Alter Ego pdf - LietoColle
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dell’anima», operazione di cui mi è<br />
difficile cogliere il motivo; tentando,<br />
forse, di rendere più accessibile la<br />
metafora, in realtà Pasolini la stravolge<br />
e la impoverisce: cosa sono le foglie<br />
dell’anima? Non riesco a capire, anche<br />
perché non è un modo di dire<br />
ricorrente nella lingua italiana. Il verso<br />
grico è «na sas erti a tta fiddha tis<br />
cardia» e la locuzione che lo chiude,<br />
«“foglie del cuore”, che significa “dal<br />
profondo del cuore”, appare uguale nei<br />
lamenti greci[v]»; il che ci serve,<br />
intanto, a ricordare che documenti del<br />
genere vanno collocati in un più vasto<br />
contesto ellenofono. Ma si può dire<br />
altro. Anima e cuore (psichì, o tzichì, a<br />
seconda delle pronunce locali, e cardia)<br />
sono due cose diverse; il cuore è un<br />
organo, c’è, se ne avverte la presenza<br />
palpabilmente, l’anima, per quanto<br />
possa essere intesa come realtà<br />
materiale, è tuttavia impalpabile, è un<br />
sospiro, il respiro, o neanche quello,<br />
secondo il dettato della religione<br />
cristiana. Tra i poeti e gli scrittori<br />
gricofoni più recenti i due termini<br />
nell’uso letterario si avvicinano[vi], ma<br />
se non ne marchiamo la distanza non<br />
riusciremo a comprendere formule più<br />
vecchie, come quella in questione, che<br />
appartiene alla lingua parlata ed è<br />
attualmente viva. Nei dialetti salentini,<br />
sia greco che romanzo, il termine<br />
normalmente tradotto in italiano con<br />
“foglie” non indica necessariamente<br />
quelle che pendono dagli alberi, ma il<br />
complesso di verdure selvatiche<br />
commestibili che, associate ai legumi,<br />
hanno costituito il pasto quotidiano di<br />
quasi tutti gli abitanti del luogo per<br />
generazioni e generazioni; se teniamo<br />
presente questo fatto, “le foglie del<br />
cuore” diventano una metafora meno<br />
ardita di quel che sembrerebbe: il<br />
cuore è il luogo più interno, nel corpo<br />
umano, degli animali, e non solo; per<br />
esempio, nei cespi di verdura, o negli<br />
ortaggi che hanno analoga<br />
conformazione, si usa il termine cuore<br />
per indicare le foglie più tenere<br />
attaccate alla porzione più morbida, e<br />
commestibile, del torsolo, al centro<br />
dell’oggetto; le foglie del cuore ne<br />
costituiscono la parte più nascosta, più<br />
intima, più profonda. Bisogna<br />
immaginare il cuore come un carciofo,<br />
con le foglioline attaccate, mi ha<br />
spiegato Franco Corlianò, dialettologo,<br />
grande esperto della lingua grica; «I<br />
figli», si dice in un motto grico, «sono<br />
foglie del cuore». È evidente, allora,<br />
che per comprendere il senso di questa<br />
immagine bisogna tenersi sul terreno<br />
molto concreto delle pratiche<br />
linguistiche e della condivisione dei<br />
significati, all’interno del quale, in<br />
contesti determinati, non tutte le<br />
metafore sono plausibili o possibili. Ci è<br />
utile, a questo proposito, restare fedeli<br />
alla lezione di Lévi-Strauss sul<br />
riferimento all’esperienza nelle forme di<br />
classificazione, in particolare nelle<br />
società in cui la trasmissione delle<br />
informazioni e la codificazione del<br />
sapere, aggiungiamo con Goody, non<br />
giocano con numeri, lettere e barre per<br />
lettori elettronici[vii]. Nello stesso<br />
centone approntato da Pasolini<br />
troviamo formule, che egli ha<br />
conservato, rispondenti alla logica della<br />
concretezza alla quale si accennava:<br />
Io ti aspetterò, io, o mio figliolo,<br />
io ti aspetterò fino alle nove,<br />
quando io vedrò che tu non vieni<br />
perderò ogni speranza,<br />
e se vedrò che tu non vieni<br />
e alle dieci non ti fai vedere<br />
alle dieci sarò diventata terra,<br />
terra, terra da seminarvi.<br />
Io ti aspetterò, io, o mio figliolo,<br />
io ti aspetterò fino all’anno,<br />
quando io vedrò che tu non vieni<br />
annerirò come fuliggine[viii].<br />
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