della CARTA GEOLOGICA D'ITALIA alla scala 1:50.000
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PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI<br />
DIPARTIMENTO PER I SERVIZI TECNICI NAZIONALI<br />
SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA<br />
NOTE ILLUSTRATIVE<br />
<strong>della</strong><br />
<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA<br />
<strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:<strong>50.000</strong><br />
foglio 132-152-153<br />
BARDONECCHIA<br />
A cura di<br />
F. Dela Pierre 1, R. Polino 1, A. Borghi 2 (per il basamento pre-quaternario)<br />
e di F. Carraro 3, G. Fioraso 1, M. Giardino 1* (per la copertura quaternaria)<br />
Con contributi di: G. Bellardone 4 (geologia applicata); A. Conti 1 (geochimica isotopica); M. Gattiglio 3, M.<br />
Malusà 5, P. Mosca 5 (basamento pre-quaternario)<br />
1 CNR - Centro di studi sulla Geodinamica delle Catene Collisionali - Torino<br />
2 Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Petrologiche - Università di Torino<br />
3 Dipartimento di Scienze <strong>della</strong> Terra - Università di Torino<br />
4 Regione Piemonte - Direzione Servizi Tecnici di Prevenzione<br />
5 Collaboratore esterno del Centro di studi sulla Geodinamica delle Catene Collisionali - Torino<br />
* Attualmente presso il Dipartimento di Scienze <strong>della</strong> Terra - Università di Torino<br />
Ente realizzatore Regione Piemonte<br />
Direzione Regionale Servizi Tecnici di Prevenzione
Direttore del Servizio Geologico d’Italia:<br />
F. Petrone<br />
Responsabile del Progetto per la Regione Piemonte:<br />
V. Coccolo<br />
Comitato Geologico Nazionale (D.P.C.M. 1-10-1993):<br />
F. Petrone (presidente), G. Arnone, G. Bonardi, L. Carmignani, V. Coccolo,<br />
S. Cresta, G.V. Dal Piaz, B. D’Argenio, G. Ferrandino, F. Lentini, E. Martini, G. Pialli (✝), R. Pignone,<br />
R. Polino, A. Praturlon, L. Veronese.<br />
Allestimento cartografico:<br />
G. Fioraso, F. Lozar, R. Polino, F. Dela Pierre
I. - INTRODUZIONE<br />
INDICE<br />
II. - CARATTERI GEOGRAFICI E GEOMORFOLOGICI<br />
III. - INQUADRAMENTO GEOLOGICO<br />
1. - LE ALPI OCCIDENTALI<br />
1.1. - L ALPI OCCIDENTALI<br />
1.2. - LE UNITÀ PIEMONTESI DI MARGINE CONTINENTALE<br />
1.3. - LA FALDA DEL GRAN SAN BERNARDO<br />
1.3.1. - Il basamento pre-mesozoico<br />
1.3.2. - Le coperture meso-cenozoiche<br />
1.3.3. - Il Massiccio d’Ambin<br />
IV. - BASAMENTO PRE-QUATERNARIO<br />
1. - UNITA’ DI MARGINE CONTINENTALE<br />
1.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’AMBIN<br />
1.1.1. - Basamento pre-triassico<br />
1.1.1.1. - Micascisti dei Fourneaux<br />
1.1.1.2. - Complesso di Clarea<br />
1.1.1.3. - Complesso d’Ambin<br />
1.1.1.4. - Metadioriti a relitti magmatici<br />
1.1.2. - Copertura mesozoica<br />
1.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VALLONETTO<br />
1.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI GAD<br />
1.4. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI VALFREDDA<br />
1.5. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLO CHABERTON - GRAND HOCHE - GRAND<br />
ARGENTIER<br />
1.6. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEI RE MAGI<br />
2. - UNITA’ OCEANICHE<br />
2.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’ALBERGIAN<br />
2.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL LAGO NERO<br />
3. - UNITA’ OFIOLITICHE<br />
3.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI CEROGNE-CIANTIPLAGNA<br />
3.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VIN VERT<br />
3.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLA ROCHE DE L’AIGLE<br />
4. - UNITA’ TETTONOSTRATIGRAFICA DI PUYS-VENAUS<br />
5. - GESSI IN GROSSE MASSE<br />
6. - BRECCE TETTONICHE<br />
V. - COPERTURA PLIOCENICO(?) - QUATERNARIA<br />
1. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI<br />
PERTINENZA<br />
2. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE DISTINTE IN BASE AL BACINO DI<br />
PERTINENZA<br />
2.1. - BACINO DEL CENISCHIA
2.1.1. - Allogruppo del Moncenisio<br />
2.2. - BACINO DELLA DORA RIPARIA<br />
2.2.1. - Allogruppo di Clot Sesiàn<br />
2.2.2. - Allogruppo di Salbertrand<br />
2.2.3. - Allogruppo di S. Stefano<br />
2.3. - BACINI TRIBUTARI<br />
3. - UNITA’ IN FORMAZIONE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI PERTINENZA<br />
VI. - EVOLUZIONE STRUTTURALE<br />
1. - UNITA’ DELL’AMBIN<br />
1.1. - EVOLUZIONE PRE-ALPINA<br />
1.2. - EVOLUZIONE DUTTILE ALPINA<br />
2. - EVOLUZIONE FRAGILE ALPINA<br />
3. - NEOTETTONICA<br />
4. - DEFORMAZIONI GRAVITATIVE PROFONDE DI VERSANTE<br />
VII. - EVOLUZIONE METAMORFICA<br />
1. - CICLO METAMORFICO PRE-ALPINO<br />
2. - CICLO METAMORFICO ALPINO<br />
2.1. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE A LAWSONITE<br />
2.2. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE A EPIDOTO<br />
2.3. - EVENTO DI BASSA PRESSIONE<br />
3. - RICOSTRUZIONE DELLA TRAIETTORIA P-T ALPINA DEL MASSICCIO D’AMBIN<br />
4. - CARATTERIZZAZIONE ISOTOPICA DI METACARBONATI DELL’ALTA VALLE DI<br />
SUSA<br />
VIII. - EVENTI ALLUVIONALI<br />
IX. - RISORSE MINERARIE ED ATTIVITA’ ESTRATTIVE<br />
X. - BIBLIOGRAFIA
I. - INTRODUZIONE<br />
Il Foglio 132-152-153 “Bardonecchia” <strong>della</strong> Carta Geologica d’Italia <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:<strong>50.000</strong> è<br />
ubicato nelle Alpi Cozie, nella parte centrale dell’arco alpino occidentale. Dal punto di vista<br />
amministrativo il foglio ricade nella Regione Piemonte, ed è compreso nella Provincia di Torino al<br />
confine con la Francia. La parte italiana del foglio copre una superficie di circa 480 kmq.<br />
Il foglio prende nome dal centro abitato di Bardonecchia, il maggiore dell’alta Valle di Susa in<br />
quanto a numero di abitanti ed importanza economica, caratteristiche legate <strong>alla</strong> ricettività turistica<br />
e <strong>alla</strong> presenza dell’imbocco dei trafori (autostradale e ferroviario) del Fréjus.<br />
Quest’area è posta su uno dei più importanti assi viari europei ed è attraversata dall’autostrada<br />
A32 Torino-Bardonecchia, che attraverso il traforo del Fréjus collega l’Italia al Nord-Europa, dal<br />
collegamento ferroviario internazionale Torino-Chambery e d<strong>alla</strong> S.S. 24 del Monginevro, che<br />
permette il collegamento con il Sud <strong>della</strong> Francia.<br />
Le conoscenze geologiche relative a quest’area sono relativamente scarse.<br />
Per quanto concerne le formazioni superficiali, sporadici contributi a carattere prevalentemente<br />
locale, vennero sintetizzati in maniera organica in occasione del rilevamento dei fogli 54 “Oulx” e<br />
66 “Cesana” (<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1911a, b) e 55 “Susa” (<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA,<br />
1910) <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:100.000. In tali documenti venne evidenziato il ruolo esercitato d<strong>alla</strong> morfogenesi<br />
glaciale, senza tuttavia proporre alcuna suddivisione cronologica dei depositi, indicati nel<br />
complesso come “würmiani, post-würmiani e recenti”. Solo successivamente SACCO (1921, 1928,<br />
1943, 1948) analizzò nel dettaglio i problemi legati al mo<strong>della</strong>mento glaciale nei bacini segusino e<br />
del Chisone, riconoscendo e descrivendo una successione di forme e di depositi attribuiti a tre<br />
distinte fasi di ritiro dell’ultima glaciazione. Negli anni ‘40 CAPELLO affrontò specifici aspetti<br />
inerenti l’assetto geomorfologico <strong>della</strong> Valle di Susa, ed in relazione ai processi di<br />
sovralluvionamento che interessarono in epoca storica il fondovalle (CAPELLO, 1941a, b) ipotizzò<br />
l’esistenza, nell’attuale piana di Salbertrand, di un antico lago di sbarramento glaciale.<br />
Successivamente (CAPELLO, 1942) venne segnalata la particolarità morfologica dell’area di Sauze<br />
d’Oulx, attribuita all’originario mo<strong>della</strong>mento del ghiacciaio segusino ed al successivo<br />
rimo<strong>della</strong>mento erosionale operato dal reticolato idrografico. Lo stesso Autore (CAPELLO, 1937,<br />
1938, 1939a, b) descrisse i fenomeni carsici che caratterizzano vari settori <strong>della</strong> valle, interpretando<br />
come tali (CAPELLO, 1955) anche le manifestazioni di collasso gravitativo visibili lungo lo<br />
spartiacque Susa-Chisone.<br />
I frequenti movimenti gravitativi distribuiti sui versanti <strong>della</strong> Valle di Susa sono stati analizzati a<br />
più riprese da vari Autori. I primi riferimenti si trovano nelle osservazioni effettuate da BARETTI<br />
(1881), SACCO (1898) e SEGRE’ (1920) in merito ai fenomeni di instabilità riscontrati lungo la linea<br />
ferroviaria Bussoleno-Modane. Un impulso decisivo nella comprensione <strong>della</strong> dinamica dei versanti<br />
è avvenuto in occasione degli studi condotti per la realizzazione del collegamento autostradale<br />
Torino-Bardonecchia (RAMASCO & SUSELLA, 1978): solo a partire da questo momento nella media<br />
ed alta Valle di Susa e nella contigua Val Chisone è stata rilevata e rappresentata la distribuzione<br />
dei fenomeni gravitativi superficiali e profondi (CARRARO et alii, 1979; MORTARA & SORZANA,<br />
1987; PUMA et alii, 1984, 1989, 1990; AA.VV., 1996).<br />
Anche per le unità geologiche del substrato non esistono abbondanti contributi recenti. Esse sono<br />
state attribuite a due dei classici domini paleogeografico-strutturali <strong>della</strong> pila di falde pennidiche<br />
che affiorano nelle Alpi occidentali: il dominio Piemontese e il dominio Brianzonese.<br />
Al primo sono state riferite le successioni a prevalenti calcescisti e subordinate ofioliti ritenute la<br />
testimonianza <strong>della</strong> cicatrice crostale dovuta <strong>alla</strong> collisione continentale fra le placche europea ed<br />
insubrica. Al suo interno sono state riconosciute da tempo in varie parti dell’arco alpino unità di<br />
margine continentale e successioni di copertura oceaniche associate ad ofioliti (ELTER, 1971;<br />
LEMOINE, 1971; DEVILLE et alii, 1992).<br />
Al secondo sono riferite le successioni di due porzioni distinte del foglio: la stretta fascia al<br />
margine nord-occidentale, in cui affiorano unità mesozoiche di copertura brianzonesi che formano<br />
una struttura di dimensioni chilometriche retroflessa sulle unità del dominio piemontese (cfr. ad es.<br />
CABY, 1964) ed il quadrante nord-orientale del foglio, occupato interamente dal Massiccio d’Ambin<br />
e dalle sue coperture, interpretati di affinità brianzonese (ELLENBERGER, 1958; LORENZONI, 1965;<br />
GAY 1971; ALLENBACH, 1982).<br />
I contatti fra i vari tipi di unità sono complessi ed è stata messa in evidenza la giustapposizione<br />
di unità, provenienti da domini paleogeografici ben distinti all’origine, che hanno seguito traiettorie
diverse durante le fasi compressionali e decompressionali alpine (CARON et alii, 1984; POLINO et<br />
alii, 1990). Nel rilevamento e nella rappresentazione si è voluto privilegiare la rappresentazione del<br />
dato analitico, riducendo al minimo l’interpretazione paleogeografica, riservata alle sintesi a più<br />
piccola <strong>scala</strong> (cfr. Cap. 3).
II. - CARATTERI GEOGRAFICI E GEOMORFOLOGICI<br />
Dal punto di vista geografico e geomorfologico l’elemento dominante è rappresentato dal bacino<br />
<strong>della</strong> Dora Riparia (Valle di Susa s.l.), che nel suo complesso costituisce un sistema di drenaggio<br />
vallivo molto articolato ed esteso. Il sistema <strong>della</strong> Valle di Susa è convenzionalmente suddiviso in<br />
tre parti:<br />
- l’alta valle, che comprende il settore altimetricamente più elevato del sistema vallivo,<br />
dall’attuale spartiacque alpino (rilievi mediamente intorno ai 3.000 m) fino <strong>alla</strong> piana di Oulx-<br />
Salbertrand (1.000 m); qui confluiscono la Dora di Cesana (da Sud), alimentata dai corsi d’acqua<br />
tributari <strong>della</strong> Valle di Thuràs e <strong>della</strong> Valle Ripa, e la Dora di Bardonecchia (da Ovest), a sua volta<br />
alimentata nel tratto iniziale d<strong>alla</strong> Valle Stretta e d<strong>alla</strong> Valle di Rochemolles;<br />
- la media valle, d<strong>alla</strong> Piana di Oulx-Salbertrand, a valle <strong>della</strong> confluenza dei due rami <strong>della</strong><br />
Dora, fino <strong>alla</strong> soglia di Susa (500 m), prima <strong>della</strong> confluenza fra la Dora Riparia ed il Torrente<br />
Cenischia;<br />
- la bassa valle, d<strong>alla</strong> confluenza con la Val Cenischia (compresa) fino allo sbocco in pianura<br />
<strong>della</strong> valle principale (300 m), dove si trovano le colline moreniche dell’Anfiteatro di Rivoli-<br />
Avigliana.<br />
L’area del Foglio “Bardonecchia” comprende il ramo nord-occidentale dell’alta Valle di Susa e<br />
l’intero segmento <strong>della</strong> media Valle di Susa. Inoltre, ai margini SE e NE dell’area, il foglio si<br />
estende, rispettivamente, per un breve tratto nell’adiacente alta Val Chisone e in parte sul versante<br />
destro <strong>della</strong> Val Cenischia.<br />
I rilievi maggiori si ritrovano lungo l’attuale spartiacque principale alpino: Rocca d’Ambin<br />
(3.378 m), Rognosa d’Etiache (3.382 m), Punta Pierre Menue (3.508 m e massima elevazione<br />
dell’area), Rocca Bernauda (3.226 m), Punta Charra (2.984 m), Punta Clotesse (2.872 m). Lo<br />
spartiacque Susa-Chisone è caratterizzato da rilievi meno elevati: M. Genevris (2.583 m), Testa di<br />
Mottas (2.647 m), Punta del Gran Serin (2.689 m), Cima delle Vallette (2.743 m). Nel breve tratto<br />
di spartiacque Susa-Cenischia il rilievo principale è costituito d<strong>alla</strong> Punta Toasso Bianco (2.622 m).<br />
Dal punto di vista orografico va anche ricordato che in questo settore alpino vi sono alcuni<br />
importanti valichi, altimetricamente poco elevati e talora morfologicamente fra i più favorevoli per<br />
attraversare la catena alpina. I più importanti sono il Colle del Moncenisio (2.083 m, che mette in<br />
comunicazione la Valle dell’Arc e la Val Cenischia), il Colle <strong>della</strong> Scala (1.762 m, fra la Valle<br />
Stretta e la Valle <strong>della</strong> Clarée) e il Colle del Monginevro (1.850 m). Tramite il Colle del Sestriere<br />
(2.035 m) inoltre la Valle di Susa è messa in comunicazione con la Val Chisone.<br />
L’orientazione più frequente e persistente degli elementi idrografici e orografici è la direzione<br />
NE-SO (es. Val Chisone, media Valle di Susa, Vallone di Rochemolles). Nei settori orientale ed<br />
occidentale del foglio sono invece prevalenti le direzioni NNW-SSE (es. Val Clarea) e NNE-SSW<br />
(reticolato affluente <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia). Anche la posizione dei principali valichi alpini<br />
risulta interposta a segmenti del reticolato idrografico che seguono, sui due versanti adiacenti, le<br />
suddette direzioni prevalenti. L’insieme di queste caratteristiche riflette il condizionamento <strong>alla</strong><br />
morfogenesi indotto tanto dall’assetto litostrutturale regionale e locale che dall’evoluzione tettonica<br />
recente di questo settore <strong>della</strong> catena alpina (cfr. paragrafo “Neotettonica”).<br />
L’elevato grado d’incisione di numerosi tratti delle valli Susa e Chisone testimonia il forte<br />
approfondimento erosionale registratosi soprattutto lungo le direttrici NE-SW: questo fenomeno<br />
esercita un importante controllo anche sull’andamento dell’attuale spartiacque principale alpino,<br />
che proprio nel settore del Foglio “Bardonecchia” si incunea profondamente verso Ovest, cioè verso<br />
l’esterno <strong>della</strong> catena. La Valle di Susa rappresenta, come le altre principali valli alpine del margine<br />
padano, una direttrice di drenaggio persistente nella fase di progressiva migrazione dello<br />
spartiacque alpino verso l’esterno, instauratasi sin dal Miocene. L’attuale testata <strong>della</strong> Valle di Susa<br />
costituirebbe quindi un settore di bacino che originariamente drenava verso Ovest. L’evoluzione<br />
geomorfologica di questo settore montuoso può essere dedotta dalle forme di mo<strong>della</strong>mento del<br />
rilievo e dalle formazioni superficiali (cfr. paragrafo “Copertura pliocenico-quaternaria”).<br />
Chiarissime sono le tracce del mo<strong>della</strong>mento glaciale pleistocenico, soprattutto quelle legate<br />
all’ultima fase di massima espansione (Last Glacial Maximum, LGM), in cui il ghiacciaio<br />
principale <strong>della</strong> Valle di Susa ha raggiunto (come del resto nelle precedenti fasi di massima<br />
espansione) lo sbocco in pianura costruendo l’Anfiteatro Morenico di Rivoli-Avigliana. La scarsità<br />
di testimonianze glaciali più antiche <strong>della</strong> fase LGM è imputabile all’importante azione erosiva<br />
operata dal ghiacciaio nella sua ultima fase di espansione glaciale e al nuovo mo<strong>della</strong>mento imposto<br />
dal reticolato idrografico post-glaciale. A differenza delle valli Susa e Cenischia, nel tratto dell’alta<br />
Val Chisone compreso entro il Foglio “Bardonecchia” non si rinvengono tracce di un ghiacciaio<br />
principale che occupava l’intero sistema vallivo: sono invece riconoscibili forme e depositi legati ai<br />
ghiacciai delle valli tributarie, che nelle fasi di massima espansione potevano anche raggiungere ed<br />
occupare parte del fondovalle principale. Casi analoghi alle valli tributarie <strong>della</strong> Val Chisone si<br />
registrano anche nella media Valle di Susa; in particolare la Val Clarea presenta al suo sbocco nella
valle principale un importante apparato morenico frontale: il fatto che quest’ultimo sia stato<br />
preservato dimostra che il ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea è sopravvissuto dopo il definitivo ritiro di<br />
quello principale dal tratto inferiore <strong>della</strong> media Valle di Susa.<br />
Per quanto riguarda le tracce di mo<strong>della</strong>mento glaciale successive <strong>alla</strong> massima espansione, i<br />
cordoni morenici tardoglaciali ed i più recenti, attribuibili <strong>alla</strong> Piccola Età Glaciale, sono<br />
concentrati soprattutto presso le testate dei bacini tributari che si originano dai rilievi montuosi del<br />
Massiccio d’Ambin. In quest’area si rinviene anche la più consistente massa glaciale sopravvissuta<br />
entro l’area del Foglio “Bardonecchia”, il Ghiacciaio dell’Agnello, nel settore laterale destro <strong>della</strong><br />
testata <strong>della</strong> Val Clarea. Ampia diffusione in tutta la fascia altimetrica più elevata del foglio (al di<br />
sopra di 2.000 m) hanno invece le forme di ambiente periglaciale, con significativi esemplari di<br />
rock glacier sia sui rilievi dello spartiacque principale che lungo lo spartiacque Susa-Chisone.<br />
L’evoluzione morfologica post-glaciale è caratterizzata, nei settori altimetricamente intermedi<br />
(1.000-2.000 m) e meno elevati (al di sotto dei 1.000 m), da manifestazioni legate <strong>alla</strong> dinamica<br />
fluviale e torrentizia, al dilavamento dei versanti e <strong>alla</strong> gravità.<br />
Gli ampi settori pianeggianti di fondovalle (es. piana di Oulx-Salbertrand, conca di<br />
Bardonecchia, nell’alta Valle di Susa; Pragelato, in Val Chisone) rappresentano i settori di<br />
maggiore accumulo da parte dei corsi d’acqua principali, i cui depositi si interdigitano con quelli di<br />
imponenti conoidi laterali (es. Valloni di Rochemolles e del Fréjus, nella conca di Bardonecchia).<br />
Le più evidenti forme di erosione fluviale si rinvengono sul fianco sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa dove<br />
i corsi d’acqua tributari si sono notevolmente approfonditi dopo il ritiro delle masse glaciali, dando<br />
origine a vere e proprie forre (es. Rio Segurét); un altro esempio a questo riguardo è offerto<br />
dall’alveo epigenetico <strong>della</strong> Dora Riparia, che incide profondamente il fondovalle in corrispondenza<br />
delle gorge di Susa.<br />
La morfogenesi gravitativa si sovrappone ed in parte oblitera le tracce di mo<strong>della</strong>mento del<br />
glacialismo pleistocenico e talvolta anche quelle legate processi fluviali e torrentizi più recenti.<br />
Frane e deformazioni gravitative profonde di versante coinvolgono estesi settori dei versanti,<br />
modificando non solo l’assetto strutturale dell’ammasso roccioso ma anche l’originaria<br />
distribuzione altimetrica dei depositi quaternari. L’evoluzione di alcuni fenomeni gravitativi ha in<br />
alcuni casi persino portato al ripetuto sbarramento del fondovalle principale (es. Serre La Voûte,<br />
media Valle di Susa; Pourrieres, Val Chisone).
1. - LE ALPI OCCIDENTALI<br />
III. - INQUADRAMENTO GEOLOGICO<br />
La catena alpina occidentale è il risultato di un complesso processo geodinamico che, attraverso una<br />
prima fase di subduzione di litosfera oceanica ed una seconda fase di collisione continentale tra i<br />
paleomargini europeo ed insubrico, ha portato <strong>alla</strong> formazione di una catena orogenetica in cui sono<br />
conservate e riconoscibili unità di crosta continentale tettonicamente interposte ad unità ad affinità<br />
oceanica.<br />
Storicamente nella catena sono stati riconosciuti quattro domini strutturali principali, cui è stata<br />
attribuita una forte connotazione paleogeografica, separati da superfici tettoniche principali. Ognuno di<br />
questi domini è caratterizzato da una storia geologica omogenea, ma parzialmente indipendente da quella<br />
dei domini adiacenti.<br />
Dall’alto al basso geometrico e dall’interno verso l’avampaese europeo sono stati distinti: il dominio<br />
Sudalpino, il dominio Austroalpino, il dominio Pennidico ed il dominio Elvetico-Ultraelvetico.<br />
Il dominio Sudalpino è un sistema tettonico rappresentato nel suo settore più occidentale d<strong>alla</strong> Zona<br />
del Canavese, d<strong>alla</strong> Zona Ivrea-Verbano e d<strong>alla</strong> Serie dei Laghi. Rappresenta quella porzione del margine<br />
insubrico che non è stata interessata d<strong>alla</strong> tettogenesi collisionale, si differenzia d<strong>alla</strong> catena vera e propria<br />
in quanto è privo <strong>della</strong> sovraimpronta metamorfica di età alpina. E’ separato d<strong>alla</strong> catena per mezzo <strong>della</strong><br />
linea insubrica ed è caratterizzato da una vergenza interna delle strutture principali. Le unità sudalpine si<br />
accav<strong>alla</strong>no sull’avampaese padano e il loro fronte, sepolto dai depositi <strong>della</strong> pianura padana, è prossimo<br />
ad interferire con il fronte appenninico NE vergente.<br />
Il dominio Austroalpino, è posto in posizione strutturalmente elevate dell’edificio alpino. Gli sono<br />
attribuite unità di crosta continentale costituite da un basamento varisico intruso da granitoidi permiani e<br />
ricoperto da modeste coperture mesozoiche. Questo dominio viene correlato al dominio sudalpino e gli<br />
sono attribuiti, nelle Alpi occidentali, la Zona Sesia-Lanzo e quei numerosi lembi di ricoprimento<br />
(klippen), indicati, in genere con il termine complessivo di Sistema <strong>della</strong> Dent Blanche s.l..<br />
Il dominio Pennidico, sistema multifalda cui sono riferite tutte le unità che conservano traccia <strong>della</strong><br />
crosta oceanica mesozoica (Zona Piemontese s.l., Zona dei Calcescisti con pietre verdi, ecc.), e un<br />
gruppo di falde di basamento in cui sono state distinte le Falde Pennidiche superiori (= Monte Rosa, Gran<br />
Paradiso e Dora Maira), il Sistema Medio Pennidico (= Falda del Gran San Bernardo) e le Falde<br />
Pennidiche inferiori (= Antigorio, Lebendum, Monte Leone). E’ in questo dominio, come anche in quello<br />
precedente, che sono meglio conservate le tracce <strong>della</strong> evoluzione tettonometamorfica alpina.<br />
Il dominio Elvetico, rappresenta quella porzione dell’avanpaese europeo coinvolto nella tettogenesi<br />
alpina ed è l’elemento strutturale più esterno <strong>della</strong> catena, separato dai domini più interni dal Fronte<br />
Pennidico. Questo dominio è costituito da un basamento cristallino e da successioni di copertura mesocenozoiche<br />
più o meno scollate (Falde Elvetiche). Il basamento affiora in corrispondenza dei cosiddetti<br />
Massicci Cristallini Esterni (Argentera, Pelvoux, Belledonne, Monte Bianco - Aiguille Rouge e Aar-<br />
Gottardo). Poiché questo dominio è stato coinvolto nell’orogenesi alpina solo durante le sue fasi finali<br />
(fase mesoalpina e fase neoalpina), in esso sono meglio conservati relitti metamorfico-strutturali<br />
dell’orogenesi caledoniana ed in modo ubiquitario quelle dell’orogenesi ercinica (MÈNOT, 1987).<br />
Le più recenti indagini sulla struttura profonda delle Alpi eseguite <strong>alla</strong> fine degli anni ‘80 (ROURE et<br />
alii, 1990, 1996; PFIFFNER et alii, 1997) hanno messo in evidenza una strutturazione interna <strong>della</strong> catena<br />
relativamente semplice a piccola <strong>scala</strong> e omogenea lungo tutto l’arco delle Alpi occidentali. Le Alpi<br />
costituiscono infatti una catena a doppia vergenza, “europea” per il settore esterno e “insubrica” o<br />
“apula” per quello interno, in cui si possono distinguere tre grandi domini strutturali che ricalcano in parte<br />
le concezioni paleogeografiche dei modelli precedenti. Si distingue infatti (fig. 1):<br />
- un dominio interno, appartenente <strong>alla</strong> placca superiore del sistema collisionale, che corrisponde al<br />
dominio sudalpino dei vecchi Autori;<br />
- un dominio esterno corrispondente all’avanpaese, o a quella sua parte che è coinvolta nella porzione<br />
più esterna <strong>della</strong> catena, che corrisponde al dominio elvetico-delfinese dei vecchi Autori;<br />
- una parte assiale, delimitata da due superfici di discontinuità maggiori <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> crostale (Linea<br />
Insubrica all’interno e Fronte pennidico all’esterno), nella quale sono comprese le unità oceaniche e le<br />
falde pennidiche ed austroalpine <strong>della</strong> vecchia letteratura.
Fig. 1<br />
Stereogramma delle Alpi occidentali. Il lato anteriore è all’incirca coincidente con il profilo sismico CROP/ECORS<br />
tra il Giura francese e la Pianura padana nei pressi di Torino che ha attraversato la catena lungo le valli dell’Orco e<br />
dell’Isère. Nelle zone esterne sono indicati con tratteggio orizzontale le coperture dell’avanpaese e con tratteggio<br />
verticale le falde elvetiche. E’ stata lasciata in bianco la zona assiale <strong>della</strong> catena corrispondente <strong>alla</strong> catena<br />
collisionale vera e propria ed <strong>alla</strong> parte riattivata del margine europeo.
