Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura
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23?, davvero è stato trovato in aperta campagna dalle<br />
forze <strong>del</strong>l’ordine?<br />
La verità su quella notte forse non si saprà mai. Ricostruirla<br />
serve tuttavia a capire come si sono mossi i protagonisti<br />
di questa storia, dove hanno cercato di bluffare,<br />
in che modo hanno tentato di darsi scacco matto.<br />
Messo alle corde da una notorietà che cominciava a<br />
diventare ingombrante, lo Stato aveva bisogno di liquidare<br />
<strong>Mesina</strong> e riprendere le redini <strong>del</strong> gioco. Dall’altro<br />
fronte, <strong>Mesina</strong> aveva bisogno invece di portare personalmente<br />
a termine l’operazione. Era qualcosa che valeva<br />
la grazia. E forse di più, visto che in quei giorni si raccontava<br />
una strana leggenda. Voci di piazza dicevano<br />
che poiché il figlio <strong>del</strong>l’Aga Khan era invalido, inchiodato<br />
su una sedia a rotelle, non sarebbe potuto diventare<br />
il pontefice degli ismaeliti. Quindi, al momento <strong>del</strong><br />
ritorno alla terra di Sua Altezza Karim, ci sarebbe stato<br />
un problema di successione. Farouk, per via di una parentela<br />
molto lontana e mai chiarita fino in fondo, veniva<br />
indicato come il possibile futuro Aga Khan. Riportarlo<br />
a casa significava, di conseguenza, compiere una<br />
missione di grande rilevanza politico-religiosa.<br />
Non si sa se <strong>Mesina</strong> abbia creduto a questa storia. A<br />
ridosso <strong>del</strong> 10 luglio aveva altro da pensare. Aveva soprattutto<br />
paura. «Paura che finisse in un bagno di sangue».<br />
Aveva appreso che stavano per entrare in azione<br />
le teste di cuoio, reparti speciali. Questo significava<br />
guerra. E lui ne conosceva bene il significato. Una sera<br />
di giugno <strong>del</strong> ’67 aveva ingaggiato uno spaventoso conflitto<br />
a fuoco nella vallata di Sorasi. Stava tornando al<br />
suo rifugio dopo un incontro con l’emissario di un<br />
ostaggio, quando si è accorto di essere circondato. Bi-<br />
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lancio d’orrore: tre morti, due agenti (che si erano colpiti<br />
a vicenda) e il giovane amico di Graziano, lo spagnolo<br />
Miguel Atienza. <strong>Mesina</strong> ha poi riferito di aver<br />
sparato circa 900 dei colpi che aveva a disposizione,<br />
lanciato almeno venti <strong>del</strong>le trenta bombe che aveva con<br />
sé, l’arsenale di un latitante.<br />
Molti anni dopo, quel giovedì di luglio <strong>del</strong> ’92, Graziano<br />
è sicuramente tornato con la mente a Sorasi. Ha<br />
rivisto Atienza alzarsi all’improvviso da un cespuglio e<br />
cadere a terra, colpito a un fianco. Aveva appena fatto in<br />
tempo a gridare «ci arrendiamo». Pochi minuti più tardi,<br />
quando la morsa dei “baschi blu” stava facendosi<br />
sempre più stringente, ci aveva riprovato: «Non sparate,<br />
ci arrendiamo». A venti metri di distanza, protetti<br />
dai macchioni di lentischio c’erano ragazzi più spaventati<br />
dei banditi, ragazzi piombati in uno scontro che<br />
avrebbe inevitabilmente lasciato qualcuno sul terreno.<br />
«Venite a prenderci», urlava Graziano mentre Miguel,<br />
ferito a morte, implorava: «Non uccidere, promettimi<br />
che non li ucciderai». Aveva pensato in tutt’altro modo<br />
alla sua avventura d’evaso assieme al più famoso bandito<br />
sardo, una miscela di romanticismo e di paura. Per<br />
questo si era sollevato a fatica una seconda volta facendosi<br />
raggiungere da una raffica di mitra alla schiena.<br />
Ripensando a quello scontro furioso e sanguinario,<br />
<strong>Mesina</strong> rammenta di aver sentito piangere. C’era qualcuno<br />
che non aveva resistito all’emozione e intanto che<br />
stava appostato, piangeva. Forse era un tentativo di allontanare<br />
la paura, spingere lontano da quelle campagne<br />
un terrore fatto di pallottole che fischiavano tagliando<br />
l’aria. Come nei film. Nel processo che è seguito<br />
al conflitto a fuoco, <strong>Mesina</strong> è stato assolto dall’accusa di<br />
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