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18 <strong>Libertà</strong> - 25 Gennaio 2009<br />

Da moltissimo tempo fatico a chiudere<br />

i conti col natale. Diciamo<br />

da quando sono arrivato all’età adulta,<br />

fra la prima e la seconda metà del<br />

secolo scorso. anzi l’insorgere d’una<br />

tale angustia mi sembra adesso un saluto<br />

della vita, della mia vita, finite per<br />

sempre la fanciullezza e l’adolescenza.<br />

ricordo come è iniziato: o –forse più<br />

vero– come è diventato esplicito. era<br />

la sera della vig<strong>il</strong>ia, già buio, uscivo da<br />

una casa amica e mi dirigevo verso casa<br />

mia, che era ancora quella di mio padre<br />

e di mia madre. D’un tratto –non so se<br />

collegarlo a un rumore della strada quasi<br />

deserta, al suono d’una radio mentre<br />

passavo, a un piccolo scoppio di festa,<br />

nel s<strong>il</strong>enzio– mi aveva investito un terrib<strong>il</strong>e,<br />

credo mai provato senso di solitudine<br />

e di infelicità; d’infelicità senza<br />

motivo, senza nome: ne avevo sentito<br />

l’ala su di me e subito si era rivelata,<br />

intera, mi ci ero trovato dentro: avver-<br />

SPECiaLE nataLE<br />

LA CArNE vIvA DEL NATALE<br />

“Gesù ci sia per tutti”<br />

Salvatore Mannuzzu<br />

tendo che malgrado tutto, tutto ciò che<br />

avevo e che non mi veniva tolto, non<br />

poteva esserci rimedio. sono momenti<br />

che passano, senza mai passare del tutto;<br />

che placandosi – e presto si placano,<br />

vengono coperti da altro, l’attenzione<br />

se ne distoglie naturalmente – lasciano<br />

degli strascichi: non vengono mai digeriti<br />

per intero.<br />

e difatti un successivo natale <strong>il</strong> malessere<br />

doveva manifestarsi proprio<br />

così, fisicamente, addirittura (come<br />

si dice) somatizzandosi. era ancora la<br />

vig<strong>il</strong>ia, prima di cena, e finivamo un<br />

qualsiasi poker di figli di famiglia in una<br />

casa che non solevo frequentare: poste<br />

praticamente nominali, mi sembra<br />

che io nemmeno giocassi. ed era una<br />

decaduta, mal <strong>il</strong>luminata casa di signori<br />

paesani ai quali restava abbastanza<br />

denaro; un ambiente disadorno che<br />

era insieme studiolo e stanza da letto<br />

di giovanotto (con tanto di armoir dal<br />

grande specchio maculato). Pretesto fu<br />

un marron glacé: uno solo, portato alla<br />

bocca distrattamente quasi al momento<br />

d’andare via. Mi rimase sullo stomaco<br />

fino a tarda notte; e in qualche modo<br />

oscuro io cominciavo a capire che era<br />

solo un segno. Tornava lo stesso senso<br />

gratuito di vuoto, di perdita, la stessa<br />

indefinib<strong>il</strong>e, nuda tristezza, da cui non<br />

c’era vera guarigione, che poteva essere<br />

solo mescolata ad altro.<br />

Ci si fa <strong>il</strong> callo? Come a tutto. Ma<br />

da allora pensavo al natale, quando si<br />

avvicinava, con uno strano malumore,<br />

con una anomala paura. Come si trattasse<br />

d’un nodo, un nodo morto, che<br />

a lungo mi ero ostinato a sciogliere,<br />

ripetutamente, e che a ogni tentativo<br />

diventava invece sempre più stretto.<br />

s’intende che non era stato sempre<br />

così. anzi prima, molto tempo prima,<br />

mi succedeva <strong>il</strong> contrario; non ci sarebbe<br />

altrimenti materia di racconto. se<br />

mi chiedessero di nominare i momenti<br />

di gioia più pura della mia vita –non<br />

quelli più importanti, nemmeno quei<br />

rari momenti che forse potrei proporre<br />

a mia difesa nel chiedere misericordia–<br />

è a qualche lontanissimo natale

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