppia capacità, stimolante e a volte inibente, sembra essere dovuta a epitopi differenti del recettore del TSH<br />

contro i quali vengono prodotte diverse classi di T.<br />

L’evento scatenante alla produzione di autoanticorpi è ancora sconosciuto.<br />

Per il morbo di Graves si ipotizza una patogenesi simile alla tiroidite di Hashimoto:<br />

• un difetto congenito, organo-specifico, nella funzione dei linfociti T soppressori permetterebbe la produzione e<br />

la proliferazione di linfociti T helper CD4+ diretti contro gli epitopi del recettore per il TSH. Questi linfociti T,<br />

cooperando con le cellule B, avrebbero la capacità di stimolare la produzione di autoanticorpi tiroide-specifici<br />

(effetto stimolante).<br />

Nella tiroidite di Hasimoto si ha invece una citotossicità cellulare anti-tireociti mediata da linfociti T CTL e B (con<br />

autoanticorpi), con la conseguenza di una ridotta attività della ghiandola.<br />

Talora l'ipertiroidismo si instaura su una pregressa tiroidite di Hashimoto (hashitossicosi).<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 173


Alterazioni oculari nella malattia di Graves<br />

Anche le alterazioni oculari del Graves hanno un'eziopatogenesi autoimmune. Le lesioni sono costituite da un massivo<br />

infiltrato di infociti T CD4+ o CD8+ e un aumento dei glicosaminoglicani nei muscoli extraoculari e dei tessuti<br />

fibroadiposi orbitari. Queste alterazioni, nel loro insieme, producono l'esoftalmo.<br />

Decorso clinico della malattia di Graves<br />

Se la triade è costituita da gozzo iperplastico, dermopatia e oftalmopatia la diagnosi è agevole.<br />

La conferma di laboratorio si ottiene con: aumento della captazione dello iodio, diminuzione dei livelli di TSH e livelli<br />

sopra la norma di T3 e T4 totali e liberi.<br />

In molti casi la tireotossicosi è persistente, ma talora ha un andamento ondulante.<br />

La terapia medica può facilmente controllare la tireotossicosi, ma non ha effetto sull'oftalmopatia. L'esoftalmo, spesso a<br />

decorso benigno, autolimitante, può talora assumere un decorso progressivo, tale da impedire la chiusura delle palpebre<br />

con conseguenti traumi e ulcere corneali fino alla perdita degli occhi.<br />

Manifestazioni cliniche della malattia di Graves<br />

Vedi tireotossicosi e vedi figura.<br />

Quindi si ha aumento del metabolismo basale con aumento della produzione di calore a scapito dell'accumulo di<br />

sostanze plastiche.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 174


IPOTIROI<strong>DI</strong>SMI<br />

Stato ipometabolico da insufficienza della ghiandola tiroide.<br />

Le manifestazioni cliniche possibili dipendono dall’età di insorgenza:<br />

1. Durante lo sviluppo fetale e nella prima infanzia => cretinismo<br />

2. Nelle età successive => mixedema<br />

Cretinismo<br />

Ritardo nello sviluppo fisico e mentale, inapparente alla nascita, si manifesta nelle prime settimane o nei primi mesi.<br />

La sindrome completa è caratterizzata da:<br />

• cute rugosa e secca,<br />

• ampia distanza interoculare, succulenza dei tessuti periorbitali<br />

• naso largo e piatto<br />

• lingua grossa e protrudente<br />

• gravi alterazioni nello sviluppo scheletrico e in quello cerebrale<br />

Il cretinismo endemico si manifesta nelle zone di gozzo endemico correlato alla carenza di iodio nella dieta.<br />

Il cretinismo sporadico è solitamente dovuto a difetti congeniti dello sviluppo tiroide o (cretinismo sporadico<br />

tireoprivo) o a difetti nella biosintesi degli ormoni tiroidei.<br />

Cretinismo nelle alpi svizzere. Il cretinismo è una deficienza irreversibile nello sviluppo del cervello umano, che si<br />

accompagna a sordomutismo, nanismo e a malformazione delle ossa e delle articolazioni. Il cretinismo si sviluppa in<br />

generale nel feto o nella fase immediatamente postnatale a causa di una grave carenza di iodio nell'alimentazione, che a<br />

sua volta comporta una insufficienza tiroidea (cretinismo endemico); solo in rari casi vi è un'origine genetica<br />

