14.06.2013 Views

della CARTA GEOLOGICA D'ITALIA alla scala 1:50.000

della CARTA GEOLOGICA D'ITALIA alla scala 1:50.000

della CARTA GEOLOGICA D'ITALIA alla scala 1:50.000

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI<br />

DIPARTIMENTO PER I SERVIZI TECNICI NAZIONALI<br />

SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA<br />

NOTE ILLUSTRATIVE<br />

<strong>della</strong><br />

<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA<br />

<strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:<strong>50.000</strong><br />

foglio 132-152-153<br />

BARDONECCHIA<br />

A cura di<br />

F. Dela Pierre 1, R. Polino 1, A. Borghi 2 (per il basamento pre-quaternario)<br />

e di F. Carraro 3, G. Fioraso 1, M. Giardino 1* (per la copertura quaternaria)<br />

Con contributi di: G. Bellardone 4 (geologia applicata); A. Conti 1 (geochimica isotopica); M. Gattiglio 3, M.<br />

Malusà 5, P. Mosca 5 (basamento pre-quaternario)<br />

1 CNR - Centro di studi sulla Geodinamica delle Catene Collisionali - Torino<br />

2 Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Petrologiche - Università di Torino<br />

3 Dipartimento di Scienze <strong>della</strong> Terra - Università di Torino<br />

4 Regione Piemonte - Direzione Servizi Tecnici di Prevenzione<br />

5 Collaboratore esterno del Centro di studi sulla Geodinamica delle Catene Collisionali - Torino<br />

* Attualmente presso il Dipartimento di Scienze <strong>della</strong> Terra - Università di Torino<br />

Ente realizzatore Regione Piemonte<br />

Direzione Regionale Servizi Tecnici di Prevenzione


Direttore del Servizio Geologico d’Italia:<br />

F. Petrone<br />

Responsabile del Progetto per la Regione Piemonte:<br />

V. Coccolo<br />

Comitato Geologico Nazionale (D.P.C.M. 1-10-1993):<br />

F. Petrone (presidente), G. Arnone, G. Bonardi, L. Carmignani, V. Coccolo,<br />

S. Cresta, G.V. Dal Piaz, B. D’Argenio, G. Ferrandino, F. Lentini, E. Martini, G. Pialli (✝), R. Pignone,<br />

R. Polino, A. Praturlon, L. Veronese.<br />

Allestimento cartografico:<br />

G. Fioraso, F. Lozar, R. Polino, F. Dela Pierre


I. - INTRODUZIONE<br />

INDICE<br />

II. - CARATTERI GEOGRAFICI E GEOMORFOLOGICI<br />

III. - INQUADRAMENTO GEOLOGICO<br />

1. - LE ALPI OCCIDENTALI<br />

1.1. - L ALPI OCCIDENTALI<br />

1.2. - LE UNITÀ PIEMONTESI DI MARGINE CONTINENTALE<br />

1.3. - LA FALDA DEL GRAN SAN BERNARDO<br />

1.3.1. - Il basamento pre-mesozoico<br />

1.3.2. - Le coperture meso-cenozoiche<br />

1.3.3. - Il Massiccio d’Ambin<br />

IV. - BASAMENTO PRE-QUATERNARIO<br />

1. - UNITA’ DI MARGINE CONTINENTALE<br />

1.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’AMBIN<br />

1.1.1. - Basamento pre-triassico<br />

1.1.1.1. - Micascisti dei Fourneaux<br />

1.1.1.2. - Complesso di Clarea<br />

1.1.1.3. - Complesso d’Ambin<br />

1.1.1.4. - Metadioriti a relitti magmatici<br />

1.1.2. - Copertura mesozoica<br />

1.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VALLONETTO<br />

1.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI GAD<br />

1.4. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI VALFREDDA<br />

1.5. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLO CHABERTON - GRAND HOCHE - GRAND<br />

ARGENTIER<br />

1.6. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEI RE MAGI<br />

2. - UNITA’ OCEANICHE<br />

2.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’ALBERGIAN<br />

2.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL LAGO NERO<br />

3. - UNITA’ OFIOLITICHE<br />

3.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI CEROGNE-CIANTIPLAGNA<br />

3.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VIN VERT<br />

3.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLA ROCHE DE L’AIGLE<br />

4. - UNITA’ TETTONOSTRATIGRAFICA DI PUYS-VENAUS<br />

5. - GESSI IN GROSSE MASSE<br />

6. - BRECCE TETTONICHE<br />

V. - COPERTURA PLIOCENICO(?) - QUATERNARIA<br />

1. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI<br />

PERTINENZA<br />

2. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE DISTINTE IN BASE AL BACINO DI<br />

PERTINENZA<br />

2.1. - BACINO DEL CENISCHIA


2.1.1. - Allogruppo del Moncenisio<br />

2.2. - BACINO DELLA DORA RIPARIA<br />

2.2.1. - Allogruppo di Clot Sesiàn<br />

2.2.2. - Allogruppo di Salbertrand<br />

2.2.3. - Allogruppo di S. Stefano<br />

2.3. - BACINI TRIBUTARI<br />

3. - UNITA’ IN FORMAZIONE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI PERTINENZA<br />

VI. - EVOLUZIONE STRUTTURALE<br />

1. - UNITA’ DELL’AMBIN<br />

1.1. - EVOLUZIONE PRE-ALPINA<br />

1.2. - EVOLUZIONE DUTTILE ALPINA<br />

2. - EVOLUZIONE FRAGILE ALPINA<br />

3. - NEOTETTONICA<br />

4. - DEFORMAZIONI GRAVITATIVE PROFONDE DI VERSANTE<br />

VII. - EVOLUZIONE METAMORFICA<br />

1. - CICLO METAMORFICO PRE-ALPINO<br />

2. - CICLO METAMORFICO ALPINO<br />

2.1. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE A LAWSONITE<br />

2.2. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE A EPIDOTO<br />

2.3. - EVENTO DI BASSA PRESSIONE<br />

3. - RICOSTRUZIONE DELLA TRAIETTORIA P-T ALPINA DEL MASSICCIO D’AMBIN<br />

4. - CARATTERIZZAZIONE ISOTOPICA DI METACARBONATI DELL’ALTA VALLE DI<br />

SUSA<br />

VIII. - EVENTI ALLUVIONALI<br />

IX. - RISORSE MINERARIE ED ATTIVITA’ ESTRATTIVE<br />

X. - BIBLIOGRAFIA


I. - INTRODUZIONE<br />

Il Foglio 132-152-153 “Bardonecchia” <strong>della</strong> Carta Geologica d’Italia <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:<strong>50.000</strong> è<br />

ubicato nelle Alpi Cozie, nella parte centrale dell’arco alpino occidentale. Dal punto di vista<br />

amministrativo il foglio ricade nella Regione Piemonte, ed è compreso nella Provincia di Torino al<br />

confine con la Francia. La parte italiana del foglio copre una superficie di circa 480 kmq.<br />

Il foglio prende nome dal centro abitato di Bardonecchia, il maggiore dell’alta Valle di Susa in<br />

quanto a numero di abitanti ed importanza economica, caratteristiche legate <strong>alla</strong> ricettività turistica<br />

e <strong>alla</strong> presenza dell’imbocco dei trafori (autostradale e ferroviario) del Fréjus.<br />

Quest’area è posta su uno dei più importanti assi viari europei ed è attraversata dall’autostrada<br />

A32 Torino-Bardonecchia, che attraverso il traforo del Fréjus collega l’Italia al Nord-Europa, dal<br />

collegamento ferroviario internazionale Torino-Chambery e d<strong>alla</strong> S.S. 24 del Monginevro, che<br />

permette il collegamento con il Sud <strong>della</strong> Francia.<br />

Le conoscenze geologiche relative a quest’area sono relativamente scarse.<br />

Per quanto concerne le formazioni superficiali, sporadici contributi a carattere prevalentemente<br />

locale, vennero sintetizzati in maniera organica in occasione del rilevamento dei fogli 54 “Oulx” e<br />

66 “Cesana” (<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1911a, b) e 55 “Susa” (<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA,<br />

1910) <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:100.000. In tali documenti venne evidenziato il ruolo esercitato d<strong>alla</strong> morfogenesi<br />

glaciale, senza tuttavia proporre alcuna suddivisione cronologica dei depositi, indicati nel<br />

complesso come “würmiani, post-würmiani e recenti”. Solo successivamente SACCO (1921, 1928,<br />

1943, 1948) analizzò nel dettaglio i problemi legati al mo<strong>della</strong>mento glaciale nei bacini segusino e<br />

del Chisone, riconoscendo e descrivendo una successione di forme e di depositi attribuiti a tre<br />

distinte fasi di ritiro dell’ultima glaciazione. Negli anni ‘40 CAPELLO affrontò specifici aspetti<br />

inerenti l’assetto geomorfologico <strong>della</strong> Valle di Susa, ed in relazione ai processi di<br />

sovralluvionamento che interessarono in epoca storica il fondovalle (CAPELLO, 1941a, b) ipotizzò<br />

l’esistenza, nell’attuale piana di Salbertrand, di un antico lago di sbarramento glaciale.<br />

Successivamente (CAPELLO, 1942) venne segnalata la particolarità morfologica dell’area di Sauze<br />

d’Oulx, attribuita all’originario mo<strong>della</strong>mento del ghiacciaio segusino ed al successivo<br />

rimo<strong>della</strong>mento erosionale operato dal reticolato idrografico. Lo stesso Autore (CAPELLO, 1937,<br />

1938, 1939a, b) descrisse i fenomeni carsici che caratterizzano vari settori <strong>della</strong> valle, interpretando<br />

come tali (CAPELLO, 1955) anche le manifestazioni di collasso gravitativo visibili lungo lo<br />

spartiacque Susa-Chisone.<br />

I frequenti movimenti gravitativi distribuiti sui versanti <strong>della</strong> Valle di Susa sono stati analizzati a<br />

più riprese da vari Autori. I primi riferimenti si trovano nelle osservazioni effettuate da BARETTI<br />

(1881), SACCO (1898) e SEGRE’ (1920) in merito ai fenomeni di instabilità riscontrati lungo la linea<br />

ferroviaria Bussoleno-Modane. Un impulso decisivo nella comprensione <strong>della</strong> dinamica dei versanti<br />

è avvenuto in occasione degli studi condotti per la realizzazione del collegamento autostradale<br />

Torino-Bardonecchia (RAMASCO & SUSELLA, 1978): solo a partire da questo momento nella media<br />

ed alta Valle di Susa e nella contigua Val Chisone è stata rilevata e rappresentata la distribuzione<br />

dei fenomeni gravitativi superficiali e profondi (CARRARO et alii, 1979; MORTARA & SORZANA,<br />

1987; PUMA et alii, 1984, 1989, 1990; AA.VV., 1996).<br />

Anche per le unità geologiche del substrato non esistono abbondanti contributi recenti. Esse sono<br />

state attribuite a due dei classici domini paleogeografico-strutturali <strong>della</strong> pila di falde pennidiche<br />

che affiorano nelle Alpi occidentali: il dominio Piemontese e il dominio Brianzonese.<br />

Al primo sono state riferite le successioni a prevalenti calcescisti e subordinate ofioliti ritenute la<br />

testimonianza <strong>della</strong> cicatrice crostale dovuta <strong>alla</strong> collisione continentale fra le placche europea ed<br />

insubrica. Al suo interno sono state riconosciute da tempo in varie parti dell’arco alpino unità di<br />

margine continentale e successioni di copertura oceaniche associate ad ofioliti (ELTER, 1971;<br />

LEMOINE, 1971; DEVILLE et alii, 1992).<br />

Al secondo sono riferite le successioni di due porzioni distinte del foglio: la stretta fascia al<br />

margine nord-occidentale, in cui affiorano unità mesozoiche di copertura brianzonesi che formano<br />

una struttura di dimensioni chilometriche retroflessa sulle unità del dominio piemontese (cfr. ad es.<br />

CABY, 1964) ed il quadrante nord-orientale del foglio, occupato interamente dal Massiccio d’Ambin<br />

e dalle sue coperture, interpretati di affinità brianzonese (ELLENBERGER, 1958; LORENZONI, 1965;<br />

GAY 1971; ALLENBACH, 1982).<br />

I contatti fra i vari tipi di unità sono complessi ed è stata messa in evidenza la giustapposizione<br />

di unità, provenienti da domini paleogeografici ben distinti all’origine, che hanno seguito traiettorie


diverse durante le fasi compressionali e decompressionali alpine (CARON et alii, 1984; POLINO et<br />

alii, 1990). Nel rilevamento e nella rappresentazione si è voluto privilegiare la rappresentazione del<br />

dato analitico, riducendo al minimo l’interpretazione paleogeografica, riservata alle sintesi a più<br />

piccola <strong>scala</strong> (cfr. Cap. 3).


II. - CARATTERI GEOGRAFICI E GEOMORFOLOGICI<br />

Dal punto di vista geografico e geomorfologico l’elemento dominante è rappresentato dal bacino<br />

<strong>della</strong> Dora Riparia (Valle di Susa s.l.), che nel suo complesso costituisce un sistema di drenaggio<br />

vallivo molto articolato ed esteso. Il sistema <strong>della</strong> Valle di Susa è convenzionalmente suddiviso in<br />

tre parti:<br />

- l’alta valle, che comprende il settore altimetricamente più elevato del sistema vallivo,<br />

dall’attuale spartiacque alpino (rilievi mediamente intorno ai 3.000 m) fino <strong>alla</strong> piana di Oulx-<br />

Salbertrand (1.000 m); qui confluiscono la Dora di Cesana (da Sud), alimentata dai corsi d’acqua<br />

tributari <strong>della</strong> Valle di Thuràs e <strong>della</strong> Valle Ripa, e la Dora di Bardonecchia (da Ovest), a sua volta<br />

alimentata nel tratto iniziale d<strong>alla</strong> Valle Stretta e d<strong>alla</strong> Valle di Rochemolles;<br />

- la media valle, d<strong>alla</strong> Piana di Oulx-Salbertrand, a valle <strong>della</strong> confluenza dei due rami <strong>della</strong><br />

Dora, fino <strong>alla</strong> soglia di Susa (500 m), prima <strong>della</strong> confluenza fra la Dora Riparia ed il Torrente<br />

Cenischia;<br />

- la bassa valle, d<strong>alla</strong> confluenza con la Val Cenischia (compresa) fino allo sbocco in pianura<br />

<strong>della</strong> valle principale (300 m), dove si trovano le colline moreniche dell’Anfiteatro di Rivoli-<br />

Avigliana.<br />

L’area del Foglio “Bardonecchia” comprende il ramo nord-occidentale dell’alta Valle di Susa e<br />

l’intero segmento <strong>della</strong> media Valle di Susa. Inoltre, ai margini SE e NE dell’area, il foglio si<br />

estende, rispettivamente, per un breve tratto nell’adiacente alta Val Chisone e in parte sul versante<br />

destro <strong>della</strong> Val Cenischia.<br />

I rilievi maggiori si ritrovano lungo l’attuale spartiacque principale alpino: Rocca d’Ambin<br />

(3.378 m), Rognosa d’Etiache (3.382 m), Punta Pierre Menue (3.508 m e massima elevazione<br />

dell’area), Rocca Bernauda (3.226 m), Punta Charra (2.984 m), Punta Clotesse (2.872 m). Lo<br />

spartiacque Susa-Chisone è caratterizzato da rilievi meno elevati: M. Genevris (2.583 m), Testa di<br />

Mottas (2.647 m), Punta del Gran Serin (2.689 m), Cima delle Vallette (2.743 m). Nel breve tratto<br />

di spartiacque Susa-Cenischia il rilievo principale è costituito d<strong>alla</strong> Punta Toasso Bianco (2.622 m).<br />

Dal punto di vista orografico va anche ricordato che in questo settore alpino vi sono alcuni<br />

importanti valichi, altimetricamente poco elevati e talora morfologicamente fra i più favorevoli per<br />

attraversare la catena alpina. I più importanti sono il Colle del Moncenisio (2.083 m, che mette in<br />

comunicazione la Valle dell’Arc e la Val Cenischia), il Colle <strong>della</strong> Scala (1.762 m, fra la Valle<br />

Stretta e la Valle <strong>della</strong> Clarée) e il Colle del Monginevro (1.850 m). Tramite il Colle del Sestriere<br />

(2.035 m) inoltre la Valle di Susa è messa in comunicazione con la Val Chisone.<br />

L’orientazione più frequente e persistente degli elementi idrografici e orografici è la direzione<br />

NE-SO (es. Val Chisone, media Valle di Susa, Vallone di Rochemolles). Nei settori orientale ed<br />

occidentale del foglio sono invece prevalenti le direzioni NNW-SSE (es. Val Clarea) e NNE-SSW<br />

(reticolato affluente <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia). Anche la posizione dei principali valichi alpini<br />

risulta interposta a segmenti del reticolato idrografico che seguono, sui due versanti adiacenti, le<br />

suddette direzioni prevalenti. L’insieme di queste caratteristiche riflette il condizionamento <strong>alla</strong><br />

morfogenesi indotto tanto dall’assetto litostrutturale regionale e locale che dall’evoluzione tettonica<br />

recente di questo settore <strong>della</strong> catena alpina (cfr. paragrafo “Neotettonica”).<br />

L’elevato grado d’incisione di numerosi tratti delle valli Susa e Chisone testimonia il forte<br />

approfondimento erosionale registratosi soprattutto lungo le direttrici NE-SW: questo fenomeno<br />

esercita un importante controllo anche sull’andamento dell’attuale spartiacque principale alpino,<br />

che proprio nel settore del Foglio “Bardonecchia” si incunea profondamente verso Ovest, cioè verso<br />

l’esterno <strong>della</strong> catena. La Valle di Susa rappresenta, come le altre principali valli alpine del margine<br />

padano, una direttrice di drenaggio persistente nella fase di progressiva migrazione dello<br />

spartiacque alpino verso l’esterno, instauratasi sin dal Miocene. L’attuale testata <strong>della</strong> Valle di Susa<br />

costituirebbe quindi un settore di bacino che originariamente drenava verso Ovest. L’evoluzione<br />

geomorfologica di questo settore montuoso può essere dedotta dalle forme di mo<strong>della</strong>mento del<br />

rilievo e dalle formazioni superficiali (cfr. paragrafo “Copertura pliocenico-quaternaria”).<br />

Chiarissime sono le tracce del mo<strong>della</strong>mento glaciale pleistocenico, soprattutto quelle legate<br />

all’ultima fase di massima espansione (Last Glacial Maximum, LGM), in cui il ghiacciaio<br />

principale <strong>della</strong> Valle di Susa ha raggiunto (come del resto nelle precedenti fasi di massima<br />

espansione) lo sbocco in pianura costruendo l’Anfiteatro Morenico di Rivoli-Avigliana. La scarsità<br />

di testimonianze glaciali più antiche <strong>della</strong> fase LGM è imputabile all’importante azione erosiva<br />

operata dal ghiacciaio nella sua ultima fase di espansione glaciale e al nuovo mo<strong>della</strong>mento imposto<br />

dal reticolato idrografico post-glaciale. A differenza delle valli Susa e Cenischia, nel tratto dell’alta<br />

Val Chisone compreso entro il Foglio “Bardonecchia” non si rinvengono tracce di un ghiacciaio<br />

principale che occupava l’intero sistema vallivo: sono invece riconoscibili forme e depositi legati ai<br />

ghiacciai delle valli tributarie, che nelle fasi di massima espansione potevano anche raggiungere ed<br />

occupare parte del fondovalle principale. Casi analoghi alle valli tributarie <strong>della</strong> Val Chisone si<br />

registrano anche nella media Valle di Susa; in particolare la Val Clarea presenta al suo sbocco nella


valle principale un importante apparato morenico frontale: il fatto che quest’ultimo sia stato<br />

preservato dimostra che il ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea è sopravvissuto dopo il definitivo ritiro di<br />

quello principale dal tratto inferiore <strong>della</strong> media Valle di Susa.<br />

Per quanto riguarda le tracce di mo<strong>della</strong>mento glaciale successive <strong>alla</strong> massima espansione, i<br />

cordoni morenici tardoglaciali ed i più recenti, attribuibili <strong>alla</strong> Piccola Età Glaciale, sono<br />

concentrati soprattutto presso le testate dei bacini tributari che si originano dai rilievi montuosi del<br />

Massiccio d’Ambin. In quest’area si rinviene anche la più consistente massa glaciale sopravvissuta<br />

entro l’area del Foglio “Bardonecchia”, il Ghiacciaio dell’Agnello, nel settore laterale destro <strong>della</strong><br />

testata <strong>della</strong> Val Clarea. Ampia diffusione in tutta la fascia altimetrica più elevata del foglio (al di<br />

sopra di 2.000 m) hanno invece le forme di ambiente periglaciale, con significativi esemplari di<br />

rock glacier sia sui rilievi dello spartiacque principale che lungo lo spartiacque Susa-Chisone.<br />

L’evoluzione morfologica post-glaciale è caratterizzata, nei settori altimetricamente intermedi<br />

(1.000-2.000 m) e meno elevati (al di sotto dei 1.000 m), da manifestazioni legate <strong>alla</strong> dinamica<br />

fluviale e torrentizia, al dilavamento dei versanti e <strong>alla</strong> gravità.<br />

Gli ampi settori pianeggianti di fondovalle (es. piana di Oulx-Salbertrand, conca di<br />

Bardonecchia, nell’alta Valle di Susa; Pragelato, in Val Chisone) rappresentano i settori di<br />

maggiore accumulo da parte dei corsi d’acqua principali, i cui depositi si interdigitano con quelli di<br />

imponenti conoidi laterali (es. Valloni di Rochemolles e del Fréjus, nella conca di Bardonecchia).<br />

Le più evidenti forme di erosione fluviale si rinvengono sul fianco sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa dove<br />

i corsi d’acqua tributari si sono notevolmente approfonditi dopo il ritiro delle masse glaciali, dando<br />

origine a vere e proprie forre (es. Rio Segurét); un altro esempio a questo riguardo è offerto<br />

dall’alveo epigenetico <strong>della</strong> Dora Riparia, che incide profondamente il fondovalle in corrispondenza<br />

delle gorge di Susa.<br />

La morfogenesi gravitativa si sovrappone ed in parte oblitera le tracce di mo<strong>della</strong>mento del<br />

glacialismo pleistocenico e talvolta anche quelle legate processi fluviali e torrentizi più recenti.<br />

Frane e deformazioni gravitative profonde di versante coinvolgono estesi settori dei versanti,<br />

modificando non solo l’assetto strutturale dell’ammasso roccioso ma anche l’originaria<br />

distribuzione altimetrica dei depositi quaternari. L’evoluzione di alcuni fenomeni gravitativi ha in<br />

alcuni casi persino portato al ripetuto sbarramento del fondovalle principale (es. Serre La Voûte,<br />

media Valle di Susa; Pourrieres, Val Chisone).


1. - LE ALPI OCCIDENTALI<br />

III. - INQUADRAMENTO GEOLOGICO<br />

La catena alpina occidentale è il risultato di un complesso processo geodinamico che, attraverso una<br />

prima fase di subduzione di litosfera oceanica ed una seconda fase di collisione continentale tra i<br />

paleomargini europeo ed insubrico, ha portato <strong>alla</strong> formazione di una catena orogenetica in cui sono<br />

conservate e riconoscibili unità di crosta continentale tettonicamente interposte ad unità ad affinità<br />

oceanica.<br />

Storicamente nella catena sono stati riconosciuti quattro domini strutturali principali, cui è stata<br />

attribuita una forte connotazione paleogeografica, separati da superfici tettoniche principali. Ognuno di<br />

questi domini è caratterizzato da una storia geologica omogenea, ma parzialmente indipendente da quella<br />

dei domini adiacenti.<br />

Dall’alto al basso geometrico e dall’interno verso l’avampaese europeo sono stati distinti: il dominio<br />

Sudalpino, il dominio Austroalpino, il dominio Pennidico ed il dominio Elvetico-Ultraelvetico.<br />

Il dominio Sudalpino è un sistema tettonico rappresentato nel suo settore più occidentale d<strong>alla</strong> Zona<br />

del Canavese, d<strong>alla</strong> Zona Ivrea-Verbano e d<strong>alla</strong> Serie dei Laghi. Rappresenta quella porzione del margine<br />

insubrico che non è stata interessata d<strong>alla</strong> tettogenesi collisionale, si differenzia d<strong>alla</strong> catena vera e propria<br />

in quanto è privo <strong>della</strong> sovraimpronta metamorfica di età alpina. E’ separato d<strong>alla</strong> catena per mezzo <strong>della</strong><br />

linea insubrica ed è caratterizzato da una vergenza interna delle strutture principali. Le unità sudalpine si<br />

accav<strong>alla</strong>no sull’avampaese padano e il loro fronte, sepolto dai depositi <strong>della</strong> pianura padana, è prossimo<br />

ad interferire con il fronte appenninico NE vergente.<br />

Il dominio Austroalpino, è posto in posizione strutturalmente elevate dell’edificio alpino. Gli sono<br />

attribuite unità di crosta continentale costituite da un basamento varisico intruso da granitoidi permiani e<br />

ricoperto da modeste coperture mesozoiche. Questo dominio viene correlato al dominio sudalpino e gli<br />

sono attribuiti, nelle Alpi occidentali, la Zona Sesia-Lanzo e quei numerosi lembi di ricoprimento<br />

(klippen), indicati, in genere con il termine complessivo di Sistema <strong>della</strong> Dent Blanche s.l..<br />

Il dominio Pennidico, sistema multifalda cui sono riferite tutte le unità che conservano traccia <strong>della</strong><br />

crosta oceanica mesozoica (Zona Piemontese s.l., Zona dei Calcescisti con pietre verdi, ecc.), e un<br />

gruppo di falde di basamento in cui sono state distinte le Falde Pennidiche superiori (= Monte Rosa, Gran<br />

Paradiso e Dora Maira), il Sistema Medio Pennidico (= Falda del Gran San Bernardo) e le Falde<br />

Pennidiche inferiori (= Antigorio, Lebendum, Monte Leone). E’ in questo dominio, come anche in quello<br />

precedente, che sono meglio conservate le tracce <strong>della</strong> evoluzione tettonometamorfica alpina.<br />

Il dominio Elvetico, rappresenta quella porzione dell’avanpaese europeo coinvolto nella tettogenesi<br />

alpina ed è l’elemento strutturale più esterno <strong>della</strong> catena, separato dai domini più interni dal Fronte<br />

Pennidico. Questo dominio è costituito da un basamento cristallino e da successioni di copertura mesocenozoiche<br />

più o meno scollate (Falde Elvetiche). Il basamento affiora in corrispondenza dei cosiddetti<br />

Massicci Cristallini Esterni (Argentera, Pelvoux, Belledonne, Monte Bianco - Aiguille Rouge e Aar-<br />

Gottardo). Poiché questo dominio è stato coinvolto nell’orogenesi alpina solo durante le sue fasi finali<br />

(fase mesoalpina e fase neoalpina), in esso sono meglio conservati relitti metamorfico-strutturali<br />

dell’orogenesi caledoniana ed in modo ubiquitario quelle dell’orogenesi ercinica (MÈNOT, 1987).<br />

Le più recenti indagini sulla struttura profonda delle Alpi eseguite <strong>alla</strong> fine degli anni ‘80 (ROURE et<br />

alii, 1990, 1996; PFIFFNER et alii, 1997) hanno messo in evidenza una strutturazione interna <strong>della</strong> catena<br />

relativamente semplice a piccola <strong>scala</strong> e omogenea lungo tutto l’arco delle Alpi occidentali. Le Alpi<br />

costituiscono infatti una catena a doppia vergenza, “europea” per il settore esterno e “insubrica” o<br />

“apula” per quello interno, in cui si possono distinguere tre grandi domini strutturali che ricalcano in parte<br />

le concezioni paleogeografiche dei modelli precedenti. Si distingue infatti (fig. 1):<br />

- un dominio interno, appartenente <strong>alla</strong> placca superiore del sistema collisionale, che corrisponde al<br />

dominio sudalpino dei vecchi Autori;<br />

- un dominio esterno corrispondente all’avanpaese, o a quella sua parte che è coinvolta nella porzione<br />

più esterna <strong>della</strong> catena, che corrisponde al dominio elvetico-delfinese dei vecchi Autori;<br />

- una parte assiale, delimitata da due superfici di discontinuità maggiori <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> crostale (Linea<br />

Insubrica all’interno e Fronte pennidico all’esterno), nella quale sono comprese le unità oceaniche e le<br />

falde pennidiche ed austroalpine <strong>della</strong> vecchia letteratura.


Fig. 1<br />

Stereogramma delle Alpi occidentali. Il lato anteriore è all’incirca coincidente con il profilo sismico CROP/ECORS<br />

tra il Giura francese e la Pianura padana nei pressi di Torino che ha attraversato la catena lungo le valli dell’Orco e<br />

dell’Isère. Nelle zone esterne sono indicati con tratteggio orizzontale le coperture dell’avanpaese e con tratteggio<br />

verticale le falde elvetiche. E’ stata lasciata in bianco la zona assiale <strong>della</strong> catena corrispondente <strong>alla</strong> catena<br />

collisionale vera e propria ed <strong>alla</strong> parte riattivata del margine europeo.


L’aspetto più stimolante di questa interpretazione <strong>della</strong> catena è che la parte assiale, che costituisce la<br />

catena collisionale vera e propria, appare completamente svincolata dalle zone più esterne ed interne. In<br />

essa sono contenute tutte le unità che hanno subito una o più degli eventi metamorfici legati <strong>alla</strong><br />

subduzione ed <strong>alla</strong> collisione, e la loro distribuzione all’interno <strong>della</strong> zona assiale non è il frutto di una<br />

evoluzione cilindrica dei domini paleogeografici, ma sembra essere rimessa continuamente in gioco dalle<br />

cinematiche locali. Ne consegue che ogni elemento strutturale <strong>della</strong> catena, definito come unità<br />

tettonostratigrafica (sensu DELA PIERRE et alii, 1997) o unità tettonometamorfica (sensu SPALLA et alii,<br />

1998) può avere una storia tettonometamorfica autonoma rispetto alle unità vicine, e che prima di<br />

effettuare qualsiasi tipo di ricostruzione si dovrà conoscere in modo preciso quale è la storia collisionale<br />

Una ulteriore complicazione dell’assetto geometrico <strong>della</strong> collisione viene introdotto d<strong>alla</strong> complessa<br />

interazione delle cinematiche alpina ed appenninica che avvengono a partire dal Neogene. Il risultato<br />

conferisce <strong>alla</strong> catena la caratteristica forma arcuata del suo settore occidentale che simula una rotazione<br />

antioraria <strong>della</strong> zona di collisione tra la placca europea e quella apula.<br />

La letteratura alpina risente ovviamente di questa complessa evoluzione delle conoscenze ed<br />

interpretazioni, da cui sorge un grave problema di nomenclatura. Questa infatti, ereditata da modelli<br />

passati, non viene ridefinita nelle interpretazioni più recenti. Ne consegue che termini abitualmente<br />

presenti nella bibliografia sono impiegati con significato diverso a seconda degli Autori oppure cambiano<br />

significato col tempo. A questo si aggiunge le naturale inerzia <strong>della</strong> comunità scientifica ad accettare<br />

nuove interpretazioni che mettono in discussione modelli che sembravano consolidati qualche lustro<br />

prima, e soprattutto la nomenclatura che ne consegue.<br />

Un esempio classico è costituito dalle successioni a ofioliti che segnano la sutura oceanica nella catena.<br />

D<strong>alla</strong> primitiva definizione di “Zona delle pietre verdi”, introdotto nella nomenclatura alpina nella metà del<br />

secolo scorso, si è avuto un proliferare di etichette (Zona piemontese dei calcescisti con pietre verdi,<br />

Schistes Lustrés, Ophiolit decke, Ensemble Ligure, Complesso dei calcescisti con pietre verdi, Zona del<br />

Combin, ...) con significato via via paleogeografico, geografico, litostratigrafico, tettonico, metamorfico,<br />

con valenza regionale o locale, che non hanno certo contribuito a semplificare la comprensione al lettore<br />

non specialista.<br />

Nell’area del foglio affiorano estesamente unità appartenenti, nelle interpretazioni classiche, ai “domini<br />

paleogeografici” piemontese e brianzonese. Sembra opportuno quindi fornire qui di seguito un breve<br />

inquadramento regionale delle unità affioranti nell’area, in cui si illustrano anche le scelte effettuate per<br />

1.1. - LE UNITÀ OCEANICHE E OFIOLITICHE DELLE ALPI OCCIDENTALI<br />

Un insieme di successioni che rappresentano la testimonianza del bacino oceanico mesozoico<br />

interposto alle placche europea ed insubrica e definito in letteratura come Bacino Oceanico Ligure<br />

Piemontese (ELTER, 1971; LEMOINE, 1971; DAL PIAZ, 1974a, b) affiora in maniera continua lungo tutto<br />

l’arco alpino occidentale nel settore compreso tra la linea Sestri - Voltaggio ed i ricoprimenti pennidici<br />

inferiori dell’Ossola - Ticino. Altri affioramenti di successioni litologicamente equivalenti si trovano nelle<br />

due finestre tettoniche dell’Engadina e degli Alti Tauri (Alpi orientali), in Corsica nord-orientale e<br />

Negli ultimi decenni queste successioni sono state studiate considerando talora gli aspetti stratigrafici,<br />

talaltra quelli metamorfici o strutturali. Ne è risultato un quadro fortemente innovativo rispetto alle<br />

conoscenze che si avevano all’inizio degli anni settanta, ma anche una oggettiva difficoltà nel configurare<br />

schemi e correlazioni a valenza regionale. Ne risulta infatti un quadro di unità tettoniche differenti<br />

caratterizzate da successioni litostratigrafiche proprie e/o da evoluzioni tettonometamorfiche<br />

indipendenti. Queste unità sono separate da suture di età varia (eoalpine, mesoalpine e neoalpine) che<br />

registrano condizioni metamorfiche proprie di ambienti crostali diversi <strong>della</strong> catena collisionale (CARON et<br />

alii, 1984).<br />

Nelle Alpi Cozie settentrionali fra le unità ritenute deposte nel bacino interposto tra le placche europea<br />

ed insubrica prima <strong>della</strong> collisione continentale, si riconoscono prevalentemente tre tipi di unità:<br />

- unità che mostrano una sicura affinità oceanica, cioè che mostrano o un substrato oceanico o una<br />

copertura sedimentaria che sicuramente si è deposta su un substrato oceanico;


- unità definite ofiolitiche, cioè che contengono ofioliti ma che non mostrano forti affinità oceaniche;<br />

incertae sedis, in cui sono raggruppate quelle successioni di metasedimenti (calcescisti s.l.) che<br />

non mostrano di avere vincoli stratigrafici e cronologici.<br />

Le unità oceaniche sono caratterizzate da un substrato costituito da porzioni di litosfera oceanica che<br />

mostra una natura composita (ELTER, 1971; STEEN et alii, 1977; LEMOINE, 1980; AUZENDE et alii,<br />

1983; TRICART et alii, 1985; LAGABRIELLE, 1987; DEVILLE et alii, 1992) conseguente ad una fase di<br />

strutturazione precoce, precedente <strong>alla</strong> deposizione dei primi sedimenti. La successione sedimentaria<br />

poggia infatti indifferentemente su peridotiti ± serpentinizzate, gabbri, brecce ofiolitiche e basalti. In<br />

alcuni casi è stato anche dimostrato che le colate basaltiche si sono messe in posto su un substrato<br />

oceanico già strutturato, che conserva tracce di un evento metamorfico assente nelle colate (LOMBARDO<br />

& POGNANTE, 1982). A loro volta i gabbri mostrano una pervasiva foliazione di origine tettonica tagliata<br />

in discordanza dai filoni basaltici (MEVEL et alii, 1978). In nessun caso si ritrova comunque la sequenza<br />

ofiolitica prevista nei classici modelli di litosfera oceanica, costituita da ultramafiti tettonizzate, gabbri<br />

cumulitici, complesso filoniano e colate basaltiche.<br />

La copertura spesso mostra forti affinità con le successioni sopraofiolitiche dell’Appennino (da cui il<br />

nome di successioni “liguri”) ed è caratterizzata da livelli silicei basali (radiolariti dell’Oxfordiano-<br />

Kimmeridgiano, DE WEVER & CABY, 1981; o del Calloviano medio-superiore, DE WEVER et alii, 1987),<br />

marmi chiari attribuiti al Titoniano-Neocomiano (= Calcari a Calpionella), alternanze di marmi e filladi di<br />

età cretacea medio-inferiore definite come Formazione <strong>della</strong> Replatte nella regione di Briançon<br />

(LEMOINE, 1971) e simili agli Scisti a Palombini dell’Appennino, ed una successione di scisti calcarei<br />

(Scisti di Lavagna).<br />

Carattere peculiare di queste successioni è la presenza di materiale detritico prevalentemente ofiolitico<br />

a differenti livelli <strong>della</strong> successione (LEMOINE et alii, 1970; LEMOINE & TRICART, 1979; LAGABRIELLE<br />

et alii, 1982; LAGABRIELLE et alii, 1984; LEMOINE, 1984; LEMOINE & TRICART, 1986). Sono anche<br />

conosciute unità in cui nella successione di copertura ofiolitica sono presenti livelli detritici provenienti dal<br />

POLINO & LEMOINE, 1984).<br />

Le unità ofiolitiche sono state differenziate in quanto non mostrano un substrato ofiolitico evidente né<br />

affinità con le successioni liguri. Contengono tuttavia nella successione sedimentaria elementi ofiolitici e<br />

possono quindi essere interpretate come porzioni del bacino oceanico in cui la crosta oceanica è<br />

completamente scomparsa durante le fasi di subduzione, oppure come successioni deposte nella fossa<br />

convergente ma che non mostrano rapporti stratigrafici diretti con il substrato ofiolitico.<br />

Infine si sono distinti volumi rocciosi costituiti da metasedimenti prevalentemente carbonatici<br />

(calcescisti s.l.) e terrigeni che al momento attuale non sono facilmente correlabili con elementi delle altre<br />

due unità. Successioni analoghe sono già state descritte in altre parti delle Alpi Cozie (LEMOINE &<br />

TRICART, 1986). L’assenza di chiari vincoli stratigrafici e cronologici, ne rende problematica ogni<br />

interpretazione. Si ritiene tuttavia che queste successioni, a causa dell’elevata componente terrigena, si<br />

possano interpretare come deposte nella fossa convergente tra le due placche durante la fase di<br />

subduzione/collisione, così come su uno dei due margini prospicienti.<br />

1.2. - LE UNITÀ PIEMONTESI DI MARGINE CONTINENTALE<br />

Nell’area del foglio affiorano due unità di sedimenti mesozoici attribuite alternativamente al margine<br />

LEMOINE, 1971) o insubrico (“ultrapiemontesi”: POLINO et alii, 1983 con rif.<br />

bibliografici). La successione di litofacies sottolinea l’evoluzione distensiva <strong>della</strong> crosta che porterà,<br />

attraverso ad una fase di rifting continentale ben sviluppata, <strong>alla</strong> oceanizzazione del bacino piemontese.<br />

Gli eventi più caratteristici sono il passaggio d<strong>alla</strong> piattaforma carbonatica tardo-triassica alle successioni<br />

liassiche, l’orizzonte siliceo a radiolari interpretato come un repere litologico utilizzabile in tutto il bacino<br />

piemontese ed il livello a black shales che sottolinea l’instaurarsi di condizioni pelagiche in tutto il bacino<br />

(BOURBON et alii, 1979).<br />

Anche all’interno di queste successioni di margine continentale sono presenti orizzonti detritici a<br />

testimonianza di attività tettonica sin-sedimentaria (DUMONT et alii, 1984).<br />

1.3. - LA FALDA DEL GRAN SAN BERNARDO


Il sistema multifalda del Gran San Bernardo occupa una posizione strutturale intermedia all’interno del<br />

Dominio Pennidico e si estende, con relativa continuità, lungo tutta la parte esterna dell’arco alpino<br />

occidentale partendo dal Vallese fino a Briançon dove viene coperta da terreni meso-cenozoici<br />

sovrascorsi; esso torna poi ad affiorare più a sud nei pressi di Acceglio, fino alle coste liguri.<br />

La Falda del Gran San Bernardo è costituita da un basamento pre-Triassico, una successione di<br />

parascisti talora carboniosi associati a prodotti vulcanici (Permo-Carbonifero), una successione di<br />

carbonati triassici simili a quelli appartenenti al dominio Austroalpino, una successione di sedimenti<br />

pelagici di età Giurassico-Cretaceo. Nell’arco alpino occidentale, il basamento <strong>della</strong> Falda del Gran San<br />

