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DCOOS5458<br />

GIPA/LO/CONV/028/2010<br />

DEVinis<br />

LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ,<br />

LA CUL TURA, IL PIACERE,<br />

IPROTAGONISTIDELBEREBENE<br />

Anno XVII - n. 96 - € 3,50<br />

Novembre / Dicembre 2010<br />

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z<br />

www.sommelier.it - ais@sommeliersonline.it


Editoriale<br />

Lavoriamo<br />

per un’Ais<br />

sempre più forte<br />

di Antonello Maietta<br />

Da pochi giorni si è concluso l’iter che ogni quattro<br />

anni conduce l’Ais al rinnovo dei vertici associativi,<br />

iniziato in primavera con l’elezione dei<br />

Presidenti regionali. Grazie al voto unanime del Consiglio<br />

Nazionale, espressione delle singole realtà territoriali,<br />

avrò il compito di guidare un gruppo di colleghi di provata<br />

affidabilità e competenza, con cui da tempo condivido<br />

sentimenti di stima e amicizia. Ma il vero privilegio,<br />

di cui tutti ci sentiamo onorati, sarà quello di rappresentare,<br />

in Italia e all’estero, una <strong>Associazione</strong> dinamica<br />

e professionale, a cui l’intero mondo del vino guarda<br />

con simpatia e attenzione.<br />

Ci aspettano sfide significative in un momento difficile<br />

per il settore. Abbiamo bisogno del consolidamento e dell’affermazione<br />

generalizzata delle nostre eccellenze.<br />

Quindi, cari amici, serriamo le fila per presentarci come<br />

un interlocutore forte e coeso, recuperiamo tutti assieme<br />

quell’orgoglio di appartenenza a una comunità estesa<br />

ben oltre i confini nazionali, che in 45 anni di vita ha<br />

fatto sempre il proprio dovere per promuovere il vino di<br />

qualità, facendo crescere generazioni di professionisti<br />

e di appassionati.<br />

Saremo impegnati in una campagna di fidelizzazione del<br />

▲ Renato Paglia, Terenzio Medri,<br />

Antonello Maietta e Roberto Bellini<br />

socio attraverso una “tessera pesante”, da esibire con<br />

ambizione, che consentirà di beneficiare di agevolazioni<br />

esclusive. Azioneremo con efficacia le leve della comunicazione,<br />

per dare risalto ai grandi eventi che periodicamente<br />

prendono vita nei nostri territori. Un occhio<br />

attento sarà rivolto alla formazione e alla didattica, vero<br />

fiore all’occhiello dell’Ais, per mettere a disposizione di<br />

tutti il nostro innegabile patrimonio di conoscenza.<br />

Non nascondo la nostra emozione per le numerosissime<br />

attestazioni di stima e di incitamento che da più parti<br />

stiamo ricevendo; siamo lusingati nel constatare tangibilmente<br />

l’attaccamento a questa nostra <strong>Associazione</strong>.<br />

La percezione del vostro affetto ci accompagnerà quotidianamente<br />

e sarà determinante nell’infondere forza,<br />

energia ed entusiasmo alle nostre azioni. Vi chiediamo<br />

di rimanere al nostro fianco nei prossimi quattro anni<br />

e di non farci mai mancare il vostro sostegno e una critica<br />

costruttiva; da parte nostra ci impegniamo a onorare<br />

il mandato ricevuto con serietà, dedizione e spirito<br />

associativo.<br />

A voi tutti dedichiamo il nostro brindisi più speciale per<br />

le imminenti festività, con l’augurio di poterlo condividere<br />

con le persone che più vi sono care.<br />

3


AIS 2011<br />

Anno XVII novembre-dicembre 2010<br />

<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s Editore<br />

Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, terenzio.medri@sommeliersonline.it<br />

Coordinamento redazionale | Francesca Cantiani, francesca.cantiani@sommeliersonline.it<br />

Per la pubblicità | Top Communication Sas topcommunicationsas@live.it Tel. +39 392/8289316<br />

Redazione | <strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s<br />

Viale Monza 9 - 20125 Milano<br />

Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - devinis@sommeliersonline.it<br />

Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it<br />

Hanno collaborato | Ennio Baccianella, Fabio Brioschi, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Riccardo Castaldi,<br />

Pinuccio Del Menico, Elisa della Barba, Piermaurizio Di Rienzo, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Paolo<br />

Giarrusso, Maddalena Giuffrida, Emanuele Lavizzari, Michela Lugli, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Angelo<br />

Matteucci, Davide Oltolini, Fulvio Piccinino, Paolo Pirovano, Annalisa Raduano, Gabriele Ricci Alunni, Luigi Salvo,<br />

Ludovica Schiaroli, Gianluigi Zanovello, Paolo Zatta, Franco Ziliani.<br />

Fotografie | Archivio Ais<br />

Per l’articolo a firma di Alessandro Franceschini foto gentilmente concesse dal Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese<br />

Per l’articolo a firma di Annalisa Raduano foto di Nevio Diaz e Francesco Galifi<br />

Per l’articolo a firma di Ludovica Schiaroli foto di Beppe Cumbo<br />

Per l’articolo a firma di Riccardo Castaldi foto dello stesso autore<br />

Per l’articolo alle pagine 90-91 su Piero Lugano foto di Giuliano Cavallino<br />

4<br />

AIS <strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s<br />

Presidente | Antonello Maietta<br />

Vicepresidenti | Renato Paglia, Roberto Bellini<br />

Membri della Giunta Esecutiva Nazionale | Antonello Maietta, Renato Paglia, Cristiano Cini, Luca Panunzio,<br />

Gabriele Ricci Alunni, Marco Starace, Roberto Bellini, Mauro Carosso, Giorgio Rinaldi<br />

Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001<br />

Associato USPI<br />

Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 45,00<br />

Intestare ad “<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versamento<br />

da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità:<br />

- pagamento tramite c/c postale 000058623208<br />

- bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice<br />

SWIFT BPPIITRRXXX)<br />

- bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano,<br />

IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001)<br />

Chiuso in redazione il 09-11-2010<br />

Stampa | Grafiche Parole Nuove Srl - Brugherio Milano<br />

Copie di questo numero | 40.000<br />

È possibile rinnovare l’iscrizione nei<br />

seguenti modi:<br />

Internet<br />

basta collegarsi al sito<br />

www.sommelier.it,<br />

cliccare su “Rinnovi Online”<br />

e seguire le istruzioni<br />

per effettuare il pagamento<br />

tramite Carta di Credito<br />

(escluso Diners Card).<br />

La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene.<br />

Rinnovo quota associativa 2011<br />

c/c postale<br />

n. 58623208 intestato ad<br />

“<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s<br />

Viale Monza 9, 20125 Milano”,<br />

indicare nella causale<br />

“Quota associativa 2011”.<br />

Bonifico presso Banco Posta<br />

intestato ad “<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong><br />

<strong>Sommelier</strong>s” IBAN<br />

IT83K0760101600000058623208<br />

(aggiungere per versamenti<br />

dall’estero codice<br />

SWIFT BPPIITRRXXX).<br />

Bonifico bancario<br />

presso “Banca Intesa Sanpaolo,<br />

via Costa 1/A, Milano” intestato ad<br />

“<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s”<br />

codice IBAN<br />

IT26H0306909442625008307992<br />

(aggiungere per versamenti<br />

dall’estero codice<br />

SWIFT BCITIT22001)<br />

La quota associativa è di 80 euro<br />

e comprende l’abbonamento annuo<br />

alla rivista ufficiale AIS e alla Guida<br />

Duemilavini edizione 2012.