L’aspetto più stimolante di questa interpretazione <strong>della</strong> catena è che la parte assiale, che costituisce la<br />
catena collisionale vera e propria, appare completamente svincolata dalle zone più esterne ed interne. In<br />
essa sono contenute tutte le unità che hanno subito una o più degli eventi metamorfici legati <strong>alla</strong><br />
subduzione ed <strong>alla</strong> collisione, e la loro distribuzione all’interno <strong>della</strong> zona assiale non è il frutto di una<br />
evoluzione cilindrica dei domini paleogeografici, ma sembra essere rimessa continuamente in gioco dalle<br />
cinematiche locali. Ne consegue che ogni elemento strutturale <strong>della</strong> catena, definito come unità<br />
tettonostratigrafica (sensu DELA PIERRE et alii, 1997) o unità tettonometamorfica (sensu SPALLA et alii,<br />
1998) può avere una storia tettonometamorfica autonoma rispetto alle unità vicine, e che prima di<br />
effettuare qualsiasi tipo di ricostruzione si dovrà conoscere in modo preciso quale è la storia collisionale<br />
Una ulteriore complicazione dell’assetto geometrico <strong>della</strong> collisione viene introdotto d<strong>alla</strong> complessa<br />
interazione delle cinematiche alpina ed appenninica che avvengono a partire dal Neogene. Il risultato<br />
conferisce <strong>alla</strong> catena la caratteristica forma arcuata del suo settore occidentale che simula una rotazione<br />
antioraria <strong>della</strong> zona di collisione tra la placca europea e quella apula.<br />
La letteratura alpina risente ovviamente di questa complessa evoluzione delle conoscenze ed<br />
interpretazioni, da cui sorge un grave problema di nomenclatura. Questa infatti, ereditata da modelli<br />
passati, non viene ridefinita nelle interpretazioni più recenti. Ne consegue che termini abitualmente<br />
presenti nella bibliografia sono impiegati con significato diverso a seconda degli Autori oppure cambiano<br />
significato col tempo. A questo si aggiunge le naturale inerzia <strong>della</strong> comunità scientifica ad accettare<br />
nuove interpretazioni che mettono in discussione modelli che sembravano consolidati qualche lustro<br />
prima, e soprattutto la nomenclatura che ne consegue.<br />
Un esempio classico è costituito dalle successioni a ofioliti che segnano la sutura oceanica nella catena.<br />
D<strong>alla</strong> primitiva definizione di “Zona delle pietre verdi”, introdotto nella nomenclatura alpina nella metà del<br />
secolo scorso, si è avuto un proliferare di etichette (Zona piemontese dei calcescisti con pietre verdi,<br />
Schistes Lustrés, Ophiolit decke, Ensemble Ligure, Complesso dei calcescisti con pietre verdi, Zona del<br />
Combin, ...) con significato via via paleogeografico, geografico, litostratigrafico, tettonico, metamorfico,<br />
con valenza regionale o locale, che non hanno certo contribuito a semplificare la comprensione al lettore<br />
non specialista.<br />
Nell’area del foglio affiorano estesamente unità appartenenti, nelle interpretazioni classiche, ai “domini<br />
paleogeografici” piemontese e brianzonese. Sembra opportuno quindi fornire qui di seguito un breve<br />
inquadramento regionale delle unità affioranti nell’area, in cui si illustrano anche le scelte effettuate per<br />
1.1. - LE UNITÀ OCEANICHE E OFIOLITICHE DELLE ALPI OCCIDENTALI<br />
Un insieme di successioni che rappresentano la testimonianza del bacino oceanico mesozoico<br />
interposto alle placche europea ed insubrica e definito in letteratura come Bacino Oceanico Ligure<br />
Piemontese (ELTER, 1971; LEMOINE, 1971; DAL PIAZ, 1974a, b) affiora in maniera continua lungo tutto<br />
l’arco alpino occidentale nel settore compreso tra la linea Sestri - Voltaggio ed i ricoprimenti pennidici<br />
inferiori dell’Ossola - Ticino. Altri affioramenti di successioni litologicamente equivalenti si trovano nelle<br />
due finestre tettoniche dell’Engadina e degli Alti Tauri (Alpi orientali), in Corsica nord-orientale e<br />
Negli ultimi decenni queste successioni sono state studiate considerando talora gli aspetti stratigrafici,<br />
talaltra quelli metamorfici o strutturali. Ne è risultato un quadro fortemente innovativo rispetto alle<br />
conoscenze che si avevano all’inizio degli anni settanta, ma anche una oggettiva difficoltà nel configurare<br />
schemi e correlazioni a valenza regionale. Ne risulta infatti un quadro di unità tettoniche differenti<br />
caratterizzate da successioni litostratigrafiche proprie e/o da evoluzioni tettonometamorfiche<br />
indipendenti. Queste unità sono separate da suture di età varia (eoalpine, mesoalpine e neoalpine) che<br />
registrano condizioni metamorfiche proprie di ambienti crostali diversi <strong>della</strong> catena collisionale (CARON et<br />
alii, 1984).<br />
Nelle Alpi Cozie settentrionali fra le unità ritenute deposte nel bacino interposto tra le placche europea<br />
ed insubrica prima <strong>della</strong> collisione continentale, si riconoscono prevalentemente tre tipi di unità:<br />
- unità che mostrano una sicura affinità oceanica, cioè che mostrano o un substrato oceanico o una<br />
copertura sedimentaria che sicuramente si è deposta su un substrato oceanico;
- unità definite ofiolitiche, cioè che contengono ofioliti ma che non mostrano forti affinità oceaniche;<br />
incertae sedis, in cui sono raggruppate quelle successioni di metasedimenti (calcescisti s.l.) che<br />
non mostrano di avere vincoli stratigrafici e cronologici.<br />
Le unità oceaniche sono caratterizzate da un substrato costituito da porzioni di litosfera oceanica che<br />
mostra una natura composita (ELTER, 1971; STEEN et alii, 1977; LEMOINE, 1980; AUZENDE et alii,<br />
1983; TRICART et alii, 1985; LAGABRIELLE, 1987; DEVILLE et alii, 1992) conseguente ad una fase di<br />
strutturazione precoce, precedente <strong>alla</strong> deposizione dei primi sedimenti. La successione sedimentaria<br />
poggia infatti indifferentemente su peridotiti ± serpentinizzate, gabbri, brecce ofiolitiche e basalti. In<br />
alcuni casi è stato anche dimostrato che le colate basaltiche si sono messe in posto su un substrato<br />
oceanico già strutturato, che conserva tracce di un evento metamorfico assente nelle colate (LOMBARDO<br />
& POGNANTE, 1982). A loro volta i gabbri mostrano una pervasiva foliazione di origine tettonica tagliata<br />
in discordanza dai filoni basaltici (MEVEL et alii, 1978). In nessun caso si ritrova comunque la sequenza<br />
ofiolitica prevista nei classici modelli di litosfera oceanica, costituita da ultramafiti tettonizzate, gabbri<br />
cumulitici, complesso filoniano e colate basaltiche.<br />
La copertura spesso mostra forti affinità con le successioni sopraofiolitiche dell’Appennino (da cui il<br />
nome di successioni “liguri”) ed è caratterizzata da livelli silicei basali (radiolariti dell’Oxfordiano-<br />
Kimmeridgiano, DE WEVER & CABY, 1981; o del Calloviano medio-superiore, DE WEVER et alii, 1987),<br />
marmi chiari attribuiti al Titoniano-Neocomiano (= Calcari a Calpionella), alternanze di marmi e filladi di<br />
età cretacea medio-inferiore definite come Formazione <strong>della</strong> Replatte nella regione di Briançon<br />
(LEMOINE, 1971) e simili agli Scisti a Palombini dell’Appennino, ed una successione di scisti calcarei<br />
(Scisti di Lavagna).<br />
Carattere peculiare di queste successioni è la presenza di materiale detritico prevalentemente ofiolitico<br />
a differenti livelli <strong>della</strong> successione (LEMOINE et alii, 1970; LEMOINE & TRICART, 1979; LAGABRIELLE<br />
et alii, 1982; LAGABRIELLE et alii, 1984; LEMOINE, 1984; LEMOINE & TRICART, 1986). Sono anche<br />
conosciute unità in cui nella successione di copertura ofiolitica sono presenti livelli detritici provenienti dal<br />
POLINO & LEMOINE, 1984).<br />
Le unità ofiolitiche sono state differenziate in quanto non mostrano un substrato ofiolitico evidente né<br />
affinità con le successioni liguri. Contengono tuttavia nella successione sedimentaria elementi ofiolitici e<br />
possono quindi essere interpretate come porzioni del bacino oceanico in cui la crosta oceanica è<br />
completamente scomparsa durante le fasi di subduzione, oppure come successioni deposte nella fossa<br />
convergente ma che non mostrano rapporti stratigrafici diretti con il substrato ofiolitico.<br />
Infine si sono distinti volumi rocciosi costituiti da metasedimenti prevalentemente carbonatici<br />
(calcescisti s.l.) e terrigeni che al momento attuale non sono facilmente correlabili con elementi delle altre<br />
due unità. Successioni analoghe sono già state descritte in altre parti delle Alpi Cozie (LEMOINE &<br />
TRICART, 1986). L’assenza di chiari vincoli stratigrafici e cronologici, ne rende problematica ogni<br />
interpretazione. Si ritiene tuttavia che queste successioni, a causa dell’elevata componente terrigena, si<br />
possano interpretare come deposte nella fossa convergente tra le due placche durante la fase di<br />
subduzione/collisione, così come su uno dei due margini prospicienti.<br />
1.2. - LE UNITÀ PIEMONTESI DI MARGINE CONTINENTALE<br />
Nell’area del foglio affiorano due unità di sedimenti mesozoici attribuite alternativamente al margine<br />
LEMOINE, 1971) o insubrico (“ultrapiemontesi”: POLINO et alii, 1983 con rif.<br />
bibliografici). La successione di litofacies sottolinea l’evoluzione distensiva <strong>della</strong> crosta che porterà,<br />
attraverso ad una fase di rifting continentale ben sviluppata, <strong>alla</strong> oceanizzazione del bacino piemontese.<br />
Gli eventi più caratteristici sono il passaggio d<strong>alla</strong> piattaforma carbonatica tardo-triassica alle successioni<br />
liassiche, l’orizzonte siliceo a radiolari interpretato come un repere litologico utilizzabile in tutto il bacino<br />
piemontese ed il livello a black shales che sottolinea l’instaurarsi di condizioni pelagiche in tutto il bacino<br />
(BOURBON et alii, 1979).<br />
Anche all’interno di queste successioni di margine continentale sono presenti orizzonti detritici a<br />
testimonianza di attività tettonica sin-sedimentaria (DUMONT et alii, 1984).<br />
1.3. - LA FALDA DEL GRAN SAN BERNARDO
Il sistema multifalda del Gran San Bernardo occupa una posizione strutturale intermedia all’interno del<br />
Dominio Pennidico e si estende, con relativa continuità, lungo tutta la parte esterna dell’arco alpino<br />
occidentale partendo dal Vallese fino a Briançon dove viene coperta da terreni meso-cenozoici<br />
sovrascorsi; esso torna poi ad affiorare più a sud nei pressi di Acceglio, fino alle coste liguri.<br />
La Falda del Gran San Bernardo è costituita da un basamento pre-Triassico, una successione di<br />
parascisti talora carboniosi associati a prodotti vulcanici (Permo-Carbonifero), una successione di<br />
carbonati triassici simili a quelli appartenenti al dominio Austroalpino, una successione di sedimenti<br />
pelagici di età Giurassico-Cretaceo. Nell’arco alpino occidentale, il basamento <strong>della</strong> Falda del Gran San<br />
Bernardo affiora in corrispondenza <strong>della</strong> Zona di Acceglio, del Massiccio d’Ambin, <strong>della</strong> Zona di Sapey,<br />
<strong>della</strong> Vanoise meridionale o Massiccio di Chasseforêt, <strong>della</strong> Vanoise settentrionale o Massiccio del M.<br />
Pourri-Bellecôte e, più estersamente, d<strong>alla</strong> Val d’Aosta (Massiccio del Ruitor) al Vallese.<br />
1.3.1. - Il basamento pre-mesozoico<br />
Il basamento pre-mesozoico viene suddiviso in due complessi, uno polimetamorfico ed uno<br />
monometamorfico (BOCQUET, 1974). Il primo è costituito da una sequenza di parascisti, presumibilmente<br />
pre-cambriani, associati a rocce magmatiche sia acide che basiche. Vi si distinguono tre principali eventi<br />
metamorfici prealpini ad un primo evento in facies eclogitica (THÉLIN et alii, 1990) seguono due eventi di<br />
medio grado, uno di più alta pressione, con blastesi di cianite (BAUDIN, 1987) e l’altro di bassa pressione<br />
osservato sia nel basamento del Ruitor (BOCQUET, 1974) sia nel basamento brianzonese ligure<br />
(CORTESOGNO, 1984). Il basamento monometamorfico è costituito da successioni che poggiano sullo<br />
zoccolo polimetamorfico e considerate di età compresa tra il Carbonifero superiore ed il Permiano<br />
superiore (Zona Houillère). In base alle osservazioni fatte nella Vanoise settentrionale (GUILLOT &<br />
RAOULT, 1984) e nel Massiccio d’Ambin (GAY, 1970a, b) il contatto tra il basamento monometamorfico<br />
e quello polimetamorfico sembra essere primario.<br />
1.3.2. - Le coperture meso-cenozoiche<br />
Le successioni sedimentarie meso-cenozoiche <strong>della</strong> Falda del Gran San Bernardo (Zona Brianzonese<br />
<strong>della</strong> letteratura francese) testimoniano l’evoluzione di un bacino subsidente interessato da un regime<br />
tettonico regionale a carattere distensivo (STAMPFLI & MARTHALER, 1990)<br />
La successione stratigrafica mostra una sorprendente omogeneità lungo tutto l’arco alpino, dalle Alpi<br />
liguri ai Grigioni, tanto che la definizione di Brianzonese deriva principalmente d<strong>alla</strong> peculiarità delle<br />
sequenze mesozoiche più che dalle caratteristiche del basamento.<br />
La successione è caratterizzata da quarziti basali di età triassica inferiore, che testimoniano<br />
l’ingressione marina sul continente. Esse sono seguite da una successione di piattaforma carbonatica che<br />
si sviluppa attraverso tre cicli principali: il primo (Anisico) è caratterizzato d<strong>alla</strong> deposizione di calcari, il<br />
secondo (Anisico-Ladinico) d<strong>alla</strong> deposizione di dolomie chiare e dolomie scure ed il terzo (Ladinico<br />
superiore) è costituito da dolomie subtidali. Nel Trias superiore la subsidenza subisce un temporaneo<br />
arresto, come testimoniato da depositi lagunari ed evaporitici e da una lacuna stratigrafica,<br />
corrispondente a gran parte del Liassico, talvolta testimoniata da depositi residuali indicanti l’emersione<br />
<strong>della</strong> piattaforma triassica o di parte di essa. Lo sprofondamento definitivo <strong>della</strong> piattaforma carbonatica<br />
avviene tra il Dogger ed il Malm, periodo in cui incomincia la deposizione a carattere pelagico (sequenze<br />
calcaree e siliceo-marnose). Le pelagiti del Cretaceo superiore-Paleocene contengono notevoli volumi di<br />
brecce a testimonianza di un’intensa attività tettonica sin-sedimentaria. L’evoluzione sedimentaria<br />
continua fino all’Eocene con la deposizione dei calcari nummulitici e delle sequenze torbiditiche del<br />
Priaboniano che segnano la fine <strong>della</strong> sedimentazione.<br />
1.3.3. - Il Massiccio d’Ambin<br />
Il Massiccio d’Ambin affiora come una larga antiforme nelle Alpi Cozie a cavallo del confine tra Italia<br />
e Francia. Esso emerge in corrispondenza di una grande culminazione assiale al di sotto di vari elementi<br />
tettonici appartenenti <strong>alla</strong> Falda Piemontese. ARGAND (1911) e HERMANN (1938) associarono il
Massiccio d’Ambin con la Falda pennidica superiore del Dora Maira sulla base delle loro affinità<br />
litologiche, mentre STAUB (1942) ed ELLENBERGER (1958) lo attribuirono <strong>alla</strong> Zona Brianzonese s.l.,<br />
sulla base delle caratteristiche <strong>della</strong> sua copertura mesozoica. Sulla base di affinità lito-stratigrafiche il<br />
Massiccio d’Ambin viene correlato con la Falda di Pontis (THÉLIN et alii, 1990) e con il Massiccio dello<br />
Chasseforet (DESMONS, 1992). Vengono distinti due unità litostratigrafiche pre-mesozoiche conosciute in<br />
letteratura con i termini di “Serie di Clarea” e “Serie di Ambin” (MICHEL, 1956, 1957; LORENZONI,<br />
1965; GAY, 1970a, b; CALLEGARI et alii, 1980). Al di sopra si trova un ulteriore elemento di copertura<br />
di probabile età permiana superiore che costituisce la “Serie di Etache” (GAY, 1970a, b). Sono inoltre<br />
preservati sporadici lembi di copertura carbonatica mesozoica autoctoni e/o parautoctoni (CARON &<br />
GAY, 1977; DELA PIERRE et alii, 1997).<br />
Il complesso inferiore viene ritenuto di età pre-namuriana da alcuni Autori (MICHEL, 1956; GAY,<br />
1970a, b; BOCQUET, 1974; BOCQUET et alii, 1974; CALLEGARI et alii, 1980) in base <strong>alla</strong> presenza di<br />
relitti mineralogici (granato, mica bianca e biotite) e/o microstrutturali (cerniere di piega sradicate) prealpini,<br />
mentre il complesso superiore costituirebbe la sua copertura di età permiana, anche se alcuni<br />
DESMONS & FABRE, 1988). Datazioni recenti eseguite da<br />
BERTRAND et alii (in preparazione) rimettono in discussione le attribuzioni cronologiche dei basamenti<br />
alpini, grazie al rinvenimento di età pre-erciniche nelle successioni ritenute permiane <strong>della</strong> Vanoise e del
IV. - BASAMENTO PREQUATERNARIO<br />
Nella “Guida al rilevamento” <strong>della</strong> Carta Geologica d’Italia <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:<strong>50.000</strong> (AA.VV., 1992), viene<br />
suggerito di seguire i criteri previsti dall’International Stratigraphic Guide (ISG) (ISSC, 1994), che<br />
prevedono di utilizzare il criterio litostratigrafico in qualsiasi contesto geologico. Le rocce metamorfiche<br />
intensamente deformate dovrebbero quindi, in accordo con la ISG, essere cartografate come formazione,<br />
gruppo ecc. (= unità litostratigrafiche convenzionali) ove i caratteri pre-metamorfici siano ancora ben<br />
riconoscibili, o come complesso quando questi siano sconosciuti o quando i corpi rocciosi siano costituiti<br />
da più tipi litologici con rapporti geometrici complicati.<br />
Volendo seguire questo approccio, ci si è resi conto che l’applicazione rigida <strong>della</strong> litostratigrafia in<br />
aree di catena metamorfica caratterizzate da successioni metasedimentarie, si scontra con sostanziali<br />
problemi di rappresentazione e comporta problemi sia di tipo formale che sostanziale. L’applicazione<br />
rigida di queste regole non consente infatti di rappresentare al meglio la complessa evoluzione postdeposizionale<br />
dei volumi rocciosi e comporta il rischio di cartografare in una sola unità litostratigrafica<br />
successioni di metasedimenti litologicamente simili ma di età diversa, o di distinta provenienza<br />
paleogeografica o che hanno seguito traiettorie significativamente differenti durante l’evoluzione<br />
tettonometamorfica <strong>della</strong> catena. Questo problema si presenta in modo particolare per le monotone<br />
successioni a prevalenti calcescisti che affiorano estesamente nell’area. Una analisi approfondita di queste<br />
DELA PIERRE et alii, (1997).<br />
Nel tentativo di rappresentare in carta il maggior numero di informazioni possibili sulla storia<br />
geologica dei corpi rocciosi si sono utilizzate le unità tettonostratigrafiche, definite come “volumi<br />
rocciosi delimitati da contatti tettonici e contraddistinti da una successione stratigrafica e/o una<br />
sovraimpronta metamorfica e/o un assetto strutturale significativamente diversi da quelli dei volumi<br />
rocciosi adiacenti” (DELA PIERRE et alii, 1997). Qui di seguito vengono descritti i criteri fondamentali e<br />
la filosofia che hanno condotto al rilevamento ed <strong>alla</strong> stesura di una legenda con una impostazione<br />
tettonostratigrafica.<br />
In fase di rilevamento si è privilegiato il riconoscimento di quei caratteri stratigrafici primari<br />
(litostratigrafici) che hanno permesso di definire successioni litostratigrafiche coerenti. Ad esempio nel<br />
caso delle unità a prevalenti calcescisti che affiorano su una buona parte del foglio, si è cercato di mettere<br />
in evidenza successioni litostratigrafiche ad affinità oceanica o continentale sulla base <strong>della</strong> presenza di<br />
ofioliti, <strong>della</strong> loro posizione nella successione litostratigrafica e sulla organizzazione spaziale delle diverse<br />
litofacies. Contemporaneamente si sono messe in evidenza quelle superfici meccaniche di estensione<br />
regionale che potevano rappresentare limiti significativi tra volumi rocciosi ad evoluzione orogenica<br />
indipendente (cfr. ad es. CARON et alii, 1984).<br />
Sono state così riconosciute un certo numero di unità geometriche con caratteristiche interne<br />
omogenee. L’analisi <strong>della</strong> storia post-deposizionale delle singole unità geometriche ha permesso quindi di<br />
ricostruire la loro evoluzione tettonometamorfica, utilizzando indagini petrografiche, strutturali,<br />
petrologiche e geochimiche.<br />
In fase di sintesi sono state poi definite le unità tettonostratigrafiche descritte in legenda, raggruppando<br />
quelle unità geometriche che mostravano stratigrafia correlabile ed evoluzione orogenica confrontabile.<br />
All’interno di ogni unità tettonostratigrafica, delimitata da superfici tettoniche duttili o fragili, le unità<br />
litostratigrafiche (potenzialmente formalizzabili) ed i complessi sono state disposte secondo i normali<br />
criteri stratigrafici (dal basso verso l’alto stratigrafico).<br />
Poiché si ritiene che una carta al 1:<strong>50.000</strong> possa ancora essere utilizzata come uno strumento analitico,<br />
nella definizione <strong>della</strong> legenda si è evitato di fornire attribuzioni paleogeografiche, al fine di ridurre al<br />
massimo l’interpretazione. Seguendo l’approccio tettonostratigrafico, la legenda è stata quindi<br />
organizzata costituendo gruppi omogenei di unità in cui sono state inserite le unità di margine<br />
continentale, le unità oceaniche, quelle ofiolitiche ed isolando infine quelle unità il cui ambiente<br />
deposizionale era di difficile localizzazione. Nelle unità di margine continentale sono state comprese sia<br />
le unità di basamento mono- e polimetamorfico, sia quelle di copertura mesozoica. Per quanto concerne le<br />
unità a calcescisti prevalenti è stato distinto un gruppo di unità definite come oceaniche, in cui si è potuta<br />
ricostruire una successione sedimentaria ad affinità ligure (cioè deposta su crosta oceanica), un gruppo di<br />
ofiolitiche, cioè contenenti ofioliti ma che non mostrano successioni ad evidente affinità
ligure e per le quali la deposizione su crosta oceanica non è certa. Infine sono state separate quelle unità<br />
di calcescisti senza ofioliti che, pur senza attribuzioni cronologiche, vengono tentativamente interpretate<br />
come deposte nella fossa convergente a causa <strong>della</strong> forte componente terrigena.<br />
1. - UNITA’ DI MARGINE CONTINENTALE<br />
1.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’AMBIN<br />
E’ l’unità tettonostratigrafica strutturalmente più profonda e comprende un basamento cristallino<br />
pretriassico su cui poggia una successione di metasedimenti mesozoici, di limitato spessore. Affiora sul<br />
versante sinistro <strong>della</strong> Valle <strong>della</strong> Dora Riparia, tra Chiomonte e Oulx, ed è sovrascorsa da diverse unità<br />
tettonostratigrafiche, costituite da successioni di margine continentale. Verso SE il Massiccio d’Ambin è<br />
troncato da una zona di taglio subverticale, a direzione N60E circa, sottolineata da boudins<br />
pluriettometrici di unità di copertura, e su cui si è impostata la Valle <strong>della</strong> Dora Riparia. Il basamento è<br />
stato suddiviso in un complesso inferiore (complesso di Clarea), costituito da scisti polimetamorfici con<br />
relitti di metamorfismo prealpino, ed in un complesso superiore (complesso d’Ambin) monometamorfico,<br />
in cui prevalgono meta-vulcaniti acido-intermedie ritenute di età permiana. Rari affioramenti di micascisti<br />
polimetamorfici presenti lungo zone di taglio sono stati distinti dal complesso di Clarea in base a<br />
differenze mineralogiche ed indicati come micascisti dei Fourneaux.<br />
I complessi d’Ambin e di Clarea sono separati da un orizzonte discontinuo (potente fino ad alcune<br />
decine di metri) di metaconglomerati di età stefano-permiana a ciottoli di quarzo e rari litici, passanti a<br />
quarziti metaconglomeratiche in parte carbonatiche, già descritti in questa posizione litostratigrafica da<br />
GOGUEL (1958) e GAY (1970a, b). Il contatto tra i due complessi può venire considerato di origine<br />
stratigrafica e il livello a metaconglomerati potrebbe rappresentare il relitto dell’originaria trasgressione<br />
tardo-varisica discordante su di un basamento già metamorfico e strutturato. Questa interpretazione è<br />
compatibile con l’evoluzione monometamorfica del complesso d’Ambin, dove la paragenesi magmatica<br />
viene direttamente sostituita da fasi di alta pressione di presumibile età alpina (es. Ab = Jd + Qtz; simboli<br />
dei minerali secondo KRETZ, 1983).<br />
La copertura mesozoica del Massiccio d’Ambin è conservata in lembi limitati sul versante meridionale<br />
del Massiccio. La successione di riferimento era classicamente ritenuta quella di Punta Bellecombe -<br />
Roche Carlina, sul versante francese del Massiccio (ELLENBERGER, 1958; GOGUEL & ELLENBERGER,<br />
1952; GOGUEL & LAFFITTE, 1952; CARON & GAY, 1977); studi recenti (SIDDANS & OUAZZANI, 1984) 1<br />
hanno però dimostrato che questa successione è scollata dal basamento pretriassico.<br />
La copertura mesozoica riposa in discordanza sul basamento pretriassico e inizia con quarziti biancoverdastre<br />
attribuite al Werfeniano. Questi metasedimenti sono seguiti da una successione carbonatica di<br />
spessore assai ridotto (max 20 m), caratterizzata dall’assenza di sedimenti carbonatici triassici e d<strong>alla</strong><br />
presenza di brecce e livelli detritici a vari livelli stratigrafici.<br />
La struttura a grande <strong>scala</strong> è messa in evidenza d<strong>alla</strong> scistosità regionale alpina che nel settore rilevato<br />
immerge mediamente verso SW, S e SE. A causa delle fasi deformative tardive, la scistosità mostra un<br />
andamento suborizzontale nei settori centrali e più profondi del massiccio mentre è molto inclinata nelle<br />
zone periferiche; ciò conferisce al Massiccio d’Ambin la tipica struttura a duomo.<br />
1.1.1. - Basamento pretriassico<br />
1.1.1.1. - Micascisti dei Fourneaux (fou)<br />
Scaglie di basamento polimetamorfico in sporadici affioramenti lungo la zona di taglio che separa il<br />
Massiccio d’Ambin dalle sovrastanti unità tettonostratigrafiche e non ancora menzionate in letteratura,<br />
sono state cartografate come micascisti dei Fourneaux. Sono costituite principalmente da micascisti a<br />
cloritoide, granato e glaucofane a cui sono associati subordinati calcescisti a granato. Formano livelli di<br />
spessore metrico, per lo più lateralmente discontinui, ad eccezione del livello caratterizzato da buona<br />
continuità laterale che d<strong>alla</strong> parete settentrionale di Punta Galambra giunge ai Passi dei Fourneaux. I<br />
rapporti dei micascisti dei Fourneaux con gli altri litotipi del Massiccio d’Ambin sono tettonici e non è<br />
pertanto possibile inquadrarli in una successione litostratigrafica coerente.<br />
Queste rocce, di colore grigio e ad alterazione localmente grigio-nocciola, sono di composizione<br />
essenzialmente cloritico-quarzosa. Presentano numerosi livelli millimetrici di fillosilicati che definiscono
una scistosità fortemente crenulata. La composizione del granato (58 % almandino, 22 % grossularia, 10<br />
% piropo e spessartina) è, ad esclusione <strong>della</strong> periferia, abbastanza omogenea. La posizione strutturale e<br />
la composizione dei granati, che differisce notevolmente da quella dei granati del complesso di Clarea, ne<br />
giustifica la distinzione (MALUSÀ, 1997; MOSCA, 1997; cfr. nota 1). I calcescisti marmorei a granato,<br />
costituiti da carbonato e rara clorite e con sporadici livelli millimetrici a prevalente mica chiara,<br />
costituiscono un livello di spessore metrico a quota 3160 m sulla parete settentrionale <strong>della</strong> Punta<br />
Galambra.<br />
1.1.1.2. - Complesso di Clarea<br />
Il complesso di Clarea rappresenta l’elemento geometricamente più profondo del basamento<br />
metamorfico del Massiccio d’Ambin. Gli affioramenti più estesi si trovano in Val Clarea, nel Vallone di<br />
Tiraculo, nel Gran Boursey, nella conca del Rio Ponté e nella conca del Rio Geronda. Sul versante<br />
sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa gli affioramenti del complesso di Clarea sono ubicati in corrispondenza di<br />
strutture plicative antiformi associate sia alle fasi deformative sin-scistogene, sia a quelle tardive. Lo<br />
spessore massimo affiorante si aggira intorno ai 700-800 metri.<br />
E’ costituito prevalentemente da metasedimenti pelitico-arenacei rappresentati da micascisti in facies<br />
scisti blu ± retrocessi e trasformati in micascisti filladici e in gneiss minuti albitizzati. Alla meso<strong>scala</strong> sono<br />
ancora riconoscibili alternanze composizionali decimetrico-metriche di micascisti quarzosi e micascisti<br />
ricchi in mica bianca, anfibolo e cloritoide. Inoltre sono anche presenti masse di rocce originariamente<br />
intrusive a chimismo acido-intermedio, di metabasiti e di sottili livelli di marmi impuri e scisti carbonatici<br />
non cartografabili.<br />
Nei livelli più profondi si riconoscono mega-relitti strutturali preservati d<strong>alla</strong> sovraimpronta<br />
tettonometamorfica alpina. In questi relitti la foliazione principale, considerata di età prealpina, è definita<br />
da minerali cresciuti in condizioni metamorfiche di facies anfibolitica di media-bassa pressione.<br />
L’impronta tettonometamorfica di età alpina, più pervasiva man mano che ci sposta verso livelli strutturali<br />
più elevati, ha cancellato ogni traccia dell’impronta metamorfica precedente.<br />
La presenza di una foliazione prealpina, seppur in forma dubitativa ed incompleta, era già nota in<br />
letteratura. Qui ne viene confermata l’esistenza e viene riconosciuta la sua diffusione pervasiva nei livelli<br />
strutturali più profondi dove rappresenta la foliazione tettonica principale. Secondo alcuni Autori francesi<br />
(DESMONS & FABRE, 1988; DESMONS, 1992) questa foliazione in facies anfibolitica, osservata anche in<br />
altri settori del sistema multifalda del Gran San Bernardo, viene considerata cambriana o anche più<br />
vecchia. Questa opinione si basa sulle età radiometriche tardo-cambriane ottenute per il protolito del<br />
complesso monometamorfico del Mont Pourri (Massiccio <strong>della</strong> Vanoise). Secondo questa interpretazione<br />
l’impronta metamorfica varisica risulterebbe assente all’interno del basamento brianzonese in quanto<br />
quest’ultimo durante l’orogenesi ercinica si sarebbe mantenuto a livelli strutturali superficiali, evitando<br />
ogni tipo di ricristallizzazione metamorfica (DESMONS, 1992). Tuttavia, prendendo in considerazione le<br />
età radiometriche Ar/Ar (340-350 Ma) prodotte da MONIE’ (1990) su miche del complesso di Clarea<br />
affioranti sul versante francese del Massiccio, si preferisce considerare varisica l’età <strong>della</strong> foliazione<br />
regionale prealpina osservata nel complesso di Clarea e, pertanto, permocarbonifera l’età del sovrastante<br />
Il complesso di Clarea è stato suddiviso nelle seguenti subunità litostratigrafiche informali:<br />
Micascisti e gneiss minuti albitizzati riequilibrati in facies scisti blu di età alpina (cl)<br />
Sono caratterizzati da una paragenesi generalizzata di alta pressione e bassa temperatura,<br />
verosimilmente di età alpina, e da locali riequilibrazioni in facies scisti verdi che hanno obliterato quella<br />
prealpina. Affiorano nei livelli strutturali più elevati del complesso di Clarea in prossimità del contatto con<br />
il complesso d’Ambin. Il passaggio tra i micascisti a prevalente paragenesi prealpina ed i micascisti<br />
glaucofanici a prevalente paragenesi alpina è estremamente graduale e non costituisce un limite<br />
cartografabile con esattezza, perché avviene nell’intervallo di almeno un centinaio di metri.<br />
Sono prevalentemente costituiti da quarzo, albite, miche bianche (fengite e paragonite), clorite,<br />
anfibolo sodico, cloritoide ± biotite ± granato. In quantità accessorie sono presenti rutilo, zoisite, ilmenite,<br />
titanite. Mostrano una evidente scistosità di natura traspositiva sviluppata in condizioni di HP e LT e<br />
definita d<strong>alla</strong> orientazione preferenziale di mica bianca, clorite, cloritoide e glaucofane. Sono presenti<br />
numerosi rods di quarzo parallelizzati <strong>alla</strong> scistosità principale alpina. Talvolta i nastri di quarzo disegnano
cerniere isoclinali sradicate che, nelle zone maggiormente riequilibrate in condizioni metamorfiche alpine,<br />
sono appiattite e quasi completamente obliterate. Queste rocce sono generalmente di colore blu intenso<br />
per la presenza abbondante di anfibolo sodico. L’affioramento più rappresentativo si trova a Grange <strong>della</strong><br />
Valle.<br />
Localmente questa scistosità viene parzialmente obliterata d<strong>alla</strong> crescita di peciloblasti albitici avvenuta<br />
a spese di mica bianca e glaucofane durante l’evento decompressionale di bassa pressione e bassa<br />
temperatura. Questo evento trasforma i micascisti in gneiss minuti albitizzati a causa <strong>della</strong> sostituzione di<br />
mica bianca da parte di albite. In questi gneiss è presente un granato euedrale di piccole dimensioni<br />
cresciuto in equilibrio con biotite o incluso in peciloblasti a losanga di albite. A sua volta la biotite ha<br />
sostituito la clorite. In questi litotipi sono anche presenti aggregati al losanga a quarzo + clorite + albite<br />
cresciuti su originario anfibolo sodico.<br />
Micascisti a paragenesi prealpina preservata (cl a)<br />
Rappresentano il litotipo più diffuso del settore strutturalmente più profondo del complesso di Clarea.<br />
I principali affioramenti si trovano in Val Clarea, nella conca del Rio Ponté e nella conca del Rio<br />
Geronda. In Val Clarea questi litotipi costituiscono una fascia potente circa 400 m. Sono generalmente<br />
molto quarzosi, massicci e contengono numerosi rods di quarzo di dimensioni pluridecimetriche.<br />
Nei litotipi in cui la mica bianca è abbondante, il colore è più chiaro e la scistosità è naturalmente più<br />
pervasiva. Queste diverse varietà litologiche sono intercalate tra loro e non sono delimitate da contatti<br />
Al microscopio si osservano quarzo, muscovite, plagioclasio, biotite, clorite, granato e pseudomorfosi<br />
sericitiche. In quantità accessorie sono presenti rutilo, ilmenite, titanite ed epidoto. I micascisti mostrano<br />
una foliazione tettonica caratterizzata da un layering composizionale centimetrico definito dall’alternanza<br />
di livelli a muscovite + biotite con domini quarzoso-feldspatici. Sono anche presenti porfiroblasti<br />
plurimillimetrici di granato. In generale, la roccia mostra un’aspetto microstrutturale prealpino ben<br />
preservato, anche se le principali fasi mineralogiche, ad eccezione del granato e <strong>della</strong> muscovite, sono<br />
state pervasivamente sostituite, in condizioni statiche, da strutture coronitiche e pseudomorfosi<br />
sviluppatesi durante l’evento metamorfico alpino di alta pressione. Una foliazione relitta, caratterizzata<br />
dalle stesse fasi che definiscono la foliazione prealpina principale, è talvolta preservata in microlitoni.<br />
Sono anche frequenti pseudomorfosi prismatiche sericitico-cloritiche su probabile cianite. In altri casi si<br />
sono osservati aggregati sericitici di forma romboidale all’interno dei quali è cresciuto abbondante<br />
cloritoide alpino in cristalli prismatici allungati privi di orientazione preferenziale dimensionale. Queste<br />
ultime pseudomorfosi sono state ragionevolmente interpretate come relitti di porfiroblasti di staurolite<br />
prealpina. Anche l’originario plagioclasio prealpino si è destabilizzato in aggregati saussuritici, mentre la<br />
biotite è stata sostituita da fengite ricca in inclusioni di rutilo.<br />
Metabasiti a relitti prealpini (cl b)<br />
Si tratta di metabasiti ad albite ed epidoto a struttura listata e di colore verde scuro. Spesso si<br />
riconosce un layering metamorfico che sottolinea la scistosità principale, definito dall’alternanza di<br />
domini anfibolici, di spessore centimetrico, e di domini ad albite ed epidoto, potenti qualche millimetro.<br />
Sulle superfici di scistosità è possibile osservare una lineazione d’estensione definita dall’isorientazione<br />
dell’anfibolo calcico. Costituiscono corpi lenticolari, il cui spessore varia da dimensioni metriche a<br />
decametriche.<br />
Nella conca del Rio Geronda sono state osservate limitate porzioni, non distinguibili<br />
cartograficamente, nelle quali sono presenti relitti di granato. Questo si presenta in porfiroclasti di<br />
dimensioni plurimillimetriche che possono raggiungere anche il centimetro, con un orlo di reazione<br />
bianco, composto da albite ed epidoto, che testimonia in modo chiaro il suo disequilibrio con la<br />
paragenesi prealpina sviluppatasi in facies anfibolitica.<br />
Al microscopio la foliazione prealpina risulta definita da una paragenesi ad anfibolo calcico, albite,<br />
epidoto, titanite in assenza di clorite. Generalmente l’orneblenda prealpina viene parzialmente sostituita<br />
da glaucofane alpino cresciuto in corone. Saltuariamente, in corrispondenza di vene estensionali<br />
sviluppatesi verosimilmente durante l’evento metamorfico di alta pressione, è cresciuto anfibolo sodico<br />
che ha pseudomorfosato il precedente anfibolo calcico. Le metabasiti riequilibrate in condizioni di alta<br />
pressione di età alpina si trovano in corrispondenza dei domini più riequilibrati in condizioni metamorfiche<br />
alpine, all’interno delle masse di anfiboliti ad albite ed epidoto, ma spesso costituiscono corpi lenticolari<br />
di estensione decametrica, associati ai micascisti glaucofanici a prevalente paragenesi alpina. In esse si<br />
osserva una parziale o totale obliterazione <strong>della</strong> paragenesi di medio grado metamorfico. Le metabasiti<br />
completamente riequilibrate in condizioni di alta pressione mostrano una paragenesi a granato-
glaucofane-clorite che definisce una foliazione tettonica riferibile all’evento alpino di alta pressione,<br />
mentre quelle riequilibrate in condizioni di bassa pressione sono caratterizzate d<strong>alla</strong> associazione anfibolo<br />
calcico - clorite - clinozoisite - albite.<br />
Ortogneiss polimetamorfici (cl c)<br />
Gli ortogneiss polimetamorfici affiorano in masse ettometriche nei pressi dei Laghi delle Monache,<br />
nella località Clot delle Selle ed in corrispondenza <strong>della</strong> parete nord del Monte Chabrière, e in corpi<br />
decametrici lungo il Rio Clapier, sul versante destro <strong>della</strong> Val Clarea, sul versante destro del Gran<br />
Bourseg e sul versante sinistro del Rio Geronda. Quando la paragenesi prealpina è ancora preservata si<br />
osservano rocce leucocrate a grana medio-fine a quarzo, grosse lamelle di mica bianca e feldspato.<br />
Benché questa roccia abbia subito un’intensa ricostruzione metamorfica, spesso mostra un aspetto<br />
fabric magmatico è stato parzialmente preservato, come ad esempio<br />
si osserva a quota 2500 m nella conca del Rio Geronda. L’assenza di feldspato alcalino fa presupporre<br />
che l’originario protolite magmatico di queste rocce fosse rappresentato da rocce intrusive a<br />
composizione tonalitica. L’originario contatto intrusivo è stato trasposto e parallelizzato <strong>alla</strong> foliazione<br />
prealpina principale, testimoniando un’età di intrusione chiaramente precedente <strong>alla</strong> deformazione. Solo in<br />
pochi casi è stato possibile osservare la presenza di piccole apofisi, di dimensioni decimetriche, intercalate<br />
negli scisti incassanti.<br />
Gli ortogneiss mostrano una foliazione tettonica concordante con la scistosità prealpina degli scisti<br />
incassanti, definita da muscovite e biotite, ora sostituita da aggregati di età alpina a fengite + glaucofane +<br />
clorite. Piccoli cristalli idioblasti di granato zonato sono molto abbondanti. Nei differenziati più basici<br />
l’originario plagioclasio calcico viene sostituito da un aggregato dactilitico ad albite + epidoto.<br />
Un’età più vecchia <strong>della</strong> foliazione prealpina deve quindi venir ipotizzata per la messa in posto di<br />
queste rocce di natura magmatica. Ortoderivati pre-varisici di composizione acida ed intermedia sono ben<br />
conosciuti e descritti in altre unità polimetamorfiche delle falde di Pontis e Siviez-Mischabel (THÉLIN,<br />
1989; THÉLIN et alii, 1993), ma per la prima volta vengono segnalati ortogneiss pre-ercinici nel<br />
complesso di Clarea.<br />
1.1.1.3. - Complesso d’Ambin<br />
Il complesso d’Ambin è prevalentemente costituito da gneiss occhiadini albitico-cloritici che mostrano<br />
una grande omogeneità composizionale e tessiturale e da gneiss leucocrati a giadeite già segnalati in<br />
letteratura (GAY, 1970a, b, 1972a; CALLEGARI et alii, 1980). Queste rocce sono ritenute di origine<br />
magmatica, vulcanica e/o vulcanoclastica e appartenenti allo stesso complesso magmatico.<br />
Intercalate con le rocce di derivazione magmatica, si rinvengono metapeliti costituite da quarzomicascisti<br />
a clorite con rari boudins di scisti glaucofanici e, in quantità subordinate, da micascisti quarzosi<br />
con rari livelli di metaconglomerati, quarziti e livelli carbonatici. Orto e paraderivati non presentano<br />
continuità laterale e mostrano potenze estremamente variabili probabilmente già dovute a originari<br />
rapporti di eteropia.<br />
La caratterizzazione petrografica delle metapeliti mostra che queste ultime derivano dallo<br />
smantellamento delle rocce magmatiche. In questo quadro gli ortogneiss albitico-cloritici e gli ortogneiss<br />
leucocrati rappresenterebbero il prodotto metamorfico di corpi magmatici effusivi o sub-intrusivi portati<br />
rapidamente in erosione.<br />
L’età degli ortoderivati è sconosciuta, ma vengono considerati di probabile età tardo-varisica, in<br />
accordo con le abbondanti sequenze vulcaniche e vulcano-clastiche di età permo-carbonifera descritte<br />
all’interno del sistema multifalda del Gran San Bernardo (e.g. ESCHER, 1988). Il complesso d’Ambin<br />
mostra inoltre notevoli affinità litostratigrafiche anche con il tegumento permo-carbonifero descritto nel<br />
brianzonese ligure, in Vanoise e nelle falde di Pontis e Siviez-Mischabel (DESMONS & MERCIER, 1993;<br />
THÉLIN et alii, 1993). Nel complesso d’Ambin sono state riconosciute le seguenti unità:<br />
Metaconglomerati e quarziti conglomeratiche (ama)<br />
Costituiscono un orizzonte discontinuo potente fino ad alcune decine di metri <strong>alla</strong> base del complesso<br />
d’Ambin. Sono caratterizzati d<strong>alla</strong> presenza di clasti da millimetrici a centimetrici di quarzo biancastro e<br />
da rari litici gneissico-micascistosi isorientati parallelamente <strong>alla</strong> scistosità regionale e immersi in una<br />
matrice quarzosa con subordinata mica bianca, che conferisce <strong>alla</strong> roccia una caratteristica colorazione<br />
bianco-lattea.
