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Marzo - Sardinews

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Le interviste di <strong>Sardinews</strong><br />

Credit crunch e decrescita: parla l’economista della Cattolica di Milano Giacomo Vaciago<br />

Italia senza una gerarchia delle necessità<br />

né nasce il network dei cervelli (che ci sono)<br />

Il credit crunch (stretta creditizia) che<br />

va a sommarsi a una lunga perdita di<br />

memoria delle istituzioni nei confronti<br />

delle zone più arretrate del Paese. Sardegna<br />

in testa. Insomma, è così che si può<br />

riassumere l’attuale situazione industriale<br />

nella nostra Isola, all’interno di un contesto<br />

di per sé negativo come quello che sta<br />

attraversando tutta Italia a causa della crisi<br />

finanziaria. L’industria è ferma, nel Paese<br />

e nella nostra Regione, e quando si muove<br />

lo fa per spostarsi a produrre altrove. Una<br />

pressione fiscale che va a incidere sulla<br />

produzione anziché sui consumi e la lunga<br />

mancanza di politiche del lavoro che<br />

favoriscano la tanto auspicata “flessibilità”<br />

hanno condannato il tessuto produttivo<br />

italiano e, in particolare, quello sardo<br />

(ormai a brandelli), a una lenta agonia di<br />

ammortizzatori sociali e vane speranze.<br />

Il tema della produzione industriale, infatti,<br />

corre parallelo a quello della garanzia<br />

di un lavoro nel momento in cui le<br />

istituzioni iniziano ad allertare il popolo<br />

con messaggi che riguardano l’ormai indiscussa<br />

impossibilità di un posto fisso. Nei<br />

giorni scorsi è stata approvata la revisione<br />

dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori,<br />

che prevede il reintegro nel posto di<br />

lavoro solo nel caso dei licenziamenti discriminatori.<br />

Per quelli per motivi economici<br />

ci sarebbe invece solo un indennizzo,<br />

mentre per quelli disciplinari sarebbe il<br />

giudice a decidere se il lavoratore debba<br />

essere reintegrato oppure indennizzato,<br />

sul modello tedesco.<br />

Dovrebbe trattarsi di un primo volano<br />

alla riforma di un mercato, come quello<br />

del lavoro, sclerotizzato dalla mancanza<br />

di tutele per i lavoratori. Nel momento<br />

in cui si tenta di vigilare legalmente la<br />

mobilità lavorativa, però, manca un altro<br />

fattore fondamentale: le industrie capaci<br />

di accogliere i lavoratori che si spostano,<br />

i “flessibili”.<br />

Secondo i dati diffusi a metà marzo dall’Istituto<br />

nazionale di statistica, a gennaio<br />

2012 l’indice destagionalizzato della produzione<br />

industriale è diminuito del 2,5 per<br />

cento rispetto a dicembre 2011. Corretto<br />

per gli effetti di calendario, dice l’Istat, a<br />

gennaio l’indice diminuisce in termini tendenziali<br />

del 5 per cento (i giorni lavorativi<br />

sono stati 21 contro i 20 di gennaio 2011).<br />

Raffaela Ulgheri<br />

Gli indici corretti per gli effetti di calendario<br />

registrano a gennaio 2012 diminuzioni<br />

tendenziali per tutti i raggruppamenti<br />

principali di industrie. I cali più marcati<br />

riguardano l’energia (-5,9 per cento) e i<br />

beni di consumo (-5,8), ma diminuiscono<br />

in misura significativa anche i beni intermedi<br />

(-5,4) e i beni strumentali (-4,2).<br />

Rispetto a gennaio 2011, i settori caratterizzati<br />

da una crescita sono: l’attività estrattiva<br />

(+5,8), la fabbricazione di computer,<br />

prodotti di elettronica e ottica, apparecchi<br />

elettromedicali, apparecchi di misurazione<br />

e orologi (+2,3) e le industrie alimentari<br />

bevande e tabacco (+2,0). Tra i settori in<br />

calo quelli che registrano le diminuzioni<br />

tendenziali più ampie sono l’industria<br />

del legno, carta e stampa (-16,3), le altre<br />

industrie manifatturiere, riparazione e installazione<br />

di macchine e apparecchiature<br />

(-13,3), la fabbricazione di coke e prodotti<br />

petroliferi raffinati e la fabbricazione di apparecchiature<br />

elettriche e apparecchiature<br />

per uso domestico non elettriche (entrambi<br />

in calo dell’11,4 per cento).<br />

I dati sono negativi, certo, hanno però<br />

al loro interno elementi che possono indurre<br />

a sperare in una ripresa della produzione<br />

italiana, vista la costante crescita<br />

dell’attrazione esercitata dalle innovazioni<br />

tecnologiche e dall’industria “verde”. La<br />

Sardegna, come detto, è una regione priva<br />

di industrie, si sta cercando di riattivare<br />

la chimica “verde” dopo le varie peripezie<br />

della Vinyls, ma in realtà la Regione basa<br />

la propria economia essenzialmente sul turismo<br />

e sull’immobiliare. Come abbiamo<br />

sottolineato molte volte su <strong>Sardinews</strong>, i<br />

due settori sono complementari dal momento<br />

che l’industria del turismo è la principale<br />

dell’Isola, mentre tutte le altre attività<br />

produttive (dall’alimentare alla chimica<br />

– come hanno dimostrato, per esempio, le<br />

drammatiche vicende riguardanti il polo<br />

chimico di Porto Torres) sono state dislocate<br />

e hanno chiuso i battenti.<br />

Una mancanza di orizzonti da parte dei<br />

nostri amministratori, da un lato, ma per<br />

lo più una mancanza di politiche incentivanti<br />

verso la produzione industriale.<br />

A questo punto la domanda di fondo è:<br />

come far ripartire la produzione in Italia?<br />

E in Sardegna? Il professor Giacomo<br />

Vaciago, nella foto, docente di Politica<br />

Economica ed Economia Monetaria all’università<br />

Cattolica di Milano, illustra a<br />

<strong>Sardinews</strong> la sua opinione sui ritardi e le<br />

possibili vie d’uscita dalla crisi di produ-<br />

6 marzo 2012

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