Bernardo affiora in corrispondenza <strong>della</strong> Zona di Acceglio, del Massiccio d’Ambin, <strong>della</strong> Zona di Sapey,<br />

<strong>della</strong> Vanoise meridionale o Massiccio di Chasseforêt, <strong>della</strong> Vanoise settentrionale o Massiccio del M.<br />

Pourri-Bellecôte e, più estersamente, d<strong>alla</strong> Val d’Aosta (Massiccio del Ruitor) al Vallese.<br />

1.3.1. - Il basamento pre-mesozoico<br />

Il basamento pre-mesozoico viene suddiviso in due complessi, uno polimetamorfico ed uno<br />

monometamorfico (BOCQUET, 1974). Il primo è costituito da una sequenza di parascisti, presumibilmente<br />

pre-cambriani, associati a rocce magmatiche sia acide che basiche. Vi si distinguono tre principali eventi<br />

metamorfici prealpini ad un primo evento in facies eclogitica (THÉLIN et alii, 1990) seguono due eventi di<br />

medio grado, uno di più alta pressione, con blastesi di cianite (BAUDIN, 1987) e l’altro di bassa pressione<br />

osservato sia nel basamento del Ruitor (BOCQUET, 1974) sia nel basamento brianzonese ligure<br />

(CORTESOGNO, 1984). Il basamento monometamorfico è costituito da successioni che poggiano sullo<br />

zoccolo polimetamorfico e considerate di età compresa tra il Carbonifero superiore ed il Permiano<br />

superiore (Zona Houillère). In base alle osservazioni fatte nella Vanoise settentrionale (GUILLOT &<br />

RAOULT, 1984) e nel Massiccio d’Ambin (GAY, 1970a, b) il contatto tra il basamento monometamorfico<br />

e quello polimetamorfico sembra essere primario.<br />

1.3.2. - Le coperture meso-cenozoiche<br />

Le successioni sedimentarie meso-cenozoiche <strong>della</strong> Falda del Gran San Bernardo (Zona Brianzonese<br />

<strong>della</strong> letteratura francese) testimoniano l’evoluzione di un bacino subsidente interessato da un regime<br />

tettonico regionale a carattere distensivo (STAMPFLI & MARTHALER, 1990)<br />

La successione stratigrafica mostra una sorprendente omogeneità lungo tutto l’arco alpino, dalle Alpi<br />

liguri ai Grigioni, tanto che la definizione di Brianzonese deriva principalmente d<strong>alla</strong> peculiarità delle<br />

sequenze mesozoiche più che dalle caratteristiche del basamento.<br />

La successione è caratterizzata da quarziti basali di età triassica inferiore, che testimoniano<br />

l’ingressione marina sul continente. Esse sono seguite da una successione di piattaforma carbonatica che<br />

si sviluppa attraverso tre cicli principali: il primo (Anisico) è caratterizzato d<strong>alla</strong> deposizione di calcari, il<br />

secondo (Anisico-Ladinico) d<strong>alla</strong> deposizione di dolomie chiare e dolomie scure ed il terzo (Ladinico<br />

superiore) è costituito da dolomie subtidali. Nel Trias superiore la subsidenza subisce un temporaneo<br />

arresto, come testimoniato da depositi lagunari ed evaporitici e da una lacuna stratigrafica,<br />

corrispondente a gran parte del Liassico, talvolta testimoniata da depositi residuali indicanti l’emersione<br />

<strong>della</strong> piattaforma triassica o di parte di essa. Lo sprofondamento definitivo <strong>della</strong> piattaforma carbonatica<br />

avviene tra il Dogger ed il Malm, periodo in cui incomincia la deposizione a carattere pelagico (sequenze<br />

calcaree e siliceo-marnose). Le pelagiti del Cretaceo superiore-Paleocene contengono notevoli volumi di<br />

brecce a testimonianza di un’intensa attività tettonica sin-sedimentaria. L’evoluzione sedimentaria<br />

continua fino all’Eocene con la deposizione dei calcari nummulitici e delle sequenze torbiditiche del<br />

Priaboniano che segnano la fine <strong>della</strong> sedimentazione.<br />

1.3.3. - Il Massiccio d’Ambin<br />

Il Massiccio d’Ambin affiora come una larga antiforme nelle Alpi Cozie a cavallo del confine tra Italia<br />

e Francia. Esso emerge in corrispondenza di una grande culminazione assiale al di sotto di vari elementi<br />

tettonici appartenenti <strong>alla</strong> Falda Piemontese. ARGAND (1911) e HERMANN (1938) associarono il


Massiccio d’Ambin con la Falda pennidica superiore del Dora Maira sulla base delle loro affinità<br />

litologiche, mentre STAUB (1942) ed ELLENBERGER (1958) lo attribuirono <strong>alla</strong> Zona Brianzonese s.l.,<br />

sulla base delle caratteristiche <strong>della</strong> sua copertura mesozoica. Sulla base di affinità lito-stratigrafiche il<br />

Massiccio d’Ambin viene correlato con la Falda di Pontis (THÉLIN et alii, 1990) e con il Massiccio dello<br />

Chasseforet (DESMONS, 1992). Vengono distinti due unità litostratigrafiche pre-mesozoiche conosciute in<br />

letteratura con i termini di “Serie di Clarea” e “Serie di Ambin” (MICHEL, 1956, 1957; LORENZONI,<br />

1965; GAY, 1970a, b; CALLEGARI et alii, 1980). Al di sopra si trova un ulteriore elemento di copertura<br />

di probabile età permiana superiore che costituisce la “Serie di Etache” (GAY, 1970a, b). Sono inoltre<br />

preservati sporadici lembi di copertura carbonatica mesozoica autoctoni e/o parautoctoni (CARON &<br />

GAY, 1977; DELA PIERRE et alii, 1997).<br />

Il complesso inferiore viene ritenuto di età pre-namuriana da alcuni Autori (MICHEL, 1956; GAY,<br />

1970a, b; BOCQUET, 1974; BOCQUET et alii, 1974; CALLEGARI et alii, 1980) in base <strong>alla</strong> presenza di<br />

relitti mineralogici (granato, mica bianca e biotite) e/o microstrutturali (cerniere di piega sradicate) prealpini,<br />

mentre il complesso superiore costituirebbe la sua copertura di età permiana, anche se alcuni<br />

DESMONS & FABRE, 1988). Datazioni recenti eseguite da<br />

BERTRAND et alii (in preparazione) rimettono in discussione le attribuzioni cronologiche dei basamenti<br />

alpini, grazie al rinvenimento di età pre-erciniche nelle successioni ritenute permiane <strong>della</strong> Vanoise e del


IV. - BASAMENTO PREQUATERNARIO<br />

Nella “Guida al rilevamento” <strong>della</strong> Carta Geologica d’Italia <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:<strong>50.000</strong> (AA.VV., 1992), viene<br />

suggerito di seguire i criteri previsti dall’International Stratigraphic Guide (ISG) (ISSC, 1994), che<br />

prevedono di utilizzare il criterio litostratigrafico in qualsiasi contesto geologico. Le rocce metamorfiche<br />

intensamente deformate dovrebbero quindi, in accordo con la ISG, essere cartografate come formazione,<br />

gruppo ecc. (= unità litostratigrafiche convenzionali) ove i caratteri pre-metamorfici siano ancora ben<br />

riconoscibili, o come complesso quando questi siano sconosciuti o quando i corpi rocciosi siano costituiti<br />

da più tipi litologici con rapporti geometrici complicati.<br />

Volendo seguire questo approccio, ci si è resi conto che l’applicazione rigida <strong>della</strong> litostratigrafia in<br />

aree di catena metamorfica caratterizzate da successioni metasedimentarie, si scontra con sostanziali<br />

problemi di rappresentazione e comporta problemi sia di tipo formale che sostanziale. L’applicazione<br />

rigida di queste regole non consente infatti di rappresentare al meglio la complessa evoluzione postdeposizionale<br />

dei volumi rocciosi e comporta il rischio di cartografare in una sola unità litostratigrafica<br />

successioni di metasedimenti litologicamente simili ma di età diversa, o di distinta provenienza<br />

paleogeografica o che hanno seguito traiettorie significativamente differenti durante l’evoluzione<br />

tettonometamorfica <strong>della</strong> catena. Questo problema si presenta in modo particolare per le monotone<br />

successioni a prevalenti calcescisti che affiorano estesamente nell’area. Una analisi approfondita di queste<br />

DELA PIERRE et alii, (1997).<br />

Nel tentativo di rappresentare in carta il maggior numero di informazioni possibili sulla storia<br />

geologica dei corpi rocciosi si sono utilizzate le unità tettonostratigrafiche, definite come “volumi<br />

rocciosi delimitati da contatti tettonici e contraddistinti da una successione stratigrafica e/o una<br />

sovraimpronta metamorfica e/o un assetto strutturale significativamente diversi da quelli dei volumi<br />

rocciosi adiacenti” (DELA PIERRE et alii, 1997). Qui di seguito vengono descritti i criteri fondamentali e<br />

la filosofia che hanno condotto al rilevamento ed <strong>alla</strong> stesura di una legenda con una impostazione<br />

tettonostratigrafica.<br />

In fase di rilevamento si è privilegiato il riconoscimento di quei caratteri stratigrafici primari<br />

(litostratigrafici) che hanno permesso di definire successioni litostratigrafiche coerenti. Ad esempio nel<br />

caso delle unità a prevalenti calcescisti che affiorano su una buona parte del foglio, si è cercato di mettere<br />

in evidenza successioni litostratigrafiche ad affinità oceanica o continentale sulla base <strong>della</strong> presenza di<br />

ofioliti, <strong>della</strong> loro posizione nella successione litostratigrafica e sulla organizzazione spaziale delle diverse<br />

litofacies. Contemporaneamente si sono messe in evidenza quelle superfici meccaniche di estensione<br />

regionale che potevano rappresentare limiti significativi tra volumi rocciosi ad evoluzione orogenica<br />

indipendente (cfr. ad es. CARON et alii, 1984).<br />

Sono state così riconosciute un certo numero di unità geometriche con caratteristiche interne<br />

omogenee. L’analisi <strong>della</strong> storia post-deposizionale delle singole unità geometriche ha permesso quindi di<br />

ricostruire la loro evoluzione tettonometamorfica, utilizzando indagini petrografiche, strutturali,<br />

petrologiche e geochimiche.<br />

In fase di sintesi sono state poi definite le unità tettonostratigrafiche descritte in legenda, raggruppando<br />

quelle unità geometriche che mostravano stratigrafia correlabile ed evoluzione orogenica confrontabile.<br />

All’interno di ogni unità tettonostratigrafica, delimitata da superfici tettoniche duttili o fragili, le unità<br />

litostratigrafiche (potenzialmente formalizzabili) ed i complessi sono state disposte secondo i normali<br />

criteri stratigrafici (dal basso verso l’alto stratigrafico).<br />

Poiché si ritiene che una carta al 1:<strong>50.000</strong> possa ancora essere utilizzata come uno strumento analitico,<br />

nella definizione <strong>della</strong> legenda si è evitato di fornire attribuzioni paleogeografiche, al fine di ridurre al<br />

massimo l’interpretazione. Seguendo l’approccio tettonostratigrafico, la legenda è stata quindi<br />

organizzata costituendo gruppi omogenei di unità in cui sono state inserite le unità di margine<br />

continentale, le unità oceaniche, quelle ofiolitiche ed isolando infine quelle unità il cui ambiente<br />

deposizionale era di difficile localizzazione. Nelle unità di margine continentale sono state comprese sia<br />

le unità di basamento mono- e polimetamorfico, sia quelle di copertura mesozoica. Per quanto concerne le<br />

unità a calcescisti prevalenti è stato distinto un gruppo di unità definite come oceaniche, in cui si è potuta<br />

ricostruire una successione sedimentaria ad affinità ligure (cioè deposta su crosta oceanica), un gruppo di<br />

ofiolitiche, cioè contenenti ofioliti ma che non mostrano successioni ad evidente affinità


ligure e per le quali la deposizione su crosta oceanica non è certa. Infine sono state separate quelle unità<br />

di calcescisti senza ofioliti che, pur senza attribuzioni cronologiche, vengono tentativamente interpretate<br />

come deposte nella fossa convergente a causa <strong>della</strong> forte componente terrigena.<br />

1. - UNITA’ DI MARGINE CONTINENTALE<br />

1.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’AMBIN<br />

E’ l’unità tettonostratigrafica strutturalmente più profonda e comprende un basamento cristallino<br />

pretriassico su cui poggia una successione di metasedimenti mesozoici, di limitato spessore. Affiora sul<br />

versante sinistro <strong>della</strong> Valle <strong>della</strong> Dora Riparia, tra Chiomonte e Oulx, ed è sovrascorsa da diverse unità<br />

tettonostratigrafiche, costituite da successioni di margine continentale. Verso SE il Massiccio d’Ambin è<br />

troncato da una zona di taglio subverticale, a direzione N60E circa, sottolineata da boudins<br />

pluriettometrici di unità di copertura, e su cui si è impostata la Valle <strong>della</strong> Dora Riparia. Il basamento è<br />

stato suddiviso in un complesso inferiore (complesso di Clarea), costituito da scisti polimetamorfici con<br />

relitti di metamorfismo prealpino, ed in un complesso superiore (complesso d’Ambin) monometamorfico,<br />

in cui prevalgono meta-vulcaniti acido-intermedie ritenute di età permiana. Rari affioramenti di micascisti<br />

polimetamorfici presenti lungo zone di taglio sono stati distinti dal complesso di Clarea in base a<br />

differenze mineralogiche ed indicati come micascisti dei Fourneaux.<br />

I complessi d’Ambin e di Clarea sono separati da un orizzonte discontinuo (potente fino ad alcune<br />

decine di metri) di metaconglomerati di età stefano-permiana a ciottoli di quarzo e rari litici, passanti a<br />

quarziti metaconglomeratiche in parte carbonatiche, già descritti in questa posizione litostratigrafica da<br />

GOGUEL (1958) e GAY (1970a, b). Il contatto tra i due complessi può venire considerato di origine<br />

stratigrafica e il livello a metaconglomerati potrebbe rappresentare il relitto dell’originaria trasgressione<br />

tardo-varisica discordante su di un basamento già metamorfico e strutturato. Questa interpretazione è<br />

compatibile con l’evoluzione monometamorfica del complesso d’Ambin, dove la paragenesi magmatica<br />

viene direttamente sostituita da fasi di alta pressione di presumibile età alpina (es. Ab = Jd + Qtz; simboli<br />

dei minerali secondo KRETZ, 1983).<br />

La copertura mesozoica del Massiccio d’Ambin è conservata in lembi limitati sul versante meridionale<br />

del Massiccio. La successione di riferimento era classicamente ritenuta quella di Punta Bellecombe -<br />

Roche Carlina, sul versante francese del Massiccio (ELLENBERGER, 1958; GOGUEL & ELLENBERGER,<br />

1952; GOGUEL & LAFFITTE, 1952; CARON & GAY, 1977); studi recenti (SIDDANS & OUAZZANI, 1984) 1<br />

hanno però dimostrato che questa successione è scollata dal basamento pretriassico.<br />

La copertura mesozoica riposa in discordanza sul basamento pretriassico e inizia con quarziti biancoverdastre<br />

attribuite al Werfeniano. Questi metasedimenti sono seguiti da una successione carbonatica di<br />

spessore assai ridotto (max 20 m), caratterizzata dall’assenza di sedimenti carbonatici triassici e d<strong>alla</strong><br />

presenza di brecce e livelli detritici a vari livelli stratigrafici.<br />

La struttura a grande <strong>scala</strong> è messa in evidenza d<strong>alla</strong> scistosità regionale alpina che nel settore rilevato<br />

immerge mediamente verso SW, S e SE. A causa delle fasi deformative tardive, la scistosità mostra un<br />

andamento suborizzontale nei settori centrali e più profondi del massiccio mentre è molto inclinata nelle<br />

zone periferiche; ciò conferisce al Massiccio d’Ambin la tipica struttura a duomo.<br />

1.1.1. - Basamento pretriassico<br />

1.1.1.1. - Micascisti dei Fourneaux (fou)<br />

Scaglie di basamento polimetamorfico in sporadici affioramenti lungo la zona di taglio che separa il<br />

Massiccio d’Ambin dalle sovrastanti unità tettonostratigrafiche e non ancora menzionate in letteratura,<br />

sono state cartografate come micascisti dei Fourneaux. Sono costituite principalmente da micascisti a<br />

cloritoide, granato e glaucofane a cui sono associati subordinati calcescisti a granato. Formano livelli di<br />

spessore metrico, per lo più lateralmente discontinui, ad eccezione del livello caratterizzato da buona<br />

continuità laterale che d<strong>alla</strong> parete settentrionale di Punta Galambra giunge ai Passi dei Fourneaux. I<br />

rapporti dei micascisti dei Fourneaux con gli altri litotipi del Massiccio d’Ambin sono tettonici e non è<br />

pertanto possibile inquadrarli in una successione litostratigrafica coerente.<br />

Queste rocce, di colore grigio e ad alterazione localmente grigio-nocciola, sono di composizione<br />

essenzialmente cloritico-quarzosa. Presentano numerosi livelli millimetrici di fillosilicati che definiscono


una scistosità fortemente crenulata. La composizione del granato (58 % almandino, 22 % grossularia, 10<br />

% piropo e spessartina) è, ad esclusione <strong>della</strong> periferia, abbastanza omogenea. La posizione strutturale e<br />

la composizione dei granati, che differisce notevolmente da quella dei granati del complesso di Clarea, ne<br />

giustifica la distinzione (MALUSÀ, 1997; MOSCA, 1997; cfr. nota 1). I calcescisti marmorei a granato,<br />

costituiti da carbonato e rara clorite e con sporadici livelli millimetrici a prevalente mica chiara,<br />

costituiscono un livello di spessore metrico a quota 3160 m sulla parete settentrionale <strong>della</strong> Punta<br />

Galambra.<br />

1.1.1.2. - Complesso di Clarea<br />

Il complesso di Clarea rappresenta l’elemento geometricamente più profondo del basamento<br />

metamorfico del Massiccio d’Ambin. Gli affioramenti più estesi si trovano in Val Clarea, nel Vallone di<br />

Tiraculo, nel Gran Boursey, nella conca del Rio Ponté e nella conca del Rio Geronda. Sul versante<br />

sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa gli affioramenti del complesso di Clarea sono ubicati in corrispondenza di<br />

strutture plicative antiformi associate sia alle fasi deformative sin-scistogene, sia a quelle tardive. Lo<br />

spessore massimo affiorante si aggira intorno ai 700-800 metri.<br />

E’ costituito prevalentemente da metasedimenti pelitico-arenacei rappresentati da micascisti in facies<br />

scisti blu ± retrocessi e trasformati in micascisti filladici e in gneiss minuti albitizzati. Alla meso<strong>scala</strong> sono<br />

ancora riconoscibili alternanze composizionali decimetrico-metriche di micascisti quarzosi e micascisti<br />

ricchi in mica bianca, anfibolo e cloritoide. Inoltre sono anche presenti masse di rocce originariamente<br />

intrusive a chimismo acido-intermedio, di metabasiti e di sottili livelli di marmi impuri e scisti carbonatici<br />

non cartografabili.<br />

Nei livelli più profondi si riconoscono mega-relitti strutturali preservati d<strong>alla</strong> sovraimpronta<br />

tettonometamorfica alpina. In questi relitti la foliazione principale, considerata di età prealpina, è definita<br />

da minerali cresciuti in condizioni metamorfiche di facies anfibolitica di media-bassa pressione.<br />

L’impronta tettonometamorfica di età alpina, più pervasiva man mano che ci sposta verso livelli strutturali<br />

più elevati, ha cancellato ogni traccia dell’impronta metamorfica precedente.<br />

La presenza di una foliazione prealpina, seppur in forma dubitativa ed incompleta, era già nota in<br />

letteratura. Qui ne viene confermata l’esistenza e viene riconosciuta la sua diffusione pervasiva nei livelli<br />

strutturali più profondi dove rappresenta la foliazione tettonica principale. Secondo alcuni Autori francesi<br />

(DESMONS & FABRE, 1988; DESMONS, 1992) questa foliazione in facies anfibolitica, osservata anche in<br />

altri settori del sistema multifalda del Gran San Bernardo, viene considerata cambriana o anche più<br />

vecchia. Questa opinione si basa sulle età radiometriche tardo-cambriane ottenute per il protolito del<br />

complesso monometamorfico del Mont Pourri (Massiccio <strong>della</strong> Vanoise). Secondo questa interpretazione<br />

l’impronta metamorfica varisica risulterebbe assente all’interno del basamento brianzonese in quanto<br />

quest’ultimo durante l’orogenesi ercinica si sarebbe mantenuto a livelli strutturali superficiali, evitando<br />

ogni tipo di ricristallizzazione metamorfica (DESMONS, 1992). Tuttavia, prendendo in considerazione le<br />

età radiometriche Ar/Ar (340-350 Ma) prodotte da MONIE’ (1990) su miche del complesso di Clarea<br />

affioranti sul versante francese del Massiccio, si preferisce considerare varisica l’età <strong>della</strong> foliazione<br />

regionale prealpina osservata nel complesso di Clarea e, pertanto, permocarbonifera l’età del sovrastante<br />

Il complesso di Clarea è stato suddiviso nelle seguenti subunità litostratigrafiche informali:<br />

Micascisti e gneiss minuti albitizzati riequilibrati in facies scisti blu di età alpina (cl)<br />

Sono caratterizzati da una paragenesi generalizzata di alta pressione e bassa temperatura,<br />

verosimilmente di età alpina, e da locali riequilibrazioni in facies scisti verdi che hanno obliterato quella<br />

prealpina. Affiorano nei livelli strutturali più elevati del complesso di Clarea in prossimità del contatto con<br />

il complesso d’Ambin. Il passaggio tra i micascisti a prevalente paragenesi prealpina ed i micascisti<br />

glaucofanici a prevalente paragenesi alpina è estremamente graduale e non costituisce un limite<br />

cartografabile con esattezza, perché avviene nell’intervallo di almeno un centinaio di metri.<br />

Sono prevalentemente costituiti da quarzo, albite, miche bianche (fengite e paragonite), clorite,<br />

anfibolo sodico, cloritoide ± biotite ± granato. In quantità accessorie sono presenti rutilo, zoisite, ilmenite,<br />

titanite. Mostrano una evidente scistosità di natura traspositiva sviluppata in condizioni di HP e LT e<br />

definita d<strong>alla</strong> orientazione preferenziale di mica bianca, clorite, cloritoide e glaucofane. Sono presenti<br />

numerosi rods di quarzo parallelizzati <strong>alla</strong> scistosità principale alpina. Talvolta i nastri di quarzo disegnano


cerniere isoclinali sradicate che, nelle zone maggiormente riequilibrate in condizioni metamorfiche alpine,<br />

sono appiattite e quasi completamente obliterate. Queste rocce sono generalmente di colore blu intenso<br />

per la presenza abbondante di anfibolo sodico. L’affioramento più rappresentativo si trova a Grange <strong>della</strong><br />

Valle.<br />

Localmente questa scistosità viene parzialmente obliterata d<strong>alla</strong> crescita di peciloblasti albitici avvenuta<br />

a spese di mica bianca e glaucofane durante l’evento decompressionale di bassa pressione e bassa<br />

temperatura. Questo evento trasforma i micascisti in gneiss minuti albitizzati a causa <strong>della</strong> sostituzione di<br />

mica bianca da parte di albite. In questi gneiss è presente un granato euedrale di piccole dimensioni<br />

cresciuto in equilibrio con biotite o incluso in peciloblasti a losanga di albite. A sua volta la biotite ha<br />

sostituito la clorite. In questi litotipi sono anche presenti aggregati al losanga a quarzo + clorite + albite<br />

cresciuti su originario anfibolo sodico.<br />

Micascisti a paragenesi prealpina preservata (cl a)<br />

Rappresentano il litotipo più diffuso del settore strutturalmente più profondo del complesso di Clarea.<br />

I principali affioramenti si trovano in Val Clarea, nella conca del Rio Ponté e nella conca del Rio<br />

Geronda. In Val Clarea questi litotipi costituiscono una fascia potente circa 400 m. Sono generalmente<br />

molto quarzosi, massicci e contengono numerosi rods di quarzo di dimensioni pluridecimetriche.<br />

Nei litotipi in cui la mica bianca è abbondante, il colore è più chiaro e la scistosità è naturalmente più<br />

pervasiva. Queste diverse varietà litologiche sono intercalate tra loro e non sono delimitate da contatti<br />

Al microscopio si osservano quarzo, muscovite, plagioclasio, biotite, clorite, granato e pseudomorfosi<br />

sericitiche. In quantità accessorie sono presenti rutilo, ilmenite, titanite ed epidoto. I micascisti mostrano<br />

una foliazione tettonica caratterizzata da un layering composizionale centimetrico definito dall’alternanza<br />

di livelli a muscovite + biotite con domini quarzoso-feldspatici. Sono anche presenti porfiroblasti<br />

plurimillimetrici di granato. In generale, la roccia mostra un’aspetto microstrutturale prealpino ben<br />

preservato, anche se le principali fasi mineralogiche, ad eccezione del granato e <strong>della</strong> muscovite, sono<br />

state pervasivamente sostituite, in condizioni statiche, da strutture coronitiche e pseudomorfosi<br />

sviluppatesi durante l’evento metamorfico alpino di alta pressione. Una foliazione relitta, caratterizzata<br />

dalle stesse fasi che definiscono la foliazione prealpina principale, è talvolta preservata in microlitoni.<br />

Sono anche frequenti pseudomorfosi prismatiche sericitico-cloritiche su probabile cianite. In altri casi si<br />

sono osservati aggregati sericitici di forma romboidale all’interno dei quali è cresciuto abbondante<br />

cloritoide alpino in cristalli prismatici allungati privi di orientazione preferenziale dimensionale. Queste<br />

ultime pseudomorfosi sono state ragionevolmente interpretate come relitti di porfiroblasti di staurolite<br />

prealpina. Anche l’originario plagioclasio prealpino si è destabilizzato in aggregati saussuritici, mentre la<br />

biotite è stata sostituita da fengite ricca in inclusioni di rutilo.<br />

Metabasiti a relitti prealpini (cl b)<br />

Si tratta di metabasiti ad albite ed epidoto a struttura listata e di colore verde scuro. Spesso si<br />

riconosce un layering metamorfico che sottolinea la scistosità principale, definito dall’alternanza di<br />

domini anfibolici, di spessore centimetrico, e di domini ad albite ed epidoto, potenti qualche millimetro.<br />

Sulle superfici di scistosità è possibile osservare una lineazione d’estensione definita dall’isorientazione<br />

dell’anfibolo calcico. Costituiscono corpi lenticolari, il cui spessore varia da dimensioni metriche a<br />

decametriche.<br />

Nella conca del Rio Geronda sono state osservate limitate porzioni, non distinguibili<br />

cartograficamente, nelle quali sono presenti relitti di granato. Questo si presenta in porfiroclasti di<br />

dimensioni plurimillimetriche che possono raggiungere anche il centimetro, con un orlo di reazione<br />

bianco, composto da albite ed epidoto, che testimonia in modo chiaro il suo disequilibrio con la<br />

paragenesi prealpina sviluppatasi in facies anfibolitica.<br />

Al microscopio la foliazione prealpina risulta definita da una paragenesi ad anfibolo calcico, albite,<br />

epidoto, titanite in assenza di clorite. Generalmente l’orneblenda prealpina viene parzialmente sostituita<br />

da glaucofane alpino cresciuto in corone. Saltuariamente, in corrispondenza di vene estensionali<br />

sviluppatesi verosimilmente durante l’evento metamorfico di alta pressione, è cresciuto anfibolo sodico<br />

che ha pseudomorfosato il precedente anfibolo calcico. Le metabasiti riequilibrate in condizioni di alta<br />

pressione di età alpina si trovano in corrispondenza dei domini più riequilibrati in condizioni metamorfiche<br />

alpine, all’interno delle masse di anfiboliti ad albite ed epidoto, ma spesso costituiscono corpi lenticolari<br />

di estensione decametrica, associati ai micascisti glaucofanici a prevalente paragenesi alpina. In esse si<br />

osserva una parziale o totale obliterazione <strong>della</strong> paragenesi di medio grado metamorfico. Le metabasiti<br />

completamente riequilibrate in condizioni di alta pressione mostrano una paragenesi a granato-


glaucofane-clorite che definisce una foliazione tettonica riferibile all’evento alpino di alta pressione,<br />

mentre quelle riequilibrate in condizioni di bassa pressione sono caratterizzate d<strong>alla</strong> associazione anfibolo<br />

calcico - clorite - clinozoisite - albite.<br />

Ortogneiss polimetamorfici (cl c)<br />

Gli ortogneiss polimetamorfici affiorano in masse ettometriche nei pressi dei Laghi delle Monache,<br />

nella località Clot delle Selle ed in corrispondenza <strong>della</strong> parete nord del Monte Chabrière, e in corpi<br />

decametrici lungo il Rio Clapier, sul versante destro <strong>della</strong> Val Clarea, sul versante destro del Gran<br />

Bourseg e sul versante sinistro del Rio Geronda. Quando la paragenesi prealpina è ancora preservata si<br />

osservano rocce leucocrate a grana medio-fine a quarzo, grosse lamelle di mica bianca e feldspato.<br />

Benché questa roccia abbia subito un’intensa ricostruzione metamorfica, spesso mostra un aspetto<br />

fabric magmatico è stato parzialmente preservato, come ad esempio<br />

si osserva a quota 2500 m nella conca del Rio Geronda. L’assenza di feldspato alcalino fa presupporre<br />

che l’originario protolite magmatico di queste rocce fosse rappresentato da rocce intrusive a<br />

composizione tonalitica. L’originario contatto intrusivo è stato trasposto e parallelizzato <strong>alla</strong> foliazione<br />

prealpina principale, testimoniando un’età di intrusione chiaramente precedente <strong>alla</strong> deformazione. Solo in<br />

pochi casi è stato possibile osservare la presenza di piccole apofisi, di dimensioni decimetriche, intercalate<br />

negli scisti incassanti.<br />

Gli ortogneiss mostrano una foliazione tettonica concordante con la scistosità prealpina degli scisti<br />

incassanti, definita da muscovite e biotite, ora sostituita da aggregati di età alpina a fengite + glaucofane +<br />

clorite. Piccoli cristalli idioblasti di granato zonato sono molto abbondanti. Nei differenziati più basici<br />

l’originario plagioclasio calcico viene sostituito da un aggregato dactilitico ad albite + epidoto.<br />

Un’età più vecchia <strong>della</strong> foliazione prealpina deve quindi venir ipotizzata per la messa in posto di<br />

queste rocce di natura magmatica. Ortoderivati pre-varisici di composizione acida ed intermedia sono ben<br />

conosciuti e descritti in altre unità polimetamorfiche delle falde di Pontis e Siviez-Mischabel (THÉLIN,<br />

1989; THÉLIN et alii, 1993), ma per la prima volta vengono segnalati ortogneiss pre-ercinici nel<br />

complesso di Clarea.<br />

1.1.1.3. - Complesso d’Ambin<br />

Il complesso d’Ambin è prevalentemente costituito da gneiss occhiadini albitico-cloritici che mostrano<br />

una grande omogeneità composizionale e tessiturale e da gneiss leucocrati a giadeite già segnalati in<br />

letteratura (GAY, 1970a, b, 1972a; CALLEGARI et alii, 1980). Queste rocce sono ritenute di origine<br />

magmatica, vulcanica e/o vulcanoclastica e appartenenti allo stesso complesso magmatico.<br />

Intercalate con le rocce di derivazione magmatica, si rinvengono metapeliti costituite da quarzomicascisti<br />

a clorite con rari boudins di scisti glaucofanici e, in quantità subordinate, da micascisti quarzosi<br />

con rari livelli di metaconglomerati, quarziti e livelli carbonatici. Orto e paraderivati non presentano<br />

continuità laterale e mostrano potenze estremamente variabili probabilmente già dovute a originari<br />

rapporti di eteropia.<br />

La caratterizzazione petrografica delle metapeliti mostra che queste ultime derivano dallo<br />

smantellamento delle rocce magmatiche. In questo quadro gli ortogneiss albitico-cloritici e gli ortogneiss<br />

leucocrati rappresenterebbero il prodotto metamorfico di corpi magmatici effusivi o sub-intrusivi portati<br />

rapidamente in erosione.<br />

L’età degli ortoderivati è sconosciuta, ma vengono considerati di probabile età tardo-varisica, in<br />

accordo con le abbondanti sequenze vulcaniche e vulcano-clastiche di età permo-carbonifera descritte<br />

all’interno del sistema multifalda del Gran San Bernardo (e.g. ESCHER, 1988). Il complesso d’Ambin<br />

mostra inoltre notevoli affinità litostratigrafiche anche con il tegumento permo-carbonifero descritto nel<br />

brianzonese ligure, in Vanoise e nelle falde di Pontis e Siviez-Mischabel (DESMONS & MERCIER, 1993;<br />

THÉLIN et alii, 1993). Nel complesso d’Ambin sono state riconosciute le seguenti unità:<br />

Metaconglomerati e quarziti conglomeratiche (ama)<br />

Costituiscono un orizzonte discontinuo potente fino ad alcune decine di metri <strong>alla</strong> base del complesso<br />

d’Ambin. Sono caratterizzati d<strong>alla</strong> presenza di clasti da millimetrici a centimetrici di quarzo biancastro e<br />

da rari litici gneissico-micascistosi isorientati parallelamente <strong>alla</strong> scistosità regionale e immersi in una<br />

matrice quarzosa con subordinata mica bianca, che conferisce <strong>alla</strong> roccia una caratteristica colorazione<br />

bianco-lattea.


I metaconglomerati presentano passaggi laterali graduali a quarziti conglomeratiche. In entrambi i<br />

litotipi sono presenti diffuse cariature di colore marrone dovute all’alterazione di carbonati ferriferi spesso<br />

concentrati in livelli millimetrico-centimetrici.<br />

Micascisti quarzosi, quarziti, marmi (amb)<br />

Affiorano estesamente a basse quote lungo il versante sinistro <strong>della</strong> Dora Riparia tra Chiomonte e<br />

Salbertrand e nei pressi del Rifugio Vaccarone. Si tratta di un insieme di paraderivati in cui si riconoscono<br />

micascisti quarzosi passanti lateralmente a quarziti che costituiscono bancate decimetrico-metriche,<br />

alternate a livelli di potenza analoga di micascisti a glaucofane, mica chiara, clorite e carbonati. Talvolta il<br />

contenuto in carbonati (generalmente ankerite) è decisamente importante e conferisce <strong>alla</strong> roccia il tipico<br />

aspetto di calcemicascisto caratterizzato, sulle superfici alterate, da diffuse cariature contenenti ossidi e<br />

idrossidi di ferro derivanti dall’alterazione dei carbonati ferriferi. Nella zona tra Ruinas e Maison,<br />

all’interno dei micascisti, si osservano alcuni livelli decimetrici di marmi micacei con colore di alterazione<br />

rossastro.<br />

Nella zona del Rifugio Vaccarone i micascisti a glaucofane, mica chiara e clorite sono più abbondanti.<br />

Sono inoltre presenti discontinui livelli metrici di metaconglomerati a elementi di quarzo di dimensioni<br />

centimetriche e rari litici, in matrice micascistosa.<br />

Gneiss leucocrati a giadeite (amc)<br />

Gneiss molto compatti a grana fine di colore biancastro con caratteristica colorazione rosso ruggine,<br />

affiorano diffusamente allo sbocco <strong>della</strong> Val Clarea e sul versante sinistro <strong>della</strong> Dora Riparia fino ad<br />

Exilles.<br />

Sono rocce molto omogenee costituite da quarzo, albite, mica bianca e, in quantità accessoria, opachi.<br />

Raramente si rinvengono porfiroclasti di K-feldspato al cui interno è presente giadeite relitta già segnalata<br />

da GAY (1972a). La giadeite, pseudomorfa su originaria albite magmatica, si presenta in aggregati<br />

sericitici a grana molto fine associata a quarzo. Talvolta viene sostituita da mica bianca. Sono anche<br />

presenti porfiroclasti magmatici plurimillimetrici di plagioclasio parzialmente sericitizzato. La roccia<br />

presenta inoltre tessitura debolmente scistosa definita dall’isorientazione delle miche.<br />

Interpretati come metatufiti riolitiche (GAY, 1970a, b, 1972a) o come metagranofiri (CALLEGARI et<br />

alii, 1980), mostrano una composizione di tipo alcali-granitico (POGNANTE et alii, 1984). Non sono state<br />

osservate evidenze di terreno che permettano di attribuire a questi corpi magmatici un’origine intrusiva o<br />

effusiva.<br />

Gneiss occhiadini ad albite e clorite (amd)<br />

Gneiss di colore verde chiaro costituiti prevalentemente da quarzo, albite, mica bianca, clorite con<br />

subordinati cloritoide relitto, biotite tardiva e carbonati, costituiscono il litotipo prevalente del complesso<br />

di Ambin. La roccia presenta una foliazione tettonica ben sviluppata definita da mica bianca e clorite ed è<br />

caratterizzata da una tessitura occhiadina definita da aggregati granoblastici plurimillimetrici ad albite,<br />

quarzo, clorite e magnetite cresciuti su pirosseno giadeitico e aggregati a quarzo, clorite e albite cresciuti<br />

su anfibolo sodico. La clorite si presenta in grosse lamelle isolate probabilmente cresciute su originaria<br />

biotite magmatica.<br />

Sono inoltre molto abbondanti i minerali accessori, alcuni dei quali tipici di rocce magmatiche a<br />

chimismo intermedio: opachi (ilmenite e magnetite), rutilo trasformato in titanite, tormalina, zircone,<br />

apatite ed epidoto.<br />

Considerati come il prodotto metamorfico di grovacche (DESMONS & MERCIER, 1993), vengono<br />

interpretati come rocce di origine magmatica vulcanica e/o vulcanoclastica in base alle caratteristiche<br />

petrografiche e <strong>alla</strong> omogeneità composizionale e tessiturale su tutta l’area.<br />

Micascisti quarzosi a clorite (ame)<br />

Micascisti e quarzomicascisti leucocrati a grana media di colore bianco e con foliazione ben sviluppata,<br />

affiorano principalmente nell’alto Vallone Galambra, nella zona di Punta Sommeiller e nella zona Rifugio<br />

Vaccarone - Gros Muttet - Col Clapier. Sono rocce molto omogenee costituite da quarzo, mica bianca,<br />

clorite, cloritoide e carbonati. Localmente passano a quarzomicascisti e quarziti micacee in cui le quantità<br />

di clorite e cloritoide diminuiscono sensibilmente.<br />

Sono stati indicati con un sovrassegno rari boudins di scisti glaucofanici (ame*).<br />

1.1.1.4. - Metadioriti a relitti magmatici (drt)


Nel complesso di Clarea e più diffusamente in quello di Ambin sono presenti corpi tabulari e ammassi<br />

di metadioriti e metagabbri con ancora parzialmente preservata l’originaria tessitura magmatica. Già<br />

segnalati da POGNANTE et alii (1984) sulle pendici del versante sinistro <strong>della</strong> Val Clarea, affiorano anche<br />

nella parte bassa del versante sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa tra Exilles e La Ramat. Si tratta di rocce<br />

massicce di colore verde scuro a grana medio-fine con debole sviluppo di foliazione, nelle quali sono<br />

macroscopicamente riconoscibili i siti degli originari femici magmatici (probabile orneblenda e biotite),<br />

mentre in sezione sottile si riconosce il sito dell’originario plagioclasio.<br />

Presentano una paragenesi costituita da anfibolo calcico, clorite, epidoto, albite, carbonato e quarzo, in<br />

quantità minori sono presenti mica bianca e granato e tra gli accessori rutilo, titanite, zircone e opachi.<br />

La debole foliazione tettonica è definita d<strong>alla</strong> isorientazione di anfibolo, clorite e titanite.<br />

In base ai rapporti con le rocce incassanti queste rocce sono interpretate come originari corpi filoniani.<br />

1.1.2. - Copertura mesozoica<br />

Quarziti d’Etache (qet)<br />

Affiorano in corrispondenza del massiccio <strong>della</strong> Rognosa d’Etiache, ai piedi <strong>della</strong> parete sudorientale<br />

del M. Segurét e <strong>alla</strong> base del versante sinistro <strong>della</strong> Val di Susa, tra Pont Ventoux ed il Rio Segurét.<br />

Sono costituite da un’alternanza di scisti sericitici e quarziti conglomeratiche poggianti sui diversi<br />