Il saluto<br />

Grazie<br />

a tutti voi<br />

di Terenzio Medri<br />

Èper me doveroso iniziare con<br />

un “grazie” a voi tutti, alla<br />

grande famiglia dell’Ais che<br />

ho avuto l’onore di guidare per otto<br />

anni, dal 2002 fino all’inizio di<br />

novembre. Otto anni che mi hanno<br />

arricchito professionalmente e umanamente.<br />

Uno straordinario viaggio<br />

attraverso i territori italiani del vino,<br />

a stretto contatto con i sommelier,<br />

i dirigenti, i produttori. A servizio<br />

dell’associazione, della sua unità e<br />

del suo sviluppo. Lascio un’Ais unita<br />

e forte. Unita grazie a una organizzazione<br />

che ha imparato a valorizzare<br />

le realtà regionali con la riforma<br />

statutaria del 2003 sull’autonomia<br />

(un federalismo “ante litteram”)<br />

e, al tempo stesso, a integrarle in<br />

un progetto comune di respiro<br />

nazionale.<br />

Forte, cioè autorevole, ascoltata,<br />

accreditata presso i produttori vitivinicoli,<br />

presso gli attori della filiera<br />

commerciale che da essi ha origine<br />

– enoteche, ristoranti, alberghi<br />

– e presso le istituzioni pubbliche.<br />

Forte perché solida economicamente,<br />

con un bilancio sano, in attivo,<br />

che consente, grazie a un strategia<br />

bene impostata, di programmare gli<br />

investimenti futuri in idee e progetti.<br />

E con la nuova sede, di cui abbiamo<br />

completato l’acquisto. Molto c’è<br />

ancora da fare, ma la strada è tracciata.<br />

Si può procedere spediti. In<br />

buona compagnia, con le altre associazioni<br />

del settore enogastronomico,<br />

con i centri di alta formazione<br />

e le università. La meta è certa: la<br />

▲ Terenzio Medri insieme ai suoi familiari e a Luca Gardini, Miglior<br />

<strong>Sommelier</strong> del Mondo<br />

presenza diffusa dell’Ais a livello<br />

mondiale.<br />

Desidero qui ringraziare i responsabili<br />

della formazione Ais che<br />

hanno saputo preparare professionisti<br />

che tutti ci invidiano con una<br />

didattica di alto profilo, moderna e<br />

aggiornata, della quale sono chiaro<br />

esempio i tre livelli corsuali e la<br />

nuova manualistica, già tradotta in<br />

diverse lingue.<br />

Abbiamo realizzato insieme una<br />

grande operazione culturale che ha<br />

radicalmente trasformato la figura<br />

del sommelier, posizionandolo come<br />

comunicatore esperto del mondo del<br />

vino e, oltre, delle eccellenze enogastronomiche<br />

italiane, del “made in<br />

Italy” agroalimentare.<br />

Continuerò come sommelier asso-<br />

ciato a seguirvi e a sostenervi. Mi<br />

attendono nuovi e importanti impegni<br />

nel turismo e nell’associazionismo<br />

imprenditoriale della mia regione,<br />

nei quali porterò il patrimonio<br />

umano e professionale di questi otto<br />

anni che mi rimarranno nel cuore<br />

indimenticabili come gli otto minuti<br />

di applausi dopo la mia relazione<br />

al Congresso nazionale di<br />

Perugia. Per concludere, oltre ad<br />

augurare a tutti voi buon Natale e<br />

felice 2011, voglio rivolgere un grazie<br />

anche a mia moglie Luciana, a<br />

mia figlia Barbara e al suo compagno<br />

Mario che aiutandomi nell’attività<br />

di albergatore, mi hanno consentito<br />

di dedicare il tempo all’associazione.<br />

Senza di loro non ce<br />

l’avrei fatta.<br />

5


Sommario<br />

Novembre / Dicembre 2010<br />

“SOTTO LA NEVE C’È IL PANE”,<br />

RECITA UN ANTICO<br />

ADAGIO POPOLARE!<br />

8<br />

La nostra squadra<br />

I NUOVI ORGANI DIRETTIVI DELL’AIS<br />

12 Il cuore dell’Umbria<br />

SI È SVOLTO A PERUGIA IL 44.MO CONGRESSO NAZIONALE<br />

14 Produttori e strategie comuni<br />

PERCHÉ L’ITALIA NON RIESCE A FARE SISTEMA?<br />

16 Sorsi di storia<br />

I VINI UMBRI DA RICORDARE<br />

20 Sul tetto del mondo<br />

LUCA GARDINI VINCE IL TITOLO IRIDATO<br />

26 I tesori del Südtirol<br />

DEGUSTAZIONE DELLE BOLLICINE ALTOATESINE<br />

30 Effervescenza con sfumature rosé<br />

LA VOCAZIONE SPUMANTISTICA DELL’OTREPÒ PAVESE<br />

38 L’uva della Serenissima<br />

VIGNETI IN LAGUNA A VENEZIA<br />

42 Le radici della Sicilia<br />

FARO, UNA DOC DA RISCOPRIRE<br />

46 La forza delle cooperative<br />

RISORSE E QUALITÀ PER VALORIZZARE IL TERRITORIO


52 La salute in un bicchiere<br />

IL VINO, RIMEDIO CURATIVO FIN DALL’ANTICHITÀ<br />

56 Viticoltura nel rispetto dell’ambiente<br />

IL SUCCESSO DELLA NUOVA ZELANDA<br />

62 Herzlich willkommen!<br />

PAESAGGI E SAPORI DELLA GERMANIA<br />

74 Profumi di erbe antiche<br />

LA TRADIZIONE DELLA LIQUORISTICA PIEMONTESE<br />

78 Miti e culture del passato<br />

IL VINO NELL’ANTICA GRECIA<br />

All’interno 48 Musei GLI AROMI E LA STORIA DEL CAFFÈ<br />

60 Mappamondo IN SVIZZERA ALLA SCOPERTA DEL VALLESE<br />

68 Olio SI CONSUMA MA SENZA CONOSCERLO<br />

70 Birra UN ARTIGIANO DEL SALENTO<br />

72 Distillati LE SUPERBE GRAPPE DEL TRENTINO<br />

84 Viticoltura I VINI DELL’ABBAZIA DI NOVACELLA<br />

88 Curiosità BRINDISI AI 50 ANNI DELLE FRECCE TRICOLORI<br />

97 Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI<br />

98 Io non ci sto! IN ITALIA C’È ANCORA BISOGNO DI VITIGNI “MIGLIORATIVI”?


Elezioni Ais<br />

I nuovi organi direttivi<br />

CONSIGLIO NAZIONALE<br />

eletto il 27 Ottobre 2010<br />

<strong>Sommelier</strong> Professionisti<br />

Luca Castelletti<br />

Cristiano Cini<br />

Antonello Maietta<br />

Renato Paglia<br />

Luca Panunzio<br />

Gabriele Ricci Alunni<br />

Marco Starace<br />

Leonardo Taddei<br />

<strong>Sommelier</strong><br />

Roberto Bellini<br />

Mauro Carosso<br />

Aldo Corrado<br />

Giorgio Rinaldi<br />

8<br />

GIUNTA ESECUTIVA NAZIONALE<br />

eletta l’8 novembre 2010<br />

<strong>Sommelier</strong> Professionisti<br />

Presidente: Antonello Maietta<br />

Vice Presidente: Renato Paglia<br />

Cristiano Cini<br />

Luca Panunzio<br />

Gabriele Ricci Alunni<br />

Marco Starace<br />

<strong>Sommelier</strong><br />

Vice Presidente: Roberto Bellini<br />

Mauro Carosso<br />

Giorgio Rinaldi<br />

COLLEGIO REVISORI DEI CONTI<br />

Roberto Armelisasso (Presidente)<br />

Guido Guetta<br />

Giovanni Luchetti


IL CONSIGLIO NAZIONALE<br />

Antonello Maietta - Presidente Renato Paglia - Vice Presidente Roberto Bellini - Vicepresidente<br />