(cretinismo familiare).<br />

Probabilmente già dall'età della Pietra il cretinismo era presente in forma endemica in tutti i continenti, là dove era<br />

diffuso il gozzo dovuto a carenza di iodio.<br />

Nel XIX Secolo, nelle valli più elevate delle Alpi svizzere fino al 90% della popolazione aveva il gozzo e fino al 2% era<br />

affetta da cretinismo (endemico). Nel Vallese un censimento svolto dal 1843 dalla Società svizzera di scienze naturali.<br />

La più antica descrizione del cretinismo nelle Alpi risale al 1220 (Jacques de Vitry). In seguito, il fenomeno e la sua<br />

ricorrenza nelle regioni alpine furono più volte documentati da viaggiatori che attraversarono le Alpi diretti in Italia,<br />

così come da eruditi quali Felix Platter (1536-1614), Albrecht von Haller (1708-1777), Horace Bénédict de Saussure<br />

(1740-1799) e Heinrich Zschokke (1771-1848).<br />

La nozione medica di cretinismo fu formulata soltanto nel XVIII sec. nel Vallese. Il termine è derivato dal francese<br />

crétin o crestien, che a sua volta è riconducibile al lat. cristianus, cioè (povero) cristiano.<br />

Dato che un gozzo pronunciato era ritenuto segno di scarsa intelligenza, il "cretino delle Alpi" divenne un vero e<br />

proprio luogo comune delle arti figurative. In numerose rappresentazioni della Via Crucis, ad esempio, un accentuato<br />

gozzo e i tipici lineamenti grossolani del cretinoide contraddistinguono i torturatori di bassa.<br />

Gli scienziati svizzeri realizzarono sperimentazioni pionieristiche nella cura e nella prevenzione del cretinismo. Nel<br />

XIX Secolo la clinica per affetti da cretinismo di Abendberg, sopra Interlaken, fondata nel 1841 dal medico Johann<br />

Jakob Guggenbühl e oggi considerata precorritrice dei successivi istituti neuropsichiatrici, introdusse un idealistico<br />

metodo terapeutico di ispirazione romantica.<br />

La chirurgia del gozzo e le correlate ricerche scientifiche sul cretinismo, sviluppate dall'ultimo quarto del XIX sec.,<br />

valsero nel 1909 a Theodor Kocher il premio Nobel per la medicina, per la prima volta attribuito a un chirurgo.<br />

La profilassi con sale iodato, imposta a partire dal 1922 nel cantone Appenzello Esterno e più tardi in tutta la Svizzera<br />

per merito di alcuni medici, tra cui Hans Eggenberger, Otto Bayard, Heinrich Hunziker e Fritz de Quervain, assunse<br />

valore esemplare a livello mondiale.<br />

Da allora in Svizzera non nacquero più neonati affetti da cretinismo; l'ultima persona affetta dalla malattia morì negli<br />

anni 1970-80. Seguendo l'esempio svizzero, anche gli altri Paesi industrializzati riuscirono a debellare la malattia, che<br />

resta invece tuttora diffusa nel Terzo mondo.<br />

Mixedema [leggi mixedèma]<br />

E’ l'ipotiroidismo che insorge in bambini di età superiore e nell'adulto.<br />

• Nei bambini si hanno segni e sintomi intermedi tra il cretinismo e il mixedema adulto.<br />

• Nell'adulto, la condizione si instaura lentamente e insidiosamente.<br />

Manifestazioni cliniche del mixedema:<br />

• rallentamento progressivo delle attività psico-fisiche<br />

• stanchezza<br />

• apatia<br />

• letargia<br />

• intolleranza al freddo<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 175


• calo dell'attenzione<br />

La parola e le funzioni intellettuali diventano lente. Con il passare del tempo, si sviluppa edema peri orbitale e<br />

progressivi ispessimento e secchezza della cute. I lineamenti del volto si appesantiscono e diventano più marcati e la<br />

lingua si ingrossa.<br />

Altri sintomi:<br />

• Diminuita sudorazione e lentezza delle funzioni motorie.<br />

• Mixedema del cuore o cardiomiopatia ipotiroidea<br />

◦ Cuore flaccido e ingrossato, con le camere dilatate.<br />

◦ Istologicamente, i miociti appaiono ingrossati con perdita della striatura e si osserva edema interstiziale<br />

per accumulo di mucopolisaccaridi.<br />

◦ Nel sacco pericardico si accumula liquido ricco di mucopolisaccaridi.<br />

Tiroidite di Hashimoto<br />

E’ caratterizzata da un intenso infiltrato di linfociti e plasmacellule che virtualmente sostituisce in modo completo il<br />

tessuto tiroideo.<br />

La tiroidite di Hashimoto ha una notevole importanza clinica per i seguenti motivi:<br />