I metaconglomerati presentano passaggi laterali graduali a quarziti conglomeratiche. In entrambi i<br />
litotipi sono presenti diffuse cariature di colore marrone dovute all’alterazione di carbonati ferriferi spesso<br />
concentrati in livelli millimetrico-centimetrici.<br />
Micascisti quarzosi, quarziti, marmi (amb)<br />
Affiorano estesamente a basse quote lungo il versante sinistro <strong>della</strong> Dora Riparia tra Chiomonte e<br />
Salbertrand e nei pressi del Rifugio Vaccarone. Si tratta di un insieme di paraderivati in cui si riconoscono<br />
micascisti quarzosi passanti lateralmente a quarziti che costituiscono bancate decimetrico-metriche,<br />
alternate a livelli di potenza analoga di micascisti a glaucofane, mica chiara, clorite e carbonati. Talvolta il<br />
contenuto in carbonati (generalmente ankerite) è decisamente importante e conferisce <strong>alla</strong> roccia il tipico<br />
aspetto di calcemicascisto caratterizzato, sulle superfici alterate, da diffuse cariature contenenti ossidi e<br />
idrossidi di ferro derivanti dall’alterazione dei carbonati ferriferi. Nella zona tra Ruinas e Maison,<br />
all’interno dei micascisti, si osservano alcuni livelli decimetrici di marmi micacei con colore di alterazione<br />
rossastro.<br />
Nella zona del Rifugio Vaccarone i micascisti a glaucofane, mica chiara e clorite sono più abbondanti.<br />
Sono inoltre presenti discontinui livelli metrici di metaconglomerati a elementi di quarzo di dimensioni<br />
centimetriche e rari litici, in matrice micascistosa.<br />
Gneiss leucocrati a giadeite (amc)<br />
Gneiss molto compatti a grana fine di colore biancastro con caratteristica colorazione rosso ruggine,<br />
affiorano diffusamente allo sbocco <strong>della</strong> Val Clarea e sul versante sinistro <strong>della</strong> Dora Riparia fino ad<br />
Exilles.<br />
Sono rocce molto omogenee costituite da quarzo, albite, mica bianca e, in quantità accessoria, opachi.<br />
Raramente si rinvengono porfiroclasti di K-feldspato al cui interno è presente giadeite relitta già segnalata<br />
da GAY (1972a). La giadeite, pseudomorfa su originaria albite magmatica, si presenta in aggregati<br />
sericitici a grana molto fine associata a quarzo. Talvolta viene sostituita da mica bianca. Sono anche<br />
presenti porfiroclasti magmatici plurimillimetrici di plagioclasio parzialmente sericitizzato. La roccia<br />
presenta inoltre tessitura debolmente scistosa definita dall’isorientazione delle miche.<br />
Interpretati come metatufiti riolitiche (GAY, 1970a, b, 1972a) o come metagranofiri (CALLEGARI et<br />
alii, 1980), mostrano una composizione di tipo alcali-granitico (POGNANTE et alii, 1984). Non sono state<br />
osservate evidenze di terreno che permettano di attribuire a questi corpi magmatici un’origine intrusiva o<br />
effusiva.<br />
Gneiss occhiadini ad albite e clorite (amd)<br />
Gneiss di colore verde chiaro costituiti prevalentemente da quarzo, albite, mica bianca, clorite con<br />
subordinati cloritoide relitto, biotite tardiva e carbonati, costituiscono il litotipo prevalente del complesso<br />
di Ambin. La roccia presenta una foliazione tettonica ben sviluppata definita da mica bianca e clorite ed è<br />
caratterizzata da una tessitura occhiadina definita da aggregati granoblastici plurimillimetrici ad albite,<br />
quarzo, clorite e magnetite cresciuti su pirosseno giadeitico e aggregati a quarzo, clorite e albite cresciuti<br />
su anfibolo sodico. La clorite si presenta in grosse lamelle isolate probabilmente cresciute su originaria<br />
biotite magmatica.<br />
Sono inoltre molto abbondanti i minerali accessori, alcuni dei quali tipici di rocce magmatiche a<br />
chimismo intermedio: opachi (ilmenite e magnetite), rutilo trasformato in titanite, tormalina, zircone,<br />
apatite ed epidoto.<br />
Considerati come il prodotto metamorfico di grovacche (DESMONS & MERCIER, 1993), vengono<br />
interpretati come rocce di origine magmatica vulcanica e/o vulcanoclastica in base alle caratteristiche<br />
petrografiche e <strong>alla</strong> omogeneità composizionale e tessiturale su tutta l’area.<br />
Micascisti quarzosi a clorite (ame)<br />
Micascisti e quarzomicascisti leucocrati a grana media di colore bianco e con foliazione ben sviluppata,<br />
affiorano principalmente nell’alto Vallone Galambra, nella zona di Punta Sommeiller e nella zona Rifugio<br />
Vaccarone - Gros Muttet - Col Clapier. Sono rocce molto omogenee costituite da quarzo, mica bianca,<br />
clorite, cloritoide e carbonati. Localmente passano a quarzomicascisti e quarziti micacee in cui le quantità<br />
di clorite e cloritoide diminuiscono sensibilmente.<br />
Sono stati indicati con un sovrassegno rari boudins di scisti glaucofanici (ame*).<br />
1.1.1.4. - Metadioriti a relitti magmatici (drt)
Nel complesso di Clarea e più diffusamente in quello di Ambin sono presenti corpi tabulari e ammassi<br />
di metadioriti e metagabbri con ancora parzialmente preservata l’originaria tessitura magmatica. Già<br />
segnalati da POGNANTE et alii (1984) sulle pendici del versante sinistro <strong>della</strong> Val Clarea, affiorano anche<br />
nella parte bassa del versante sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa tra Exilles e La Ramat. Si tratta di rocce<br />
massicce di colore verde scuro a grana medio-fine con debole sviluppo di foliazione, nelle quali sono<br />
macroscopicamente riconoscibili i siti degli originari femici magmatici (probabile orneblenda e biotite),<br />
mentre in sezione sottile si riconosce il sito dell’originario plagioclasio.<br />
Presentano una paragenesi costituita da anfibolo calcico, clorite, epidoto, albite, carbonato e quarzo, in<br />
quantità minori sono presenti mica bianca e granato e tra gli accessori rutilo, titanite, zircone e opachi.<br />
La debole foliazione tettonica è definita d<strong>alla</strong> isorientazione di anfibolo, clorite e titanite.<br />
In base ai rapporti con le rocce incassanti queste rocce sono interpretate come originari corpi filoniani.<br />
1.1.2. - Copertura mesozoica<br />
Quarziti d’Etache (qet)<br />
Affiorano in corrispondenza del massiccio <strong>della</strong> Rognosa d’Etiache, ai piedi <strong>della</strong> parete sudorientale<br />
del M. Segurét e <strong>alla</strong> base del versante sinistro <strong>della</strong> Val di Susa, tra Pont Ventoux ed il Rio Segurét.<br />
Sono costituite da un’alternanza di scisti sericitici e quarziti conglomeratiche poggianti sui diversi<br />
Gli scisti sericitici, di colore grigio-verdastro, costituiscono livelli di spessore da centimetrico a<br />
decametrico e sono formati prevalentemente da mica chiara e quarzo, con tormalina e zircone di chiara<br />
origine detritica in quantità accessorie; caratteristica distintiva è una scistosità pervasiva che registra le fasi<br />
deformative tardive come un clivaggio di crenulazione che localmente evolve in una nuova scistosità di<br />
piano assiale. Il passaggio con i sottostanti gneiss del complesso d’Ambin è graduale e viene interpretato<br />
come stratigrafico.<br />
Le quarziti massicce conglomeratiche, di colore verde pallido e ad alterazione grigio-nocciola,<br />
costituiscono bancate di spessore da centimetrico a decametrico. Sono costituite prevalentemente da<br />
quarzo, con subordinata mica chiara, rari individui millimetrici di feldspato alcalino e sporadica albite; tra<br />
i minerali accessori è da segnalare l’abbondanza di zircone. Sono inoltre presenti, in quantità variabili,<br />
clasti subangolosi di quarzo rosa a lucentezza vitrea le cui dimensioni, solitamente millimetriche, possono<br />
essere occasionalmente centimetriche.<br />
La locale presenza di bancate ad alterazione rugginosa intercalate alle normali bancate di colore verde<br />
pallido può conferire al litotipo un aspetto a bande. Quest’ultima varietà affiora <strong>alla</strong> base <strong>della</strong> parete<br />
settentrionale di Punta Galambra.<br />
Questi metasedimenti, sebbene ampiamente citati in letteratura, sino agli inizi degli anni ‘70, non erano<br />
stati distinti dai restanti termini <strong>della</strong> copertura. Solo GAY (1970a, b; 1972a, b) ha definito questa<br />
successione come “Groupe d’Etache”.<br />
Sulla base <strong>della</strong> loro posizione stratigrafica, sono attribuite al Permiano sup. (?) - Triassico inferiore.<br />
Quarziti del Rio Segurét (qse)<br />
Affiorano estesamente nel settore <strong>della</strong> Rognosa di Etiache e in destra orografica <strong>della</strong> Dora Riparia<br />
tra Beaume e C.na Portetta. Altri affioramenti sono stati rinvenuti sul versante orientale del Monte<br />
Segurét e del Monte Pramand, lungo la cresta di confine con la Francia, tra il Colle dell’Agnello e la<br />
Rocca d’Ambin e nei pressi di Exilles. Si rinvengono inoltre in scaglie tettoniche lungo contatti maggiori<br />
al Colle di Etache e lungo la cresta Toasso Bianco - Grange Marzo.<br />
Le quarziti del Rio Segurét, di colore bianco e ad alterazione bianco-gi<strong>alla</strong>stra, presentano un fabric<br />
massiccio ed una composizione prevalentemente quarzosa con sporadica mica chiara. Costituiscono<br />
bancate molto regolari, di spessore da decimetrico a metrico. La grana <strong>della</strong> roccia è fine ed omogenea: la<br />
mica chiara si concentra soprattutto lungo i piani delimitanti le bancate. Il passaggio con le sottostanti<br />
quarziti d’Etache è stratigrafico e avviene in modo graduale.<br />
Lo spessore di questi metasedimenti è estremamente variabile: le potenze maggiori si riscontrano in<br />
corrispondenza del Massiccio <strong>della</strong> Rognosa d’Etiache (circa 250 metri) e nei pressi di Beaume, mentre<br />
altrove questi metasedimenti sono potenti solo alcuni metri. Inoltre, in alcune località (ponte sulla Dora<br />
tra Exilles e Chiomonte, Val Clarea) essi sono assenti e la parte restante <strong>della</strong> successione mesozoica<br />
poggia direttamente sul basamento pretriassico. Localmente (Colle del Sommeiller) sono presenti quarzomicascisti<br />
a cloritoide (qse a)
Le quarziti del Rio Segurét costituiscono il prodotto metamorfico di sedimenti quarzoarenitici deposti<br />
in ambiente littorale (LORENZONI, 1965) e vengono attribuite al Triassico inferiore (Werfeniano) per<br />
analogia litologica con le successioni brianzonesi (ELLENBERGER, 1958; LORENZONI, 1965; ALLENBACH<br />
& CARON, 1986).<br />
Marmi di Exilles (mex)<br />
Poggiano con un contatto netto sulle quarziti del Rio Segurét (Beaume, versante meridionale del<br />
Segurét e del Pramand) o direttamente sul basamento pretriassico (Exilles, ponte sulla Dora tra Exilles e<br />
Chiomonte). Sono metasedimenti prevalentemente carbonatici, potenti pochi metri e costituiti da:<br />
a) scisti carbonatici scuri, con ciottoli arrotondati di dolomie rosate e di quarziti (M. Segurét) e<br />
talvolta livelli lenticolari di marmi dolomitici (M. Pramand). Localmente la successione inizia con quarziti<br />
micacee e micascisti, facilmente confondibili con il basamento pretriassico. L’attribuzione di questi livelli<br />
alle coperture mesozoiche si basa sulla presenza di livelli di marmi nocciola e calcescisti intercalati alle<br />
quarziti. Queste ultime possono essere interpretate come livelli detritici mentre i marmi ed i calcescisti<br />
come il sedimento pelagico.<br />
b) marmi nocciola a patina chiara in livelli di potenza metrica contenenti localmente livelli di quarziti<br />
micacee (M. Pramand, C.na Portetta) o ciottoli decimetrici di dolomie rosate (M. Segurét). Al ponte sulla<br />
Dora e a Exilles, si osservano brecce ad elementi quarzitici e carbonatici, con matrice costituita da marmi<br />
scuri spesso di aspetto fluidale. I clasti carbonatici sono rappresentati sia da dolomie e calcari dolomitici<br />
sia da marmi cristallini a grana grossa interpretabili come encriniti.<br />
Calcescisti <strong>della</strong> Beaume (cbe)<br />
Sono costituiti da calcescisti albitici a rara mica bianca e quarzo a patina di alterazione marroncina<br />
contenenti clasti e livelli discontinui di quarziti micacee ricche in carbonato ed orizzonti di brecce a clasti<br />
centimetrici di marmi, dolomie e micascisti. Gli affioramenti più significativi sono localizzati nel settore di<br />
Beaume, al ponte sulla Dora (Exilles) e <strong>alla</strong> Rocca d’Ambin. Altri affioramenti sono stati rinvenuti nei<br />
pressi del Rifugio Vaccarone e allo sbocco <strong>della</strong> Val Clarea. In questa località, i calcescisti <strong>della</strong> Beaume<br />
poggiano direttamente sul basamento pretriassico (complesso d’Ambin) e contengono clasti decimetrici<br />
arrotondati di marmi mineralizzati nerastri (hard grounds ?).<br />
Corrispondono all’ ensemble carbonaté superieur di ALLENBACH & CARON (1986) e sono da questi<br />
autori attribuiti al Cretacico superiore.<br />
Secondo ALLENBACH (1982) e ALLENBACH & CARON (1986) la successione rappresentata dai marmi<br />
di Exilles e dai calcescisti <strong>della</strong> Beaume è fortemente lacunosa. Questi autori riferiscono i metasedimenti<br />
carbonatici qui cartografati come marmi di Exilles al Giurassico medio-superiore (intervallo a,<br />
corrispondente al loro “ensemble inferieur”) e al Malm (intervallo b, corrispondente al loro “ensemble<br />
carbonaté inferieur”); i calcescisti <strong>della</strong> Beaume sono invece riferiti al Cretacico superiore - Paleocene<br />
per analogia con i Marbres cloriteux delle successioni brianzonesi, che sono datati paleontologicamente.<br />
L’assenza di datazioni rende tuttavia altamente speculativa ogni attribuzione cronologica. Gli unici<br />
sedimenti facilmente correlabili con le successioni brianzonesi sono i “calcescisti <strong>della</strong> Beaume”<br />
(Cretacico superiore - Paleocene). L’esigua potenza <strong>della</strong> successione, l’assenza di superfici di<br />
discontinuità evidenti e l’elevata componente terrigena suggeriscono che tutta la successione si è deposta<br />
in questo intervallo di tempo e che quindi anche i marmi di Exilles siano da riferire al Cretacico superiore.<br />
1.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VALLONETTO<br />
Affiora estesamente tra l’alto vallone di Rochemolles e il Monte Pramand ed è interposta tra le unità<br />
del Vin Vert, <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e di Valfredda a tetto e l’unità dell’Ambin a letto. Il contatto<br />
tettonico di base corrisponde ad un piano di sovrascorrimento a basso angolo, sottolineato da brecce<br />
tettoniche. Costituisce inoltre klippen poggianti tramite piani a basso angolo sul Massiccio d’Ambin ed<br />
affioranti al Monte Niblé, <strong>alla</strong> Rocca d’Ambin e lungo la cresta Monte Clopaca - Cima del Vallone - Cima<br />
dei Quattro Denti. Altri affioramenti si rinvengono infine nei pressi del Rifugio Vaccarone. Scaglie<br />
tettoniche di limitata estensione in sinistra orografica <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, tra Constans e Savoulx,<br />
sono tettonicamente imb<strong>alla</strong>te nei gessi.<br />
I metasedimenti sono caratterizzati da una foliazione di natura traspositiva sviluppatasi in condizioni<br />
sincinematiche rispetto allo sviluppo delle paragenesi in facies scisti blu di alta T (mica bianca, clorite,<br />
epidoto, glaucofane ± cloritoide e rutilo). Si osserva inoltre una riequilibrazione in facies scisti verdi<br />
sviluppatasi in condizioni sostanzialmente statiche e caratterizzata d<strong>alla</strong> blastesi di albite peciloblastica a<br />
spese di mica bianca e di biotite su clorite.
La successione stratigrafica, estremamente tettonizzata, può essere ricostruita in tutto il suo sviluppo<br />
Dal basso all’alto stratigrafico essa è costituita da:<br />
(dse)<br />
Costituiscono le imponenti falesie <strong>della</strong> cresta Monte Segurét - Cima del Vallonetto - Truc Peyron;<br />
altri affioramenti si rinvengono al Monte Pramand, nell’alto Vallone di Rochemolles e nella parte alta<br />
<strong>della</strong> Valfredda (Roche Ronde). Sono costituite da dolomie grigio-rosate e da dolomie grigie a patina di<br />
alterazione gi<strong>alla</strong>stra, in bancate massicce di potenza da decimetrica a metrica, cui si intercalano livelli di<br />
calcari dolomitici nerastri fetidi. Localmente (alto vallone di Rochemolles) si rinvengono livelli di calcari<br />
dolomitici con abbondanti gallerie di bioturbazione a sezione subcircolare, che possono essere confrontati<br />
con i “Calcaires vermiculés” delle successioni mediotriassiche brianzonesi.<br />
Interpretati come depositi caotici ad enormi blocchi (megabrecce), deposti al piede di scarpate di faglie<br />
distensive di presunta età giurassica da ALLENBACH & CARON (1986), vengono qui considerati, in<br />
accordo con LORENZONI (1965), come depositi di piattaforma carbonatica, cui viene attribuita un’età<br />
mediotriassica per correlazione con le successioni brianzonesi.<br />
Marmi de I Frati (mfr)<br />
Affiorano nell’alto Vallone di Rochemolles (I Frati, cresta Passo di Valfredda - Passi dei Fourneaux), e<br />
lungo la cresta settentrionale del Vallonetto. Si tratta di marmi grigio-biancastri dal tipico aspetto<br />
laminato, rosa sulla superficie alterata e ricchi in mica bianca. Molto spesso questi metasedimenti sono<br />
brecciati e cataclasati ed assumono l’aspetto di “carniole” (ad es. lungo la cresta Passo di Valfredda -<br />
Passo dei Fourneaux).<br />
Sulla base <strong>della</strong> posizione stratigrafica, i marmi de I Frati rappresentano l’equivalente, più metamorfico<br />
Marbres de Guillestre” delle successioni brianzonesi. Sono ritenuti quindi di età<br />
giurassica superiore (Malm).<br />
Complesso del Vallonetto (cvl)<br />
Affiora nell’alto vallone di Rochemolles, sui versanti meridionale e sudoccidentale <strong>della</strong> Cima del<br />
Vallonetto, lungo la cresta Monte Clopaca - Cima del Vallone, e nel settore del Monte Niblé - Rifugio<br />
Vaccarone, ove costituisce un klippe tettonicamente sovrapposto a termini diversi appartenenti all’unità<br />
tettonostratigrafica del Massiccio d’Ambin.<br />
E’ costituito da calcescisti e calcemicascisti bruni, caratterizzati dall’alternanza di livelli submillimetrici<br />
di colore grigio-biancastro a composizione prevalentemente quarzosa e di livelli grigio scuri<br />
prevalentemente fillosilicatici. Queste rocce, a patina di alterazione brunastra, sono caratterizzate da una<br />
scistosità pervasiva irregolarmente crenulata.<br />
Il klippe del M. Niblé è rappresentato nella cartografia precedente come di pertinenza “piemontese”<br />
(<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1911a, LORENZONI, 1965; FUDRAL et alii, 1994). Tuttavia l’esistenza di<br />
calcescisti carbonatici massicci a patina di alterazione ocra simili ai “Marbres cloriteux “ delle successioni<br />
brianzonesi e di livelli di scisti quarzoso-micacei (cvl b) analoghi a quelli del Vallone di Rochemolles,<br />
l’assenza di ofioliti e la posizione geometrica suggeriscono di interpretare questo settore come<br />
appartenente al complesso del Vallonetto.<br />
Considerando la posizione stratigrafica e la somiglianza di alcuni livelli con i metasedimenti di età<br />
cretacica delle successioni brianzonesi, il complesso del Vallonetto è riferito al Cretacico superiore.<br />
Entro i calcescisti del complesso del Vallonetto sono assai diffuse le intercalazioni di livelli detritici.<br />
Sono stati distinti:<br />
- cvl a: brecce poligeniche a cemento carbonatico ad elementi quarzitici, dolomitici e carbonatici, e<br />
quarziti bianco-verdastre contenenti clasti dolomitici e carbonatici. Sono ben esposte nell’alto vallone di<br />
Rochemolles e lungo la cresta M. Segurét - Cima del Vallonetto. Sul versante meridionale <strong>della</strong> cresta<br />
Punta Valfredda - Passi dei Fourneaux sono presenti, intercalati nei calcemicascisti bruni, corpi<br />
decametrici di dolomie triassiche interpretate come olistoliti;<br />
- cvl b: micasciti quarzoso-micacei e gneiss, contenenti clasti dolomitici rosati di dimensioni fino a<br />
decimetriche (basamento ricostituito Auct.) Sono particolarmente diffusi lungo la cresta Segurét - Cima<br />
del Vallonetto e al Monte Niblé, ove costituiscono livelli di potenza decametrica che sottolineano le<br />
principali strutture plicative.<br />
Infine sulla cresta M. Segurét - Cima del Vallonetto è stata indicata con questa sigla anche una scaglia<br />
tettonica, imb<strong>alla</strong>ta entro i metasedimenti del complesso del Vallonetto, costituita da scisti cloriticoanfibolici<br />
completamente retrocessi in facies scisti verdi.
1.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI GAD<br />
Affiora lungo la Valle <strong>della</strong> Dora Riparia, in scaglie tettoniche a forma di losanga che sottolineano la<br />
zona di taglio ad alto angolo a direzione circa N60E, che separa il Massiccio d’Ambin dalle unità<br />
ofiolitiche. Scaglie tettoniche di limitata estensione sono state inoltre rinvenute, nella stessa posizione<br />
strutturale, in bassa Val Clarea. I metasedimenti mostrano una foliazione di natura tettonica definita da<br />
mica bianca e clorite al cui interno sono preservate pseudomorfosi prismatiche di mica bianca, carbonati<br />
ed opachi su originaria lawsonite.<br />
Considerata di pertinenza piemontese esterna da CARON (1977), l’unità tettonostratigrafica di Gad<br />
presenta una successione che può essere agevolmente confrontata con quelle del dominio brianzonese.<br />
Tale successione può essere osservata in tutto il suo sviluppo solo tra Gad e Salbertrand, poiché nelle<br />
altre località di affioramento è sempre troncata da contatti tettonici.<br />
Dal basso all’alto sono stati distinti i seguenti termini:<br />
Dolomie di Gad (dga)<br />
Dolomie grigie a patina di alterazione chiara, in bancate dello spessore di 40/50 cm, senza evidenti<br />
strutture sedimentarie preservate, cui si intercalano localmente livelli di brecce a clasti dolomitici spigolosi<br />
(brecce intraformazionali) e di marmi biancastri a grana fine, a frattura concoide (Chiomonte). A Est di<br />
Pra Piano, alle dolomie si intercalano inoltre livelli di potenza metrica di argilloscisti nerastri.<br />
Le dolomie di Gad, potenti circa 200 m tra Gad e Salbertrand, rappresentano facies di piattaforma<br />
carbonatica. In questi metasedimenti ZACCAGNA (1887) ha rinvenuto, nei pressi di Gad d’Oulx, alcuni<br />
fossili successivamente determinati da PORTIS (1889) come appartenenti ai generi Natica, Myophoria e<br />
Lima. Su queste basi le dolomie di Gad sono attribuite al Triassico medio (Anisico).<br />
Brecce di Serre Blanche (bsb)<br />
Brecce a matrice dolomitica con clasti sia dolomitici che quarzitici. Costituiscono un livello<br />
discontinuo, potente alcuni metri, poggiante sulle sottostanti dolomie tramite una evidente superficie<br />
erosionale. Seguono quarziti micacee biancastre che talvolta poggiano direttamente sulle dolomie<br />
triassiche. Gli affioramenti più significativi di questa successione sono localizzati a Est di Gad.<br />
Localmente (stazione ferroviaria di Exilles), questo intervallo detritico è rappresentato da micascisti<br />
verdastri ricchi in clorite, direttamente sovrapposti alle dolomie.<br />
L’età delle brecce di Serre Blanche è sconosciuta. Considerando la loro posizione stratigrafica,<br />
vengono dubitativamente riferite al Giurassico.<br />
Calcescisti di Monfol (cmo)<br />
Calcescisti carbonatici massicci, a patina di alterazione ocra, costituiti da prevalente calcite cui si<br />
associano mica bianca, quarzo e rara albite. Costituiscono bancate massicce di potenza metrica, affioranti<br />
esclusivamente a NW di Monfol. Questi metasedimenti, interpretabili come depositi di tipo pelagico,<br />
contengono frequenti intercalazioni da decimetriche a metriche di calcemicascisti ricchi in quarzo,<br />
corrispondenti ad originari livelli detritici terrigeni e localmente (Cappella di S. Domenico) di quarziti<br />
micacee massicce.<br />
I calcescisti di Monfol sono confrontabili, sia come facies che come posizione stratigrafica, con i<br />
“Marbres cloriteux” delle successioni brianzonesi e sono pertanto riferiti al Cretacico superiore.<br />
1.4. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI VALFREDDA<br />
Affiora nell’alto vallone di Valfredda, ed è costituita da una potente successione di margine<br />
CARON (1977) CARON & GAY (1977) e ALLENBACH & CARON (1986).<br />
E’ giustapposta all’unità del Vin Vert per mezzo di una faglia subverticale a direzione NW-SE; a NW è<br />
sovrascorsa dall’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle. Il piano di sovrascorrimento a basso angolo è evidenziato<br />
da un allineamento di sorgenti incrostanti. A NE è accav<strong>alla</strong>ta sull’unità del Vallonetto. Il piano di<br />
sovrascorrimento è troncato da una faglia subverticale a direzione NW-SE.<br />
Sono state distinte le seguenti unita litostratigrafiche:<br />
Dolomie dello Chaberton (dch)
Dolomie stratificate grigie, a patina di alterazione biancastra, in bancate massicce di potenza metrica.<br />
Al tetto degli strati si riconoscono frequentemente lamine ondulate di spessore millimetrico, di probabile<br />
origine algale, e brecce da disseccamento a clasti piatti che testimoniano una deposizione avvenuta in<br />
ambiente tidale. Potenti alcune decine di metri, sono stati attribuite al Norico per analogia litologica con<br />
le successioni piemontesi di margine continentale, datate paleontologicamente (ad es. MEGARD GALLI,<br />
1974; POLINO et alii, 1983) ed affioranti <strong>alla</strong> base <strong>della</strong> successione dell’unità dello Chaberton - Grand<br />
Hoche - Grand Argentier.<br />
Scisti di Côte Belle (ccb)<br />
Costituiti da scisti filladici alternati a marmi grigi di aspetto “nodulare” e a livelli di dolomie a<br />
lumachelle. Affiorano esclusivamente in destra orografica del Rio Segurét, a quota 2800 circa, ove<br />
poggiano con contatto netto sulle sottostanti dolomie e sono potenti alcuni metri. Lateralmente, gli scisti<br />
di Côte Belle mancano per erosione e le dolomie dello Chaberton sono seguite direttamente dai<br />
metasedimenti carbonatici del complesso di Valfredda.<br />
Nonostante il limitato spessore, gli scisti di Côte Belle sono confrontabili con i metasedimenti datati al<br />
Retico - Hettangiano delle successioni del Pic de Roche Brune (DUMONT, 1983) e dello Chaberton -<br />
Grand Hoche (POLINO et alii, 1983). Si tratta di originari sedimenti di piattaforma esterna, testimonianti<br />
il progressivo annegamento <strong>della</strong> piattaforma carbonatica norica.<br />
Complesso di Valfredda<br />
Unità litostratigrafica costituita prevalentemente da calcescisti, in cui sono stati distinti:<br />
- cva: alternanze di calcescisti a patina rugginosa a mica bianca, clorite, glaucofane e di marmi grigioscuri<br />
in livelli di potenza decimetrica. A questi metasedimenti si intercalano potenti livelli di brecce a<br />
cemento carbonatico (cva a) che localmente (Grange di Valfredda) poggiano direttamente sulle dolomie<br />
noriche tramite un’evidente superficie erosionale. Le brecce sono costituite da clasti eterometrici di<br />
dimensioni da centimetriche a metriche di rocce carbonatiche (dolomie, marmi scuri) e silicee (quarziti<br />
micacee, micascisti). Questi ultimi sono decisamente preponderanti, raggiungono dimensioni cospicue e<br />
sono spesso spigolosi ed allungati. La potenza delle brecce diminuisce verso il tetto <strong>della</strong> successione.<br />
L’età dei metasedimenti sopra descritti non è conosciuta. Sulla base <strong>della</strong> loro posizione stratigrafica<br />
essi vengono riferiti al Giurassico, in accordo con ALLENBACH & CARON (1986);<br />
- cvb: scisti filladici nerastri, con rare intercalazioni carbonatiche. Questi metasedimenti, affiorano per<br />
poche decine di metri lungo la cresta Vallonetto - Vin Vert e rappresentano facies di black shales riferibili<br />
<strong>alla</strong> parte alta del Cretacico inferiore (DUMONT, 1983; POLINO et alii, 1983; ALLENBACH & CARON,<br />
1986);<br />
- cvc: calcescisti grigiastri a patina di alterazione rugginosa, fissili, dal tipico detrito in scaglie<br />
decimetriche. Affiorano all’estremità sud-occidentale <strong>della</strong> cresta Vallonetto - Vin Vert, ove poggiano<br />
con contatto netto sulle facies tipo black shale (cvb) e su entrambi i versanti <strong>della</strong> Valfredda, ove<br />
riposano in discordanza sui metasedimenti riferiti al Giurassico (cva).<br />
I calcescisti possono essere confrontati con i termini sommitali <strong>della</strong> successione dell’unità dello<br />
Chaberton - Grand Hoche e vengono pertanto riferiti al Cretacico superiore (Aptiano? - Cenomaniano?<br />
secondo ALLENBACH & CARON, 1986). Mostrano una foliazione tettonica definita da mica bianca, clorite<br />
± rutilo e rara biotite tardiva.<br />
1.5. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLO CHABERTON - GRAND HOCHE - GRAND ARGENTIER<br />
Affiora estesamente nel settore SW del foglio, lungo la dorsale Punta Clotesse - Punta Charrà, a tetto<br />
dell’unità oceanica del Lago Nero su cui riposa tramite un piano di sovrascorrimento a basso angolo. Altri<br />
affioramenti, più limitati come estensione, si rinvengono a Ovest dell’abitato di Melezet sino <strong>alla</strong> cresta di<br />
confine con la Francia, tra il Colle <strong>della</strong> Rho e la Punta Nera (Grand Argentier). Questi affioramenti sono<br />
interpretabili come scaglie pizzicate nella zona di taglio che separa l’unità tettonostratigrafica dei Re Magi<br />
dalle successioni a prevalenti calcescisti dell’unità del Lago Nero.<br />
La successione stratigrafica, osservabile in tutto il suo sviluppo lungo la dorsale Grand Hoche - Punta<br />
Charrà, è costituita da una potente successione di margine continentale, di grado metamorfico molto<br />
MARINI et alii, 1983), che conserva ancora abbastanza chiaramente i caratteri<br />
sedimentari originari nonostante la deformazione alpina. E’ l’unica unità tettonostratigrafica in cui sono<br />
stati ritrovati fossili in buon stato di conservazione.<br />
La successione è costituita da:
Dolomie dello Chaberton (dcb)<br />
Successione ciclica di banchi di spessore da decimetrico a metrico di dolomie grigio scure <strong>alla</strong> base,<br />
interpretabili come depositi da sub- a intertidali, e di dolomie chiare a strutture di disseccamento di<br />
ambiente supratidale. Frequentemente i banchi sono separati da sottili interstrati pelitici grigi o neri. Nella<br />
parte alta <strong>della</strong> successione questi possono formare livelli potenti alcuni centimetri e riempire anche<br />
fratture da disseccamento formate al tetto dei banchi dolomitici. Sono presenti anche locali corpi di<br />
brecce interpretate come riempimento di canali tidali. Sono potenti diverse centinaia di metri, ed hanno<br />
età norica confermata da faune a gasteropodi (Wortenia contabulata), Lamellibranchi (Myophoria<br />
inaequicostata, Gervilleia exilis, Avicula contorta, Megalodon sp.), foraminiferi (Glomospirella cfr.<br />
parallela, Agathammina sp.?) ed alghe dasicladacee (Diplopora pauciforata, Gyroporella aequalis, G.<br />
curvata) (MEGARD GALLI, 1974; POLINO et alii, 1983).<br />
Calcari di Côte Belle (ccl)<br />
Alternanza di argilloscisti più o meno carbonatici, calcari talora nodulari e dolomie a lumachelle. Lo<br />
spessore di questa successione varia da pochi metri sino ad un massimo di 150 nel Massiccio di<br />
Rochebrune dove è stata definita. Nell’area del foglio supera raramente le poche decine di metri. Questa<br />
successione rappresenta la transizione tra i depositi di piattaforma carbonatica sottostanti e quelli pelagici<br />
del complesso di Les Arbours e sottolinea l’inizio <strong>della</strong> distensione liassica del dominio piemontese. L’età<br />
è compresa nell’intervallo Retico-Hettangiano, grazie al ritrovamento di coralli (Astreomorpha sp.,<br />
Thamnasteria sp., Stylaphyllium sp., Oppelismilia sp., Thecosmilia sp.), brachiopodi (Terebratula<br />
gregaria), lamellibranchi (Gryphaea arcuata, Rhaetavicula contorta, Dymiopsis intusstriata, Ostrea<br />
heidingeriana, Lopha sp., Cardita austriaca, C. munita, Chlamis falgeri) e crinoidi (Isocrinus sp.)<br />
(POLINO et alii, 1983).<br />
Complesso di Les Arbours (car)<br />
E’ costituito da un complesso di calcescisti, largamente affiorante sul versante NE <strong>della</strong> dorsale Grand<br />
Hoche - Punta Charrà, che testimonia il progressivo annegamento <strong>della</strong> piattaforma carbonatica norica. Al<br />
suo interno sono stati distinti:<br />
- car a: alternanza di marmi e filladi, potenti circa 120 metri, che <strong>alla</strong> Grand Hoche hanno conservato<br />
una fauna a belemniti ed ammoniti in genere indeterminabili, tra le quali è stato ritrovato un esemplare<br />
incompleto di Echioceras sp. (POLINO et alii, 1983) indicante un’età sinemuriana sup.;<br />
- car b: un intervallo di calcescisti con intercalazioni di livelli detritici grossolani che testimoniano<br />
probabilmente le fasi distensive liassiche legate all’apertura <strong>della</strong> Neotetide;<br />
- car c: un orizzonte siliceo costituito da quarziti micacee varicolori, interpretate come l’equivalente<br />
degli orizzonti silicei, di età compresa tra l’Oxfordiano ed il Kimmeridgiano, associati alle ofioliti <strong>della</strong><br />
porzione oceanica del bacino;<br />
- car d: brecce a cemento carbonatico a clasti calcareo-dolomitici e silicei (quarziti, micascisti), in corpi<br />
lenticolari potenti 2-3 m (Ovest di Melezet).<br />
Complesso <strong>della</strong> Grand Hoche (cgh)<br />
E’ costituito da una potente successione carbonatico-terrigena, considerata di età cretacica per<br />
inquadramento, al cui interno sono stati distinti:<br />
- cgh a: calcescisti, passanti verso l’alto a marmi grigiastri con sottili livelli silicei (Titoniano-<br />
Neocomiano?);<br />
- cgh b: filladi grigio-nerastre interpretate come l’equivalente metamorfico delle argilliti nere di età<br />
aptiano-cenomaniana diffuse in tutto il dominio <strong>della</strong> Tetide e dell’Atlantico settentrionale. Verso l’alto,<br />
questi metasedimenti passano a calcescisti grigiastri, contenenti sottili intercalazioni arenacee, che<br />
possono essere interpretati come un deposito di tipo flyscioide.<br />
1.6. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEI RE MAGI<br />
E’ stata delimitata e cartografata all’estremità occidentale del foglio, lungo la cresta di confine con la<br />
Francia, tra il Col des Acles ed il Colle <strong>della</strong> Rho. Riposa tramite una zona di taglio Est-vergente a basso<br />
angolo, ripresa da faglie subverticali a direzione circa NS, sull’unità oceanica del Lago Nero o sulla<br />
successione dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier. La zona di taglio è contrassegnata da un<br />
grande sviluppo di brecce tettoniche (Punta delle Tre Croci) e da gessi (Rio Fosse).
