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8. L'ASTRONOMIA<br />

8.1. IL CIMENTO DEGLI ASTRI<br />

La condanna di Gal<strong>il</strong>eo Gal<strong>il</strong>ei del 1633 proclamò eretica la concezione copernicana; ma non l’uso<br />

astronomico del cannocchiale che aveva già svelato insospettati fenomeni celesti.<br />

In questa contingenza, l’Accademia del Cimento assunse la fisionomia d’un alto tribunale<br />

scientifico — presieduto dal principe Leopoldo de’ Medici — chiamato a dirimere dispute<br />

astronomiche incentrate sulle doti dei nuovi cannocchiali. Per esempio, gli accademici verificarono in<br />

che misura le strane apparenze telescopiche di Saturno derivassero dalla qualità degli strumenti<br />

impiegati da Christiaan Huygens (1629-1695) e da Eustachio Divini (1610-1685). Nella successiva<br />

vicenda dei “paragoni”, oltre lo scontro immediato fra Divini e Giuseppe Campani (1635-1715) per<br />

aggiudicarsi <strong>il</strong> primato di miglior ottico del tempo, gli accademici cercarono un metodo oggettivo per<br />

misurare la qualità d’un cannocchiale.<br />

In questi come negli altri ambiti d’indagine toccati, gli accademici badarono sempre a non<br />

entrare in conflitto con l’autorità religiosa. Ciò spiega perché i pareri dell’Accademia, specialmente se<br />

inclini all’eliocentrismo, divennero di pubblico dominio solo dal 1780.<br />

8.2. IL PARAGONE DEGLI OCCHIALI<br />

Nel solco di una tradizione iniziata con Gal<strong>il</strong>eo, <strong>il</strong> primo secolo di storia del cannocchiale vide <strong>il</strong><br />

primato degli ottici italiani. Sin dalla fine degli anni ’40 del XVII secolo, in particolare, si era andato<br />

affermando <strong>il</strong> marchigiano Eustachio Divini (1610-1685), la cui fama si diffuse ben presto in tutta<br />

Europa. Reduce dalla vicenda di Saturno, che aveva in qualche misura offuscato la sua reputazione di<br />

ottico, alcuni anni dopo Divini dovette affrontare l’emergere, sulla scena romana, di un artigiano<br />

fermamente intenzionato a sottrargli <strong>il</strong> primato.<br />

Si trattava di Giuseppe Campani (1635-1715), che aveva cominciato la propria carriera come costruttore<br />

di orologi, per poi dedicarsi, verso <strong>il</strong> 1660, alla realizzazione di lenti. Nel 1662, assieme al fratello<br />

Matteo, aveva realizzato un occhiale da 10 palmi (c. 2,2 m) che aveva suscitato grande interesse per la<br />

qualità delle ottiche, insidiando l’indiscussa superiorità dei cannocchiali del Divini.<br />

Tra i due artefici si accese un’acerrima rivalità che aprì la stagione dei paragoni, come all’epoca venivano<br />

chiamati i confronti diretti tra cannocchiali costruiti da artigiani diversi.<br />

Nella primavera del 1664 gli occhiali del Campani avevano condotto a importanti scoperte astronomiche.<br />

A Firenze, gli accademici del Cimento, che si erano sin qui avvalsi di cannocchiali del Divini, volevano<br />

ora appurare se, e in che misura, quelli del Campani fossero superiori. Essi approntarono un foglio a<br />

stampa che riporta, con caratteri di grandezza decrescente, dieci righe tratte da versi di celebri opere<br />

letterarie. Il foglio — <strong>il</strong>luminato da due torce poste lateralmente e schermate per non disturbarne la<br />

visione — fu letto alla distanza di 100 braccia fiorentine (c. 58,4 m) per mezzo di cannocchiali di varia<br />

lunghezza, annotando accuratamente fin dove si riuscisse a leggere con ciascuno di essi. Nell’autunno di<br />

quello stesso anno, <strong>il</strong> foglio fu inviato a Roma, a Paolo Falconieri, con precise istruzioni, affinché, letto<br />

nelle stesse condizioni e con occhiali di uguale lunghezza, fornisse risultati comparab<strong>il</strong>i con quelli<br />

ottenuti a Firenze.<br />

Sin dai primi tentavi di creare fogli di prova, gli accademici si resero conto che l’uso di versi celebri<br />

poteva far «creder’a chi osserva di legger e distinguer co’ gli occhi, quello che solamente la memoria gli<br />

suggerisce». Constatarono inoltre che le lettere con la stanghetta — come ad esempio la p o la d —<br />

sono più fac<strong>il</strong>mente identificab<strong>il</strong>i di quelle che ne sono prive, <strong>il</strong> che consentiva talvolta di intuire intere<br />

parole, soprattutto se di senso compiuto. Sulla base di queste considerazioni, gli accademici<br />

approntarono due nuovi fogli di prova: uno, contrassegnato dalla lettera «A», contenente solo lettere<br />

senza stanghetta disposte a formare parole prive di senso; l’altro, contrassegnato con la lettera «B», che<br />

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