1. È la causa più comune di ipotiroidismo gozzigeno nelle regioni con sufficiente apporto di iodio.<br />

2. 2. È la causa principale di gozzo non endemico nei bambini.<br />

3. Tra le malattie autoimmuni, è stata la prima a essere riconosciuta e descritta e ne costituisce quindi il prototipo.<br />

La maggior parte dei pazienti con tiroidite di Hashimoto sviluppa, nel tempo, un ipotiroidismo.<br />

Tuttavia, in una piccola parte di casi si ha insorgenza di uno stato ipertiroideo, noto come hashitossicosi.<br />

Sia la tiroidite di Hashimoto sia la malattia di Graves hanno un'origine autoimmune e alcuni meccanismi patogenetici<br />

sono condivisi dalle due forme.<br />

Patogenesi della tiroidite di Hashimoto:<br />

• Patogenesi autoimmune, correlata probabilmente a un difetto nella funzione dei linfociti T soppressori tiroidespecifici.<br />

• E’ probabile un'ereditarietà autosomica dominante.<br />

• Il difetto funzionale dei linfociti T soppressori permetterebbe la predominanza dei linfociti helper CD4+,<br />

specifici per antigeni tiroidei e che cooperano con i linfociti B alla produzione di vari autoanticorpi.<br />

• I più importanti sono gli autoanticorpi contro le perossidasi tiroidee (chiamati anche anticorpi antimicrosomiali<br />

o anti-TPO).<br />

• Altri autoanticorpi sono specifici per la tireoglobulina (anti-TG), per ulteriori antigeni colloidali diversi dalla<br />

tireoglobulina, per il recettore del TSH, o per altri ancora.<br />

• i pazienti con Hashimoto soffrono spesso anche di altre malattie autoimmuni, come il lupus sistemico<br />

eritematoso, la sindrome di Sjögren, l'artrite reumatoide, l'anemia perniciosa, il diabete di tipo I e la malattia di<br />

Graves.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 176


PANCREAS<br />

La storia di Leonard Thompson<br />

L'11 gennaio 1922 Leonard Thompson di 12 anni, ricoverato in coma (oggi possiamo dire "coma diabetico")<br />

all'ospedale di Toronto, fu curato per la prima volta al mondo con un estratto grezzo di insule pancreatiche,<br />

L’estratto era stato preparato dall' ortopedico Banting e dallo studente Best nel laboratorio del fisiologo Macleod.<br />

Il preparato (siero di Macleod) abbassava la glicemia in cani cui era stato rimosso il pancreas.<br />

Il paziente superò il coma e fu in seguito curato per altri 15 anni con l'estratto, parzialmente purificato dal biochimico<br />

Collip. Morì per polmonite da stafilococco aureo (le complicanze infettive nel diabete sono frequenti).<br />

All'autopsia mostrò fibrosi diffusa del pancreas con diminuzione delle cellule insulari. C'era aterosclerosi diffusa con<br />

lesioni aortiche e coronariche. Era presente epatomegalia con accumulo di glicogeno negli epatociti e nelle cellule renali<br />

e edema cerebrale.<br />

L'insulina<br />

L'insulina cristallina fu ottenuta nel 1926 e<br />

ne fu stabilita la struttura negli anni '50 da<br />

Frederick Sanger (Biologo inglese,<br />

vincitore di due premi Nobel, per la<br />

caratterizzazione della struttura<br />

dell'insulina e per la scoperta di un<br />

metodo per l'analisi delle sequenze<br />

aminoacidiche).<br />

Sanger usò un marcatore speciale che si<br />

unisce ai gruppi NH2 liberi (il DNP,<br />

dinitrofenolo) con successiva idrolisi e<br />

cromatografia. Il marcatore impiegato da<br />

Sanger si unisce al terminale NH2 e<br />

resiste all'idrolisi.<br />

In questo modo, frazionando la molecola<br />

di insulina in differenti peptidi e<br />

marcandoli con DNP, si poteva procedere<br />

producendo l'idrolisi in modo da<br />

frazionare i peptidi, identificandone gli<br />

aminoacidi.<br />

L'insulina fu sintetizzata nel 1963.<br />

Dopo essere stata ottenuta per anni dal pancreas bovino e porcino, può ora essere ottenuta biotecnologicamente da DNA<br />

ricombinante espresso in Saccharomyces cerevisiae.<br />

Cellule del pancreas endocrino<br />

4 tipi maggiori di cellule nelle isole di Langherans:<br />

• Cellula B (beta) produce insulina; granuli con profilo rettangolare e matrice cristallina, circondati da un alone.<br />

