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ipieni d’avarizia e tenacità, che vi scusate che non avete denari da gittar via in tali opere onorate, ma sì ben<br />
molte fiate spendete assai denari intorno a Bacco e Venere e Cupido (che non fa bisogno in questo luogo<br />
esser più prolisso) altresì gittate via tanti scudi in giostre, in feste varie ed altri spassi, che sono spetta [108r]<br />
coli che durano un dì e poi vi scuserete tal fiata che non potete far quelle opere degne di gran memoria, ch’io<br />
con tante ragioni vi esorto, sì per beneficio de’ poveri, sì ancora perché la nostra città di giorno in giorno<br />
venga ad esser più bella! Indi è che tutti i forestieri la domandano Firenze bella e tutti hanno gran desiderio<br />
di vederla e quando è concesso loro ne prendono un piacer sì grande che in loro riman sempre lo stupor e<br />
maraviglia, che son poi forzati a celebrarvi per tutto il mondo, dicendo che non hanno visto una città di<br />
bellezza pari alla vostra. Però se mi sono tralasciato ad esser alquanto prolisso, tutto ho fatto per l’amor<br />
grande che vi porto, che desidero che sempre la fama vostra si sparga per tutto.<br />
La comodità, amantissimi fiorentini, non manca, <strong>pietre</strong> ne avete tante nel vostro fioritissimo stato ed<br />
appresso quello, come apparisce in questo libro che ho composto per voi e per tutti quelli che si dilettano<br />
dell’anticaglie; di poi facendo voi spesso viaggi per tutto il mondo, potete sempre condurre quel che vedete<br />
di bello e di buono nell’altre provincie [108v] alla vostra città, com’hanno fatto i nostri antichi e come s’usa<br />
di fare oggidì.<br />
Ma per ritornare si deve dire che li alabastri sono utili a fare i bei vasi, nei quali vi si tengono le sante<br />
reliquie delli amici di Dio, come bene si puote vedere nella vostra città, nel tempio bello di San Lorenzo,<br />
posciaché il primo giorno di Pasqua della Santissima Resurrezione si mostrano tali reliquie a tutto il populo<br />
in detto tempio e quasi tutte sono in varii vasi, i quali in tal dì si dice di chi vasi sono e di che <strong>pietre</strong> son fatti.<br />
Qui mi sia lecito lodar l’alabastro che viene dall’antica città di Volterra, laonde di questo si fanno tanti lavori<br />
gentili, come vasi di più sorti, candelieri, secchiolini, ove per entro si tiene l’acqua santa; ma, se io volessi<br />
narrare parte per parte i lavori che si fanno di questo alabastro, sarei troppo lungo nello scrivere, sol dirò<br />
questo senza menzogna veruna, che non ci sono nella città oratorii, compagnie e chiese e monasterii di suore<br />
ove non ci sieno questi alabastri ridotti in buone forme da [109r] maestrevol mano d’accorto maestro. Ma<br />
che? Ci son tante sorti d’alabastro e di continuo se ne ritrovano de’ nuovi e chi ne vorrà aver cognizione<br />
potrà vedere il libro che ho per le mani ove si vedrà scolpito tutte le <strong>pietre</strong> che aviamo possuto avere (e son<br />
con diligenzia grande) dall’eccellente maestro Vincenzo Dori Fiorentino, il quale non potette dare l’ultima<br />
perfezione a tal bel libro, posciaché la morte crudele lo mandò fra i più inaspettatamente, non senza mio gran<br />
cordoglio ed angoscia, perché avevo desiderio che tal bell’opera fusse mandata a perfezione da tal maestro,<br />
ch’è oltre il pagamento. Egli lavorava questi due libri per il signor Girolamo, il signor Francesco e signor<br />
Angelo Sommai, tutti tre fratelli, con i quali tengo grand’amistà; ed egli no per i miei preghi spendevono<br />
tutto quello che faceva di bisogno, perché questi libri son loro, ma a me bastava e mi contentavo che stessero<br />
nelle loro case, accioché gli potessino mostrare agl’altri loro amici, per eccitare quei alle virtù ed anche egli<br />
no fussero spronati a far altre bell’opere che ho per le mani, che se un dì avessi grazia di finirle, potrei con<br />
[109v] buona licenza di tutti i miei amici chieder buon comiato ed andar fra i più e mostrerei a tutti che in<br />
questo mondo non fui mai ozioso, ma sempre mi dilettai far cose utili a tutti: quali elle si sieno, non sta bene<br />
a me il dirlo.<br />
Qui voglio adesso dir quattro parole <strong>delle</strong> virtù delli alabastri e dar fine a questo capitolo. L’alabastro è<br />
chiamato onix, quale abbruciato in cenere ed incorporato con pece o vero con ragia risolve le durezze e<br />
mitiga insieme con cera i duoli dello stomaco ed abbassa le gengive. L’alabastro è pietra conosciuta e<br />
massime da chi ha praticato l’antichità romane.<br />
Ingannonsi veramente coloro che credono che sia alabastro vero quello il quale favella Dioscoride, quella<br />
pietra di cui si fanno a tornio varie sorti di vasi, piena di nereggianti vene, non trasparente, ma lucida e liscia<br />
nella superficie, di così tenera sustanza che, per poco che ella si urti, agevolmente si spezza: imperoché<br />
questo non è di quella sorte alabastro che ha tali [110r] virtù.<br />
Il vero alabastro si trova appresso in Egitto, appresso a Tebe ed a Damasco di Siria e questo è candido; ne<br />
viene d’altri luoghi, che i Romani ne condussero alla loro città. Chiamano i Latini questa pietra lapis<br />
alabastrites, i Toscani alabastro.<br />
CXXIX. DELLA POMICE<br />
Quantunque si sia da me in questo libro della pomice fatto memoria, pur tal fiata non vo stimando che sia di<br />
soverchio ancora dirne qui quattro parole brevemente. Ed in prima dire che è ferma opinione<br />
dell’investigatori <strong>delle</strong> cose naturali che la pomice non sia altro che pietra abbruciata nella concavità de’<br />
monti da un fuoco sotterraneo e naturale e però spesse volte in Sicilia il monte Etna ed il Vesuvio in<br />
Campagna vomitano fuori in alto ardendo <strong>delle</strong> viscere loro quantità di pomice come se ne vede e questa è