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Il cammino del continente verso lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

Tra governi locali<br />

e autorità tradizionale<br />

Francesca Dagnino<br />

VICE PRESIDENTE <strong>CCS</strong> ITALIA E CONSULENTE UNDP<br />

Con la Conferenza di Berlino del 1894-<br />

95, <strong>il</strong> colonialismo ha brutalmente tracciato<br />

i confini di stati che hanno<br />

raggruppato differenti popoli, o hanno<br />

separato la stessa etnia attribuendole<br />

un’appartenenza geografica, e quindi politica,<br />

arbitraria. Gli stati coloniali hanno<br />

assunto forme differenti - la “indirect rule”<br />

inglese, l’”assim<strong>il</strong>ação” portoghese, ma<br />

hanno avuto come caratteristica comune<br />

una struttura statuale fortemente centralizzata.<br />

L’unico margine di autonomia dei<br />

“nativi” avveniva attraverso l’investitura<br />

delle autorità tradizionali da parte dello<br />

stato coloniale a trattare materie di<br />

scarsa r<strong>il</strong>evanza politica (risoluzione dei<br />

conflitti di famiglia, attribuzione di terre<br />

improduttive) oppure a loro veniva demandata<br />

la riscossione delle imposte o<br />

l’imposizione del lavoro obbligatorio per<br />

la costruzione di strade e ferrovie.<br />

I nuovi stati indipendenti hanno ereditato<br />

quindi degli apparati statali centralizzati<br />

autoritari e tali sono stati mantenuti nella<br />

maggior parte dei casi. Si trattava, una<br />

volta ereditato lo stato, di costruire la nazione<br />

promuovendo un forte spirito di<br />

identità nazionale spesso personificato<br />

nella figura del leader, lasciando poco<br />

spazio al particolarismo locale e alle differenziazioni<br />

tra le diverse etnie.<br />

A partire dagli anni ’90 sono iniziate in<br />

molti paesi africani delle riforme politiche<br />

e amministrative che hanno cercato di<br />

rompere con <strong>il</strong> passato attraverso<br />

<strong>il</strong> decentramento dei poteri<br />

ai governi locali. Nell’ottica<br />

dei riformatori (appoggiati dai<br />

donatori internazionali), questi,<br />

meglio del governo centrale,<br />

possono pianificare e realizzare<br />

degli interventi di riduzione<br />

della povertà e di sv<strong>il</strong>uppo,<br />

prossimi ai bisogni della gente.<br />

Attualmente i paesi africani si trovano a<br />

diversi livelli nel processo di decentramento,<br />

misurati attraverso indici (elaborati<br />

dallo studioso J.M. Kauzya nel 2007)<br />

28<br />

FOCUS<br />

che collocano ai primi posti <strong>il</strong> Sudafrica,<br />

l’Uganda, <strong>il</strong> Kenya e la Nigeria, mentre<br />

agli ultimi posti si trovano paesi poverissimi<br />

e appena usciti da periodi travagliati<br />

di guerre civ<strong>il</strong>i: Ciad, Sierra Leone e Niger.<br />

In quasi tutti i paesi, l’introduzione o <strong>il</strong> raf-<br />

forzamento di governi locali si realizza at-<br />

traverso elezioni degli<br />

organi locali su base<br />

multipartitica e questo<br />

meccanismo si incontra<br />

(e spesso si scontra) con<br />

<strong>il</strong> potere delle autorità<br />

tradizionali. Mentre da alcuni<br />

esse vengono considerate<br />

come una forma<br />

genuinamente africana di autogoverno<br />

locale, per i loro detrattori si tratta di autorità<br />

che sono state irrevocab<strong>il</strong>mente<br />

corrotte dalla loro compromissione con<br />

in potere coloniale, che sono per natura<br />

Dagli anni ’90 sono<br />

iniziate riforme che<br />

hanno cercato di<br />

rompere con <strong>il</strong> passato<br />

attraverso <strong>il</strong><br />

decentramento<br />

dei poteri ai governi<br />

locali.<br />

autocratiche e che si basano sul diritto<br />

successorio e non sulla libera scelta dei<br />

cittadini. Insomma, queste istituzioni sarebbero<br />

estranee al mondo dei diritti,<br />

della rappresentanza e della giustizia attributiva,<br />

che caratterizza la democrazia.<br />

Alcune recenti ricerche (Bern Guri, 2006)<br />

basate su lavoro di campo, constatano<br />

una varietà di situazioni, dove talvolta le<br />

autorità tradizionali giocano un ruolo positivo<br />

nel processo di sv<strong>il</strong>uppo locale,<br />

altre volte competono con gli organi statuali<br />

per <strong>il</strong> mantenimento di prerogative<br />

particolarmente importanti, come per<br />

esempio l’assegnazione della terra o <strong>il</strong><br />

consenso ad ogni atto di disposizione<br />

che riguardi la proprietà fondiaria.<br />

Si tratta insomma di un processo non lineare.<br />

D’altronde, le autorità tradizionali<br />

non vivono fuori dal tempo, in una di-<br />

FOTO <strong>CCS</strong><br />

mensione metastorica, ma si sono sempre<br />

misurate con i cambiamenti che<br />

popoli e paesi hanno attraversato,<br />

uscendone cambiate esse stesse. Il dialogo<br />

è aperto. È importante che, in nome<br />

della democrazia e della modernità, non<br />

si tenti di sopprimere tutto ciò che a questi<br />

concetti non si adegui, ivi comprese le<br />

strutture del potere tradizionale. In un<br />

mondo globalizzato che tende a uniformare<br />

le diversità, <strong>il</strong> riconoscimento del<br />

pluralismo di tradizioni locali è una maniera<br />

di recuperare la ricchezza sociale e<br />

di preservare dignità al patrimonio culturale<br />

di un popolo.

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