• Cellula A (alfa) secerne glucagone; granuli rotondi con membrane strettamente aderenti e una zona centrale più<br />

scura.<br />

• Cellula D (delta) contiene la somatostatina; granuli grandi e pallidi con membrane strettamente aderenti.<br />

• Cellula PP produce un polipeptide che esercita svariati effetti sull'apparato gastrointestinaIe; granuli piccoli e<br />

scuri ed è presente non solo nelle isole, ma anche nel parenchima pancreatico.<br />

2 tipi minori di cellule nelle isole di Langherans:<br />

• Cellula D1 (delta1) produce produce un peptide vasoattivo intestinale (VIP); granuli caratteristici al<br />

microscopio elettronico.<br />

• Cellula enterocromaffine produce serotonina (il tessuto enterocromaffine è diffuso nella surrenale,<br />

nell'intestino e nel pancreas, in questo caso produce serotonina)<br />

Il glucagone<br />

Il glucagone è un'ormone peptidico secreto dal pancreas, esattamente dalle cellule α. Esso permette il controllo dei<br />

livelli di glucosio nel sangue, affinché rimangano entro certi limiti: se il livello ematico di glucosio scende sotto una<br />

soglia di circa 80mg/100ml (normalmente è 100-110), le cellule α cominciano a secernere glucagone. Questo si lega<br />

immediatamente ai suoi recettori presenti principalmente sugli epatociti, attivando la degradazione del glicogeno<br />

(glicogenolisi) ed un conseguente rilascio di glucosio nel sangue.<br />

Quando i livelli di glucosio scendono al di sotto di un valore minimo, il glucagone dà un segnale al fegato che dà inizio<br />

alla gluconeogenesi, ovvero alla sintesi di glucosio.<br />

Al contrario, quando i livelli di glucosio sono elevati la concentrazione di glucagone diminuisce e quindi viene attivata<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 177


a livello cellulare la glicolisi.<br />

Somatostatina<br />

La somatostatina è un ormone polipeptidico.<br />

Prodotta dalle cellule delta del pancreas, inibisce il rilascio di insulina e glucagone e di acido cloridrico nello stomaco,<br />

inibisce inoltre la produzione esocrina del pancreas.<br />

Inoltre è prodotta da:<br />

− ipotalamo, dove inibisce la secrezione di GH (ormone della crescita) e Prolattina<br />

− cellule D antrali dello stomaco, dove inibisce cellule G produttrici di gastrina<br />

Peptide vasoattivo intestinale<br />

Il VIP ha ruoli differenti a seconda delle differenti parti del corpo in cui agisce:<br />

• il suo ruolo nell'intestino è quello di stimolare la secrezione di acqua ed elettroliti, così come di dilatare la<br />

muscolatura liscia intestinale, dilatare i vasi sanguigni periferici, stimolare la secrezione di bicarbonato<br />

pancreatico e inibire la secrezione di acido gastrico stimolata dalla gastrina. Questi effetti agiscono insieme per<br />

aumentare la motilità intestinale.<br />

È presente inoltre nel cervello e in qualche nervo autonomo. Una regione del cervello include una specifica regione dei<br />

nuclei soprachiasmatici (SCN) dove si trova il pacemaker circadiano primario. Dato che i SCN sono responsabili nel<br />

rilevare la luce nell'ambiente circostante comunicatagli direttamente dalla retina, e comunicano questa informazione sul<br />

relativo 'momento del giorno' al resto del corpo, è probabile che VIP giochi un ruolo chiave nel meccanismo<br />

dell'orologio biologico dei mammiferi.<br />

È presente anche nel cuore ed ha effetti significativi sull'apparato cardiocircolatorio. Induce vasodilatazione coronarica<br />

ed ha anche un effetto inotropo e cronotropo positivo.<br />

<strong>DI</strong>ABETE MELLITO<br />

E’ un disordine cronico del metabolismo dei carboidrati, lipidi e proteine.<br />

