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la questione della nobiltà della lingua nel De Vulgari Eloquentia di

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esclusi dal<strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> cultura. In quanto <strong>lingua</strong> veico<strong>la</strong>re, <strong>la</strong><br />

gramatica può permetterci <strong>di</strong> ripristinare l’originaria unità prebabelica<br />

delle genti abbattendo le barriere linguistiche tra le nazioni, ma al<br />

prezzo <strong>di</strong> rendere ancora più rigida <strong>la</strong> separazione tra chi ha accesso ai<br />

canali del<strong>la</strong> cultura e chi ne è escluso. Sotto questo punto <strong>di</strong> vista il<br />

<strong>la</strong>tino si configura ad<strong>di</strong>rittura come una <strong>lingua</strong> babelica in più, che va<br />

ad aggiungersi ai volgari restando il mezzo linguistico <strong>di</strong> cui si avvale<br />

soltanto una parte ristretta dell’umanità. La scelta del<strong>la</strong> gramatica non<br />

fa che consolidare <strong>la</strong> "bestiale" separazione tra chi è dentro è chi è<br />

fuori dai circuiti istituzionali del sapere. La comunità internazionale<br />

dei dotti che si intendono con questo strumento veico<strong>la</strong>re è ben poca<br />

cosa rispetto al<strong>la</strong> comunità dei nobili illitterati ai quali Dante si<br />

rivolge <strong>nel</strong>l’imban<strong>di</strong>re il suo convivio filosofico. L’esaltazione del<br />

volgare e <strong>la</strong> sua adozione come strumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione del sapere<br />

corrispondono all’esigenza <strong>di</strong> una <strong>lingua</strong> che abbatta le barriere<br />

prodotte dal<strong>la</strong> <strong>di</strong>visione del <strong>la</strong>voro. Su questo punto il Convivio è<br />

esplicito fino all’irriverenza: gli uomini <strong>di</strong> lettere che scrivono<br />

esclusivamente in <strong>la</strong>tino molto spesso non sono altro che ignobili<br />

lenoni. E a chi volesse far valere <strong>la</strong> superiorità del <strong>la</strong>tino appel<strong>la</strong>ndosi<br />

al fatto che quest’ultimo sarebbe servito ai molti “litterati fuori <strong>di</strong><br />

<strong>lingua</strong> italica” Dante risponde: “lo <strong>la</strong>tino averebbe a pochi dato suo<br />

beneficio, ma lo volgare servirà veramente a molti” (Convivio I, ix,<br />

4). Tutto il paragrafo ix del primo libro ruota attorno al<strong>la</strong><br />

contrapposizione tra i “principi, baroni, cavalieri, e molt’altra nobile<br />

gente, non so<strong>la</strong>mente maschi, ma femmine”, caratterizzati da autentica<br />

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