Luca Castelletti Cristiano Cini Luca Panunzio<br />

Gabriele Ricci Alunni Marco Starace Leonardo Taddei<br />

Mauro Carosso Aldo Corrado Giorgio Rinaldi<br />

9


Elezioni Ais<br />

Presidenti Associazioni Regionali<br />

Consiglieri di diritto<br />

VALLE D’AOSTA<br />

Moreno Rossin<br />

TRENTINO<br />

Mariano Francesconi<br />

EMILIA<br />

Quirino Raffaele Piccirilli<br />

MARCHE<br />

Domenico Balducci<br />

CAMPANIA<br />

Nicoletta Gargiulo<br />

10<br />

PIEMONTE<br />

Fabio Gallo<br />

ALTO ADIGE<br />

Christine Mayr<br />

ROMAGNA<br />

Gian Carlo Mondini<br />

LAZIO<br />

Franco Ricci<br />

PUGLIA<br />

Vito Sante Cecere<br />

LOMBARDIA<br />

Fiorenzo Detti<br />

FRIULI VENEZIA GIULIA<br />

Renzo Zorzi<br />

TOSCANA<br />

Osvaldo Baroncelli<br />

ABRUZZO<br />

Gaudenzio D’Angelo<br />

CALABRIA<br />

Gennaro Convertini<br />

VENETO<br />

Dino Marchi<br />

LIGURIA<br />

Alex Molinari<br />

UMBRIA<br />

Sandro Camilli<br />

MOLISE<br />

Giovanna Di Pietro<br />

BASILICATA<br />

Vito Giuseppe D’Angelo


SICILIA<br />

Camillo Privitera<br />

GRAN BRETAGNA<br />

Andrea Rinaldi<br />

SARDEGNA<br />

Giuseppina Pilloni<br />

Collegio dei Revisori<br />

dei Conti<br />

Roberto Armelisasso Guido Guetta<br />

Giovanni Luchetti


Congresso Ais<br />

Il cuore nobile<br />

dell’Umbria<br />

conquista i sommelier<br />

IL 44° CONGRESSO<br />

NAZIONALE DELL’AIS A<br />

PERUGIA È STATO<br />

L’OCCASIONE PER<br />

APPREZZARE I VINI<br />

LOCALI E PRESENTARE<br />

NUOVE INIZIATIVE PER IL<br />

RILANCIO SUI MERCATI<br />

NAZIONALI ED ESTERI<br />

DELLE ECCELLENZE<br />

UMBRE<br />

12<br />

di Ennio Baccianella<br />

Si è concluso con una standing<br />

ovation il 44° Congresso<br />

dell’Ais tenutosi all’Hotel<br />

Brufani di Perugia. Il presidente<br />

dell’Ais Umbria, Gabriele Ricci<br />

Alunni, presentando l’evento, ha<br />

sottolineato come il lavoro dei sommelier<br />

abbia favorito la conoscenza<br />

e la valorizzazione delle eccellenze<br />

enologiche e del territorio. Per la<br />

prima volta sono arrivati importatori<br />

provenienti dalla Germania e<br />

dal Regno Unito che hanno visitato<br />

l’Umbria e, guidati dalla delegata<br />

dell’Ais della Germania del Nord,<br />

Sofia Biancolin, hanno potuto<br />

apprezzare le produzioni di alcune<br />

aziende regionali e partecipare<br />

alle degustazioni in programma.<br />

Cuore della manifestazione è stato<br />

il concorso “Miglior <strong>Sommelier</strong><br />

d’Italia-Premio Franciacorta”, che<br />

si è svolto al Teatro Pavone.<br />

Quindici i sommelier professionisti<br />

in gara. A vincere il titolo è stato<br />

Nicola Bonera, classe 1979, bresciano,<br />

miglior sommelier di<br />

Lombardia nel 2002 e master del<br />

Sangiovese nel 2006, che lavora<br />

come wine consultant per diversi<br />

ristoranti ed enoteche.<br />

«Questa vittoria significa il coronamento<br />

di un sogno, contatti, autostima,<br />

maggiore convinzione ma<br />

soprattutto soddisfazione personale.<br />

Ero contento anche le due volte<br />

in cui sono arrivato secondo ma<br />

questo è qualcosa in più» ha dichiarato<br />

Bonera a fine concorso. Bonera<br />

ha preceduto gli altri due finalisti,<br />

il toscano Gabriele Del Carlo, sommelier<br />

del Four Seasons Hotel<br />

George V di Parigi e Niccolò Baù,<br />

campione veneto lo scorso anno.<br />

L’Happy Hour 61, aperitivo di benvenuto<br />

offerto ai congressisti e alla<br />

città di Perugia dall’Azienda Guido<br />

Berlucchi, ha riscosso il previsto<br />

successo, coinvolgendo il centro<br />

della città in un evento unico, sulle<br />

note della musica degli anni<br />

Settanta.<br />

Il gran galà di benvenuto all’Egizia<br />

Dancing di Deruta è stata invece<br />

l’occasione per apprezzare i vini<br />

della Strada del Cantico e i cioccolatini<br />

preparati dal mastro cioccolatiere<br />

Alberto Farinelli della<br />

scuola del cioccolato Perugina, ma<br />

anche per applaudire i vincitori del<br />

Premio “Bonaventura Maschio – La<br />

ricerca dell’eccellenza”.<br />

Palazzo dei Priori e la splendida Sala


dei Notari hanno accolto l’apertura<br />

ufficiale del 44° Congresso nazionale<br />

e la tavola rotonda sul tema<br />

“Perché l’Italia del vino non riesce<br />

a fare sistema?”. Renzo Cotarella,<br />

Gianni Zonin, Vinzia Novara,<br />

Maurizio Zanella, Franco Maria<br />

Ricci, Marco Caprai e Pompeo<br />

Farchioni stimolati e provocati dal<br />

giornalista Rai (umbro Doc)<br />

Lamberto Sposini hanno affrontato<br />

l’argomento, analizzandolo sotto<br />

vari punti di vista.<br />

Franco Zonin ha affermato che con<br />

l’entrata in vigore del nuovo codice<br />

della strada, che a suo parere<br />

demonizza il gusto del bere, il consumo<br />

procapite è sceso di 3,4 litri.<br />

«Bisogna unire le forze ma soprattutto<br />

la politica deve assumere un<br />

ruolo centrale, da mediatrice, deve<br />

mettere ordine e farsi carico di un<br />

progetto comune» ha affermato<br />

Pompeo Farchioni. Marco Caprai<br />

ha sottolineato come manchi un<br />

“progetto vino” e Vinzia Novara<br />