La caratteristica della malattia è la risposta secretoria insufficiente o difettosa dell'insulina, che determina una<br />

alterazione del metabolismo dei carboidrati (glucosio), con conseguente iperglicemia.<br />

Circa il 3% della popolazione mondiale (100 milioni di individui) soffre di questa affezione, che quindi è una tra le più<br />

comuni malattie non infettive.<br />

Classificazione e incidenza<br />

Le forme più importanti di diabete mellito possono essere divise in due varianti più comuni (il tipo 1 ed il tipo 2) che si<br />

differenziano per l'ereditarietà, le risposte all'insulina e le origini; in modo meno specifico per difetti genetici delle<br />

funzioni delle cellule.<br />

Diabete primitivo<br />

1. Tipo 1 (in precedenza diabete mellito<br />

insulino-dipendente, IDDM: denominazione<br />

ora superata)<br />

◦ 1A autoimmune<br />

◦ 1B Idiopatico<br />

2. Tipo 2 (in precedenza diabete mellito non<br />

insulino-dipendente, NIDDM: denominazione<br />

ora superata)<br />

3. Difetti genetici della funzione delle cellule<br />

beta<br />

◦ Diabete giovanile ad insorgenza in età<br />

matura [MODY]) : non lo trattiamo<br />

◦ Cromosoma 2, HNF 4 a (MODY 1)<br />

◦ Cromosoma 7, glucochinasi (MODY 2)<br />

◦ Cromosoma 12, HNF 1 a (MODY 3)<br />

◦ DNA mitocondriale<br />

◦ Altri difetti genetici<br />

Quello che distingue tipo I e tipo II è il meccanismo<br />

patogenetico:<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 178


• tipo I = risposta immunitaria verso le isole pancreatiche => distruzione isole => carenza marcatissima di<br />

insulina<br />

◦ può esserci infiltrazione da linfociti nelle insule pancreatiche, con atrofia, fortissima riduzione numerica<br />

delle cellule beta<br />

• tipo II = resistenza periferica all'azione dell'insulina, non c'è deficit di insulina (può aumentare), ci può essere<br />

riduzione da esaurimento delle insule<br />

◦ non c'è infiltrazione linfocitaria, le cellule beta sono solo modicamente ridotte in numero, a volte ci sono<br />

dei depositi di amiloide<br />

Diabete secondario<br />

• Infezioni<br />

• Rosolia congenita<br />

• Citomegalovirus<br />

• Endocrinopatie (es. tumori ipofisari, surrenalici)<br />

• Farmaci<br />

• Altri difetti genetici (es. Sindrome di Down)<br />

• Diabete mellito gestazionale<br />

Fisiologia dell'insulina<br />

Lo stimolo alla produzione dell’insulina è costituito dal<br />

glucosio che, penetrando nella cellula beta dà avvio alla<br />

sintesi di insulina e alla sua secrezione.<br />

L’insulina è un ormone anabolizzante.<br />

Azioni:<br />

• Trasporto transmembrana glucosio e aminoacidi<br />

• Formazione di glicogeno epatico e muscolare<br />

• Conversione di glucosio in trigliceridi<br />

• Sintesi di acidi nucleici<br />

• Sintesi proteica<br />

Effetti dell'insulina<br />

• Trasporto transmembrana del glucosio nelle<br />

cellule muscolari striate e miocardiche, nei fibroblasti,<br />

negli adipociti.<br />

• Traslocazione GLUT-4<br />

◦ GLUT-2: nel fegato<br />

◦ GLUT-4 nel muscolo e nel tessuto adiposo<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 179


PATOGENESI DEL <strong>DI</strong>ABETE TIPO 1<br />

Risposta autoimmune verso le isole pancreatiche.<br />

• Fattori ambientali: all’autoimmunità si<br />

aggiungono fattori ambientali, poco noti, ma<br />

evidenziati dall’evidenza che emigranti di una<br />

etnia hanno rischio di ammalare più simile alle<br />

popolazioni del Paese di destinazione che a<br />

quella del Paese di origine.<br />

• Virus: associazione di nuove diagnosi con<br />

comuni infezioni virali stagionali, come<br />

Coxsackie B. Inoltre associazioni con parotite,<br />

morbillo, citomegalovirus, rosolia e<br />

mononucleosi. Si ritiene che giochi un fenomeno<br />

di mimetismo molecolare tra proteine virali e<br />

proteine delle cellule β<br />

Autoimmunità<br />

1. Insulite con infiltrato di CD8+ e CD4+ (i CD4+<br />

possono sperimentalmente trasferire<br />

l’autoimmunità).<br />

2. Si associa, nelle cellule β aumentata espressione<br />

di molecole di classe I e espressione aberrante di<br />

antigeni di classe II. (Questa ultima indotta da<br />

citochine prodotte localmente da CD4+).<br />

3. Presenza di autoanticorpi contro antigeni delle cellule insulari (tra cui contro GAD, decarbossilasi dell’acido<br />

glutammico)<br />

Sviluppo del diabete tipo 1<br />

Malgrado la terapia sostitutiva le complicanze sono difficili da controllare, perché in ogni caso restano picchi<br />