Questa unità tettonostratigrafica è costituita al suo interno da tre unità geometriche sovrapposte da<br />
piani di sovrascorrimento a basso angolo, questi ultimi contrassegnati da brecce tettoniche a spese di<br />
dolomie. L’unità strutturale intermedia forma una grande piega coricata Est-vergente, ad asse NNE-SSW,<br />
ben visibile sul versante orientale <strong>della</strong> catena dei Re Magi. Nel suo insieme, questa unità non mostra<br />
evidenze di riequilibrazione metamorfica. E’ tuttavia presente una debole foliazione di natura tettonica,<br />
definita dall’orientazione preferenziale dimensionale (OPD) <strong>della</strong> mica bianca, osservabile solo in rari<br />
livelli arricchiti in silicati.<br />
La successione stratigrafica è costituita da:<br />
Micascisti (mcr)<br />
Visibili in due affioramenti lungo il contatto tettonico <strong>alla</strong> base dell’unità (Comba <strong>della</strong> Gorgia e quota<br />
2.545 ad Est di Pian dei Morti), sono costituiti da micascisti cloritico-albitici a grana fine di colore verdenerastro<br />
± milonitici. Sono stati interpretati come scaglie di substrato pretriassico brianzonese implicate<br />
nella zona di taglio basale.<br />
Complesso dei Re Magi (crm)<br />
Si tratta una potente successione calcareo dolomitica mediotriassica in facies di piattaforma<br />
carbonatica, a chiara affinità brianzonese, descritta in dettaglio da CABY (1964). Lungo la cresta<br />
meridionale <strong>della</strong> Punta delle Quattro Sorelle, sono state distinte le seguenti subunità litostratigrafiche:<br />
- crm a: dolomie scure a patina di alterazione grigia e calcari bioturbati assimilabili ai “Calcaires<br />
vermiculés” delle successioni brianzonesi (Anisico);<br />
- crm b: calcari grigio-scuri, talvolta a patina di alterazione rossastra, con al tetto calcari bioturbati di<br />
aspetto “tigrato” (Ladinico inferiore); dolomie e calcari dolomitici grigio-scuri, talvolta “fetidi”, con livelli<br />
di brecce dolomitiche a clasti arrotondati, assimilabili alle “<br />
brianzonesi (Ladinico sup.); dolomie biancastre e dolomicriti a patina di alterazione chiara, in strati sottili,<br />
alternati a dolomie grigio-scure (Ladinico sommitale). In quest’ultima facies è stato rinvenuto, <strong>alla</strong> base<br />
<strong>della</strong> cresta NE delle Quattro Sorelle, un livello di probabili cineriti triassiche.<br />
Marmi rosati (mrm)<br />
Marmi rosati laminati, intensamente ripiegati, correlabili con i “Marbres de Guillestre” delle<br />
successioni brianzonesi e pertanto ritenuti di età giurassica superiore. Affiorano sporadicamente <strong>alla</strong><br />
testata <strong>della</strong> Comba <strong>della</strong> Gorgia.<br />
Calcescisti carbonatici (ccm)<br />
Calcescisti carbonatici massicci, a patina di alterazione di colore ocraceo, costituiti da prevalente<br />
calcite cui si associano mica bianca, quarzo e rara albite. Affiorano sporadicamente <strong>alla</strong> testata <strong>della</strong><br />
Comba <strong>della</strong> Gorgia e sono correlati ai “Marbres cloriteux” delle successioni brianzonesi (Cretacico<br />
sup.).<br />
2. - UNITA’ OCEANICHE<br />
2.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’ALBERGIAN<br />
Affiora per una limitata estensione in destra orografica del Torrente Chisone, al margine SE del foglio,<br />
ed è separata dall’unità di Cerogne-Ciantiplagna da una fascia di deformazione subverticale a direzione<br />
circa N60E. Questa struttura, di estensione regionale, si estende da Cervières (nella valle <strong>della</strong> Durance)<br />
al Colle delle Finestre (v. schema tettonometamorfico). Nell’area del foglio controlla l’orografia dell’alta<br />
Valle Chisone ed è visibile solo come strutture fragili minori nella parte alta dei versanti.<br />
L’unità tettonostratigrafica dell’Albergian è interpretata come un’unità oceanica perché al margine<br />
meridionale del foglio (Gran Muels) e più a Sud, nel Foglio “Cesana”, affiorano rocce basaltiche<br />
corrispondenti ad un vero e proprio substrato oceanico ed una copertura ridotta che mostra affinità liguri.<br />
Soprattutto le metabasiti mostrano spettacolari associazioni metamorfiche in facies scisti blu. La<br />
successione stratigrafica è costituita da:<br />
Metabasalti (met)
Sono rappresentati generalmente da prasiniti listate ricche in anfibolo sodico. Talora sono preservate<br />
(Gran Muels) strutture brecciate primarie, corrispondenti in certi casi ad autoclastiti ed in altri a brecce<br />
sedimentarie risedimentate. Sono inoltre presenti rari livelli di brecce ad elementi di gabbro.<br />
Copertura ofiolitica indifferenziata (sco)<br />
Una sottile successione metasedimentaria ad affinità ligure è talora associata alle ofioliti <strong>della</strong> Punta<br />
Gran Muels e dell’Albergian. Si riconoscono quarziti (Radiolariti?), marmi chiari (Calcari a Calpionelle?),<br />
alternanze di marmi e scisti non carbonatici (Fm. de la Replatte - Scisti a Palombini?) ed infine micascisti<br />
nerastri (black shales?). Questa successione poggia con contatto netto sulle metabasiti e a causa del<br />
limitato spessore è stata rappresentata in modo comprensivo.<br />
Calcescisti (acs)<br />
Successione monotona di scisti ± carbonatici indifferenziati e calcescisti marmorei a grana grossolana<br />
che affiorano estesamente al di sotto delle ofioliti e relative coperture dell’Albergian e del Gran Muels.<br />
Microscopicamente sono state osservate due foliazioni di natura tettonica. La prima è relitta ed è<br />
conservata all’interno di porfiroblasti di lawsonite, ora pseudomorfosati in aggregati a mica bianca,<br />
carbonati, opachi. La seconda foliazione mostra caratteri traspositivi ed è definita d<strong>alla</strong> OPD di mica<br />
bianca e clorite.<br />
Questi metasedimenti sono giustapposti per mezzo di una faglia subverticale a direzione N60E a:<br />
Marmi (acc)<br />
Calcescisti marmorei e marmi chiari, debolmente micacei, massicci. Affiorano estesamente nelle dorsali<br />
costituenti il versante meridionale <strong>della</strong> Val Chisone.<br />
2.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL LAGO NERO<br />
E’ costituita da un basamento oceanico formato da serpentiniti e oficalciti, su cui poggia una<br />
successione sedimentaria ad affinità ligure comprendente brecce di serpentiniti e di basalti, radiolariti<br />
dell’Oxfordiano superiore - Kimmeridgiano medio (?), marmi a patina di alterazione chiara (Titoniano -<br />
Neocomiano ?), filladi alternanti a scisti carbonatici con bordi silicizzati (F. <strong>della</strong> Replatte, Cretacico<br />
inferiore?), filladi nere in facies di black shales (Cretacico inferiore?) ed infine scisti carbonatici<br />
“arenacei” alternati a peliti carbonatiche (Cretacico superiore?). Caratteristica di questa unità è la<br />
presenza di intercalazioni detritiche e di olistoliti di origine sia ofiolitica che continentale, diffuse a tutti i<br />
livelli stratigrafici ma soprattutto nella porzione sommitale (cretacica) <strong>della</strong> successione.<br />
L’area tipo di affioramento di questa unità tettonostratigrafica, descritta in dettaglio da POLINO (1984)<br />
e POLINO & LEMOINE (1984), è localizzata immediatamente a Sud del Foglio “Bardonecchia”. In<br />
quest’ultimo non affiora il basamento oceanico e solo localmente i termini più bassi <strong>della</strong> copertura<br />
sedimentaria. Tuttavia i caratteri litostratigrafici, la posizione strutturale e soprattutto la continuità<br />
geometrica permettono di delimitare questa unità anche nell’area del Foglio “Bardonecchia”.<br />
I metasedimenti appartenenti a questa unità sono caratterizzati da una foliazione regionale mostrante<br />
caratteri traspositivi, definita da un’associazione a mica bianca, clorite, cloritoide e relitti di lawsonite e<br />
glaucofane. In condizioni statiche tardive è cristallizzata albite a spese di mica bianca e rara biotite. E’<br />
inoltre presente una foliazione tettonica relitta, preservata all’interno di porfiroblasti di lawsonite.<br />
- lungo la cresta spartiacque Valle di Susa - Val Chisone, tra il Colle dell’Assietta ed il Colle Bourget,<br />
ove riposa sull’unità tettonostratigrafica di Cerogne-Ciantiplagna;<br />
- in destra orografica <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, ove è compresa tettonicamente tra l’unità dello<br />
Chaberton - Grand Hoche a tetto e l’unità a calcescisti di Puys-Venaus a letto (complesso del Puys);<br />
- tra la Punta delle Tre Croci ed il Colle <strong>della</strong> Rho, ove è sovrascorsa dall’unità dei Re Magi e<br />
localmente (Grand Argentier) da quella dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier;<br />
- affiora inoltre estesamente nei valloni del Fréjus e di Rochemolles sino <strong>alla</strong> Cresta di San Michele ed<br />
al M. Jafferau, ove riposa tettonicamente sull’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle.<br />
La successione stratigrafica che affiora nell’area del foglio è costituita da:<br />
Quarziti (qln)
Si tratta di quarziti listate varicolori, correlabili con i sedimenti silicei (Radiolariti e diaspri) di età<br />
giurassica superiore (Calloviano - Kimmeridgiano) delle successioni liguri non metamorfiche. Questi<br />
metasedimenti sono stati riconosciuti in un solo sito, ubicato nell’alto Vallone del Fréjus, a sud <strong>della</strong><br />
Punta del Fréjus, lungo un piano di taglio interno all’unità e associati a ofioliti.<br />
Marmi (mln)<br />
Marmi massicci d<strong>alla</strong> tipica patina di alterazione biancastra, grigio-scuri in frattura fresca, in bancate<br />
massicce potenti 40-60 cm. Questi metasedimenti sono ritenuti essere l’equivalente metamorfico dei<br />
Calcari a Calpionelle delle successioni di copertura ofiolitica liguri e sono pertanto riferibili all’intervallo<br />
Titoniano-Neocomiano. Gli affioramenti più significativi sono stati rinvenuti nei pressi del Lago<br />
dell’Assietta, al Monte Genevris, al Monte di Mucrons e a Sud <strong>della</strong> Punta del Fréjus. In ques’ultima<br />
località , i marmi sono associati a prasiniti e contengono lenti di scisti cloritici, interpretabili come livelli<br />
detritici ofiolitici che testimoniano un’intensa attività tettonica sinsedimentaria durante il Giurassico<br />
superiore (POLINO & LEMOINE, 1984).<br />
Complesso del Lago Nero (cln)<br />
Questa unità litostratigrafica comprende le successioni a prevalenti calcescisti, ritenute essere la<br />
porzione di età cretacica <strong>della</strong> copertura ofiolitica. Essa è costituita da tre sub-unità litostratigrafiche<br />
informali distinte in carta quando cartografabili:<br />
- cln a: alternanze più o meno regolari di marmi a patina bruna, spesso a trame rossastre e con bordi<br />
silicizzati e di filladi nerastre in livelli da centimetrici a decimetrici. Questi metasedimenti sono<br />
confrontabili con la Formazione <strong>della</strong> Replatte, distinta da LEMOINE (1971) nell’area del Monginevro,<br />
che rappresenta l’equivalente metamorfico degli Scisti a Palombini delle successioni di copertura ofiolitica<br />
liguri e pertanto è riferibile al Cretacico inferiore. Gli affioramenti più estesi si rinvengono lungo lo<br />
spartiacque Susa-Chisone (a Est del Colle Lauson e al Monte Genevris), nella zona del Colle <strong>della</strong><br />
Mulatera e lungo la cresta di confine con la Francia, negli alti valloni <strong>della</strong> Rho e del Fréjus;<br />
- cln b: filladi nerastre, lucenti, con subordinate intercalazioni di calcescisti carbonatici e marmorei.<br />
Questi metasedimenti sono generalmente interpretati come derivanti da sedimenti ricchi in sostanza<br />
organica e vengono collegati all’episodio anossico, diffuso a <strong>scala</strong> tetidea al limite tra il Cretacico<br />
inferiore ed il Cretacico superiore (Aptiano-Albiano). Essi sono stati riconosciuti in tutto l’areale di<br />
affioramento dell’unità, dal Colle dell’Assietta <strong>alla</strong> cresta <strong>della</strong> Pierre Menue e costituiscono solitamente<br />
degli intervalli di pochi metri di spessore che sottolineano piani di taglio interni all’unità. Affiorano anche<br />
sul versante meridionale dello Jafferau, tra quota 2500 circa e quota 2600, dove formano una struttura<br />
coricata vergente a Est di dimensioni ettometriche. Alla Testa del Ban e lungo la Costa del Becco<br />
contengono localmente intercalazioni di scisti quarzosi grigio-verdastri in livelli decimetrici e di marmi<br />
neri e ocra fittamente ripiegati;<br />
- cln c: calcescisti carbonatici a patina di alterazione ocra, ricchi in ankerite, in bancate massicce di<br />
spessore metrico. Questi metasedimenti, interpretabili come depositi detritici, sono stati riferiti al<br />
Cretacico superiore per inquadramento stratigrafico e per confronto con analoghe facies presenti in tutta<br />
la catena alpina (DEVILLE et alii, 1992). Essi sono diffusi in tutto l’areale di affioramento dell’unità, dal<br />
Colle dell’Assietta <strong>alla</strong> Pierre Menue.<br />
All’interno di questa successione a prevalenti calcescisti sono intercalate:<br />
- cln d: quarziti micacee ± fuchsite e Na-anfibolo, che danno luogo a bancate con scarsa continuità<br />
laterale dello spessore massimo di alcuni metri. Questi metasedimenti, interpretabili come livelli detritici di<br />
origine “continentale” (POLINO, 1984; POLINO & LEMOINE, 1984) sono stati rinvenuti nei pressi del<br />
Lago dell’Assietta e sul versante SW <strong>della</strong> Pierre Menue;<br />
- cln e: metagabbri e metabasiti (prasiniti) costituenti corpi isolati decametrici che sono stati interpretati<br />
come olistoliti. Al microscopio mostrano una paragenesi in facies scisti blu a lawsonite (glaucofane,<br />
lawsonite, clorite, albite e titanite). Affiorano al Colle Bourget e sul versante meridionale <strong>della</strong> Punta del<br />
Fréjus e <strong>della</strong> Punta Bagnà, ove sono associati ai marmi a patina chiara di presunta età titoniana;<br />
- cln f: serpentiniti massicce e oficalci, costituenti olistoliti decametrici che affiorano a Sud del Colle di<br />
Costa Piana, a Ovest del Colle Bourget e nel Vallone del Fréjus;<br />
- cln g: brecce a matrice carbonatica a patina di alterazione chiara, contenenti clasti deformati di marmi<br />
a patina grigiastra, di micascisti e quarziti. Formano livelli di spessore metrico ed estensione limitata<br />
affioranti lungo la cresta M. Jafferau - Testa del Ban e nei pressi del Colle <strong>della</strong> Rho.
3. - UNITA’ OFIOLITICHE<br />
3.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI CEROGNE-CIANTIPLAGNA<br />
E’ stata riconosciuta in destra orografica <strong>della</strong> valle di Susa, tra Oulx e Salbertrand, ed in sinistra<br />
orografica <strong>della</strong> Val Chisone, tra Soucheres Basses e l’estremità orientale del foglio. Verso Est, l’unità<br />
tettonostratigrafica di Cerogne-Ciantiplagna prosegue fino al Colle delle Finestre, ove è troncata da una<br />
zona di taglio a direzione circa NS.<br />
Geometricamente affiora al di sotto dell’unità del Lago Nero, da cui è separata da un piano a basso<br />
angolo. E’ inoltre giustapposta all’unità dell’Albergian per mezzo di una zona di deformazione a direzione<br />
circa N60E. Le relazioni geometriche con l’unità di Puys-Venaus (complesso di Venaus) non sono visibili<br />
a causa <strong>della</strong> copertura quaternaria; in armonia con il quadro deformativo regionale e in base <strong>alla</strong><br />
posizione geometrica delle due unità si ipotizza una loro giustapposizione tramite una zona di<br />
deformazione subverticale a direzione NW-SE.<br />
La successione stratigrafica dell’unità di Cerogne-Ciantiplagna è confrontabile con i termini superiori,<br />
cretacici, di una successione di copertura ofiolitica di tipo ligure. Benché il substrato ofiolitico di questa<br />
successione non sia in affioramento, la sua pertinenza oceanica è suggerita dagli elementi detritici<br />
ofiolitici (olistoliti serpentinitici e di metabasiti) e soprattutto dalle quarziti mineralizzate a Mn che<br />
rappresentano presumibilmente il prodotto metamorfico di originarie radiolariti del Giurassico superiore.<br />
Le associazioni metamorfiche che si sviluppano in questa unità (scisti blu ad epidoto) permettono di<br />
differenziarla d<strong>alla</strong> sovrastante unità del Lago Nero, caratterizzata da associazioni in facies scisti blu a<br />
lawsonite.<br />
La successione stratigrafica è costituita da:<br />
Complesso di Cerogne (lcs)<br />
Potente successione costituita da prevalenti calcescisti in cui si possono distinguere le seguenti<br />
subunità litostratigrafiche informali:<br />
- lcs v: marmi massicci grigi con intercalazioni di filladi, affioranti estesamente sul versante orientale di<br />
Rocca del Colle, a Sud delle Grange Faussimagna e a Est di Soucheres Basses, allo sbocco <strong>della</strong> Comba<br />
del Pis (Santuario <strong>della</strong> Madonna delle Nevi). Questa successione è confrontabile con la Formazione <strong>della</strong><br />
Replatte dell’unità del Lago Nero ed è pertanto riferita al Cretacico inferiore;<br />
- lcs u: micascisti e filladi non carbonatici, affioranti sporadicamente sul versante orientale di Rocca del<br />
Colle e assimilabili ai black shales delle successioni liguri. Sono stati riferiti <strong>alla</strong> parte alta del Cretacico<br />
inferiore;<br />
- lcs t: calcescisti carbonatici massicci a patina ocra, con intercalazioni da centimetriche a millimetriche<br />
di scisti micacei. Costituiscono il litotipo più diffuso ed affiorano estesamente a Est del Colle dell’Assietta<br />
(dorsale Grand Serin - Grand Pelà - Cima delle Vallette) ed in destra orografica <strong>della</strong> Valle di Susa, a SE<br />
di Salbertrand. In questi metasedimenti si osservano localmente mineralizzazioni a pirite cuprifera<br />
(Grange d’Himbert), considerate come singenetiche da DEBENEDETTI (1964).<br />
Nei metasedimenti del complesso di Cerogne, si intercalano livelli detritici ed elementi di provenienza<br />
sia oceanica che continentale:<br />
I primi sono rappresentati da :<br />
- lcs s: serpentiniti e serpentinoscisti, in corpi decametrici interpretabili come olistoliti. Sono intercalati<br />
sia nei marmi (lcs v) (sbocco <strong>della</strong> Comba del Pis), sia nei calcescisti carbonatici massicci (lcs t) (vallone a<br />
Sud delle Grange di Faussimagna);<br />
- lcs b: metabasiti listate; generalmente costituite da prasiniti ad albite, epidoto, Na-anfibolo, mostrano<br />
talora (Rocca del Colle) relitti di tessiture che possono essere interpretate come brecce ofiolitiche<br />
(elementi di dimensioni centimetriche, ricchi in Na anfibolo, immersi in una matrice a clorite e anfibolo).<br />
Sono intercalati sia in metasedimenti riferibili al Cretacico inferiore (lcs v) (Rocca del Colle), che in<br />
calcesicsti di presunta età cretacica superiore (lcs t) (Grange Faussimagna, Vallone dell’Assietta, Colle del<br />
Gran Serin);<br />
- lcs d: quarziti mineralizzate a Mn (Grange d’Himbert, versante Sud del Gran Serin, Faussimagna),<br />
intercalate nei calcesicsti del Cretacico superiore e talvolta associate alle prasiniti (Faussimagna). Nelle<br />
quarziti, associati alle mineralizzazioni a Mn, si sviluppano piccoli granati.<br />
I livelli detritici di provenienza continentale sono invece rappresentati da:<br />
- lcs f: quarziti micacee ad Na-anfibolo costituenti bancate di spessore metrico con scarsa continuità<br />
laterale intercalate nei calcescisti (G. Berge, Cassas, Rocca del Colle, Madonna delle Nevi).
3.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VIN VERT<br />
E’ caratterizzate da una successione stratigrafica ofiolitica ad affinità ligure (ALLENBACH, 1982) e<br />
d<strong>alla</strong> presenza di “pietre verdi” interpretate come blocchi risedimentati intercalati nella successione<br />
sedimentaria.<br />
Affiora in corrispondenza del M. Vin Vert. Due faglie subverticali a direzione NW-SE giustappongono<br />
questa unità verso SW e verso NE rispettivamente all’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e a quella di Valfredda.<br />
Il contatto inferiore con la sottostante unità del Vallonetto non è visibile.<br />
Mostra un’associazione metamorfica in facies scisti blu di bassa T definita da mica bianca, clorite,<br />
Queste evidenze petrografiche, oltre ai criteri geometrici e litostratigrafici, permettono di differenziare<br />
questa unità dall’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle; inoltre in questa unità non si osserva il substrato oceanico.<br />
Complesso del Vin Vert (cvv)<br />
Costituito prevalentemente da calcescisti, cui si intercalano orizzonti detritici di provenienza oceanica<br />
e continentale. I calcescisti sono piuttosto carbonatici e sono caratterizzati da una scistosità pervasiva che<br />
conferisce <strong>alla</strong> roccia una notevole fissilità. Si differenziano da quelli dell’unità tettonostratigrafica <strong>della</strong><br />
Roche de l’Aigle per la presenza di peciloblasti di albite.<br />
Le intercalazioni detritiche, largamente affioranti sul versante orientale del Vin Vert, sono costituite<br />
da: - cvva: quarziti micacee ricche in Na-anfibolo, che formano bancate metriche lateralmente discontinue,<br />
interpretate come di provenienza continentale. La foliazione di natura tettonica è definita d<strong>alla</strong><br />
isorientazione di mica e Na-anfibolo;<br />
- cvv b: elementi decametrici di serpentiniti e subordinate metabasiti;<br />
- cvv c: sporadici livelli di marmi massicci chiari confrontabili con i marmi tardo-giurassici delle<br />
successioni sopraofiolitiche (“Calcari a Calpionelle”).<br />
3.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLA ROCHE DE L’AIGLE<br />
Anche questa unità tettonostratigrafica è caratterizzata da una successione stratigrafica ofiolitica ad<br />
ALLENBACH, 1982) e d<strong>alla</strong> presenza di “pietre verdi” che costituiscono sia il substrato<br />
<strong>della</strong> successione sedimentaria sia blocchi risedimentati in essa intercalati.<br />
Affiora a letto dell’unità del Lago Nero, dallo Jafferau sino <strong>alla</strong> Cresta di San Michele, da cui è<br />
separata da un piano di sovrascorrimento a basso angolo.<br />
E’ giustapposta all’unità del Vin Vert per mezzo di faglie subverticali a direzione NW-SE e<br />
sovrascorre le unità di Valfredda e del Vallonetto.<br />
Mostra un’impronta metamorfica prevalente in facies scisti blu a epidoto, con parziale riequilibrazione<br />
di basso grado e di bassa pressione. In particolare i metasedimenti sono caratterizzati da una foliazione di<br />
natura traspositiva sviluppatasi in condizioni scisti blu di alta T. E’ inoltre presente una foliazione<br />
tettonica relitta definita da glaucofane, clorite, mica bianca e lawsonite (facies scisti blu di bassa T).<br />
Infine, in condizioni statiche, si sviluppano peciloblasti di albite a spese di mica bianca e biotite che<br />
sostituisce clorite.<br />
La successione stratigrafica è costituita da:<br />
Serpentiniti e oficalci (ser)<br />
Costituiscono affioramenti di limitata estensione (alcuni metri) sul versante meridionale <strong>della</strong> Roche<br />
dell’Aigle, a quota 2600 circa e sono stati interpretati come “substrato” oceanico a causa <strong>della</strong> posizione<br />
stratigrafica. Non ci sono tuttavia elementi per escludere a priori una loro origine detritica. Per questo<br />
motivo questa unità è stata interpretata come unità ofiolitica.<br />
Complesso dell’Aigle (cai)<br />
Potente complesso di metasedimenti, costituito prevalentemente da calcescisti, in cui sono state<br />
distinte le seguenti subunità litostratigrafiche informali:<br />
- cai a: quarziti micacee ad anfibolo blu in banchi di potenza metrica direttamente poggianti sulle<br />
serpentiniti ed affioranti esclusivamente sul versante meridionale <strong>della</strong> Roche de l’Aigle. Sulla base <strong>della</strong>
loro posizone stratigrafica, questi metasedimenti sono stati interpretati come l’equivalente, più<br />
metamorfico, delle radiolariti rosse a Mn descritte da POLINO (1984) nella successione dell’unità<br />
tettonostratigrafica del Lago Nero; essi possono pertanto essere attribuiti all’intervallo Calloviano-<br />
Oxfordiano;<br />
- cai b: marmi grigiastri a patina di alterazione biancastra, in bancate massicce di spessore metrico.<br />
Poggiano con contatto netto sulle sottostanti quarziti e sono correlabili con gli analoghi metasedimenti<br />
dell’unità tettonostratigrafica del Lago Nero che rappresentano l’equivalente metamorfico dei “Calcari a<br />
Calpionelle” delle successioni liguri non metamorfiche. Sono pertanto attribuiti al Titononiano-<br />
Neocomiano;<br />
- cai c: calcescisti filladici nerastri, talvolta con intercalazioni di marmi scuri a patina rugginosa,<br />
correlabili con la Formazione <strong>della</strong> Replatte (Cretacico inf.) <strong>della</strong> successione del Lago Nero; localmente<br />
sono presenti livelli estremamente tettonizzati di spessore decimetrico, non cartografabili, di scisti grafitici<br />
neri lucenti, correlabili ai black shales del Cretacico inferiore;<br />
- cai d: calcescisti carbonatici, di aspetto “arenaceo” a patina ocra, caratterizzati da una fissilità<br />
piuttosto marcata. Sono costituiti prevalentemente da calcite, cui si associano mica bianca, quarzo,<br />
clorite. Sono inoltre presenti scarse percentuali di opachi, albite e sericite. Sono il litotipo arealmente più<br />
diffuso e vengono interpretati come depositi flyschioidi attribuiti, per posizione stratigrafica, al Cretacico<br />
superiore;<br />
- cai e: marmi dolomitici e marmi grigio-scuri, alternati a calcescisti. Questi metasedimenti affiorano<br />
solo sulla strada Forte Pramand - Forte di Foens; contengono olistoliti decametici di dolomie chiare,<br />
livelli di quarziti micacee verdastre e corpi di brecce a scarsa continuità laterale di spessore decametrico.<br />
Le brecce sono caratterizzate da un cemento carbonatico e contengono clasti arrotondati decimetrici di<br />
calcari scuri, dolomie e quarziti micacee. Sono inoltre presenti rari clasti di micascisti, interpretabili come<br />
provenienti dallo smantellamento di un basamento continentale. Vista la loro posizione geometrica al<br />
tetto <strong>della</strong> successione litostratigrafica, viene ipotizzata un’età Cretacico superiore - Paleocene (?).<br />
In tutti i metasedimenti carbonatici sopra descritti, ma con maggiore frequenza nei calcescisti<br />
carbonatici (cai d) sono diffusi elementi e livelli detritici di origine sia continentale che oceanica.<br />
I primi sono rappresentati da:<br />
- cai f: livelli discontinui di quarziti micaee biancastre, ricche in Na-anfibolo.<br />
I secondi sono costituiti da:<br />
- cai g: olistoliti di metagabbri e metabasiti, affioranti sulla vetta <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e sul versante<br />
settentrionale <strong>della</strong> Costa del Becco. I metagabbri mostrano una tessitura magmatica preservata, in cui è<br />
ancora possibile riconoscere l’originario plagioclasio magmatico, ora completamente sostituito da zoisite,<br />
e il pirosseno primario, trasformato in pirosseno sodico (egirin-augite) parzialmente destabilizzato in<br />
glaucofane. Nelle porzioni di roccia più retrocesse, la paragenesi di alta pressione viene sostituita da<br />
un’associazione di bassa pressione a clorite, attinoto, albite e clinozoisite;<br />
- cai h: olistoliti di serpentiniti, affioranti sul versante meridionale <strong>della</strong> Testa del Coin e nei pressi del<br />
Rifugio Valfredda.<br />
4. - UNITA’ TETTONOSTRATIGRAFICA DI PUYS-VENAUS<br />
Questa unità composita è geometricamente sottostante alle unità del Lago Nero e di Cerogne-<br />
Ciantiplagna nella media e alta valle di Susa, mentre è sovrapposta all’unità d’Ambin in Val Cenischia.<br />
Comprende un insieme di litofacies banali di metasedimenti carbonatici che non possono essere<br />
univocamente attribuite alle unità oceaniche, ofiolitiche o di margine presenti nel foglio, meglio<br />
caratterizzate dal punto di vista litostratigrafico e/o tettonometamorfico.<br />
E’ stata suddivisa in due complessi, individuati su basi puramente geometriche, che non mostrano<br />
rapporti reciproci.<br />
Complesso di Chiomonte-Venaus (gcc)<br />
Affiora sul versante destro <strong>della</strong> Dora Riparia, tra Salbertrand e Chiomonte, prosegue nel contiguo<br />
Foglio “Susa” e riappare all’estremità orientale del foglio (versante destro <strong>della</strong> Valle Cenischia e settore<br />
Colle del Monceniso - Passo delle Finestre).<br />
E’ costituito da calcescisti ± filladici, solitamente con tessitura milonitica, da micascisti carbonatici di<br />
colore plumbeo e da calcescisti carbonatici massicci. In questi metasedimenti si intercalano:<br />
- gcc a: quarziti micaceo-cloritiche e gneiss albitici (Gneiss di Charbonnel Auct.). Molto sviluppati nel<br />
contiguo Foglio “Susa” ed in Moriana, sono presenti in sporadici affioramenti al margine orientale del
foglio. Il modesto spessore di questi livelli ed i rapporti con i metasedimenti incassanti suggeriscono di<br />
interpretarli come orizzonti detritici di origine continentale.<br />
Localmente (Punta Mulatera, Passo delle Finestre), si osservano:<br />
- gcc s: serpentiniti, in corpi di dimensioni decametriche entro i metasedimenti.<br />
Complesso di Puys (cpu)<br />
Affiora sul versante destro <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, tra Bardonecchia e Oulx. E’ costituito da una<br />
successione di calcescisti di età sconosciuta in cui sono state distinte tre sub-unità litostratigrafiche:<br />
- cpu a: alternanze di scisti quarzoso-micacei, quarziti, micascisti e filladi generalmente poveri e privi di<br />
carbonato di calcio;<br />
- cpu b: alternanze di scisti più o meno carbonatici e marmi a patina ocra; questa associazione, che può<br />
essere interpretata come un flysch a dominante carbonatica, è ben esposta lungo la strada che da Oulx<br />
sale a Puys;<br />
- cpu c: scisti carbonatici e marmi grigio plumbei, in bancate massicce di spessore metrico, con<br />
subordinata mica bianca, che costituiscono le scoscese pareti in sinistra orografica <strong>della</strong> Dora Riparia a<br />
monte di Oulx.<br />
5. - GESSI (ges)<br />
Affioramenti di dimensioni pluriettometriche di rocce evaporitiche si osservano nella zona di Baumas<br />
ed in quella del Rio Fosse, associati agli orizzonti di scollamento principali che separano le unità<br />
oceaniche e ofiolitiche da quelle di margine continentale. Nella prima località, i gessi sottolineano la<br />
megazona di taglio che sovrappone le unità ofiolitiche <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e del Vin Vert sulle unità del<br />
Vallonetto e d’Ambin. Nella seconda, i gessi sono pizzicati entro le strutture che giustappongono i<br />
calcescisti dell’unità del Lago Nero alle unità di margine continentale dello Chaberton - Grand Hoche -<br />
Grand Argentier e dei Re Magi.Nei gessi, che sono talvolta associati a carniole, si osservano localmente<br />
(Rio Fosse) spettacolari strutture fluidali a “fungo” che testimoniano una loro risalita per fenomeni<br />
diapirici.<br />
6. - BRECCE TETTONICHE (bre)<br />
Si tratta di brecce tettoniche a matrice carbonatica, contenenti clasti spigolosi, di dimensioni fino a<br />
decimetriche, di rocce carbonatiche (marmi e dolomie) e subordinatamente di calcescisti, micascisti e<br />
quarziti. Queste rocce sono associate ai principali contatti tettonici presenti nel foglio e derivano d<strong>alla</strong><br />
cataclasi di originarie rocce carbonatiche.
