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Marzo - Sardinews

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Giramondo a cura di Andrea Atzori<br />

Basilea, Basel, Bale angolo dei tre Paesi<br />

regione delle tre frontiere<br />

Non c’è proprio nulla da fare; che si arrivi da nord, dalla Germania<br />

del welfare impeccabile e delle corazzate finanziarie;<br />

che si arrivi da ovest, dalla Francia del cosmopolitismo, o da sud,<br />

dall’Italia imbruttita e indignata, ciò che c’è in mezzo, la Svizzera,<br />

rimane un indovinello insolvibile e affascinante.<br />

Si era già avuto modo di parlarne, forse però in questi tempi di<br />

instabilità vale la pena soffermarsi un momento in più a riflettere.<br />

Dove però? La matita scorre sulla mappa aperta, o il dito sul touchpad<br />

e Googlemap, e... sì, Basilea potrebbe andare bene.<br />

Basilea, Basel, Bâle, che dir si voglia, gioiello sul corso del Reno,<br />

in quella Regio Trirhena al confine tra Germania e Francia, che i<br />

tedeschi chiamano “angolo dei tre Paesi” e i francesi “regione delle<br />

tre frontiere”. Terza città della Svizzera per numero di abitanti<br />

dopo Ginevra e Zurigo, la quarta per importanza de facto – se si<br />

considera Berna – , Basilea è uno dei centri culturali più attivi del<br />

paese e uno dei più riconosciuti a livello internazionale. La sua<br />

università è la più antica e prestigiosa dell’intera Confederazione<br />

Svizzera, fondata nel 1459, frequentata da personaggi quali Erasmo<br />

da Rotterdam e Friedrich Nietzsche; i suoi musei prestigiosi, uno<br />

tra tutti la Fondazione Bayeler, una delle più apprezzate collezioni<br />

di arte moderna al mondo, templio del Surrealismo, architetture di<br />

Renzo Piano. Basilea all’avanguardia nell’industria chimica e che<br />

ospita gli uffici centrali della banca UBS. E a passeggiare nel centro<br />

di questa Basilea, con il Reno che la attraversa, i vicoli stretti<br />

e abbarbicati, con i puliti acciottolati, le botteghe e l’aria fredda e<br />

frizzante, sembrerebbe quasi di stare in Scandinavia.<br />

Si è invece in Svizzera. In passato si era detto – scimmiottando gli<br />

stereotipi – “mucche, cioccolato, banche e cattivo gusto”, e la tentazione<br />

di ribadire sarebbe forte all’ombra di una crisi economica<br />

che prima di tutto è una crisi morale di un’economia che non è più<br />

reale, ma il gioco di pochi tecnocrati della finanza – un gioco che<br />

pulito spesso non è e che la Svizzera conosce bene, compresa Basilea,<br />

con si suoi Accordi del 1988 e sopratutto del 2001.<br />

La riflessione che però affascina, quell’indovinello insolvibile, è un<br />

altro, seminato nella storia del paese e in questo stesso articolo sotto<br />

forma di parole chiave: i tre nomi di un città, in tre lingue diverse,<br />

tutti veri nomi della stessa. L’’identità. Sembrerebbe cosa banale,<br />

ma in un’Europa in cui una crisi creata da poteri troppo complicati<br />

e invisibili si abbatte sulle teste dei lavoratori; in un’Europa in cui le<br />

nazioni riprendono a guardarsi in cagnesco perché “quello ha meno<br />

debito di me, facile per lui, ricco sfondato”, e “guarda quell’altro<br />

scansafatiche ed evasore che mi tocca sostenere di tasca mia”; in<br />

un’Europa dove è possibile la riformata e xenofoba Ungheria di<br />

Orbán, dove l’estremismo di destra è arrivato a sconvolgere anche<br />

la fiera e libertaria Norvegia, be’, un paese storicamente neutrale,<br />

che garantisce ai suoi cittadini un tenore di vita tra i più alti al<br />

mondo, un paese unito in cui si parlano però quattro lingue diverse<br />

(tra cui il minoritario romancio) e tutte ufficiali, continua nonostante<br />

tutto a rappresentare un esempio.<br />

Forse ci si dimentica cosa sia la Svizzera, o meglio, la Confoederatio<br />

Helvetica. Una confederazione ufficialmente nata nel 1291 (si<br />

sta parlando di 700 anni fa), che abbracciò con fervore la riforma<br />

protestante nonostante la maggior parte dei cantoni rimanesse cattolica;<br />

che dichiarò una neutralità armata nel 1674 che ha attraversato<br />

guerre napoleoniche, prima e seconda guerra mondiale e che<br />

dura ancora oggi; una Svizzera stato federale dal 1848, con diritti<br />

di lanciare un referendum popolare sanciti dalla costituzione un<br />

secolo prima della nostra nel 1948.<br />

Svizzera restia però a far parte delle Nazioni Unite (entrata solo<br />

nel 2002) e che si ribadisce esterna all’Unione Europea, parte però<br />

delle più potenti istituzioni capitalistiche e monetarie del pianeta.<br />

Moglie e buoi dei paesi tuoi? Forse, però questi paesi un tempo<br />

erano francesi, tedeschi, italiani, grigioni, e lo sono ancora, ma<br />

svizzeri.<br />

C’è un intervento fuori onda di Mario Monti che da poco ha fatto<br />

parlare la rete. La sua riflessione verteva, quasi sovrappensiero, sul<br />

fatto che ogni conquista storica dell’Europa, sia politica ché sociale<br />

quanto economica, sia sempre passata per una cessione di sovranità<br />

nazionale per il bene unitario. Senza arrivare ai livelli di paranoia<br />

del complottismo on-line, dichiarazioni del genere in un momento<br />

in cui l’Europa è un titolo in borsa che grava sulle spalle dei poveracci,<br />

hanno un non so che di velato totalitarismo orwelliano. Però<br />

fermiamoci a pensare: ora, che la memoria diretta di nonni e nonne<br />

sparisce, ora che rimangono solo libri di storia, ovvero linguaggio<br />

al pari di molto altro, distorto a piacimento; pensiamo a cosa fosse<br />

l’Europa solo settant’anni fa. Pensiamo ai fiumi di sangue che hanno<br />

bagnato il suo suolo, francese, tedesco, italiano, ancor prima e<br />

da sempre.<br />

Detto questo la domanda è una: che la Svizzera non abbia iniziato<br />

a fare circa mille anni fa quello che l’Europa sta cercando di fare<br />

solo ora? Difficile a dirsi, ma passeggiando per il Bayeler di Basilea,<br />

di fronte ai capolavori di Magritte (belga), Dalí (spagnolo), Miró<br />

(catalano), Ernst (tedesco), Giacometti (svizzero), Breton (francese),<br />

ci si ricorda di quella babele illuminata che fu la Parigi degli<br />

anni 20, e del perché, nel 1939, finì.<br />

34 marzo 2012

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