Gli scisti sericitici, di colore grigio-verdastro, costituiscono livelli di spessore da centimetrico a<br />

decametrico e sono formati prevalentemente da mica chiara e quarzo, con tormalina e zircone di chiara<br />

origine detritica in quantità accessorie; caratteristica distintiva è una scistosità pervasiva che registra le fasi<br />

deformative tardive come un clivaggio di crenulazione che localmente evolve in una nuova scistosità di<br />

piano assiale. Il passaggio con i sottostanti gneiss del complesso d’Ambin è graduale e viene interpretato<br />

come stratigrafico.<br />

Le quarziti massicce conglomeratiche, di colore verde pallido e ad alterazione grigio-nocciola,<br />

costituiscono bancate di spessore da centimetrico a decametrico. Sono costituite prevalentemente da<br />

quarzo, con subordinata mica chiara, rari individui millimetrici di feldspato alcalino e sporadica albite; tra<br />

i minerali accessori è da segnalare l’abbondanza di zircone. Sono inoltre presenti, in quantità variabili,<br />

clasti subangolosi di quarzo rosa a lucentezza vitrea le cui dimensioni, solitamente millimetriche, possono<br />

essere occasionalmente centimetriche.<br />

La locale presenza di bancate ad alterazione rugginosa intercalate alle normali bancate di colore verde<br />

pallido può conferire al litotipo un aspetto a bande. Quest’ultima varietà affiora <strong>alla</strong> base <strong>della</strong> parete<br />

settentrionale di Punta Galambra.<br />

Questi metasedimenti, sebbene ampiamente citati in letteratura, sino agli inizi degli anni ‘70, non erano<br />

stati distinti dai restanti termini <strong>della</strong> copertura. Solo GAY (1970a, b; 1972a, b) ha definito questa<br />

successione come “Groupe d’Etache”.<br />

Sulla base <strong>della</strong> loro posizione stratigrafica, sono attribuite al Permiano sup. (?) - Triassico inferiore.<br />

Quarziti del Rio Segurét (qse)<br />

Affiorano estesamente nel settore <strong>della</strong> Rognosa di Etiache e in destra orografica <strong>della</strong> Dora Riparia<br />

tra Beaume e C.na Portetta. Altri affioramenti sono stati rinvenuti sul versante orientale del Monte<br />

Segurét e del Monte Pramand, lungo la cresta di confine con la Francia, tra il Colle dell’Agnello e la<br />

Rocca d’Ambin e nei pressi di Exilles. Si rinvengono inoltre in scaglie tettoniche lungo contatti maggiori<br />

al Colle di Etache e lungo la cresta Toasso Bianco - Grange Marzo.<br />

Le quarziti del Rio Segurét, di colore bianco e ad alterazione bianco-gi<strong>alla</strong>stra, presentano un fabric<br />

massiccio ed una composizione prevalentemente quarzosa con sporadica mica chiara. Costituiscono<br />

bancate molto regolari, di spessore da decimetrico a metrico. La grana <strong>della</strong> roccia è fine ed omogenea: la<br />

mica chiara si concentra soprattutto lungo i piani delimitanti le bancate. Il passaggio con le sottostanti<br />

quarziti d’Etache è stratigrafico e avviene in modo graduale.<br />

Lo spessore di questi metasedimenti è estremamente variabile: le potenze maggiori si riscontrano in<br />

corrispondenza del Massiccio <strong>della</strong> Rognosa d’Etiache (circa 250 metri) e nei pressi di Beaume, mentre<br />

altrove questi metasedimenti sono potenti solo alcuni metri. Inoltre, in alcune località (ponte sulla Dora<br />

tra Exilles e Chiomonte, Val Clarea) essi sono assenti e la parte restante <strong>della</strong> successione mesozoica<br />

poggia direttamente sul basamento pretriassico. Localmente (Colle del Sommeiller) sono presenti quarzomicascisti<br />

a cloritoide (qse a)


Le quarziti del Rio Segurét costituiscono il prodotto metamorfico di sedimenti quarzoarenitici deposti<br />

in ambiente littorale (LORENZONI, 1965) e vengono attribuite al Triassico inferiore (Werfeniano) per<br />

analogia litologica con le successioni brianzonesi (ELLENBERGER, 1958; LORENZONI, 1965; ALLENBACH<br />

& CARON, 1986).<br />

Marmi di Exilles (mex)<br />

Poggiano con un contatto netto sulle quarziti del Rio Segurét (Beaume, versante meridionale del<br />

Segurét e del Pramand) o direttamente sul basamento pretriassico (Exilles, ponte sulla Dora tra Exilles e<br />

Chiomonte). Sono metasedimenti prevalentemente carbonatici, potenti pochi metri e costituiti da:<br />

a) scisti carbonatici scuri, con ciottoli arrotondati di dolomie rosate e di quarziti (M. Segurét) e<br />

talvolta livelli lenticolari di marmi dolomitici (M. Pramand). Localmente la successione inizia con quarziti<br />

micacee e micascisti, facilmente confondibili con il basamento pretriassico. L’attribuzione di questi livelli<br />

alle coperture mesozoiche si basa sulla presenza di livelli di marmi nocciola e calcescisti intercalati alle<br />

quarziti. Queste ultime possono essere interpretate come livelli detritici mentre i marmi ed i calcescisti<br />

come il sedimento pelagico.<br />

b) marmi nocciola a patina chiara in livelli di potenza metrica contenenti localmente livelli di quarziti<br />

micacee (M. Pramand, C.na Portetta) o ciottoli decimetrici di dolomie rosate (M. Segurét). Al ponte sulla<br />

Dora e a Exilles, si osservano brecce ad elementi quarzitici e carbonatici, con matrice costituita da marmi<br />

scuri spesso di aspetto fluidale. I clasti carbonatici sono rappresentati sia da dolomie e calcari dolomitici<br />

sia da marmi cristallini a grana grossa interpretabili come encriniti.<br />

Calcescisti <strong>della</strong> Beaume (cbe)<br />

Sono costituiti da calcescisti albitici a rara mica bianca e quarzo a patina di alterazione marroncina<br />

contenenti clasti e livelli discontinui di quarziti micacee ricche in carbonato ed orizzonti di brecce a clasti<br />

centimetrici di marmi, dolomie e micascisti. Gli affioramenti più significativi sono localizzati nel settore di<br />

Beaume, al ponte sulla Dora (Exilles) e <strong>alla</strong> Rocca d’Ambin. Altri affioramenti sono stati rinvenuti nei<br />

pressi del Rifugio Vaccarone e allo sbocco <strong>della</strong> Val Clarea. In questa località, i calcescisti <strong>della</strong> Beaume<br />

poggiano direttamente sul basamento pretriassico (complesso d’Ambin) e contengono clasti decimetrici<br />

arrotondati di marmi mineralizzati nerastri (hard grounds ?).<br />

Corrispondono all’ ensemble carbonaté superieur di ALLENBACH & CARON (1986) e sono da questi<br />

autori attribuiti al Cretacico superiore.<br />

Secondo ALLENBACH (1982) e ALLENBACH & CARON (1986) la successione rappresentata dai marmi<br />

di Exilles e dai calcescisti <strong>della</strong> Beaume è fortemente lacunosa. Questi autori riferiscono i metasedimenti<br />

carbonatici qui cartografati come marmi di Exilles al Giurassico medio-superiore (intervallo a,<br />

corrispondente al loro “ensemble inferieur”) e al Malm (intervallo b, corrispondente al loro “ensemble<br />

carbonaté inferieur”); i calcescisti <strong>della</strong> Beaume sono invece riferiti al Cretacico superiore - Paleocene<br />

per analogia con i Marbres cloriteux delle successioni brianzonesi, che sono datati paleontologicamente.<br />

L’assenza di datazioni rende tuttavia altamente speculativa ogni attribuzione cronologica. Gli unici<br />

sedimenti facilmente correlabili con le successioni brianzonesi sono i “calcescisti <strong>della</strong> Beaume”<br />

(Cretacico superiore - Paleocene). L’esigua potenza <strong>della</strong> successione, l’assenza di superfici di<br />

discontinuità evidenti e l’elevata componente terrigena suggeriscono che tutta la successione si è deposta<br />

in questo intervallo di tempo e che quindi anche i marmi di Exilles siano da riferire al Cretacico superiore.<br />

1.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VALLONETTO<br />

Affiora estesamente tra l’alto vallone di Rochemolles e il Monte Pramand ed è interposta tra le unità<br />

del Vin Vert, <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e di Valfredda a tetto e l’unità dell’Ambin a letto. Il contatto<br />

tettonico di base corrisponde ad un piano di sovrascorrimento a basso angolo, sottolineato da brecce<br />

tettoniche. Costituisce inoltre klippen poggianti tramite piani a basso angolo sul Massiccio d’Ambin ed<br />

affioranti al Monte Niblé, <strong>alla</strong> Rocca d’Ambin e lungo la cresta Monte Clopaca - Cima del Vallone - Cima<br />

dei Quattro Denti. Altri affioramenti si rinvengono infine nei pressi del Rifugio Vaccarone. Scaglie<br />

tettoniche di limitata estensione in sinistra orografica <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, tra Constans e Savoulx,<br />

sono tettonicamente imb<strong>alla</strong>te nei gessi.<br />

I metasedimenti sono caratterizzati da una foliazione di natura traspositiva sviluppatasi in condizioni<br />

sincinematiche rispetto allo sviluppo delle paragenesi in facies scisti blu di alta T (mica bianca, clorite,<br />

epidoto, glaucofane ± cloritoide e rutilo). Si osserva inoltre una riequilibrazione in facies scisti verdi<br />

sviluppatasi in condizioni sostanzialmente statiche e caratterizzata d<strong>alla</strong> blastesi di albite peciloblastica a<br />

spese di mica bianca e di biotite su clorite.


La successione stratigrafica, estremamente tettonizzata, può essere ricostruita in tutto il suo sviluppo<br />

Dal basso all’alto stratigrafico essa è costituita da:<br />

(dse)<br />

Costituiscono le imponenti falesie <strong>della</strong> cresta Monte Segurét - Cima del Vallonetto - Truc Peyron;<br />

altri affioramenti si rinvengono al Monte Pramand, nell’alto Vallone di Rochemolles e nella parte alta<br />

<strong>della</strong> Valfredda (Roche Ronde). Sono costituite da dolomie grigio-rosate e da dolomie grigie a patina di<br />

alterazione gi<strong>alla</strong>stra, in bancate massicce di potenza da decimetrica a metrica, cui si intercalano livelli di<br />

calcari dolomitici nerastri fetidi. Localmente (alto vallone di Rochemolles) si rinvengono livelli di calcari<br />

dolomitici con abbondanti gallerie di bioturbazione a sezione subcircolare, che possono essere confrontati<br />

con i “Calcaires vermiculés” delle successioni mediotriassiche brianzonesi.<br />

Interpretati come depositi caotici ad enormi blocchi (megabrecce), deposti al piede di scarpate di faglie<br />

distensive di presunta età giurassica da ALLENBACH & CARON (1986), vengono qui considerati, in<br />

accordo con LORENZONI (1965), come depositi di piattaforma carbonatica, cui viene attribuita un’età<br />

mediotriassica per correlazione con le successioni brianzonesi.<br />

Marmi de I Frati (mfr)<br />

Affiorano nell’alto Vallone di Rochemolles (I Frati, cresta Passo di Valfredda - Passi dei Fourneaux), e<br />

lungo la cresta settentrionale del Vallonetto. Si tratta di marmi grigio-biancastri dal tipico aspetto<br />

laminato, rosa sulla superficie alterata e ricchi in mica bianca. Molto spesso questi metasedimenti sono<br />

brecciati e cataclasati ed assumono l’aspetto di “carniole” (ad es. lungo la cresta Passo di Valfredda -<br />

Passo dei Fourneaux).<br />

Sulla base <strong>della</strong> posizione stratigrafica, i marmi de I Frati rappresentano l’equivalente, più metamorfico<br />

Marbres de Guillestre” delle successioni brianzonesi. Sono ritenuti quindi di età<br />

giurassica superiore (Malm).<br />

Complesso del Vallonetto (cvl)<br />

Affiora nell’alto vallone di Rochemolles, sui versanti meridionale e sudoccidentale <strong>della</strong> Cima del<br />

Vallonetto, lungo la cresta Monte Clopaca - Cima del Vallone, e nel settore del Monte Niblé - Rifugio<br />

Vaccarone, ove costituisce un klippe tettonicamente sovrapposto a termini diversi appartenenti all’unità<br />

tettonostratigrafica del Massiccio d’Ambin.<br />

E’ costituito da calcescisti e calcemicascisti bruni, caratterizzati dall’alternanza di livelli submillimetrici<br />

di colore grigio-biancastro a composizione prevalentemente quarzosa e di livelli grigio scuri<br />

prevalentemente fillosilicatici. Queste rocce, a patina di alterazione brunastra, sono caratterizzate da una<br />

scistosità pervasiva irregolarmente crenulata.<br />

Il klippe del M. Niblé è rappresentato nella cartografia precedente come di pertinenza “piemontese”<br />

(<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1911a, LORENZONI, 1965; FUDRAL et alii, 1994). Tuttavia l’esistenza di<br />

calcescisti carbonatici massicci a patina di alterazione ocra simili ai “Marbres cloriteux “ delle successioni<br />

brianzonesi e di livelli di scisti quarzoso-micacei (cvl b) analoghi a quelli del Vallone di Rochemolles,<br />

l’assenza di ofioliti e la posizione geometrica suggeriscono di interpretare questo settore come<br />

appartenente al complesso del Vallonetto.<br />

Considerando la posizione stratigrafica e la somiglianza di alcuni livelli con i metasedimenti di età<br />

cretacica delle successioni brianzonesi, il complesso del Vallonetto è riferito al Cretacico superiore.<br />

Entro i calcescisti del complesso del Vallonetto sono assai diffuse le intercalazioni di livelli detritici.<br />

Sono stati distinti:<br />

- cvl a: brecce poligeniche a cemento carbonatico ad elementi quarzitici, dolomitici e carbonatici, e<br />

quarziti bianco-verdastre contenenti clasti dolomitici e carbonatici. Sono ben esposte nell’alto vallone di<br />

Rochemolles e lungo la cresta M. Segurét - Cima del Vallonetto. Sul versante meridionale <strong>della</strong> cresta<br />

Punta Valfredda - Passi dei Fourneaux sono presenti, intercalati nei calcemicascisti bruni, corpi<br />

decametrici di dolomie triassiche interpretate come olistoliti;<br />

- cvl b: micasciti quarzoso-micacei e gneiss, contenenti clasti dolomitici rosati di dimensioni fino a<br />

decimetriche (basamento ricostituito Auct.) Sono particolarmente diffusi lungo la cresta Segurét - Cima<br />

del Vallonetto e al Monte Niblé, ove costituiscono livelli di potenza decametrica che sottolineano le<br />

principali strutture plicative.<br />

Infine sulla cresta M. Segurét - Cima del Vallonetto è stata indicata con questa sigla anche una scaglia<br />

tettonica, imb<strong>alla</strong>ta entro i metasedimenti del complesso del Vallonetto, costituita da scisti cloriticoanfibolici<br />

completamente retrocessi in facies scisti verdi.


1.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI GAD<br />

Affiora lungo la Valle <strong>della</strong> Dora Riparia, in scaglie tettoniche a forma di losanga che sottolineano la<br />

zona di taglio ad alto angolo a direzione circa N60E, che separa il Massiccio d’Ambin dalle unità<br />

ofiolitiche. Scaglie tettoniche di limitata estensione sono state inoltre rinvenute, nella stessa posizione<br />

strutturale, in bassa Val Clarea. I metasedimenti mostrano una foliazione di natura tettonica definita da<br />

mica bianca e clorite al cui interno sono preservate pseudomorfosi prismatiche di mica bianca, carbonati<br />

ed opachi su originaria lawsonite.<br />

Considerata di pertinenza piemontese esterna da CARON (1977), l’unità tettonostratigrafica di Gad<br />

presenta una successione che può essere agevolmente confrontata con quelle del dominio brianzonese.<br />

Tale successione può essere osservata in tutto il suo sviluppo solo tra Gad e Salbertrand, poiché nelle<br />

altre località di affioramento è sempre troncata da contatti tettonici.<br />

Dal basso all’alto sono stati distinti i seguenti termini:<br />

Dolomie di Gad (dga)<br />

Dolomie grigie a patina di alterazione chiara, in bancate dello spessore di 40/50 cm, senza evidenti<br />

strutture sedimentarie preservate, cui si intercalano localmente livelli di brecce a clasti dolomitici spigolosi<br />

(brecce intraformazionali) e di marmi biancastri a grana fine, a frattura concoide (Chiomonte). A Est di<br />

Pra Piano, alle dolomie si intercalano inoltre livelli di potenza metrica di argilloscisti nerastri.<br />

Le dolomie di Gad, potenti circa 200 m tra Gad e Salbertrand, rappresentano facies di piattaforma<br />

carbonatica. In questi metasedimenti ZACCAGNA (1887) ha rinvenuto, nei pressi di Gad d’Oulx, alcuni<br />

fossili successivamente determinati da PORTIS (1889) come appartenenti ai generi Natica, Myophoria e<br />

Lima. Su queste basi le dolomie di Gad sono attribuite al Triassico medio (Anisico).<br />

Brecce di Serre Blanche (bsb)<br />

Brecce a matrice dolomitica con clasti sia dolomitici che quarzitici. Costituiscono un livello<br />

discontinuo, potente alcuni metri, poggiante sulle sottostanti dolomie tramite una evidente superficie<br />

erosionale. Seguono quarziti micacee biancastre che talvolta poggiano direttamente sulle dolomie<br />

triassiche. Gli affioramenti più significativi di questa successione sono localizzati a Est di Gad.<br />

Localmente (stazione ferroviaria di Exilles), questo intervallo detritico è rappresentato da micascisti<br />

verdastri ricchi in clorite, direttamente sovrapposti alle dolomie.<br />

L’età delle brecce di Serre Blanche è sconosciuta. Considerando la loro posizione stratigrafica,<br />

vengono dubitativamente riferite al Giurassico.<br />

Calcescisti di Monfol (cmo)<br />

Calcescisti carbonatici massicci, a patina di alterazione ocra, costituiti da prevalente calcite cui si<br />

associano mica bianca, quarzo e rara albite. Costituiscono bancate massicce di potenza metrica, affioranti<br />

esclusivamente a NW di Monfol. Questi metasedimenti, interpretabili come depositi di tipo pelagico,<br />

contengono frequenti intercalazioni da decimetriche a metriche di calcemicascisti ricchi in quarzo,<br />

corrispondenti ad originari livelli detritici terrigeni e localmente (Cappella di S. Domenico) di quarziti<br />

micacee massicce.<br />

I calcescisti di Monfol sono confrontabili, sia come facies che come posizione stratigrafica, con i<br />

“Marbres cloriteux” delle successioni brianzonesi e sono pertanto riferiti al Cretacico superiore.<br />

1.4. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI VALFREDDA<br />

Affiora nell’alto vallone di Valfredda, ed è costituita da una potente successione di margine<br />

CARON (1977) CARON & GAY (1977) e ALLENBACH & CARON (1986).<br />

E’ giustapposta all’unità del Vin Vert per mezzo di una faglia subverticale a direzione NW-SE; a NW è<br />

sovrascorsa dall’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle. Il piano di sovrascorrimento a basso angolo è evidenziato<br />

da un allineamento di sorgenti incrostanti. A NE è accav<strong>alla</strong>ta sull’unità del Vallonetto. Il piano di<br />

sovrascorrimento è troncato da una faglia subverticale a direzione NW-SE.<br />

Sono state distinte le seguenti unita litostratigrafiche:<br />

Dolomie dello Chaberton (dch)


Dolomie stratificate grigie, a patina di alterazione biancastra, in bancate massicce di potenza metrica.<br />

Al tetto degli strati si riconoscono frequentemente lamine ondulate di spessore millimetrico, di probabile<br />

origine algale, e brecce da disseccamento a clasti piatti che testimoniano una deposizione avvenuta in<br />

ambiente tidale. Potenti alcune decine di metri, sono stati attribuite al Norico per analogia litologica con<br />

le successioni piemontesi di margine continentale, datate paleontologicamente (ad es. MEGARD GALLI,<br />

1974; POLINO et alii, 1983) ed affioranti <strong>alla</strong> base <strong>della</strong> successione dell’unità dello Chaberton - Grand<br />

Hoche - Grand Argentier.<br />

Scisti di Côte Belle (ccb)<br />

Costituiti da scisti filladici alternati a marmi grigi di aspetto “nodulare” e a livelli di dolomie a<br />

lumachelle. Affiorano esclusivamente in destra orografica del Rio Segurét, a quota 2800 circa, ove<br />

poggiano con contatto netto sulle sottostanti dolomie e sono potenti alcuni metri. Lateralmente, gli scisti<br />

di Côte Belle mancano per erosione e le dolomie dello Chaberton sono seguite direttamente dai<br />

metasedimenti carbonatici del complesso di Valfredda.<br />

Nonostante il limitato spessore, gli scisti di Côte Belle sono confrontabili con i metasedimenti datati al<br />

Retico - Hettangiano delle successioni del Pic de Roche Brune (DUMONT, 1983) e dello Chaberton -<br />

Grand Hoche (POLINO et alii, 1983). Si tratta di originari sedimenti di piattaforma esterna, testimonianti<br />

il progressivo annegamento <strong>della</strong> piattaforma carbonatica norica.<br />

Complesso di Valfredda<br />

Unità litostratigrafica costituita prevalentemente da calcescisti, in cui sono stati distinti:<br />

- cva: alternanze di calcescisti a patina rugginosa a mica bianca, clorite, glaucofane e di marmi grigioscuri<br />

in livelli di potenza decimetrica. A questi metasedimenti si intercalano potenti livelli di brecce a<br />

cemento carbonatico (cva a) che localmente (Grange di Valfredda) poggiano direttamente sulle dolomie<br />

noriche tramite un’evidente superficie erosionale. Le brecce sono costituite da clasti eterometrici di<br />

dimensioni da centimetriche a metriche di rocce carbonatiche (dolomie, marmi scuri) e silicee (quarziti<br />

micacee, micascisti). Questi ultimi sono decisamente preponderanti, raggiungono dimensioni cospicue e<br />

sono spesso spigolosi ed allungati. La potenza delle brecce diminuisce verso il tetto <strong>della</strong> successione.<br />

L’età dei metasedimenti sopra descritti non è conosciuta. Sulla base <strong>della</strong> loro posizione stratigrafica<br />

essi vengono riferiti al Giurassico, in accordo con ALLENBACH & CARON (1986);<br />

- cvb: scisti filladici nerastri, con rare intercalazioni carbonatiche. Questi metasedimenti, affiorano per<br />

poche decine di metri lungo la cresta Vallonetto - Vin Vert e rappresentano facies di black shales riferibili<br />

<strong>alla</strong> parte alta del Cretacico inferiore (DUMONT, 1983; POLINO et alii, 1983; ALLENBACH & CARON,<br />

1986);<br />

- cvc: calcescisti grigiastri a patina di alterazione rugginosa, fissili, dal tipico detrito in scaglie<br />

decimetriche. Affiorano all’estremità sud-occidentale <strong>della</strong> cresta Vallonetto - Vin Vert, ove poggiano<br />

con contatto netto sulle facies tipo black shale (cvb) e su entrambi i versanti <strong>della</strong> Valfredda, ove<br />

riposano in discordanza sui metasedimenti riferiti al Giurassico (cva).<br />

I calcescisti possono essere confrontati con i termini sommitali <strong>della</strong> successione dell’unità dello<br />

Chaberton - Grand Hoche e vengono pertanto riferiti al Cretacico superiore (Aptiano? - Cenomaniano?<br />

secondo ALLENBACH & CARON, 1986). Mostrano una foliazione tettonica definita da mica bianca, clorite<br />

± rutilo e rara biotite tardiva.<br />

1.5. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLO CHABERTON - GRAND HOCHE - GRAND ARGENTIER<br />

Affiora estesamente nel settore SW del foglio, lungo la dorsale Punta Clotesse - Punta Charrà, a tetto<br />

dell’unità oceanica del Lago Nero su cui riposa tramite un piano di sovrascorrimento a basso angolo. Altri<br />

affioramenti, più limitati come estensione, si rinvengono a Ovest dell’abitato di Melezet sino <strong>alla</strong> cresta di<br />

confine con la Francia, tra il Colle <strong>della</strong> Rho e la Punta Nera (Grand Argentier). Questi affioramenti sono<br />

interpretabili come scaglie pizzicate nella zona di taglio che separa l’unità tettonostratigrafica dei Re Magi<br />

dalle successioni a prevalenti calcescisti dell’unità del Lago Nero.<br />

La successione stratigrafica, osservabile in tutto il suo sviluppo lungo la dorsale Grand Hoche - Punta<br />

Charrà, è costituita da una potente successione di margine continentale, di grado metamorfico molto<br />

MARINI et alii, 1983), che conserva ancora abbastanza chiaramente i caratteri<br />

sedimentari originari nonostante la deformazione alpina. E’ l’unica unità tettonostratigrafica in cui sono<br />

stati ritrovati fossili in buon stato di conservazione.<br />

La successione è costituita da:


Dolomie dello Chaberton (dcb)<br />

Successione ciclica di banchi di spessore da decimetrico a metrico di dolomie grigio scure <strong>alla</strong> base,<br />

interpretabili come depositi da sub- a intertidali, e di dolomie chiare a strutture di disseccamento di<br />

ambiente supratidale. Frequentemente i banchi sono separati da sottili interstrati pelitici grigi o neri. Nella<br />

parte alta <strong>della</strong> successione questi possono formare livelli potenti alcuni centimetri e riempire anche<br />

fratture da disseccamento formate al tetto dei banchi dolomitici. Sono presenti anche locali corpi di<br />

brecce interpretate come riempimento di canali tidali. Sono potenti diverse centinaia di metri, ed hanno<br />

età norica confermata da faune a gasteropodi (Wortenia contabulata), Lamellibranchi (Myophoria<br />

inaequicostata, Gervilleia exilis, Avicula contorta, Megalodon sp.), foraminiferi (Glomospirella cfr.<br />

parallela, Agathammina sp.?) ed alghe dasicladacee (Diplopora pauciforata, Gyroporella aequalis, G.<br />

curvata) (MEGARD GALLI, 1974; POLINO et alii, 1983).<br />

Calcari di Côte Belle (ccl)<br />

Alternanza di argilloscisti più o meno carbonatici, calcari talora nodulari e dolomie a lumachelle. Lo<br />

spessore di questa successione varia da pochi metri sino ad un massimo di 150 nel Massiccio di<br />

Rochebrune dove è stata definita. Nell’area del foglio supera raramente le poche decine di metri. Questa<br />

successione rappresenta la transizione tra i depositi di piattaforma carbonatica sottostanti e quelli pelagici<br />

del complesso di Les Arbours e sottolinea l’inizio <strong>della</strong> distensione liassica del dominio piemontese. L’età<br />

è compresa nell’intervallo Retico-Hettangiano, grazie al ritrovamento di coralli (Astreomorpha sp.,<br />

Thamnasteria sp., Stylaphyllium sp., Oppelismilia sp., Thecosmilia sp.), brachiopodi (Terebratula<br />

gregaria), lamellibranchi (Gryphaea arcuata, Rhaetavicula contorta, Dymiopsis intusstriata, Ostrea<br />

heidingeriana, Lopha sp., Cardita austriaca, C. munita, Chlamis falgeri) e crinoidi (Isocrinus sp.)<br />

(POLINO et alii, 1983).<br />

Complesso di Les Arbours (car)<br />

E’ costituito da un complesso di calcescisti, largamente affiorante sul versante NE <strong>della</strong> dorsale Grand<br />

Hoche - Punta Charrà, che testimonia il progressivo annegamento <strong>della</strong> piattaforma carbonatica norica. Al<br />

suo interno sono stati distinti:<br />

- car a: alternanza di marmi e filladi, potenti circa 120 metri, che <strong>alla</strong> Grand Hoche hanno conservato<br />

una fauna a belemniti ed ammoniti in genere indeterminabili, tra le quali è stato ritrovato un esemplare<br />

incompleto di Echioceras sp. (POLINO et alii, 1983) indicante un’età sinemuriana sup.;<br />

- car b: un intervallo di calcescisti con intercalazioni di livelli detritici grossolani che testimoniano<br />

probabilmente le fasi distensive liassiche legate all’apertura <strong>della</strong> Neotetide;<br />

- car c: un orizzonte siliceo costituito da quarziti micacee varicolori, interpretate come l’equivalente<br />

degli orizzonti silicei, di età compresa tra l’Oxfordiano ed il Kimmeridgiano, associati alle ofioliti <strong>della</strong><br />

porzione oceanica del bacino;<br />

- car d: brecce a cemento carbonatico a clasti calcareo-dolomitici e silicei (quarziti, micascisti), in corpi<br />

lenticolari potenti 2-3 m (Ovest di Melezet).<br />

Complesso <strong>della</strong> Grand Hoche (cgh)<br />

E’ costituito da una potente successione carbonatico-terrigena, considerata di età cretacica per<br />

inquadramento, al cui interno sono stati distinti:<br />

- cgh a: calcescisti, passanti verso l’alto a marmi grigiastri con sottili livelli silicei (Titoniano-<br />

Neocomiano?);<br />

- cgh b: filladi grigio-nerastre interpretate come l’equivalente metamorfico delle argilliti nere di età<br />

aptiano-cenomaniana diffuse in tutto il dominio <strong>della</strong> Tetide e dell’Atlantico settentrionale. Verso l’alto,<br />

questi metasedimenti passano a calcescisti grigiastri, contenenti sottili intercalazioni arenacee, che<br />

possono essere interpretati come un deposito di tipo flyscioide.<br />

1.6. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEI RE MAGI<br />

E’ stata delimitata e cartografata all’estremità occidentale del foglio, lungo la cresta di confine con la<br />

Francia, tra il Col des Acles ed il Colle <strong>della</strong> Rho. Riposa tramite una zona di taglio Est-vergente a basso<br />

angolo, ripresa da faglie subverticali a direzione circa NS, sull’unità oceanica del Lago Nero o sulla<br />

successione dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier. La zona di taglio è contrassegnata da un<br />

grande sviluppo di brecce tettoniche (Punta delle Tre Croci) e da gessi (Rio Fosse).


Questa unità tettonostratigrafica è costituita al suo interno da tre unità geometriche sovrapposte da<br />

piani di sovrascorrimento a basso angolo, questi ultimi contrassegnati da brecce tettoniche a spese di<br />

dolomie. L’unità strutturale intermedia forma una grande piega coricata Est-vergente, ad asse NNE-SSW,<br />

ben visibile sul versante orientale <strong>della</strong> catena dei Re Magi. Nel suo insieme, questa unità non mostra<br />

evidenze di riequilibrazione metamorfica. E’ tuttavia presente una debole foliazione di natura tettonica,<br />

definita dall’orientazione preferenziale dimensionale (OPD) <strong>della</strong> mica bianca, osservabile solo in rari<br />

livelli arricchiti in silicati.<br />

La successione stratigrafica è costituita da:<br />

Micascisti (mcr)<br />

Visibili in due affioramenti lungo il contatto tettonico <strong>alla</strong> base dell’unità (Comba <strong>della</strong> Gorgia e quota<br />

2.545 ad Est di Pian dei Morti), sono costituiti da micascisti cloritico-albitici a grana fine di colore verdenerastro<br />

± milonitici. Sono stati interpretati come scaglie di substrato pretriassico brianzonese implicate<br />

nella zona di taglio basale.<br />

Complesso dei Re Magi (crm)<br />

Si tratta una potente successione calcareo dolomitica mediotriassica in facies di piattaforma<br />

carbonatica, a chiara affinità brianzonese, descritta in dettaglio da CABY (1964). Lungo la cresta<br />

meridionale <strong>della</strong> Punta delle Quattro Sorelle, sono state distinte le seguenti subunità litostratigrafiche:<br />

- crm a: dolomie scure a patina di alterazione grigia e calcari bioturbati assimilabili ai “Calcaires<br />

vermiculés” delle successioni brianzonesi (Anisico);<br />

- crm b: calcari grigio-scuri, talvolta a patina di alterazione rossastra, con al tetto calcari bioturbati di<br />

aspetto “tigrato” (Ladinico inferiore); dolomie e calcari dolomitici grigio-scuri, talvolta “fetidi”, con livelli<br />

di brecce dolomitiche a clasti arrotondati, assimilabili alle “<br />

brianzonesi (Ladinico sup.); dolomie biancastre e dolomicriti a patina di alterazione chiara, in strati sottili,<br />

alternati a dolomie grigio-scure (Ladinico sommitale). In quest’ultima facies è stato rinvenuto, <strong>alla</strong> base<br />

<strong>della</strong> cresta NE delle Quattro Sorelle, un livello di probabili cineriti triassiche.<br />

Marmi rosati (mrm)<br />

Marmi rosati laminati, intensamente ripiegati, correlabili con i “Marbres de Guillestre” delle<br />

successioni brianzonesi e pertanto ritenuti di età giurassica superiore. Affiorano sporadicamente <strong>alla</strong><br />

testata <strong>della</strong> Comba <strong>della</strong> Gorgia.<br />

Calcescisti carbonatici (ccm)<br />

Calcescisti carbonatici massicci, a patina di alterazione di colore ocraceo, costituiti da prevalente<br />

calcite cui si associano mica bianca, quarzo e rara albite. Affiorano sporadicamente <strong>alla</strong> testata <strong>della</strong><br />

Comba <strong>della</strong> Gorgia e sono correlati ai “Marbres cloriteux” delle successioni brianzonesi (Cretacico<br />

sup.).<br />

2. - UNITA’ OCEANICHE<br />

2.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELL’ALBERGIAN<br />

Affiora per una limitata estensione in destra orografica del Torrente Chisone, al margine SE del foglio,<br />

ed è separata dall’unità di Cerogne-Ciantiplagna da una fascia di deformazione subverticale a direzione<br />

circa N60E. Questa struttura, di estensione regionale, si estende da Cervières (nella valle <strong>della</strong> Durance)<br />

al Colle delle Finestre (v. schema tettonometamorfico). Nell’area del foglio controlla l’orografia dell’alta<br />

Valle Chisone ed è visibile solo come strutture fragili minori nella parte alta dei versanti.<br />

L’unità tettonostratigrafica dell’Albergian è interpretata come un’unità oceanica perché al margine<br />

meridionale del foglio (Gran Muels) e più a Sud, nel Foglio “Cesana”, affiorano rocce basaltiche<br />

corrispondenti ad un vero e proprio substrato oceanico ed una copertura ridotta che mostra affinità liguri.<br />

Soprattutto le metabasiti mostrano spettacolari associazioni metamorfiche in facies scisti blu. La<br />

successione stratigrafica è costituita da:<br />

Metabasalti (met)


Sono rappresentati generalmente da prasiniti listate ricche in anfibolo sodico. Talora sono preservate<br />

(Gran Muels) strutture brecciate primarie, corrispondenti in certi casi ad autoclastiti ed in altri a brecce<br />

sedimentarie risedimentate. Sono inoltre presenti rari livelli di brecce ad elementi di gabbro.<br />

Copertura ofiolitica indifferenziata (sco)<br />

Una sottile successione metasedimentaria ad affinità ligure è talora associata alle ofioliti <strong>della</strong> Punta<br />

Gran Muels e dell’Albergian. Si riconoscono quarziti (Radiolariti?), marmi chiari (Calcari a Calpionelle?),<br />

alternanze di marmi e scisti non carbonatici (Fm. de la Replatte - Scisti a Palombini?) ed infine micascisti<br />

nerastri (black shales?). Questa successione poggia con contatto netto sulle metabasiti e a causa del<br />

limitato spessore è stata rappresentata in modo comprensivo.<br />

Calcescisti (acs)<br />

Successione monotona di scisti ± carbonatici indifferenziati e calcescisti marmorei a grana grossolana<br />

che affiorano estesamente al di sotto delle ofioliti e relative coperture dell’Albergian e del Gran Muels.<br />

Microscopicamente sono state osservate due foliazioni di natura tettonica. La prima è relitta ed è<br />

conservata all’interno di porfiroblasti di lawsonite, ora pseudomorfosati in aggregati a mica bianca,<br />

carbonati, opachi. La seconda foliazione mostra caratteri traspositivi ed è definita d<strong>alla</strong> OPD di mica<br />

bianca e clorite.<br />

Questi metasedimenti sono giustapposti per mezzo di una faglia subverticale a direzione N60E a:<br />

Marmi (acc)<br />

Calcescisti marmorei e marmi chiari, debolmente micacei, massicci. Affiorano estesamente nelle dorsali<br />

costituenti il versante meridionale <strong>della</strong> Val Chisone.<br />

2.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL LAGO NERO<br />

E’ costituita da un basamento oceanico formato da serpentiniti e oficalciti, su cui poggia una<br />

successione sedimentaria ad affinità ligure comprendente brecce di serpentiniti e di basalti, radiolariti<br />

dell’Oxfordiano superiore - Kimmeridgiano medio (?), marmi a patina di alterazione chiara (Titoniano -<br />

Neocomiano ?), filladi alternanti a scisti carbonatici con bordi silicizzati (F. <strong>della</strong> Replatte, Cretacico<br />

inferiore?), filladi nere in facies di black shales (Cretacico inferiore?) ed infine scisti carbonatici<br />

“arenacei” alternati a peliti carbonatiche (Cretacico superiore?). Caratteristica di questa unità è la<br />

presenza di intercalazioni detritiche e di olistoliti di origine sia ofiolitica che continentale, diffuse a tutti i<br />

livelli stratigrafici ma soprattutto nella porzione sommitale (cretacica) <strong>della</strong> successione.<br />

L’area tipo di affioramento di questa unità tettonostratigrafica, descritta in dettaglio da POLINO (1984)<br />

e POLINO & LEMOINE (1984), è localizzata immediatamente a Sud del Foglio “Bardonecchia”. In<br />

quest’ultimo non affiora il basamento oceanico e solo localmente i termini più bassi <strong>della</strong> copertura<br />

sedimentaria. Tuttavia i caratteri litostratigrafici, la posizione strutturale e soprattutto la continuità<br />

geometrica permettono di delimitare questa unità anche nell’area del Foglio “Bardonecchia”.<br />

I metasedimenti appartenenti a questa unità sono caratterizzati da una foliazione regionale mostrante<br />

caratteri traspositivi, definita da un’associazione a mica bianca, clorite, cloritoide e relitti di lawsonite e<br />

glaucofane. In condizioni statiche tardive è cristallizzata albite a spese di mica bianca e rara biotite. E’<br />

inoltre presente una foliazione tettonica relitta, preservata all’interno di porfiroblasti di lawsonite.<br />

- lungo la cresta spartiacque Valle di Susa - Val Chisone, tra il Colle dell’Assietta ed il Colle Bourget,<br />

ove riposa sull’unità tettonostratigrafica di Cerogne-Ciantiplagna;<br />

- in destra orografica <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, ove è compresa tettonicamente tra l’unità dello<br />

Chaberton - Grand Hoche a tetto e l’unità a calcescisti di Puys-Venaus a letto (complesso del Puys);<br />

- tra la Punta delle Tre Croci ed il Colle <strong>della</strong> Rho, ove è sovrascorsa dall’unità dei Re Magi e<br />

localmente (Grand Argentier) da quella dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier;<br />

- affiora inoltre estesamente nei valloni del Fréjus e di Rochemolles sino <strong>alla</strong> Cresta di San Michele ed<br />

al M. Jafferau, ove riposa tettonicamente sull’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle.<br />

La successione stratigrafica che affiora nell’area del foglio è costituita da:<br />

Quarziti (qln)


Si tratta di quarziti listate varicolori, correlabili con i sedimenti silicei (Radiolariti e diaspri) di età<br />

giurassica superiore (Calloviano - Kimmeridgiano) delle successioni liguri non metamorfiche. Questi<br />

metasedimenti sono stati riconosciuti in un solo sito, ubicato nell’alto Vallone del Fréjus, a sud <strong>della</strong><br />

Punta del Fréjus, lungo un piano di taglio interno all’unità e associati a ofioliti.<br />

Marmi (mln)<br />

Marmi massicci d<strong>alla</strong> tipica patina di alterazione biancastra, grigio-scuri in frattura fresca, in bancate<br />

massicce potenti 40-60 cm. Questi metasedimenti sono ritenuti essere l’equivalente metamorfico dei<br />

Calcari a Calpionelle delle successioni di copertura ofiolitica liguri e sono pertanto riferibili all’intervallo<br />

Titoniano-Neocomiano. Gli affioramenti più significativi sono stati rinvenuti nei pressi del Lago<br />

dell’Assietta, al Monte Genevris, al Monte di Mucrons e a Sud <strong>della</strong> Punta del Fréjus. In ques’ultima<br />

località , i marmi sono associati a prasiniti e contengono lenti di scisti cloritici, interpretabili come livelli<br />

detritici ofiolitici che testimoniano un’intensa attività tettonica sinsedimentaria durante il Giurassico<br />

superiore (POLINO & LEMOINE, 1984).<br />

Complesso del Lago Nero (cln)<br />

Questa unità litostratigrafica comprende le successioni a prevalenti calcescisti, ritenute essere la<br />

porzione di età cretacica <strong>della</strong> copertura ofiolitica. Essa è costituita da tre sub-unità litostratigrafiche<br />

informali distinte in carta quando cartografabili:<br />

- cln a: alternanze più o meno regolari di marmi a patina bruna, spesso a trame rossastre e con bordi<br />

silicizzati e di filladi nerastre in livelli da centimetrici a decimetrici. Questi metasedimenti sono<br />

confrontabili con la Formazione <strong>della</strong> Replatte, distinta da LEMOINE (1971) nell’area del Monginevro,<br />

che rappresenta l’equivalente metamorfico degli Scisti a Palombini delle successioni di copertura ofiolitica<br />

liguri e pertanto è riferibile al Cretacico inferiore. Gli affioramenti più estesi si rinvengono lungo lo<br />

spartiacque Susa-Chisone (a Est del Colle Lauson e al Monte Genevris), nella zona del Colle <strong>della</strong><br />

Mulatera e lungo la cresta di confine con la Francia, negli alti valloni <strong>della</strong> Rho e del Fréjus;<br />

- cln b: filladi nerastre, lucenti, con subordinate intercalazioni di calcescisti carbonatici e marmorei.<br />

Questi metasedimenti sono generalmente interpretati come derivanti da sedimenti ricchi in sostanza<br />

organica e vengono collegati all’episodio anossico, diffuso a <strong>scala</strong> tetidea al limite tra il Cretacico<br />

inferiore ed il Cretacico superiore (Aptiano-Albiano). Essi sono stati riconosciuti in tutto l’areale di<br />

affioramento dell’unità, dal Colle dell’Assietta <strong>alla</strong> cresta <strong>della</strong> Pierre Menue e costituiscono solitamente<br />

degli intervalli di pochi metri di spessore che sottolineano piani di taglio interni all’unità. Affiorano anche<br />

sul versante meridionale dello Jafferau, tra quota 2500 circa e quota 2600, dove formano una struttura<br />

coricata vergente a Est di dimensioni ettometriche. Alla Testa del Ban e lungo la Costa del Becco<br />

contengono localmente intercalazioni di scisti quarzosi grigio-verdastri in livelli decimetrici e di marmi<br />

neri e ocra fittamente ripiegati;<br />

- cln c: calcescisti carbonatici a patina di alterazione ocra, ricchi in ankerite, in bancate massicce di<br />

spessore metrico. Questi metasedimenti, interpretabili come depositi detritici, sono stati riferiti al<br />

Cretacico superiore per inquadramento stratigrafico e per confronto con analoghe facies presenti in tutta<br />

la catena alpina (DEVILLE et alii, 1992). Essi sono diffusi in tutto l’areale di affioramento dell’unità, dal<br />

Colle dell’Assietta <strong>alla</strong> Pierre Menue.<br />

All’interno di questa successione a prevalenti calcescisti sono intercalate:<br />

- cln d: quarziti micacee ± fuchsite e Na-anfibolo, che danno luogo a bancate con scarsa continuità<br />

laterale dello spessore massimo di alcuni metri. Questi metasedimenti, interpretabili come livelli detritici di<br />

origine “continentale” (POLINO, 1984; POLINO & LEMOINE, 1984) sono stati rinvenuti nei pressi del<br />

Lago dell’Assietta e sul versante SW <strong>della</strong> Pierre Menue;<br />

- cln e: metagabbri e metabasiti (prasiniti) costituenti corpi isolati decametrici che sono stati interpretati<br />

come olistoliti. Al microscopio mostrano una paragenesi in facies scisti blu a lawsonite (glaucofane,<br />

lawsonite, clorite, albite e titanite). Affiorano al Colle Bourget e sul versante meridionale <strong>della</strong> Punta del<br />

Fréjus e <strong>della</strong> Punta Bagnà, ove sono associati ai marmi a patina chiara di presunta età titoniana;<br />

- cln f: serpentiniti massicce e oficalci, costituenti olistoliti decametrici che affiorano a Sud del Colle di<br />

Costa Piana, a Ovest del Colle Bourget e nel Vallone del Fréjus;<br />

- cln g: brecce a matrice carbonatica a patina di alterazione chiara, contenenti clasti deformati di marmi<br />

a patina grigiastra, di micascisti e quarziti. Formano livelli di spessore metrico ed estensione limitata<br />

affioranti lungo la cresta M. Jafferau - Testa del Ban e nei pressi del Colle <strong>della</strong> Rho.