iperglicemici.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 180


<strong>DI</strong>ABETE TIPO II<br />

Resistenza periferica all'azione dell'insulina, non c'è deficit<br />

di insulina (può aumentare), ci può essere riduzione da<br />

esaurimento delle insule.<br />

Possono esserci difetti primitivi nella secrezione insulinica.<br />

Si può osservare deposizione di sostanza amiloide nelle<br />

insule.<br />

Patogenesi delle complicanze del diabete - Glicosilazione non enzimatica delle proteine<br />

Nelle proteine con gruppi laterali aminoacidici NH2 (es.<br />

lisina) può avvenire il legame tra glucosio e NH2 => si<br />

forma una base di Schiff, che porta alla stabilizzazione del<br />

gruppo aldeidico legato a NH2 => è detto prodotto di<br />

Amadori => questa proteina glicosilata tende a formare<br />

legami trasversi (crociati) con fenomeni di<br />

insolubilizzazione delle proteine e altri fenomeni deleteri.<br />

I prodotti di questa reazione sono detti advanced<br />

glycation end-products (AGE), che hanno capacità di:<br />

• formare legami crociati fra polipeptidi della<br />

stessa proteina (es. collagene)<br />

• intrappolare proteine non-glicosilate (es. LDL,<br />

Ig, complemento)<br />

• conferire resistenza alla digestione proteolitica<br />

• indurre ossidazione dei lipidi<br />

• inattivare l'ossido nitrico<br />

• legare acidi nucleici<br />

• legarsi ai recettori per AGE sui monociti e sulle<br />

cellule mesenchimali<br />

• indurre migrazione monocitaria<br />

• indurre secrezione di citochine e di fattori di<br />

screscita<br />

• indurre aumentata permeabilità vascolare<br />

• indurre attività procoagulante<br />

• indurre aumentata proliferazione cellulare<br />

• indurre aumentata produzione di ECM<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 181


Complicanze a lungo termine del diabete<br />

• microangiopatia = lesione di piccoli<br />

vasi, anche a livello cerebrale, che<br />

può formare aneurismi<br />

• alterazione dei vasi retinici con<br />

retinopatia, cataratta, glaucoma<br />

(aumento della pressione<br />

intraoculare, per mancanza del<br />

flusso dell'umor acqueo)<br />

• ipertensione<br />

• tendenza a infarto miocardio per<br />

aterosclerosi<br />

• perdita di cellule insulari, per<br />

insulite nel tipo I, per deposito di<br />

amiloide nel tipo II<br />

• nefrosclerosi, glomerulosclerosi,<br />

arteriolosclerosi sono le lesioni<br />

renali che portano ad ipertensione<br />

• neuropatia diabetica<br />

• aterosclerosi periferica con ischemia<br />

degli arti inferiori => gangrena =><br />

infezioni che possono interessare<br />

l'intero organismo per via<br />

ematogena<br />

Coma diabetico<br />

Un soggetto diabetico tende ad andare<br />

incontro ad iperglicemia, che porta alle due<br />

principali cause del coma diabetico:<br />

− poliuria iperosmotica, perché il<br />

glucosio passa nelle urine e ne<br />

aumenta la pressione osmotica =><br />

iperuria => ipovolemia<br />

(inizialmente compensata dalla<br />

necessità di bere) => caduta di<br />

pressione arteriosa => shock<br />

− eccesso di glucagone e carenza di<br />

insulina porta alla chetogenesi e<br />

alla formazione di chetoacidi,<br />

perché non può esservi<br />

ossidazione del glucosio =><br />

chetoacidosi<br />

NB: Non si parla del coma insulinico: un<br />

eccesso di insulina provoca grave<br />

ipoglicemia con tendenza a collasso, ecc.<br />

Appunti di Patologia Generale – Pag, 182


Appunti di Patologia Generale – Pag, 183

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