(Cantine Firriato), raccontando<br />

l’esperienza siciliana, ha suggerito<br />

di partire dal territorio per unire i<br />

diversi interessi dei produttori e fare<br />

parte di un’unica squadra. Renzo<br />

Cotarella si è dimostrato più pessimista:<br />

«Fare squadra è un bel progetto<br />

ma è difficile da realizzare a<br />

causa delle numerose divergenze di<br />

interessi».<br />

Franco Maria Ricci ha ribadito invece<br />

il ruolo di educatore del sommelier<br />

contro la cultura dell’assaggio,<br />

poiché a suo dire è una forma<br />

di spreco che non porta nulla di<br />

positivo alle cantine. *<br />

A conclusione è stato presentato un<br />

nuovo progetto: il MOT, acronimo<br />

che sta per Montefalco - Orvieto -<br />

Torgiano. I sindaci di questi tre<br />

importanti comuni umbri hanno<br />

firmano un protocollo d’intenti per<br />

rilanciare un progetto unitario sul<br />

vino, iniziando con il “MOT Day”,<br />

prima tappa a Torgiano.<br />

Ancora un momento suggestivo al<br />

complesso monumentale di Santa<br />

Giuliana, in compagnia de “La Notte<br />

delle Stelle”. Gli chef stellati umbri<br />

Marco Bistarelli del ristorante Il<br />

Postale e Marco Gubbiotti del ristorante<br />

La Bastiglia hanno interpretato<br />

un menù stellato unitamente<br />

ai vini del Consorzio di Montefalco.<br />

Durante la serata la vicepresiden-<br />

te regionale Margherita Pierini ha<br />

consegnato a Gabriele Ricci Alunni,<br />

giunto al termine del suo mandato<br />

da presidente dell’Ais dell’Umbria,<br />

una targa per ringraziarlo dell’attività<br />

svolta in otto anni, dedicati alla<br />

crescita culturale e professionale<br />

dell’associazione e alla valorizzazione<br />

dei vini umbri.<br />

Vini che sono stati giustamente al<br />

centro della degustazione “I vini che<br />

hanno fatto la storia dell’Umbria”.<br />

Nella sala allestita per l’occasione<br />

all’Hotel Brufani Palace nel centro<br />

della città sono state presentate<br />

annate storiche di alcuni vini, che<br />

hanno portato la propria qualità a<br />

rimanere per sempre scritta nella<br />

storia enologica d’Italia e mondiale.<br />

Un successo oltre ogni previsione<br />

con oltre un centinaio di presenze.<br />

I vini in degustazione sono stati:<br />

Orvieto Classico Superiore “Campo<br />

del Guardiano” anno 1998 Cantina<br />

Palazzone, “Cervaro della Sala” anno<br />

1991 Castello della Sala Cantina<br />

Antinori, “Campoleone” anno 1999<br />

Cantina Lamborghini, “Rubino”<br />

anno 1997 Cantina La Palazzola,<br />

“Rosso d’Arquata” anno 1994<br />

Azienda Agricola Adanti, Torgiano<br />

Rosso Riserva “Vigna Monticchio”<br />

anno 1982 Cantina Lungarotti,<br />

“Sagrantino di Montefalco 25 anni”<br />

anno 1995 Cantina Arnaldo Caprai<br />

e “Calcaia” anno 1994 Cantine<br />

Barberani.<br />

* I contenuti della tavola rotonda<br />

sono approfonditi nell’articolo successivo<br />

▲ Gli importatori esteri presenti al Congresso<br />

▲ I vincitori del Premio Bonaventura<br />

Maschio, Pietro Caravello, Sabrina<br />

Somigli e Marco Catapano con Andrea<br />

Maschio<br />

▲ Gabriele Ricci Alunni, presidente<br />

uscente di Ais Umbria<br />

▼ Gabriele Del Carlo, Nicola<br />

Bonera e Niccolò Baù, i tre finalisti<br />

del Premio Franciacorta<br />

13


Congresso Ais<br />

I pro<br />

e i contro<br />

del fare squadra<br />

NEL CORSO DELLA<br />

TAVOLA ROTONDA I<br />

RELATORI HANNO<br />

DISCUSSO<br />

SULL’IMPORTANZA DI<br />

CREARE UN “SISTEMA<br />

VINO” CHE POSSA<br />

RILANCIARE IL MADE IN<br />

ITALY ENOLOGICO NEL<br />

MONDO<br />

14<br />

di Pinuccio Del Menico<br />

un problema atavico che deriva da una non voglia di stare<br />

insieme. E così l’Ais si propone come testimone di un patto<br />

«Esiste<br />

ideale per creare una squadra del vino con i produttori». Franco<br />

Maria Ricci ha così aperto il convegno tenutosi nella fantastica Sala dei<br />

Notari di Perugia. Sotto gli otto archi trasversali e immersi negli affreschi<br />

duecenteschi con cicli allegorici e biblici, poltroncine e antiche tribune lignee<br />

esaurite in ogni ordine di posti per discutere un tema che si può riassumere<br />

in una domanda fondamentale: «Che cosa fare per andare verso un futuro<br />

più roseo?». E con la chiarezza che lo contraddistingue ancora Franco<br />

M. Ricci: «Il nostro lavoro è insegnare il vino. In questo senso diventa fondamentale<br />

investire in cultura per spiegare il vino. Ma attenzione: non servono<br />

a nulla esposizioni con stand da un milione che poi finiscono in tasca<br />

ad architetti e falegnami e al nostro mondo non rimane nulla. Un esempio<br />

dei risultati ottenibili con una seria promozione viene dai dati ufficiali sul<br />

turismo negli Stati Uniti: al primo posto tra i siti visitati c’è Disneyland. Al<br />

secondo posto la California, ma non le sue spiagge, bensì Napavalley, la<br />

terra del vino. Senza dimenticare che il vino è rimasto l’ultimo, vero, made<br />

in Italy».<br />

D’accordo anche Antonello Maietta: «Oggi il made in Italy agricolo è l’unico<br />

che può garantire ai consumatori italiani e internazionali qualità e tracciabilità.<br />

