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Com’è cambiato l’immaginario dell’Africa dopo i Mondiali<br />

Un calcio<br />

agli stereotipi<br />

Anna Pisani<br />

L’immagine sorridente di Mandela con in<br />

testa un colbacco molto poco africano,<br />

accolto da un’ovazione nello stadio di<br />

Città del Capo, ha chiuso i primi mondiali<br />

di calcio in Sud Africa. Ricordava molto<br />

<strong>il</strong> finale di “Invictus” <strong>il</strong> bel<br />

f<strong>il</strong>m di Clint Eastwood sulla<br />

vita di Mandela. Nella finzione<br />

cinematografica era<br />

stato <strong>il</strong> rugby a unificare un<br />

paese diviso, nella realtà è<br />

stato <strong>il</strong> calcio a cambiare<br />

l’immaginario dell’Africa agli<br />

occhi di tutto <strong>il</strong> mondo.<br />

All’inizio si parlava solo di quanto erano<br />

fastidiose le vuvuzelas e quanto potesse<br />

essere pericoloso passeggiare per strada<br />

nelle città del Sud Africa. E invece abbiamo<br />

visto un Paese capace di organizzare<br />

un Grande Evento come qualunque<br />

nazione occidentale, di costruire stadi<br />

nuovi e luccicanti e di assorbire senza<br />

problemi di criminalità o di altro m<strong>il</strong>ioni di<br />

visitatori. Non ci sono stati i furti ai turisti<br />

di cui si parlava, non ci sono state aggressioni,<br />

né violenze e le immagini di<br />

Abbiamo ritrovato in<br />

quell’entusiasmo, da<br />

noi perduto, le emozioni<br />

che da sempre<br />

sa dare lo sport,<br />

quello vero<br />

una Città del Capo piena di luci sotto un<br />

incredib<strong>il</strong>e cielo africano ha affascinato<br />

gli spettatori di tutto <strong>il</strong> mondo.<br />

Abbiamo visto anche stadi pieni di gente<br />

gioiosa, dipinta, sorridente, di famiglie<br />

con donne e bambini, di<br />

volti emozionati, di esplosioni<br />

di gioia e di lacrime,<br />

abbiamo ritrovato in quell’entusiasmo,<br />

da noi perduto,<br />

le emozioni che da<br />

sempre sa dare lo sport,<br />

quello vero, fatto di competizione<br />

leale e di sacrificio.<br />

E come non pensare ai nostri stadi popolati<br />

da ultras armati di spranghe e bastoni,<br />

da poliziotti in assetto antisommossa,<br />

dove a comandare sono le urla, gli striscioni<br />

razzisti, gli insulti, le risse, dove lo<br />

spettacolo sportivo è oscurato dai fumogeni.<br />

Come non pensare alle battaglie<br />

domenicali per strada in quartieri trasformati<br />

in fronti di guerriglia urbana con recinzioni<br />

alte tre metri che separano lo<br />

stadio dalle case, i tifosi dalla gente normale,<br />

alle stazioni presidiate dalla polizia,<br />

I tifosi della squadra del Sud Africa in festa, foto Rafael Alvez<br />

EDITORIALE<br />

Vuvuzelas, foto Rafael Alvez<br />

ai pullman delle squadre avversarie presi<br />

d’assalto.<br />

I primi mondiali di calcio in Africa ci hanno<br />

raccontato un’altra storia. Una storia in<br />

qualche modo simboleggiata dal volto<br />

prima rassegnato e poi orgoglioso del<br />

giocatore del Ghana che all’ultimo minuto<br />

dei supplementari (quarti di finale, Ghana<br />

- Paraguay) ha sbagliato <strong>il</strong> rigore che<br />

avrebbe portato <strong>il</strong> suo Paese e l’Africa intera<br />

nella storia. Quel rigore sbagliato che<br />

ha ammutolito uno stadio intero facendo<br />

scendere un velo di tristezza sul volto<br />

degli spettatori di colore. Quel rigore che<br />

avrebbe portato <strong>il</strong> Ghana a superare <strong>il</strong><br />

turno portando l’Africa nel club esclusivo<br />

dei grandi, quelli che vincono.<br />

Lo stesso giocatore del Ghana è stato <strong>il</strong><br />

primo, dopo i supplementari, a tirare i rigori<br />

che dovevano decretare la squadra<br />

vincitrice. Ha preso <strong>il</strong> pallone e ha fatto<br />

centro. Ma ormai era tardi. Nel suo<br />

sguardo c’era tutta la sofferenza per quel<br />

momento fatale che poteva cambiare la<br />

storia sportiva di questi mondiali. Che<br />

avrebbe segnato <strong>il</strong> riscatto dei giocatori<br />

neri che fanno grandi le squadre dei bianchi,<br />

dei giocatori africani che fanno vincere<br />

le squadre europee. Ha tirato e ha<br />

fatto centro perché doveva assumersi le<br />

sue colpe e rimediare all’errore che era<br />

stato suo. Anche se era tardi.<br />

Sono queste le immagini che resteranno<br />

dei primi campionati del mondo di calcio<br />

in Africa. Immagini che si sovrappongono<br />

ai nostri stereotipi sulle capanne, la giungla,<br />

i bambini nudi. L’Africa si muove,<br />

cammina. Non ha bisogno di collanine o<br />

di elemosine alimentari, ma di un sostegno<br />

all’economia, all’istruzione e alla sanità<br />

per trovare una propria via di<br />

sv<strong>il</strong>uppo. Come un Paese “normale” dove<br />

si possono svolgere i mondiali di calcio.<br />

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