V. - COPERTURA PLIOCENICO(?) - QUATERNARIA<br />
Le specificità delle problematiche stratigrafiche implicite nello studio delle formazioni superficiali in<br />
aree di catena montuosa hanno indotto gli operatori del Progetto CARG a scegliere come unità di<br />
riferimento le “unità allostratigrafiche”, definite “a mappable stratiform body of sedimentary rock that is<br />
defined and identified on the basis of its bounding discontinuities” (NACSN, 1983), indicate nella<br />
recente letteratura (NELSON et alii, 1984; AUTIN, 1992; BINI, 1994; OVIATT et alii, 1994; NELSON &<br />
SHROBA, in stampa) come le più adeguate per effettuare l’analisi stratigrafica dei depositi continentali.<br />
L’approccio allostratigrafico nel rilevamento delle formazioni superficiali in una v<strong>alla</strong>ta alpina impone<br />
tuttavia alcune cautele nella correlazione stratigrafica, poiché corpi sedimentari contigui sono separati da<br />
superfici limite raramente visibili sul terreno. La facies, la petrografia dei clasti e il grado di alterazione dei<br />
sedimenti consentono di effettuare confronti e differenziazioni fra i diversi lembi di depositi, ma<br />
l’individuazione delle principali discontinuità può avvenire solo se si analizza nel contempo l’assetto e<br />
quindi l’evoluzione geomorfologica dell’area studiata. A questo proposito è indubbio che la complessa<br />
morfologia di una valle glaciale è resa tale sia dalle infinite variazioni di volume, di posizione e, in ultima<br />
analisi, dall’attività erosivo-deposizionale <strong>della</strong> massa glaciale (BOULTON, 1974; IVERSON, 1995), sia dai<br />
frequenti e diffusi fenomeni gravitativi da sin- a post-glaciali che ne rimo<strong>della</strong>no i versanti (GORDON &<br />
BIRNIE, 1986; MORTARA & SORZANA, 1987). Rispetto ad una valle fluviale a fondo piatto, una valle<br />
glaciale presenta un profilo longitudinale articolato da una serie di irregolarità quali gradini e conche di<br />
sovraescavazione, talora in contropendenza; le forme di accumulo sono invece conservate<br />
prevalentemente ai lati dell’originaria massa glaciale e la loro distribuzione consente di ricostruire alcune<br />
delle infinite e diverse configurazioni raggiunte di volta in volta dal ghiacciaio (ROSE & MENZIES, 1986;<br />
GIBBONS et alii, 1984). Fra le rotture di pendenza che caratterizzano invece il profilo trasversale di una<br />
valle, alcune sono il prodotto delle variazioni di volume <strong>della</strong> massa glaciale durante l’ultima fase di<br />
massima espansione, altre sono il risultato dell’intersezione tra forme di erosione legate all’ultima<br />
glaciazione e forme connesse a precedenti fasi evolutive del ghiacciaio (OWEN et alii, 1995; SMITH et<br />
alii, 1997). Nella storia erosivo-deposizionale <strong>della</strong> valle queste intersezioni rappresentano delle<br />
discontinuità la cui natura, e quindi l’utilizzabilità in senso allostratigrafico, dev’essere però confermata<br />
d<strong>alla</strong> diversità nei caratteri dei depositi e dal diverso grado di conservazione delle forme conservate al di<br />
sopra e al di sotto di esse (NELSON & SHROBA, in stampa).<br />
Gli elementi necessari per una corretta suddivisione cronostratigrafica <strong>della</strong> successione di depositi<br />
conservati in una v<strong>alla</strong>ta alpina sono pertanto molteplici:<br />
- il sistematico allineamento longitudinale delle rotture di pendenza trasversali all’asse vallivo<br />
principale, che possono corrispondere al luogo in cui le discontinuità stratigrafiche si manifestano<br />
direttamente come superfici limite fra corpi sedimentari;<br />
- la presenza di forme di accumulo che segnalano i limiti raggiunti nel tempo dal ghiacciaio nelle sue<br />
varie configurazioni;<br />
- la diversa espressione morfologica dei depositi glaciali ed il differente grado di rimo<strong>della</strong>mento delle<br />
originarie forme di accumulo;<br />
- infine le variazioni di facies, nella natura dei clasti e nel grado di alterazione dei depositi.<br />
Con riferimento al Foglio “Bardonecchia”, il riconoscimento delle discontinuità e dei corpi sedimentari<br />
ha comportato l’acquisizione ed il confronto di un elevato numero di informazioni; ciò è stato facilitato<br />
dall’adozione <strong>della</strong> metodologia di raccolta ed organizzazione dei dati proposto da BAGGIO et alii<br />
(1997). Per valutare la distribuzione ed i rapporti fra le forme di esarazione ed i depositi glaciali si è<br />
invece rilevata utile la realizzazione di un profilo longitudinale passante per l’asse vallivo rettificato, sul<br />
quale sono state proiettate le forme di mo<strong>della</strong>mento glaciale, le superfici di discontinuità ed i lembi di<br />
depositi ad esse correlati (cfr. GIARDINO & FIORASO, 1998). L’interpolazione dei lembi di superfici di<br />
discontinuità e la correlazione dei lembi di depositi ha permesso di individuare una serie di fasce di<br />
mo<strong>della</strong>mento che scandiscono altimetricamente i versanti e/o articolano il sottosuolo del fondovalle. La<br />
facies ed il grado di alterazione dei depositi, la natura ed il grado di rimo<strong>della</strong>mento delle forme hanno<br />
fornito i criteri per la caratterizzazione delle singole unità allostratigrafiche (cfr. OWEN et alii, 1997).<br />
Per quanto concerne la copertura pliocenico-quaternaria sono state distinte in modo informale unità di<br />
diverso rango gerarchico: con “alloformazione” si è intesa una successione di sedimenti riferibile ad un<br />
determinato evento erosivo-deposizionale, ben differenziabile da altri eventi per la presenza di<br />
discontinuità significative <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> del bacino e generalmente legate, in ambiente intravallivo, ad episodi<br />
di approfondimento erosionale; il termine “allogruppo” è stato invece riferito ad un’associazione di
depositi attribuiti a più eventi erosivo-deposizionali, talvolta non suddivisibile in unità di rango inferiore<br />
per mancanza di elementi.<br />
Diverso è il caso di quei depositi prodotti da eventi a carattere locale (es. il distacco di una frana<br />
oppure la formazione e l’interramento di un bacino lacustre), svincolati d<strong>alla</strong> combinazione dei fattori che<br />
controllano l’evoluzione complessiva del bacino nel quale è invece in atto una generalizzata fase erosiva;<br />
anche se le discontinuità che delimitano i corpi sedimentari sono evidenti, il carattere episodico e<br />
circoscritto di questi eventi ha in tal caso suggerito di applicare il criterio litostratigrafico, cartografando i<br />
depositi come “Unità non distinte in base al bacino di pertinenza”.<br />
In legenda le unità relative <strong>alla</strong> copertura pliocenico-quaternaria sono state ordinate in base al<br />
perdurare dei processi responsabili <strong>della</strong> messa in posto delle singole unità, ed in secondo luogo in base al<br />
bacino di pertinenza. In quest’ottica sono state definite come “Unità completamente formate” le unità<br />
deposizionali attualmente svincolate dall’agente fisico al quale sono geneticamente legate (es. un lembo di<br />
depositi fluviali attualmente non più inondabile da parte del corso d’acqua che l’ha generato); queste<br />
unità, quando non sepolte, sono soggette a rimo<strong>della</strong>mento. Le unità deposizionali generate da processi<br />
fisici potenzialmente riattivabili sono invece raggruppate nelle “Unità in formazione”. Il fatto che un’unità<br />
non sia più in rapporto con l’agente che l’ha generata non significa tuttavia che questa sia stabilizzata: ad<br />
esempio un accumulo di frana non più in rapporto con la sua nicchia di distacco può essere rimobilizzato<br />
dall’erosione al piede da parte di un corso d’acqua; oppure la superficie terrazzata di un deposito<br />
alluvionale completamente formato, se non viene più invasa dalle acque del corso d’acqua al quale è<br />
legata geneticamente, può essere inondata dal reticolato idrografico affluente.<br />
L’approccio allostratigrafico richiede imprescindibilmente che nella carta geologica vengano distinte<br />
tra loro unità, anche se in prima approssimazione coeve, appartenenti a bacini idrografici diversi.<br />
L’evoluzione di un determinato settore <strong>della</strong> superficie terrestre è infatti controllata non solo da variabili<br />
climatiche, come ritenuto in passato, ma anche di natura geodinamica, litologica e morfologica. La<br />
combinazione di più fattori fa sì che ciascun bacino idrografico abbia una propria storia evolutiva e, in<br />
ultima analisi, una successione di forme e depositi che non è mai direttamente correlabile con quella di un<br />
altro. Ciò ha comportato il riconoscimento di successioni sedimentarie distinte per ciascuno dei tre bacini<br />
maggiori in cui si articola l’area di studio: la Val Cenischia, la Valle di Susa e la Val Chisone. Ad ogni<br />
unità corrisponde pertanto un colore che è stato graficamente diversificato mediante l’adozione di un<br />
retino con orientazione diversa a seconda del bacino di appartenenza.<br />
Nell’area del foglio sono tuttavia comprese solo la media ed alta Valle di Susa e settori marginali <strong>della</strong><br />
Val Cenischia e <strong>della</strong> Val Chisone. Per ricostruire le successioni complete di ciascun bacino si è quindi<br />
fatto riferimento, oltre ai dati provenienti dal contiguo Foglio “Susa”, anche ai risultati di una serie di<br />
studi condotti in aree limitrofe come tesi di laurea presso il Dipartimento di Scienze <strong>della</strong> Terra<br />
dell’Università di Torino, applicando la stessa metodologia 2.<br />
Non essendo attualmente disponibile per il Quaternario una <strong>scala</strong> cronologica di riferimento<br />
formalmente accettata d<strong>alla</strong> comunità scientifica internazionale, si precisa che è stata qui adottata quella<br />
proposta da Richmond (cfr. AIQUA, 1982), modificata, che si riporta di seguito. Tutte le datazioni<br />
proposte sono state ricavate da dati pedostratigrafici, calibrati, provenienti da aree esterne al foglio.<br />
OLOCENE<br />
———————————————————-0.01 Ma<br />
PLEISTOCENE SUPERIORE<br />
———————————————————-0.13 Ma<br />
PLEISTOCENE MEDIO<br />
———————————————————-0.73 Ma.<br />
PLEISTOCENE INFERIORE<br />
==================================1.67 Ma<br />
PLIOCENE<br />
1. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI<br />
PERTINENZA<br />
Unità del Segurét - La Riposa (slr) (Pliocene? - Pleistocene sup.)
Questa unità comprende buona parte dei depositi indicati nei precedenti documenti cartografici<br />
(<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1910; <strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1911a, b) come “carniole”,<br />
termine col quale sono stati in passato raggruppati litotipi diversi, interpretati complessivamente come<br />
evaporiti eo- o medio-triassiche, in prevalente giacitura secondaria sui principali piani di movimento<br />
tettonico (“lubrificanti tettonici”). Gli studi effettuati negli ultimi tre decenni nell’arco alpino occidentale<br />
hanno invece messo in evidenza che queste rocce, sia per la loro composizione (contengono clasti di<br />
rocce che hanno sperimentato l’intera successione delle fasi metamorfiche e deformative duttili alpine ed<br />
hanno una matrice arenacea, non foliata), sia per la loro giacitura (colmano spesso depressioni di<br />
presumibile origine carsica completamente demolite o si estendono al piede di alte pareti), devono avere<br />
un’età decisamente più recente.<br />
Il rilevamento ha consentito di riconoscere entro a questo complesso molto eterogeneo di rocce tre<br />
principali gruppi di litofacies: brecce residuali, brecce detritiche, calciruditi, calcareniti e calcilutiti.<br />
Le brecce residuali sono formate da ammassi caotici di clasti e blocchi angolosi e da cospicue porzioni<br />
di roccia carbonatica fratturata e disarticolata, cementati da una matrice calcarea micritica. Danno origine<br />
a corpi di forma irregolare e di dimensioni variabili da decine a decine di migliaia di m 3, localizzati entro ai<br />
complessi carbonatici del substrato (es. M. Segurét) o in prossimità dei principali contatti tettonici (es.<br />
Comba <strong>della</strong> Gorgia e Tre Croci). Le discontinuità che separano le brecce dal substrato, quando non<br />
corrispondono a superfici di corrosione, sono difficilmente individuabili per il loro carattere transizionale,<br />
per l’andamento alquanto irregolare e per la diffusa presenza di incrostazioni secondarie superficiali. Dati<br />
di sottosuolo attestano la presenza di brecce residuali anche in profondità, associate a fenomeni di<br />
decementazione e di dissoluzione di corpi carbonatici o solfatici (marmi e gessi e/o anidriti), ubicati in<br />
prevalenza sui maggiori piani di taglio. La formazione delle brecce risulta in ogni caso successiva<br />
all’intera evoluzione strutturale in regime duttile.<br />
Le brecce detritiche sono costituite da clasti centimetrico-decimetrici e da subordinati blocchi con<br />
struttura partially open-work, immersi in una matrice calcarenitica e micritica. I clasti, angolosi e in alcuni<br />
casi smussati, sono di natura calcareo-dolomitica oppure costituiti da brecce residuali, sebbene possano<br />
essere presenti altri litotipi (calcescisti, quarziti, ecc.) in relazione <strong>alla</strong> tipologia del substrato in rapporto<br />
con i corpi di brecce. Le brecce detritiche formano masse irregolari, talvolta tabulari, lenticolari o<br />
prismatiche, di spessore metrico o decametrico ed in generale rapporto di sovrapposizione o appoggio<br />
laterale con il substrato (es. Col des Acles); nei punti in cui non è mascherato da concrezioni secondarie,<br />
il contatto mostra di corrispondere ad una superficie netta (es. versante sinistro <strong>della</strong> Comba <strong>della</strong><br />
Gorgia).<br />
Entro alle brecce residuali e detritiche si osservano corpi di calciruditi, calcareniti e calcilutiti di<br />
spessore centimetrico o decametrico (es. M. Segurét) con geometria tabulare, lenticolare o più<br />
frequentemente irregolare; frequenti le laminazioni planari, incrociate e le strutture gradate legate<br />
all’azione di correnti trattive. Si osservano inoltre deformazioni evidenziate d<strong>alla</strong> presenza di ondulazioni<br />
La distribuzione dei depositi riferibili all’Unità del Segurét - La Riposa ed i loro rapporti con il<br />
substrato sembrano inquadrabili nel modello evolutivo proposto da CARRARO & MARTINOTTI (1993) e<br />
ripreso da GIARDINO (1995). La bassa temperatura ed il contenuto salino quasi nullo delle acque<br />
subglaciali, congiuntamente all’aggressività (riconducibile <strong>alla</strong> dissoluzione di gessi e anidriti presenti nella<br />
successione stratigrafica triassica) delle acque circolanti in profondità, sono due possibili cause in grado di<br />
indurre imponenti fenomeni di carsificazione anche in rocce ordinariamente poco solubili. Il fenomeno si<br />
sarebbe originato presumibilmente ben prima del Quaternario, non appena le acque di infiltrazione, venute<br />
in rapporto con rocce solubili, formarono cavità ipogee soprattutto in prossimità del contatto con un<br />
substrato impermeabile o non carsificabile. Il progressivo sollevamento delle masse carbonatiche ed il<br />
conseguente mo<strong>della</strong>mento <strong>della</strong> superficie topografica a livelli sempre più bassi avrebbe determinato il<br />
collasso delle cavità ipogee con propagazione del fenomeno fino in superficie. Il procedere dell’erosione<br />
avrebbe successivamente portato ad affiorare i prodotti residuali del processo carsico, dando luogo a<br />
generalizzati fenomeni di inversione del rilievo. L’intensa fratturazione delle rocce in prossimità dei<br />
contatti tettonici ha indubbiamente facilitato la circolazione delle acque e condizionato la distribuzione dei<br />
prodotti di dissoluzione e di risedimentazione degli ammassi carbonatici. Questa circostanza è confermata<br />
d<strong>alla</strong> distribuzione delle brecce che sottolinea, seppure in modo discontinuo, i principali contatti tettonici<br />
tra unità di margine continentale e unità oceaniche da un lato (es. Comba <strong>della</strong> Gorgia, Col des Acles e<br />
Tre Croci), e tra coperture mesozoiche e basamento cristallino del Massiccio d’Ambin dall’altro (es. M.<br />
Nel modello interpretativo proposto, le brecce detritiche deriverebbero d<strong>alla</strong> rielaborazione superficiale<br />
delle brecce da dissoluzione, come confermato dai rapporti geometrici che permettono di escluderne
l’origine per degradazione diretta, superficiale del substrato. Calciruditi, calcareniti e calcilutiti<br />
costituirebbero invece il prodotto <strong>della</strong> sedimentazione detritica operata dalle acque circolanti in ambienti<br />
di dimensioni e caratteristiche molto diverse (pozze d’acqua, piccoli bacini chiusi, alvei, ecc.).<br />
Le diverse tappe del processo evolutivo vanno intese come momenti che si sono ripetuti e che si vanno<br />
ripetendo tuttora indefinitamente nell’evoluzione geologica dell’area: se da un lato si può ipotizzare<br />
un’origine remota del fenomeno (pliocenica o addirittura precedente?), dall’altro è immaginabile che un<br />
processo con caratteristiche analoghe, ma con diversa intensità in relazione alle mutate condizioni<br />
climatiche e geodinamiche, sia tuttora in atto. In superficie sono riconoscibili solo i prodotti degli stadi<br />
finali delle fasi più antiche del fenomeno, in disequilibrio con il paesaggio recente (inversione del rilievo) e<br />
con la circolazione delle acque sotterranee attuali. Il fatto che su alcuni corpi di brecce residuali poggino<br />
depositi glaciali (es. M. Segurét), oppure che le brecce detritiche inglobino talora ciottoli arrotondati e<br />
striati tipicamente glaciali, conferma quanto meno un’età pre-pleistocenica superiore delle brecce.<br />
(uin) (Pleistocene sup. - Olocene)<br />
Sono considerate come tali alcune unità litostratigrafiche individuate, nella successione stratigrafica, in<br />
base ai soli caratteri interni: si tratta di corpi sedimentari che pur non essendo necessariamente delimitati<br />
da discontinuità, hanno comunque una loro individualità ben definita.<br />
Depositi detritici (uin a, uin b). La testata di alcuni bacini tributari è colmata da estesi campi di blocchi<br />
con struttura open work o partially open work, articolati in una serie di rilievi allungati che configurano<br />
dei lobi subparalleli ai margini degli accumuli; nella parte centrale di quest’ultimi si osservano<br />
frequentemente depressioni chiuse di varia forma e dimensioni. I caratteri sedimentologici e morfologici<br />
permettono di interpretare i depositi come il prodotto <strong>della</strong> rielaborazione di originari detriti di falda ad<br />
opera di rock glacier, particolarmente diffusi nelle aree soggette ad intensa produzione di detrito quali<br />
quelle localizzate in corrispondenza delle successioni carbonatiche di margine continentale (es. Col des<br />
Acles e Passo <strong>della</strong> Mulattiera) o nei settori di affioramento dei litotipi gneissici e quarzitici del Massiccio<br />
D’Ambin (es. versante nord-orientale del Toasso Bianco).<br />
Accumuli gravitativi (uin c, uin d). Il Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia è caratterizzato d<strong>alla</strong> notevole<br />
diffusione degli accumuli gravitativi, alcuni dei quali con estensione superiore al chilometro quadrato e<br />
potenza visibile conservata dell’ordine delle decine e in qualche caso del centinaio di metri. La<br />
distribuzione degli accumuli riflette le differenti caratteristiche petrografiche, strutturali e di giacitura delle<br />
rocce e la varia composizione e distribuzione delle coperture superficiali. I settori che presentano una<br />
maggiore frequenza di fenomeni gravitativi corrispondono agli areali di affioramento delle successioni<br />
metasedimentarie a prevalenti calcescisti, mentre sui versanti mo<strong>della</strong>ti nelle successioni carbonatiche di<br />
margine continentale e nel substrato cristallino del Massiccio d’Ambin gli accumuli sono visibilmente<br />
meno numerosi.<br />
I caratteri sedimentologici degli accumuli sono determinati in parte d<strong>alla</strong> natura del substrato e delle<br />
formazioni superficiali coinvolte, in parte d<strong>alla</strong> tipologia del movimento gravitativo. Diamicton massivi a<br />
supporto di matrice contraddistinguono gli accumuli legati a fenomeni di fluidificazione <strong>della</strong> coltre<br />
detritico-colluviale e di depositi glaciali, oppure a fenomeni di tipo complesso che hanno coinvolto<br />
porzioni di substrato intensamente fratturate. Accumuli caotici di blocchi angolosi o subangolosi sono<br />
invece riconducibili a meccanismi di ribaltamento e crollo oppure a fenomeni roto-traslativi; i blocchi<br />
possono talvolta essere di dimensioni rilevanti (decine o centinaia di m 3) come nel caso degli accumuli di<br />
Clos del Chardonnet, in Val Chisone, e di Bard, in Val Cenischia. Accumuli di grandi dimensioni<br />
presentano invece caratteri di facies generalmente assai differenziati da punto a punto e costituiscono il<br />
prodotto di fenomeni ripetuti nel tempo, che risulta però impossibile delimitare (es. Sauze d’Oulx). In<br />
alcuni accumuli è inoltre possibile riconoscere porzioni anche molto estese di substrato rilasciato e<br />
disarticolato ad opera di meccanismi di tipo rotazionale o traslativo (es. parte sommitale <strong>della</strong> frana del<br />
Rif, in Val Chisone).<br />
L’espressione morfologica degli accumuli varia in relazione all’entità del rimo<strong>della</strong>mento intercorso dal<br />
momento <strong>della</strong> deposizione e quindi in prima approssimazione all’età dell’accumulo.<br />
Particolarmente numerosi i fenomeni ubicati sia sul versante destro (accumuli <strong>della</strong> Testa del Mottas e<br />
di Pietra Grossa) che quello sinistro (accumuli di Eclause e del Papillon) <strong>della</strong> media Valle di Susa. La<br />
morfologia piuttosto articolata suggerisce in questi casi la natura complessa del meccanismo di messa in<br />
posto, con evidenze di scivolamenti traslativi e/o rotazionali evolutisi in colata. I depositi, alquanto<br />
eterogenei ed eterometrici, hanno struttura generalmente caotica ed un basso grado di addensamento; le<br />
litofacies più rappresentate sono costituite da diamicton a matrice sabbioso-limosa e da ammassi caotici
di blocchi rocciosi fratturati; anche in questi casi, parziali e progressive rimobilizzazioni hanno localmente<br />
modificato l’originaria configurazione <strong>della</strong> massa franosa. Per alcuni accumuli si può ragionevolmente<br />
ipotizzare uno stretto legame genetico con le deformazioni gravitative profonde che interessano ampi<br />
settori <strong>della</strong> Valle di Susa: significativo è il fenomeno di Eclause, ubicato a monte <strong>della</strong> stretta di Serre la<br />
Voûte e indotto dai movimenti gravitativi profondi che coinvolgono l’intero versante sud-orientale delle<br />
Casses Blanches.<br />
Anche in Val Chisone è stata osservata un’ampia casistica di fenomeni gravitativi: frane di crollo con<br />
accumuli caotici di blocchi; scorrimenti traslativi e rotazionali a spese di porzioni più o meno estese di<br />
substrato dislocato in genere per brevi distanze; fenomeni complessi talora di grande estensione. Come<br />
per la Valle di Susa, anche in Val Chisone, ed in particolare sul suo versante sinistro (es. M. Blegier e<br />
Gran Serin), alcuni accumuli sono con ogni probabilità connessi all’evoluzione di settori già coinvolti da<br />
fenomeni di deformazione gravitativa profonda.<br />
Accumuli di origine mista (uin e). L’ambiente alpino è caratterizzato dall’azione di processi fisici<br />
differenti che possono agire, seppure con modalità e in momenti diversi, nell’ambito di uno stesso ristretto<br />
settore. In tal senso il termine “deposito misto” è stato utilizzato con l’accezione di sedimento avente<br />
carattere poligenico, ora di origine gravitativa, ora di debris flow, ora torrentizio e ora di valanga. La<br />
facies più comune è rappresentata da diamicton massivi a matrice sabbiosa o ghiaioso-sabbiosa; la<br />
petrografia e la forma dei clasti e dei blocchi variano alquanto in funzione <strong>della</strong> natura degli originari<br />
sedimenti a spese dei quali si sono formati i depositi misti. Conoidi piuttosto acclivi, originantisi allo<br />
sbocco di ripidi e stretti canaloni, costituiscono l’espressione morfologica più tipica di questi depositi,<br />
come quelli conservati nei pressi di Beaulard, Oulx e del Forte di Exilles; altri depositi si osservano nel<br />
Vallone del Gran Bosco a circa 1.700 m di quota, nei pressi di Montagne Seu.<br />
Depositi travertinosi (uin q). Nelle valli Susa e Chisone sono stati individuati numerosi lembi di<br />
travertino fitoermale e stromatolitico (sensu D’ARGENIO & FERRERI, 1987) con episodici passaggi a<br />
facies detritiche. Nel primo caso si tratta di concrezioni carbonatiche porose e vacuolari, incrostanti<br />
vegetazione igrofila in posizione di crescita; i travertini stromatolitici sono costituiti da un aggregato<br />
compatto di cristalli di calcite, organizzato in una successione più o meno regolare di lamine di colore<br />
alternativamente chiaro e scuro; la presenza di facies detritiche è da ricondursi a processi di incrostazione<br />
su resti vegetali talvolta di grandi dimensioni (tronchi, rami e altri frammenti vegetali), nonché su clasti<br />
carbonatici provenienti dallo smantellamento di preesistenti corpi travertinosi. All’interno delle masse<br />
carbonatiche sono inoltre stati rinvenuti sporadici livelli, di spessore centimetrico o decimetrico, di<br />
travertino bibliolitico (sensu D’ARGENIO & FERRERI, 1987), costituito da incrostazioni su pacchetti di<br />
foglie il più delle volte isoorientate e con disposizione embricata (es. Le Selle e Sauze d’Oulx). Pur<br />
mancando tracce di sostanza organica, la presenza di impronte che riproducono anche nei minimi dettagli<br />
le originarie strutture foliari permette di attribuire le stesse a latifoglie (Fagus, Corylus, Alnus, Ulmus) ed<br />
a conifere (Larix, Pinus).<br />
Le masse travertinose presentano talvolta un’evidente stratificazione, sottolineata da livelli<br />
stromatolitici, che ricalca quasi sempre l’andamento <strong>della</strong> superficie di appoggio basale e<br />
corrispondentemente quella locale del versante. Lo spessore dei lembi solitamente non supera qualche<br />
metro, con la sola eccezione del travertino conservato nei pressi di Le Selle, che si sviluppa in altezza per<br />
circa 10 m. Significativi anche i travertini localizzati in Valle di Susa nei pressi del Gad d’Oulx, a 1.350 m<br />
di quota, e quelli distribuiti sul versante che sovrasta Chiomonte, a 1.050 m di quota. In Val Chisone<br />
particolarmente esteso è il lembo di travertino stromatolitico conservato nei pressi del Gran Puy, a monte<br />
di Pragelato, tra i 1.900 ed i 1.750 m di quota.<br />
La distribuzione dei travertini è strettamente connessa <strong>alla</strong> presenza di un substrato carbonatico<br />
pervasivamente fratturato, allentato e disarticolato che favorisce l’instaurarsi di intensi processi di<br />
dissoluzione <strong>della</strong> frazione carbonatica e la sua successiva precipitazione in corrispondenza dei punti di<br />
affioramento delle acque di percolazione. Tuttavia le originarie condizioni chimico-fisiche, morfologiche<br />
ed idrologiche favorevoli al fenomeno di precipitazione sono in alcuni casi cessate per lasciare il posto ai<br />
processi di rimo<strong>della</strong>mento che hanno talvolta profondamente modificato l’originaria espressione<br />
morfologica dei depositi, dando luogo a fenomeni di inversione del rilievo (es. Grange Selle). Questa serie<br />
di elementi consente di stabilire che l’origine di queste rocce non è particolarmente recente, seppure<br />
travertini in formazione sono stati comunque rilevati nelle stesse aree di distribuzione dei precedenti.<br />
2. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE DISTINTE IN BASE AL BACINO DI PERTINENZA
Nel capitolo che segue verranno descritti, in ordine cronologico, dal più antico al più recente, i diversi<br />
termini delle successioni stratigrafiche riconosciute nel Bacino del Cenischia (considerato ramo principale<br />
del bacino segusino), nel Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia s.s. e nei bacini tributari.<br />
2.1. - BACINO DEL CENISCHIA<br />
I termini <strong>della</strong> successione stratigrafica quaternaria riconosciuta in questo bacino sono stati riuniti<br />
nell’Allogruppo del Moncenisio, comprendente le Alloformazioni di Frassinere, di Magnoletto e di<br />
Venaus. Queste sono state denominate sulla base di toponimi relativi a località presenti nel contiguo<br />
Foglio “Susa”, le ultime due poste in particolare nella parte bassa del Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia: questa<br />
scelta è motivata dal fatto che il Bacino del Cenischia è stato il principale alimentatore del glacialismo<br />
<strong>della</strong> bassa Valle di Susa, come testimonia la soglia di Gravere in cui le forme di mo<strong>della</strong>mento del<br />
ghiacciaio proveniente d<strong>alla</strong> media Valle di Susa sono dissecate da quelle più recenti del ghiacciaio <strong>della</strong><br />
Val Cenischia - bassa Valle di Susa. La successione, interpretata come espressione <strong>della</strong> massima<br />
espansione dell’ultima glaciazione (Last Glacial Maximum Auct. ) e di due fasi di ritiro, è stata riferita al<br />
Pleistocene superiore in base ai rapporti geometrici che presenta nei confronti <strong>della</strong> successione del<br />
Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia.<br />
2.1.1. - Allogruppo del Moncenisio<br />
Alloformazione di Frassinere (fra) (Pleistocene sup.)<br />
E’ costituita da prevalenti diamicton a matrice ghiaioso-sabbiosa con ciottoli centimetrico-decimetrici<br />
subangolosi ed arrotondati, talora levigati e striati, di gneiss e micascisti del Massiccio d’Ambin e<br />
subordinatamente di quarziti e quarziti micacee (till di allogamento, fra m). Ai precedenti si associano<br />
diamicton a matrice sabbioso-ghiaiosa caratterizzati in superficie d<strong>alla</strong> presenza di grossi blocchi di gneiss<br />
e micascisti (till di ablazione, fra n). I lembi di depositi riferibili a questa unità, profondamente rimo<strong>della</strong>ti,<br />
sono distribuiti entro una fascia altimetrica compresa tra i 1.650 ed i 1.350 m di quota. La superficie di<br />
appoggio basale dei depositi è ben conservata, come nel caso dei terrazzi in roccia visibili nei pressi delle<br />
località Arcangel, Grangia Plan Suffì e Case Poisaton, sui quali la natura glaciale del mo<strong>della</strong>mento è<br />
documentata da evidenti tracce di levigatura e striatura.<br />
Alloformazione di Magnoletto (mgl) (Pleistocene sup.)<br />
Nell’ambito di questa unità sono stati distinti dei diamicton massivi a matrice limoso-sabbiosa con clasti<br />
centimetrico-decimetrici, subarrotondati, levigati e talora striati, costituiti da gneiss e micascisti del<br />
Massiccio d’Ambin e da calcescisti. Interpretati come till di allogamento (mgl m), i depositi sono<br />
conservati in un unico lembo ad Est <strong>della</strong> località Arcangel, a valle <strong>della</strong> S.S. n° 25 del Moncenisio. Ad<br />
essi si associano dei till di ablazione (mgl n), localizzati nei pressi del Lago Piccolo del Moncenisio,<br />
costituiti da diamicton massivi poco addensati con matrice sabbioso-ghiaiosa nella quale sono immersi<br />
clasti e blocchi subangolosi di gneiss e micascisti del Massiccio d’Ambin. I depositi riferibili a questa unità<br />
poggiano su un’ampia superficie erosionale, attraversata d<strong>alla</strong> strada che collega la S.S. n° 25 all’abitato<br />
di Moncenisio, sulla quale sono frequentemente conservate forme di mo<strong>della</strong>mento glaciale quali<br />
levigature e montonature.<br />
Alloformazione di Venàus (ven) (Pleistocene sup.)<br />