3. - UNITA’ OFIOLITICHE<br />

3.1. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DI CEROGNE-CIANTIPLAGNA<br />

E’ stata riconosciuta in destra orografica <strong>della</strong> valle di Susa, tra Oulx e Salbertrand, ed in sinistra<br />

orografica <strong>della</strong> Val Chisone, tra Soucheres Basses e l’estremità orientale del foglio. Verso Est, l’unità<br />

tettonostratigrafica di Cerogne-Ciantiplagna prosegue fino al Colle delle Finestre, ove è troncata da una<br />

zona di taglio a direzione circa NS.<br />

Geometricamente affiora al di sotto dell’unità del Lago Nero, da cui è separata da un piano a basso<br />

angolo. E’ inoltre giustapposta all’unità dell’Albergian per mezzo di una zona di deformazione a direzione<br />

circa N60E. Le relazioni geometriche con l’unità di Puys-Venaus (complesso di Venaus) non sono visibili<br />

a causa <strong>della</strong> copertura quaternaria; in armonia con il quadro deformativo regionale e in base <strong>alla</strong><br />

posizione geometrica delle due unità si ipotizza una loro giustapposizione tramite una zona di<br />

deformazione subverticale a direzione NW-SE.<br />

La successione stratigrafica dell’unità di Cerogne-Ciantiplagna è confrontabile con i termini superiori,<br />

cretacici, di una successione di copertura ofiolitica di tipo ligure. Benché il substrato ofiolitico di questa<br />

successione non sia in affioramento, la sua pertinenza oceanica è suggerita dagli elementi detritici<br />

ofiolitici (olistoliti serpentinitici e di metabasiti) e soprattutto dalle quarziti mineralizzate a Mn che<br />

rappresentano presumibilmente il prodotto metamorfico di originarie radiolariti del Giurassico superiore.<br />

Le associazioni metamorfiche che si sviluppano in questa unità (scisti blu ad epidoto) permettono di<br />

differenziarla d<strong>alla</strong> sovrastante unità del Lago Nero, caratterizzata da associazioni in facies scisti blu a<br />

lawsonite.<br />

La successione stratigrafica è costituita da:<br />

Complesso di Cerogne (lcs)<br />

Potente successione costituita da prevalenti calcescisti in cui si possono distinguere le seguenti<br />

subunità litostratigrafiche informali:<br />

- lcs v: marmi massicci grigi con intercalazioni di filladi, affioranti estesamente sul versante orientale di<br />

Rocca del Colle, a Sud delle Grange Faussimagna e a Est di Soucheres Basses, allo sbocco <strong>della</strong> Comba<br />

del Pis (Santuario <strong>della</strong> Madonna delle Nevi). Questa successione è confrontabile con la Formazione <strong>della</strong><br />

Replatte dell’unità del Lago Nero ed è pertanto riferita al Cretacico inferiore;<br />

- lcs u: micascisti e filladi non carbonatici, affioranti sporadicamente sul versante orientale di Rocca del<br />

Colle e assimilabili ai black shales delle successioni liguri. Sono stati riferiti <strong>alla</strong> parte alta del Cretacico<br />

inferiore;<br />

- lcs t: calcescisti carbonatici massicci a patina ocra, con intercalazioni da centimetriche a millimetriche<br />

di scisti micacei. Costituiscono il litotipo più diffuso ed affiorano estesamente a Est del Colle dell’Assietta<br />

(dorsale Grand Serin - Grand Pelà - Cima delle Vallette) ed in destra orografica <strong>della</strong> Valle di Susa, a SE<br />

di Salbertrand. In questi metasedimenti si osservano localmente mineralizzazioni a pirite cuprifera<br />

(Grange d’Himbert), considerate come singenetiche da DEBENEDETTI (1964).<br />

Nei metasedimenti del complesso di Cerogne, si intercalano livelli detritici ed elementi di provenienza<br />

sia oceanica che continentale:<br />

I primi sono rappresentati da :<br />

- lcs s: serpentiniti e serpentinoscisti, in corpi decametrici interpretabili come olistoliti. Sono intercalati<br />

sia nei marmi (lcs v) (sbocco <strong>della</strong> Comba del Pis), sia nei calcescisti carbonatici massicci (lcs t) (vallone a<br />

Sud delle Grange di Faussimagna);<br />

- lcs b: metabasiti listate; generalmente costituite da prasiniti ad albite, epidoto, Na-anfibolo, mostrano<br />

talora (Rocca del Colle) relitti di tessiture che possono essere interpretate come brecce ofiolitiche<br />

(elementi di dimensioni centimetriche, ricchi in Na anfibolo, immersi in una matrice a clorite e anfibolo).<br />

Sono intercalati sia in metasedimenti riferibili al Cretacico inferiore (lcs v) (Rocca del Colle), che in<br />

calcesicsti di presunta età cretacica superiore (lcs t) (Grange Faussimagna, Vallone dell’Assietta, Colle del<br />

Gran Serin);<br />

- lcs d: quarziti mineralizzate a Mn (Grange d’Himbert, versante Sud del Gran Serin, Faussimagna),<br />

intercalate nei calcesicsti del Cretacico superiore e talvolta associate alle prasiniti (Faussimagna). Nelle<br />

quarziti, associati alle mineralizzazioni a Mn, si sviluppano piccoli granati.<br />

I livelli detritici di provenienza continentale sono invece rappresentati da:<br />

- lcs f: quarziti micacee ad Na-anfibolo costituenti bancate di spessore metrico con scarsa continuità<br />

laterale intercalate nei calcescisti (G. Berge, Cassas, Rocca del Colle, Madonna delle Nevi).


3.2. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DEL VIN VERT<br />

E’ caratterizzate da una successione stratigrafica ofiolitica ad affinità ligure (ALLENBACH, 1982) e<br />

d<strong>alla</strong> presenza di “pietre verdi” interpretate come blocchi risedimentati intercalati nella successione<br />

sedimentaria.<br />

Affiora in corrispondenza del M. Vin Vert. Due faglie subverticali a direzione NW-SE giustappongono<br />

questa unità verso SW e verso NE rispettivamente all’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e a quella di Valfredda.<br />

Il contatto inferiore con la sottostante unità del Vallonetto non è visibile.<br />

Mostra un’associazione metamorfica in facies scisti blu di bassa T definita da mica bianca, clorite,<br />

Queste evidenze petrografiche, oltre ai criteri geometrici e litostratigrafici, permettono di differenziare<br />

questa unità dall’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle; inoltre in questa unità non si osserva il substrato oceanico.<br />

Complesso del Vin Vert (cvv)<br />

Costituito prevalentemente da calcescisti, cui si intercalano orizzonti detritici di provenienza oceanica<br />

e continentale. I calcescisti sono piuttosto carbonatici e sono caratterizzati da una scistosità pervasiva che<br />

conferisce <strong>alla</strong> roccia una notevole fissilità. Si differenziano da quelli dell’unità tettonostratigrafica <strong>della</strong><br />

Roche de l’Aigle per la presenza di peciloblasti di albite.<br />

Le intercalazioni detritiche, largamente affioranti sul versante orientale del Vin Vert, sono costituite<br />

da: - cvva: quarziti micacee ricche in Na-anfibolo, che formano bancate metriche lateralmente discontinue,<br />

interpretate come di provenienza continentale. La foliazione di natura tettonica è definita d<strong>alla</strong><br />

isorientazione di mica e Na-anfibolo;<br />

- cvv b: elementi decametrici di serpentiniti e subordinate metabasiti;<br />

- cvv c: sporadici livelli di marmi massicci chiari confrontabili con i marmi tardo-giurassici delle<br />

successioni sopraofiolitiche (“Calcari a Calpionelle”).<br />

3.3. - UNITÀ TETTONOSTRATIGRAFICA DELLA ROCHE DE L’AIGLE<br />

Anche questa unità tettonostratigrafica è caratterizzata da una successione stratigrafica ofiolitica ad<br />

ALLENBACH, 1982) e d<strong>alla</strong> presenza di “pietre verdi” che costituiscono sia il substrato<br />

<strong>della</strong> successione sedimentaria sia blocchi risedimentati in essa intercalati.<br />

Affiora a letto dell’unità del Lago Nero, dallo Jafferau sino <strong>alla</strong> Cresta di San Michele, da cui è<br />

separata da un piano di sovrascorrimento a basso angolo.<br />

E’ giustapposta all’unità del Vin Vert per mezzo di faglie subverticali a direzione NW-SE e<br />

sovrascorre le unità di Valfredda e del Vallonetto.<br />

Mostra un’impronta metamorfica prevalente in facies scisti blu a epidoto, con parziale riequilibrazione<br />

di basso grado e di bassa pressione. In particolare i metasedimenti sono caratterizzati da una foliazione di<br />

natura traspositiva sviluppatasi in condizioni scisti blu di alta T. E’ inoltre presente una foliazione<br />

tettonica relitta definita da glaucofane, clorite, mica bianca e lawsonite (facies scisti blu di bassa T).<br />

Infine, in condizioni statiche, si sviluppano peciloblasti di albite a spese di mica bianca e biotite che<br />

sostituisce clorite.<br />

La successione stratigrafica è costituita da:<br />

Serpentiniti e oficalci (ser)<br />

Costituiscono affioramenti di limitata estensione (alcuni metri) sul versante meridionale <strong>della</strong> Roche<br />

dell’Aigle, a quota 2600 circa e sono stati interpretati come “substrato” oceanico a causa <strong>della</strong> posizione<br />

stratigrafica. Non ci sono tuttavia elementi per escludere a priori una loro origine detritica. Per questo<br />

motivo questa unità è stata interpretata come unità ofiolitica.<br />

Complesso dell’Aigle (cai)<br />

Potente complesso di metasedimenti, costituito prevalentemente da calcescisti, in cui sono state<br />

distinte le seguenti subunità litostratigrafiche informali:<br />

- cai a: quarziti micacee ad anfibolo blu in banchi di potenza metrica direttamente poggianti sulle<br />

serpentiniti ed affioranti esclusivamente sul versante meridionale <strong>della</strong> Roche de l’Aigle. Sulla base <strong>della</strong>


loro posizone stratigrafica, questi metasedimenti sono stati interpretati come l’equivalente, più<br />

metamorfico, delle radiolariti rosse a Mn descritte da POLINO (1984) nella successione dell’unità<br />

tettonostratigrafica del Lago Nero; essi possono pertanto essere attribuiti all’intervallo Calloviano-<br />

Oxfordiano;<br />

- cai b: marmi grigiastri a patina di alterazione biancastra, in bancate massicce di spessore metrico.<br />

Poggiano con contatto netto sulle sottostanti quarziti e sono correlabili con gli analoghi metasedimenti<br />

dell’unità tettonostratigrafica del Lago Nero che rappresentano l’equivalente metamorfico dei “Calcari a<br />

Calpionelle” delle successioni liguri non metamorfiche. Sono pertanto attribuiti al Titononiano-<br />

Neocomiano;<br />

- cai c: calcescisti filladici nerastri, talvolta con intercalazioni di marmi scuri a patina rugginosa,<br />

correlabili con la Formazione <strong>della</strong> Replatte (Cretacico inf.) <strong>della</strong> successione del Lago Nero; localmente<br />

sono presenti livelli estremamente tettonizzati di spessore decimetrico, non cartografabili, di scisti grafitici<br />

neri lucenti, correlabili ai black shales del Cretacico inferiore;<br />

- cai d: calcescisti carbonatici, di aspetto “arenaceo” a patina ocra, caratterizzati da una fissilità<br />

piuttosto marcata. Sono costituiti prevalentemente da calcite, cui si associano mica bianca, quarzo,<br />

clorite. Sono inoltre presenti scarse percentuali di opachi, albite e sericite. Sono il litotipo arealmente più<br />

diffuso e vengono interpretati come depositi flyschioidi attribuiti, per posizione stratigrafica, al Cretacico<br />

superiore;<br />

- cai e: marmi dolomitici e marmi grigio-scuri, alternati a calcescisti. Questi metasedimenti affiorano<br />

solo sulla strada Forte Pramand - Forte di Foens; contengono olistoliti decametici di dolomie chiare,<br />

livelli di quarziti micacee verdastre e corpi di brecce a scarsa continuità laterale di spessore decametrico.<br />

Le brecce sono caratterizzate da un cemento carbonatico e contengono clasti arrotondati decimetrici di<br />

calcari scuri, dolomie e quarziti micacee. Sono inoltre presenti rari clasti di micascisti, interpretabili come<br />

provenienti dallo smantellamento di un basamento continentale. Vista la loro posizione geometrica al<br />

tetto <strong>della</strong> successione litostratigrafica, viene ipotizzata un’età Cretacico superiore - Paleocene (?).<br />

In tutti i metasedimenti carbonatici sopra descritti, ma con maggiore frequenza nei calcescisti<br />

carbonatici (cai d) sono diffusi elementi e livelli detritici di origine sia continentale che oceanica.<br />

I primi sono rappresentati da:<br />

- cai f: livelli discontinui di quarziti micaee biancastre, ricche in Na-anfibolo.<br />

I secondi sono costituiti da:<br />

- cai g: olistoliti di metagabbri e metabasiti, affioranti sulla vetta <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e sul versante<br />

settentrionale <strong>della</strong> Costa del Becco. I metagabbri mostrano una tessitura magmatica preservata, in cui è<br />

ancora possibile riconoscere l’originario plagioclasio magmatico, ora completamente sostituito da zoisite,<br />

e il pirosseno primario, trasformato in pirosseno sodico (egirin-augite) parzialmente destabilizzato in<br />

glaucofane. Nelle porzioni di roccia più retrocesse, la paragenesi di alta pressione viene sostituita da<br />

un’associazione di bassa pressione a clorite, attinoto, albite e clinozoisite;<br />

- cai h: olistoliti di serpentiniti, affioranti sul versante meridionale <strong>della</strong> Testa del Coin e nei pressi del<br />

Rifugio Valfredda.<br />

4. - UNITA’ TETTONOSTRATIGRAFICA DI PUYS-VENAUS<br />

Questa unità composita è geometricamente sottostante alle unità del Lago Nero e di Cerogne-<br />

Ciantiplagna nella media e alta valle di Susa, mentre è sovrapposta all’unità d’Ambin in Val Cenischia.<br />

Comprende un insieme di litofacies banali di metasedimenti carbonatici che non possono essere<br />

univocamente attribuite alle unità oceaniche, ofiolitiche o di margine presenti nel foglio, meglio<br />

caratterizzate dal punto di vista litostratigrafico e/o tettonometamorfico.<br />

E’ stata suddivisa in due complessi, individuati su basi puramente geometriche, che non mostrano<br />

rapporti reciproci.<br />

Complesso di Chiomonte-Venaus (gcc)<br />

Affiora sul versante destro <strong>della</strong> Dora Riparia, tra Salbertrand e Chiomonte, prosegue nel contiguo<br />

Foglio “Susa” e riappare all’estremità orientale del foglio (versante destro <strong>della</strong> Valle Cenischia e settore<br />

Colle del Monceniso - Passo delle Finestre).<br />

E’ costituito da calcescisti ± filladici, solitamente con tessitura milonitica, da micascisti carbonatici di<br />

colore plumbeo e da calcescisti carbonatici massicci. In questi metasedimenti si intercalano:<br />

- gcc a: quarziti micaceo-cloritiche e gneiss albitici (Gneiss di Charbonnel Auct.). Molto sviluppati nel<br />

contiguo Foglio “Susa” ed in Moriana, sono presenti in sporadici affioramenti al margine orientale del


foglio. Il modesto spessore di questi livelli ed i rapporti con i metasedimenti incassanti suggeriscono di<br />

interpretarli come orizzonti detritici di origine continentale.<br />

Localmente (Punta Mulatera, Passo delle Finestre), si osservano:<br />

- gcc s: serpentiniti, in corpi di dimensioni decametriche entro i metasedimenti.<br />

Complesso di Puys (cpu)<br />

Affiora sul versante destro <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, tra Bardonecchia e Oulx. E’ costituito da una<br />

successione di calcescisti di età sconosciuta in cui sono state distinte tre sub-unità litostratigrafiche:<br />

- cpu a: alternanze di scisti quarzoso-micacei, quarziti, micascisti e filladi generalmente poveri e privi di<br />

carbonato di calcio;<br />

- cpu b: alternanze di scisti più o meno carbonatici e marmi a patina ocra; questa associazione, che può<br />

essere interpretata come un flysch a dominante carbonatica, è ben esposta lungo la strada che da Oulx<br />

sale a Puys;<br />

- cpu c: scisti carbonatici e marmi grigio plumbei, in bancate massicce di spessore metrico, con<br />

subordinata mica bianca, che costituiscono le scoscese pareti in sinistra orografica <strong>della</strong> Dora Riparia a<br />

monte di Oulx.<br />

5. - GESSI (ges)<br />

Affioramenti di dimensioni pluriettometriche di rocce evaporitiche si osservano nella zona di Baumas<br />

ed in quella del Rio Fosse, associati agli orizzonti di scollamento principali che separano le unità<br />

oceaniche e ofiolitiche da quelle di margine continentale. Nella prima località, i gessi sottolineano la<br />

megazona di taglio che sovrappone le unità ofiolitiche <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e del Vin Vert sulle unità del<br />

Vallonetto e d’Ambin. Nella seconda, i gessi sono pizzicati entro le strutture che giustappongono i<br />

calcescisti dell’unità del Lago Nero alle unità di margine continentale dello Chaberton - Grand Hoche -<br />

Grand Argentier e dei Re Magi.Nei gessi, che sono talvolta associati a carniole, si osservano localmente<br />

(Rio Fosse) spettacolari strutture fluidali a “fungo” che testimoniano una loro risalita per fenomeni<br />

diapirici.<br />

6. - BRECCE TETTONICHE (bre)<br />

Si tratta di brecce tettoniche a matrice carbonatica, contenenti clasti spigolosi, di dimensioni fino a<br />

decimetriche, di rocce carbonatiche (marmi e dolomie) e subordinatamente di calcescisti, micascisti e<br />

quarziti. Queste rocce sono associate ai principali contatti tettonici presenti nel foglio e derivano d<strong>alla</strong><br />

cataclasi di originarie rocce carbonatiche.


V. - COPERTURA PLIOCENICO(?) - QUATERNARIA<br />

Le specificità delle problematiche stratigrafiche implicite nello studio delle formazioni superficiali in<br />

aree di catena montuosa hanno indotto gli operatori del Progetto CARG a scegliere come unità di<br />

riferimento le “unità allostratigrafiche”, definite “a mappable stratiform body of sedimentary rock that is<br />

defined and identified on the basis of its bounding discontinuities” (NACSN, 1983), indicate nella<br />

recente letteratura (NELSON et alii, 1984; AUTIN, 1992; BINI, 1994; OVIATT et alii, 1994; NELSON &<br />

SHROBA, in stampa) come le più adeguate per effettuare l’analisi stratigrafica dei depositi continentali.<br />

L’approccio allostratigrafico nel rilevamento delle formazioni superficiali in una v<strong>alla</strong>ta alpina impone<br />

tuttavia alcune cautele nella correlazione stratigrafica, poiché corpi sedimentari contigui sono separati da<br />

superfici limite raramente visibili sul terreno. La facies, la petrografia dei clasti e il grado di alterazione dei<br />

sedimenti consentono di effettuare confronti e differenziazioni fra i diversi lembi di depositi, ma<br />

l’individuazione delle principali discontinuità può avvenire solo se si analizza nel contempo l’assetto e<br />

quindi l’evoluzione geomorfologica dell’area studiata. A questo proposito è indubbio che la complessa<br />

morfologia di una valle glaciale è resa tale sia dalle infinite variazioni di volume, di posizione e, in ultima<br />

analisi, dall’attività erosivo-deposizionale <strong>della</strong> massa glaciale (BOULTON, 1974; IVERSON, 1995), sia dai<br />

frequenti e diffusi fenomeni gravitativi da sin- a post-glaciali che ne rimo<strong>della</strong>no i versanti (GORDON &<br />

BIRNIE, 1986; MORTARA & SORZANA, 1987). Rispetto ad una valle fluviale a fondo piatto, una valle<br />

glaciale presenta un profilo longitudinale articolato da una serie di irregolarità quali gradini e conche di<br />

sovraescavazione, talora in contropendenza; le forme di accumulo sono invece conservate<br />

prevalentemente ai lati dell’originaria massa glaciale e la loro distribuzione consente di ricostruire alcune<br />

delle infinite e diverse configurazioni raggiunte di volta in volta dal ghiacciaio (ROSE & MENZIES, 1986;<br />

GIBBONS et alii, 1984). Fra le rotture di pendenza che caratterizzano invece il profilo trasversale di una<br />

valle, alcune sono il prodotto delle variazioni di volume <strong>della</strong> massa glaciale durante l’ultima fase di<br />

massima espansione, altre sono il risultato dell’intersezione tra forme di erosione legate all’ultima<br />

glaciazione e forme connesse a precedenti fasi evolutive del ghiacciaio (OWEN et alii, 1995; SMITH et<br />

alii, 1997). Nella storia erosivo-deposizionale <strong>della</strong> valle queste intersezioni rappresentano delle<br />

discontinuità la cui natura, e quindi l’utilizzabilità in senso allostratigrafico, dev’essere però confermata<br />

d<strong>alla</strong> diversità nei caratteri dei depositi e dal diverso grado di conservazione delle forme conservate al di<br />

sopra e al di sotto di esse (NELSON & SHROBA, in stampa).<br />

Gli elementi necessari per una corretta suddivisione cronostratigrafica <strong>della</strong> successione di depositi<br />

conservati in una v<strong>alla</strong>ta alpina sono pertanto molteplici:<br />

- il sistematico allineamento longitudinale delle rotture di pendenza trasversali all’asse vallivo<br />

principale, che possono corrispondere al luogo in cui le discontinuità stratigrafiche si manifestano<br />

direttamente come superfici limite fra corpi sedimentari;<br />

- la presenza di forme di accumulo che segnalano i limiti raggiunti nel tempo dal ghiacciaio nelle sue<br />

varie configurazioni;<br />

- la diversa espressione morfologica dei depositi glaciali ed il differente grado di rimo<strong>della</strong>mento delle<br />

originarie forme di accumulo;<br />

- infine le variazioni di facies, nella natura dei clasti e nel grado di alterazione dei depositi.<br />

Con riferimento al Foglio “Bardonecchia”, il riconoscimento delle discontinuità e dei corpi sedimentari<br />

ha comportato l’acquisizione ed il confronto di un elevato numero di informazioni; ciò è stato facilitato<br />

dall’adozione <strong>della</strong> metodologia di raccolta ed organizzazione dei dati proposto da BAGGIO et alii<br />

(1997). Per valutare la distribuzione ed i rapporti fra le forme di esarazione ed i depositi glaciali si è<br />

invece rilevata utile la realizzazione di un profilo longitudinale passante per l’asse vallivo rettificato, sul<br />

quale sono state proiettate le forme di mo<strong>della</strong>mento glaciale, le superfici di discontinuità ed i lembi di<br />

depositi ad esse correlati (cfr. GIARDINO & FIORASO, 1998). L’interpolazione dei lembi di superfici di<br />

discontinuità e la correlazione dei lembi di depositi ha permesso di individuare una serie di fasce di<br />

mo<strong>della</strong>mento che scandiscono altimetricamente i versanti e/o articolano il sottosuolo del fondovalle. La<br />

facies ed il grado di alterazione dei depositi, la natura ed il grado di rimo<strong>della</strong>mento delle forme hanno<br />

fornito i criteri per la caratterizzazione delle singole unità allostratigrafiche (cfr. OWEN et alii, 1997).<br />

Per quanto concerne la copertura pliocenico-quaternaria sono state distinte in modo informale unità di<br />

diverso rango gerarchico: con “alloformazione” si è intesa una successione di sedimenti riferibile ad un<br />

determinato evento erosivo-deposizionale, ben differenziabile da altri eventi per la presenza di<br />

discontinuità significative <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> del bacino e generalmente legate, in ambiente intravallivo, ad episodi<br />

di approfondimento erosionale; il termine “allogruppo” è stato invece riferito ad un’associazione di


depositi attribuiti a più eventi erosivo-deposizionali, talvolta non suddivisibile in unità di rango inferiore<br />

per mancanza di elementi.<br />

Diverso è il caso di quei depositi prodotti da eventi a carattere locale (es. il distacco di una frana<br />

oppure la formazione e l’interramento di un bacino lacustre), svincolati d<strong>alla</strong> combinazione dei fattori che<br />

controllano l’evoluzione complessiva del bacino nel quale è invece in atto una generalizzata fase erosiva;<br />

anche se le discontinuità che delimitano i corpi sedimentari sono evidenti, il carattere episodico e<br />

circoscritto di questi eventi ha in tal caso suggerito di applicare il criterio litostratigrafico, cartografando i<br />

depositi come “Unità non distinte in base al bacino di pertinenza”.<br />

In legenda le unità relative <strong>alla</strong> copertura pliocenico-quaternaria sono state ordinate in base al<br />

perdurare dei processi responsabili <strong>della</strong> messa in posto delle singole unità, ed in secondo luogo in base al<br />

bacino di pertinenza. In quest’ottica sono state definite come “Unità completamente formate” le unità<br />

deposizionali attualmente svincolate dall’agente fisico al quale sono geneticamente legate (es. un lembo di<br />

depositi fluviali attualmente non più inondabile da parte del corso d’acqua che l’ha generato); queste<br />

unità, quando non sepolte, sono soggette a rimo<strong>della</strong>mento. Le unità deposizionali generate da processi<br />

fisici potenzialmente riattivabili sono invece raggruppate nelle “Unità in formazione”. Il fatto che un’unità<br />

non sia più in rapporto con l’agente che l’ha generata non significa tuttavia che questa sia stabilizzata: ad<br />

esempio un accumulo di frana non più in rapporto con la sua nicchia di distacco può essere rimobilizzato<br />

dall’erosione al piede da parte di un corso d’acqua; oppure la superficie terrazzata di un deposito<br />

alluvionale completamente formato, se non viene più invasa dalle acque del corso d’acqua al quale è<br />

legata geneticamente, può essere inondata dal reticolato idrografico affluente.<br />

L’approccio allostratigrafico richiede imprescindibilmente che nella carta geologica vengano distinte<br />

tra loro unità, anche se in prima approssimazione coeve, appartenenti a bacini idrografici diversi.<br />

L’evoluzione di un determinato settore <strong>della</strong> superficie terrestre è infatti controllata non solo da variabili<br />

climatiche, come ritenuto in passato, ma anche di natura geodinamica, litologica e morfologica. La<br />

combinazione di più fattori fa sì che ciascun bacino idrografico abbia una propria storia evolutiva e, in<br />

ultima analisi, una successione di forme e depositi che non è mai direttamente correlabile con quella di un<br />

altro. Ciò ha comportato il riconoscimento di successioni sedimentarie distinte per ciascuno dei tre bacini<br />

maggiori in cui si articola l’area di studio: la Val Cenischia, la Valle di Susa e la Val Chisone. Ad ogni<br />

unità corrisponde pertanto un colore che è stato graficamente diversificato mediante l’adozione di un<br />

retino con orientazione diversa a seconda del bacino di appartenenza.<br />

Nell’area del foglio sono tuttavia comprese solo la media ed alta Valle di Susa e settori marginali <strong>della</strong><br />

Val Cenischia e <strong>della</strong> Val Chisone. Per ricostruire le successioni complete di ciascun bacino si è quindi<br />

fatto riferimento, oltre ai dati provenienti dal contiguo Foglio “Susa”, anche ai risultati di una serie di<br />

studi condotti in aree limitrofe come tesi di laurea presso il Dipartimento di Scienze <strong>della</strong> Terra<br />

dell’Università di Torino, applicando la stessa metodologia 2.<br />

Non essendo attualmente disponibile per il Quaternario una <strong>scala</strong> cronologica di riferimento<br />

formalmente accettata d<strong>alla</strong> comunità scientifica internazionale, si precisa che è stata qui adottata quella<br />

proposta da Richmond (cfr. AIQUA, 1982), modificata, che si riporta di seguito. Tutte le datazioni<br />

proposte sono state ricavate da dati pedostratigrafici, calibrati, provenienti da aree esterne al foglio.<br />

OLOCENE<br />

———————————————————-0.01 Ma<br />

PLEISTOCENE SUPERIORE<br />

———————————————————-0.13 Ma<br />

PLEISTOCENE MEDIO<br />

———————————————————-0.73 Ma.<br />

PLEISTOCENE INFERIORE<br />

==================================1.67 Ma<br />

PLIOCENE<br />

1. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI<br />

PERTINENZA<br />

Unità del Segurét - La Riposa (slr) (Pliocene? - Pleistocene sup.)


Questa unità comprende buona parte dei depositi indicati nei precedenti documenti cartografici<br />

(<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1910; <strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA, 1911a, b) come “carniole”,<br />

termine col quale sono stati in passato raggruppati litotipi diversi, interpretati complessivamente come<br />

evaporiti eo- o medio-triassiche, in prevalente giacitura secondaria sui principali piani di movimento<br />

tettonico (“lubrificanti tettonici”). Gli studi effettuati negli ultimi tre decenni nell’arco alpino occidentale<br />

hanno invece messo in evidenza che queste rocce, sia per la loro composizione (contengono clasti di<br />

rocce che hanno sperimentato l’intera successione delle fasi metamorfiche e deformative duttili alpine ed<br />

hanno una matrice arenacea, non foliata), sia per la loro giacitura (colmano spesso depressioni di<br />

presumibile origine carsica completamente demolite o si estendono al piede di alte pareti), devono avere<br />

un’età decisamente più recente.<br />

Il rilevamento ha consentito di riconoscere entro a questo complesso molto eterogeneo di rocce tre<br />

principali gruppi di litofacies: brecce residuali, brecce detritiche, calciruditi, calcareniti e calcilutiti.<br />

Le brecce residuali sono formate da ammassi caotici di clasti e blocchi angolosi e da cospicue porzioni<br />

di roccia carbonatica fratturata e disarticolata, cementati da una matrice calcarea micritica. Danno origine<br />

a corpi di forma irregolare e di dimensioni variabili da decine a decine di migliaia di m 3, localizzati entro ai<br />

complessi carbonatici del substrato (es. M. Segurét) o in prossimità dei principali contatti tettonici (es.<br />

Comba <strong>della</strong> Gorgia e Tre Croci). Le discontinuità che separano le brecce dal substrato, quando non<br />

corrispondono a superfici di corrosione, sono difficilmente individuabili per il loro carattere transizionale,<br />

per l’andamento alquanto irregolare e per la diffusa presenza di incrostazioni secondarie superficiali. Dati<br />

di sottosuolo attestano la presenza di brecce residuali anche in profondità, associate a fenomeni di<br />

decementazione e di dissoluzione di corpi carbonatici o solfatici (marmi e gessi e/o anidriti), ubicati in<br />

prevalenza sui maggiori piani di taglio. La formazione delle brecce risulta in ogni caso successiva<br />

all’intera evoluzione strutturale in regime duttile.<br />

Le brecce detritiche sono costituite da clasti centimetrico-decimetrici e da subordinati blocchi con<br />

struttura partially open-work, immersi in una matrice calcarenitica e micritica. I clasti, angolosi e in alcuni<br />

casi smussati, sono di natura calcareo-dolomitica oppure costituiti da brecce residuali, sebbene possano<br />

essere presenti altri litotipi (calcescisti, quarziti, ecc.) in relazione <strong>alla</strong> tipologia del substrato in rapporto<br />

con i corpi di brecce. Le brecce detritiche formano masse irregolari, talvolta tabulari, lenticolari o<br />

prismatiche, di spessore metrico o decametrico ed in generale rapporto di sovrapposizione o appoggio<br />

laterale con il substrato (es. Col des Acles); nei punti in cui non è mascherato da concrezioni secondarie,<br />

il contatto mostra di corrispondere ad una superficie netta (es. versante sinistro <strong>della</strong> Comba <strong>della</strong><br />

Gorgia).<br />

Entro alle brecce residuali e detritiche si osservano corpi di calciruditi, calcareniti e calcilutiti di<br />

spessore centimetrico o decametrico (es. M. Segurét) con geometria tabulare, lenticolare o più<br />

frequentemente irregolare; frequenti le laminazioni planari, incrociate e le strutture gradate legate<br />

all’azione di correnti trattive. Si osservano inoltre deformazioni evidenziate d<strong>alla</strong> presenza di ondulazioni<br />

La distribuzione dei depositi riferibili all’Unità del Segurét - La Riposa ed i loro rapporti con il<br />

substrato sembrano inquadrabili nel modello evolutivo proposto da CARRARO & MARTINOTTI (1993) e<br />

ripreso da GIARDINO (1995). La bassa temperatura ed il contenuto salino quasi nullo delle acque<br />

subglaciali, congiuntamente all’aggressività (riconducibile <strong>alla</strong> dissoluzione di gessi e anidriti presenti nella<br />

successione stratigrafica triassica) delle acque circolanti in profondità, sono due possibili cause in grado di<br />

indurre imponenti fenomeni di carsificazione anche in rocce ordinariamente poco solubili. Il fenomeno si<br />

sarebbe originato presumibilmente ben prima del Quaternario, non appena le acque di infiltrazione, venute<br />

in rapporto con rocce solubili, formarono cavità ipogee soprattutto in prossimità del contatto con un<br />

substrato impermeabile o non carsificabile. Il progressivo sollevamento delle masse carbonatiche ed il<br />

conseguente mo<strong>della</strong>mento <strong>della</strong> superficie topografica a livelli sempre più bassi avrebbe determinato il<br />

collasso delle cavità ipogee con propagazione del fenomeno fino in superficie. Il procedere dell’erosione<br />

avrebbe successivamente portato ad affiorare i prodotti residuali del processo carsico, dando luogo a<br />

generalizzati fenomeni di inversione del rilievo. L’intensa fratturazione delle rocce in prossimità dei<br />

contatti tettonici ha indubbiamente facilitato la circolazione delle acque e condizionato la distribuzione dei<br />

prodotti di dissoluzione e di risedimentazione degli ammassi carbonatici. Questa circostanza è confermata<br />

d<strong>alla</strong> distribuzione delle brecce che sottolinea, seppure in modo discontinuo, i principali contatti tettonici<br />

tra unità di margine continentale e unità oceaniche da un lato (es. Comba <strong>della</strong> Gorgia, Col des Acles e<br />

Tre Croci), e tra coperture mesozoiche e basamento cristallino del Massiccio d’Ambin dall’altro (es. M.<br />

Nel modello interpretativo proposto, le brecce detritiche deriverebbero d<strong>alla</strong> rielaborazione superficiale<br />

delle brecce da dissoluzione, come confermato dai rapporti geometrici che permettono di escluderne


l’origine per degradazione diretta, superficiale del substrato. Calciruditi, calcareniti e calcilutiti<br />

costituirebbero invece il prodotto <strong>della</strong> sedimentazione detritica operata dalle acque circolanti in ambienti<br />

di dimensioni e caratteristiche molto diverse (pozze d’acqua, piccoli bacini chiusi, alvei, ecc.).<br />

Le diverse tappe del processo evolutivo vanno intese come momenti che si sono ripetuti e che si vanno<br />

ripetendo tuttora indefinitamente nell’evoluzione geologica dell’area: se da un lato si può ipotizzare<br />

un’origine remota del fenomeno (pliocenica o addirittura precedente?), dall’altro è immaginabile che un<br />

processo con caratteristiche analoghe, ma con diversa intensità in relazione alle mutate condizioni<br />

climatiche e geodinamiche, sia tuttora in atto. In superficie sono riconoscibili solo i prodotti degli stadi<br />

finali delle fasi più antiche del fenomeno, in disequilibrio con il paesaggio recente (inversione del rilievo) e<br />

con la circolazione delle acque sotterranee attuali. Il fatto che su alcuni corpi di brecce residuali poggino<br />

depositi glaciali (es. M. Segurét), oppure che le brecce detritiche inglobino talora ciottoli arrotondati e<br />

striati tipicamente glaciali, conferma quanto meno un’età pre-pleistocenica superiore delle brecce.<br />

