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I Racconti tra realtà e leggenda di Mister X - Patrizio Marozzi

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Il sopraggiungere <strong>di</strong> un giorno<br />

Eteronimo Joe 1<br />

Le puttane mi <strong>di</strong>vorano lo spazio. Quelle puttane delle ragazze per bene, quelle che<br />

fanno finta <strong>di</strong> non pensare alla figa, quelle che <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> non dare importanza al sesso, ma<br />

poi ti danno la passera solo dopo aver sentito l’odore del tuo sette quaranta. Le puttane.<br />

Le puttane quelle vere sono <strong>di</strong>verse. Ieri sera sono andato con Luisa, una ragazza <strong>di</strong><br />

colore del Ghana. Mi ha chiesto cinquanta le ho detto che era troppo, quaranta allora mi ha<br />

detto, le ho risposto che era ancora troppo. “Ma io vado solo per cinquanta<br />

— trenta”. Va bene le ho detto. E ancora lei — “Facciamo con calma, lo facciamo con<br />

calma”. “Va bene”.<br />

Molte <strong>di</strong> loro cercano l’amore, e sperano che io mi innamori. Se avessi molti sol<strong>di</strong><br />

troverei quella più bella, ma soprattutto intelligente, ve ne sono. E gli cambierei la vita<br />

come vuole. Alla faccia <strong>di</strong> quelle frigide delle brave ragazze.<br />

Eteronimo Joe 2<br />

È tempo <strong>di</strong> morire <strong>di</strong> abbandonare la vita, spegnere il buio che ti avvolge; non chiedere<br />

altro alla speranza che non può darti niente. Tutto il sentire umano ho at<strong>tra</strong>versato e<br />

quello ch’è rimasto è solo un involucro che sente qualcosa che non appartiene più<br />

all’umanità che mi porto dentro. Sento gli inutili occhi <strong>di</strong> chi leggerà queste parole acuire<br />

ancor <strong>di</strong> più il mio esserci, parlare delle cose come <strong>di</strong> uno stato, <strong>di</strong> un’assurda cura. Morire<br />

per <strong>di</strong>re basta alla solitu<strong>di</strong>ne, che non mi lascia più un respiro. Morire per superare la<br />

morte che mi sta uccidendo, il sordo suono <strong>di</strong> un mondo che non sente. Sapere come<br />

salvarsi, ma non averne il potere.<br />

“Solo, perché tu sai quello che gli altri non conoscono, Ulisse”. Ti sentirai solo.<br />

Solo oltre la solitu<strong>di</strong>ne, stendere la mano e non raggiungere nessuno; tutti presi nei loro<br />

giochi che non esistono. Ti chiedono quello che tu hai dovuto <strong>di</strong>mos<strong>tra</strong>re a “Dio”. Ti<br />

chiedono <strong>di</strong> respirare, mentre non vedono che respiri; ti chiedono <strong>di</strong> guardare, mentre li<br />

guar<strong>di</strong>, ti chiedono <strong>di</strong> parlare, quando loro sono sor<strong>di</strong>.<br />

Morire per non morire <strong>di</strong> vuoto. Morire prima che la meraviglia della gioia della vita<br />

che ancora senti nei tuoi lampi profon<strong>di</strong> svanisca per sempre. Nel mondo in cui vivi tu<br />

non ci sei, ti sfiora soltanto, e solo un’alchimia d’energia mi fa camminare, ma non lo<br />

afferro<br />

Cercando <strong>di</strong> capire quel che avviene mi ritrovo at<strong>tra</strong>verso gli spazi <strong>di</strong> un tempo. Le voci<br />

profonde mi destano all’improvviso come spirali <strong>di</strong> vita, come un perduto oltre<br />

l’immagine del mare; mi <strong>di</strong>sperdo senza <strong>di</strong>menticare, ma neanche più ricordare.<br />

All’improvviso apparente i flussi della vita si perdono, non sperano più <strong>di</strong> esserci e in<br />

un perduto bisogno <strong>di</strong> morire si riversano le speranze, nell’attesa vana <strong>di</strong> non sapere<br />

come. È finito ogni <strong>di</strong>re, morire chiudendo gli occhi serenamente, senza palpiti improvvisi,<br />

solo scendendo at<strong>tra</strong>verso il tempo che non ha più margini.<br />

All’improvviso sentendo il peso <strong>di</strong> tutta la vita senza la vita che ne fa parte, chiedo <strong>di</strong><br />

morire, perché non vi è più nessuno dove mi trovo, ma lampi improvvisi scuotono il mio<br />

cielo e l’illusione della speranza torna con una voce s<strong>tra</strong>na a parlarmi, una voce che tarda a<br />

compiersi e per questo mi illude.<br />

La voce dell’aria è sorda al mio respiro, come <strong>tra</strong>sparente non c’è nei miei polmoni e il<br />

peso della sua assenza è un urlo leggero e acuto che spinge i margini del mio respiro a<br />

mordere brandelli <strong>di</strong> vita, che non <strong>di</strong>cono tutto e per questo non hanno nulla.

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