Basti pensare al settore abbigliamento e accessori moda: hanno un<br />

marchio italiano ma chissà dove sono stati fatti». Dopo la provocazione del<br />

moderatore dell’incontro, il giornalista Lamberto Sposini («Ma siamo sicuri<br />

che non fare sistema sia un limite?»), i pareri di produttori ed enologi.<br />

Vinzia Novara: «Fare squadra è un bene da un lato, soprattutto per la nostra<br />

creatività. In Italia ci sono molte differenze tra nord e sud, di storia e di<br />

distanza tra le zone. Noi, per esempio, parliamo prima di marchio e poi di<br />

territorio. In effetti in Italia c’è separazione tra i produttori, al contrario di<br />

ciò che succede all’estero dove si lavora per raggiungere gli stessi obiettivi,<br />

ma senza cedere nell’omologazione».<br />

Pompeo Farchioni: «Credo sia una follia massificare la promozione perché<br />

in Italia ci sono vini di altissima qualità e prodotti da pochi euro. Quindi<br />

mai fare progetti in generale. Inoltre se federalismo deve essere ci sia in<br />

tutto, visto che ogni regione anche nel nostro settore ha esigenze e caratteristiche<br />

diverse. Io penso che sia giusto cominciare a lavorare sul punto<br />

che ci unisce anziché sui novantanove sui quali non siamo d’accordo.


▲ I relatori della tavola rotonda ''Perché l'Italia non riesce a fare sistema?''<br />

Potrebbe essere questo il punto di partenza per fare squadra».<br />

Marco Caprai: «Come paradosso potrei fare l’esempio dei soldi: forse in Italia<br />

ce ne sono addirittura troppi. Tutti si lamentano, poi ci sono delegazioni<br />

numerosissime che partono da Perugia alla volta di Riga per promuovere<br />

una specialità gastronomica. E spesso a danno degli agricoltori. Manca probabilmente<br />

una programmazione seria e dovremmo obbligare le rappresentanze<br />

di cui facciamo parte ad approcciate il “tema vino” in maniera diversa.<br />

L’Ais, in questo senso, ha un ruolo fondamentale nello spiegare il nostro<br />

prodotto, visto che abbiamo oltre cinquecento Doc contro i sette-otto vini<br />

dell’Australia, per esempio. Quindi per noi tutto è più difficile. Inoltre l’Ais<br />

potrebbe formare 10mila sommelier in Cina, il mercato del futuro».<br />

Maurizio Zanella: «Credo che la Franciacorta sia un esempio di zona che<br />

ha saputo mettere d’accordo i singoli e le esigenze del territorio. Certo è<br />

stato più facile perché non ci sono industriali del settore e cantine sociali.<br />

Ma fare sistema è comunque indispensabile anche per evitare sprechi come<br />

è capitato per lo stesso vino promosso a New York da persone diverse. Altro<br />

esempio l’assenza quando si parlava di tasso alcolemico e guida dell’auto.<br />

Nessuno ha mai scritto neppure una lettera al ministro».<br />

Renzo Cotarella: «Difficile fare squadra. Ci sono diversi interessi tra troppe<br />

categorie e una visione del vino generazionale. Un vino di qualità non<br />

può essere un vino di moda. Un vigneto dura per sempre, settanta, ottant’anni.<br />

Quindi un prodotto di moda non può essere una espressione di un<br />

territorio. Ripeto, ci sono troppi interessi diversi e per questo non so<br />

quanto fare squadra sia una cosa positiva».<br />

Gianni Zonin: «In troppi non capiscono nulla del nostro mondo. In Italia si<br />

stanno rimuovendo vigneti a 50-80 mila euro l’ettaro. Si parla di venti miliardi<br />

di euro per rimuovere il vigneto Italia. E poi ogni cinque anni cambia la<br />

moda. Prima il Pinot Grigio, poi il Nero d’Avola, adesso il Prosecco. Andrà<br />

a finire che finiremo in sovraproduzione. C’è poi una burocrazia che immobilizza.<br />

Negli Stati Uniti in novanta minuti si sono decisi i confini della<br />

Doc Monticello, il giorno dopo è stata spedita la lettera e dopo una settimana<br />

è arrivata l’autorizzazione. Anni fa visitai Australia e Usa. Avevano tecnologie<br />