(uin) (Pleistocene sup. - Olocene)<br />

Sono considerate come tali alcune unità litostratigrafiche individuate, nella successione stratigrafica, in<br />

base ai soli caratteri interni: si tratta di corpi sedimentari che pur non essendo necessariamente delimitati<br />

da discontinuità, hanno comunque una loro individualità ben definita.<br />

Depositi detritici (uin a, uin b). La testata di alcuni bacini tributari è colmata da estesi campi di blocchi<br />

con struttura open work o partially open work, articolati in una serie di rilievi allungati che configurano<br />

dei lobi subparalleli ai margini degli accumuli; nella parte centrale di quest’ultimi si osservano<br />

frequentemente depressioni chiuse di varia forma e dimensioni. I caratteri sedimentologici e morfologici<br />

permettono di interpretare i depositi come il prodotto <strong>della</strong> rielaborazione di originari detriti di falda ad<br />

opera di rock glacier, particolarmente diffusi nelle aree soggette ad intensa produzione di detrito quali<br />

quelle localizzate in corrispondenza delle successioni carbonatiche di margine continentale (es. Col des<br />

Acles e Passo <strong>della</strong> Mulattiera) o nei settori di affioramento dei litotipi gneissici e quarzitici del Massiccio<br />

D’Ambin (es. versante nord-orientale del Toasso Bianco).<br />

Accumuli gravitativi (uin c, uin d). Il Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia è caratterizzato d<strong>alla</strong> notevole<br />

diffusione degli accumuli gravitativi, alcuni dei quali con estensione superiore al chilometro quadrato e<br />

potenza visibile conservata dell’ordine delle decine e in qualche caso del centinaio di metri. La<br />

distribuzione degli accumuli riflette le differenti caratteristiche petrografiche, strutturali e di giacitura delle<br />

rocce e la varia composizione e distribuzione delle coperture superficiali. I settori che presentano una<br />

maggiore frequenza di fenomeni gravitativi corrispondono agli areali di affioramento delle successioni<br />

metasedimentarie a prevalenti calcescisti, mentre sui versanti mo<strong>della</strong>ti nelle successioni carbonatiche di<br />

margine continentale e nel substrato cristallino del Massiccio d’Ambin gli accumuli sono visibilmente<br />

meno numerosi.<br />

I caratteri sedimentologici degli accumuli sono determinati in parte d<strong>alla</strong> natura del substrato e delle<br />

formazioni superficiali coinvolte, in parte d<strong>alla</strong> tipologia del movimento gravitativo. Diamicton massivi a<br />

supporto di matrice contraddistinguono gli accumuli legati a fenomeni di fluidificazione <strong>della</strong> coltre<br />

detritico-colluviale e di depositi glaciali, oppure a fenomeni di tipo complesso che hanno coinvolto<br />

porzioni di substrato intensamente fratturate. Accumuli caotici di blocchi angolosi o subangolosi sono<br />

invece riconducibili a meccanismi di ribaltamento e crollo oppure a fenomeni roto-traslativi; i blocchi<br />

possono talvolta essere di dimensioni rilevanti (decine o centinaia di m 3) come nel caso degli accumuli di<br />

Clos del Chardonnet, in Val Chisone, e di Bard, in Val Cenischia. Accumuli di grandi dimensioni<br />

presentano invece caratteri di facies generalmente assai differenziati da punto a punto e costituiscono il<br />

prodotto di fenomeni ripetuti nel tempo, che risulta però impossibile delimitare (es. Sauze d’Oulx). In<br />

alcuni accumuli è inoltre possibile riconoscere porzioni anche molto estese di substrato rilasciato e<br />

disarticolato ad opera di meccanismi di tipo rotazionale o traslativo (es. parte sommitale <strong>della</strong> frana del<br />

Rif, in Val Chisone).<br />

L’espressione morfologica degli accumuli varia in relazione all’entità del rimo<strong>della</strong>mento intercorso dal<br />

momento <strong>della</strong> deposizione e quindi in prima approssimazione all’età dell’accumulo.<br />

Particolarmente numerosi i fenomeni ubicati sia sul versante destro (accumuli <strong>della</strong> Testa del Mottas e<br />

di Pietra Grossa) che quello sinistro (accumuli di Eclause e del Papillon) <strong>della</strong> media Valle di Susa. La<br />

morfologia piuttosto articolata suggerisce in questi casi la natura complessa del meccanismo di messa in<br />

posto, con evidenze di scivolamenti traslativi e/o rotazionali evolutisi in colata. I depositi, alquanto<br />

eterogenei ed eterometrici, hanno struttura generalmente caotica ed un basso grado di addensamento; le<br />

litofacies più rappresentate sono costituite da diamicton a matrice sabbioso-limosa e da ammassi caotici


di blocchi rocciosi fratturati; anche in questi casi, parziali e progressive rimobilizzazioni hanno localmente<br />

modificato l’originaria configurazione <strong>della</strong> massa franosa. Per alcuni accumuli si può ragionevolmente<br />

ipotizzare uno stretto legame genetico con le deformazioni gravitative profonde che interessano ampi<br />

settori <strong>della</strong> Valle di Susa: significativo è il fenomeno di Eclause, ubicato a monte <strong>della</strong> stretta di Serre la<br />

Voûte e indotto dai movimenti gravitativi profondi che coinvolgono l’intero versante sud-orientale delle<br />

Casses Blanches.<br />

Anche in Val Chisone è stata osservata un’ampia casistica di fenomeni gravitativi: frane di crollo con<br />

accumuli caotici di blocchi; scorrimenti traslativi e rotazionali a spese di porzioni più o meno estese di<br />

substrato dislocato in genere per brevi distanze; fenomeni complessi talora di grande estensione. Come<br />

per la Valle di Susa, anche in Val Chisone, ed in particolare sul suo versante sinistro (es. M. Blegier e<br />

Gran Serin), alcuni accumuli sono con ogni probabilità connessi all’evoluzione di settori già coinvolti da<br />

fenomeni di deformazione gravitativa profonda.<br />

Accumuli di origine mista (uin e). L’ambiente alpino è caratterizzato dall’azione di processi fisici<br />

differenti che possono agire, seppure con modalità e in momenti diversi, nell’ambito di uno stesso ristretto<br />

settore. In tal senso il termine “deposito misto” è stato utilizzato con l’accezione di sedimento avente<br />

carattere poligenico, ora di origine gravitativa, ora di debris flow, ora torrentizio e ora di valanga. La<br />

facies più comune è rappresentata da diamicton massivi a matrice sabbiosa o ghiaioso-sabbiosa; la<br />

petrografia e la forma dei clasti e dei blocchi variano alquanto in funzione <strong>della</strong> natura degli originari<br />

sedimenti a spese dei quali si sono formati i depositi misti. Conoidi piuttosto acclivi, originantisi allo<br />

sbocco di ripidi e stretti canaloni, costituiscono l’espressione morfologica più tipica di questi depositi,<br />

come quelli conservati nei pressi di Beaulard, Oulx e del Forte di Exilles; altri depositi si osservano nel<br />

Vallone del Gran Bosco a circa 1.700 m di quota, nei pressi di Montagne Seu.<br />

Depositi travertinosi (uin q). Nelle valli Susa e Chisone sono stati individuati numerosi lembi di<br />

travertino fitoermale e stromatolitico (sensu D’ARGENIO & FERRERI, 1987) con episodici passaggi a<br />

facies detritiche. Nel primo caso si tratta di concrezioni carbonatiche porose e vacuolari, incrostanti<br />

vegetazione igrofila in posizione di crescita; i travertini stromatolitici sono costituiti da un aggregato<br />

compatto di cristalli di calcite, organizzato in una successione più o meno regolare di lamine di colore<br />

alternativamente chiaro e scuro; la presenza di facies detritiche è da ricondursi a processi di incrostazione<br />

su resti vegetali talvolta di grandi dimensioni (tronchi, rami e altri frammenti vegetali), nonché su clasti<br />

carbonatici provenienti dallo smantellamento di preesistenti corpi travertinosi. All’interno delle masse<br />

carbonatiche sono inoltre stati rinvenuti sporadici livelli, di spessore centimetrico o decimetrico, di<br />

travertino bibliolitico (sensu D’ARGENIO & FERRERI, 1987), costituito da incrostazioni su pacchetti di<br />

foglie il più delle volte isoorientate e con disposizione embricata (es. Le Selle e Sauze d’Oulx). Pur<br />

mancando tracce di sostanza organica, la presenza di impronte che riproducono anche nei minimi dettagli<br />

le originarie strutture foliari permette di attribuire le stesse a latifoglie (Fagus, Corylus, Alnus, Ulmus) ed<br />

a conifere (Larix, Pinus).<br />

Le masse travertinose presentano talvolta un’evidente stratificazione, sottolineata da livelli<br />

stromatolitici, che ricalca quasi sempre l’andamento <strong>della</strong> superficie di appoggio basale e<br />

corrispondentemente quella locale del versante. Lo spessore dei lembi solitamente non supera qualche<br />

metro, con la sola eccezione del travertino conservato nei pressi di Le Selle, che si sviluppa in altezza per<br />

circa 10 m. Significativi anche i travertini localizzati in Valle di Susa nei pressi del Gad d’Oulx, a 1.350 m<br />

di quota, e quelli distribuiti sul versante che sovrasta Chiomonte, a 1.050 m di quota. In Val Chisone<br />

particolarmente esteso è il lembo di travertino stromatolitico conservato nei pressi del Gran Puy, a monte<br />

di Pragelato, tra i 1.900 ed i 1.750 m di quota.<br />

La distribuzione dei travertini è strettamente connessa <strong>alla</strong> presenza di un substrato carbonatico<br />

pervasivamente fratturato, allentato e disarticolato che favorisce l’instaurarsi di intensi processi di<br />

dissoluzione <strong>della</strong> frazione carbonatica e la sua successiva precipitazione in corrispondenza dei punti di<br />

affioramento delle acque di percolazione. Tuttavia le originarie condizioni chimico-fisiche, morfologiche<br />

ed idrologiche favorevoli al fenomeno di precipitazione sono in alcuni casi cessate per lasciare il posto ai<br />

processi di rimo<strong>della</strong>mento che hanno talvolta profondamente modificato l’originaria espressione<br />

morfologica dei depositi, dando luogo a fenomeni di inversione del rilievo (es. Grange Selle). Questa serie<br />

di elementi consente di stabilire che l’origine di queste rocce non è particolarmente recente, seppure<br />

travertini in formazione sono stati comunque rilevati nelle stesse aree di distribuzione dei precedenti.<br />

2. - UNITA’ COMPLETAMENTE FORMATE DISTINTE IN BASE AL BACINO DI PERTINENZA


Nel capitolo che segue verranno descritti, in ordine cronologico, dal più antico al più recente, i diversi<br />

termini delle successioni stratigrafiche riconosciute nel Bacino del Cenischia (considerato ramo principale<br />

del bacino segusino), nel Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia s.s. e nei bacini tributari.<br />

2.1. - BACINO DEL CENISCHIA<br />

I termini <strong>della</strong> successione stratigrafica quaternaria riconosciuta in questo bacino sono stati riuniti<br />

nell’Allogruppo del Moncenisio, comprendente le Alloformazioni di Frassinere, di Magnoletto e di<br />

Venaus. Queste sono state denominate sulla base di toponimi relativi a località presenti nel contiguo<br />

Foglio “Susa”, le ultime due poste in particolare nella parte bassa del Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia: questa<br />

scelta è motivata dal fatto che il Bacino del Cenischia è stato il principale alimentatore del glacialismo<br />

<strong>della</strong> bassa Valle di Susa, come testimonia la soglia di Gravere in cui le forme di mo<strong>della</strong>mento del<br />

ghiacciaio proveniente d<strong>alla</strong> media Valle di Susa sono dissecate da quelle più recenti del ghiacciaio <strong>della</strong><br />

Val Cenischia - bassa Valle di Susa. La successione, interpretata come espressione <strong>della</strong> massima<br />

espansione dell’ultima glaciazione (Last Glacial Maximum Auct. ) e di due fasi di ritiro, è stata riferita al<br />

Pleistocene superiore in base ai rapporti geometrici che presenta nei confronti <strong>della</strong> successione del<br />

Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia.<br />

2.1.1. - Allogruppo del Moncenisio<br />

Alloformazione di Frassinere (fra) (Pleistocene sup.)<br />

E’ costituita da prevalenti diamicton a matrice ghiaioso-sabbiosa con ciottoli centimetrico-decimetrici<br />

subangolosi ed arrotondati, talora levigati e striati, di gneiss e micascisti del Massiccio d’Ambin e<br />

subordinatamente di quarziti e quarziti micacee (till di allogamento, fra m). Ai precedenti si associano<br />

diamicton a matrice sabbioso-ghiaiosa caratterizzati in superficie d<strong>alla</strong> presenza di grossi blocchi di gneiss<br />

e micascisti (till di ablazione, fra n). I lembi di depositi riferibili a questa unità, profondamente rimo<strong>della</strong>ti,<br />

sono distribuiti entro una fascia altimetrica compresa tra i 1.650 ed i 1.350 m di quota. La superficie di<br />

appoggio basale dei depositi è ben conservata, come nel caso dei terrazzi in roccia visibili nei pressi delle<br />

località Arcangel, Grangia Plan Suffì e Case Poisaton, sui quali la natura glaciale del mo<strong>della</strong>mento è<br />

documentata da evidenti tracce di levigatura e striatura.<br />

Alloformazione di Magnoletto (mgl) (Pleistocene sup.)<br />

Nell’ambito di questa unità sono stati distinti dei diamicton massivi a matrice limoso-sabbiosa con clasti<br />

centimetrico-decimetrici, subarrotondati, levigati e talora striati, costituiti da gneiss e micascisti del<br />

Massiccio d’Ambin e da calcescisti. Interpretati come till di allogamento (mgl m), i depositi sono<br />

conservati in un unico lembo ad Est <strong>della</strong> località Arcangel, a valle <strong>della</strong> S.S. n° 25 del Moncenisio. Ad<br />

essi si associano dei till di ablazione (mgl n), localizzati nei pressi del Lago Piccolo del Moncenisio,<br />

costituiti da diamicton massivi poco addensati con matrice sabbioso-ghiaiosa nella quale sono immersi<br />

clasti e blocchi subangolosi di gneiss e micascisti del Massiccio d’Ambin. I depositi riferibili a questa unità<br />

poggiano su un’ampia superficie erosionale, attraversata d<strong>alla</strong> strada che collega la S.S. n° 25 all’abitato<br />

di Moncenisio, sulla quale sono frequentemente conservate forme di mo<strong>della</strong>mento glaciale quali<br />

levigature e montonature.<br />

Alloformazione di Venàus (ven) (Pleistocene sup.)<br />

E’ costituita da diamicton a matrice sabbioso-limosa con blocchi e ciottoli, talvolta ben arrotondati, di<br />

calcescisti, micascisti e brecce a cemento carbonatico (till di allogamento, ven m). I depositi, conservati in<br />

un unico lembo nei pressi <strong>della</strong> Grangia S. Pancrazio, sono articolati in una serie di dorsali allineate per<br />

alcune centinaia di metri in direzione EO, sulle quali sono distribuiti numerosi blocchi di brecce a cemento<br />

carbonatico. Verso Sud i till di allogamento sono mascherati da un esteso e caotico accumulo, con<br />

struttura di tipo open work, di blocchi tabulari metrici di calcescisti marmorei. In precedenza l’accumulo è<br />

stato interpretato come il prodotto dell’attività esarativa del ghiacciaio <strong>della</strong> Val Cenischia (LEBLANC,<br />

1841) e come corpo di frana recente (FUDRAL et alii, 1994): la singolarità del suo aspetto e soprattutto la<br />

particolare posizione al centro del ripiano su cui sorge l’abitato di Moncenisio, suggeriscono invece una<br />

sua interpretazione come “frana con trasporto glaciale” (sensu CASTIGLIONI, 1958) (till di ablazione,


ven n). La superficie di appoggio basale dell’unità è visibile lungo il margine meridionale dell’accumulo, in<br />

corrispondenza dell’incisione posta a valle del Lago Piccolo di Moncenisio, e lungo la strada Moncenisio-<br />

Novalesa.<br />

2.2. - BACINO DELLA DORA RIPARIA<br />

Il Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia è stato geograficamente suddiviso in tre segmenti indicati rispettivamente<br />

come bassa Valle di Susa (da Susa allo sbocco in pianura), media Valle di Susa (da Oulx a Susa) ed alta<br />

Valle di Susa (a monte di Oulx); nell’ambito di quest’ultimo tratto sono stati individuati i rami <strong>della</strong> Dora<br />

di Cesana e <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia.<br />

Nell’alta e nella media Valle di Susa, oltre ad una successione di depositi grossomodo correlabile con<br />

l’Allogruppo del Moncenisio (dal quale peraltro differisce per numero e tipo di suddivisioni), sono state<br />

rilevate le tracce di un’espansione glaciale più antica, conservate in una fascia altimetrica più alta ed<br />

intensamente rimo<strong>della</strong>ta (Allogruppo di Clot Sesiàn). In assenza di qualsiasi elemento diretto di<br />

datazione quest’ultima unità è stata del tutto indicativamente riferita al Pleistocene medio.<br />

2.2.1. - Allogruppo di Clot Sesiàn (cs) (Pleistocene medio?)<br />

E’ costituito da diamicton a matrice limosa di colore 5-7,5 YR (Munsell Soil Color Charts), con<br />

ciottoli e blocchi spesso molto alterati di metabasiti, quarziti e subordinatamente di micascisti, calcescisti<br />

e dolomie. La provenienza di questi sedimenti, interpretati come till di allogamento (cs m), è quindi da<br />

riferire soprattutto al Massiccio d’Ambin. Lungo il crinale che separa la Val Clarea d<strong>alla</strong> Val Cenischia,<br />

nei pressi di Pra Piano a 1.500 m di quota, sono inoltre stati individuati alcuni lembi di depositi glaciali<br />

interpretati come till indifferenziati (cs l) e di ablazione (cs n). L’entità e la durata dei processi di<br />

rimo<strong>della</strong>mento che hanno operato nella fascia altimetrica di distribuzione di questa unità trova riscontro<br />

nel ritrovamento, su alcune superfici rocciose levigate (es. dorsale di Cappella Bianca), di sparsi ed isolati<br />

ciottoli arrotondati e levigati (“morenico scheletrico sparso” Auct.). I depositi glaciali risultano nel<br />

complesso alterati in tutto lo spessore visibile in affioramento, generalmente non superiore ai 2 m. La<br />

superficie di appoggio basale è mo<strong>della</strong>ta in roccia; quella sommitale, con andamento piuttosto irregolare,<br />

è il frutto dell’intenso e talvolta estremo rimo<strong>della</strong>mento operato a spese dell’originario corpo<br />

sedimentario. L’areale di distribuzione dei rari lembi in cui è conservata questa unità è compreso fra i<br />

1.900 ed i 1.460 m di quota e corrisponde <strong>alla</strong> fascia altimetrica più elevata in cui sono stati trovati<br />

depositi riferibili al glacialismo regionale. Verso il fondovalle la fascia di distribuzione è in molti tratti<br />

delimitata dal ciglio superiore di una netta scarpata di erosione.<br />

Il brusco cambiamento del grado di rimo<strong>della</strong>mento e di alterazione che si registra rispetto ai sedimenti<br />

conservati nella fascia altimetrica immediatamente sottostante, permette di considerare i depositi<br />

dell’Allogruppo di Clot Sesiàn come i più antichi di cui si è conservata traccia nell’area del foglio.<br />

Depositi glaciali assimilabili per caratteristiche interne e posizione a quelli dell’Allogruppo di Clot<br />

Sesiàn sono distribuiti nella bassa Valle di Susa; sebbene la frammentarietà del record sedimentario in<br />

questa fascia altimetrica non consenta di effettuare correlazioni puntuali fra i singoli lembi di depositi<br />

glaciali, tenuto conto del loro progressivo abbassamento verso valle, le quote delle loro superfici di<br />

appoggio basale permettono di correlarli con la fascia altimetrica di distribuzione dell’Allogruppo di Clot<br />

Sesiàn. Allo sbocco vallivo in pianura tali depositi possono inoltre essere stratigraficamente assimilati a<br />

quelli <strong>della</strong> cerchia di Monsagnasco, riferibile <strong>alla</strong> penultima maggiore espansione glaciale (NICOLUSSI,<br />

1993; cfr. nota 2) e datata al Pleistocene medio.<br />

2.2.2. - Allogruppo di Salbertrand<br />

Grazie <strong>alla</strong> correlabilità con le cerchie più alte e meglio conservate dell’Anfiteatro Morenico di Rivoli-<br />

Avigliana, al grado di conservazione e <strong>alla</strong> parallelizzazione con quanto avviene nelle altre maggiori valli<br />

dell’arco alpino occidentale, il complesso di depositi che nella media Valle di Susa può essere riferito<br />

all’ultima glaciazione si presenta articolato in maniera diversa rispetto ai corrispondenti depositi del<br />

Bacino del Cenischia (Fig. 2). All’interno di questo allogruppo è stato possibile riconoscere una<br />

successione di unità di rango inferiore denominate informalmente come Alloformazioni di Frénèe, di


Fig. 2. Schema dei rapporti stratigrafici <strong>della</strong> copertura pliocenico-quaternaria.<br />

Alloformazione di Frénèe (fre) (Pleistocene sup.)<br />

E’ costituita da diamicton a matrice limosa, con clasti di metabasiti, quarziti, gneiss, micascisti, calcari<br />

e dolomie (till di allogamento, fre m). I depositi, localmente alterati con matrice di colore 7,5-10 YR, sono<br />

spesso impregnati da cemento carbonatico particolarmente sviluppato in spessore nel lembo di Auberge<br />

Sup., sul versante sinistro dell’alta Valle di Susa.<br />

Il tetto deposizionale è rappresentato da una superficie di accumulo rimo<strong>della</strong>ta e in alcuni casi sepolta<br />

da accumuli gravitativi. Le superfici di appoggio basale e laterale corrispondono a forme erosionali di<br />

mo<strong>della</strong>mento glaciale, con strie e solchi di esarazione e configurazione planare in grande. Sul versante<br />

sinistro <strong>della</strong> Valle di Susa, nella porzione più elevata <strong>della</strong> fascia di distribuzione di questa unità,<br />

l’andamento delle superfici basali è prevalentemente molto inclinato verso il fondovalle; sul versante<br />

destro le superfici hanno invece giacitura suborizzontale e sono talvolta interrotte da piani di<br />

scivolamento gravitativo.<br />

La fascia di distribuzione dei depositi, compresa fra i 1.690 ed i 1.350 m di quota, è delimitata verso<br />

l’alto d<strong>alla</strong> base di scarpate rocciose (es. versante sinistro ad Ovest di Eclause e versante destro nei pressi<br />

di Case Berge), oppure dal brusco passaggio a ripiani mo<strong>della</strong>ti in roccia (es. versante destro sulla dorsale<br />

di Serre Gountard). Al di sotto di tale limite, corrispondente al margine inferiore di distribuzione<br />

dell’Allogruppo di Clot Sesiàn, il grado di alterazione e di rimo<strong>della</strong>mento dei lembi glaciali conservati si<br />

riduce in modo brusco, lasciando supporre che l’insieme delle forme e dei depositi appartenenti<br />

all’Alloformazione di Frénèe siano riferibili ad un episodio glaciale sensibilmente più recente rispetto a<br />

Sul versante sinistro <strong>della</strong> valle, a NE <strong>della</strong> frana del M. Pramand, il limite inferiore <strong>della</strong> fascia di<br />

distribuzione dei depositi è individuato da una ex-morena con nucleo in roccia sulla quale si rinvengono<br />

rari ciottoli arrotondati. Sullo stesso versante si possono osservare alcuni lembi di superfici che<br />

definiscono altrettante contropendenze in roccia levigate, striate e talora montonate, la cui posizione<br />

altimetrica (quota minima 1.320 m nel settore ad Est di S. Colombano) si raccorda con il limite inferiore<br />

<strong>della</strong> fascia di distribuzione dell’Alloformazione di Frénèe. Nell’insieme queste forme sono visibilmente<br />

intersecate d<strong>alla</strong> superficie di appoggio laterale dell’Alloformazione di Fenìls.<br />

Nel settore orientale del Foglio “Bardonecchia” e nel contiguo Foglio “Susa”, la superficie limite<br />

superiore di distribuzione dell’Alloformazione di Frénèe si correla altimetricamente con la cresta di alcuni<br />

argini morenici laterali che potrebbero testimoniare la quota più alta raggiunta dal ghiacciaio nel corso<br />

dell’ultima glaciazione. La superficie di appoggio basale risulta invece correlabile con la soglia in roccia di


Gravere, determinata dell’intersezione del fondovalle unitario su cui si sono deposte le Alloformazioni di<br />

Frénèe e Frassinere, rispettivamente nei bacini <strong>della</strong> media Valle di Susa e del Cenischia, con quello più<br />

basso e più recente che si è venuto a mo<strong>della</strong>re con l’approfondimento del solo ghiacciaio del Cenischia e<br />

la connessa sedimentazione dell’Alloformazione di Frassinere; la media Valle di Susa si è venuta così a<br />

configurare come una valle sospesa. Nell’Anfiteatro Morenico di Rivoli-Avigliana l’Alloformazione di<br />

Frénèe mostra di correlarsi altimetricamente con i depositi <strong>della</strong> cerchia di Cresta Grande, attribuita <strong>alla</strong><br />

parte inferiore del Pleistocene sup. (NICOLUSSI, 1993; cfr. nota 2).<br />

Alloformazione di Fenìls (fen) (Pleistocene sup.)<br />

Diverse sono le facies che caratterizzano i depositi di questa unità: diamicton massivi, molto addensati,<br />

a matrice limosa e ciottoli arrotondati, levigati e talvolta striati (till di allogamento, fen m); diamicton<br />

scarsamente addensati a matrice sabbiosa e sabbioso-limosa (colore di alterazione 10 YR) e clasti poco<br />

arrotondati (till indifferenziati, fen l); diamicton a scarsa matrice sabbioso-ghiaiosa e prevalenti ciottoli e<br />

blocchi subangolosi (till di ablazione, fen n). Clasti e blocchi, da poco alterati ad alterati, sono costituiti da<br />

metabasiti, quarziti e dolomie, secondariamente da gneiss, micascisti e calcescisti.<br />

I depositi sono distribuiti tra i 1.450 ed i 970 m di quota; i lembi più estesi sono conservati sul versante<br />

destro dell’alta Valle di Susa, fra Royeres (a monte di Beaulard) ed Oulx, e sul versante sinistro <strong>della</strong><br />

media Valle di Susa. A Beaulard i depositi sono distribuiti su una serie di ripiani posti a quote diverse e<br />

talora separati da scarpate in roccia e da dossi montonati. Sul versante sinistro <strong>della</strong> media Valle di Susa,<br />

poco a valle dell’accumulo di frana del M. Pramand, il limite superiore di distribuzione dei depositi è<br />

rappresentato d<strong>alla</strong> cresta <strong>della</strong> ex-morena con nucleo in roccia che costituisce il moncone di un argine<br />

profondamente rimo<strong>della</strong>to, mentre a valle di Salbertrand il limite corrisponde, su entrambi i versanti, <strong>alla</strong><br />

base di alcune scarpate in roccia molto inclinate; queste passano gradualmente verso l’alto ad una serie di<br />

contropendenze di versante, con dossi montonati e superfici pianeggianti sulle quali si rinvengono i<br />

depositi dell’Alloformazione di Frénèe. I rapporti intercorrenti tra l’appoggio basale dell’Alloformazione<br />

di Frénèe e l’appoggio laterale dell’Alloformazione di Fenìls indicano che quest’ultima è incastrata nella<br />

precedente.<br />

Presso Fenìls, fra i 1.300 ed i 1.200 m di quota, è conservato un argine morenico arcuato, costituito<br />

da till di ablazione poco addensati, la cui cresta è dislocata per alcune decine di metri in direzione NO-SE<br />

dai movimenti differenziali del fenomeno gravitativo di Serre la Voûte; presso Devéis lo stesso tipo di<br />

deposito è conservato in un piccolo lembo, poggiante su substrato roccioso levigato e striato,<br />

superiormente in contatto, per mezzo di una superficie erosionale, con altri till di allogamento. Dati<br />

ricavati da sondaggi accertano che la superficie su cui poggiano i depositi glaciali del lembo di Fenìls è<br />

mo<strong>della</strong>ta in roccia fratturata e disarticolata ed è ubicata ad una quota compresa fra i 1.100 ed i 1.025 m.<br />

I depositi dell’Alloformazione di Fenìls sono distribuiti, a monte di Oulx, anche sui versanti del Bacino<br />

<strong>della</strong> Dora di Cesana; tuttavia l’evidente diversità nella tipologia del substrato affiorante in questo bacino<br />

si riflette nella natura dei clasti, costituiti da calcescisti, rocce carbonatiche, pietre verdi e gabbri.<br />

Alloformazione di Devéis (dev) (Pleistocene sup.)<br />

E’ costituita da diamicton a matrice limosa con ciottoli centimetrico-decimetrici, arrotondati, levigati e<br />

talvolta striati, di metabasiti, micascisti, calcescisti, dolomie, subordinatamente di marmi, quarziti e gneiss<br />

(till di allogamento, dev m); i clasti sono per nulla o poco alterati, ad eccezione di quelli carbonatici che si<br />

presentano profondamente corrosi. I depositi sono distribuiti prevalentemente ai margini <strong>della</strong> piana di<br />

Salbertrand e nei pressi di Costans, ad Est di Beaulard; alcuni sondaggi hanno inoltre incontrato gli stessi<br />

depositi al di sotto dei sedimenti alluvionali di fondovalle.<br />

Depositi simili, ma con clasti più grossi, meno arrotondati ed una matrice meno addensata, sono stati<br />

individuati a valle di Salbertrand (till di ablazione, dev n); in particolare quelli ubicati nei pressi di Serre la<br />

Voûte hanno una struttura caotica ed un’espressione superficiale irregolarmente ondulata con dorsali e<br />

depressioni. Nei pressi di Costans, oltre ai till di allogamento, affiorano depositi sabbioso-limosi<br />

fittamente stratificati, interpretati come depositi glaciolacustri (dev p).<br />

Nell’insieme i depositi di questa unità sono distribuiti prevalentemente sul versante sinistro <strong>della</strong> Valle<br />

di Susa fino ad una quota massima di 1.200 m; in prossimità del limite superiore <strong>della</strong> loro fascia di<br />

distribuzione essi poggiano lateralmente contro superfici di erosione subverticali mo<strong>della</strong>te in roccia e<br />

localmente nei depositi dell’Alloformazione di Fenìls (settore di Serre la Voûte), nella quale risultano<br />

pertanto incastrati. L’appoggio basale non è quasi mai visibile poiché mascherato dai depositi<br />

fluviolacustri <strong>della</strong> piana di Salbertrand. Solo a valle di Serre la Voûte la superficie affiora in due punti<br />

posti a 950 m di quota: in un caso, nei pressi di Devéis, la superficie è impostata nei till di allogamento<br />

dell’Alloformazione di Fenìls, nell’altro è mo<strong>della</strong>ta nel substrato roccioso. Il fatto che a valle di Exilles e


a quote via via meno elevate si rinvengano altri depositi riferibili all’Alloformazione di Devéis, senza<br />

tuttavia poterne osservare l’appoggio basale, lascerebbe supporre che il limite altimetrico inferiore di<br />

distribuzione di questa unità sia situato, almeno nel settore orientale, a meno di 850 m di quota.<br />

Depositi riconducibili all’Alloformazione di Devéis sono stati individuati anche sui versanti <strong>della</strong> Dora<br />

di Cesana (es. Amazas e S. Marco): si tratta di till di allogamento con ciottoli arrotondati, levigati e<br />

talora striati di calcescisti, calcari, pietre verdi e gabbri, oltre a rari ma quanto mai significativi ciottoli di<br />

radiolariti e arenarie.<br />

I depositi delle Alloformazioni di Fenìls e di Devéis sono distribuiti a quote progressivamente minori<br />

con areali di distribuzione via via più ridotti e più prossimi all’asse vallivo procedendo dal termine più<br />

antico a quello più recente; nella media Valle di Susa la conservazione di argini morenici laterali e di<br />

depositi fluvioglaciali in facies di ice-contact testimoniano la progressiva riduzione di ampiezza e di<br />

volume <strong>della</strong> massa glaciale. Le Alloformazioni di Fenìls e di Devéis,differenza dell’Alloformazione di<br />

Frénèe,non sono correlabili con le unità glaciali dell’anfiteatro pedemontano; le analogie nella posizione<br />

altimetrica e nelle caratteristiche interne esistenti fra queste unità e quelle riconoscibili in altri settori <strong>della</strong><br />

Valle di Susa inducono ad interpretarle le prime come il prodotto di distinte pulsazioni glaciali intravallive<br />

successive all’ultima espansione.<br />

2.2.3. - Allogruppo di S. Stefano<br />

Contemporaneamente al regresso delle masse glaciali hanno cominciato ad operare i processi di<br />

rimo<strong>della</strong>mento legati <strong>alla</strong> dinamica torrentizia: l’Unità di Seigneur e l’Alloformazione di Chiomonte<br />

esprimono in tal senso due episodi dell’evoluzione sedimentaria intravalliva post-glaciale. I depositi<br />

dell’Unità di Chiomonte testimoniano in particolare le ultime fasi di approfondimento erosionale <strong>della</strong><br />

Dora Riparia seguite al ritiro del ghiacciaio segusino e a quello <strong>della</strong> Val Clarea.<br />

Unità di Seigneur (sei) (Pleistocene sup.)<br />

A valle di Chiomonte è stato individuato un complesso di depositi ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi con<br />

struttura clast-supported, cementati o molto cementati, costituiti da ciottoli ben classati ed arrotondati<br />

frammisti ad una scarsa matrice sabbiosa. I ciottoli sono costituiti da micascisti e gneiss, cui si<br />

aggiungono subordinate quarziti, metabasiti, calcari e dolomie; significativa la presenza di serpentiniti e<br />

radiolariti provenienti da specifici settori <strong>della</strong> media ed alta Valle di Susa. La facies dei depositi è tipica<br />

di un ambiente fluviale intravallivo di energia relativamente bassa (sei f).<br />

I depositi sono stratificati in banchi di spessore metrico o decimetrico separati da superfici erosionali<br />

talora debolmente ondulate, talaltra molto irregolari e sottolineate da lag deposits. La stratificazione è<br />

suborizzontale, con la sola eccezione del settore di confluenza del Rio Clarea nella Dora Riparia, ove si<br />

osservano valori di inclinazione molto elevati (fino a 50° verso Est); questa evidenza, unitamente ad una<br />

serie di faglie normali a rigetto metrico, con direzione N130 ed inclinazione di 50-70° verso SO, indica la<br />

presenza di deformazioni compatibili, dal punto di vista cinematico, sia con il campo di sforzi legato<br />

all’evoluzione geodinamica recente, sia con fenomeni di glaciotettonica connessi alle variazioni di volume<br />

del ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea successivamente <strong>alla</strong> messa in posto dell’unità. I depositi dell’Unità di<br />

Seigneur sono distribuiti fra i 725 ed i 645 m di quota. La superficie di appoggio basale è sempre<br />

mo<strong>della</strong>ta in roccia e mostra, nel tratto compreso tra lo sbocco <strong>della</strong> Val Clarea e Susa, un andamento<br />

anomalo con giacitura in contropendenza rispetto al versante. L’originario tetto deposizionale non è<br />

conservato poiché profondamente rimo<strong>della</strong>to oppure obliterato da superfici erosionali ad opera del<br />

ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea. Non è chiaro se i depositi dell’Unità di Seigneu siano direttamente<br />

soggiacenti , ai depositi dell’Alloformazione di Devéis, ultimo episodio glaciale <strong>della</strong> media Valle di Susa,<br />

e quindi contemporanei (potrebbero costituire il riempimento di una forra di escavazione subglaciale), o<br />

se vi siano incastrati: in quest’ultimo caso sarebbero interpretabili come depositi fluviali successivi<br />

all’ultimo ritiro locale del ghiacciaio segusino. In entrambe le ipotesi, le cause delle condizioni di energia<br />

relativamente bassa che ne hanno controllato la sedimentazione vanno ricercate nell’ostacolo al deflusso<br />

locale delle acque indotto, oltre il gradino di Gravere, dal ghiacciaio allora ancora presente nella Val<br />

Cenischia e nella bassa Valle di Susa. La soggiacenza dell’Unità di Seigneur ai depositi legati all’episodio<br />

glaciale più recente <strong>della</strong> Val Clarea concorre nell’attribuirne con certezza un’età pleistocenica superiore.<br />

Lo sbarramento operato dal ghiacciaio <strong>della</strong> Val Cenischia - bassa Valle di Susa ha condizionato<br />

l’intera evoluzione tardo-pleistocenica superiore <strong>della</strong> media Valle di Susa, come testimoniato dal


complesso di depositi lacustri distribuiti nel tratto terminale <strong>della</strong> stessa (<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA,<br />

1999): i depositi fluviali di Seigneur potrebbero in tal caso rappresentare un corpo eteropico a questi, e<br />

quindi essere solo coevo, oppure esservi incastrati dentro e rappresentare le ultime fasi di sopravvivenza<br />

del bacino lacustre.<br />

La distribuzione planimetrica dei depositi di questa unità ricalca l’andamento <strong>della</strong> Dora Riparia nel<br />

tratto a monte de La Maddalena, ma se ne discosta nel tratto a valle seguendo un percorso nettamente<br />

spostato verso Nord, passante per S. Giovanni, fino a raccordarsi nuovamente all’attuale direttrice a Sud<br />

di S. Stefano. Tale deviazione è l’effetto prodotto dall’ultima avanzata del ghiacciaio <strong>della</strong> Val Clarea che<br />

ha portato <strong>alla</strong> formazione <strong>della</strong> morena frontale de La Maddalena: l’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia nel tratto<br />

compreso fra La Maddalena e S. Stefano è quindi epigenetico.<br />

Alloformazione di Chiomonte (chi) (Pleistocene sup.)<br />

A valle del Ponte Nuovo di Exilles, lungo la scarpata che delimita la sponda destra <strong>della</strong> Dora Riparia,<br />

sono stati individuati dei depositi ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi ben stratificati, con intercalazioni sabbiose<br />

di spessore decimetrico e talvolta metrico, nei quali sono inglobati ciottoli e blocchi ben arrotondati<br />

(depositi fluviali, chi f). I sedimenti, localmente ben cementati e poggianti lateralmente su una superficie<br />

mo<strong>della</strong>ta in roccia, sono irregolarmente distribuiti lungo l’asse vallivo e sospesi a varie altezze (fino a<br />

100 m nei pressi di Chiomonte) sull’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia.<br />

In posizione analoga e del tutto simili ai precedenti sono i depositi affioranti nei pressi del Ponte<br />

Nuovo di Exilles, alcune decine di metri al di sopra dell’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia. Si tratta di sedimenti<br />

ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi, ben stratificati e cementati, presumibilmente di origine fluvioglaciale. Situati<br />

in posizione laterale rispetto all’incisione <strong>della</strong> Dora Riparia ed in parte mascherati da un piccolo conoide<br />

alluvionale che si innesta <strong>alla</strong> base del versante destro, i depositi poggiano lateralmente su una dorsale in<br />

roccia interpretata come un’originaria soglia glaciale (OLIVERO, 1992; cfr. nota 2).<br />

A valle di Serre la Voûte, tra Campbons e Chiomonte, sono stati individuati lembi di depositi ghiaiososabbiosi<br />

e ghiaioso-ciottolosi, talvolta grossolanamente stratificati, inglobanti grossi blocchi. I caratteri<br />

sedimentologici, l’espressione superficiale dei corpi sedimentari (in forma di conoidi alluvionali dissecati)<br />

e la loro localizzazione in prossimità dei punti di confluenza hanno permesso di interpretare gli stessi<br />

come il prodotto di processi di tipo torrentizio e di trasporto solido in massa (debris-mud flow)<br />

sviluppatisi lungo il reticolato affluente. L’attuale espressione morfologica è il risultato di una variazione<br />

nella configurazione del fondovalle principale, legata in particolar modo al suo graduale<br />

approfondimento, che ha indotto i torrenti, ed in secondo luogo la Dora Riparia, ad incidere<br />

profondamente i conoidi alluvionali precedentemente edificati dagli stessi.<br />

2.3. - BACINI TRIBUTARI<br />

Accanto alle forme e ai depositi connessi al glacialismo regionale, in particolare <strong>alla</strong> sua ultima<br />

maggiore espansione (Last Glacial Maximum Auct .) ed alle sue oscillazioni di ritiro, all’interno dei bacini<br />

tributari sono state individuate numerose tracce del glacialismo locale. Nell’impossibilità pratica di<br />

stabilire una sequenza stratigrafica per ogni bacino (Fig. 3), come imporrebbero i canoni<br />

dell’allostratigrafia, i diversi gruppi di depositi sono stati cartograficamente riuniti in un’unica<br />

successione-tipo, indicata come “Complesso dei bacini tributari”, comprendente anche i sedimenti<br />

distribuiti nell’alta Val Chisone, dove le tracce del glacialismo riconosciute sono attribuibili unicamente al<br />

mo<strong>della</strong>mento dei ghiacciai tributari.


