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Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura

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Il ravvedimento, per usare un termine che detesta, è<br />

evidente. Si coglie nelle sfumature di un discorso che<br />

per uno come lui è difficile da fare, complicato. Inutile<br />

sperare di poter andare oltre: Graziano <strong>Mesina</strong> non arriverà<br />

mai all’autoflagellazione, nessuno riuscirà a vederlo<br />

in ginocchio invocare perdono, peggio ancora<br />

contrattare la resa. Che pure c’è, sta dentro parole e<br />

pensieri che lascia liberi di volare durante un colloquio<br />

concesso nel mese di aprile 2003 a Voghera. Si tratta di<br />

un’intervista che non deve essere pubblicata subito.<br />

Vuole sia un assaggio, un rincontrarsi, riprendere il filo<br />

dove si era lasciato. Una questione quasi privata.<br />

Perché accade solo in quel preciso istante, dopo dieci<br />

anni di silenzio e infiniti no a qualunque richiesta di<br />

incontro? Probabilmente scambiare due parole con un<br />

cronista è l’unico modo per far uscire all’esterno furore<br />

e indignazione. In Parlamento si discute in quei giorni<br />

<strong>del</strong>la cosiddetta “pena certa” e <strong>Mesina</strong>, che l’ha scontata<br />

fino in fondo (anzi di più) non riesce a mostrare ancora<br />

una volta il solito distacco, un’indifferenza remota e<br />

indecifrabile, come se certi dibattiti non lo riguardassero<br />

affatto.<br />

In una personalissima guerra con se stesso, sta provando<br />

adesso a sconfiggere definitivamente lo spettro<br />

<strong>del</strong>la passività, <strong>del</strong>l’inerzia totale. Che ha, come tutti<br />

sanno, il retrogusto bruciante <strong>del</strong>la disfatta.<br />

Occorre tener conto poi che per non crollare, bisogna<br />

avere un sistema nervoso decisamente solido. Una<br />

buona via di fuga, per stare a galla e non compromettersi,<br />

è la lettura. Ma non sempre si può, non tutti i capi<br />

consentono. «Lei non se ne fa niente dei libri, mi diceva<br />

un vecchio direttore. E per due anni, due anni, non mi<br />

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hanno passato nemmeno lettere. Manco una per sbaglio».<br />

Per quanto tempo si può reggere una terapia come<br />

questa?, come si fa a non scoppiare? Stupisce che in<br />

una condizione così greve, così usurante, <strong>Mesina</strong> riesca<br />

a conservare un briciolo di humour. Quando gli domandano<br />

di pronunciare un verdetto su se stesso, imputato<br />

che ci vuole un treno a elencarne tutte le colpe, accetta<br />

la sfida, sorride, infila un’immaginaria toga e pronuncia<br />

serissimo in nome <strong>del</strong> popolo italiano: «Un bel po’ di<br />

anni me li darei». Quanti, per la precisione, vostro onore?<br />

«Un bel po’, non sottilizziamo».<br />

Durante l’ultima detenzione, l’apparato giudiziario<br />

comunque non lo dimentica a riprova che forse ha ragione<br />

quel partito giustizialista secondo il quale «<strong>Mesina</strong><br />

deve stare in carcere perché quello è il suo habitat».<br />

Agli inizi <strong>del</strong> ’97 riceve una comunicazione giudiziaria<br />

per “traffico di stupefacenti”. La faccenda riguarda il<br />

periodo di Asti, i giorni da vigilato speciale, subito dopo<br />

le polemiche e i veleni legati al ruolo di emissario durante<br />

il rapimento di Farouk Kassam.<br />

Contrariamente al solito, stavolta ha tuttavia un ruolo<br />

di secondo piano. I protagonisti sono altri: Carlo Ritrovato<br />

e il clan familiare che gestiva insieme a lui lo<br />

spaccio di droga nel basso Piemonte. La Dda (direzione<br />

distrettuale antimafia) lo ha intercettato e scoperto<br />

proprio mentre era in corso un sanguinoso regolamento<br />

di conti: il cadavere di un uomo <strong>del</strong> boss Epaminonda<br />

– tale Carmelo Nicosia – era stato fatto trovare in un<br />

cascinale vicino Alessandria. La proprietaria di quella<br />

casa si chiama Carmela Ritrovato, è la madre di Carlo.<br />

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