E’ costituita da diamicton a matrice sabbioso-limosa con blocchi e ciottoli, talvolta ben arrotondati, di<br />
calcescisti, micascisti e brecce a cemento carbonatico (till di allogamento, ven m). I depositi, conservati in<br />
un unico lembo nei pressi <strong>della</strong> Grangia S. Pancrazio, sono articolati in una serie di dorsali allineate per<br />
alcune centinaia di metri in direzione EO, sulle quali sono distribuiti numerosi blocchi di brecce a cemento<br />
carbonatico. Verso Sud i till di allogamento sono mascherati da un esteso e caotico accumulo, con<br />
struttura di tipo open work, di blocchi tabulari metrici di calcescisti marmorei. In precedenza l’accumulo è<br />
stato interpretato come il prodotto dell’attività esarativa del ghiacciaio <strong>della</strong> Val Cenischia (LEBLANC,<br />
1841) e come corpo di frana recente (FUDRAL et alii, 1994): la singolarità del suo aspetto e soprattutto la<br />
particolare posizione al centro del ripiano su cui sorge l’abitato di Moncenisio, suggeriscono invece una<br />
sua interpretazione come “frana con trasporto glaciale” (sensu CASTIGLIONI, 1958) (till di ablazione,
ven n). La superficie di appoggio basale dell’unità è visibile lungo il margine meridionale dell’accumulo, in<br />
corrispondenza dell’incisione posta a valle del Lago Piccolo di Moncenisio, e lungo la strada Moncenisio-<br />
Novalesa.<br />
2.2. - BACINO DELLA DORA RIPARIA<br />
Il Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia è stato geograficamente suddiviso in tre segmenti indicati rispettivamente<br />
come bassa Valle di Susa (da Susa allo sbocco in pianura), media Valle di Susa (da Oulx a Susa) ed alta<br />
Valle di Susa (a monte di Oulx); nell’ambito di quest’ultimo tratto sono stati individuati i rami <strong>della</strong> Dora<br />
di Cesana e <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia.<br />
Nell’alta e nella media Valle di Susa, oltre ad una successione di depositi grossomodo correlabile con<br />
l’Allogruppo del Moncenisio (dal quale peraltro differisce per numero e tipo di suddivisioni), sono state<br />
rilevate le tracce di un’espansione glaciale più antica, conservate in una fascia altimetrica più alta ed<br />
intensamente rimo<strong>della</strong>ta (Allogruppo di Clot Sesiàn). In assenza di qualsiasi elemento diretto di<br />
datazione quest’ultima unità è stata del tutto indicativamente riferita al Pleistocene medio.<br />
2.2.1. - Allogruppo di Clot Sesiàn (cs) (Pleistocene medio?)<br />
E’ costituito da diamicton a matrice limosa di colore 5-7,5 YR (Munsell Soil Color Charts), con<br />
ciottoli e blocchi spesso molto alterati di metabasiti, quarziti e subordinatamente di micascisti, calcescisti<br />
e dolomie. La provenienza di questi sedimenti, interpretati come till di allogamento (cs m), è quindi da<br />
riferire soprattutto al Massiccio d’Ambin. Lungo il crinale che separa la Val Clarea d<strong>alla</strong> Val Cenischia,<br />
nei pressi di Pra Piano a 1.500 m di quota, sono inoltre stati individuati alcuni lembi di depositi glaciali<br />
interpretati come till indifferenziati (cs l) e di ablazione (cs n). L’entità e la durata dei processi di<br />
rimo<strong>della</strong>mento che hanno operato nella fascia altimetrica di distribuzione di questa unità trova riscontro<br />
nel ritrovamento, su alcune superfici rocciose levigate (es. dorsale di Cappella Bianca), di sparsi ed isolati<br />
ciottoli arrotondati e levigati (“morenico scheletrico sparso” Auct.). I depositi glaciali risultano nel<br />
complesso alterati in tutto lo spessore visibile in affioramento, generalmente non superiore ai 2 m. La<br />
superficie di appoggio basale è mo<strong>della</strong>ta in roccia; quella sommitale, con andamento piuttosto irregolare,<br />
è il frutto dell’intenso e talvolta estremo rimo<strong>della</strong>mento operato a spese dell’originario corpo<br />
sedimentario. L’areale di distribuzione dei rari lembi in cui è conservata questa unità è compreso fra i<br />
1.900 ed i 1.460 m di quota e corrisponde <strong>alla</strong> fascia altimetrica più elevata in cui sono stati trovati<br />
depositi riferibili al glacialismo regionale. Verso il fondovalle la fascia di distribuzione è in molti tratti<br />
delimitata dal ciglio superiore di una netta scarpata di erosione.<br />
Il brusco cambiamento del grado di rimo<strong>della</strong>mento e di alterazione che si registra rispetto ai sedimenti<br />
conservati nella fascia altimetrica immediatamente sottostante, permette di considerare i depositi<br />
dell’Allogruppo di Clot Sesiàn come i più antichi di cui si è conservata traccia nell’area del foglio.<br />
Depositi glaciali assimilabili per caratteristiche interne e posizione a quelli dell’Allogruppo di Clot<br />
Sesiàn sono distribuiti nella bassa Valle di Susa; sebbene la frammentarietà del record sedimentario in<br />
questa fascia altimetrica non consenta di effettuare correlazioni puntuali fra i singoli lembi di depositi<br />
glaciali, tenuto conto del loro progressivo abbassamento verso valle, le quote delle loro superfici di<br />
appoggio basale permettono di correlarli con la fascia altimetrica di distribuzione dell’Allogruppo di Clot<br />
Sesiàn. Allo sbocco vallivo in pianura tali depositi possono inoltre essere stratigraficamente assimilati a<br />
quelli <strong>della</strong> cerchia di Monsagnasco, riferibile <strong>alla</strong> penultima maggiore espansione glaciale (NICOLUSSI,<br />
1993; cfr. nota 2) e datata al Pleistocene medio.<br />
2.2.2. - Allogruppo di Salbertrand<br />
Grazie <strong>alla</strong> correlabilità con le cerchie più alte e meglio conservate dell’Anfiteatro Morenico di Rivoli-<br />
Avigliana, al grado di conservazione e <strong>alla</strong> parallelizzazione con quanto avviene nelle altre maggiori valli<br />
dell’arco alpino occidentale, il complesso di depositi che nella media Valle di Susa può essere riferito<br />
all’ultima glaciazione si presenta articolato in maniera diversa rispetto ai corrispondenti depositi del<br />
Bacino del Cenischia (Fig. 2). All’interno di questo allogruppo è stato possibile riconoscere una<br />
successione di unità di rango inferiore denominate informalmente come Alloformazioni di Frénèe, di
Fig. 2. Schema dei rapporti stratigrafici <strong>della</strong> copertura pliocenico-quaternaria.<br />
Alloformazione di Frénèe (fre) (Pleistocene sup.)<br />
E’ costituita da diamicton a matrice limosa, con clasti di metabasiti, quarziti, gneiss, micascisti, calcari<br />
e dolomie (till di allogamento, fre m). I depositi, localmente alterati con matrice di colore 7,5-10 YR, sono<br />
spesso impregnati da cemento carbonatico particolarmente sviluppato in spessore nel lembo di Auberge<br />
Sup., sul versante sinistro dell’alta Valle di Susa.<br />
Il tetto deposizionale è rappresentato da una superficie di accumulo rimo<strong>della</strong>ta e in alcuni casi sepolta<br />
da accumuli gravitativi. Le superfici di appoggio basale e laterale corrispondono a forme erosionali di<br />
mo<strong>della</strong>mento glaciale, con strie e solchi di esarazione e configurazione planare in grande. Sul versante<br />
sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa, nella porzione più elevata <strong>della</strong> fascia di distribuzione di questa unità,<br />
l’andamento delle superfici basali è prevalentemente molto inclinato verso il fondovalle; sul versante<br />
destro le superfici hanno invece giacitura suborizzontale e sono talvolta interrotte da piani di<br />
scivolamento gravitativo.<br />
La fascia di distribuzione dei depositi, compresa fra i 1.690 ed i 1.350 m di quota, è delimitata verso<br />
l’alto d<strong>alla</strong> base di scarpate rocciose (es. versante sinistro ad Ovest di Eclause e versante destro nei pressi<br />
di Case Berge), oppure dal brusco passaggio a ripiani mo<strong>della</strong>ti in roccia (es. versante destro sulla dorsale<br />
di Serre Gountard). Al di sotto di tale limite, corrispondente al margine inferiore di distribuzione<br />
dell’Allogruppo di Clot Sesiàn, il grado di alterazione e di rimo<strong>della</strong>mento dei lembi glaciali conservati si<br />
riduce in modo brusco, lasciando supporre che l’insieme delle forme e dei depositi appartenenti<br />
all’Alloformazione di Frénèe siano riferibili ad un episodio glaciale sensibilmente più recente rispetto a<br />
Sul versante sinistro <strong>della</strong> valle, a NE <strong>della</strong> frana del M. Pramand, il limite inferiore <strong>della</strong> fascia di<br />
distribuzione dei depositi è individuato da una ex-morena con nucleo in roccia sulla quale si rinvengono<br />
rari ciottoli arrotondati. Sullo stesso versante si possono osservare alcuni lembi di superfici che<br />
definiscono altrettante contropendenze in roccia levigate, striate e talora montonate, la cui posizione<br />
altimetrica (quota minima 1.320 m nel settore ad Est di S. Colombano) si raccorda con il limite inferiore<br />
<strong>della</strong> fascia di distribuzione dell’Alloformazione di Frénèe. Nell’insieme queste forme sono visibilmente<br />
intersecate d<strong>alla</strong> superficie di appoggio laterale dell’Alloformazione di Fenìls.<br />
Nel settore orientale del Foglio “Bardonecchia” e nel contiguo Foglio “Susa”, la superficie limite<br />
superiore di distribuzione dell’Alloformazione di Frénèe si correla altimetricamente con la cresta di alcuni<br />
argini morenici laterali che potrebbero testimoniare la quota più alta raggiunta dal ghiacciaio nel corso<br />
dell’ultima glaciazione. La superficie di appoggio basale risulta invece correlabile con la soglia in roccia di
Gravere, determinata dell’intersezione del fondovalle unitario su cui si sono deposte le Alloformazioni di<br />
Frénèe e Frassinere, rispettivamente nei bacini <strong>della</strong> media Valle di Susa e del Cenischia, con quello più<br />
basso e più recente che si è venuto a mo<strong>della</strong>re con l’approfondimento del solo ghiacciaio del Cenischia e<br />
la connessa sedimentazione dell’Alloformazione di Frassinere; la media Valle di Susa si è venuta così a<br />
configurare come una valle sospesa. Nell’Anfiteatro Morenico di Rivoli-Avigliana l’Alloformazione di<br />
Frénèe mostra di correlarsi altimetricamente con i depositi <strong>della</strong> cerchia di Cresta Grande, attribuita <strong>alla</strong><br />
parte inferiore del Pleistocene sup. (NICOLUSSI, 1993; cfr. nota 2).<br />
Alloformazione di Fenìls (fen) (Pleistocene sup.)<br />
Diverse sono le facies che caratterizzano i depositi di questa unità: diamicton massivi, molto addensati,<br />
a matrice limosa e ciottoli arrotondati, levigati e talvolta striati (till di allogamento, fen m); diamicton<br />
scarsamente addensati a matrice sabbiosa e sabbioso-limosa (colore di alterazione 10 YR) e clasti poco<br />
arrotondati (till indifferenziati, fen l); diamicton a scarsa matrice sabbioso-ghiaiosa e prevalenti ciottoli e<br />
blocchi subangolosi (till di ablazione, fen n). Clasti e blocchi, da poco alterati ad alterati, sono costituiti da<br />
metabasiti, quarziti e dolomie, secondariamente da gneiss, micascisti e calcescisti.<br />
I depositi sono distribuiti tra i 1.450 ed i 970 m di quota; i lembi più estesi sono conservati sul versante<br />
destro dell’alta Valle di Susa, fra Royeres (a monte di Beaulard) ed Oulx, e sul versante sinistro <strong>della</strong><br />
media Valle di Susa. A Beaulard i depositi sono distribuiti su una serie di ripiani posti a quote diverse e<br />
talora separati da scarpate in roccia e da dossi montonati. Sul versante sinistro <strong>della</strong> media Valle di Susa,<br />
poco a valle dell’accumulo di frana del M. Pramand, il limite superiore di distribuzione dei depositi è<br />
rappresentato d<strong>alla</strong> cresta <strong>della</strong> ex-morena con nucleo in roccia che costituisce il moncone di un argine<br />
profondamente rimo<strong>della</strong>to, mentre a valle di Salbertrand il limite corrisponde, su entrambi i versanti, <strong>alla</strong><br />
base di alcune scarpate in roccia molto inclinate; queste passano gradualmente verso l’alto ad una serie di<br />
contropendenze di versante, con dossi montonati e superfici pianeggianti sulle quali si rinvengono i<br />
depositi dell’Alloformazione di Frénèe. I rapporti intercorrenti tra l’appoggio basale dell’Alloformazione<br />
di Frénèe e l’appoggio laterale dell’Alloformazione di Fenìls indicano che quest’ultima è incastrata nella<br />
precedente.<br />
Presso Fenìls, fra i 1.300 ed i 1.200 m di quota, è conservato un argine morenico arcuato, costituito<br />
da till di ablazione poco addensati, la cui cresta è dislocata per alcune decine di metri in direzione NO-SE<br />
dai movimenti differenziali del fenomeno gravitativo di Serre la Voûte; presso Devéis lo stesso tipo di<br />
deposito è conservato in un piccolo lembo, poggiante su substrato roccioso levigato e striato,<br />
superiormente in contatto, per mezzo di una superficie erosionale, con altri till di allogamento. Dati<br />
ricavati da sondaggi accertano che la superficie su cui poggiano i depositi glaciali del lembo di Fenìls è<br />
mo<strong>della</strong>ta in roccia fratturata e disarticolata ed è ubicata ad una quota compresa fra i 1.100 ed i 1.025 m.<br />
I depositi dell’Alloformazione di Fenìls sono distribuiti, a monte di Oulx, anche sui versanti del Bacino<br />
<strong>della</strong> Dora di Cesana; tuttavia l’evidente diversità nella tipologia del substrato affiorante in questo bacino<br />
si riflette nella natura dei clasti, costituiti da calcescisti, rocce carbonatiche, pietre verdi e gabbri.<br />
Alloformazione di Devéis (dev) (Pleistocene sup.)<br />
E’ costituita da diamicton a matrice limosa con ciottoli centimetrico-decimetrici, arrotondati, levigati e<br />
talvolta striati, di metabasiti, micascisti, calcescisti, dolomie, subordinatamente di marmi, quarziti e gneiss<br />
(till di allogamento, dev m); i clasti sono per nulla o poco alterati, ad eccezione di quelli carbonatici che si<br />
presentano profondamente corrosi. I depositi sono distribuiti prevalentemente ai margini <strong>della</strong> piana di<br />
Salbertrand e nei pressi di Costans, ad Est di Beaulard; alcuni sondaggi hanno inoltre incontrato gli stessi<br />
depositi al di sotto dei sedimenti alluvionali di fondovalle.<br />
Depositi simili, ma con clasti più grossi, meno arrotondati ed una matrice meno addensata, sono stati<br />
individuati a valle di Salbertrand (till di ablazione, dev n); in particolare quelli ubicati nei pressi di Serre la<br />
Voûte hanno una struttura caotica ed un’espressione superficiale irregolarmente ondulata con dorsali e<br />
depressioni. Nei pressi di Costans, oltre ai till di allogamento, affiorano depositi sabbioso-limosi<br />
fittamente stratificati, interpretati come depositi glaciolacustri (dev p).<br />
Nell’insieme i depositi di questa unità sono distribuiti prevalentemente sul versante sinistro <strong>della</strong> Valle<br />
di Susa fino ad una quota massima di 1.200 m; in prossimità del limite superiore <strong>della</strong> loro fascia di<br />
distribuzione essi poggiano lateralmente contro superfici di erosione subverticali mo<strong>della</strong>te in roccia e<br />
localmente nei depositi dell’Alloformazione di Fenìls (settore di Serre la Voûte), nella quale risultano<br />
pertanto incastrati. L’appoggio basale non è quasi mai visibile poiché mascherato dai depositi<br />
fluviolacustri <strong>della</strong> piana di Salbertrand. Solo a valle di Serre la Voûte la superficie affiora in due punti<br />
posti a 950 m di quota: in un caso, nei pressi di Devéis, la superficie è impostata nei till di allogamento<br />
dell’Alloformazione di Fenìls, nell’altro è mo<strong>della</strong>ta nel substrato roccioso. Il fatto che a valle di Exilles e
a quote via via meno elevate si rinvengano altri depositi riferibili all’Alloformazione di Devéis, senza<br />
tuttavia poterne osservare l’appoggio basale, lascerebbe supporre che il limite altimetrico inferiore di<br />
distribuzione di questa unità sia situato, almeno nel settore orientale, a meno di 850 m di quota.<br />
Depositi riconducibili all’Alloformazione di Devéis sono stati individuati anche sui versanti <strong>della</strong> Dora<br />
di Cesana (es. Amazas e S. Marco): si tratta di till di allogamento con ciottoli arrotondati, levigati e<br />
talora striati di calcescisti, calcari, pietre verdi e gabbri, oltre a rari ma quanto mai significativi ciottoli di<br />
radiolariti e arenarie.<br />
I depositi delle Alloformazioni di Fenìls e di Devéis sono distribuiti a quote progressivamente minori<br />
con areali di distribuzione via via più ridotti e più prossimi all’asse vallivo procedendo dal termine più<br />
antico a quello più recente; nella media Valle di Susa la conservazione di argini morenici laterali e di<br />
depositi fluvioglaciali in facies di ice-contact testimoniano la progressiva riduzione di ampiezza e di<br />
volume <strong>della</strong> massa glaciale. Le Alloformazioni di Fenìls e di Devéis,differenza dell’Alloformazione di<br />
Frénèe,non sono correlabili con le unità glaciali dell’anfiteatro pedemontano; le analogie nella posizione<br />
altimetrica e nelle caratteristiche interne esistenti fra queste unità e quelle riconoscibili in altri settori <strong>della</strong><br />
Valle di Susa inducono ad interpretarle le prime come il prodotto di distinte pulsazioni glaciali intravallive<br />
successive all’ultima espansione.<br />
2.2.3. - Allogruppo di S. Stefano<br />
Contemporaneamente al regresso delle masse glaciali hanno cominciato ad operare i processi di<br />
rimo<strong>della</strong>mento legati <strong>alla</strong> dinamica torrentizia: l’Unità di Seigneur e l’Alloformazione di Chiomonte<br />
esprimono in tal senso due episodi dell’evoluzione sedimentaria intravalliva post-glaciale. I depositi<br />
dell’Unità di Chiomonte testimoniano in particolare le ultime fasi di approfondimento erosionale <strong>della</strong><br />
Dora Riparia seguite al ritiro del ghiacciaio segusino e a quello <strong>della</strong> Val Clarea.<br />
Unità di Seigneur (sei) (Pleistocene sup.)<br />
A valle di Chiomonte è stato individuato un complesso di depositi ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi con<br />
struttura clast-supported, cementati o molto cementati, costituiti da ciottoli ben classati ed arrotondati<br />
frammisti ad una scarsa matrice sabbiosa. I ciottoli sono costituiti da micascisti e gneiss, cui si<br />
aggiungono subordinate quarziti, metabasiti, calcari e dolomie; significativa la presenza di serpentiniti e<br />
radiolariti provenienti da specifici settori <strong>della</strong> media ed alta Valle di Susa. La facies dei depositi è tipica<br />
di un ambiente fluviale intravallivo di energia relativamente bassa (sei f).<br />
I depositi sono stratificati in banchi di spessore metrico o decimetrico separati da superfici erosionali<br />
talora debolmente ondulate, talaltra molto irregolari e sottolineate da lag deposits. La stratificazione è<br />
suborizzontale, con la sola eccezione del settore di confluenza del Rio Clarea nella Dora Riparia, ove si<br />
osservano valori di inclinazione molto elevati (fino a 50° verso Est); questa evidenza, unitamente ad una<br />
serie di faglie normali a rigetto metrico, con direzione N130 ed inclinazione di 50-70° verso SO, indica la<br />
presenza di deformazioni compatibili, dal punto di vista cinematico, sia con il campo di sforzi legato<br />
all’evoluzione geodinamica recente, sia con fenomeni di glaciotettonica connessi alle variazioni di volume<br />
del ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea successivamente <strong>alla</strong> messa in posto dell’unità. I depositi dell’Unità di<br />
Seigneur sono distribuiti fra i 725 ed i 645 m di quota. La superficie di appoggio basale è sempre<br />
mo<strong>della</strong>ta in roccia e mostra, nel tratto compreso tra lo sbocco <strong>della</strong> Val Clarea e Susa, un andamento<br />
anomalo con giacitura in contropendenza rispetto al versante. L’originario tetto deposizionale non è<br />
conservato poiché profondamente rimo<strong>della</strong>to oppure obliterato da superfici erosionali ad opera del<br />
ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea. Non è chiaro se i depositi dell’Unità di Seigneu siano direttamente<br />
soggiacenti , ai depositi dell’Alloformazione di Devéis, ultimo episodio glaciale <strong>della</strong> media Valle di Susa,<br />
e quindi contemporanei (potrebbero costituire il riempimento di una forra di escavazione subglaciale), o<br />
se vi siano incastrati: in quest’ultimo caso sarebbero interpretabili come depositi fluviali successivi<br />
all’ultimo ritiro locale del ghiacciaio segusino. In entrambe le ipotesi, le cause delle condizioni di energia<br />
relativamente bassa che ne hanno controllato la sedimentazione vanno ricercate nell’ostacolo al deflusso<br />
locale delle acque indotto, oltre il gradino di Gravere, dal ghiacciaio allora ancora presente nella Val<br />
Cenischia e nella bassa Valle di Susa. La soggiacenza dell’Unità di Seigneur ai depositi legati all’episodio<br />
glaciale più recente <strong>della</strong> Val Clarea concorre nell’attribuirne con certezza un’età pleistocenica superiore.<br />
Lo sbarramento operato dal ghiacciaio <strong>della</strong> Val Cenischia - bassa Valle di Susa ha condizionato<br />
l’intera evoluzione tardo-pleistocenica superiore <strong>della</strong> media Valle di Susa, come testimoniato dal
complesso di depositi lacustri distribuiti nel tratto terminale <strong>della</strong> stessa (<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA,<br />
1999): i depositi fluviali di Seigneur potrebbero in tal caso rappresentare un corpo eteropico a questi, e<br />
quindi essere solo coevo, oppure esservi incastrati dentro e rappresentare le ultime fasi di sopravvivenza<br />
del bacino lacustre.<br />
La distribuzione planimetrica dei depositi di questa unità ricalca l’andamento <strong>della</strong> Dora Riparia nel<br />
tratto a monte de La Maddalena, ma se ne discosta nel tratto a valle seguendo un percorso nettamente<br />
spostato verso Nord, passante per S. Giovanni, fino a raccordarsi nuovamente all’attuale direttrice a Sud<br />
di S. Stefano. Tale deviazione è l’effetto prodotto dall’ultima avanzata del ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea che<br />
ha portato <strong>alla</strong> formazione <strong>della</strong> morena frontale de La Maddalena: l’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia nel tratto<br />
compreso fra La Maddalena e S. Stefano è quindi epigenetico.<br />
Alloformazione di Chiomonte (chi) (Pleistocene sup.)<br />
A valle del Ponte Nuovo di Exilles, lungo la scarpata che delimita la sponda destra <strong>della</strong> Dora Riparia,<br />
sono stati individuati dei depositi ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi ben stratificati, con intercalazioni sabbiose<br />
di spessore decimetrico e talvolta metrico, nei quali sono inglobati ciottoli e blocchi ben arrotondati<br />
(depositi fluviali, chi f). I sedimenti, localmente ben cementati e poggianti lateralmente su una superficie<br />
mo<strong>della</strong>ta in roccia, sono irregolarmente distribuiti lungo l’asse vallivo e sospesi a varie altezze (fino a<br />
100 m nei pressi di Chiomonte) sull’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia.<br />
In posizione analoga e del tutto simili ai precedenti sono i depositi affioranti nei pressi del Ponte<br />
Nuovo di Exilles, alcune decine di metri al di sopra dell’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia. Si tratta di sedimenti<br />
ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi, ben stratificati e cementati, presumibilmente di origine fluvioglaciale. Situati<br />
in posizione laterale rispetto all’incisione <strong>della</strong> Dora Riparia ed in parte mascherati da un piccolo conoide<br />
alluvionale che si innesta <strong>alla</strong> base del versante destro, i depositi poggiano lateralmente su una dorsale in<br />
roccia interpretata come un’originaria soglia glaciale (OLIVERO, 1992; cfr. nota 2).<br />
A valle di Serre la Voûte, tra Campbons e Chiomonte, sono stati individuati lembi di depositi ghiaiososabbiosi<br />
e ghiaioso-ciottolosi, talvolta grossolanamente stratificati, inglobanti grossi blocchi. I caratteri<br />
sedimentologici, l’espressione superficiale dei corpi sedimentari (in forma di conoidi alluvionali dissecati)<br />
e la loro localizzazione in prossimità dei punti di confluenza hanno permesso di interpretare gli stessi<br />
come il prodotto di processi di tipo torrentizio e di trasporto solido in massa (debris-mud flow)<br />
sviluppatisi lungo il reticolato affluente. L’attuale espressione morfologica è il risultato di una variazione<br />
nella configurazione del fondovalle principale, legata in particolar modo al suo graduale<br />
approfondimento, che ha indotto i torrenti, ed in secondo luogo la Dora Riparia, ad incidere<br />
profondamente i conoidi alluvionali precedentemente edificati dagli stessi.<br />
2.3. - BACINI TRIBUTARI<br />
Accanto alle forme e ai depositi connessi al glacialismo regionale, in particolare <strong>alla</strong> sua ultima<br />
maggiore espansione (Last Glacial Maximum Auct .) ed alle sue oscillazioni di ritiro, all’interno dei bacini<br />
tributari sono state individuate numerose tracce del glacialismo locale. Nell’impossibilità pratica di<br />
stabilire una sequenza stratigrafica per ogni bacino (Fig. 3), come imporrebbero i canoni<br />
dell’allostratigrafia, i diversi gruppi di depositi sono stati cartograficamente riuniti in un’unica<br />
successione-tipo, indicata come “Complesso dei bacini tributari”, comprendente anche i sedimenti<br />
distribuiti nell’alta Val Chisone, dove le tracce del glacialismo riconosciute sono attribuibili unicamente al<br />
mo<strong>della</strong>mento dei ghiacciai tributari.
Fig. 3. Limite massimo di distribuzione dei depositi dell’ultima glaciazione (LGM Auct.), con suddivisione in bacini idrografici dell’area del foglio.<br />
Complesso dei bacini tributari (ugt) (Pleistocene sup. - Olocene)<br />
I depositi riferibili a questa unità nel Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia sono costituiti da diamicton massivi a<br />
matrice sabbiosa e sabbioso-limosa, nella quale sono immersi ciottoli e blocchi di varia forma: arrotondati<br />
o subarrotondati, talvolta levigati e striati, nel caso dei till di allogamento (ugt m); angolosi e subangolosi<br />
nel caso dei till di ablazione (ugt n). Questi ultimi sono poco addensati e in qualche caso mostrano<br />
superficialmente (es. Vallone di Galambra) tracce di lisciviazione ed ossidazione. Nella stessa località
sono stati individuati sedimenti limoso-sabbiosi stratificati, interpretati come depositi glaciolacustri (ugt p).<br />
L’attribuzione di questi depositi alle ultime fasi di ritiro pleistoceniche superiori è giustificata d<strong>alla</strong> loro<br />
distribuzione, dall’esclusiva natura locale dei clasti in essi contenuti e dai rapporti con sedimenti e forme<br />
legati al glacialismo regionale.<br />
In Valle di Susa i lembi più significativi sono conservati <strong>alla</strong> testata dei valloni <strong>della</strong> Rho, del Fréjus e<br />
di Rochemolles, confluenti nella conca di Bardonecchia, e lungo le incisioni laterali (es. Rio Segurét, Rio<br />
Secco, Rio Geronda, Rio Ponté, Vallone di Galambra e Val Clarea). Sul versante destro <strong>della</strong> media Valle<br />
di Susa le tracce più significative del glacialismo locale sono conservate nei pressi di Case dell’Orsiera, di<br />
Bergeria Soubeirand e del Fràis. L’espressione superficiale dei depositi è contraddistinta da argini<br />
morenici laterali, allungati parallelamente ai fianchi dei valloni tributari, e da argini frontali (es. testata dei<br />
valloni <strong>della</strong> Rho, di Rochemolles, del Segurét, di Galambra e del Rio Ponté in sinistra orografica; di<br />
Bergeria Soubeirand e di Case dell’Orsiera in destra orografica), spesso accompagnati da spill-way<br />
channel (es. Rio Ponté). In alcuni casi il rimo<strong>della</strong>mento intervenuto successivamente <strong>alla</strong> fase<br />
cataglaciale ad opera soprattutto di processi torrentizi ha determinato l’approfondimento erosionale e<br />
quindi la dissezione degli originari lembi glaciali (es. Rio Geronda e Rio Supire).<br />
Le superfici di appoggio basale dei depositi, sempre di natura erosionale, sono impostate nel substrato<br />
o, più raramente, sono incastrate nei depositi dell’Allogruppo di Salbertrand: l’analisi dei rapporti<br />
geometrici fra depositi e forme legati al glacialismo regionale e locale lasciano infatti intendere che<br />
quest’ultimo in alcuni casi è sopravvissuto a quello <strong>della</strong> valle principale dopo il ritiro del ghiacciaio<br />
segusino. Significativo è l’esempio del Rio Ponté, tributario di sinistra <strong>della</strong> Dora Riparia, nel quale si<br />
osserva chiaramente l’intersezione dei depositi legati al ghiacciaio locale con quelli delle Alloformazioni<br />
di Frénèe (a quota 1.600 m circa), di Fenìls e di Devéis (nei pressi delle omonime località). Situazione<br />
BERTONE et alii (1986).<br />
Nel bacino del Rio Berta, tributario di destra del T. Cenischia, sono stati individuati lembi di depositi<br />
glaciali costituiti da diamicton a matrice sabbiosa e sabbioso-limosa con ciottoli da subangolosi a<br />
subarrotondati e rari blocchi. I clasti sono costituiti da micascisti e gneiss del Massiccio d’Ambin e da<br />
quarziti. I depositi più significativi sono distribuiti sul versante settentrionale del Toasso Bianco e nei<br />
pressi di Bar Cenisio; in questa ultima località i lembi sono articolati in una serie di dorsali allineate<br />
Attribuibili esclusivamente al glacialismo locale in base <strong>alla</strong> posizione e <strong>alla</strong> petrografia dei clasti, i<br />
depositi conservati in Val Chisone sono costituiti da diamicton massivi poco addensati ed alterati, con<br />
matrice sabbioso-limosa con clasti centimetrico-decimetrici talora arrotondati. I lembi glaciali sono<br />
conservati in prossimità dello spartiacque Susa-Chisone (es. Rio Pomerol, Rivo Roccia e Vallone<br />
dell’Assietta) e <strong>alla</strong> testata di alcuni tributari di destra del T. Chisone (es. Vallone Gran Muels e Rio<br />
Combe Turge). Nel complesso l’originaria espressione morfologica dei depositi è mal espressa, come<br />
confermato dal limitato numero di forme di accumulo riconosciute (es. Rio Combe Turge). La natura dei<br />
clasti rinvenuti nei depositi di fondovalle conferma il legame di quest’ultimi ad apparati glaciali locali<br />
scesi, nella fase di massima espansione, fino ed oltre il punto di confluenza nella valle principale: si citano<br />
ad esempio i ghiacciai <strong>della</strong> Val Troncea e del Vallone Gran Muels, le cui tracce (depositi e superfici di<br />
mo<strong>della</strong>mento) sono state individuate nei pressi di Souchères Hautes (Fig. 3).<br />
3. - UNITA’ IN FORMAZIONE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI PERTINENZA<br />
Unità dei depositi glaciali recenti ed attuali<br />
(uid) (Olocene - Attuale)<br />
E’ costituita da accumuli caotici di blocchi, non lichenizzati, con struttura open-work o partially openwork<br />
(till di ablazione, uid n), formanti le morene frontali e laterali conservate ai margini delle masse<br />
glaciali attualmente in fase di arretramento. Meno frequentemente si rinvengono diamicton a matrice<br />
sabbioso-limosa, per nulla o poco addensati, con ciottoli e blocchi da subangolosi a subarrotondati (till di<br />
allogamento, uid m), e sporadici lembi di depositi sabbioso-limosi (depositi glaciolacustri, uid p).<br />
Nell’insieme i depositi rappresentano da un lato le tracce <strong>della</strong> massima avanzata olocenica (“Piccola<br />
Età del Ghiaccio”), dall’altro i prodotti del glacialismo attuale; quest’ultimi sono in diretto rapporto o<br />
molto prossimi alle poche masse glaciali limitate ai settori più elevati del Massiccio d’Ambin (ghiacciai<br />
dell’Agnello, del Galambra e del Muttet, confinati al di sopra dei 2.850 m di quota), e da quelle oggi<br />
praticamente ridotte a semplici glacionevati (es. Ghiacciaio dei Fourneaux).