Fig. 3. Limite massimo di distribuzione dei depositi dell’ultima glaciazione (LGM Auct.), con suddivisione in bacini idrografici dell’area del foglio.<br />

Complesso dei bacini tributari (ugt) (Pleistocene sup. - Olocene)<br />

I depositi riferibili a questa unità nel Bacino <strong>della</strong> Dora Riparia sono costituiti da diamicton massivi a<br />

matrice sabbiosa e sabbioso-limosa, nella quale sono immersi ciottoli e blocchi di varia forma: arrotondati<br />

o subarrotondati, talvolta levigati e striati, nel caso dei till di allogamento (ugt m); angolosi e subangolosi<br />

nel caso dei till di ablazione (ugt n). Questi ultimi sono poco addensati e in qualche caso mostrano<br />

superficialmente (es. Vallone di Galambra) tracce di lisciviazione ed ossidazione. Nella stessa località


sono stati individuati sedimenti limoso-sabbiosi stratificati, interpretati come depositi glaciolacustri (ugt p).<br />

L’attribuzione di questi depositi alle ultime fasi di ritiro pleistoceniche superiori è giustificata d<strong>alla</strong> loro<br />

distribuzione, dall’esclusiva natura locale dei clasti in essi contenuti e dai rapporti con sedimenti e forme<br />

legati al glacialismo regionale.<br />

In Valle di Susa i lembi più significativi sono conservati <strong>alla</strong> testata dei valloni <strong>della</strong> Rho, del Fréjus e<br />

di Rochemolles, confluenti nella conca di Bardonecchia, e lungo le incisioni laterali (es. Rio Segurét, Rio<br />

Secco, Rio Geronda, Rio Ponté, Vallone di Galambra e Val Clarea). Sul versante destro <strong>della</strong> media Valle<br />

di Susa le tracce più significative del glacialismo locale sono conservate nei pressi di Case dell’Orsiera, di<br />

Bergeria Soubeirand e del Fràis. L’espressione superficiale dei depositi è contraddistinta da argini<br />

morenici laterali, allungati parallelamente ai fianchi dei valloni tributari, e da argini frontali (es. testata dei<br />

valloni <strong>della</strong> Rho, di Rochemolles, del Segurét, di Galambra e del Rio Ponté in sinistra orografica; di<br />

Bergeria Soubeirand e di Case dell’Orsiera in destra orografica), spesso accompagnati da spill-way<br />

channel (es. Rio Ponté). In alcuni casi il rimo<strong>della</strong>mento intervenuto successivamente <strong>alla</strong> fase<br />

cataglaciale ad opera soprattutto di processi torrentizi ha determinato l’approfondimento erosionale e<br />

quindi la dissezione degli originari lembi glaciali (es. Rio Geronda e Rio Supire).<br />

Le superfici di appoggio basale dei depositi, sempre di natura erosionale, sono impostate nel substrato<br />

o, più raramente, sono incastrate nei depositi dell’Allogruppo di Salbertrand: l’analisi dei rapporti<br />

geometrici fra depositi e forme legati al glacialismo regionale e locale lasciano infatti intendere che<br />

quest’ultimo in alcuni casi è sopravvissuto a quello <strong>della</strong> valle principale dopo il ritiro del ghiacciaio<br />

segusino. Significativo è l’esempio del Rio Ponté, tributario di sinistra <strong>della</strong> Dora Riparia, nel quale si<br />

osserva chiaramente l’intersezione dei depositi legati al ghiacciaio locale con quelli delle Alloformazioni<br />

di Frénèe (a quota 1.600 m circa), di Fenìls e di Devéis (nei pressi delle omonime località). Situazione<br />

BERTONE et alii (1986).<br />

Nel bacino del Rio Berta, tributario di destra del T. Cenischia, sono stati individuati lembi di depositi<br />

glaciali costituiti da diamicton a matrice sabbiosa e sabbioso-limosa con ciottoli da subangolosi a<br />

subarrotondati e rari blocchi. I clasti sono costituiti da micascisti e gneiss del Massiccio d’Ambin e da<br />

quarziti. I depositi più significativi sono distribuiti sul versante settentrionale del Toasso Bianco e nei<br />

pressi di Bar Cenisio; in questa ultima località i lembi sono articolati in una serie di dorsali allineate<br />

Attribuibili esclusivamente al glacialismo locale in base <strong>alla</strong> posizione e <strong>alla</strong> petrografia dei clasti, i<br />

depositi conservati in Val Chisone sono costituiti da diamicton massivi poco addensati ed alterati, con<br />

matrice sabbioso-limosa con clasti centimetrico-decimetrici talora arrotondati. I lembi glaciali sono<br />

conservati in prossimità dello spartiacque Susa-Chisone (es. Rio Pomerol, Rivo Roccia e Vallone<br />

dell’Assietta) e <strong>alla</strong> testata di alcuni tributari di destra del T. Chisone (es. Vallone Gran Muels e Rio<br />

Combe Turge). Nel complesso l’originaria espressione morfologica dei depositi è mal espressa, come<br />

confermato dal limitato numero di forme di accumulo riconosciute (es. Rio Combe Turge). La natura dei<br />

clasti rinvenuti nei depositi di fondovalle conferma il legame di quest’ultimi ad apparati glaciali locali<br />

scesi, nella fase di massima espansione, fino ed oltre il punto di confluenza nella valle principale: si citano<br />

ad esempio i ghiacciai <strong>della</strong> Val Troncea e del Vallone Gran Muels, le cui tracce (depositi e superfici di<br />

mo<strong>della</strong>mento) sono state individuate nei pressi di Souchères Hautes (Fig. 3).<br />

3. - UNITA’ IN FORMAZIONE NON DISTINTE IN BASE AL BACINO DI PERTINENZA<br />

Unità dei depositi glaciali recenti ed attuali<br />

(uid) (Olocene - Attuale)<br />

E’ costituita da accumuli caotici di blocchi, non lichenizzati, con struttura open-work o partially openwork<br />

(till di ablazione, uid n), formanti le morene frontali e laterali conservate ai margini delle masse<br />

glaciali attualmente in fase di arretramento. Meno frequentemente si rinvengono diamicton a matrice<br />

sabbioso-limosa, per nulla o poco addensati, con ciottoli e blocchi da subangolosi a subarrotondati (till di<br />

allogamento, uid m), e sporadici lembi di depositi sabbioso-limosi (depositi glaciolacustri, uid p).<br />

Nell’insieme i depositi rappresentano da un lato le tracce <strong>della</strong> massima avanzata olocenica (“Piccola<br />

Età del Ghiaccio”), dall’altro i prodotti del glacialismo attuale; quest’ultimi sono in diretto rapporto o<br />

molto prossimi alle poche masse glaciali limitate ai settori più elevati del Massiccio d’Ambin (ghiacciai<br />

dell’Agnello, del Galambra e del Muttet, confinati al di sopra dei 2.850 m di quota), e da quelle oggi<br />

praticamente ridotte a semplici glacionevati (es. Ghiacciaio dei Fourneaux).


Unità ubiquitarie (uid) (Pleistocene sup. - Attuale)<br />

In Valle di Susa buona parte dei settori di fondovalle è occupata da depositi legati <strong>alla</strong> dinamica<br />

torrentizia. Sulla base <strong>della</strong> litofacies e dell’espressione morfologica dei sedimenti sono stati distinti<br />

quattro contesti morfologici:<br />

1) la piana alluvionale <strong>della</strong> Dora Riparia compresa tra Beaulard e Salbertrand, costituita in superficie<br />

da depositi ghiaiosi e ghiaioso-sabbiosi stratificati, con ciottoli arrotondati a disposizione embricata e<br />

subordinati blocchi (uid f); frequenti le intercalazioni sabbiose ed i livelli sabbioso-limosi (uid g) di spessore<br />

metrico. Una campagna di sondaggi effettuata nel 1991 poco a monte di Serre la Voûte ha permesso di<br />

accertare in profondità la presenza di depositi fluviolacustri originatisi in seguito allo sbarramento <strong>della</strong><br />

valle causato dai fenomeni gravitativi di Serre la Voûte e <strong>della</strong> Testa del Mottas, ubicati rispettivamente<br />

sui versanti sinistro e destro <strong>della</strong> Valle di Susa (TROPEANO & OLIVE, 1993). Nell’ambito <strong>della</strong><br />

medesima campagna geognostica, due sondaggi effettuati in prossimità dell’imbocco di monte <strong>della</strong><br />

galleria ferroviaria “Exilles” hanno campionato alle quote 956 e 948 m s.l.m., all’interno del complesso<br />

fluviolacustre, due campioni di legno subfossile, la cui età 14C è risultata rispettivamente di 9.525 ± 85 e<br />

8.380 ± 95 anni BP (TROPEANO & OLIVE, 1993);<br />

2) il settore a valle di Serre la Voûte, in cui l’areale di distribuzione dei depositi alluvionali si restringe<br />

considerevolmente. L’accentuata pendenza del profilo longitudinale del corso d’acqua determina una<br />

variazione <strong>della</strong> facies dei sedimenti, confermata dall’incremento <strong>della</strong> frazione ghiaioso-ciottolosa e d<strong>alla</strong><br />

percentuale di grossi blocchi in parte ereditati da originari depositi glaciali dilavati dai processi torrentizi;<br />

3) i settori di confluenza dei bacini tributari nel fondovalle principale, ove i depositi <strong>della</strong> Dora Riparia<br />

si interdigitano con quelli degli imponenti conoidi che vi si aprono. Quest’ultimi sono costituiti da ghiaieciottolose<br />

grossolanamente stratificate, inglobanti grossi blocchi; le sporadiche intercalazioni di diamicton<br />

massivi sono da ricollegarsi a fenomeni di debris flow. I coni alluvionali maggiormente estesi sono<br />

alimentati d<strong>alla</strong> Valle <strong>della</strong> Rho, d<strong>alla</strong> Valle del Fréjus e dal T. Rochemolles, mentre quelli che si aprono<br />

in Valle Stretta (es. Pian del Colle e Les Arnauds) sono ricorrentemente interessati da processi di debris<br />

flow. A valle di Serre la Voûte l’estensione areale dei conoidi decresce, e corrispondentemente si registra<br />

un incremento dell’acclività delle superfici di accumulo e <strong>della</strong> percentuale di blocchi inglobati nei<br />

depositi. E’ infine da segnalare la presenza di una serie di conoidi, sospesi sull’alveo <strong>della</strong> Dora Riparia,<br />

che mo<strong>della</strong>no il piano di Chiomonte;<br />

4) altri depositi, caratterizzati da estensione e spessori alquanto modesti, sono ubicati <strong>alla</strong> testata dei<br />

bacini tributari (es. Val Clarea e Valle di Rochemolles) in settori pianeggianti talora corrispondenti a<br />

conche di sovraescavazione glaciale.<br />

In Val Cenischia i depositi alluvionali sono localizzati nei pressi di Bard e sono legati agli estesi e piatti<br />

conoidi alimentati dai corsi d’acqua che drenano il versante nord-orientale del M. Giusalet.<br />

Il fondo <strong>della</strong> Val Chisone è per lunghi tratti articolato da ripiani mo<strong>della</strong>ti in depositi fluviali di bassa<br />

energia, costituiti da sabbie e sabbie ghiaiose, formatisi in seguito a fenomeni di sbarramento vallivo: si<br />

citano ad esempio le superfici sulle quali sorgono gli abitati di Pragelato e Pourrières, poste<br />

rispettivamente a monte dell’accumulo del Clos del Chardonnet (staccatosi dalle pendici nord-occidentali<br />

del M. Albergian) e dell’imponente fenomeno gravitativo del Laux, ubicato nell’adiacente Foglio “Susa”.<br />

Altri depositi alluvionali, costituiti da ghiaie ciottolose con intercalazioni ghiaioso-sabbiose e sabbiose,<br />

sono il prodotto dell’attività torrentizia sviluppatasi lungo il reticolato affluente che alimenta i conoidi che<br />

si aprono sul fondovalle principale, oppure colmano piccole depressioni originariamente mo<strong>della</strong>te dai<br />

ghiacciai tributari nei settori di testata (es. rii Assietta, Faussimagna e Gran Muels).<br />

Depositi lacustri e di torbiera (uid i). I primi sono caratterizzati da una facies limosa con sporadiche<br />

intercalazioni sabbiose; nelle torbe si osserva invece un elevato contenuto in sostanza organica frammista<br />

ad una scarsa frazione limoso-sabbiosa. Questi depositi hanno sempre un’estensione areale piuttosto<br />

limitata e sono localizzati <strong>alla</strong> testata dei bacini tributari, ove spesso mascherano l’originaria morfologia<br />

glaciale colmando conche di sovraescavazione o depressioni sbarrate da archi morenici, in origine<br />

occupate da specchi d’acqua. Sedimenti torbosi costituiscono inoltre il parziale riempimento del fondo di<br />

alcune delle imponenti depressioni allungate (es. Col Blegier) che articolano lo spartiacque tra le valli di<br />

Susa e Chisone.<br />

Depositi di origine mista (uid e). La facies più tipica è rappresentata da diamicton a matrice sabbiosa<br />

con blocchi subangolosi e con intercalazioni sabbioso-ghiaiose. I depositi formano conoidi, ubicati allo<br />

sbocco di piccole incisioni, che talora si interdigitano alle falde detritiche poste <strong>alla</strong> base delle pareti<br />

rocciose; in altri casi i depositi di origine mista si sovrappongono, mascherandoli, ai sedimenti glaciali e<br />

alluvionali che costituivano il fondo dei valloni tributari. Il carattere poligenico è legato soprattutto <strong>alla</strong>


imobilizzazione del detrito per effetto di debris flow, nonché all’intercalazione di depositi legati al<br />

periodico distacco di valanghe.<br />

Detrito di falda (uid a, uid b). Si presenta come un sedimento con struttura open work e partially open<br />

work, con ciottoli e blocchi di forma angolosa e sub-angolosa frammisti a scarsa matrice. Il detrito è<br />

organizzato in conoidi o prismi di sedimenti comunemente clinostratificati, con pezzatura e forma<br />

variabili a seconda dello stato di fratturazione del substrato da cui provengono. Imponenti falde e coni di<br />

detrito contraddistinguono la base di pareti di roccia carbonatica (es. lungo le dorsali Punta Gran Bagna -<br />

Punta delle Quattro Sorelle e Cima <strong>della</strong> Sueur - Punta Clotesse), oppure la base dei rilievi mo<strong>della</strong>ti nelle<br />

rocce quarzitiche e gneissiche del Massiccio d’Ambin (es. Cima del Vallonetto, Vallone di Galambra, Val<br />

Clarea). Per contro i depositi detritici ubicati <strong>alla</strong> base delle pareti di calcescisti hanno estensione e<br />

spessori modesti (es. dorsale spartiacque Susa-Chisone); si tratta in genere di detrito con struttura<br />

partially open-work nel quale la frazione sabbioso-limosa, quantitativamente significativa, è frammista a<br />

piccoli blocchi; il detrito è distribuito in lembi più o meno estesi <strong>alla</strong> base delle pareti e solo dove i<br />

calcescisti sono più ricchi nella frazione carbonatica esso ammanta estese porzioni di versante (es.<br />

versanti occidentale e settentrionale del M. Albergiàn).<br />

Depositi gravitativi (uid c, uid d). L’ampia casistica di fenomeni gravitativi riscontrata nell’area del<br />

foglio e la presenza di caratteri morfologici e di facies ricorrenti nei vari accumuli, hanno consentito non<br />

solo di individuare diverse tipologie di movimento e di messa in posto, ma anche di accertare una<br />

correlazione tra il tipo di fenomeno e le caratteristiche litologiche e geomeccaniche delle rocce e delle<br />

formazioni di copertura coinvolte.<br />

La diffusione di calcescisti più o meno ricchi in frazione carbonatica e con parametri geomeccanici<br />

nell’insieme piuttosto scadenti, trova riscontro nell’elevato numero di fenomeni gravitativi che si<br />

originano a spese degli stessi. Si tratta in genere di fenomeni complessi, ai quali non è possibile associare<br />

un’unica tipologia di movimento in relazione <strong>alla</strong> variabilità delle litofacies coinvolte ed al loro assetto<br />

strutturale: questi si esprimono nell’estrema complessità delle forme riscontrabili in uno stesso accumulo.<br />

I corpi di frana più imponenti, talvolta con una superficie superiore al chilometro quadrato, sono quelli<br />

del Gran Bosco, del Cassas, di Grangia Ruine e di Grangia Jeunchatre, situati sul versante destro <strong>della</strong><br />

media Valle di Susa, di Millaures e di Rochas sul versante sud-occidentale del M. Jafferau. Altri accumuli<br />

sono localizzati sul versante sinistro delle valli <strong>della</strong> Rho e del Fréjus.<br />

In Val Chisone particolarmente significativi sono i fenomeni del Rif e di Comba Mendie, ubicati<br />

rispettivamente sul versante sinistro e destro all’altezza dell’abitato di Souchères Hautes, e l’accumulo sul<br />

Accumuli gravitativi di minori dimensioni sono distribuiti un po’ ovunque nell’area in esame.<br />

Localmente possono verificarsi scorrimenti rotazionali e traslativi che dislocano considerevoli volumi di<br />

roccia lungo superfici di movimento ben definite, come quello che coinvolge parte del versante nordoccidentale<br />

del M. Albergiàn, impostato in corrispondenza di un sistema di fratture subverticali con<br />

direzione N60. Frequenti anche i fenomeni di colamento, legati a saturazione e fluidificazione <strong>della</strong> coltre<br />

detritico-colluviale e delle formazioni superficiali in generale. I fenomeni di crollo, arealmente meno estesi<br />

dei precedenti, sono caratterizzati da accumuli a grossi blocchi localizzati prevalentemente nel Massiccio<br />

d’Ambin. Sono infine da segnalare fenomeni di riattivazione di porzioni di versante già interessate da<br />

precedenti fenomeni di instabilità: è il caso delle frane del Cassas (AA.VV., 1996) e del Rif (GIARDINO &<br />

BAGGIO, 1998), ubicate rispettivamente in Valle di Susa e in Val Chisone.<br />

Depositi travertinosi (uid q). Danno luogo a corpi lenticolari o domiformi, ad estesi crostoni e colate<br />

subverticali, oppure a semplici incrostazioni su cuscinetti di muschio: si tratta di lembi, il più delle volte<br />

non cartografabili, di spessore di qualche metro ed estensione areale non superiore ad alcune centinaia di<br />

metri quadrati. Le principali masse sono state individuate a S. Domenico (a breve distanza dall’apice del<br />

conoide su cui sorge l’abitato di Gad), ad una quota compresa tra i 1.700 ed i 1.500 m, e nei pressi del<br />

Fràis (Vallone di Comba Scura), tra i 1.550 ed i 1.300 m di quota. I travertini in formazione sono sempre<br />

associati a sorgenti a regime stagionale. Così come per i travertini completamente formati, la<br />

precipitazione del carbonato di calcio è sistematicamente legata a settori di versante coinvolti da<br />

deformazioni gravitative profonde impostate in rocce carbonatiche.<br />

Coltre eluvio-colluviale e detritico-colluviale (b2) (Pleistocene sup. - Attuale)


Sotto questa dicitura sono stati riuniti i prodotti dell’alterazione in situ del substrato roccioso e delle<br />

coperture superficiali ed i sedimenti provenienti d<strong>alla</strong> rielaborazione delle formazioni quaternarie<br />

inalterate. Litofacies e potenza variano alquanto in funzione <strong>della</strong> natura delle aree sorgenti: sedimenti fini<br />

massivi con spessori significativi, seppure non superiori a qualche metro, si osservano negli areali di<br />

affioramento delle successioni metasedimentarie a prevalenti calcescisti, soprattutto nei settori più elevati<br />

dei versanti interessati da diffusi e imponenti fenomeni di creeping superficiale. La distribuzione<br />

pressoché ubiquitaria <strong>della</strong> coltre eluvio-colluviale in corrispondenza delle unità a calcescisti è determinata<br />

d<strong>alla</strong> bassa resistenza e dall’elevata alterabilità di queste rocce e dalle pessime condizioni lito-strutturali in<br />

cui versa l’ammasso roccioso per effetto dei ricorrenti fenomeni di deformazione gravitativa profonda.<br />

La coltre detritico-colluviale, caratterizzata da una struttura massiva di tipo matrix supported, si<br />

diversifica rispetto <strong>alla</strong> coltre eluvio-colluviale per la presenza di un’apprezzabile frazione detritica più o<br />

meno residua, che rappresenta una componente di rilievo del sedimento; la coltre detritico-colluviale è<br />

distribuita prevalentemente nelle aree di affioramento del basamento cristallino del Massiccio d’Ambin e<br />

delle unità carbonatiche del dominio brianzonese.<br />

La scelta di rappresentare in alcuni settori <strong>della</strong> carta la distribuzione <strong>della</strong> coltre eluvio-colluviale e<br />

detritico-colluviale è legata all’impossibilità oggettiva di giungere ad un’interpolazione locale affidabile<br />

del substrato pre-quaternario.


VI. - EVOLUZIONE STRUTTURALE<br />

L’evoluzione strutturale delle unità dell’arco alpino occidentale mostra una storia deformativa<br />

polifasica complessa. Ogni unità, come per l’evoluzione metamorfica (cfr. Cap. 7), mostra una evoluzione<br />

precoce indipendente mentre, col procedere <strong>della</strong> storia deformativa, lo stile di deformazione diventa via<br />

via comune per tutte le unità. Queste ultime conservano quindi solo al loro interno relitti di una<br />

evoluzione strutturale duttile polifasica complessa.<br />

Le ultime fasi deformative sono avvenute in ambiente crostale superficiale, e uno dei risultati<br />

innovativi dell’analisi condotta è stata la distinzione di importanti strutture di tipo fragile, rappresentate<br />

da piani di sovrascorrimento a basso angolo o da faglie subverticali. Queste strutture, generalmente<br />

sottostimate in tutto l’arco alpino, si sviluppano durante le fasi tardive dell’evoluzione e corrispondono<br />

abitualmente ai limiti tra le unità tettonostratigrafiche distinte sulla carta.<br />

Il quadro strutturale duttile delle unità a calcescisti del dominio piemontese è stato analizzato con<br />

grande dettaglio in lavori recenti (ALLENBACH, 1982; ALLENBACH & CARON, 1986) e non è stato quindi<br />

ripreso in questo lavoro. Nuovi dati sono stati invece raccolti per il Massiccio d’Ambin, che hanno<br />

permesso di definire un quadro deformativo duttile più dettagliato rispetto a quello proposto dagli Autori<br />

precedenti.<br />

1. - UNITA’ DELL’AMBIN<br />

L’unità dell’Ambin ha una deformazione polifasica già nota da tempo (LORENZONI, 1965; GAY, 1971;<br />

CALLEGARI et alii, 1980; ALLENBACH & CARON, 1986; BORGHI & GATTIGLIO, 1997) che può essere<br />

sintetizzata nei seguenti eventi:<br />

- evoluzione strutturale prealpina (presente solo nel complesso di Clarea);<br />

- sviluppo delle prime due fasi deformative scistogene di età alpina ad assi trasversali (F1 + F2);<br />

- traslazione delle falde alloctone al di sopra dei terreni autoctoni del Massiccio d’Ambin, associata<br />

allo sviluppo <strong>della</strong> terza fase di deformazione alpina a vergenza orientale (F3);<br />

- fasi tardive del sollevamento del massiccio caratterizzate da una generazione di pieghe a doppia<br />

vergenza centrifuga, verso Nord e verso Sud (F4).<br />

1.1. - EVOLUZIONE PREALPINA<br />

Le evidenze strutturali riferibili a deformazioni di età prealpina sono state individuate sia a <strong>scala</strong><br />

mesoscopica, sia a <strong>scala</strong> microscopica.<br />

Una prima foliazione è unicamente preservata <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> microscopica ed è definita da relitti<br />

microstrutturali quali cerniere intrafoliari, microlitoni e superfici tettoniche sigmoidali preservate<br />

all’interno dei porfiroblasti di granato.<br />

Una seconda fase deformativa con carattere fortemente traspositivo e definita da minerali sviluppatisi<br />

in facies anfibolitica, è associata ad una foliazione di piano assiale e traspone una superficie metamorfica<br />

preesistente, testimoniata d<strong>alla</strong> presenza di pieghe intrafoliali preservate solamente a <strong>scala</strong> microscopica.<br />

Questa foliazione definisce la scistosità regionale nei livelli strutturali più profondi di questo complesso.<br />

Negli ortogneiss questa foliazione è mal definita ed è sottolineata d<strong>alla</strong> orientazione preferenziale<br />

dimensionale (OPD) delle pseudomorfosi su biotite e da grosse lamelle muscovitiche che mostrano chiari<br />

segni di deformazione intracristallina. Nelle metabasiti la foliazione è definita dall’isorientazione dei<br />

nematoblasti di orneblenda e talvolta anche da un layering metamorfico definito dall’alternanza di domini<br />

anfibolici e di domini feldspatici.<br />

1.2. - EVOLUZIONE DUTTILE ALPINA<br />

La prima fase di deformazione alpina (F1) si è sviluppata in condizioni metamorfiche <strong>della</strong> facies scisti<br />

blu s.l. Nel complesso di Clarea la sua intensità di espressione è variabile ed aumenta verso i livelli<br />

strutturali più elevati. Nella parte più profonda la F1 deforma la scistosità prealpina realizzando pieghe<br />

mesoscopiche da chiuse a serrate, con piani assiali suborizzontali senza evidente sviluppo di nuove<br />

superfici metamorfiche, ed assi orientati circa N-S. Nei livelli strutturali più elevati la F1 sviluppa una


superficie di piano assiale che progressivamente traspone la precedente foliazione prealpina, conservata<br />

come relitto all’interno di microlitoni o visibile come lineazione di intersezione. Nel complesso di Ambin,<br />

la prima fase alpina (F1) è solo più riconoscibile in corrispondenza delle cerniere di piega mesoscopiche<br />

<strong>della</strong> successiva fase traspositiva (F2).<br />

La seconda fase alpina (F2) è responsabile <strong>della</strong> strutturazione meso- e megascopica e corrisponde<br />

probabilmente <strong>alla</strong> fase ad assi trasversali precoci di GAY (1972b) e CALLEGARI et alii (1980). Realizza<br />

pieghe di tipo isoclinale e sviluppa una lineazione di estensione E-W obliqua rispetto agli assi, che sono<br />

debolmente inclinati ed orientati NE-SW. La foliazione di piano assiale mostra caratteri traspositivi<br />

definiti da cerniere intrafoliari, microlitoni separati da superfici di clivaggio spaziate, fabric bimodale delle<br />

miche. Essa coincide con la scistosità principale e si è sviluppata in condizioni scisti blu a lawsonite. Le<br />

prime due fasi di deformazione alpine si sono quindi sviluppate in condizioni metamorfiche di alta<br />

pressione e bassa temperatura.<br />

La terza fase di deformazione alpina F3 (sviluppata in condizioni metamorfiche di facies scisti blu ad<br />

epidoto), risulta spesso l’elemento planare maggiormente pervasivo nei livelli strutturali più elevati del<br />

Massiccio d’Ambin ed è identificabile come una scistosità di piano assiale a marcati caratteri di slipcleavage.<br />

Gli sforzi compressivi risultano diretti da W verso E sulla base delle asimmetrie tipo Z<br />

guardando verso N disegnate dalle cerniere di piega F3, responsabili <strong>della</strong> vergenza orientale delle<br />

strutture duttili. Le pieghe F3 hanno assi orientati circa N-S ed hanno il piano assiale immergente sempre<br />

verso i quadranti occidentali, riorientato ovviamente d<strong>alla</strong> tettonica successiva, e con una caratteristica<br />

inclinazione che tende a diminuire da W verso E.<br />

La fase F3 sviluppa una scistosità di crenulazione (strain slip cleavage) il cui carattere fortemente<br />

traspositivo tende ad aumentare verso i livelli strutturalmente superiori ed è ampiamente indicato da<br />

cerniere intrafoliari e da microlitoni nei quali è conservata la precedente foliazione. Generalmente le due<br />

scistosità (S2 e S3) sono disposte a basso angolo (


lineamento fragile a carattere trascorrente diretto da N120 a submeridiano nel settore di Susa-Condove e<br />

la zona di deformazione <strong>della</strong> Valle di Susa diretta N60 che, sebbene scarsamente evidente come<br />

struttura singola, mostra di essere molto pervasiva sia nel Massiccio d’Ambin che nelle unità ofiolitiche ed<br />

oceaniche.<br />

3. - NEOTETTONICA<br />

Fra le diverse accezioni del termine, la “neotettonica” viene qui intesa come lo studio dell’evoluzione<br />

geodinamica recente esteso ad un intervallo di tempo sufficiente per inquadrare correttamente la tettonica<br />

in atto e permettere valutazioni sugli attuali tassi di deformazione crostale (VITA-FINZI, 1986). Poiché<br />

l’area considerata si estende all’interno di una catena in cui la lunga e complessa storia deformativa è<br />

ancora attiva, l’intervallo di tempo considerato non è strettamente limitato al Quaternario, ma comprende<br />

anche gli episodi deformativi tardo-cenozoici che hanno determinato l’assetto recente <strong>della</strong> catena e ne<br />

Il lavoro svolto è basato sull’analisi strutturale delle deformazioni tettoniche che interessano le<br />

formazioni superficiali o che presentano indicatori cinematici a carattere superficiale, e sullo studio di<br />

elementi geomorfologici che abbiano registrato eventi deformativi.<br />

Le evidenze strutturali, stratigrafiche e morfologiche relative all’evoluzione tettonica recente<br />

attualmente conosciute per quest’area sono concentrate lungo una fascia di ampiezza plurichilometrica a<br />

direzione N60E che comprende settori delle valli Susa e Chisone e del relativo spartiacque. Entro questa<br />

fascia sono presenti deformazioni superficiali variamente orientate e faglie subverticali a varia <strong>scala</strong> con<br />

direzioni prevalenti N60E e N120E, subordinatamente N20E e N160E (Figg. 4A, 4B, 5); nel substrato<br />

roccioso queste faglie tagliano tutte le altre discontinuità strutturali rilevabili, talvolta interessano le<br />

formazioni superficiali ed in qualche caso mostrano di aver interagito con il mo<strong>della</strong>mento erosionale. Gli<br />

stessi sistemi di discontinuità fragili più frequenti definiscono le aree di maggior concentrazione dei<br />

depositi quaternari e delimitano molti accumu- li gravitativi.<br />

Le relazioni geometriche ed i dati sulla cinematica rilevati nella media Valle di Susa indicano che le più<br />

recenti superfici di taglio del substrato roccioso sono prevalentemente dirette N60E (Fig. 4A): queste<br />

costituiscono un sistema di faglie decametriche-ettometriche particolarmente evidente nel settore sinistro<br />

<strong>della</strong> valle sui versanti del M. Clopaca - Quattro Denti, del M. Niblé e del Toasso Bianco, dove si<br />

registrano movimenti sia normali che trascorrenti; la sovraimposizione di strie meccaniche e fibre di<br />

calcite su strie in quarzo e clorite fa ritenere che i movimenti normali e sinistri postdatino le traslazioni a<br />

componente destra. La frequenza dei piani di taglio a direzione N60E decresce sul versante destro <strong>della</strong><br />

media Valle di Susa dove prevalgono invece le faglie a direzione N20E e N160E con movimenti normali<br />

e/o destri; tutti i tre sistemi sono rilevabili lungo lo spartiacque Susa-Chisone, dove imponenti fenomeni<br />

di deformazione gravitativa profonda mettono in particolare evidenza i caratteri strutturali dei principali<br />

sistemi disgiuntivi.<br />

Nelle formazioni di copertura plio-quaternarie le più frequenti deformazioni tettoniche sono state<br />

rilevate in corrispondenza dei depositi dell’Unità del Segurét - La Riposa affioranti presso l’omonimo<br />

rilievo montuoso; si tratta di faglie subverticali metriche/decametriche a direzione N120E, N60E e N20E<br />

che tagliano indistintamente anche il substrato roccioso (Fig. 4B); gli indicatori cinematici rilevati sono<br />

costituiti da strie meccaniche e di calcite fibrosa e definiscono movimenti prevalentemente normali. Le<br />

caratteristiche sedimentologiche dei lembi di brecce residuali dell’Unità del Segurét - La Riposa indicano<br />

che in prossimità dei piani di faglia il cemento carbonatico di precipitazione chimica delle brecce può<br />

essere legato a circolazione di fluidi lungo le superfici di taglio. L’espressione superficiale di queste<br />

discontinuità fragili nel settore Segurét - Vallonetto corrisponde talvolta ai limiti di depressioni e settori<br />

collassati evolutisi anche in relazione a fenomeni di dissoluzione o crollo legati a circuiti carsici.


Fig. 4. A) Proiezione stereografica dei principali elementi deformativi nel settore <strong>della</strong> media Valle di Susa. 1: faglie normali; 2: faglie trascorrenti;<br />

3: altre faglie; 4: principali sistemi di trincee di DGPV. B) Proiezione stereografica dei principali elementi deformativi nel settore Segurét-<br />

Vallonetto. 1: faglie normali; 2: faglie trascorrenti; 3: altre faglie; 4: assi delle principali strutture di collasso.


Fig. 5. Schema neotettonico e principali unità lito-strutturali.<br />

1: basamento pre-triassico e relativa copertura (unità del Massiccio d’Ambin, indifferenziate); 2: unità di calcescisti del dominio piemontese,<br />

indifferenziate; 3: unità tettonostratigrafiche inferiori di copertura carbonatica; 4: unità tettonostratigrafiche superiori di copertura carbonatica; 5:<br />

principali masse di gessi e anidriti; 6: maggiori accumuli di frana; 7: principali masse di depositi alluvionali; 8: deformazioni gravitative profonde di<br />

versante (DGPV); 9: limiti stratigrafici; 10: sovrascorrimenti; 11: contatti tettonici e faglie (certi, presunti); 12: principali sistemi di faglie trascorrenti; 13:<br />

settore in estensione <strong>della</strong> Susa-Chisone Shear Zone; 14: settori in forte subsidenza o sollevamento.<br />

Altri indizi di deformazione superficiale sono distribuiti lungo la media Valle di Susa in una fascia<br />

allungata in direzione NNE e sono collocabili dal punto di vista cronologico durante o subito dopo le fasi<br />

di mo<strong>della</strong>mento glaciale che hanno interessato l’area. Si tratta innanzitutto delle deformazioni di stile<br />

disgiuntivo che attraversano i depositi ghiaiosi stratificati dell’Unità di Seigneur allo sbocco <strong>della</strong> Val<br />

Clarea: faglie normali metriche/decametriche con direzioni N120E (inclinazione 70° -> SW) e N80E<br />

(inclinazione 45° -> S) alle quali si associano vene di estensione disposte en echelon e faglie minori<br />

decimetriche con eguale orientazione; il senso di movimento delle strutture maggiori è ricavabile


dall’uncinatura degli strati e d<strong>alla</strong> presenza di duplex estensionali, il rigetto massimo valutabile è di circa<br />

un metro. Nella stessa area si rilevano giaciture molto inclinate nella stratificazione di questi depositi, fino<br />

a valori di 50-60° -> E. Anche le superfici di mo<strong>della</strong>mento glaciale del versante sinistro <strong>della</strong> media Valle<br />

di Susa sono interessate da dislocazioni superficiali: nei pressi di Morliere la culminazione del dosso<br />

montonato è spezzata in più tronconi per effetto di piani di taglio subverticali a direzione N50E. Lo<br />

stesso accade per alcune superfici rocciose levigate e striate a NE del M. Niblè, sul cui versante<br />

meridionale si rileva anche una scarpata di faglia decametrica a direzione N60E che interrompe la<br />

continuità laterale di un argine morenico dislocandolo con un rigetto morfologico massimo di un metro.<br />

Le evidenze morfostrutturali di deformazioni superficiali sono particolarmente frequenti lungo lo<br />

spartiacque Susa-Chisone, dove si rinvengono imponenti sdoppiamenti <strong>della</strong> cresta, fratture beanti,<br />

trincee ed anche vere e proprie valli sommitali; questi fenomeni dimostrano una stretta connessione<br />

geometrica con i principali sistemi di deformazione recente del substrato: lungo il settore di spartiacque,<br />

le deformazioni gravitative profonde di versante riutilizzano prevalentemente i sistemi a direzione N60E e<br />

N160E e si sviluppano soprattutto in corrispondenza delle principali zone di taglio subverticali. Esiste<br />

quindi una forte convergenza fra le forme e le strutture causate d<strong>alla</strong> tettonica gravitativa e le<br />

manifestazioni geodinamiche di stile fragile. In altri settori del foglio l’intervento dinamico <strong>della</strong> tettonica<br />

nell’evoluzione del rilievo sembra essere manifestato d<strong>alla</strong> presenza di forme “anomale” (sensu Carraro,<br />

1976), soprattutto per quanto riguarda l’assetto del reticolato idrografico e la configurazione planoaltimetrica<br />

dei solchi vallivi. Alcune segnalazioni si riferiscono al settore <strong>della</strong> conca di Bardonecchia, già<br />

considerata “area ad idrografia centripeta” in cui confluiscono tratti d’alveo con andamento anomalo,<br />

nonché sede di fenomeni di deviazione fluviale (indizi morfologici del Col des Acles e <strong>della</strong> stretta del<br />

Bramafan) come indicato nella raccolta di elementi di neotettonica del territorio italiano (ENEL, 1981). Il<br />

condizionamento sulla morfogenesi in questo settore potrebbe essere stato esercitato dall’evoluzione<br />

tettonica esplicatasi lungo piani di taglio subverticali orientati secondo i sistemi N20-40E e N120-140E<br />

rispettivamente, discontinuità strutturali che allo stato attuale delle indagini trovano però un riscontro sul<br />

terreno solo dal punto di vista geometrico, limitatamente al substrato roccioso pre-quaternario. Un<br />

gruppo più consistente di anomalie morfologiche si ritrova nel settore centro-orientale del foglio: a partire<br />

d<strong>alla</strong> piana di Oulx-Salbertrand, il versante sinistro <strong>della</strong> media Valle di Susa presenta una serie di<br />

elementi (orrido del Rio Segurét ed alvei molto incisi degli affluenti in sinistra; valli laterali talora<br />

fortemente sospese; forme di erosione accelerata e uncinatura <strong>della</strong> direzione di deflusso nel tratto di<br />

confluenza Clarea - Dora Riparia; asimmetria dei bacini idrografici affluenti, meno sviluppati su ciascun<br />

fianco sinistro cui corrisponde un versante mediamente più acclive) che indicano con buona congruenza<br />

reciproca un possibile sollevamento differenziale dell’area, con entità decrescente in senso longitudinale<br />

da monte verso valle, ed una componente di trasferimento laterale sinistrorso parallelo all’asse vallivo<br />

principale (CARRARO, 1976). A questi fenomeni sembrano associabili per collocazione ed orientazione<br />

geometrica anche altre manifestazioni deformative superficiali a carattere locale diffuse nel tratto vallivo<br />

Exilles-Chiomonte: si tratta delle già citate dislocazioni di superfici montonate di Morliere, degli<br />

allineamenti di depressioni allungate e zone di collasso metriche/decametriche disperse nel fondovalle e<br />

sul terrazzo di Chiomonte, nonché delle numerose contropendenze che articolano i versanti <strong>della</strong><br />

profonda incisione epigenetica <strong>della</strong> Dora Riparia (tratto iniziale delle gorge di Susa).<br />

Tutte queste evidenze lasciano supporre che questo settore alpino abbia registrato episodi recenti di<br />

deformazione. L’interpretazione e la discussione delle caratteristiche degli elementi strutturali che<br />

mostrano un’evoluzione neotettonica verrà qui di seguito effettuata secondo lo schema concettuale<br />

proposto per la realizzazione <strong>della</strong> “Carta Neotettonica d’Italia” <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> 1:500.000 (AMBROSETTI et<br />

alii, 1987), distinguendo gli elementi neotettonici “lineari” da quelli “areali”.<br />

L’orientazione e la distribuzione delle deformazioni rilevate indicano in primo luogo l’esistenza di una<br />

importante deformazione neotettonica “lineare” rappresentata da una fascia di deformazione di ampiezza<br />

plurichilometrica con direzione N60E (Fig. 5) che comprende settori delle valli Susa e Chisone e del<br />

relativo spartiacque. Le più recenti deformazioni rilevate lungo questa fascia sono di stile tipicamente<br />

superficiale ed i dati di terreno indicano che esse si sono realizzate quantomeno in interazione dinamica<br />

con la sedimentazione delle formazioni pliocenico(?) - quaternarie e con il mo<strong>della</strong>mento glaciale nella<br />

media Valle di Susa. I caratteri strutturali sono compatibili con un campo deformativo indotto da una<br />

zona di taglio in transtensione orientata N60E, delimitata da faglie trascorrenti sinistre en echelon; i<br />

fenomeni di estensione bilaterale delle creste e la concentrazione di frane e deformazioni gravitative<br />

profonde che caratterizzano il settore Susa-Chisone potrebbero testimoniare che lo stesso campo di sforzi<br />

interagisce con la morfogenesi attuale (GIARDINO & POLINO, 1997).


