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le competenze locali e il cartografo). Tuttavia, come la desertificazione<br />

cartografica dell’e<strong>di</strong>ficato segue la per<strong>di</strong>ta della funzionalità del patrimonio<br />

antropico, testimoniandone il reale abbandono e anticipandone la<br />

definitiva scomparsa, così il depauperamento toponimico è conseguenza<br />

dello sra<strong>di</strong>camento culturale avvenuto in passato e dell’attuale <strong>di</strong>sinteresse<br />

per le aree montane abbandonate e <strong>di</strong>smesse. Ad un vuoto cartografico<br />

corrisponde cioè un palese vuoto culturale, lo sgretolamento finale del<br />

tra<strong>di</strong>zionale rapporto uomo-montagna, oggi inesistente. Così può succedere<br />

che ad un lavoro scrupoloso del cartografo si affianchi una competenza<br />

locale non autoctona o comunque ignorante le denominazioni territoriali<br />

dell’area in cui vive o lavora.<br />

I geografi hanno spesso considerato responsabile dell’impoverimento<br />

e delle inesattezze toponomastiche il rilevamento cartografico (DE<br />

SIMONI, 1984; CASSI, MARCACCINI, 1991), perché operazione oggettivamente<br />

mai del tutto precisa o perché strumento <strong>di</strong> una cultura urbanocentrica<br />

che sceglie <strong>di</strong> dare significato a ciò che è altro da sé, la montagna,<br />

con criteri <strong>di</strong> selezione delle informazioni non consoni a questa realtà.<br />

Nello specifico caso delle aree montane abbandonate, però, si dovrebbe<br />

considerare anche la componente dello sra<strong>di</strong>camento materiale e culturale<br />

<strong>degli</strong> abitanti originari, che ormai rende molte delle informazioni toponomastiche<br />

anacronistiche, perché i luoghi un tempo abitati e frequentati<br />

non lo sono più, e perché il loro nome ha perso ogni richiamo logico alla<br />

precedente funzionalità territoriale.<br />

Il geografo che intenda stu<strong>di</strong>are l’abbandono delle “terre alte” potrà<br />

<strong>qui</strong>n<strong>di</strong> farlo anche attraverso l’analisi delle vicende toponomastiche <strong>di</strong><br />

un’area, perché considerando le loro poliedriche e sfaccettate valenze geografico-culturali,<br />

strettamente connesse alla presenza/assenza dell’uomo in<br />

un territorio, può <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un importante strumento <strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong> verifica.<br />

Inoltre, raccogliendo conoscenze toponomastiche con indagini cartografiche<br />

e sul campo, lungi dall’essere un laudator temporis acti, potrà<br />

anche contribuire a contrastare l’accelerato e devastante processo <strong>di</strong> “riduzione-semplificazione-appiattimento”<br />

culturale che si è andato concretizzando<br />

specie nelle nuove generazioni e nella maggior parte della regione<br />

montana. Recuperare toponimi non significherà riportare la montagna<br />

all’antico aspetto paesaggistico che destò la prima azione onomaturgica,<br />

né tantomeno guarirla dalla banalizzazione culturale e dall’abbandono dell’ambiente<br />

naturale e del patrimonio materiale, ma potrà essere comunque<br />

un importante contributo alla tutela e alla valorizzazione culturale.<br />

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