che non valevano nulla: adesso ci hanno superato. Ecco, la funzione<br />

dei sommelier potrebbe essere quella di mettere tutti d’accordo: quale<br />

è la gradazione migliore? Quale quella giusta? Ecco questo potrebbe essere<br />

il compito dell’Ais: aiutare il nostro mondo a fare squadra».<br />

15


Congresso Ais<br />

I vini che fanno<br />

la storia<br />

dell’Umbria<br />

QUESTO CUORE VERDE D’ITALIA HA I REQUISITI GIUSTI PER ESSERE CONSIDERATO<br />

UN TERROIR ECCELLENTE DEL PANORAMA ENOLOGICO NAZIONALE<br />

▲ Uve di Sagrantino in appassimento<br />

16<br />

di Gabriele Ricci Alunni<br />

Protagonisti di questa batteria unica e irripetibile<br />

sono i vini che si sono contraddistinti per aver<br />

suscitato, magari in tempi diversi, l’interesse della<br />

stampa e degli appassionati accendendo i riflettori, per<br />

la prima volta, su un territorio fino a questo momento<br />

sconosciuto ai più. Analizzando bene la provenienza la<br />

prima cosa che si evidenzia è che c’è una copertura di<br />

tutte le zone viticole più importanti dell’Umbria a dimostrazione<br />

che questo territorio denominato “il cuore<br />

verde d’Italia” ha tutti i requisiti per essere considerato<br />

un terroir eccellente del panorama enologico nazionale.<br />

Oltre a grandi rossi che rappresentano la maggioranza,<br />

ci sono due grandi vini bianchi, che guardando<br />

l’annata presentano una venerabile età, sfatando,<br />

qualora ce ne fosse ancora bisogno, il luogo comune<br />

che i vini bianchi e soprattutto gli umbri non possano<br />

invecchiare. Conclude la batteria un muffato, una grande<br />

tipologia di vino dolce tipica della nostra zona di<br />

Orvieto e di poche altre al mondo.<br />

Vini impregnati di una storia autentica, forniti con slancio<br />

e cortesia da produttori che hanno attinto dalla loro<br />

cantina privata e che testimoniano la tenacia e la passione<br />

dei loro creatori.<br />

«Vi presentiamo questa degustazione come ultima iniziativa,<br />

sperando vivamente che contribuisca a trasmettere<br />

un’emozione “intensa, persistente e complessa”<br />

come suggello definitivo dei momenti di condivisione<br />

della vita associativa di questi giorni, diventando magari<br />

un ricordo indelebile della vostra gentile presenza<br />

nella nostra straordinaria terra». Con questa frase<br />

terminava nel book la presentazione che accompagnava<br />

la degustazione, con le descrizioni organolettiche e<br />

le emozioni soprattutto, dei quattro degustatori d’eccellenza<br />

che le hanno guidate dopo una presentazione<br />

storica fatta dai produttori.<br />

Luca Martini, miglior sommelier d’Italia 2009, Nicola<br />

Bonera, miglior sommelier d’Italia 2010, Gabriele Del<br />

Carlo, vice campione italiano 2010, Roberto Anesi, vincitore<br />

del quarto Gran Premio Sagrantino, con le loro<br />

descrizioni, precise, professionali ed emozionanti hanno<br />

accompagnato alla scoperta dei gioielli che hanno fatto<br />

la storia dell’Umbria.


LA DEGUSTAZIONE<br />

Orvieto Classico Superiore Doc “Campo del Guardiano” 1998, Palazzone<br />

Vino che si presenta subito di un colore oro compatto, vivo e vegeto, danza lento<br />

nel bicchiere, denotando struttura e corpo. Naso estremamente pulito, franco<br />

e fruttato arricchiscono il bouquet, ginestra, tiglio e miele d’acacia. Sul finale<br />

delicata percezione di frutta a polpa gialla, agrumi canditi e stella d’anice che<br />

chiude il suo intrigante olfatto. Il gusto è sicuramente secco, bella l’avvolgenza<br />

dell’alcol e delle morbidezze. La chiave di lettura di questo Orvieto è sicuramente<br />

l’acidità, che scorre e lascia spazio alla beva con un finale sapido di media<br />

percettibilità. Intenso e gradevole con un corpo atletico, stupisce con la sua corrispondenza<br />

tra naso e bocca che ricorda ancora l’agrume e esili note di spezie<br />

dolci ed erbe aromatiche. Semplicemente una grande espressione di Orvieto<br />

che esprime pienamente il carattere del territorio e conferma la buona longevità<br />

dei suoi prodotti migliori.<br />

Cervaro della Sala Umbria bianco Igt 1991, Castello della Sala<br />

Vino dalla grande luminosità, quasi brillante, di un bellissimo color oro verde,<br />

dalla consistenza notevole, ruota lentamente aggrappandosi al bevante. Impatto<br />

olfattivo disarmante, la nuova lettura dell’anno di vendemmia riporta alla realtà,<br />

increduli si assiste a un esplodere di toni fruttati e floreali, in alcuni passaggi<br />

addirittura freschi. Seguono le spezie, la vaniglia, il cardamomo e il coriandolo.<br />

Anche al gusto spiazza, ma ormai si è entrati in un’altra dimensione, di<br />

nuovo si perde il concetto del tempo, l’acidità è ancora importante, la sapidità<br />

decisa lascia una scia indelebile, aumentando notevolmente la presenza, quanto<br />

mai gradita, delle componenti dure. Vino con una intensità avvolgente, caldo,<br />

di buona morbidezza. Il corpo pieno, inusuale per dei vini bianchi, si fonde al<br />

meglio con il ventaglio di sensazioni che si alternano giocando con gli organi<br />

del senso.Vino che può ulteriormente “crescere” nonostante la maggiore età. Il<br />

ritorno di burro e di frutta secca chiude un esame gusto-olfattivo dalla lunga<br />

persistenza.<br />

Campoleone Umbria rosso Igt 1999, Lamborghini<br />

Il vino si presenta nel bicchiere con aspetto limpido, privo di particelle in sospensione<br />

e di buona luminosità. Colore rosso granato che al passaggio nel bicchiere<br />

disegna archetti con lacrimazione mediamente veloce, indice di buon corpo<br />

ed estratto.<br />

Al naso è intenso, apre con note speziate di radici amare, anice stellato, caffè<br />

d’orzo, fave di cacao, frutta sotto spirito, prugna secca e pot pourri di fiori. È<br />

complesso e va a chiudere il naso con note terrose di foglie bagnate, funghi porcini,<br />

scatola di sigari e foglie di te. Molto fine. In bocca entra ricco, dotato di<br />

medio calore alcolico e di buona morbidezza, sorretto da equilibrata freschezza,<br />

tannino sottile e ben polimerizzato ma sempre presente; sapido nel finale.<br />

È un vino di corpo con buon equilibrio, intenso e persistente che chiude con<br />

scie di spezie e frutta secca. Fine. È un vino maturo con margini di ulteriore<br />