Anche le deformazioni concentrate nel settore di Bardonecchia, meno evidenti ed estese rispetto a<br />

quelle <strong>della</strong> media Valle di Susa, sono tentativamente inquadrabili nell’ambito dell’evoluzione di elementi<br />

neotettonici lineari; in questo caso i sistemi di discontinuità strutturali N20-40E e N120-140E avrebbero<br />

accomodato un sollevamento relativo del quadrante nord-occidentale, come testimoniato d<strong>alla</strong> asimmetria<br />

dei profili trasversali vallivi e d<strong>alla</strong> distribuzione di superfici terrazzate a varia quota al margine<br />

settentrionale <strong>della</strong> conca di Bardonecchia.<br />

4. - DEFORMAZIONI GRAVITATIVE PROFONDE DI VERSANTE<br />

La media Valle di Susa è contraddistinta, oltre che da un elevato numero di accumuli di frana, talvolta<br />

di dimensioni plurichilometriche, d<strong>alla</strong> presenza di imponenti fenomeni di deformazione gravitativa<br />

profonda di versante (“DGPV”). Questi sono fenomeni di movimento in massa in cui i meccanismi di<br />

deformazione sono tali che per la loro dinamica non necessitano di una superficie o zona di rottura<br />

continua (SORRISO-VALVO, 1995). Non è inoltre necessario postulare una eventuale superficie di<br />

scorrimento continua per rendere conto delle deformazioni osservate sia in superficie che in profondità, e<br />

l’entità dello spostamento è piccola rispetto alle dimensioni del fenomeno che è paragonabile a quella del<br />

versante interessato.<br />

L’importanza del ruolo giocato da questi fenomeni di lenta e progressiva deformazione dell’ammasso<br />

roccioso nella morfogenesi dei rilievi montuosi è stata sottolineata in numerosi lavori specifici<br />

ZISCHINSKY, 1966, 1969; RADBRUCH-HALL et alii, 1978; SAVAGE & SWOLFS, 1986;<br />

VARNES et alii, 1989). Nell’arco alpino occidentale ciò è stato confermato da studi a carattere regionale<br />

(MORTARA & SORZANA, 1987; FORLATI et alii, 1995) e locale (PUMA et alii, 1989; FORLATI et alii,<br />

1991; GIARDINO & POLINO, 1997).<br />

Le DGPV coinvolgono nell’insieme il 25 % dell’area. Il riconoscimento di questi fenomeni è avvenuto<br />

sulla base del sistematico rilievo di una serie di elementi morfologico-strutturali (FIORASO, 1994; cfr. nota<br />

2) localizzati soprattutto nei settori di cresta e nella parte alta dei versanti:<br />

- “trincee”: di dimensioni variabili da metrica a decametrica con il fondo spesso riempito di materiale<br />

detritico, rappresentano l’espressione morfologica superficiale di fratture aperte in profondità sviluppate<br />

longitudinalmente per decine o centinaia di metri;<br />

- “depressioni chiuse di origine gravitativa”: avv<strong>alla</strong>menti subcircolari o subellittici, con asse di<br />

allungamento maggiore di dimensioni metriche o decametriche e profondità non superiore ad alcune<br />

decine di metri. Sono localizzate in aree caratterizzate da un elevato grado di allentamento del substrato<br />

roccioso, quali quelle interessate da fenomeni di deformazione gravitativa profonda, e rappresentano<br />

generalmente il prodotto dell’evoluzione di trincee;<br />

- “gradini di scivolamento”: rotture di pendenza del versante, generalmente nette, corrispondenti a<br />

ripidi gradini rocciosi, lungo le quali si è verificata la dislocazione del versante. A differenza del<br />

movimento con sola componente orizzontale, normale <strong>alla</strong> direzione, che caratterizza l’evoluzione d<strong>alla</strong><br />

frattura <strong>alla</strong> trincea, nel gradino di scivolamento la componente di movimento relativo dei due blocchi di<br />

roccia è prevalentemente verticale e giace sul piano stesso di scivolamento. Il gradino viene definito<br />

“mascherato” nei casi in cui la superficie in roccia sia estesamente coperta da prodotti detritico-colluviali;<br />

- “tracce di superfici di distacco gravitativo”: depressioni allungate aventi sviluppo longitudinale da<br />

decametrico a ettometrico e trasversale da metrico a decametrico, determinate dall’intersezione di un<br />

piano di scivolamento gravitativo con la superficie topografica. Questo elemento morfologico caratterizza<br />

i settori di cresta, a valle dei quali si sviluppano fenomeni di deformazione gravitativa profonda, nonché i<br />

margini laterali delle deformazioni stesse.<br />

Le fenomenologie qui descritte sono distribuite su tutta l’area del foglio (Fig. 5): tuttavia le pessime<br />

caratteristiche geomeccaniche che contraddistinguono in generale le successioni metasedimentarie a<br />

prevalenti calcescisti, fanno si che le deformazioni gravitative profonde più imponenti si registrino in<br />

particolare lungo la dorsale spartiacque che separa la Valle di Susa da quella del Chisone. Lo sviluppo di<br />

questi fenomeni è inoltre condizionato d<strong>alla</strong> presenza di alcuni sistemi di fratture a carattere regionale,<br />

localmente pervasivi, che ne controllano nell’insieme i caratteri cinematici ed evolutivi (GIARDINO &<br />

POLINO, 1997).<br />

La peculiarità dei fenomeni di DGPV risiede, oltre che nelle dimensioni, anche nei particolari<br />

meccanismi di deformazione delle masse rocciose coinvolte: l’espressione superficiale dei fenomeni<br />

individuati ha permesso di identificare porzioni di versante caratterizzati da stili e tipologie di<br />

deformazione alquanto diversificati. Nei settori di cresta la deformazione di versante è morfologicamente<br />

espressa dallo sviluppo di una serie di sdoppiamenti di cresta per effetto di trincee e di depressioni chiuse,


particolarmente estesi lungo la dorsale Susa-Chisone, con dislocazioni dei settori più elevati dei versanti<br />

variabile dalle decine fino ad un centinaio di metri e sviluppo longitudinale chilometrico. Tali elementi<br />

rappresentano l’emersione di superfici di scivolamento lungo le quali avviene la deformazione del<br />

versante. Tale deformazione avviene a scapito dei sistemi di discontinuità esistenti, generalmente a<br />

direzione N60E. Tali manifestazioni possono essere indicate come spandimenti laterali delle creste<br />

(“lateral spread of ridges”) nelle quali prevale un comportamento “fragile” dell’ammasso roccioso. Altri<br />

esempi a questo riguardo sono collocati nel settore delle Casses Blanches (sinistra orografica <strong>della</strong> media<br />

Valle di Susa) e, poco a valle di questo, lungo la cresta M. Clopaca - Cima del Vallone - Quattro Denti.<br />

Nei settori altimetricamente più bassi dei versanti i fenomeni di deformazione sono morfologicamente<br />

espressi da rigonfiamenti e ondulazioni a grande <strong>scala</strong>, localmente sottolineati da depressioni chiuse (es.<br />

Serre la Voûte, Val Fredda, settore di Sauze d’Oulx). Inoltre non si osserva, se non in rari casi, la<br />

presenza di superfici o zone di rottura continue lungo il versante. Tali fenomenologie, riconducibili ai<br />

“sakung” (dominati da deformazione di tipo “duttile”), rappresentano un diverso tipo di risposta <strong>alla</strong><br />

deformazione indotta dal movimento gravitativo profondo. I grandi rigetti osservabili lungo i settori di<br />

cresta sono infatti la risultante dei movimenti che avvengono nella parte inferiore del versante, dove la<br />

deformazione dell’ammasso roccioso non avviene lungo piani di deformazione preferenziali, ma per<br />

mezzo di spostamenti differenziali che coinvolgono l’intero ammasso roccioso.


VII. - EVOLUZIONE METAMORFICA<br />

L’analisi petrografica e microstrutturale ha evidenziato, analogamente agli altri settori delle Alpi<br />

occidentali un’evoluzione metamorfica polifasica contraddistinta da due cicli metamorfici principali<br />

caratterizzati da differenti gradienti geotermici:<br />

1) un ciclo metamorfico prealpino, probabilmente di età varisica, caratterizzato da associazioni in<br />

facies anfibolitica prevalente e relitti di un evento di alta pressione; le sue evidenze sono presenti solo<br />

all’interno del complesso di Clarea del Massiccio d’Ambin e nelle scaglie di basamento alloctono<br />

rappresentate dai micascisti dei Forneaux;<br />

2) un ciclo metamorfico alpino, caratterizzato da un primo evento di alta pressione e bassa<br />

temperatura e da un secondo evento di bassa pressione e basso grado. A sua volta nell’evento di alta<br />

pressione sono state distinte associazioni in facies scisti blu a lawsonite e in facies scisti blu ad epidoto<br />

(sensu EVANS, 1990).<br />

1. - CICLO METAMORFICO PREALPINO<br />

Gli originali rapporti tra le fasi metamorfiche prealpine sono ancora ben preservati nei livelli strutturali<br />

più profondi del complesso di Clarea. Sulla base dei dati microstrutturali, le fasi osservate sono state<br />

raggruppate in due paragenesi principali (Fig. 6). Le prima rappresenta un probabile evento metamorfico<br />

prealpino di alta pressione, mentre la seconda è associata al successivo evento di medio grado<br />

metamorfico.<br />

L’evento metamorfico prealpino di alta pressione è testimoniato d<strong>alla</strong> presenza di rutilo al nucleo di<br />

titanite e, all’interno delle metabasiti, da porfiroclasti di granato in parte sostituiti da strutture coronitiche<br />

a epidoto + albite. L’assenza di pirosseno sodico o del prodotto <strong>della</strong> sua alterazione suggerisce un picco<br />

barico di 9-12 kbar sulla base dei dati sperimentali di POLI (1993) e LIU et alii (1996). La temperatura<br />

probabilmente non superò i 650°C in base all’assenza di evidenze di fusione parziale nelle metapeliti.<br />

Questo evento metamorfico di alta pressione è seguito da una fase decompressionale sviluppatasi in<br />

condizioni isotermiche.


Fig. 6. Schema <strong>della</strong> successione delle associazioni mineralogiche caratterizzanti l’evoluzione metamorfica prealpina.<br />

Il secondo evento metamorfico prealpino si sviluppa in facies anfibolitica ed è definito d<strong>alla</strong> paragenesi<br />

Ms-Bt-Grt-St-Al 2O 3 nelle metapeliti e Hbl-Pl-Ep-Ttn nelle metabasiti. La presenza di Ep-anfiboliti implica<br />

una temperatura compresa tra la curva di destabilizzazione <strong>della</strong> clorite e quella <strong>della</strong> scomparsa<br />

dell’epidoto. Questo intervallo di temperatura coincide con il campo di stabilità <strong>della</strong> staurolite.<br />

Applicando il geotermometro Bt/Grt secondo varie calibrazioni (KLEEMANN & REINHARDT,1994;<br />

PERCHUK & LAVRENT’EVA, 1983; FERRY & SPEAR, 1978; HODGES & SPEAR, 1982; INDARES &


MARTIGNOLE, 1985; BHATTACHARYA et alii, 1992) è stato ottenuto un intervallo di temperatura<br />

compreso tra 570°-660°C, per una pressione di riferimento di 5 kbar. Le stime <strong>della</strong> pressione ottenute<br />

MASSONNE & SCHREYER (1987), basato sul contenuto in fengite<br />

delle miche bianche, indicano un intervallo compreso tra 4 e 6 kbar. Questo evento metamorfico si è<br />

sviluppato in condizioni di medio grado e media-bassa pressione, consistenti con un regime di collisione<br />

(THOMPSON & ENGLAND, 1984).<br />

2. - CICLO METAMORFICO ALPINO<br />

Il ciclo metamorfico alpino è caratterizzato da un primo evento di alta pressione che è stato registrato<br />

da gran parte delle unità tettonostratigrafiche descritte ad eccezione delle Unità dello Chaberton - Grand<br />

Hoche - Grand Argentier e dei Re Magi, che sono totalmente prive di evidenze metamorfiche di alta<br />

pressione. Questo primo evento può raggiungere la facies scisti blu ad epidoto (unità di crosta<br />

continentale dell’Ambin, unità ofiolitiche <strong>della</strong> Roche de l’Aigle, di Cerogne - Ciantiplagna e<br />

dell’Albergian, unità di margine continentale del Vallonetto). Tutte le altre unità sono caratterizzate da un<br />

evento in facies scisti blu a lawsonite.<br />

Il secondo evento metamorfico, sviluppatosi in facies scisti verdi, risulta comune a tutte le unità, ad<br />

eccezione delle unità dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier e dei Re Magi, che mostrano<br />

Sulla base dell’evoluzione metamorfico-strutturale, le unità tettonostratigrafiche del Foglio<br />

“Bardonecchia”, possono essere raggruppate in tre Complessi Tettono-Metamorfici (CTM) (Fig. 7),<br />

costituiti da una o più unità, mostranti un’evoluzione metamorfica comune.<br />

Questi CTM si succedono dal basso verso l’alto strutturale e dall’interno verso l’esterno <strong>della</strong> catena.<br />

Il CTM più interno e contemporaneamente più profondo è caratterizzato da un primo evento<br />

metamorfico di alta pressione in facies scisti blu ad epidoto e da un secondo evento metamorfico di bassa<br />

pressione in facies scisti verdi. Esso comprende le unità dell’Ambin, del Vallonetto, <strong>della</strong> Roche de<br />

l’Aigle, di Cerogne - Ciantiplagna e dell’Albergian. In posizione tettonicamente più elevata segue il<br />

secondo CTM mostrante un primo evento in facies scisti blu a lawsonite ed un secondo evento di bassa P<br />

in facies scisti verdi. Esso comprende le unità di Valfredda, del Vin Vert, del Lago Nero e di Puys -<br />

Venaus. Infine il terzo CTM, ubicato nel settore più esterno e tettonicamente più elevato, è caratterizzato<br />

da un evento di grado molto basso. A quest’ultimo CTM appartengono le unità tettonostratigrafiche dello<br />

Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier e dei Re Magi.


Fig. 7. Distribuzione delle associazioni metamorfiche prevalenti riportata sullo schema strutturale <strong>della</strong> carta geologica. 1: Complesso tettonometamorfico<br />

in facies anchimetamorfica (grado metamorfico molto basso); 2: Complesso tettonometamorfico in facies scisti blu a lawsonite, con parziale<br />

riequilibrazione in facies scisti verdi; 3: Complesso tettonometamorfico in facies scisti blu a epidoto, con parziale riequilibrazione in facies scisti verdi; 4:<br />

aree a prevalente metamorfismo prealpino in facies anfibolitica nel complesso polimetamorfico di Clarea; 5: gessi.<br />

2.1. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE A LAWSONITE<br />

L’evento di alta pressione a lawsonite (Fig. 8) è caratterizzato d<strong>alla</strong> paragenesi Qtz-Ph-Pg-Chl-Lws-<br />

Cld-Gln-Rt nelle metapeliti e d<strong>alla</strong> paragenesi Gln-Lws-Ab-Ttn nelle metabasiti. Le condizioni P/T sono<br />

vincolate d<strong>alla</strong> associazione Lws-Gln-Ph-Pg in assenza di epidoto (Fig. 9). In particolare la stabilità <strong>della</strong><br />

lawsonite implica che il picco metamorfico non abbia mai superato la sua curva di destabilizzazione e che<br />

pertanto la T sia sempre rimasta inferiore ai 400 °C. Inoltre la coesistenza di glaucofane e paragonite<br />

indica pressioni comprese tra 11 e 13 kbar, in accordo con il contenuto in Si (3.4-3.5 atomi p.f.u.) nella


mica bianca (Fig. 9). La distribuzione delle paragenesi riferite a questo ambiente metamorfico non è<br />

omogenea.<br />

Fig. 8. Schema <strong>della</strong> successione delle associazioni mineralogiche caratterizzanti l’evoluzione metamorfica alpina<br />

Nelle unità del secondo CTM questo stadio risulta sin-cinematico rispetto allo sviluppo <strong>della</strong> foliazione<br />

tettonica regionale e rappresenta pertanto il picco metamorfico dell’evento alpino di alta pressione e bassa<br />

temperatura. Viceversa, all’interno del primo CTM la facies scisti blu a lawsonite è associata a una<br />

foliazione tettonica relitta preservata unicamente in microlitoni S1 all’interno <strong>della</strong> foliazione principale<br />

S2 che si è sviluppata in facies scisti blu ad epidoto.<br />

2.2. - ASSOCIAZIONI DI ALTA PRESSIONE AD EPIDOTO<br />

Un evento di alta pressione caratterizzato d<strong>alla</strong> associazione Qtz-Ph-Pg-Chl-Gln-Cld-Rt-Zo nelle<br />

metapeliti e d<strong>alla</strong> associazione Gln-Ph-Grt-Qtz-Rt-Zo nelle metabasiti (Fig. 9) è ben visibile nel primo<br />

CTM, dove definisce la paragenesi sin-cinematica rispetto <strong>alla</strong> scistosità principale S2. L’assenza di<br />

granato nelle metapeliti e dell’associazione granato - pirosseno sodico nelle metabasiti implica che la<br />

transizione scisti blu-eclogiti (Gln + Ep = Omph + Grt + H 2O) non è mai stata raggiunta, anche se in<br />

alcune rocce basiche dell’unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle è stato osservato clinopirosseno sodico relitto,<br />

parzialmente trasformato in glaucofane. La presenza di epidoto in assenza di lawsonite implica T<br />

superiori ai 400 °C (Fig. 9). Tuttavia, l’assenza di granato nelle metapeliti indica T al di sotto del suo<br />

campo di stabilità che, per composizioni compatibili con il sistema pelitico, si colloca attorno ai 500 °C. In<br />

Fig. 9 sono riportate le curve di equilibrio delle reazioni 8-9 e 12, che generano granato a spese di<br />

glaucofane, cloritoide o di entrambi.


L’evento di alta pressione è seguito da una fase decompressionale comune a tutte le unità<br />

metamorfiche. Durante questo stadio decompressionale le fasi sodiche di alta pressione vengono<br />

sostituite da albite mediante l’attivazione <strong>della</strong> reazione decompressionale Gln + Pg + H 2O = Ab + Chl +<br />

Qtz (curva 7 in Fig. 9), mentre la mica bianca si impoverisce in molecola celadonitica. Parte del<br />

glaucofane si è probabilmente destabilizzato anche mediante l’attivazione <strong>della</strong> reazione Gln + Pg + Qtz =<br />

Alm + Ab + H 2O (curva 9 in Fig. 9), come testimonia il frequente ritrovamento di piccoli cristalli di<br />

granato euedrale (Alm 67-Pyr 7-Sps 5-Grs 21) inclusi in albite peciloblastica.<br />

2.3. - EVENTO DI BASSA PRESSIONE<br />

Successivamente si è sviluppato il secondo evento metamorfico che mostra condizioni di medio-basso<br />

grado e bassa pressione (Fig. 8). Il suo picco è caratterizzato d<strong>alla</strong> associazione Ab-Grt-Bt nelle<br />

metapeliti e Ab - Ca-anfibolo - Chl - Czo nelle metabasiti. Il granato di età alpina è stato attribuito a<br />

questo evento poiché si è sviluppato in rocce che mostrano una forte sovraimpronta decompressionale<br />

definita d<strong>alla</strong> destabilizzazione di glaucofane, cloritoide e mica bianca e d<strong>alla</strong> conseguente crescita di<br />

albite. La crescita <strong>della</strong> coppia Grt-Bt nelle metapeliti può essere avvenuta anche a spese di Chl + Mb<br />

(reazione 10 Fig. 9). A sua volta la mica bianca mostra un contenuto in silicio molto basso (3.10-3.15<br />

atomi p.f.u.). Nelle metabasiti durante la fase decompressionale avviene il passaggio d<strong>alla</strong> facies scisti blu<br />

<strong>alla</strong> facies scisti verdi, con la sostituzione del glaucofane da parte di anfibolo attinolitico (Gln + Czo +<br />

Qtz + H 2O = Ab + Tr + Chl) (curva 11 di Fig. 8). La stabilità di Ca-anfibolo nelle metabasiti può indicare<br />

che è stata superata anche la curva di transizione facies scisti verdi-facies anfibolitica. Stime<br />

geotermometriche basate sulla coppia Bt/Grt secondo varie calibrazioni (KLEEMANN &<br />

REINHARDT,1994; PERCHUK & LAVRENT’EVA, 1983; FERRY & SPEAR, 1978; HODGES & SPEAR, 1982;<br />

INDARES & MARTIGNOLE, 1985; BHATTACHARYA et alii, 1992) hanno fornito T comprese tra i 500 e<br />

540 °C. Per queste stime sono state utilizzate la composizione del nucleo del granato tardo-alpino, che<br />

non è stata modificata dal processo di diffusione retrograda, e la composizione di biotite cresciuta nella<br />

matrice foliata, in prossimità, ma non a contatto con il granato. In questo modo, le stime termometriche<br />

prodotte possono effettivamente rispecchiare le condizioni di picco metamorfico.<br />

Le stime di pressione per l’evento meso-alpino sono state determinate applicando il metodo di BROWN<br />

(1977), basato sulla composizione dell’anfibolo calcico nelle metabasiti. Sono state ottenute P comprese<br />

tra 3 e 5 kbar.<br />

Fig.9. Griglia petrogenetica e stima delle condizioni metamorfiche per il primo (puntinato) ed il secondo (tratteggio orizzontale) evento alpino. 1: Campo di<br />

stabilità per la facies scisti blu a lawsonite (LBS) ed a epidoto (EBS) secondo EVANS (1990), 2: HOLLAND (1980), 3: HEINRICH & ALTHAUS (1980), 4: curve<br />

kD per il geotermometro Grt/Ph secondo la calibrazione di GREEN & HELLMANN (1982), 5: isoplete del tenore in Si nella mica fengitica (MASSONNE &<br />

SCHREYER , 1987), 6 - 7: GUIRAUD et alii, (1990), 8 - 9 - 10: POWELL & HOLLAND (1990), 11: transizione scisti blu/scisti verdi (MARUYAMA et alii, 1986),<br />

12: curve kD per il geotermometro Grt/Bt 13: NITSCH (1971), 14: transizione Act/Hbl nel sistema basico (ERNST , 1979), 15: RAO & JOHANNES (1979). Le<br />

frecce indicano la traiettoria di esumazione seguita tra il primo ed il secondo evento metamorfico alpino.


3. - RICOSTRUZIONE DELLA TRAIETTORIA P-T ALPINA DEL MASSICCIO D’AMBIN<br />

La traiettoria di esumazione alpina proposta per il Massiccio d’Ambin è caratterizzata da due eventi<br />

metamorfici, separati da un tratto decompressionale durante il quale si è avuto un leggero aumento <strong>della</strong><br />

temperatura. Il picco termico del secondo evento si è infatti sviluppato a basse P ma a T leggermente<br />

superiori a quelle del primo evento, con un forte aumento del gradiente termico. L’evoluzione del<br />

Massiccio d’Ambin può pertanto venir suddivisa in un primo stadio caratterizzato da un gradiente termico<br />

molto basso (ca. 10°C/km) che è compatibile con un regime di subduzione di litosfera (THOMPSON &<br />

ENGLAND, 1984), seguito da un secondo stadio caratterizzato da un progressivo aumento del gradiente<br />

fino a raggiungere valori attorno a 45°C/km in corrispondenza del picco termico, caratteristici di un<br />

regime di collisione continentale che ha portato ad un forte ispessimento crostale ed all’interruzione <strong>della</strong><br />

subduzione. Il carattere quasi isotermo del tratto decompressionale può venir messo in relazione a<br />

velocità di esumazione alte, giustificabili con i dati litostratigrafici e geocronologici di letteratura.<br />

All’evento in facies scisti blu, caratteristico delle unità pennidiche più esterne delle Alpi occidentali, viene<br />

infatti generalmente attribuita un’età radiometrica attorno a 60 Ma (per una discussione generale vedi<br />

HUNZIKER et alii, 1992 e relativa bibliografia), compatibile con l’età Paleocenica delle coperture<br />

sedimentarie <strong>della</strong> Zona Brianzonese, mentre un’età di circa 40 Ma è riportata per la sovraimpronta<br />

termica mesoalpina (BOCQUET et alii, 1974; MONIE’, 1990). L’intervallo di tempo tra i due picchi<br />

metamorfici è pertanto ridotto (circa 20 Ma). Per giustificare una risalita di circa 25-30 km durante<br />

questo intervallo di tempo è quindi necessario assumere una velocità media di esumazione di circa 1,5<br />

mm/anno, che porta ad una traiettoria decompressionale adiabatica.<br />

4. - CARATTERIZZAZIONE ISOTOPICA DI METACARBONATI DELL’ALTA VALLE DI SUSA<br />

Le variazioni dei tenori degli isotopi stabili 13C e 18O nei carbonati metamorfici forniscono indicazioni,<br />

seppur a livello qualitativo, sulle riequilibrazioni legate a variazioni termiche, sulle interazioni fluidoroccia<br />

e sui possibili caratteri ereditati dall’evoluzione pre-metamorfica. Al fine di ottenere ulteriori<br />

informazioni sull’evoluzione geochimica dei metasedimenti carbonatici affioranti nell’area del foglio, sono<br />

stati analizzati i rapporti isotopici di 13C e 18O in litotipi carbonatici delle unità di Puys-Venaus, Roche de<br />

l’Aigle, Vin Vert, Lago Nero, Re Magi, Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier, Valfredda,<br />

Vallonetto e Gad. Sono state inoltre analizzate vene e fibre calcitiche sviluppate all’interno delle unità del<br />

Lago Nero e dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier.


Fig. 10. δ18O vs. δ13C in carbonati appartenenti alle unità oceaniche in cui si denota un progressivo impoverimento in isotopi pesanti; il diagramma<br />

riporta anche le composizioni di carbonati di vena.<br />

I risutati delle analisi, riportati sui diagrammi di Fig. 10 e 11, mettono in evidenza la caratterizzazione<br />

isotopica delle differenti unità e permettono la formulazione di alcune considerazioni preliminari.<br />

L’unità di Puys-Venaus e quella del Lago Nero (Fig. 10) mostrano di aver subito significativi scambi<br />

tra roccia e fluidi. La linea evolutiva delineata dalle composizioni isotopiche registrate in queste unità è<br />

caratterizzata da un progressivo impoverimento in isotopi pesanti. Tale andamento lascia supporre una<br />

graduale modificazione del carbonato sedimentario d’origine da parte di fluidi aventi probabilmente<br />

un’origine comune, sebbene a T di metamorfismo e rapporti fluido/roccia differenti. Le vene campionate<br />

tendono ad ereditare la composizione isotopica <strong>della</strong> roccia incassante.<br />

Anche le unità <strong>della</strong> Roche de l’Aigle e del Vin Vert (Fig. 10) fanno registrare composizioni isotopiche<br />

che nel complesso si allineano con lo stesso trend: nel dettaglio i campioni relativi all’unità <strong>della</strong> Roche de<br />

l’Aigle mostrano di aver risentito solo debolmente <strong>della</strong> riequilibrazione isotopica metamorfica, un più<br />

marcato impoverimento in 18O viene invece osservato nei litotipi appartenenti all’unità del Vin Vert, ad<br />

indicare un più intenso grado di riequilibrazione metamorfica.


Fig. 11. δ18O vs. δ13C in carbonati appartenenti alle unità di margine continentale, sono indicate le composizioni di carbonati di vena e di calcite fibrosa.<br />

Per alcuni campioni relativi alle unità di Val Fredda, Gad e Vallonetto sono stati inoltre riportati i valori relativi <strong>alla</strong> frazione dolomitica.<br />

L’unità dello Chaberton - Grand Hoche - Grand Argentier (Fig. 11) appare essere scarsamente<br />

modificata da riequilibrazioni isotopiche sin e post-metamorfiche, ma è interessante notare come alcune<br />

delle vene analizzate siano costituite da un carbonato la cui composizione sembra allinearsi con<br />

l’andamento già riscontrato nelle unità sottostanti. I fluidi responsabili delle riequilibrazione isotopica<br />

dell’incassante e <strong>della</strong> precipitazione del carbonato di vena sembrano quindi avere un’origine comune. In<br />

altri casi, la forte somiglianza composizionale tra vene ed il relativo incassante testimoniano intensi<br />

processi di interazione fluido-roccia in cui prevale l’impronta isotopica <strong>della</strong> roccia ospite. Alcuni<br />

riempimenti di vena e calciti fibrose mostrano invece caratteri geochimici sostanzialmente diversi da


quanto precedentemente osservato in quanto mantengono un rapporto del 13C sostanzialmente immutato<br />

rispetto all’incassante, ma s’impoveriscono drasticamente in 18O in risposta o a variazioni di T o ad una<br />

precipitazione, in sistema chiuso, da una soluzione progressivamente impoverita in 18O.<br />

L’unità dei Re Magi (Fig. 11) mostra un andamento dei valori isotopici caratterizzato da un più netto<br />

impoverimento in 18O rispetto a quanto mostrato dalle altre unità; il valore estremamente negativo fatto<br />

registrare da un campione di dolomia rubefatta potrebbe essere giustificato dal sovrapporsi <strong>della</strong><br />

riequilibrazione isotopica metamorfica ad un carbonato già originariamente impoverito in isotopo pesante<br />

a causa di una diagenesi in presenza di acque meteoriche e/o continentali.<br />

L’unità di Valfredda (Fig. 11) mostra una dispersione di valori che sembra essere il risultato del<br />

sovrapporsi di molteplici processi di riequilibrazione isotopica in un sistema fortemente variabile dal<br />

punto di vista chimico-fisico. Una ulteriore giustificazione all’eterogeneità composizionale riscontrata in<br />

quest’unità è data dal fatto che sono stati analizzati campioni di brecce in cui, alle prevedibili differenze<br />

riscontrabili tra carbonato costituente i clasti e quello <strong>della</strong> matrice, si sono probabilmente sovrapposti<br />

numerosi processi d’interazione con fluidi di varia provenienza in sede pre e sin-metamorfica.<br />

Le unità del Vallonetto e di Gad (Fig. 11) mostrano un’evoluzione in parte confrontabile con quella<br />

osservata per le unità del Lago Nero e di Puys-Venaus, ma caratterizzata da un più limitato<br />

impoverimento in 13C. La frazione dolomitica all’interno dei campioni appartenenti alle due unità è nella<br />

maggior parte dei casi arricchita in isotopi pesanti rispetto a quella calcitica: viene dunque mantenuta una<br />

caratteristica geochimica propria dei carbonati sedimentari, sebbene le composizioni siano state traslate<br />

verso valori di δ isotopico più negativi dagli scambi con i fluidi che hanno operato nel sistema. La<br />

riequilibrazione isotopica tra le due fasi minerali non è, in questo caso, un indice significativo delle T<br />

raggiunte nel metamorfismo.<br />

I risultati ottenuti tramite le analisi isotopiche hanno dunque evidenziato l’esistenza di un diverso<br />

grado d’evoluzione geochimica nelle varie unità. Le riequilibrazioni isotopiche legate alle modificazioni<br />

termiche metamorfiche mostrano nella maggior parte dei casi di risentire delle interazioni tra la roccia e<br />

fluidi la cui circolazione sembra non essere stata uniforme né <strong>alla</strong> <strong>scala</strong> regionale né a quella <strong>della</strong> singola<br />

unità, come anche testimoniato dalle forti differenze composizionali registrate nei diversi sistemi di vene<br />

campionati.


VIII. - EVENTI ALLUVIONALI<br />

A partire dal secolo scorso, per il settore dell’alta Valle di Susa comprendente i comuni di<br />

Bardonecchia, Oulx, Salbertrand, Exilles, Chiomonte, Gravere e Giaglione, si hanno informazioni<br />

riguardo a 121 eventi di instabilità naturale, datati.<br />

Grande incidenza, dal punto di vista dei danni, hanno le piene di tipo torrentizio (43% del totale);<br />

anche prendendo in esame esclusivamente i processi che hanno causato danni strutturali o funzionali ad<br />

aree urbanizzate, la maggior percentuale dei dissesti è legata a processi di tipo torrentizio (42% dei casi);<br />

seguono i movimenti di versante (complessivamente pari al 36%, con l’11% ascrivibile a frane di crollo) e<br />

le piene lungo i fondivalle (26%).<br />

Dal punto di vista <strong>della</strong> stagionalità degli eventi, si osserva una loro maggiore frequenza nel mese di<br />

maggio (20%); seguono giugno (13%), ottobre (11%) e luglio (10%); per i restanti mesi la percentuale<br />

oscilla tra un minimo di 7,3% ed un massimo di 8,1%, mentre molto meno rappresentati sono i mesi di<br />

febbraio (4%) e gennaio (nessun evento).<br />

Poiché anche selezionando esclusivamente gli eventi che hanno coinvolto aree edificate o che hanno<br />

danneggiato in modo grave infrastrutture e opere viarie il numero dei casi è superiore a 40, si è ritenuto<br />

che la tabella riportata a fine testo offra un quadro sufficientemente significativo e completo <strong>della</strong><br />

situazione di dissesto nel tratto vallivo considerato, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione<br />

geografica e temporale degli eventi, nonché la gravità dei singoli fenomeni, implicitamente ricavabile d<strong>alla</strong><br />

tipologia dei danni associati.<br />

Se si considerano gli eventi che hanno coinvolto aree urbanizzate o singoli edifici la frequenza media<br />

nel periodo compreso tra il 1840 ed il 1993 è di un evento ogni 5,9 anni. Se si considerano anche gli<br />

eventi che hanno danneggiato gravemente le infrastrutture e la viabilità, si ha, per lo stesso periodo, un<br />

evento ogni 4,5 anni.<br />

Si può osservare inoltre che esistono periodi in cui gli intervalli tra gli eventi significativi sono di 1-2<br />

anni, o addirittura di pochi mesi: tra il 1866 ed il 1876 si registrarono 5 eventi coinvolgenti il comune di<br />

Bardonecchia; tra il 1948 ed il 1957 si verificarono più di 10 eventi.<br />

A partire dagli anni ‘60 la media degli eventi con coinvolgimento di aree urbanizzate è scesa ad 1 ogni<br />

7 anni.<br />

I territori comunali maggiormente colpiti sono quelli di Bardonecchia e Oulx, che complessivamente<br />

coprono più del 50% dell’area presa in esame.<br />

L’abitato di Bardonecchia è soggetto soprattutto a processi di tipo torrentizio legati ai torrenti Rho,<br />

Fréjus e, subordinatamente, Valle Stretta e Rochemolles.<br />

Particolarmente frequenti sono risultate le piene del torrente Rho che fino agli anni ‘50, e soprattutto<br />

nel periodo compreso tra il 1860 ed il 1880, ricorrentemente causarono all’abitato danni talora anche<br />

gravi. In particolare si ricorda l’evento del 25 maggio 1873, in cui il torrente Rho distrusse molte<br />

abitazioni in regione Bertrand e, dove sorge l’attuale Palazzo delle Feste, venne distrutta la cappella detta<br />

del S. Sepolcro o di S. Croce. Altri eventi, sempre legati al torrente Rho, si susseguirono tra il 1873 e il<br />

1880 e coinvolsero più o meno gravemente il capoluogo (in particolare un trasporto in massa verificatosi<br />

tra settembre e ottobre 1880 causò gravissimi danni al Borgo Vecchio).<br />

Ancor prima, il 20 maggio 1728, un trasporto in massa, riattivò, a partire dall’apice del conoide,<br />

antichi canali in sinistra orografica, investendo il Borgo Vecchio, con deposito di molto materiale entro<br />

gli stessi edifici.<br />

A partire dai primi decenni di questo secolo iniziarono i lavori di regimazione e di sistemazione che<br />

probabilmente concorsero a limitare il numero degli eventi di piena non contenuti: infatti in base ai dati<br />

disponibili a partire dagli anni’ 60 non vennero più registrati danni significativi, pur permanendo quella del<br />

Rho una situazione ad alto rischio, che ha condotto fino agli ‘90 <strong>alla</strong> realizzazione di interventi di<br />

regimazione.<br />

L’altro comune per cui si ha il maggior numero di informazioni è Oulx, il cui abitato si sviluppa per<br />

gran parte lungo la Dora Riparia, poco a monte <strong>della</strong> confluenza nella Dora di Bardonecchia.<br />

Per quanto riguarda i danni causati d<strong>alla</strong> Dora Riparia sono da ricordare soprattutto gli eventi del<br />

maggio 1728 e del giugno 1957 e, secondariamente, quello del maggio 1948.


I primi due causarono danni estremamente gravi, conseguenti sia a processi di piena <strong>della</strong> Dora Riparia<br />

e, subordinatamente, <strong>della</strong> Dora di Bardonecchia, sia a numerosi trasporti in massa con riattivazioni di<br />

conoidi.<br />

In entrambi i casi venne pesantemente colpita la zona che si sviluppa entro il fondovalle <strong>della</strong> Dora<br />

Riparia (in particolare durante l’evento del 1728 venne gravemente danneggiato il complesso abbaziale<br />

dell’antica Prevostura), ma gli effetti si risentirono in tutta l’alta valle: si registrarono piene lungo i<br />

fondivalle, processi torrentizi lungo i numerosi apparati di conoide e la riattivazione dei grandi movimenti<br />

di versante conosciuti come “frana di Serre la Voûte” e “del Cassas”, in comune di Salbertrand. La prima<br />

segnalazione di movimenti presso Serre la Voûte risale all’alto medio evo (presso la frazione Eclause, in<br />

sinistra orografica) e al 1728 risale la formazione di un lago temporaneo immediatamente a monte <strong>della</strong><br />

stretta, a causa <strong>della</strong> riattivazione di movimenti gravitativi sul versante destro. Nel 1957 il collasso <strong>alla</strong><br />

base del pendio in sinistra idrografica innescato da processi di erosione da parte <strong>della</strong> Dora determinò<br />

l’asportazione di circa 300 m <strong>della</strong> Strada Statale 24 del Monginevro. Per quanto riguarda la frana del<br />

Cassas le prime informazioni di movimenti di versante risalgono proprio al 1728, mentre durante l’evento<br />

del 1957 i movimenti furono consistenti e determinarono l’attuale conformazione fenomeno gravitativo<br />

stesso.<br />

Sia l’evento del 1728, sia quello del 1957, ricordati come i più gravi per la Val di Susa, si verificarono<br />

per la somma di apporti legati a precipitazioni liquide ed <strong>alla</strong> fusione dell’abbondante manto nevoso<br />

ancora presente sui versanti.<br />

A valle di Oulx a causa del restringimento <strong>della</strong> valle principale i centri abitati, ad eccezione di alcune<br />

borgate poste in fondovalle o lungo i conoidi e pertanto soggette a processi fluvio-torrentizi, si<br />

sviluppano essenzialmente sui versanti per cui i danni segnalati a spese <strong>della</strong> viabilità e dei singoli edifici<br />

sono essenzialmente attribuibili a movimenti gravitativi.<br />

Una sintesi degli eventi, limitata ai casi in cui sono state interessate le aree urbanizzate o si sono<br />

verificati gravi danni a infrastrutture e viabilità, è rappresentata nella tabella fuori testo, in cui sono<br />

indicate, per data, rispettivamente le singole località colpite, i processi e i danni.<br />

Le informazioni sono ricavate dagli archivi del Sistema Informativo Geologico <strong>della</strong> Regione<br />

Piemonte.


