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Londra e ad Amsterdam, ma non ancora pervenuta a Firenze e in altre parti della penisola italiana. Nella<br />

sua epistola, <strong>il</strong> medico inglese poneva particolare attenzione ai passi dell’opera di W<strong>il</strong>lis che<br />

maggiormente avevano riguardo con la produzione degli spiriti animali da parte del cervello e alle loro<br />

modalità di diramazione verso gli organi periferici della sensib<strong>il</strong>ità attraverso l’apparato nervoso. Nel<br />

suo scelto sistema di rinvii e nella selezione dei passi della Cerebri anatome si coglie chiaramente <strong>il</strong><br />

desiderio, quasi, si direbbe, l’urgenza, di comunicare con precisione temi e motivi di attualità e<br />

consistenza, la cui discussione appariva nient’affatto spenta e sopita nella sua mente, ancora vogliosa di<br />

ordire argomenti e materiali ut<strong>il</strong>i a chiarire e confermare una posizione pubblicamente sostenuta poche<br />

settimane avanti di fronte al Granduca, al Principe e all’intero corpo di scienziati e cortigiani riuniti a<br />

Firenze.<br />

La seconda testimonianza (anch’essa appartenente al Ms. Gal. 277 della BNCF) è rappresentata da una<br />

lettera dello stesso Giovanni Alfonso Borelli, inviata da Pisa a Leopoldo de’ Medici <strong>il</strong> 29 dicembre del<br />

1666. L’epistola contiene una serrata critica ai principî e ai metodi ut<strong>il</strong>izzati dal gesuita Honoré Fabri,<br />

anch’egli corrispondente di Leopoldo e, per suo tramite, collaboratore dell’Accademia del Cimento, nei<br />

Tractatus duo: quorum prior est de plantis et de generatione animalium; posterior de homine, dati quello stesso anno<br />

alla luce a Parigi presso la casa editoriale Mugnat. I trattati, dalla struttura ridondante e dai contenuti<br />

complessi e non ovvii, erano stati inviati allo scienziato napoletano direttamente dallo stesso Leopoldo,<br />

interessato a ricevere pareri accurati e competenti che gli permettessero di stimarne appieno <strong>il</strong> valore.<br />

La razionalità scientifica tipica del Borelli, ben nota del resto a Leopoldo, si reggeva su principi e criteri<br />

radicalmente diversi da quelli del Fabri e la sollecitazione principesca dové apparire, come forse era<br />

nelle intenzioni, una sorta di invito alla sfida. La lettera che <strong>il</strong> Borelli scrisse al suo principe è un piccolo<br />

capolavoro di intelligenza e ironia, penetrante ma concisa, tanto leggera e soave quanto congestionata e<br />

caotica appariva l’opera del gesuita sotto giudizio. Essa è senza dubbio una testimonianza eloquente<br />

della vitalità e del grande r<strong>il</strong>ievo che avevano assunto le questioni mediche e naturalistiche agitate fra<br />

Pisa e Firenze nei febbr<strong>il</strong>i anni del Cimento.<br />

6.4.UN DECENNIO STRAORDINARIO<br />

Il dato che più chiaramente di ogni altro palesa <strong>il</strong> nesso non accidentale e momentaneo che si strinse tra<br />

l’ideologia e <strong>il</strong> programma sperimentale dell’Accademia di Leopoldo de’ Medici e le discipline<br />

scientifiche oggi dette ‘morbide’, è rappresentato dalla gran messe di trattati medici e naturalistici dati<br />

alla luce nel corso degli anni sessanta del XVII secolo da autori che avevano ruotato intorno al circolo<br />

leopoldino. Tra <strong>il</strong> 1661 e <strong>il</strong> 1668, cioè nell’arco di anni che si apre con <strong>il</strong> trattato De pulmonibus<br />

observationes anatomicae di Marcello Malpighi (1628-1694) e si chiude con le Esperienze intorno alla<br />

generazione degli insetti di Francesco Redi, si stamparono, fra Firenze e Bologna, alcuni fra i principali<br />

trattati di anatomia comparata, sott<strong>il</strong>e e sperimentale e di fisiologia umana e animale di tutta la storia<br />

medica moderna. Oltre alle due opere citate, basterà qui ricordare l’Exercitatio anatomica de structura et usu<br />

renum (1662) di Lorenzo Bellini (1643-1704), le Tetras anatomicarum epistolarum de lingua et cerebro (1665)<br />

dello stesso Malpighi e di Carlo Fracassati (1630-1672), <strong>il</strong> Gustus organum (1665), ancora di Bellini, e <strong>il</strong><br />

Canis carchariae dissectum caput (1667) di Niccolò Stenone. Malpighi, Fracassati e Bellini, sebbene soltanto<br />

quest’ultimo fosse suddito granducale, avevano seguito a Pisa le ricerche del Borelli e, tramite lui, si<br />

erano più volte affacciati sulla soglia della Corte Medicea, assorbendone l’atmosfera e respirandone<br />

l’esuberanza intellettuale. Nelle stanze dei palazzi granducali riservati alle ostensioni anatomiche e nelle<br />

larghe aule nelle quali si ammassavano le migliaia di libri che formavano la biblioteca dei prìncipi, essi<br />

avevano potuto, con larghezza di mezzi e disponib<strong>il</strong>ità di tempo, mettere a fuoco e impostare <strong>il</strong> quadro<br />

dei motivi e delle problematiche necessario a dare sostanza all’intera impalcatura portante della loro<br />

successiva, e tanto ricca, riflessione medica. E proprio negli anni critici dell’attività del Cimento avevano<br />

potuto mettere alla prova, all’ombra dell’attività di più anziani maestri, <strong>il</strong> valore e l’efficacia dei principi<br />

e dei metodi delle conoscenze tradizionali.<br />

Niccolò Stenone, approdato nel Granducato dalla Francia nei primi mesi del 1666, già consapevole<br />

delle tendenze di ricerca e del programma scientifico dell’Accademia di Leopoldo, si integrò<br />

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