Unità ubiquitarie (uid) (Pleistocene sup. - Attuale)<br />
In Valle di Susa buona parte dei settori di fondovalle è occupata da depositi legati <strong>alla</strong> dinamica<br />
torrentizia. Sulla base <strong>della</strong> litofacies e dell’espressione morfologica dei sedimenti sono stati distinti<br />
quattro contesti morfologici:<br />
1) la piana alluvionale <strong>della</strong> Dora Riparia compresa tra Beaulard e Salbertrand, costituita in superficie<br />
da depositi ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi stratificati, con ciottoli arrotondati a disposizione embricata e<br />
subordinati blocchi (uid f); frequenti le intercalazioni sabbiose ed i livelli sabbioso-limosi (uid g) di spessore<br />
metrico. Una campagna di sondaggi effettuata nel 1991 poco a monte di Serre la Voûte ha permesso di<br />
accertare in profondità la presenza di depositi fluviolacustri originatisi in seguito allo sbarramento <strong>della</strong><br />
valle causato dai fenomeni gravitativi di Serre la Voûte e <strong>della</strong> Testa del Mottas, ubicati rispettivamente<br />
sui versanti sinistro e destro <strong>della</strong> Valle di Susa (TROPEANO & OLIVE, 1993). Nell’ambito <strong>della</strong><br />
medesima campagna geognostica, due sondaggi effettuati in prossimità dell’imbocco di monte <strong>della</strong><br />
galleria ferroviaria “Exilles” hanno campionato alle quote 956 e 948 m s.l.m., all’interno del complesso<br />
fluviolacustre, due campioni di legno subfossile, la cui età 14C è risultata rispettivamente di 9.525 ± 85 e<br />
8.380 ± 95 anni BP (TROPEANO & OLIVE, 1993);<br />
2) il settore a valle di Serre la Voûte, in cui l’areale di distribuzione dei depositi alluvionali si restringe<br />
considerevolmente. L’accentuata pendenza del profilo longitudinale del corso d’acqua determina una<br />
variazione <strong>della</strong> facies dei sedimenti, confermata dall’incremento <strong>della</strong> frazione ghiaioso-ciottolosa e d<strong>alla</strong><br />
percentuale di grossi blocchi in parte ereditati da originari depositi glaciali dilavati dai processi torrentizi;<br />
3) i settori di confluenza dei bacini tributari nel fondovalle principale, ove i depositi <strong>della</strong> Dora Riparia<br />
si interdigitano con quelli degli imponenti conoidi che vi si aprono. Quest’ultimi sono costituiti da ghiaieciottolose<br />
grossolanamente stratificate, inglobanti grossi blocchi; le sporadiche intercalazioni di diamicton<br />
massivi sono da ricollegarsi a fenomeni di debris flow. I coni alluvionali maggiormente estesi sono<br />
alimentati d<strong>alla</strong> Valle <strong>della</strong> Rho, d<strong>alla</strong> Valle del Fréjus e dal T. Rochemolles, mentre quelli che si aprono<br />
in Valle Stretta (es. Pian del Colle e Les Arnauds) sono ricorrentemente interessati da processi di debris<br />
flow. A valle di Serre la Voûte l’estensione areale dei conoidi decresce, e corrispondentemente si registra<br />
un incremento dell’acclività delle superfici di accumulo e <strong>della</strong> percentuale di blocchi inglobati nei<br />
depositi. E’ infine da segnalare la presenza di una serie di conoidi, sospesi sull’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia,<br />
che mo<strong>della</strong>no il piano di Chiomonte;<br />
4) altri depositi, caratterizzati da estensione e spessori alquanto modesti, sono ubicati <strong>alla</strong> testata dei<br />
bacini tributari (es. Val Clarea e Valle di Rochemolles) in settori pianeggianti talora corrispondenti a<br />
conche di sovraescavazione glaciale.<br />
In Val Cenischia i depositi alluvionali sono localizzati nei pressi di Bard e sono legati agli estesi e piatti<br />
conoidi alimentati dai corsi d’acqua che drenano il versante nord-orientale del M. Giusalet.<br />
Il fondo <strong>della</strong> Val Chisone è per lunghi tratti articolato da ripiani mo<strong>della</strong>ti in depositi fluviali di bassa<br />
energia, costituiti da sabbie e sabbie ghiaiose, formatisi in seguito a fenomeni di sbarramento vallivo: si<br />
citano ad esempio le superfici sulle quali sorgono gli abitati di Pragelato e Pourrières, poste<br />
rispettivamente a monte dell’accumulo del Clos del Chardonnet (staccatosi dalle pendici nord-occidentali<br />
del M. Albergian) e dell’imponente fenomeno gravitativo del Laux, ubicato nell’adiacente Foglio “Susa”.<br />
Altri depositi alluvionali, costituiti da ghiaie ciottolose con intercalazioni ghiaioso-sabbiose e sabbiose,<br />
sono il prodotto dell’attività torrentizia sviluppatasi lungo il reticolato affluente che alimenta i conoidi che<br />
si aprono sul fondovalle principale, oppure colmano piccole depressioni originariamente mo<strong>della</strong>te dai<br />
ghiacciai tributari nei settori di testata (es. rii Assietta, Faussimagna e Gran Muels).<br />
Depositi lacustri e di torbiera (uid i). I primi sono caratterizzati da una facies limosa con sporadiche<br />
intercalazioni sabbiose; nelle torbe si osserva invece un elevato contenuto in sostanza organica frammista<br />
ad una scarsa frazione limoso-sabbiosa. Questi depositi hanno sempre un’estensione areale piuttosto<br />
limitata e sono localizzati <strong>alla</strong> testata dei bacini tributari, ove spesso mascherano l’originaria morfologia<br />
glaciale colmando conche di sovraescavazione o depressioni sbarrate da archi morenici, in origine<br />
occupate da specchi d’acqua. Sedimenti torbosi costituiscono inoltre il parziale riempimento del fondo di<br />
alcune delle imponenti depressioni allungate (es. Col Blegier) che articolano lo spartiacque tra le valli di<br />
Susa e Chisone.<br />
Depositi di origine mista (uid e). La facies più tipica è rappresentata da diamicton a matrice sabbiosa<br />
con blocchi subangolosi e con intercalazioni sabbioso-ghiaiose. I depositi formano conoidi, ubicati allo<br />
sbocco di piccole incisioni, che talora si interdigitano alle falde detritiche poste <strong>alla</strong> base delle pareti<br />
rocciose; in altri casi i depositi di origine mista si sovrappongono, mascherandoli, ai sedimenti glaciali e<br />
alluvionali che costituivano il fondo dei valloni tributari. Il carattere poligenico è legato soprattutto <strong>alla</strong>
imobilizzazione del detrito per effetto di debris flow, nonché all’intercalazione di depositi legati al<br />
periodico distacco di valanghe.<br />
Detrito di falda (uid a, uid b). Si presenta come un sedimento con struttura open work e partially open<br />
work, con ciottoli e blocchi di forma angolosa e sub-angolosa frammisti a scarsa matrice. Il detrito è<br />
organizzato in conoidi o prismi di sedimenti comunemente clinostratificati, con pezzatura e forma<br />
variabili a seconda dello stato di fratturazione del substrato da cui provengono. Imponenti falde e coni di<br />
detrito contraddistinguono la base di pareti di roccia carbonatica (es. lungo le dorsali Punta Gran Bagna -<br />
Punta delle Quattro Sorelle e Cima <strong>della</strong> Sueur - Punta Clotesse), oppure la base dei rilievi mo<strong>della</strong>ti nelle<br />
rocce quarzitiche e gneissiche del Massiccio d’Ambin (es. Cima del Vallonetto, Vallone di Galambra, Val<br />
Clarea). Per contro i depositi detritici ubicati <strong>alla</strong> base delle pareti di calcescisti hanno estensione e<br />
spessori modesti (es. dorsale spartiacque Susa-Chisone); si tratta in genere di detrito con struttura<br />
partially open-work nel quale la frazione sabbioso-limosa, quantitativamente significativa, è frammista a<br />
piccoli blocchi; il detrito è distribuito in lembi più o meno estesi <strong>alla</strong> base delle pareti e solo dove i<br />
calcescisti sono più ricchi nella frazione carbonatica esso ammanta estese porzioni di versante (es.<br />
versanti occidentale e settentrionale del M. Albergiàn).<br />
Depositi gravitativi (uid c, uid d). L’ampia casistica di fenomeni gravitativi riscontrata nell’area del<br />
foglio e la presenza di caratteri morfologici e di facies ricorrenti nei vari accumuli, hanno consentito non<br />
solo di individuare diverse tipologie di movimento e di messa in posto, ma anche di accertare una<br />
correlazione tra il tipo di fenomeno e le caratteristiche litologiche e geomeccaniche delle rocce e delle<br />
formazioni di copertura coinvolte.<br />
La diffusione di calcescisti più o meno ricchi in frazione carbonatica e con parametri geomeccanici<br />
nell’insieme piuttosto scadenti, trova riscontro nell’elevato numero di fenomeni gravitativi che si<br />
originano a spese degli stessi. Si tratta in genere di fenomeni complessi, ai quali non è possibile associare<br />
un’unica tipologia di movimento in relazione <strong>alla</strong> variabilità delle litofacies coinvolte ed al loro assetto<br />
strutturale: questi si esprimono nell’estrema complessità delle forme riscontrabili in uno stesso accumulo.<br />
I corpi di frana più imponenti, talvolta con una superficie superiore al chilometro quadrato, sono quelli<br />
del Gran Bosco, del Cassas, di Grangia Ruine e di Grangia Jeunchatre, situati sul versante destro <strong>della</strong><br />
media Valle di Susa, di Millaures e di Rochas sul versante sud-occidentale del M. Jafferau. Altri accumuli<br />
sono localizzati sul versante sinistro delle valli <strong>della</strong> Rho e del Fréjus.<br />
In Val Chisone particolarmente significativi sono i fenomeni del Rif e di Comba Mendie, ubicati<br />
rispettivamente sul versante sinistro e destro all’altezza dell’abitato di Souchères Hautes, e l’accumulo sul<br />
Accumuli gravitativi di minori dimensioni sono distribuiti un po’ ovunque nell’area in esame.<br />
Localmente possono verificarsi scorrimenti rotazionali e traslativi che dislocano considerevoli volumi di<br />
roccia lungo superfici di movimento ben definite, come quello che coinvolge parte del versante nordoccidentale<br />
del M. Albergiàn, impostato in corrispondenza di un sistema di fratture subverticali con<br />
direzione N60. Frequenti anche i fenomeni di colamento, legati a saturazione e fluidificazione <strong>della</strong> coltre<br />
detritico-colluviale e delle formazioni superficiali in generale. I fenomeni di crollo, arealmente meno estesi<br />
dei precedenti, sono caratterizzati da accumuli a grossi blocchi localizzati prevalentemente nel Massiccio<br />
d’Ambin. Sono infine da segnalare fenomeni di riattivazione di porzioni di versante già interessate da<br />
precedenti fenomeni di instabilità: è il caso delle frane del Cassas (AA.VV., 1996) e del Rif (GIARDINO &<br />
BAGGIO, 1998), ubicate rispettivamente in Valle di Susa e in Val Chisone.<br />
Depositi travertinosi (uid q). Danno luogo a corpi lenticolari o domiformi, ad estesi crostoni e colate<br />
subverticali, oppure a semplici incrostazioni su cuscinetti di muschio: si tratta di lembi, il più delle volte<br />
non cartografabili, di spessore di qualche metro ed estensione areale non superiore ad alcune centinaia di<br />
metri quadrati. Le principali masse sono state individuate a S. Domenico (a breve distanza dall’apice del<br />
conoide su cui sorge l’abitato di Gad), ad una quota compresa tra i 1.700 ed i 1.500 m, e nei pressi del<br />
Fràis (Vallone di Comba Scura), tra i 1.550 ed i 1.300 m di quota. I travertini in formazione sono sempre<br />
associati a sorgenti a regime stagionale. Così come per i travertini completamente formati, la<br />
precipitazione del carbonato di calcio è sistematicamente legata a settori di versante coinvolti da<br />
deformazioni gravitative profonde impostate in rocce carbonatiche.<br />
Coltre eluvio-colluviale e detritico-colluviale (b2) (Pleistocene sup. - Attuale)
Sotto questa dicitura sono stati riuniti i prodotti dell’alterazione in situ del substrato roccioso e delle<br />
coperture superficiali ed i sedimenti provenienti d<strong>alla</strong> rielaborazione delle formazioni quaternarie<br />
inalterate. Litofacies e potenza variano alquanto in funzione <strong>della</strong> natura delle aree sorgenti: sedimenti fini<br />
massivi con spessori significativi, seppure non superiori a qualche metro, si osservano negli areali di<br />
affioramento delle successioni metasedimentarie a prevalenti calcescisti, soprattutto nei settori più elevati<br />
dei versanti interessati da diffusi e imponenti fenomeni di creeping superficiale. La distribuzione<br />
pressoché ubiquitaria <strong>della</strong> coltre eluvio-colluviale in corrispondenza delle unità a calcescisti è determinata<br />
d<strong>alla</strong> bassa resistenza e dall’elevata alterabilità di queste rocce e dalle pessime condizioni lito-strutturali in<br />
cui versa l’ammasso roccioso per effetto dei ricorrenti fenomeni di deformazione gravitativa profonda.<br />
La coltre detritico-colluviale, caratterizzata da una struttura massiva di tipo matrix supported, si<br />
diversifica rispetto <strong>alla</strong> coltre eluvio-colluviale per la presenza di un’apprezzabile frazione detritica più o<br />
meno residua, che rappresenta una componente di rilievo del sedimento; la coltre detritico-colluviale è<br />
distribuita prevalentemente nelle aree di affioramento del basamento cristallino del Massiccio d’Ambin e<br />
delle unità carbonatiche del dominio brianzonese.<br />
La scelta di rappresentare in alcuni settori <strong>della</strong> carta la distribuzione <strong>della</strong> coltre eluvio-colluviale e<br />
detritico-colluviale è legata all’impossibilità oggettiva di giungere ad un’interpolazione locale affidabile<br />
del substrato pre-quaternario.
VI. - EVOLUZIONE STRUTTURALE<br />
L’evoluzione strutturale delle unità dell’arco alpino occidentale mostra una storia deformativa<br />
polifasica complessa. Ogni unità, come per l’evoluzione metamorfica (cfr. Cap. 7), mostra una evoluzione<br />
precoce indipendente mentre, col procedere <strong>della</strong> storia deformativa, lo stile di deformazione diventa via<br />
via comune per tutte le unità. Queste ultime conservano quindi solo al loro interno relitti di una<br />
evoluzione strutturale duttile polifasica complessa.<br />
Le ultime fasi deformative sono avvenute in ambiente crostale superficiale, e uno dei risultati<br />
innovativi dell’analisi condotta è stata la distinzione di importanti strutture di tipo fragile, rappresentate<br />
da piani di sovrascorrimento a basso angolo o da faglie subverticali. Queste strutture, generalmente<br />
sottostimate in tutto l’arco alpino, si sviluppano durante le fasi tardive dell’evoluzione e corrispondono<br />
abitualmente ai limiti tra le unità tettonostratigrafiche distinte sulla carta.<br />
Il quadro strutturale duttile delle unità a calcescisti del dominio piemontese è stato analizzato con<br />
grande dettaglio in lavori recenti (ALLENBACH, 1982; ALLENBACH & CARON, 1986) e non è stato quindi<br />
ripreso in questo lavoro. Nuovi dati sono stati invece raccolti per il Massiccio d’Ambin, che hanno<br />
permesso di definire un quadro deformativo duttile più dettagliato rispetto a quello proposto dagli Autori<br />
precedenti.<br />
1. - UNITA’ DELL’AMBIN<br />
L’unità dell’Ambin ha una deformazione polifasica già nota da tempo (LORENZONI, 1965; GAY, 1971;<br />
CALLEGARI et alii, 1980; ALLENBACH & CARON, 1986; BORGHI & GATTIGLIO, 1997) che può essere<br />
sintetizzata nei seguenti eventi:<br />
- evoluzione strutturale prealpina (presente solo nel complesso di Clarea);<br />
- sviluppo delle prime due fasi deformative scistogene di età alpina ad assi trasversali (F1 + F2);<br />
- traslazione delle falde alloctone al di sopra dei terreni autoctoni del Massiccio d’Ambin, associata<br />
allo sviluppo <strong>della</strong> terza fase di deformazione alpina a vergenza orientale (F3);<br />
- fasi tardive del sollevamento del massiccio caratterizzate da una generazione di pieghe a doppia<br />
vergenza centrifuga, verso Nord e verso Sud (F4).<br />
1.1. - EVOLUZIONE PREALPINA<br />
Le evidenze strutturali riferibili a deformazioni di età prealpina sono state individuate sia a <strong>scala</strong><br />
mesoscopica, sia a <strong>scala</strong> microscopica.<br />
Una prima foliazione è unicamente preservata <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> microscopica ed è definita da relitti<br />
microstrutturali quali cerniere intrafoliari, microlitoni e superfici tettoniche sigmoidali preservate<br />
all’interno dei porfiroblasti di granato.<br />
Una seconda fase deformativa con carattere fortemente traspositivo e definita da minerali sviluppatisi<br />
in facies anfibolitica, è associata ad una foliazione di piano assiale e traspone una superficie metamorfica<br />
preesistente, testimoniata d<strong>alla</strong> presenza di pieghe intrafoliali preservate solamente a <strong>scala</strong> microscopica.<br />
Questa foliazione definisce la scistosità regionale nei livelli strutturali più profondi di questo complesso.<br />
Negli ortogneiss questa foliazione è mal definita ed è sottolineata d<strong>alla</strong> orientazione preferenziale<br />
dimensionale (OPD) delle pseudomorfosi su biotite e da grosse lamelle muscovitiche che mostrano chiari<br />
segni di deformazione intracristallina. Nelle metabasiti la foliazione è definita dall’isorientazione dei<br />
nematoblasti di orneblenda e talvolta anche da un layering metamorfico definito dall’alternanza di domini<br />
anfibolici e di domini feldspatici.<br />
1.2. - EVOLUZIONE DUTTILE ALPINA<br />
La prima fase di deformazione alpina (F1) si è sviluppata in condizioni metamorfiche <strong>della</strong> facies scisti<br />
blu s.l. Nel complesso di Clarea la sua intensità di espressione è variabile ed aumenta verso i livelli<br />
strutturali più elevati. Nella parte più profonda la F1 deforma la scistosità prealpina realizzando pieghe<br />
mesoscopiche da chiuse a serrate, con piani assiali suborizzontali senza evidente sviluppo di nuove<br />
superfici metamorfiche, ed assi orientati circa N-S. Nei livelli strutturali più elevati la F1 sviluppa una
superficie di piano assiale che progressivamente traspone la precedente foliazione prealpina, conservata<br />
come relitto all’interno di microlitoni o visibile come lineazione di intersezione. Nel complesso di Ambin,<br />
la prima fase alpina (F1) è solo più riconoscibile in corrispondenza delle cerniere di piega mesoscopiche<br />
<strong>della</strong> successiva fase traspositiva (F2).<br />
La seconda fase alpina (F2) è responsabile <strong>della</strong> strutturazione meso- e megascopica e corrisponde<br />
probabilmente <strong>alla</strong> fase ad assi trasversali precoci di GAY (1972b) e CALLEGARI et alii (1980). Realizza<br />
pieghe di tipo isoclinale e sviluppa una lineazione di estensione E-W obliqua rispetto agli assi, che sono<br />
debolmente inclinati ed orientati NE-SW. La foliazione di piano assiale mostra caratteri traspositivi<br />
definiti da cerniere intrafoliari, microlitoni separati da superfici di clivaggio spaziate, fabric bimodale delle<br />
miche. Essa coincide con la scistosità principale e si è sviluppata in condizioni scisti blu a lawsonite. Le<br />
prime due fasi di deformazione alpine si sono quindi sviluppate in condizioni metamorfiche di alta<br />
pressione e bassa temperatura.<br />
La terza fase di deformazione alpina F3 (sviluppata in condizioni metamorfiche di facies scisti blu ad<br />
epidoto), risulta spesso l’elemento planare maggiormente pervasivo nei livelli strutturali più elevati del<br />
Massiccio d’Ambin ed è identificabile come una scistosità di piano assiale a marcati caratteri di slipcleavage.<br />
Gli sforzi compressivi risultano diretti da W verso E sulla base delle asimmetrie tipo Z<br />
guardando verso N disegnate dalle cerniere di piega F3, responsabili <strong>della</strong> vergenza orientale delle<br />
strutture duttili. Le pieghe F3 hanno assi orientati circa N-S ed hanno il piano assiale immergente sempre<br />
verso i quadranti occidentali, riorientato ovviamente d<strong>alla</strong> tettonica successiva, e con una caratteristica<br />
inclinazione che tende a diminuire da W verso E.<br />
La fase F3 sviluppa una scistosità di crenulazione (strain slip cleavage) il cui carattere fortemente<br />
traspositivo tende ad aumentare verso i livelli strutturalmente superiori ed è ampiamente indicato da<br />
cerniere intrafoliari e da microlitoni nei quali è conservata la precedente foliazione. Generalmente le due<br />
scistosità (S2 e S3) sono disposte a basso angolo (
lineamento fragile a carattere trascorrente diretto da N120 a submeridiano nel settore di Susa-Condove e<br />
la zona di deformazione <strong>della</strong> Valle di Susa diretta N60 che, sebbene scarsamente evidente come<br />
struttura singola, mostra di essere molto pervasiva sia nel Massiccio d’Ambin che nelle unità ofiolitiche ed<br />
oceaniche.<br />
3. - NEOTETTONICA<br />
Fra le diverse accezioni del termine, la “neotettonica” viene qui intesa come lo studio dell’evoluzione<br />
geodinamica recente esteso ad un intervallo di tempo sufficiente per inquadrare correttamente la tettonica<br />
in atto e permettere valutazioni sugli attuali tassi di deformazione crostale (VITA-FINZI, 1986). Poiché<br />
l’area considerata si estende all’interno di una catena in cui la lunga e complessa storia deformativa è<br />
ancora attiva, l’intervallo di tempo considerato non è strettamente limitato al Quaternario, ma comprende<br />
anche gli episodi deformativi tardo-cenozoici che hanno determinato l’assetto recente <strong>della</strong> catena e ne<br />
Il lavoro svolto è basato sull’analisi strutturale delle deformazioni tettoniche che interessano le<br />
formazioni superficiali o che presentano indicatori cinematici a carattere superficiale, e sullo studio di<br />
elementi geomorfologici che abbiano registrato eventi deformativi.<br />
Le evidenze strutturali, stratigrafiche e morfologiche relative all’evoluzione tettonica recente<br />
attualmente conosciute per quest’area sono concentrate lungo una fascia di ampiezza plurichilometrica a<br />
direzione N60E che comprende settori delle valli Susa e Chisone e del relativo spartiacque. Entro questa<br />
fascia sono presenti deformazioni superficiali variamente orientate e faglie subverticali a varia <strong>scala</strong> con<br />
direzioni prevalenti N60E e N120E, subordinatamente N20E e N160E (Figg. 4A, 4B, 5); nel substrato<br />
roccioso queste faglie tagliano tutte le altre discontinuità strutturali rilevabili, talvolta interessano le<br />
formazioni superficiali ed in qualche caso mostrano di aver interagito con il mo<strong>della</strong>mento erosionale. Gli<br />
stessi sistemi di discontinuità fragili più frequenti definiscono le aree di maggior concentrazione dei<br />
depositi quaternari e delimitano molti accumu- li gravitativi.<br />
Le relazioni geometriche ed i dati sulla cinematica rilevati nella media Valle di Susa indicano che le più<br />
recenti superfici di taglio del substrato roccioso sono prevalentemente dirette N60E (Fig. 4A): queste<br />
costituiscono un sistema di faglie decametriche-ettometriche particolarmente evidente nel settore sinistro<br />
<strong>della</strong> valle sui versanti del M. Clopaca - Quattro Denti, del M. Niblé e del Toasso Bianco, dove si<br />
registrano movimenti sia normali che trascorrenti; la sovraimposizione di strie meccaniche e fibre di<br />
calcite su strie in quarzo e clorite fa ritenere che i movimenti normali e sinistri postdatino le traslazioni a<br />
componente destra. La frequenza dei piani di taglio a direzione N60E decresce sul versante destro <strong>della</strong><br />
media Valle di Susa dove prevalgono invece le faglie a direzione N20E e N160E con movimenti normali<br />
e/o destri; tutti i tre sistemi sono rilevabili lungo lo spartiacque Susa-Chisone, dove imponenti fenomeni<br />
di deformazione gravitativa profonda mettono in particolare evidenza i caratteri strutturali dei principali<br />
sistemi disgiuntivi.<br />
Nelle formazioni di copertura plio-quaternarie le più frequenti deformazioni tettoniche sono state<br />
rilevate in corrispondenza dei depositi dell’Unità del Segurét - La Riposa affioranti presso l’omonimo<br />
rilievo montuoso; si tratta di faglie subverticali metriche/decametriche a direzione N120E, N60E e N20E<br />
che tagliano indistintamente anche il substrato roccioso (Fig. 4B); gli indicatori cinematici rilevati sono<br />
costituiti da strie meccaniche e di calcite fibrosa e definiscono movimenti prevalentemente normali. Le<br />
caratteristiche sedimentologiche dei lembi di brecce residuali dell’Unità del Segurét - La Riposa indicano<br />
che in prossimità dei piani di faglia il cemento carbonatico di precipitazione chimica delle brecce può<br />
essere legato a circolazione di fluidi lungo le superfici di taglio. L’espressione superficiale di queste<br />
discontinuità fragili nel settore Segurét - Vallonetto corrisponde talvolta ai limiti di depressioni e settori<br />
collassati evolutisi anche in relazione a fenomeni di dissoluzione o crollo legati a circuiti carsici.
Fig. 4. A) Proiezione stereografica dei principali elementi deformativi nel settore <strong>della</strong> media Valle di Susa. 1: faglie normali; 2: faglie trascorrenti;<br />
3: altre faglie; 4: principali sistemi di trincee di DGPV. B) Proiezione stereografica dei principali elementi deformativi nel settore Segurét-<br />
Vallonetto. 1: faglie normali; 2: faglie trascorrenti; 3: altre faglie; 4: assi delle principali strutture di collasso.
Fig. 5. Schema neotettonico e principali unità lito-strutturali.<br />
1: basamento pre-triassico e relativa copertura (unità del Massiccio d’Ambin, indifferenziate); 2: unità di calcescisti del dominio piemontese,<br />
indifferenziate; 3: unità tettonostratigrafiche inferiori di copertura carbonatica; 4: unità tettonostratigrafiche superiori di copertura carbonatica; 5:<br />
principali masse di gessi e anidriti; 6: maggiori accumuli di frana; 7: principali masse di depositi alluvionali; 8: deformazioni gravitative profonde di<br />
versante (DGPV); 9: limiti stratigrafici; 10: sovrascorrimenti; 11: contatti tettonici e faglie (certi, presunti); 12: principali sistemi di faglie trascorrenti; 13:<br />
settore in estensione <strong>della</strong> Susa-Chisone Shear Zone; 14: settori in forte subsidenza o sollevamento.<br />
Altri indizi di deformazione superficiale sono distribuiti lungo la media Valle di Susa in una fascia<br />
allungata in direzione NNE e sono collocabili dal punto di vista cronologico durante o subito dopo le fasi<br />
di mo<strong>della</strong>mento glaciale che hanno interessato l’area. Si tratta innanzitutto delle deformazioni di stile<br />
disgiuntivo che attraversano i depositi ghiaiosi stratificati dell’Unità di Seigneur allo sbocco <strong>della</strong> Val<br />
Clarea: faglie normali metriche/decametriche con direzioni N120E (inclinazione 70° -> SW) e N80E<br />
(inclinazione 45° -> S) alle quali si associano vene di estensione disposte en echelon e faglie minori<br />
decimetriche con eguale orientazione; il senso di movimento delle strutture maggiori è ricavabile
dall’uncinatura degli strati e d<strong>alla</strong> presenza di duplex estensionali, il rigetto massimo valutabile è di circa<br />
un metro. Nella stessa area si rilevano giaciture molto inclinate nella stratificazione di questi depositi, fino<br />
a valori di 50-60° -> E. Anche le superfici di mo<strong>della</strong>mento glaciale del versante sinistro <strong>della</strong> media Valle<br />
di Susa sono interessate da dislocazioni superficiali: nei pressi di Morliere la culminazione del dosso<br />
montonato è spezzata in più tronconi per effetto di piani di taglio subverticali a direzione N50E. Lo<br />
stesso accade per alcune superfici rocciose levigate e striate a NE del M. Niblè, sul cui versante<br />
meridionale si rileva anche una scarpata di faglia decametrica a direzione N60E che interrompe la<br />
continuità laterale di un argine morenico dislocandolo con un rigetto morfologico massimo di un metro.<br />
Le evidenze morfostrutturali di deformazioni superficiali sono particolarmente frequenti lungo lo<br />
spartiacque Susa-Chisone, dove si rinvengono imponenti sdoppiamenti <strong>della</strong> cresta, fratture beanti,<br />
trincee ed anche vere e proprie valli sommitali; questi fenomeni dimostrano una stretta connessione<br />
geometrica con i principali sistemi di deformazione recente del substrato: lungo il settore di spartiacque,<br />
le deformazioni gravitative profonde di versante riutilizzano prevalentemente i sistemi a direzione N60E e<br />
N160E e si sviluppano soprattutto in corrispondenza delle principali zone di taglio subverticali. Esiste<br />
quindi una forte convergenza fra le forme e le strutture causate d<strong>alla</strong> tettonica gravitativa e le<br />
manifestazioni geodinamiche di stile fragile. In altri settori del foglio l’intervento dinamico <strong>della</strong> tettonica<br />
nell’evoluzione del rilievo sembra essere manifestato d<strong>alla</strong> presenza di forme “anomale” (sensu Carraro,<br />
1976), soprattutto per quanto riguarda l’assetto del reticolato idrografico e la configurazione planoaltimetrica<br />
dei solchi vallivi. Alcune segnalazioni si riferiscono al settore <strong>della</strong> conca di Bardonecchia, già<br />
considerata “area ad idrografia centripeta” in cui confluiscono tratti d’alveo con andamento anomalo,<br />
nonché sede di fenomeni di deviazione fluviale (indizi morfologici del Col des Acles e <strong>della</strong> stretta del<br />
Bramafan) come indicato nella raccolta di elementi di neotettonica del territorio italiano (ENEL, 1981). Il<br />
condizionamento sulla morfogenesi in questo settore potrebbe essere stato esercitato dall’evoluzione<br />
tettonica esplicatasi lungo piani di taglio subverticali orientati secondo i sistemi N20-40E e N120-140E<br />
rispettivamente, discontinuità strutturali che allo stato attuale delle indagini trovano però un riscontro sul<br />
terreno solo dal punto di vista geometrico, limitatamente al substrato roccioso pre-quaternario. Un<br />
gruppo più consistente di anomalie morfologiche si ritrova nel settore centro-orientale del foglio: a partire<br />
d<strong>alla</strong> piana di Oulx-Salbertrand, il versante sinistro <strong>della</strong> media Valle di Susa presenta una serie di<br />
elementi (orrido del Rio Segurét ed alvei molto incisi degli affluenti in sinistra; valli laterali talora<br />
fortemente sospese; forme di erosione accelerata e uncinatura <strong>della</strong> direzione di deflusso nel tratto di<br />
confluenza Clarea - Dora Riparia; asimmetria dei bacini idrografici affluenti, meno sviluppati su ciascun<br />
fianco sinistro cui corrisponde un versante mediamente più acclive) che indicano con buona congruenza<br />
reciproca un possibile sollevamento differenziale dell’area, con entità decrescente in senso longitudinale<br />
da monte verso valle, ed una componente di trasferimento laterale sinistrorso parallelo all’asse vallivo<br />
principale (CARRARO, 1976). A questi fenomeni sembrano associabili per collocazione ed orientazione<br />
geometrica anche altre manifestazioni deformative superficiali a carattere locale diffuse nel tratto vallivo<br />
Exilles-Chiomonte: si tratta delle già citate dislocazioni di superfici montonate di Morliere, degli<br />
allineamenti di depressioni allungate e zone di collasso metriche/decametriche disperse nel fondovalle e<br />
sul terrazzo di Chiomonte, nonché delle numerose contropendenze che articolano i versanti <strong>della</strong><br />
profonda incisione epigenetica <strong>della</strong> Dora Riparia (tratto iniziale delle gorge di Susa).<br />
Tutte queste evidenze lasciano supporre che questo settore alpino abbia registrato episodi recenti di<br />
deformazione. L’interpretazione e la discussione delle caratteristiche degli elementi strutturali che<br />
mostrano un’evoluzione neotettonica verrà qui di seguito effettuata secondo lo schema concettuale<br />
proposto per la realizzazione <strong>della</strong> “Carta Neotettonica d’Italia” <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:500.000 (AMBROSETTI et<br />
alii, 1987), distinguendo gli elementi neotettonici “lineari” da quelli “areali”.<br />
L’orientazione e la distribuzione delle deformazioni rilevate indicano in primo luogo l’esistenza di una<br />
importante deformazione neotettonica “lineare” rappresentata da una fascia di deformazione di ampiezza<br />
plurichilometrica con direzione N60E (Fig. 5) che comprende settori delle valli Susa e Chisone e del<br />
relativo spartiacque. Le più recenti deformazioni rilevate lungo questa fascia sono di stile tipicamente<br />
superficiale ed i dati di terreno indicano che esse si sono realizzate quantomeno in interazione dinamica<br />
con la sedimentazione delle formazioni pliocenico(?) - quaternarie e con il mo<strong>della</strong>mento glaciale nella<br />
media Valle di Susa. I caratteri strutturali sono compatibili con un campo deformativo indotto da una<br />
zona di taglio in transtensione orientata N60E, delimitata da faglie trascorrenti sinistre en echelon; i<br />
fenomeni di estensione bilaterale delle creste e la concentrazione di frane e deformazioni gravitative<br />
profonde che caratterizzano il settore Susa-Chisone potrebbero testimoniare che lo stesso campo di sforzi<br />
interagisce con la morfogenesi attuale (GIARDINO & POLINO, 1997).
Anche le deformazioni concentrate nel settore di Bardonecchia, meno evidenti ed estese rispetto a<br />
quelle <strong>della</strong> media Valle di Susa, sono tentativamente inquadrabili nell’ambito dell’evoluzione di elementi<br />
neotettonici lineari; in questo caso i sistemi di discontinuità strutturali N20-40E e N120-140E avrebbero<br />
accomodato un sollevamento relativo del quadrante nord-occidentale, come testimoniato d<strong>alla</strong> asimmetria<br />
dei profili trasversali vallivi e d<strong>alla</strong> distribuzione di superfici terrazzate a varia quota al margine<br />
settentrionale <strong>della</strong> conca di Bardonecchia.<br />
4. - DEFORMAZIONI GRAVITATIVE PROFONDE DI VERSANTE<br />
La media Valle di Susa è contraddistinta, oltre che da un elevato numero di accumuli di frana, talvolta<br />
di dimensioni plurichilometriche, d<strong>alla</strong> presenza di imponenti fenomeni di deformazione gravitativa<br />
profonda di versante (“DGPV”). Questi sono fenomeni di movimento in massa in cui i meccanismi di<br />
deformazione sono tali che per la loro dinamica non necessitano di una superficie o zona di rottura<br />
continua (SORRISO-VALVO, 1995). Non è inoltre necessario postulare una eventuale superficie di<br />
scorrimento continua per rendere conto delle deformazioni osservate sia in superficie che in profondità, e<br />
l’entità dello spostamento è piccola rispetto alle dimensioni del fenomeno che è paragonabile a quella del<br />
versante interessato.<br />
L’importanza del ruolo giocato da questi fenomeni di lenta e progressiva deformazione dell’ammasso<br />
roccioso nella morfogenesi dei rilievi montuosi è stata sottolineata in numerosi lavori specifici<br />
ZISCHINSKY, 1966, 1969; RADBRUCH-HALL et alii, 1978; SAVAGE & SWOLFS, 1986;<br />
VARNES et alii, 1989). Nell’arco alpino occidentale ciò è stato confermato da studi a carattere regionale<br />
(MORTARA & SORZANA, 1987; FORLATI et alii, 1995) e locale (PUMA et alii, 1989; FORLATI et alii,<br />
1991; GIARDINO & POLINO, 1997).<br />
Le DGPV coinvolgono nell’insieme il 25 % dell’area. Il riconoscimento di questi fenomeni è avvenuto<br />
sulla base del sistematico rilievo di una serie di elementi morfologico-strutturali (FIORASO, 1994; cfr. nota<br />
2) localizzati soprattutto nei settori di cresta e nella parte alta dei versanti:<br />
- “trincee”: di dimensioni variabili da metrica a decametrica con il fondo spesso riempito di materiale<br />
detritico, rappresentano l’espressione morfologica superficiale di fratture aperte in profondità sviluppate<br />
longitudinalmente per decine o centinaia di metri;<br />
- “depressioni chiuse di origine gravitativa”: avv<strong>alla</strong>menti subcircolari o subellittici, con asse di<br />
allungamento maggiore di dimensioni metriche o decametriche e profondità non superiore ad alcune<br />
decine di metri. Sono localizzate in aree caratterizzate da un elevato grado di allentamento del substrato<br />
roccioso, quali quelle interessate da fenomeni di deformazione gravitativa profonda, e rappresentano<br />
generalmente il prodotto dell’evoluzione di trincee;<br />
- “gradini di scivolamento”: rotture di pendenza del versante, generalmente nette, corrispondenti a<br />
ripidi gradini rocciosi, lungo le quali si è verificata la dislocazione del versante. A differenza del<br />
movimento con sola componente orizzontale, normale <strong>alla</strong> direzione, che caratterizza l’evoluzione d<strong>alla</strong><br />
frattura <strong>alla</strong> trincea, nel gradino di scivolamento la componente di movimento relativo dei due blocchi di<br />
roccia è prevalentemente verticale e giace sul piano stesso di scivolamento. Il gradino viene definito<br />
“mascherato” nei casi in cui la superficie in roccia sia estesamente coperta da prodotti detritico-colluviali;<br />
- “tracce di superfici di distacco gravitativo”: depressioni allungate aventi sviluppo longitudinale da<br />
decametrico a ettometrico e trasversale da metrico a decametrico, determinate dall’intersezione di un<br />
piano di scivolamento gravitativo con la superficie topografica. Questo elemento morfologico caratterizza<br />
i settori di cresta, a valle dei quali si sviluppano fenomeni di deformazione gravitativa profonda, nonché i<br />
margini laterali delle deformazioni stesse.<br />
Le fenomenologie qui descritte sono distribuite su tutta l’area del foglio (Fig. 5): tuttavia le pessime<br />
caratteristiche geomeccaniche che contraddistinguono in generale le successioni metasedimentarie a<br />
prevalenti calcescisti, fanno si che le deformazioni gravitative profonde più imponenti si registrino in<br />
particolare lungo la dorsale spartiacque che separa la Valle di Susa da quella del Chisone. Lo sviluppo di<br />
questi fenomeni è inoltre condizionato d<strong>alla</strong> presenza di alcuni sistemi di fratture a carattere regionale,<br />
localmente pervasivi, che ne controllano nell’insieme i caratteri cinematici ed evolutivi (GIARDINO &<br />
POLINO, 1997).<br />
La peculiarità dei fenomeni di DGPV risiede, oltre che nelle dimensioni, anche nei particolari<br />
meccanismi di deformazione delle masse rocciose coinvolte: l’espressione superficiale dei fenomeni<br />
individuati ha permesso di identificare porzioni di versante caratterizzati da stili e tipologie di<br />
deformazione alquanto diversificati. Nei settori di cresta la deformazione di versante è morfologicamente<br />
espressa dallo sviluppo di una serie di sdoppiamenti di cresta per effetto di trincee e di depressioni chiuse,
particolarmente estesi lungo la dorsale Susa-Chisone, con dislocazioni dei settori più elevati dei versanti<br />
variabile dalle decine fino ad un centinaio di metri e sviluppo longitudinale chilometrico. Tali elementi<br />
rappresentano l’emersione di superfici di scivolamento lungo le quali avviene la deformazione del<br />
versante. Tale deformazione avviene a scapito dei sistemi di discontinuità esistenti, generalmente a<br />
direzione N60E. Tali manifestazioni possono essere indicate come spandimenti laterali delle creste<br />
(“lateral spread of ridges”) nelle quali prevale un comportamento “fragile” dell’ammasso roccioso. Altri<br />
esempi a questo riguardo sono collocati nel settore delle Casses Blanches (sinistra orografica <strong>della</strong> media<br />
Valle di Susa) e, poco a valle di questo, lungo la cresta M. Clopaca - Cima del Vallone - Quattro Denti.<br />
Nei settori altimetricamente più bassi dei versanti i fenomeni di deformazione sono morfologicamente<br />
espressi da rigonfiamenti e ondulazioni a grande <strong>scala</strong>, localmente sottolineati da depressioni chiuse (es.<br />
Serre la Voûte, Val Fredda, settore di Sauze d’Oulx). Inoltre non si osserva, se non in rari casi, la<br />
presenza di superfici o zone di rottura continue lungo il versante. Tali fenomenologie, riconducibili ai<br />
“sakung” (dominati da deformazione di tipo “duttile”), rappresentano un diverso tipo di risposta <strong>alla</strong><br />
deformazione indotta dal movimento gravitativo profondo. I grandi rigetti osservabili lungo i settori di<br />
cresta sono infatti la risultante dei movimenti che avvengono nella parte inferiore del versante, dove la<br />
deformazione dell’ammasso roccioso non avviene lungo piani di deformazione preferenziali, ma per<br />
mezzo di spostamenti differenziali che coinvolgono l’intero ammasso roccioso.