IX. - RISORSE MINERARIE ED ATTIVITA’ ESTRATTIVE<br />

La media Valle di Susa è sempre stata povera di risorse minerarie e di materiali.<br />

A parte qualche notizia storica di ricerche di galena argentifera nel Massiccio d’Ambin (miniere dei<br />

Saraceni) con limitatissimi sfruttamenti verso la fine del secolo scorso, di rame e di minerali ferrosi, non si<br />

ha notizia di coltivazioni importanti nell’area del foglio.<br />

L’unico giacimento che abbia conosciuto qualche successo è quello di Grange d’Himbert, sfruttato tra<br />

il 1940 ed il 1953. Si tratta di una mineralizzazione piritoso-cuprifera stratiforme associata a quarziti<br />

(LEARDI & NATALE, 1985) entro i metasedimenti dell’unità di Cerogne-Ciantiplagna.<br />

Altre coltivazioni di qualche interesse economico sono state in passato le cave di gesso di Les Arnauds<br />

e di Savoulx, sfruttate tra la fine del secolo scorso e l’inizio degli anni ‘60 (LOMAGNO, 1992).<br />

Per quanto concerne i materiali da costruzione è conosciuta una piccolissima cava di oficalci, usata<br />

come pietra ornamentale, ubicata al fondo del Vallone del Fréjus, ed ora inattiva.<br />

Negli ultimi anni, in occasione degli imponenti lavori di ingegneria civile che si sono fatti nell’area<br />

(Traforo autostradale e autostrada del Fréjus), ha conosciuto un qualche risveglio l’attività estrattiva di<br />

ghiaie ed inerti per costruzione nell’alveo <strong>della</strong> Dora nella piana di Salbertrand.


X. - BIBLIOGRAFIA<br />

AA.VV. (1992) - Carta Geologica d’Italia 1:<strong>50.000</strong> - Guida al Rilevamento. Quaderni SGN, serie III, 1, pp. 203.<br />

AA.VV. (1996) - Rischi generati da grandi movimenti franosi. Studio comparato di 4 siti nelle Alpi franco-italiane. Testo di raccomandazioni. Regione<br />

Piemonte e Université J. Fourier. Programma INTERREG I, pp. 208.<br />

AIQUA (1982) - Relazione sul tema “Il Pleistocene medio in Italia”. Geogr. Fis. Dinam. Quat., 5 (1): 242-243.<br />

ALLENBACH B. (1982) - Géologie de la bordure SW du massif d’Ambin (Alpes occidentales). Lithostratigraphie des séries mésozoïques. Analyse tectonique<br />

e cycle, pp. 149.<br />

ALLENBACH B. & CARON J.M. (1986) - Relations lithostratigraphiques et tectoniques entre les séries mésozoïques de la bordure sud-ouest du massif<br />

Eclogae geol. Helv., 79: 75-116.<br />

AMBROSETTI P., BOSI C., CARRARO F., CIARANFI N., PANIZZA M., PAPANI G., VEZZANI L. & ZANFERRARI A. (1987) - Neotectonic map of Italy; scale<br />

1:500.000. Quad. Ric. Sc., 114 (4), L.A.C., Firenze.<br />

ARGAND E. (1911) - Les nappes de recouvrement des Alpes pennines et leurs prolongements structuraux. Beitr. Geol. Karte Schweitz., 31: 1-25.<br />

AUTIN W.J. (1992) - Use of alloformations for definition of Holocene meander belts in the middle Amite River, Sotheastern Louisiana . Geol. Soc. Amer.<br />

Bull., 104: 233-241.<br />

AUZENDE J.M., POLINO R., LAGABRIELLE Y. & OLIVET J.L. (1983) - Considérations sur l’origine et la mise en place des ophiolites des Alpes occidentales:<br />

apport de la connaissance des structures océaniques. C.R. Acad. Sci. Paris, 296: 1527-1532.<br />

BAGGIO P., BELLINO L., CARRARO F., FIORASO G., GIANOTTI F. & GIARDINO M. (1997) - Schede per il rilevamento geologico delle formazioni<br />

superficiali. Il Quaternario, 10 (2): 655-680.<br />

BARETTI M. (1881) - Relazione sulle condizioni geologiche del versante destro <strong>della</strong> Valle <strong>della</strong> Dora Riparia tra Chiomonte e Salbertrand. Tip. e Lit.<br />

Camilla e Bertolero, Torino.<br />

BAUDIN T. (1987) - Etude géologique du massif du Ruitor (Alpes franco-italiennes): évolution structurale d’un socle briançonnais<br />

pp. 259.<br />

BERTONE F., CARRARO F., FEDELE F., FOZZATI L. & PEROTTO A. (1986) - Archeologia preistorica dell’Alta Valle di Susa: Chiomonte - La Maddalena.<br />

Segusium, 22: 3-36.<br />

BERTRAND J.M., PIDGEON R.T., LETERRIER J., GUILLOT F., GASQUET D. & GATTIGLIO M. (in preparazione) - Shrimp and conventional U-Pb<br />

geochronology of pre-alpine basement rocks from the Briancçonnaise and piemontese domains of Western Alps (Savoy, Valle d’Aosta and Piedmont).<br />

BHATTACHARYA A., MOHANTY L., MAJI A., SEN S.K. & RAITH R. (1992) - Non-ideal mixing in the phlogopite-annite binary: constraints from<br />

experimental data on Mg-Fe partitioning and a reformulation of the biotite-garnet geothermometer. Contrib. Mineral. Petrol., 111: 87-93.<br />

BINI A. (1994) - Problems and methods of geological survey of quaternary continental deposits: examples from glacial deposits. 1st european congress on<br />

regional geological cartography and information system. Bologna (Italy), June 13-16, 1994. Proceedings, 1: 65-66.<br />

BOCQUET J. (1974) - Il metamorfismo prealpino nella Vanoise (Savoia) e in altri settori dello zoccolo brianzonese. Mem. Soc. Geol. It., 13: 271-284.<br />

BOCQUET J., DELALOYE M., HUNZIKER J.C. & KRUMMENACHER D. (1974) - K-Ar and Rb-Sr dating of blue-amphiboles, micas and associated minerals<br />

from the Western Alps. Contr. Mineral. Petrol., 47: 7-26.<br />

BORGHI A. & GATTIGLIO M. (1997) - Osservazioni geologico-petrografiche nel settore occidentale del Massiccio d’Ambin. Atti Tic. Sc. Terra, 5: 64-84.<br />

BOULTON G.S. (1974) - Processes and patterns of glacial erosion. In: D.R. COATES (Ed.), “Glacial Geomorphology”, State University of New York,<br />

Binghampton: 41-87.<br />

BOURBON M., CARON J.M., LEMOINE M. & TRICART P. (1979) - Stratigraphie des Schistes lustrés piémontais dans les Alpes cottiennes (Alpes occidentales<br />

franco-italiennes): nouvelle interprétation et conséquences géodynamiques 4: 180-182.<br />

BROWN E.H. (1977) - The crossite contentof Ca-amphibole as a guide to pressure of metamorphism. J. Petrol., 18: 53-72.<br />

CABY R. (1964) - Etude géologique du bord intern e de la Zone Briançonnaise et de la bordure des Schistes Lustrés entre Modane et la Vallée Etroite.<br />

(Savoie, Haut Val de Suse ). Trav. Lab. Géol. Grenoble, 40: 131-186.<br />

CALLEGARI E., SACCHI R., BOVO S. & TORASSA G. (1980) - Osservazioni strutturali sul versante italiano del Massiccio d’Ambin (Alpi Graie). Boll. Soc.<br />

Geol. It., 99: 395-404.<br />

CAPELLO C.F. (1937) - Osservazioni su alcune caverne dei dintorni di Oulx (Valle Dora Riparia). Boll. Soc. Geol. It., 56: 159-174.<br />

CAPELLO C.F. (1938) - Le caverne del M. Pramand (Valle Dora Riparia). Boll. Soc. Geol. It., 57: 17-32.<br />

CAPELLO C.F. (1939a) - Il carso del M. Segurét (Piemonte) 20 (8): 621-641.<br />

CAPELLO C.F. (1939b) - Grotte e caverne nelle valli delle Dore Baltea e Riparia. Boll. Soc. Geol. It., 58: 14-28.<br />

CAPELLO C.F. (1941a) - Contributo allo studio dell’innalzamento dei depositi alluvionali in epoca storica. Boll. Soc. Geol. It., 59: 339-350.<br />

CAPELLO C.F. (1941b) - Il lago quaternario <strong>della</strong> conca di Salabertano (Valle di Susa) . Boll. Com. Glac. It., 21: 155-160.<br />

CAPELLO C.F. (1942) - Geomorfologia <strong>della</strong> regione ulzina (Valle di Susa). L’Universo, 23 (9): 509-522.<br />

CAPELLO C.F. (1955) - Il fenomeno carsico in Piemonte. Le zone interne del sistema alpino. CNR - Centro Studi per la Geografia Fisica. Ricerche sulla<br />

morfologia e idrografia carsica, pp. 140.<br />

CARON J.M. (1977) - Lithostratigraphie et tectonique des Schistes Lustrés dans les Alpes Cottiennes septentrionales et en Corse orientale.<br />

48, pp. 326.<br />

CARON J.M. & GAY M. (1977) - La couverture mésozoïque du massif d’Ambin, transition entre le domaine briançonnais et le domaine piémontais? Eclogae<br />

geol. Helv., 70: 643-665.<br />

CARON J.M., POLINO R., POGNANTE U., LOMBARDO B., LARDEAUX J.M., LAGABRIELLE Y., GOSSO G. & ALLENBACH B. (1984) - Où sont les sutures<br />

majeures dans les Alpes Internes? (Transversale Briançon-Torino). Mem. Soc. Geol. It., 29: 71-78.<br />

CARRARO F. (1976) - Appunti sulla tettonica quaternaria. Gruppo di studio sul Quaternario padano, 3: 1-19.<br />

CARRARO F., DRAMIS F. & PIERUCCINI U. (1979) - Large-scale landslides connected with neotectonic activity in the alpine and apennine ranges. IGU-<br />

UNESCO Proc. 15th Plenary Meeting Commission on Geomorphological Survey and Mapping. Modena, 7-15 settembre 1979: 213-220.<br />

CARRARO F. & MARTINOTTI G. (1993) - “Deformazioni gravitative profonde di versante” indotte da fenomeni di dissoluzione profondi. IV Seminario del<br />

Gruppo informale del CNR “Deformazioni gravitative profonde di versante”, Pergola (La Verna), 24-28 maggio 1993.<br />

<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA (1910) - Foglio 55 “Susa”. Servizio Geologico d’Italia.<br />

<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA (1911a) - Foglio 54 “Oulx”. Servizio Geologico d’Italia.<br />

<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA (1911b) - Foglio 66 “Cesana Torinese”. Servizio Geologico d’Italia.<br />

<strong>CARTA</strong> <strong>GEOLOGICA</strong> D’ITALIA (1999) - Foglio 154 “Susa”. Servizio Geologico d’Italia, copia di prova.


CASTIGLIONI G.B. (1958) - Studio geologico e geomorfologico del territorio di Baceno e Premia (Val d’Ossola, Alpi Lepontine). Mem. Ist. Geol. e Miner.<br />

Univ. Padova, 20: 1-82.<br />

CORTESOGNO L. (1984) - Metamorfismo e magmatismo pre-alpino nel basamento e nel tegumento delle Alpi Liguri . Mem. Soc. Geol. It., 28: 79-94.<br />

DAL PIAZ G.V. (1974a) - Le métamorphisme de haute pression et basse température dans l’évolution structurale du bassin alpino-apenninique. Ière partie.<br />

Boll. Soc. Geol. It., 93: 437-468.<br />

DAL PIAZ G.V. (1974b) - Le métamorphisme de haute pression et basse temperature dans l’évolution structurale du bassin ophiolitique alpino-<br />

Schweiz. mineral. petrogr. Mitt., 54: 399-424.<br />

D’ARGENIO B. & FERRERI V. (1987) - A brief outline of sedimentary models for Pleistocene travertine accumulation in Southern Italy. Rend. Soc. Geol. It.,<br />

9 (1986): 167-170.<br />

DE WEVER P., BAUGMARTNER P.O. & POLINO R. (1987) - Précision sur les datations de la base des Schistes lustrés post-ophiolitiques dans les Alpes<br />

cottiennes. C.R. Acad. Sci., 305 (2): 487-491.<br />

DE WEVER P. & CABY R. (1981) - Datation de la base des Schistes lustrés post-ophiolitiques par des radiolaires (Oxfordien supérieur-Kimméridgien<br />

moyen) dans les Alpes Cottiennes (Saint-Véran, France). C.R. Acad. Sci., 292: 467-472.<br />

DEBENEDETTI A. (1964) - Il complesso radiolariti - giacimenti di manganese - giacimenti piritoso-cupriferi - rocce a fuchsite, come rappresentante del<br />

Malm nella Formazione dei calcescisti. Osservazioni nelle Alpi piemontesi e in Valle d’Aosta. Boll. Soc. Geol. It., 84: 131-163.<br />

DELA PIERRE F., LOZAR F. & POLINO R. (1997) - L’utilizzo <strong>della</strong> tettonostratigrafia per la rappresentazione cartografica delle successioni<br />

metasedimentarie nelle aree di catena. Mem. Sc. Geol., 49: 195-206.<br />

DESMONS J. (1992) - The Briançon basement (Pennine Western Alps): Mineral composition and polymetamorphic evolution. Schweiz. mineral. petrogr.<br />

Mitt., 72: 37-55.<br />

DESMONS J. & FABRE J. (1988) - Contribution à la connaissance pétrographique du Mont Pourri (Savoie, France); conséquences structurales.<br />

Alpine, 65: 1-31.<br />

DESMONS J. & MERCIER D. (1993) - Passing through the Briançon Zone. Pre-Mesozoic Geology in the Alps: 279-295.<br />

DEVILLE E., FUDRAL S., LAGABRIELLE Y., MARTHALER M. & SARTORI M. (1992) - From Oceanic closure to continental collision: a syntesisof the<br />

“Schistes lustrés” metamorphic complex of the Western Alps. Geol. Soc. Am. Bull., 104: 127-139.<br />

DUMONT T. (1983) - Le chaînons de Rochebrune au sud-est de Briançon: évolution paléogéographique et structurale d’un secteur de la zone piémontaise<br />

des Alpes occidentales. Thèse de 3e cycle.<br />

DUMONT T., LEMOINE M. & TRICART P. (1984) - Tectonique synsédimentaire triasico-liasique et rifting tethysien dans l’unité piémontaise de Rochebrune<br />

7, 26, 5: 921-933.<br />

ELLENBERGER F. (1958) - Etude géologique du pays de Vanoise (Savoie). Mém. expl. Carte géol. Fr., pp. 561.<br />

ELTER G. (1971) - Schistes Lustrés et ophiolites de la zone piémontaise entre Orco et Doire Baltée (Alpes Graies). Hypothèses sur l’origine des ophiolites.<br />

47: 147-169.<br />

ENEL (1981) - Elementi di neotettonica del territorio italiano. Carte tematiche e relazione. ALMA, Milano.<br />

ERNST W.G. (1979) - Coexisting sodic and calcic amphiboles from high-pressure metamorphic belts and the stability of barroisitic amphibole. Mineral.<br />

Mag., 43: 269-278.<br />

ESCHER A. (1988) - Structure de la nappe du Grand Saint-Bernard entre le Val de Bagnes et les Mischabel. Rapp. géol. Serv. hydrol. géol. nat., 7: 1-26.<br />

EVANS B.W. (1990) - Phase relations of epidote-blueschists. Lithos, 25: 3-23.<br />

FERRY J.M. & SPEAR F.S. (1978) - Experimental calibration of the partioning of Fe and Mg between biotite and garnet. Contrib. Mineral. Petrol., 66: 113-<br />

117.<br />

FORLATI F., BROVERO M. & CAMPUS S. (1995) - Alcune considerazioni sulle deformazioni gravitative profonde di versante inerenti il territorio<br />

piemontese. Atti del 2° Incontro Internazionale dei Giovani Ricercatori in Geologia Applicata. Peveragno, Cuneo - Italia, 11-13 ottobre 1995: 75-81.<br />

FORLATI F., RAMASCO M., SUSELLA G., BARLA G., MARINO P. & MORTARA G. (1991) - La deformazione gravitativa profonda di Rosone. Un approccio<br />

conoscitivo per la definizione di una metodologia di studio. Studi Tridentini di Scienze Naturali, Acta Geologica, 68: 71-108.<br />

FUDRAL S. (1998) - Etude géologique de la suture téthysienne dans les Alpes franco-italiennes nord occidentales de la Doire Ripaire (Italie) à la région de<br />

Bourg Saint-Maurice (France). Géol. Alpine, Mémoire HS n° 29, pp.306.<br />

FUDRAL S., DEVILLE E., NICOUD G., POGNANTE U., GUILLOT P.L. & JAILLARD E. (1994a) - Notice explicative de la feuille Lanslebourg - Mont d’Ambin à<br />

1:<strong>50.000</strong>, pp. 96.<br />

FUDRAL S., DEVILLE E., POGNANTE U., GAY M., FREGOLENT G., LORENZONI S., ROBERT D., NICOUD G., BLAKE C., JAYKO A., JAILLARD E., BERTRAND<br />

J.M., FORNO M.G. & MASSAZZA G. (1994b) - Carte Géologique de la France à 1:<strong>50.000</strong>, feuille 776 Lanslebourg - Mont d’Ambin, pp. 98.<br />

GAY M. (1970a) - Le massif d’Ambin et son cadre de Schistes Lustrés (Alpes franco-italiennes). Evolution paléogéographique anté-alpine. Bull. B.R.G.M.<br />

Sec. I, 2e Série: 5-81.<br />

GAY M. (1970b) - Le massif d’Ambin et son cadre de Schistes lustrés (Alpes franco-italiennes). Evolution paléogéographique anté-alpine. Bull. B.R.G.M.,<br />

3: 1-77.<br />

GAY M. (1971) - Le massif d’Ambin et son cadre de Schistes Lustrés (Alpes franco-italiennes).<br />

GAY M. (1972a) - Le massif d’Ambin et son cadre de Schistes lustrés (Alpes franco-italiennes). Evolution métamorphique. 25 (1): 5-100.<br />

GAY M. (1972b) - Le massif d’Ambin et son cadre de Schistes lustrés (Alpes franco-italiennes). Evolution structurale. 25 (2): 165-214.<br />

GIARDINO M. (1995) - Analisi di deformazioni superficiali: metodologie di ricerca ed esempi di studio nella media Valle d’Aosta. Tesi di Dottorato.<br />

Consorzio Universitario di Torino-Cagliari, Genova, pp. 236.<br />

GIARDINO M. & FIORASO G. (1998) - Cartografia geologica delle formazioni superficiali in aree di catena montuosa: il rilevamento del Foglio<br />

“Bardonecchia” nell’ambito del progetto CARG. Mem. Sci. Geol., 50: 133-153.<br />

GIARDINO M. & POLINO R. (1997) - Le deformazioni di versante dell’alta Valle di Susa: risposta pellicolare dell’evoluzione tettonica recente. Il<br />

Quaternario, 10 (2): 293-298.<br />

GIARDINO M. & BAGGIO P. (1998) - Cartografia geologica e fenomeni di instabilità gravitativa: applicazioni di un nuovo metodo di raccolta dei dati di<br />

terreno. In: F. LUINO (Ed.), Atti del convegno internazionale “La prevenzione delle catastrofi idrogeologiche: il contributo <strong>della</strong> ricerca scientifica”.<br />

Pubblicazione GNDCI n. 1600, 1: 209-221.<br />

GIBBONS A.B., MEGEATH J.D. & PIERCE K.L. (1984) - Probability of moraine survival in a succession of glacial advances. Geology, 12: 327-330.<br />

GOGUEL J. (1958) - Présence des conglomérats à la base du “groupe d’Ambin” dans les schistes cristallins du massif d’Ambin (Savoie). C.R. somm. Soc.<br />

géol. France, 11: 229-231.<br />

GOGUEL J. & ELLENBERGER F. (1952) - La série mésozoïque de la couverture du massif d’Ambin. C.R. somm. Soc. géol. France, 13, 262-264.<br />

GOGUEL J. & LAFFITTE P. (1952) - Observations préliminaires sur le massif d’Ambin. Bull. Soc. Géol. France, 6: 575-595.<br />

GORDON J.E. & BIRNIE R.V. (1986) - Production and transfer of subaerially generated rock debris and resulting landforms on South Georgia: an<br />

introductory perspective. British Antartic Survey Bullettin, 72: 25-46.


GREEN T.H. & HELLMAN P.L. (1982) - Fe-Mg partitioning between coexisting garnet and phengite at high pressure and comments on a garnet-phengite<br />

geothermometer. Lithos, 15: 253-266.<br />

GUILLOT F. & RAOULT J.F. (1984) - Permien et base du Trias en Vanoise septentrionale données nouvelles et hypothèses (Zone briançonnaise interne,<br />

GUIRAUD M., HOLLAND T. & POWELL R. (1990) - Calculated mineral equilibria in the greenschist-blueschist-eclogite facies in Na2O - FeO - MgO - Al 2O3 -<br />

SiO2 - H2O. Contrib. Mineral. Petrol., 104: 85-98.<br />

HEINRICH W. & ALTHAUS E. (1980) - Die oberestabilitatsgrenze von Lawsonit plus Albit bzw. Jadeit. Fort. Miner., 58: 49-50.<br />

HERMANN F. (1938) - Note illustrative per la Carta geologica delle Alpi nord-occidentali.<br />

HODGES K.W. & SPEAR F.S. (1982) - Geothermometry, geobarometry and the Al2SiO5 triple point at Mt. Moosilauke, New Hampshire. Am. Mineral., 67:<br />

1118-1134.<br />

HOLLAND T.J.B. (1980) - The reaction albite = jadeite + quartz determined experimentally in the range 600 - 1200°C. Amer. Mineral., 65: 129-134.<br />

HUNZIKER J.C., DESMONS J. & HURFORD A.J. (1992) - Thirty-two years of geochronological work in the Central and Western Alps: a review on seven<br />

maps. Mém. Géol. Lausanne, 13: 1-59.<br />

INDARES A. & MARTIGNOLE J. (1985) - Biotite-garnet geothermometry in the granulite facies. The influence of Ti and Al in biotite. Am. Mineral., 70: 272-<br />

278.<br />

ISSC (1994) - International Stratigraphic Subcommission on Stratigraphic Classification. International Stratigraphic Guide (ISG). pp. 213.<br />

IVERSON N.R. (1995) - Process of Erosion. In: J. MENZIES (Ed.), “Modern Glacial Environments: processes, dynamics and sediments”. Glacial<br />

Environments, 1, Butterworth Einemann, Oxford: 241-260.<br />

KARIG D.E. (1974) - Evolution of the arc system in the Western Pacifics. Ann. Rev. Earth Planet Sci. Let., 2: 51-75.<br />

KLEEMANN U. & REIHARDT J. (1994) - Garnet-biotite thermometry revisited. The effect of Al VI and Ti in biotite. Eur. J. Mineral., 6: 925-944.<br />

KRETZ R. (1983) - Symbols for rock forming minerals. Am. Mineral., 68: 277-279.<br />

LAGABRIELLE Y. (1987) - Les Ophiolites: marqueurs de l’histoire tectonique des domaines océaniques. Thèse de doctorat d’état, pp. 350.<br />

LAGABRIELLE Y., NERVO R., POLINO R. & DUTTO F. (1982) - Sedimentary cover of some ophiolites of the Cottian Alpes. Ofioliti, 2-3: 339-350.<br />

LAGABRIELLE Y., POLINO R., AUZENDE J.M., BLANCHET R., CABY R., FUDRAL S., LEMOINE M., MEVEL C., OHNESTETTER M., ROBERT D. & TRICART<br />

P. (1984) - Les témoins d’une tectonique intraocéanique dans le domaine téthysien: analyse du rapport entre les ophiolites et leur couvertures<br />

métasédimentaires dans la zone piémontaise des Alpes franco-italiennes. Ofioliti, 9: 67-88.<br />

LEARDI L. & NATALE P. (1985) - La mineralizzazione piritoso-cuprifera di Salbertrand (Val di Susa, Alpi occidentali). Boll. Ass. Min. Sub., 22, 1-2: 15-36.<br />

LEBLANC M. (1841) - Sur les traces des glaciers anciens au mont Cenis. Bull. Soc. Géol. France, 13: 126-127.<br />

LEMOINE M. (1971) - Données nouvelles sur la Série du Gondrand près de Briançon (Alpes Cottiennes). Réflexion sur les problèmes stratigraphiques et<br />

47: 181-201.<br />

LEMOINE M. (1980) - Serpentinites, gabbros and ophicalcites in the Piedmont-Ligurian domain of the Western Alps: possible indicator of oceanic fracture<br />

zones and of associated serpentinite protusion in the Jurassic Cretaceous Tethys. Arch. Sci. Genève, 33: 103-115.<br />

LEMOINE M. (1984) - La marge occidentale de la Téthys ligure et les Alpes Occidentale. G. Boillot (Ed.): “Les marges continentales en mer et à terre autour<br />

Masson, Paris: 159-248.<br />

LEMOINE M., STEEN D. & VUAGNAT M.O. (1970) - Sur le problème stratigraphique des ophiolites piémontaises et des roches sédimentaires associées:<br />

observation dans le massif de Chabrière en Haute-Ubaye (Basse Alpes, France). C.R. Soc. Phys. Hist. Nat., 5: 44-59.<br />

LEMOINE M. & TRICART P. (1979) - Une partie des Schistes Lustrés et des ophiolites du Queyras (Alpes occidentales françaises) résultent-ils de<br />

sédimentation et d’écroulement au pied d’un escarpement de faille océanique? C.R. Acad. Sci. Paris, 288: 1655-1658.<br />

LEMOINE M. & TRICART P. (1986) - Les Schistes lustrés piémontais des Alpes Occidentales: approche stratigraphique, structurale et sédimentologique.<br />

Eclogae geol. Helv., 79: 271-294.<br />

LIOU J., BOHLEN S.R. & ERNST W.G. (1996) - Stability of hydrous phases in subducting oceanic crust. Earth and Planetary Science Letters, 143: 161-171.<br />

LOMAGNO P. (1992) - Miniere e cave in Valle di Susa. Segusium, 33: 105-118.<br />

LOMBARDO B. & POGNANTE U. (1982) - Tectonic implications in the evolution of the Western Alps ophiolite metagabbros. Ofioliti, 7: 371-394.<br />

LORENZONI S. (1965) - Studio geo-petrografico del versante italiano del Massiccio d’Ambin. Mem. Ist. Geol. Min. Univ. Padova, 25: 25-88.<br />

MARINI P., POLINO R. & ZUPPI G. (1983) - Analisi geochimiche di carbonati del massiccio dello Chaberton. Atti Acc. Scienze, 117: 111-119.<br />

MARUYAMA S., MOONSUP C. & LIOU J.C. (1986) - Experimental investigations of blueschist-greenschist transition equilibria: pressure dependence of<br />

Al 2O3 contents in sodic amphiboles - a new geobarometer. Geol. Soc. Am. Mem., 164: 1-16.<br />

MASSONNE H.J. & SCHREYER W. (1987) - Phengite geobarometry based on the limiting assemblage with K-feldspar, phlogopite and quatz. Contr. Miner.<br />

Petrol., 96: 212-224.<br />

MEGARD-GALLI J. (1974) - Âge et caractéristiques sédimentologiques du Trias dolomitique des unités piémontaises externes (Zone du Gondran), entre Arc<br />

et Ubaye (Alpes occidentales). Géol. Alpine, 50: 111-129.<br />

MÉNOT R.P. (1987) - Magmatisme paleozoiques rt structuration carbonifere du Massif de Belledonne (Alpes Françaises).<br />

MEVEL C., CABY R. & KIENAST J.R. (1978) - Amphibolite facies conditions in the oceanic crust.Example of amphibolitized flaser gabbro and amphibolite<br />

from the Chenaillet ophiolite massif (Hautes Alpes, France). Earth Planet. Sc. Lett., 39: 98-108.<br />

MICHEL R. (1956) - Premiers résultats de l’étude pétrographique des schistes cristallins du Massif d’Ambin (Alpes franco-italiennes).<br />

France, 6: 121-123.<br />

MICHEL R. (1957) - Les faciès à glaucophane dans le massif d’Ambin (Alpes franco-italiennes). 7: 130-131.<br />

MONIÈ P. (1990) - Preservation of Hercynian 40Ar/39Ar ages through high pressure - low temperature Alpine metamorphism in the Western Alps. Eur. J.<br />

Mineral., 2: 343-361.<br />

MORTARA G. & SORZANA P.F. (1987) - Fenomeni di deformazione gravitativa profonda nell’arco alpino occidentale italiano. Considerazioni litostrutturali<br />

e morfologiche. Boll. Soc. Geol. It., 106: 303-314.<br />

NACSN - North American Commission on Stratigraphic Nomenclature (1983) - North American Stratigraphic Code. A.A.P.G. Bull., 67: 841-875.<br />

NELSON A.R., SHROBA R.R. & SCOTT G.R. (1984) - Quaternary deposits of the upper Arkansas River Valley, Colorado. American Quaternary Association,<br />

8th Biennial Meeting - Field Trip Guide n. 7: 51-57.<br />

NELSON A.R. & SHROBA R.R. (in stampa) - Soil relative dating of moraine and outwash-terrace sequences in the upper Arkansas Valley of Central<br />

Colorado. Artic and Alpine Research, pp. 22.<br />

NITSCH K.H. (1971) - Stabilitatsbeziehungen von Prehnit- und Pumpellyit-haltiger Paragenesen. Contrib. Mineral. Petrol., 30: 240-260.<br />

OVIATT C.G., MCCOY W.D. & NASH W.P. (1994) - Sequence stratigraphy of lacustrine deposits: a Quaternary example from the Bonneville basin, Utah.<br />

Geol. Soc. Amer. Bull., 106 (1): 133-144.<br />

OWEN L.A., BENN D.I., DERBYSHIRE E., EVANS D.J.A., MITCHELL W.A., SHARMA M., THOMPSON D., LLOYD M. & RICHARDSON S. (1995) - The<br />

Geomorphology and landscape evolution of the Lahul Himalaya, Northern India. Journal of Quaternary Science, 11 (1): 25-42.


OWEN L.A., MITCHELL W.A., BAILEY R.M., COXON P. & RHODES E.J. (1997) - Style and timing of glaciation in the Lahul Himalaya, northern India: a<br />

framework for reconstructing later Quaternary paleoclimatic change in the Western Himalayas. Journal of Quaternary Science, 12 (2): 83-109.<br />

PERCHUK L.L. & LAVRENT’EVA I.V. (1983) - Experimental investigation of exchange equilibria in the system cordierite-garnet-biotite. In: S.K. Saxena<br />

(Ed.), “Kinetics and equilibrium in mineral reactions”, Springer: 199-240.<br />

PFIFFNER O.A., LEHNER P., HEITZMANN P., MUELLER ST. & STECK A. (1997) - Deep structure of the Alps: results from NRP 20. Birkhäuser Verlag, Basel,<br />

pp. 380.<br />

POGNANTE U. & PICCARDO G.B. (1984) - Petrogenesi delle ofioliti delle Alpi occidentali. Mem. Soc. Geol. It., 29, 79-92.<br />

POLI S. (1993) - The amphibolite-eclogite tranformation: an experimental study on basalt. Am. J. Sc., 293: 1061-1107.<br />

POLINO R. (1984) - Les séries océaniques du haut Val de Suse (Alpes Cottiennes): analyse des couvertures sédimentaires. Ofioliti, 9: 547-554.<br />

POLINO R., DAL PIAZ G.V. & GOSSO G. (1990) - Tectonic erosion at the Adria margin and accretionary processes for the cretaceous orogeny of the Alps.<br />

In: “Deep structure of the Alps”. Mém. Soc. Géol. France, 156: 345-367.<br />

POLINO R. & LEMOINE M. (1984) - Detritisme mixte d’origine continentale et océanique dans les sédiments jurassico-crétacés supra-ophiolitiques de la<br />

Téthys ligure: la série du Lago Nero (Alpes occidentales franco-italiennes). C.R. Acad. Sci. Paris, 298: 359-364.<br />

POLINO R., MONTICELLI F. & VACCARO D. (1983) - L’unità piemontese Chaberton-Grand Hoche (Val Susa-Alpi Occidentali): evoluzione litostratigrafica,<br />

assetto strutturale e rapporti con i complessi circostanti. Mem. Soc. Geol. It., 26: 489-498.<br />

PORTIS A. (1889) - Nuove località fossilifere in Val di Susa. Boll. R. Com. Geol. Ital., 20: 141-183.<br />

POWELL R. & HOLLAND T.J.B. (1990) - An enlarged and updated internally consistent thermodynamic data-set with uncertainties and correlations: the<br />

system K 2O-Na2O-CaO-MgO-MnO-FeO-Fe2O3-Al 2O3-TiO2-SiO2-C-H-O2. J. metamorphic Geol., 8: 89-124.<br />

PUMA F., RAMASCO M., STOPPA T. & SUSELLA G. (1984) - Carta dei movimenti di massa delle alte valli del Chisone e di Susa (<strong>scala</strong> 1:100.000). In:<br />

AA.VV., “Geotraversa <strong>della</strong> zona piemontese nella Valle di Susa”. Servizio Geologico Regione Piemonte. Guida all’escursione precongresso, 72° Congr.<br />

Soc. Geol. It., 10-11 settembre 1984, pp. 28.<br />

PUMA F., RAMASCO M., STOPPA T. & SUSELLA G. (1989) - Movimenti di massa nelle alte valli di Susa e Chisone. Boll. Soc. Geol. It., 108: 391-399.<br />

PUMA F., RAMASCO M., STOPPA T. & SUSELLA G. (1990) - Carta dei movimenti gravitativi e di massa delle alte valli di Susa e Chisone (<strong>scala</strong> 1:25.000).<br />

Banca Dati Geologica. Regione Piemonte.<br />

RADBRUCH-HALL D.H., VARNES D.J. & SAVAGE W.Z. (1978) - Gravitational spreading of deep-sided ridges (“Sackung”) in Colorado. J. Research U.S.<br />

Geol. Survey, 5: 359-363.<br />

RAMASCO M. & SUSELLA G. (1978) - Carta <strong>della</strong> instabilità idrogeologica in alta Valle di Susa (tratti Bardonecchia-Exilles ed Exilles-Susa). Scala<br />

1:25.000. In: “Studi geologici per il collegamento stradale tra il traforo del Fréjus e Torino (tratto Bardonecchia-Susa)” . Reg. Piem., Dip. Org. e Gest.<br />

del Territorio.<br />

RAO B.B. & JOHANNES W. (1979) - Further data on the stability of staurolite + quartz and related assemblages. N. Jb. Miner. Mh., 10: 437-447.<br />

ROSE J. & MENZIES J. (1986) - Glacial stratigraphy. In: J. MENZIES (Ed.), “Past Glacial Environments: sediments, forms and techniques”. Glacial<br />

Environments, 2, Butterworth Einemann, Oxford: 253-284.<br />

ROURE F., HEITZMANN P. & POLINO R. (1990) - Deep structure of the Alps. Mém. Soc. géol. Fr., 156; Mém. Soc. géol. suisse, 1; Vol. spec. Soc. Geol. It., 1,<br />

pp. 367.<br />

ROURE F., BERGERAT F., DAMOTTE B., MUNIER J.L. & POLINO R. (1996) - The ECORS-CROP Alpine seismic traverse. Mém. Soc. géol. Fr., 170, pp. 113.<br />

SACCO F. (1898) - La geologia e le linee ferroviarie in Piemonte. Torino.<br />

SACCO F. (1921) - Il glacialismo <strong>della</strong> Valle di Susa, con carta 1:100.000. L’Universo, 3 (8): 1-32.<br />

SACCO F. (1928) - Il glacialismo nelle valli di Pinerolo. Boll. R. Uff. Geol. It., 53: 1-25.<br />

SACCO F. (1943) - Il quaternario nelle alte Valli di Susa (Dora Riparia). Mem. R. Acc. Sc. Torino, 71 (2): 61-80.<br />

SACCO F. (1948) - La degradazione delle montagne (con esemplificazione nell’Alta Val di Susa) 28 (2): 139-151.<br />

SAVAGE W.Z. & SWOLFS H.S. (1986) - Tectonic and gravitational stresses in long asymmetric ridges and valleys. J. Geophys. Res., 91 (B3): 3677-3685.<br />

SEGRE’ C. (1920) - Considerazioni geognostiche sul tronco Bussoleno-Salbertrand (ferrovia Torino-Fréjus) con riguardo speciale ai tratti franosi.<br />

Provvedimenti. Giornale del Genio Civile, 58: 19-40.<br />

SIDDANS A.W.B. & OUAZZANI M. (1984) - Deformation of the mesozoic and tertiary rocks of Gran Scala, Ambin massif, Western Alps. Bull. Sci. Géol.,<br />

Strasbourg, 37: 52-65.<br />

SMITH G.W., NANCE R.D. & GENES A.N. (1997) - Quaternary glacial history of Mount Olympus, Greece. Geol. Soc. Amer. Bull., 109: 809-824.<br />

SORRISO-VALVO M. (1995) - Considerazioni sul limite tra deformazione gravitativa profonda di versante e frana. Mem. Soc. Geol. It., 50: 179-185.<br />

SPALLA M.I., GOSSO G., SILETTO G.B., DI PAOLA S. & MAGISTRONI C. (1998) - Strumenti per individuare unità tettono-metamorfiche nel rilevamento<br />

geologico del basamento cristallino. Mem. Sci. Geol., 50: 155-164.<br />

STAMPFLI G. & MARTHALER M. (1990) - Divergent and convergent margins in the North-Western Alps: confrontation to actualistic models. Geodinamica<br />

Acta, 4 (3): 159-184.<br />

STAUB E. (1942) - Gedanken zum Bau der Westalpen zwischen Bernina und Mittelmeer Mitt. Geol. Inst. Eidg. Techn. Hochsch. Univ.<br />

STEEN D., VUAGNAT M. & VAGNER J.J. (1977) - Early deformation in Montgenevre gabbros. C.N.R.S.: 97-104.<br />

THÉLIN P. (1989) - Essai de chronologie magmatico-métamorphique dans le socle de la nappe du Grand Saint-Bernard: quelques points de repère.<br />

Schweiz. Mineral. Petrogr. Mitt., 69: 193-204.<br />

THÉLIN P., SARTORI M., BURRI M., GOUFFON Y. & CHESSEX R. (1993) - The Pre-Alpine Basement of the Briançonnais (Wallis, Switzerland). Pre-Mesozoic<br />

Geology in the Alps: 297-315.<br />

THÉLIN P., SARTORI M., LENGELER R. & SCHAERER J.P. (1990) - Eclogites o Palaeozoic or Early Alpine age in the basement of the Penninic Siviez-<br />

Mischabel nappe, Wallis, Switzerland. Lithos, 25: 71-88.<br />

THOMPSON A.B. & ENGLAND P.C. (1984) - Pressure-temperature-time path of regional metamorphism. II: their interference and interepretation using<br />

mineral assemblages in metamorphic rocks. J. Petrol., 24: 929-955.<br />

TRICART P., GOUT C. & LEMOINE M. (1985) - Tectonique synsédimentaire saccadée d’âge Cretacée inferieur dans l’océan téthysien ligure: un example<br />

dans les Schistes Lustrés à ophiolites de Chabrière (Haute Ubaye, Alpes Occidentales françaises). C.R. Acad. Sci. Paris, 300: 879-884.<br />

TROPEANO D. & OLIVE P. (1993) - Eventi geomorfologici nelle Alpi italiane e nella pianura occidentale del Po: inquadramento cronologico in base a<br />

radiodatazioni 14C. Il Quaternario, 6 (2): 189-204.<br />

VARNES D.J., RADBRUCH-HALL D.H. & SAVAGE W.Z. (1989) - Topographic and structural conditions in areas of gravitational spreading of ridges in the<br />

Western United States. U.S. Geol. Sur. Prof. Pap., 1496, pp. 28.<br />

VITA-FINZI C. (1986) - Recent Earth Movements. An Introduction to Neotectonics . Academic Press, London.<br />

ZACCAGNA D. (1887) - Sulla geologia delle Alpi occidentali. Boll. R. Com. Geol. Ital., 4, 2: 4-74.<br />

ZISCHINSKY U. (1966) - On the deformations of high slopes. Proc. 1st Congr. Int. Soc. Rock Mech., Lisbon, 2: 179-185.<br />

ZISCHINSKY U. (1969) - Uber Sackungen. Rock Mechanics, 1: 30-52

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!