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Urania 0689 -Opzioni - Robert Sheckley.pdf - Autistici/Inventati

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«Perché c'entra anche lui?»<br />

«Non ricordo il motivo, ma credo che sia soprattutto per evitare che il protagonista sia costretto a<br />

parlare da solo.»<br />

Il signor Eroe guardò il robot con diffidenza. «Mia madre è stata violentata da un robot» spiegò.<br />

«Sapete come andò? Il robot disse che l'aveva scambiata per un frigorifero. Da allora diffido dei robots.<br />

Questo è un bravo robot?»<br />

«Sissignore» disse il robot. «Io sono un bravo robot e mi comporto bene, specialmente se una<br />

persona mi considera quando sono presente invece di comportarsi come se non ci fossi, il che potrebbe<br />

anche accadere da un momento all'altro, da come vanno le cose oggigiorno.»<br />

«Piuttosto prolisso, eh?» osservò il signor Eroe.<br />

«Se non vi va» disse il robot «potete anche ficcarvelo dove dico io.»<br />

Il signor Eroe strabuzzò gli occhi, poi improvvisamente si mise a ridacchiare. L'Uomo si trasformò da<br />

albero in Uomo.<br />

«Mi spiace, signor Eroe» disse «ma mi sembra che non siate affatto il tipo che avevamo in mente.»<br />

«Ah, è così, eh?» si risentì il signor Eroe. «Vi spiace se vi dico che non vi rendete conto di quello che<br />

fate?»<br />

«Tornate immediatamente nel deposito collettivo dell'inconscio» lo interruppe l'Uomo.<br />

Il signor Eroe svanì con alterigia.<br />

«E adesso siamo tornati al punto di partenza» disse Mishkin.<br />

«Pare anche a me» convenne il robot.<br />

«Zitti» disse l'Uomo. «Devo pensare.» Si mise a sedere su un sasso... Alto, coi capelli biondi e i baffi,<br />

piaceva moltissimo alle donne. Le sue lunghe dita robuste tamburellavano il ginocchio ossuto. Negli<br />

occhi scuri si celavano ombre cupe. Era uno schianto. Ma non era felice. No, non era felice. Forse non lo<br />

sarebbe mai stato. Il dottor Lifshultz non gli aveva forse detto una volta: «La felicità è una cosa che si<br />

chiama Joe»? e l'Uomo non si chiamava Joe. Perciò non poteva essere felice.<br />

PARTE SECONDA<br />

69<br />

Rieccoci di nuovo sulla breccia,<br />

coraggiosi amici<br />

Il prau scivolava sulle limpide acque del fiumicello, guidato dall'esperta pagaia dell'anziano Dayak<br />

che faceva abilmente procedere la fragile imbarcazione lungo la gettata di bambù che collegava<br />

Omandrik col mondo esterno.<br />

Un bianco, un americano, in stivali e calzoni da cavallerizzo, la camicia bianca chiazzata di sudore e un<br />

vecchio casco coloniale in testa, osservava l'arrivo della barca indigena dalla relativa frescura della<br />

veranda ombreggiata di casa sua. Si alzò senza fretta e controllò la rivoltella calibro 38 Cross & Blackwell<br />

che portava sempre appesa all'ascella, ben oliata in una fondina di camoscio. Poi, nel calore tropicale, si<br />

avviò al molo.<br />

Il primo a scendere dal vecchio vapore fu un arabo alto con una tunica bianca fluttuante e il<br />

copricapo bianco e giallo dell'Hadramaut. Era seguito da un uomo mostruosamente grasso di età<br />

indefinibile, che portava un fez rosso, un completo di seta bianca tutto spiegazzato e sandali. Lo si<br />

sarebbe potuto scambiare per un turco, ma un osservatore attento, notando gli occhi verdi leggermente<br />

obliqui affondati nel grasso, avrebbe intuito che era un ungherese delle steppe carpatiche. Seguiva poi<br />

un inglese, piccolo ed emaciato, sulla ventina, che dal modo di gesticolare a scatti e le mani tremanti<br />

appariva un intossicato da anfetamine all'ultimo stadio. Sotto la sua giacchetta di cotone si scorgeva la<br />

superficie grigia e scabra di una bomba a mano. Da ultima scese una giovane donna, elegante in un abito<br />

di cotonina a fiori, con una cascata di capelli neri sulle spalle. Il viso, bellissimo, era inespressivo.<br />

I nuovi arrivati salutarono con un cenno l'americano sul pontile, ma neppure una parola venne<br />

scambiata fino quando non si furono riuniti tutti sulla veranda, lasciando che il pilota dell'elicottero<br />

ormeggiasse il suo mezzo con l'aiuto di alcuni volonterosi indigeni.<br />

Si misero tutti a sedere sulle poltroncine di vimini, e un servo di colore offrì gin-pahi ghiacciato. Il<br />

grassone alzò il bicchiere in un brindisi silenzioso, e disse: «Mi sembra che ve la caviate piuttosto bene,

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