12MESI - BsNews.it

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12 MESI
marzo 2012
PENsIERI dI
Per allenarti in Svizzera devi pagare?
“Stare con loro è un investimento. Per
fortuna ho alle spalle degli sponsor che
mi danno questa opportunità, ma ne vale
la pena. I risultati lo dimostrano”.
Devi molto agli svizzeri, ma anche
all’italiano Giacomo Kratter.
“Avere un allenatore che ha vissuto in
prima persona quello che affronti e ti
spiega come comportarti è fondamentale,
soprattutto quando sei giovane”.
Come hai fatto a conciliare studio e
snowboard?
“È stato molto difficile. Già alle medie
avevo perso un anno per le assenze.
All’alberghiero stessa cosa. Ho mollato
e ho fatto 3-4 anni all’Wall Street Institute.
Sapere l’inglese è fondamentale
nel mio lavoro”.
Quindi non hai il diploma. Come
l’hanno presa i tuoi?
“Hanno capito la mia passione per lo sport
e non mi hanno imposto la priorità della
scuola rispetto allo snowboard. A 14 anni
avevo già sponsor che credevano in me.
C’erano prospettive. Ne valeva la pena”.
Vivere di snowboard è possibile?
“È difficile. In Italia siamo in due o tre.
Con i risparmi di questi anni sono riuscito
anche a mettere su un negozio di
articoli sportivi del settore”.
Oltre alla scuola cos’hai sacrificato?
“Serate con gli amici e qualche fine settimana
in vacanza. Sacrifici ripagati pienamente”.
Hai pensato che potresti essere il primo
italiano a vincere una medaglia
olimpica?
In Nuova
zelanda ci
siamo mossi per
un mese senza
auto. L’autostop
è all’ordine del
giorno. Puoi lasciare
tranquillamente la
porta di casa aperta
o le tavole fuori
senza problemi
“Sarebbe una gioia enorme. La più
grande, ma bisogna essere perfetti. Giacomo
(Kratter, ndr.) ci andò vicinissimo
a Salt Lake City nel 2002. Arrivò quarto
con qualche polemica. Il podio fu tutto
americano”.
Pensi già a russia 2014?
“Per ora cerco di skipparla”.
Intanto hai messo in bacheca una coppa
del mondo. Come si resta con i piedi
per terra?
“Conta il carattere. Sono uno tranquillo.
So di essere bravo ma mi dà fastidio
chi si mette in mostra. A Bardonecchia
ho avuto anche fortuna”.
Cosa ti ha dato quel successo?
“La consapevolezza di poter fare il salto
di qualità. Mi sono motivato per centrare
più podi possibili”.
Qual è il più bel complimento che hai
ricevuto?
“Nel 2007 da Terje Hakonsen, il Maradona
dello snowboard. Eravamo in
Svizzera per una gara di quarter pipe.
Saltai 8 metri e il suo record era 7,40.
Mi invitò alla gara che aveva organizzato
in Norvegia. Un grande onore”.
Qual è la gara più importante in questo
sport?
“Gli X-Game americani. L’unica che
non sono ancora riuscito a fare perché
è a inviti. È una vetrina assurda, ma ci
sono solo 12 posti riservati ai più grandi
rider del mondo”.
Nel 2011 hai messo in bacheca due
assoluti italiani.
“Non li avevo ancora vinti. Spesso li organizzano
in concomitanza con eventi
internazionali più importanti, quindi sei
costretto a scegliere. Mi è piaciuto essere
presente per tanti ragazzini. Per loro
è importante”.
In Italia come siamo messi a livello
giovanile?
“Male. Un mio sponsor vorrebbe fare
un progetto con un ragazzino di qualità,
che dovrebbe allenarsi con me. Ci stiamo
guardando in giro ma non è facile
trovarne. I giovani da soli non possono
crescere, vanno seguiti. Poi mancano le
strutture”.
Per gli sciatori è diverso?
“Sì, ma anche per gli snowboarder del
border cross o dell’alpino, che godono
di servizi di gran lunga superiori ai no-
stri. A noi del freestyle dicevano che dovevano
arrivare i risultati. Dopo la mia
vittoria in coppa del mondo sembrava
dovesse cambiare tutto, invece le cose
sono andate ancora peggio. Personalmente
non ci conto più”.
La lingua batte dove il dente duole…
“La gestione delle risorse economiche
è pessima. Il mio caso è eloquente. Poi
vedi gente della Federazione che va in
giro con il macchinone… Le risorse andrebbero
investite e distribuite meglio.
Ad oggi non abbiamo atleti emergenti,
ci sarà un perché”.
Hai viaggiato molto. Quale nazione ti
è rimasta nel cuore?
“La Nuova Zelanda. Ci siamo mossi per
un mese senza auto. L’autostop è all’ordine
del giorno. Puoi lasciare tranquillamente
la porta di casa aperta o le tavole
fuori senza problemi. C’è fiducia nel
prossimo”.
Sei lontano da casa otto mesi l’anno.
Nostalgia?
“Gli affetti e le amicizie mancano. La
mia vacanza, infatti, è tornare a casa”.
Nello snowboard il rischio di infortuni
è altissimo. Qualcuno ha perfino
perso la vita. Ci pensi mai?
“Se cominci a pensarci non combini più
niente. Le mie braccia sono piene di cicatrici,
ma fino ad ora sono stato fortunato
perché ho sempre avuto infortuni a
fine stagione e nella parte alta del corpo.
Quando ero piccolo i miei genitori si
preoccupavano, ora se torno a casa con
un gesso è normale”.
Quali sono i tuoi obiettivi a breve termine?
“Mostrare il tricolore sui podi di tutto il
mondo accendendo i riflettori sull’Italia.
Il problema è che sono da solo”.
Come ti vedi nel futuro?
“Nei panni di allenatore. I fondi non
ci sono per i progetti che ho in mente.
Magari vincendo una medaglia olimpica
qualcosa cambierebbe”.
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