Pisano, Lo strano caso del signor Mesina - Sardegna Cultura
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ne, lo ricorda però molto bene. «Ero una ragazzina,<br />
avrò avuto dodici, tredici anni. Non erano ancora iniziati<br />
gli anni ’70, lo rammento con precisione. Mio babbo<br />
mi teneva per mano, eravamo a Orgosolo...».<br />
Erano a Orgosolo quando d’un tratto appare Graziano.<br />
Se la memoria non tradisce e l’anno è giusto, in<br />
quel periodo Graziano aveva 26 anni, un fisico atletico a<br />
dispetto <strong>del</strong>l’altezza, capelli nerissimi e neppure un etto<br />
in più. Parlava poco (anche allora), in compenso mandava<br />
lampi con gli occhi. «Di lì a breve l’hanno preso e<br />
subito dopo ha cominciato a fare il latitante».<br />
Assicurando di parlare con la voce <strong>del</strong> cuore (ma<br />
senza sentimentalismi di genere), Greca Deiana giura<br />
che quella visione le si è stampigliata nel cervello. E<br />
moltissimi anni più tardi, quando quel giovanotto era<br />
ormai un detenuto “fine pena mai”, le è tornata in mente.<br />
Ha letto, s’è informata, ha scoperto che era tramontata<br />
anche quella certa pruderie intellettualistico-borghese<br />
che aveva coltivato epica e protezione.<br />
Quando decide di occuparsi <strong>del</strong> <strong>caso</strong>, <strong>Mesina</strong> è insomma<br />
finalmente solo, un detenuto qualunque, un numero<br />
nel casellario <strong>del</strong> Dipartimento <strong>del</strong>l’amministrazione<br />
penitenziaria. «Mi sono ricordata all’improvviso<br />
quegli occhi. A costo di sembrare ridicola, dico che erano<br />
occhi di un uomo buono, generoso, leale. Un uomo<br />
che ha pagato tutto quello che aveva da pagare e che ora<br />
deve tornare libero».<br />
Grazie a una serie di aderenze d’un certo peso, si<br />
muove per cercare una strada qualunque che porti alla<br />
libertà. Contatta deputati e senatori, di destra e di sinistra,<br />
parroci e principi <strong>del</strong>la Chiesa, rilancia il <strong>caso</strong> <strong>Mesina</strong><br />
con un fervore che forse non può vantare neanche<br />
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Adriano Sofri, che pure ha uno schieramento istituzionale<br />
di tutta eccezione in sua difesa. Visite a Roma, a<br />
Modena, a Milano, a Bologna. Nei tempi morti tra un<br />
incontro in carcere e l’altro, Greca Deiana batte inutilmente<br />
una pista diplomatica, sottotraccia, ma i risultati<br />
appaiono quasi subito <strong>del</strong>udenti. Resta, ultima spes, la<br />
grazia. Che, tenuto conto <strong>del</strong> comportamento da detenuto<br />
di Graziano e <strong>del</strong> fatto che non ha più nulla da<br />
scontare, potrebbe anche essere concessa. O quantomeno<br />
ci si può seriamente sperare. Il guaio è che la grazia<br />
bisogna chiederla, metterla per iscritto, nero su<br />
bianco. E quello non ci pensa manco lontanamente.<br />
Inizia così un silenzioso lavoro ai fianchi, fegato milza<br />
fegato milza, fino a quando si avvertono i primi segnali<br />
di cedimento. <strong>Mesina</strong> mostra disinteresse verso la<br />
strada politica e neanche un briciolo di curiosità verso<br />
la procedura per ottenere la grazia. Greca Deiana però<br />
insiste, incalza il fantasma <strong>del</strong> vecchio bandito e batte<br />
sul diritto-dovere di tornare libero, ricominciare in un<br />
posto qualunque con un lavoro qualunque. Non è indispensabile<br />
sistemarsi a Orgosolo, va bene un paese d’Italia<br />
purché sia. L’unica necessità, se proprio vogliamo<br />
chiamarla così, è trascorrere una giornata in campagna,<br />
almeno una. «Ho bisogno di sentire gli odori di quand’ero<br />
bambino, ho bisogno di vedere dall’alba al tramonto<br />
gli alberi e la luce dei monti».<br />
Il desiderio-campagna è una buona leva. Convinta<br />
com’è che in fondo la sua sia solo una battaglia di giustizia<br />
e civiltà, Greca Deiana se ne serve per far uscire Graziano<br />
dal torpore carcerario che lo sta lentamente allontanando<br />
dal mondo cancellandone sogni, convinzioni,<br />
speranze. Senza saltare un solo appuntamento, per due<br />
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