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voro contenuto, sennonché i valori così stabiliti incorporano saggi<br />
di profitto diversi e legati al rapporto fra capitale costante e capitale<br />
variabile di ciascuna impresa; mentre sul mercato i prezzi incorporano<br />
un saggio di profitto unico. C’è quindi una divergenza fra i<br />
valori e i prezzi e fra plusvalore e profitto, che deve essere spiegata.<br />
Il problema viene affrontato da Marx nel terzo libro del Capitale,<br />
dove egli afferma che le singole merci si scambiano sulla base dei<br />
prezzi che incorporano un unico saggio di profitto e non sulla base<br />
dei valori, ma dimostra che a livello macroeconomico non c’è alcuna<br />
differenza tra valori e prezzi e quindi il profitto non è altro<br />
che il plusvalore, risultato dello sfruttamento della forza lavoro. La<br />
soluzione di Marx, chiamata trasformazione dei valori in prezzi, significa<br />
quindi che il mercato opera una distribuzione del plusvalore<br />
fra i capitalisti non in funzione del capitale variabile ma dell’intero<br />
capitale (variabile e costante) da essi investito.<br />
La soluzione di Marx non risolse il problema e scatenò polemiche,<br />
anche in ragione di un errore logico, derivante dal fatto che in essa<br />
la trasformazione dei valori in prezzi opera solo in riferimento alle<br />
merci prodotte e non anche a quelle impiegate come mezzi di produzione.<br />
Marx è ben consapevole di questo errore ma sostiene che<br />
“l’indagine che stiamo presentemente compiendo non richiede che ci si<br />
addentri in un esame più particolareggiato di questo punto.”<br />
Il problema della trasformazione dei valori in prezzi diventò in breve<br />
uno degli aspetti più discussi e controversi della teoria marxiana<br />
dello sfruttamento. Si aprì la questione se e in quale misura la teoria<br />
dello sfruttamento fosse coinvolta nelle difficoltà incontrate dalla<br />
teoria del valore lavoro. In questa discussione si assiste ad un ampio<br />
spettro di posizioni: dal rifiuto della teoria dello sfruttamento<br />
come conseguenza del fallimento della teoria del valore lavoro, al<br />
tentativo di operare correttamente la trasformazione con risultati<br />
ambigui, all’idea di separare nettamente la teoria dello sfruttamento<br />
dalla teoria del valore.<br />
La teoria dello sfruttamento rientra nella problematica del sovrappiù,<br />
già sviluppata da Ricardo. Intorno ad essa si svolge l’analisi<br />
marxiana della dinamica del capitalismo, caratterizzata da contraddizioni<br />
e crisi, dalle quali il sistema esce radicalmente modificato.<br />
Anche su questo aspetto l’interpretazione del pensiero di Marx si<br />
presta a conclusioni contrastanti, dovute sia al fatto che Il Capitaleè<br />
un’opera incompiuta sia alle forti implicazioni sociali e politiche<br />
che ogni aspetto della teoria di Marx comporta. In particolare la<br />
discussione si accese, con toni a volte dogmatici e faziosi, sulla questione<br />
della fine del capitalismo, se essa fosse da intendere come<br />
il risultato di trasformazioni ed evoluzioni intrinseche o invece il<br />
risultato dell’intensificarsi della lotta di classe.<br />
Quello che sembra chiaro è che Marx non intendesse tanto occuparsi<br />
delle modalità della fine del capitalismo, su cui peraltro non<br />
aveva dubbi, ma analizzare i caratteri delle trasformazioni cui il<br />
sistema è esposto. Espansione e crisi si susseguono, sfociando in<br />
processi di concentrazione che trasformano il capitalismo da concorrenziale<br />
in monopolistico e nel dominio del capitale finanziario<br />
sul capitale industriale, con crisi sempre più frequenti e profonde.<br />
Secondo Marx il capitalismo ha una intrinseca capacità di espandersi,<br />
di generare un incessante progresso tecnologico e un formidabile<br />
aumento della ricchezza, ma sviluppa anche ostacoli al<br />
dispiegamento delle forze produttive da esso stesso suscitate. L’espansione<br />
del capitalismo comporta l’aumento del capitale costante<br />
rispetto al capitale variabile, riducendo così la fonte del plusvalore<br />
e quindi del profitto che, pur aumentando in termini assoluti, diminuisce<br />
in termini di saggio di profitto. Contemporaneamente, la<br />
contrazione relativa del capitale variabile provoca l’aumento dell’esercito<br />
industriale di riserva, cioè dei disoccupati, e la riduzione<br />
della quota di prodotto che va ai lavoratori, una miseria crescente<br />
della classe operaia, che sembra doversi intendere in termini relativi<br />
e non assoluti. Due fenomeni contradditori, ed esposti in termini<br />
ambigui, che esprimono un processo di trasformazione dell’impoverimento<br />
e della concentrazione di ricchezza in uno sviluppo ordinato<br />
e progressivo.<br />
Così intesa, la teoria di Marx è esente da profezie sul futuro; liberata<br />
da dispute dottrinarie e da interpretazioni dogmatiche, resta<br />
un potente strumento di analisi per comprendere i processi che<br />
investono la struttura e la dinamica dell’economia capitalistica, un<br />
sistema che ha mostrato più vitalità di quanto Marx avesse immaginato.<br />
Nonostante le difficoltà e i problemi che la sua teoria presenta, per<br />
potenza di visione e per profondità analitica Marx non ebbe rivali<br />
nella sua epoca e ne ebbe pochi in altre. Le sue idee ispirarono grandi<br />
movimenti e non c’è dubbio che, liberate da ogni dogmatismo<br />
e da pretese ortodossie, abbiano ancora molte cose da dire per chi<br />
vuole cambiare il mondo.<br />
marzo 2012<br />
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