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megalopoli living furto con remake diavolo vattene! - Urban

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AVANTI COSÌ PER CIRCA 62.400 FOTOGRAMMI, DA SONDARE UNO PER UNO ARMATI DI LENTE TELESCOPICA<br />

rigoroso restauro filologico non viene mai meno.<br />

Tutto si fonda sulla ricostruzione filologica dei singoli<br />

film. Così per ogni lungo e cortometraggio da restaurare<br />

vengono recuperati i migliori elementi esistenti al mondo,<br />

in un viavai di rulli di pellicola da 300 o 600 metri<br />

trasportati senza troppi scrupoli da un aereo all’altro,<br />

mentre qualcuno in un archivio buio incrocia le dita perché<br />

arrivino illesi. Poi, un lavoro comparativo stabilisce<br />

quali materiali si avvicinino maggiormente alla versione<br />

originale, tenendo <strong>con</strong>to delle documentazioni lasciate<br />

dal regista – sempre che ci siano – e solo allora si passa<br />

alla fase tecnica <strong>con</strong> riparazioni, giunte, viraggi e imbibizioni.<br />

Quanto ai risultati, a comprovarli può bastare<br />

un’occhiata alla lunga lista di archivi cinematografici che<br />

il laboratorio vanta fra i propri clienti: oltre alla stessa<br />

Cineteca di Bologna, la Friedrich-Wilhelm-Murnau-<br />

Stiftung, la Cinémathèque Française e l’Association<br />

Chaplin, che gli ha affidato il restauro dell’opera completa<br />

del regista, di cui ogni anno viene proiettato un lungometraggio<br />

al Festival del Cinema Ritrovato. Prestigiosi<br />

i restauri legati al cinema muto, film che hanno fatto la<br />

storia come Rapsodia satanica di Nino Oxilia <strong>con</strong> una<br />

partitura d’accompagnamento scritta da Mascagni o Prix<br />

de Beauté di Augusto Genina <strong>con</strong> la splendida Louise<br />

Brooks. Poi le pellicole degli anni Sessanta in triacetato<br />

(detto safety film perché non si incendia come il<br />

nitrato) <strong>con</strong> esempi come Dolci inganni di Lattuada, o il<br />

recupero di preziosi tesori della cinematografia italiana<br />

rimasti invisibili per decenni come Banditi a Orgosolo<br />

di Vittorio De Seta o di cinematografie lontane come<br />

Mirt Sost Shi Amit (titolo inglese Harvest: 3000 years)<br />

girato in Etiopia nel 1976 dall’allora studente della Ucla<br />

Haile Gerima, il cui restauro è stato fortemente voluto da<br />

Martin Scorsese.<br />

Intanto nel laboratorio, sorvegliata dallo sguardo vigile<br />

del giovane direttore, l’anonima mano avvolta dal guanto<br />

bianco stringe il bisturi e interviene sul fotogramma.<br />

La pellicola da salvare è una copia nitrato originale del<br />

1915 del film Maciste; la sequenza dell’eroe che piega<br />

le sbarre di ferro di una prigione è purtroppo interrotta<br />

da un lungo strappo che attraversa tre fotogrammi, e<br />

l’esperta dovrà cercare di ricomporre i pezzi. Giochi di<br />

precisione chirurgica per piazzare un cerotto di scotch<br />

trasparente senza produrre bolle o la minima increspatura,<br />

mentre <strong>con</strong> la colla (a base di nitrato, fatta “in casa”<br />

<strong>con</strong> scarti e altre sostanze chimiche nelle due ricette<br />

estiva o invernale) si riparano le giunte. Avanti così per<br />

circa 62.400 fotogrammi, cioè 65 minuti di film, da sondare<br />

uno per uno armati di lente telescopica, al fine di<br />

pulire il film e renderlo resistente alle lavorazioni <strong>con</strong> le<br />

macchine, come la modernissima lavatrice a ultrasuoni<br />

per il lavaggio totale della pellicola, la stampatrice e la<br />

sviluppatrice.<br />

Tra una riparazione e l’altra si chiacchiera di “ritrovamenti”.<br />

Quello di un collezionista, per esempio, noto nell’ambiente<br />

per aver comprato a scatola chiusa uno stock<br />

di film che stava nella cantina di un cinema a Mestre, da<br />

cui sono saltati fuori film “dal vero” e travelogue, documentari<br />

di viaggio che rac<strong>con</strong>tavano di luoghi esotici a<br />

chi non poteva andarci. Materiale che fa venire l’acquolina<br />

in bocca a cinetecari e restauratori, sempre pronti a<br />

fiondarsi sul capolavoro perduto scandagliando i bauli<br />

della nonna e i vecchi oratori di periferia, e covando la<br />

segreta speranza di “ritrovare” un film inciampando per<br />

caso in una delle 18mila pellicole in 35 mm e 16 mm<br />

accatastate sui lunghi scaffali dell’archivio. I non addetti<br />

ai lavori invece, che non hanno agile accesso a tale<br />

patrimonio, dovranno ac<strong>con</strong>tentarsi e approfittare della<br />

biblioteca della Cineteca, che raccoglie circa 8mila film<br />

vhs e dvd; oppure appassionarsi alle rassegne di cinema<br />

muto italiano in programmazione nelle sale del Lumière<br />

(una collezione di circa 400 titoli) <strong>con</strong> accompagnamento<br />

musicale dal vivo, o a quelle di cinegiornali e<br />

documentari italiani dai primi del Novecento a oggi, o la<br />

collezione di cinema sovietico dagli anni Venti alle opere<br />

del disgelo. E chi più ne ha più ne metta.<br />

URBAN 35

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