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Giugno<br />
20<strong>13</strong><br />
39<br />
1° CORSO DI ICONOGRAFIA:<br />
il Volto di Cristo<br />
Si è conclusa con la benedizione delle icone durante<br />
la santa messa nella cattedrale San Clemente,il primo<br />
corso di iconografia del 20<strong>13</strong>, un cammino di due<br />
mesi per gli allievi guidati dal maestro d’arte Fabio Pontecorvi.<br />
Otto incontri dove i corsisti hanno conosciuto ed imparato con<br />
entusiasmo la tecnica della tempera all’uovo e dell’applicazione<br />
della foglia in oro, una tecnica antichissima utilizzata<br />
dagli antichi maestri iconografi.<br />
Lo scopo del corso è stato quello di dipingere su una tavola<br />
in legno ingessata (Levkas) portando a termine un icona del<br />
volto di Cristo. Importante è stato anche la preparazione alla<br />
preghiera che durante le lezioni hanno accompagnato il lavoro<br />
degli allievi. L’icona possiamo definirla una finestra verso<br />
il divino, uno strumento che aiuta a contemplare il mistero di Dio e la<br />
vita dei santi.<br />
Ogni tappa ha visto la curiosità degli allievi che con capacità artistiche<br />
hanno condiviso il loro lavoro in una ambiente favorevole come quello<br />
del laboratorio del museo diocesano. Il lavoro si è svolto partendo<br />
dal disegno per arrivare alla preparazione dei colori attraverso i pigmenti<br />
colorati, con terre e ossidi e minerali.<br />
“Importante nell’iconografia sacra è il colore che non può essere considerato<br />
solo un semplice mezzo di decorazione, ma fa parte di un linguaggio<br />
che tende ad esprimere il mondo trascendentale,verso l’alto.<br />
Come per i simboli il colore è legato ad un significato” www.artesacraveliter.it<br />
La preghiera quindi accompagnata alla tecnica ha dato quel valore spirituale<br />
ad ogni tavola(Icona) che sarà uno strumento di preghiera per<br />
gli allievi che hanno partecipato al corso.<br />
Segue la preghiera dell’iconografo:<br />
O Divino Maestro,<br />
fervido artefice di tutto il creato,<br />
illumina lo sguardo del Tuo servitore,<br />
custodisci il suo cuore,<br />
reggi e governa la sua mano,<br />
affinché degnamente e con perfezione<br />
possa presentare<br />
la Tua immagine per la gloria, la gioia e la bellezza<br />
della Tua Santa Chiesa.<br />
Artemisia Gentileschi,<br />
Giuditta che decapita Oloferne,<br />
1620 circa, Galleria degli Uffizi di Firenze.<br />
don Marco Nemesi*<br />
L’emergere in campo artistico delle donne<br />
coincide con la nozione moderna di ”artista”,<br />
che vede il concetto intellettuale del<br />
“fare arte” in opposizione alla manualità artigianale.<br />
Eppure, oggi, si è spesso sorpresi all’idea che<br />
nel 1600 la pittura fosse praticata anche dalle<br />
donne. In realtà numerose artiste, tra la fine del<br />
‘500 e l’inizio del ‘600, si sono “consacrate” alla<br />
pittura e hanno conosciuto una discreta fortuna<br />
in vita. Certo, all’epoca era impensabile per<br />
una donna far carriera in ambito pittorico senza<br />
l’appoggio, la tutela o la protezione di un uomo.<br />
Eppure le pittrici esistevano ed erano anche apprezzate,<br />
nonostante che per ben tre secoli il giudizio<br />
sulla pittura “femminile” abbia risentito di quella<br />
classificazione per categorie stabilita già da<br />
Vasari nelle Vite, proprio nel momento in cui la<br />
storia dell’arte si faceva strada in quanto disciplina.<br />
Quelle stesse categorie che si sono poi<br />
trasformate in “pregiudizio” lungo tutto l’800. Il<br />
talento delle artiste, sebbene riconosciuto,<br />
restava nel limbo, in una categoria a parte di<br />
“interesse minore”.<br />
Artemisia Gentileschi ne è l’esempio più evidente.<br />
Riguardo ai meriti artistici di Artemisia, l’elogio<br />
di Roberto Longhi la dice lunga: “l’unica donna<br />
in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura...”<br />
e sebbene altre pittrici avessero intrapreso<br />
quella via, sia nell’arte che nella biografia di<br />
Artemisia Gentileschi, c’è qualcosa che la rende<br />
particolarmente affascinante e che spiega l’interesse<br />
di scrittori e registi nei suoi confronti.<br />
Contemplando “Giuditta che decapita Oloferne”,<br />
sempre Longhi scriveva:<br />
“Chi penserebbe infatti che sopra un lenzuolo<br />
studiato di candori e ombre diacce degne d’un<br />
Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire<br />
un macello così brutale ed efferato […]<br />
Ma - vien voglia di dire - ma questa è la donna<br />
terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?” e<br />
ancora: “... che qui non v’è nulla di sadico, che<br />
anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di<br />
chi ha dipinto tutto questo ed è persino riescita<br />
a riscontrare che il sangue sprizzando con<br />
violenza può ornare di due bordi di gocciole a<br />
volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi<br />
date per carità alla Signora Schiattesi - questo<br />
è il nome coniugale di Artemisia - il tempo di scegliere<br />
l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna!<br />
Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta<br />
sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue<br />
non le brutti il completo novissimo di seta gialla?<br />
Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un<br />
abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba<br />
di sete del ‘600 europeo, dopo Van Dyck”.<br />
L’analisi dell’opera rileva la particolare maestria<br />
pittorica e l’estrema abilità nel servirsi dell’impasto<br />
e della variegata tavolozza: i colori squillanti,<br />
il luminoso panneggio e quel suo giallo inconfondibile,<br />
il perfezionismo nel tradurre la realtà,<br />
la minuzia orafa dei gioielli e delle armi.<br />
Indubbia l’assimilazione del genio di Caravaggio<br />
di cui risaltano evidenti i richiami e le influenze.<br />
I due destini, d’altronde, sono accomunati<br />
da una vita tormentata e segnata da dolorosi<br />
eventi, lo stupro subito dall’una e il fatidico omicidio<br />
in duello di Ranuccio Tomassoni per l’alcontinua<br />
a pag. 40