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VIII<br />

VI<br />

12 MESI<br />

mArzo 2012<br />

Giancarlo Dallera.<br />

industria. Alcuni esempi lasciano bene sperare, ma<br />

si tratta di casi sporadici – collaborazioni, approcci,<br />

prese di contatto delle rispettive possibil<strong>it</strong>à e/o<br />

cr<strong>it</strong>ic<strong>it</strong>à – che non hanno ancora generato un raccordo<br />

fecondo e sistematico tra univers<strong>it</strong>à e impresa. A<br />

ciò si aggiunga la scarsa propensione delle imprese<br />

bresciane, sia singole che associate o consorziate, al<br />

finanziamento diretto di progetti di ricerca univers<strong>it</strong>aria,<br />

e si potrà vedere come il decollo del Csmt in<br />

ordine alle aspettative dell’economia bresciana resti<br />

per ora una ipotesi oggettivamente difficile da praticare<br />

nonostante tutta la buona volontà e le migliori<br />

intenzioni dei responsabili.<br />

la SCelTa Dell’InTernaZIonalIZZaZIone<br />

L’internazionalizzazione è nata prima della globalizzazione.<br />

Le grandi multinazionali americane, inglesi,<br />

svizzere, svedesi o giapponesi hanno preparato il terreno<br />

all’avvento della globalizzazione essendo nate molti<br />

anni prima della competizione globale. E poi, quale<br />

internazionalizzazione? Cosa si intende per internazionalizzazione?<br />

La de-localizzazione o la multi-nazionalizzazione?<br />

C’è molto pressapochismo concettuale,<br />

e quindi molta approssimazione lessicale, quando si<br />

parla di internazionalizzazione. Nel caso bresciano,<br />

trattandosi di una espansione estera mirata alla apertura<br />

di nuove fabbriche più che di nuovi mercati e alla<br />

ricerca di salari minori più che di risorse migliori, meglio<br />

sarebbe parlare di delocalizzazione. Si va all’estero<br />

non tanto per crescere, conquistando nuovi sbocchi e<br />

nuove aree commerciali investendo in cervelli e strategie<br />

(la Fiat in Usa e in Brasile, ad esempio) quanto per<br />

sopravvivere cercando braccia a buon mercato (le pianelle<br />

fatte in Ucraina invece che a Verolanuova, i componenti<br />

pressofusi in alluminio fabbricati in Slovacchia<br />

Economia<br />

invece che a Prevalle, i semilavorati delle posate e dei<br />

casalinghi fatti a Shangai invece che a Lumezzane).<br />

Certo che la delocalizzazione è il primo passo verso l’internazionalizzazione,<br />

ma tra l’una e l’altra il passaggio<br />

non è automatico. Il salto dalla delocalizzazione alla internazionalizzazione,<br />

infatti, non è questione di mera<br />

cresc<strong>it</strong>a quant<strong>it</strong>ativa ma di scelte qual<strong>it</strong>ative, di progetti<br />

frutto di una opzione radicalmente diversa rispetto<br />

a quelle che hanno presieduto alla cresc<strong>it</strong>a della casa<br />

madre in patria. Nel caso di delocalizzazione l’azienda<br />

estera è un semplice un<strong>it</strong>à produttiva del gruppo cui<br />

appartiene, nel caso di internazionalizzazione l’azienda<br />

estera è una realtà che, sia pure sotto il controllo<br />

della capogruppo,opera autonomamente con progetti<br />

propri e proprie strategie di mercato.<br />

nUoVe aZIenDe<br />

o nUoVI MerCaTI?<br />

Ma anche per quanto riguarda il concetto di internazionalizzazione,<br />

meglio sarebbe parlare di “multinazionalizzazione”,<br />

dal momento che i grandi gruppi<br />

delocalizzati a livello mondiale vengono chiamati,<br />

appunto, “multinazionali”, cioè operanti in molte nazioni.<br />

La multinazionalizzazione – ossia l’espansione<br />

estera attraverso imprese che lavorano per la conquista<br />

del mercato in cui operano – è un fatto culturale e<br />

manageriale, prima ancora che industriale o produttivo.<br />

Non è solo una questione di risorse materiali o finanziarie,<br />

ma è innanzi tutto un fatto di “democrazia”,<br />

di matur<strong>it</strong>à democratica cioè pol<strong>it</strong>ica e culturale. Non<br />

è solo una questione di potenza economica, altrimenti<br />

non si spiegherebbe come la piccola Svizzera o la Svezia,<br />

Paesi che non superano i pochi milioni di ab<strong>it</strong>anti,<br />

detengano multinazionali di dimensioni pari a quelle<br />

americane o giapponesi (si pensi alla Nestlé elvetica,<br />

Marco Bonometti.<br />

Economia<br />

In fatto di<br />

infrastrutture<br />

il bilancio<br />

bresciano<br />

non è per ora<br />

confortante:<br />

fiera e aeroporto<br />

perdono, per la<br />

metropol<strong>it</strong>ana<br />

si prevede una<br />

perd<strong>it</strong>a di gestione,<br />

per A2A i prof<strong>it</strong>ti<br />

rispetto all’Asm<br />

sono dimezzati.<br />

la maggiore società alimentare mondiale, o alle scandinave<br />

Abb o Electrolux, tra le maggiori società mondiali<br />

di elettromeccanica e di elettrodomestici).<br />

Brescia è certamente sulla buona strada, essendo circa<br />

trecento le società bresciane operanti all’estero o che in<br />

Paesi esteri dispongono di filiali commerciali o imprese<br />

industriali. Ma ancora resta molto da fare. Soprattutto<br />

in ordine alla aggregazione. Poiché anche qui, anzi in<br />

XIX<br />

particolare qui, per competere sui mercati globali con<br />

le multinazionali tedesche o francesi occorrono alleanze<br />

e aggregazioni. Occorre insomma quel “fare squadra,<br />

rete o sinergia” di cui si parla da almeno vent’anni,<br />

cioè da quando le aziende bresciane si sono affacciate<br />

sui mercati mondiali. Ma a tal fine è necessario investire<br />

all’estero per puntare su risorse migliori, non solo<br />

disinvestire in patria per lucrare su salari minori.

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