VII. - EVOLUZIONE METAMORFICA<br />
L’analisi petrografica e microstrutturale ha evidenziato, analogamente agli altri settori delle Alpi<br />
occidentali un’evoluzione metamorfica polifasica contraddistinta da due cicli metamorfici principali<br />
caratterizzati da differenti gradienti geotermici:<br />
1) un ciclo metamorfico prealpino, probabilmente di età varisica, caratterizzato da associazioni in<br />
facies anfibolitica prevalente e relitti di un evento di alta pressione; le sue evidenze sono presenti solo<br />
all’interno del complesso di Clarea del Massiccio d’Ambin e nelle scaglie di basamento alloctono<br />
rappresentate dai micascisti dei Forneaux;<br />
2) un ciclo metamorfico alpino, caratterizzato da un primo evento di alta pressione e bassa<br />
temperatura e da un secondo evento di bassa pressione e basso grado. A sua volta nell’evento di alta<br />
pressione sono state distinte associazioni in facies scisti blu a lawsonite e in facies scisti blu ad epidoto<br />
(sensu EVANS, 1990).<br />
1. - CICLO METAMORFICO PREALPINO<br />
Gli originali rapporti tra le fasi metamorfiche prealpine sono ancora ben preservati nei livelli strutturali<br />
più profondi del complesso di Clarea. Sulla base dei dati microstrutturali, le fasi osservate sono state<br />
raggruppate in due paragenesi principali (Fig. 6). Le prima rappresenta un probabile evento metamorfico<br />
prealpino di alta pressione, mentre la seconda è associata al successivo evento di medio grado<br />
metamorfico.<br />
L’evento metamorfico prealpino di alta pressione è testimoniato d<strong>alla</strong> presenza di rutilo al nucleo di<br />
titanite e, all’interno delle metabasiti, da porfiroclasti di granato in parte sostituiti da strutture coronitiche<br />
a epidoto + albite. L’assenza di pirosseno sodico o del prodotto <strong>della</strong> sua alterazione suggerisce un picco<br />
barico di 9-12 kbar sulla base dei dati sperimentali di POLI (1993) e LIU et alii (1996). La temperatura<br />
probabilmente non superò i 650°C in base all’assenza di evidenze di fusione parziale nelle metapeliti.<br />
Questo evento metamorfico di alta pressione è seguito da una fase decompressionale sviluppatasi in<br />
condizioni isotermiche.
Fig. 6. Schema <strong>della</strong> successione delle associazioni mineralogiche caratterizzanti l’evoluzione metamorfica prealpina.<br />
Il secondo evento metamorfico prealpino si sviluppa in facies anfibolitica ed è definito d<strong>alla</strong> paragenesi<br />
Ms-Bt-Grt-St-Al 2O 3 nelle metapeliti e Hbl-Pl-Ep-Ttn nelle metabasiti. La presenza di Ep-anfiboliti implica<br />
una temperatura compresa tra la curva di destabilizzazione <strong>della</strong> clorite e quella <strong>della</strong> scomparsa<br />
dell’epidoto. Questo intervallo di temperatura coincide con il campo di stabilità <strong>della</strong> staurolite.<br />
Applicando il geotermometro Bt/Grt secondo varie calibrazioni (KLEEMANN & REINHARDT,1994;<br />
PERCHUK & LAVRENT’EVA, 1983; FERRY & SPEAR, 1978; HODGES & SPEAR, 1982; INDARES &
MARTIGNOLE, 1985; BHATTACHARYA et alii, 1992) è stato ottenuto un intervallo di temperatura<br />
compreso tra 570°-660°C, per una pressione di riferimento di 5 kbar. Le stime <strong>della</strong> pressione ottenute<br />
MASSONNE & SCHREYER (1987), basato sul contenuto in fengite<br />
delle miche bianche, indicano un intervallo compreso tra 4 e 6 kbar. Questo evento metamorfico si è<br />
sviluppato in condizioni di medio grado e media-bassa pressione, consistenti con un regime di collisione<br />
(THOMPSON & ENGLAND, 1984).<br />
2. - CICLO METAMORFICO ALPINO<br />
Il ciclo metamorfico alpino è caratterizzato da un primo evento di alta pressione che è stato registrato<br />
da gran parte delle unità tettonostratigrafiche descritte ad eccezione delle Unità dello Chaberton - Grand<br />
Hoche - Grand Argentier e dei Re Magi, che sono totalmente prive di evidenze metamorfiche di alta<br />
pressione. Questo primo evento può raggiungere la facies scisti blu ad epidoto (unità di crosta<br />
continentale dell’Ambin, unità ofiolitiche <strong>della</strong> Roche de l’Aigle, di Cerogne - Ciantiplagna e<br />
dell’Albergian, unità di margine continentale del Vallonetto). Tutte le altre unità sono caratterizzate da un<br />
evento in facies scisti blu a lawsonite.<br />
Il secondo evento metamorfico, sviluppatosi in facies scisti verdi, risulta comune a tutte le unità, ad<br />
eccezione delle unità dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier e dei Re Magi, che mostrano<br />
Sulla base dell’evoluzione metamorfico-strutturale, le unità tettonostratigrafiche del Foglio<br />
“Bardonecchia”, possono essere raggruppate in tre Complessi Tettono-Metamorfici (CTM) (Fig. 7),<br />
costituiti da una o più unità, mostranti un’evoluzione metamorfica comune.<br />
Questi CTM si succedono dal basso verso l’alto strutturale e dall’interno verso l’esterno <strong>della</strong> catena.<br />
Il CTM più interno e contemporaneamente più profondo è caratterizzato da un primo evento<br />
metamorfico di alta pressione in facies scisti blu ad epidoto e da un secondo evento metamorfico di bassa<br />
pressione in facies scisti verdi. Esso comprende le unità dell’Ambin, del Vallonetto, <strong>della</strong> Roche de<br />
l’Aigle, di Cerogne - Ciantiplagna e dell’Albergian. In posizione tettonicamente più elevata segue il<br />
secondo CTM mostrante un primo evento in facies scisti blu a lawsonite ed un secondo evento di bassa P<br />
in facies scisti verdi. Esso comprende le unità di Valfredda, del Vin Vert, del Lago Nero e di Puys -<br />
Venaus. Infine il terzo CTM, ubicato nel settore più esterno e tettonicamente più elevato, è caratterizzato<br />
da un evento di grado molto basso. A quest’ultimo CTM appartengono le unità tettonostratigrafiche dello<br />
Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier e dei Re Magi.
Fig. 7. Distribuzione delle associazioni metamorfiche prevalenti riportata sullo schema strutturale <strong>della</strong> carta geologica. 1: Complesso tettonometamorfico<br />
in facies anchimetamorfica (grado metamorfico molto basso); 2: Complesso tettonometamorfico in facies scisti blu a lawsonite, con parziale<br />
riequilibrazione in facies scisti verdi; 3: Complesso tettonometamorfico in facies scisti blu a epidoto, con parziale riequilibrazione in facies scisti verdi; 4:<br />
aree a prevalente metamorfismo prealpino in facies anfibolitica nel complesso polimetamorfico di Clarea; 5: gessi.<br />
2.1. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE A LAWSONITE<br />
L’evento di alta pressione a lawsonite (Fig. 8) è caratterizzato d<strong>alla</strong> paragenesi Qtz-Ph-Pg-Chl-Lws-<br />
Cld-Gln-Rt nelle metapeliti e d<strong>alla</strong> paragenesi Gln-Lws-Ab-Ttn nelle metabasiti. Le condizioni P/T sono<br />
vincolate d<strong>alla</strong> associazione Lws-Gln-Ph-Pg in assenza di epidoto (Fig. 9). In particolare la stabilità <strong>della</strong><br />
lawsonite implica che il picco metamorfico non abbia mai superato la sua curva di destabilizzazione e che<br />
pertanto la T sia sempre rimasta inferiore ai 400 °C. Inoltre la coesistenza di glaucofane e paragonite<br />
indica pressioni comprese tra 11 e 13 kbar, in accordo con il contenuto in Si (3.4-3.5 atomi p.f.u.) nella
mica bianca (Fig. 9). La distribuzione delle paragenesi riferite a questo ambiente metamorfico non è<br />
omogenea.<br />
Fig. 8. Schema <strong>della</strong> successione delle associazioni mineralogiche caratterizzanti l’evoluzione metamorfica alpina<br />
Nelle unità del secondo CTM questo stadio risulta sin-cinematico rispetto allo sviluppo <strong>della</strong> foliazione<br />
tettonica regionale e rappresenta pertanto il picco metamorfico dell’evento alpino di alta pressione e bassa<br />
temperatura. Viceversa, all’interno del primo CTM la facies scisti blu a lawsonite è associata a una<br />
foliazione tettonica relitta preservata unicamente in microlitoni S1 all’interno <strong>della</strong> foliazione principale<br />
S2 che si è sviluppata in facies scisti blu ad epidoto.<br />
2.2. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE AD EPIDOTO<br />
Un evento di alta pressione caratterizzato d<strong>alla</strong> associazione Qtz-Ph-Pg-Chl-Gln-Cld-Rt-Zo nelle<br />
metapeliti e d<strong>alla</strong> associazione Gln-Ph-Grt-Qtz-Rt-Zo nelle metabasiti (Fig. 9) è ben visibile nel primo<br />
CTM, dove definisce la paragenesi sin-cinematica rispetto <strong>alla</strong> scistosità principale S2. L’assenza di<br />
granato nelle metapeliti e dell’associazione granato - pirosseno sodico nelle metabasiti implica che la<br />
transizione scisti blu-eclogiti (Gln + Ep = Omph + Grt + H 2O) non è mai stata raggiunta, anche se in<br />
alcune rocce basiche dell’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle è stato osservato clinopirosseno sodico relitto,<br />
parzialmente trasformato in glaucofane. La presenza di epidoto in assenza di lawsonite implica T<br />
superiori ai 400 °C (Fig. 9). Tuttavia, l’assenza di granato nelle metapeliti indica T al di sotto del suo<br />
campo di stabilità che, per composizioni compatibili con il sistema pelitico, si colloca attorno ai 500 °C. In<br />
Fig. 9 sono riportate le curve di equilibrio delle reazioni 8-9 e 12, che generano granato a spese di<br />
glaucofane, cloritoide o di entrambi.
L’evento di alta pressione è seguito da una fase decompressionale comune a tutte le unità<br />
metamorfiche. Durante questo stadio decompressionale le fasi sodiche di alta pressione vengono<br />
sostituite da albite mediante l’attivazione <strong>della</strong> reazione decompressionale Gln + Pg + H 2O = Ab + Chl +<br />
Qtz (curva 7 in Fig. 9), mentre la mica bianca si impoverisce in molecola celadonitica. Parte del<br />
glaucofane si è probabilmente destabilizzato anche mediante l’attivazione <strong>della</strong> reazione Gln + Pg + Qtz =<br />
Alm + Ab + H 2O (curva 9 in Fig. 9), come testimonia il frequente ritrovamento di piccoli cristalli di<br />
granato euedrale (Alm 67-Pyr 7-Sps 5-Grs 21) inclusi in albite peciloblastica.<br />
2.3. - EVENTO DI BASSA PRESSIONE<br />
Successivamente si è sviluppato il secondo evento metamorfico che mostra condizioni di medio-basso<br />
grado e bassa pressione (Fig. 8). Il suo picco è caratterizzato d<strong>alla</strong> associazione Ab-Grt-Bt nelle<br />
metapeliti e Ab - Ca-anfibolo - Chl - Czo nelle metabasiti. Il granato di età alpina è stato attribuito a<br />
questo evento poiché si è sviluppato in rocce che mostrano una forte sovraimpronta decompressionale<br />
definita d<strong>alla</strong> destabilizzazione di glaucofane, cloritoide e mica bianca e d<strong>alla</strong> conseguente crescita di<br />
albite. La crescita <strong>della</strong> coppia Grt-Bt nelle metapeliti può essere avvenuta anche a spese di Chl + Mb<br />
(reazione 10 Fig. 9). A sua volta la mica bianca mostra un contenuto in silicio molto basso (3.10-3.15<br />
atomi p.f.u.). Nelle metabasiti durante la fase decompressionale avviene il passaggio d<strong>alla</strong> facies scisti blu<br />
<strong>alla</strong> facies scisti verdi, con la sostituzione del glaucofane da parte di anfibolo attinolitico (Gln + Czo +<br />
Qtz + H 2O = Ab + Tr + Chl) (curva 11 di Fig. 8). La stabilità di Ca-anfibolo nelle metabasiti può indicare<br />
che è stata superata anche la curva di transizione facies scisti verdi-facies anfibolitica. Stime<br />
geotermometriche basate sulla coppia Bt/Grt secondo varie calibrazioni (KLEEMANN &<br />
REINHARDT,1994; PERCHUK & LAVRENT’EVA, 1983; FERRY & SPEAR, 1978; HODGES & SPEAR, 1982;<br />
INDARES & MARTIGNOLE, 1985; BHATTACHARYA et alii, 1992) hanno fornito T comprese tra i 500 e<br />
540 °C. Per queste stime sono state utilizzate la composizione del nucleo del granato tardo-alpino, che<br />
non è stata modificata dal processo di diffusione retrograda, e la composizione di biotite cresciuta nella<br />
matrice foliata, in prossimità, ma non a contatto con il granato. In questo modo, le stime termometriche<br />
prodotte possono effettivamente rispecchiare le condizioni di picco metamorfico.<br />
Le stime di pressione per l’evento meso-alpino sono state determinate applicando il metodo di BROWN<br />
(1977), basato sulla composizione dell’anfibolo calcico nelle metabasiti. Sono state ottenute P comprese<br />
tra 3 e 5 kbar.<br />
Fig.9. Griglia petrogenetica e stima delle condizioni metamorfiche per il primo (puntinato) ed il secondo (tratteggio orizzontale) evento alpino. 1: Campo di<br />
stabilità per la facies scisti blu a lawsonite (LBS) ed a epidoto (EBS) secondo EVANS (1990), 2: HOLLAND (1980), 3: HEINRICH & ALTHAUS (1980), 4: curve<br />
kD per il geotermometro Grt/Ph secondo la calibrazione di GREEN & HELLMANN (1982), 5: isoplete del tenore in Si nella mica fengitica (MASSONNE &<br />
SCHREYER , 1987), 6 - 7: GUIRAUD et alii, (1990), 8 - 9 - 10: POWELL & HOLLAND (1990), 11: transizione scisti blu/scisti verdi (MARUYAMA et alii, 1986),<br />
12: curve kD per il geotermometro Grt/Bt 13: NITSCH (1971), 14: transizione Act/Hbl nel sistema basico (ERNST , 1979), 15: RAO & JOHANNES (1979). Le<br />
frecce indicano la traiettoria di esumazione seguita tra il primo ed il secondo evento metamorfico alpino.
3. - RICOSTRUZIONE DELLA TRAIETTORIA P-T ALPINA DEL MASSICCIO D’AMBIN<br />
La traiettoria di esumazione alpina proposta per il Massiccio d’Ambin è caratterizzata da due eventi<br />
metamorfici, separati da un tratto decompressionale durante il quale si è avuto un leggero aumento <strong>della</strong><br />
temperatura. Il picco termico del secondo evento si è infatti sviluppato a basse P ma a T leggermente<br />
superiori a quelle del primo evento, con un forte aumento del gradiente termico. L’evoluzione del<br />
Massiccio d’Ambin può pertanto venir suddivisa in un primo stadio caratterizzato da un gradiente termico<br />
molto basso (ca. 10°C/km) che è compatibile con un regime di subduzione di litosfera (THOMPSON &<br />
ENGLAND, 1984), seguito da un secondo stadio caratterizzato da un progressivo aumento del gradiente<br />
fino a raggiungere valori attorno a 45°C/km in corrispondenza del picco termico, caratteristici di un<br />
regime di collisione continentale che ha portato ad un forte ispessimento crostale ed all’interruzione <strong>della</strong><br />
subduzione. Il carattere quasi isotermo del tratto decompressionale può venir messo in relazione a<br />
velocità di esumazione alte, giustificabili con i dati litostratigrafici e geocronologici di letteratura.<br />
All’evento in facies scisti blu, caratteristico delle unità pennidiche più esterne delle Alpi occidentali, viene<br />
infatti generalmente attribuita un’età radiometrica attorno a 60 Ma (per una discussione generale vedi<br />
HUNZIKER et alii, 1992 e relativa bibliografia), compatibile con l’età Paleocenica delle coperture<br />
sedimentarie <strong>della</strong> Zona Brianzonese, mentre un’età di circa 40 Ma è riportata per la sovraimpronta<br />
termica mesoalpina (BOCQUET et alii, 1974; MONIE’, 1990). L’intervallo di tempo tra i due picchi<br />
metamorfici è pertanto ridotto (circa 20 Ma). Per giustificare una risalita di circa 25-30 km durante<br />
questo intervallo di tempo è quindi necessario assumere una velocità media di esumazione di circa 1,5<br />
mm/anno, che porta ad una traiettoria decompressionale adiabatica.<br />
4. - CARATTERIZZAZIONE ISOTOPICA DI METACARBONATI DELL’ALTA VALLE DI SUSA<br />
Le variazioni dei tenori degli isotopi stabili 13C e 18O nei carbonati metamorfici forniscono indicazioni,<br />
seppur a livello qualitativo, sulle riequilibrazioni legate a variazioni termiche, sulle interazioni fluidoroccia<br />
e sui possibili caratteri ereditati dall’evoluzione pre-metamorfica. Al fine di ottenere ulteriori<br />
informazioni sull’evoluzione geochimica dei metasedimenti carbonatici affioranti nell’area del foglio, sono<br />
stati analizzati i rapporti isotopici di 13C e 18O in litotipi carbonatici delle unità di Puys-Venaus, Roche de<br />
l’Aigle, Vin Vert, Lago Nero, Re Magi, Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier, Valfredda,<br />
Vallonetto e Gad. Sono state inoltre analizzate vene e fibre calcitiche sviluppate all’interno delle unità del<br />
Lago Nero e dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier.
Fig. 10. δ18O vs. δ13C in carbonati appartenenti alle unità oceaniche in cui si denota un progressivo impoverimento in isotopi pesanti; il diagramma<br />
riporta anche le composizioni di carbonati di vena.<br />
I risutati delle analisi, riportati sui diagrammi di Fig. 10 e 11, mettono in evidenza la caratterizzazione<br />
isotopica delle differenti unità e permettono la formulazione di alcune considerazioni preliminari.<br />
L’unità di Puys-Venaus e quella del Lago Nero (Fig. 10) mostrano di aver subito significativi scambi<br />
tra roccia e fluidi. La linea evolutiva delineata dalle composizioni isotopiche registrate in queste unità è<br />
caratterizzata da un progressivo impoverimento in isotopi pesanti. Tale andamento lascia supporre una<br />
graduale modificazione del carbonato sedimentario d’origine da parte di fluidi aventi probabilmente<br />
un’origine comune, sebbene a T di metamorfismo e rapporti fluido/roccia differenti. Le vene campionate<br />
tendono ad ereditare la composizione isotopica <strong>della</strong> roccia incassante.<br />
Anche le unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e del Vin Vert (Fig. 10) fanno registrare composizioni isotopiche<br />
che nel complesso si allineano con lo stesso trend: nel dettaglio i campioni relativi all’unità <strong>della</strong> Roche de<br />
l’Aigle mostrano di aver risentito solo debolmente <strong>della</strong> riequilibrazione isotopica metamorfica, un più<br />
marcato impoverimento in 18O viene invece osservato nei litotipi appartenenti all’unità del Vin Vert, ad<br />
indicare un più intenso grado di riequilibrazione metamorfica.
Fig. 11. δ18O vs. δ13C in carbonati appartenenti alle unità di margine continentale, sono indicate le composizioni di carbonati di vena e di calcite fibrosa.<br />
Per alcuni campioni relativi alle unità di Val Fredda, Gad e Vallonetto sono stati inoltre riportati i valori relativi <strong>alla</strong> frazione dolomitica.<br />
L’unità dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier (Fig. 11) appare essere scarsamente<br />
modificata da riequilibrazioni isotopiche sin e post-metamorfiche, ma è interessante notare come alcune<br />
delle vene analizzate siano costituite da un carbonato la cui composizione sembra allinearsi con<br />
l’andamento già riscontrato nelle unità sottostanti. I fluidi responsabili delle riequilibrazione isotopica<br />
dell’incassante e <strong>della</strong> precipitazione del carbonato di vena sembrano quindi avere un’origine comune. In<br />
altri casi, la forte somiglianza composizionale tra vene ed il relativo incassante testimoniano intensi<br />
processi di interazione fluido-roccia in cui prevale l’impronta isotopica <strong>della</strong> roccia ospite. Alcuni<br />
riempimenti di vena e calciti fibrose mostrano invece caratteri geochimici sostanzialmente diversi da
quanto precedentemente osservato in quanto mantengono un rapporto del 13C sostanzialmente immutato<br />
rispetto all’incassante, ma s’impoveriscono drasticamente in 18O in risposta o a variazioni di T o ad una<br />
precipitazione, in sistema chiuso, da una soluzione progressivamente impoverita in 18O.<br />
L’unità dei Re Magi (Fig. 11) mostra un andamento dei valori isotopici caratterizzato da un più netto<br />
impoverimento in 18O rispetto a quanto mostrato dalle altre unità; il valore estremamente negativo fatto<br />
registrare da un campione di dolomia rubefatta potrebbe essere giustificato dal sovrapporsi <strong>della</strong><br />
riequilibrazione isotopica metamorfica ad un carbonato già originariamente impoverito in isotopo pesante<br />
a causa di una diagenesi in presenza di acque meteoriche e/o continentali.<br />
L’unità di Valfredda (Fig. 11) mostra una dispersione di valori che sembra essere il risultato del<br />
sovrapporsi di molteplici processi di riequilibrazione isotopica in un sistema fortemente variabile dal<br />
punto di vista chimico-fisico. Una ulteriore giustificazione all’eterogeneità composizionale riscontrata in<br />
quest’unità è data dal fatto che sono stati analizzati campioni di brecce in cui, alle prevedibili differenze<br />
riscontrabili tra carbonato costituente i clasti e quello <strong>della</strong> matrice, si sono probabilmente sovrapposti<br />
numerosi processi d’interazione con fluidi di varia provenienza in sede pre e sin-metamorfica.<br />
Le unità del Vallonetto e di Gad (Fig. 11) mostrano un’evoluzione in parte confrontabile con quella<br />
osservata per le unità del Lago Nero e di Puys-Venaus, ma caratterizzata da un più limitato<br />
impoverimento in 13C. La frazione dolomitica all’interno dei campioni appartenenti alle due unità è nella<br />
maggior parte dei casi arricchita in isotopi pesanti rispetto a quella calcitica: viene dunque mantenuta una<br />
caratteristica geochimica propria dei carbonati sedimentari, sebbene le composizioni siano state traslate<br />
verso valori di δ isotopico più negativi dagli scambi con i fluidi che hanno operato nel sistema. La<br />
riequilibrazione isotopica tra le due fasi minerali non è, in questo caso, un indice significativo delle T<br />
raggiunte nel metamorfismo.<br />
I risultati ottenuti tramite le analisi isotopiche hanno dunque evidenziato l’esistenza di un diverso<br />
grado d’evoluzione geochimica nelle varie unità. Le riequilibrazioni isotopiche legate alle modificazioni<br />
termiche metamorfiche mostrano nella maggior parte dei casi di risentire delle interazioni tra la roccia e<br />
fluidi la cui circolazione sembra non essere stata uniforme né <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> regionale né a quella <strong>della</strong> singola<br />
unità, come anche testimoniato dalle forti differenze composizionali registrate nei diversi sistemi di vene<br />
campionati.
VIII. - EVENTI ALLUVIONALI<br />
A partire dal secolo scorso, per il settore dell’alta Valle di Susa comprendente i comuni di<br />
Bardonecchia, Oulx, Salbertrand, Exilles, Chiomonte, Gravere e Giaglione, si hanno informazioni<br />
riguardo a 121 eventi di instabilità naturale, datati.<br />
Grande incidenza, dal punto di vista dei danni, hanno le piene di tipo torrentizio (43% del totale);<br />
anche prendendo in esame esclusivamente i processi che hanno causato danni strutturali o funzionali ad<br />
aree urbanizzate, la maggior percentuale dei dissesti è legata a processi di tipo torrentizio (42% dei casi);<br />
seguono i movimenti di versante (complessivamente pari al 36%, con l’11% ascrivibile a frane di crollo) e<br />
le piene lungo i fondivalle (26%).<br />
Dal punto di vista <strong>della</strong> stagionalità degli eventi, si osserva una loro maggiore frequenza nel mese di<br />
maggio (20%); seguono giugno (13%), ottobre (11%) e luglio (10%); per i restanti mesi la percentuale<br />
oscilla tra un minimo di 7,3% ed un massimo di 8,1%, mentre molto meno rappresentati sono i mesi di<br />
febbraio (4%) e gennaio (nessun evento).<br />
Poiché anche selezionando esclusivamente gli eventi che hanno coinvolto aree edificate o che hanno<br />
danneggiato in modo grave infrastrutture e opere viarie il numero dei casi è superiore a 40, si è ritenuto<br />
che la tabella riportata a fine testo offra un quadro sufficientemente significativo e completo <strong>della</strong><br />
situazione di dissesto nel tratto vallivo considerato, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione<br />
geografica e temporale degli eventi, nonché la gravità dei singoli fenomeni, implicitamente ricavabile d<strong>alla</strong><br />
tipologia dei danni associati.<br />
Se si considerano gli eventi che hanno coinvolto aree urbanizzate o singoli edifici la frequenza media<br />
nel periodo compreso tra il 1840 ed il 1993 è di un evento ogni 5,9 anni. Se si considerano anche gli<br />
eventi che hanno danneggiato gravemente le infrastrutture e la viabilità, si ha, per lo stesso periodo, un<br />
evento ogni 4,5 anni.<br />
Si può osservare inoltre che esistono periodi in cui gli intervalli tra gli eventi significativi sono di 1-2<br />
anni, o addirittura di pochi mesi: tra il 1866 ed il 1876 si registrarono 5 eventi coinvolgenti il comune di<br />
Bardonecchia; tra il 1948 ed il 1957 si verificarono più di 10 eventi.<br />
A partire dagli anni ‘60 la media degli eventi con coinvolgimento di aree urbanizzate è scesa ad 1 ogni<br />
7 anni.<br />
I territori comunali maggiormente colpiti sono quelli di Bardonecchia e Oulx, che complessivamente<br />
coprono più del 50% dell’area presa in esame.<br />
L’abitato di Bardonecchia è soggetto soprattutto a processi di tipo torrentizio legati ai torrenti Rho,<br />
Fréjus e, subordinatamente, Valle Stretta e Rochemolles.<br />
Particolarmente frequenti sono risultate le piene del torrente Rho che fino agli anni ‘50, e soprattutto<br />
nel periodo compreso tra il 1860 ed il 1880, ricorrentemente causarono all’abitato danni talora anche<br />
gravi. In particolare si ricorda l’evento del 25 maggio 1873, in cui il torrente Rho distrusse molte<br />
abitazioni in regione Bertrand e, dove sorge l’attuale Palazzo delle Feste, venne distrutta la cappella detta<br />
del S. Sepolcro o di S. Croce. Altri eventi, sempre legati al torrente Rho, si susseguirono tra il 1873 e il<br />
1880 e coinvolsero più o meno gravemente il capoluogo (in particolare un trasporto in massa verificatosi<br />
tra settembre e ottobre 1880 causò gravissimi danni al Borgo Vecchio).<br />
Ancor prima, il 20 maggio 1728, un trasporto in massa, riattivò, a partire dall’apice del conoide,<br />
antichi canali in sinistra orografica, investendo il Borgo Vecchio, con deposito di molto materiale entro<br />
gli stessi edifici.<br />
A partire dai primi decenni di questo secolo iniziarono i lavori di regimazione e di sistemazione che<br />
probabilmente concorsero a limitare il numero degli eventi di piena non contenuti: infatti in base ai dati<br />
disponibili a partire dagli anni’ 60 non vennero più registrati danni significativi, pur permanendo quella del<br />
Rho una situazione ad alto rischio, che ha condotto fino agli ‘90 <strong>alla</strong> realizzazione di interventi di<br />
regimazione.<br />
L’altro comune per cui si ha il maggior numero di informazioni è Oulx, il cui abitato si sviluppa per<br />
gran parte lungo la Dora Riparia, poco a monte <strong>della</strong> confluenza nella Dora di Bardonecchia.<br />
Per quanto riguarda i danni causati d<strong>alla</strong> Dora Riparia sono da ricordare soprattutto gli eventi del<br />
maggio 1728 e del giugno 1957 e, secondariamente, quello del maggio 1948.
I primi due causarono danni estremamente gravi, conseguenti sia a processi di piena <strong>della</strong> Dora Riparia<br />
e, subordinatamente, <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, sia a numerosi trasporti in massa con riattivazioni di<br />
conoidi.<br />
In entrambi i casi venne pesantemente colpita la zona che si sviluppa entro il fondovalle <strong>della</strong> Dora<br />
Riparia (in particolare durante l’evento del 1728 venne gravemente danneggiato il complesso abbaziale<br />
dell’antica Prevostura), ma gli effetti si risentirono in tutta l’alta valle: si registrarono piene lungo i<br />
fondivalle, processi torrentizi lungo i numerosi apparati di conoide e la riattivazione dei grandi movimenti<br />
di versante conosciuti come “frana di Serre la Voûte” e “del Cassas”, in comune di Salbertrand. La prima<br />
segnalazione di movimenti presso Serre la Voûte risale all’alto medio evo (presso la frazione Eclause, in<br />
sinistra orografica) e al 1728 risale la formazione di un lago temporaneo immediatamente a monte <strong>della</strong><br />
stretta, a causa <strong>della</strong> riattivazione di movimenti gravitativi sul versante destro. Nel 1957 il collasso <strong>alla</strong><br />
base del pendio in sinistra idrografica innescato da processi di erosione da parte <strong>della</strong> Dora determinò<br />
l’asportazione di circa 300 m <strong>della</strong> Strada Statale 24 del Monginevro. Per quanto riguarda la frana del<br />
Cassas le prime informazioni di movimenti di versante risalgono proprio al 1728, mentre durante l’evento<br />
del 1957 i movimenti furono consistenti e determinarono l’attuale conformazione fenomeno gravitativo<br />
stesso.<br />
Sia l’evento del 1728, sia quello del 1957, ricordati come i più gravi per la Val di Susa, si verificarono<br />
per la somma di apporti legati a precipitazioni liquide ed <strong>alla</strong> fusione dell’abbondante manto nevoso<br />
ancora presente sui versanti.<br />
A valle di Oulx a causa del restringimento <strong>della</strong> valle principale i centri abitati, ad eccezione di alcune<br />
borgate poste in fondovalle o lungo i conoidi e pertanto soggette a processi fluvio-torrentizi, si<br />
sviluppano essenzialmente sui versanti per cui i danni segnalati a spese <strong>della</strong> viabilità e dei singoli edifici<br />
sono essenzialmente attribuibili a movimenti gravitativi.<br />
Una sintesi degli eventi, limitata ai casi in cui sono state interessate le aree urbanizzate o si sono<br />
verificati gravi danni a infrastrutture e viabilità, è rappresentata nella tabella fuori testo, in cui sono<br />
indicate, per data, rispettivamente le singole località colpite, i processi e i danni.<br />
Le informazioni sono ricavate dagli archivi del Sistema Informativo Geologico <strong>della</strong> Regione<br />
Piemonte.
IX. - RISORSE MINERARIE ED ATTIVITA’ ESTRATTIVE<br />
La media Valle di Susa è sempre stata povera di risorse minerarie e di materiali.<br />
A parte qualche notizia storica di ricerche di galena argentifera nel Massiccio d’Ambin (miniere dei<br />
Saraceni) con limitatissimi sfruttamenti verso la fine del secolo scorso, di rame e di minerali ferrosi, non si<br />
ha notizia di coltivazioni importanti nell’area del foglio.<br />
L’unico giacimento che abbia conosciuto qualche successo è quello di Grange d’Himbert, sfruttato tra<br />
il 1940 ed il 1953. Si tratta di una mineralizzazione piritoso-cuprifera stratiforme associata a quarziti<br />
(LEARDI & NATALE, 1985) entro i metasedimenti dell’unità di Cerogne-Ciantiplagna.<br />
Altre coltivazioni di qualche interesse economico sono state in passato le cave di gesso di Les Arnauds<br />
e di Savoulx, sfruttate tra la fine del secolo scorso e l’inizio degli anni ‘60 (LOMAGNO, 1992).<br />
Per quanto concerne i materiali da costruzione è conosciuta una piccolissima cava di oficalci, usata<br />
come pietra ornamentale, ubicata al fondo del Vallone del Fréjus, ed ora inattiva.<br />
Negli ultimi anni, in occasione degli imponenti lavori di ingegneria civile che si sono fatti nell’area<br />
(Traforo autostradale e autostrada del Fréjus), ha conosciuto un qualche risveglio l’attività estrattiva di<br />
ghiaie ed inerti per costruzione nell’alveo <strong>della</strong> Dora nella piana di Salbertrand.
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