sviluppo verso l’armonia.<br />

Rubino Umbria rosso Igt 1997, La Palazzola<br />

Vino dall’aspetto limpido con colore rosso rubino intenso profondo e dalla consistenza<br />

marcata e di buon spessore con archetti di lenta lacrimazione. Un tocco<br />

di ridotto all’apertura ma poi il naso si offre subito con frutti neri sotto spirito<br />

e note speziate che volgono al terziario, intenso e di bella finezza. Apre un<br />

ventaglio di profumi con ribes rosso, prugna secca e mora candita per poi<br />

passare a sensazioni balsamiche, anice, cardamomo e tabacco dolce. Un naso<br />

che per alcuni tratti ricorda molto un vino del Médoc. In bocca entra avvolgente,<br />

caldo e con morbidezza in crescita, freschezza su toni alti e un tannino<br />

presente, con qualche leggera spigolatura ma ben fuso nella massa del vino.<br />

Un corpo robusto dove le durezze sono ancora protagoniste ma con delle morbidezze<br />

che cominciano a levigare le spigolature tanniche. Intenso e con lunga<br />

persistenza avvolge la bocca con ricordi di frutta in confettura, spezie dolci e<br />

note balsamiche. La chiusura gustativa è con leggera nota amarognola e sapidità<br />

piacevole.<br />

17


Congresso Ais<br />

Arquata Umbria rosso Igt 1994, Adanti<br />

Limpido, granato con belle e vive tonalità e sfumature aranciate. Al naso si presenta<br />

fine e raffinato. L’intensità è marcata, mentre la complessità, inizialmente<br />

timida, esplode poi con frutti rossi e neri che volgono alla confettura, ben<br />

presente il ventaglio di spezie mentre si denotano, nel finale, toni erbacei e di<br />

sottobosco. È un vino di estrema delicatezza olfattiva ma di grande eleganza<br />

dove la prugna, la ciliegia di Vignola e il ribes in versione confettura sono<br />

ideali compagni di viaggio per note di caffè, cioccolato, cuoio e macis. In bocca<br />

è complesso, avvolgente e setoso, con un equilibrio da circense e con corpo facile<br />

e immediato da beva facile ed emozionante. I tannini sono di trama fitta e<br />

ben smussati. La freschezza, di buona percezione, è supportata da una sapidità<br />

presente e protagonista nella chiusura di bocca. Finale dove la persistenza,<br />

molto lunga, riporta alle sensazioni olfattive di cacao, prugna secca e caffè<br />

con un’aggiunta di tartufo e sottobosco. Vino maturo di bella e facile bevibilità.<br />

Un commento a caldo di uno dei partecipanti alla degustazione: «Ne berrei<br />

una damigiana».<br />

Torgiano rosso Riserva “Rubesco” Doc 1982, Lungarotti<br />

Limpido, granato di media intensità, aranciato appena accennato, stupisce la<br />

freschezza del colore in rapporto al millesimo. Generalmente questa colorazione<br />

si trova in vini con molti meno anni sulle spalle. Vino dall’impatto fine, per<br />

certi versi delicato, come la sua naturale attitudine. È un campione del mondo<br />

di resistenza all’ossigeno, a bottiglia aperta da molto tempo e versato da almeno<br />

un paio d’ore, nel calice si apre con una lentezza incredibile. La frutta è<br />

ben presente insieme alle spezie mentre sono netti i toni terrosi e tartufati. È<br />

un vino sussurrato e mai urlato, tocchi di cuoio e foglia di alloro secco si presentano<br />

di tanto in tanto, alternandosi a prugna secca. Vino complesso che<br />

ha alterato i dati sulla sua carta d’identità, riuscendoci! Al gusto è avvolgente<br />

e setoso, ma leggiadro, per certi tratti dal corpo facile e immediato. I tannini<br />

sono di trama fittissima ma lontano dall’essere completamente polimerizzati.<br />

La sapidità aiuta la freschezza, ancora capace di dare ritmo alla degustazione.<br />

In chiusura la persistenza, molto lunga, lascia ricordi di cacao, prugna secca<br />

e rabarbaro. Vino maturo ma che può riservare qualche guizzo e qualche istante<br />

di ritrovata, estrema, vitalità.<br />

Sagrantino di Montefalco “25 anni” Docg 1995, Arnaldo Caprai<br />

Vino dall’aspetto limpido con colore rosso granato e riflessi aranciati di buon<br />

spessore. Nel bicchiere si muove in modo uniforme lasciando al suo passaggio<br />

archetti di buona lacrimazione, continua, che fa presagire a un corpo importante,<br />

a un estratto secco e un tenore alcolico non comuni. Al naso si offre subito<br />

su note terziarie, intenso, apre con sensazioni di tostatura e torrefazione,<br />

caffè, tabacco, rabarbaro, confettura di mirtilli e more. È complesso-ampio e<br />

all’ossigenazione offre note di spezie nere, terra e di sottobosco. Fine. In bocca<br />

entra secco, dotato di pseudo calore importante e morbidezza in crescita, freschezza<br />

calibrata, tannino presente, fuso nella massa del vino. Buona la sapidità<br />

finale che accompagna un corpo robusto con durezze e morbidezze che iniziano<br />

a trovare un punto d’incontro. Intenso e persistente chiude in bocca<br />

con ricordi di cicoria, frutta in confettura e di erbe balsamiche. Vino maturo<br />

con potenziale evolutivo ampio e armonico.<br />

Orvieto Classico Superiore Doc Dolce “Calcaia”1994, Barberani<br />

Il campione, e che campione, è di veste color giallo dorato, vivo, con lieve accenno<br />

ambra pieno. Nel bicchiere si muove così lento che fa subito presagire al suo<br />

contenuto zuccherino e glicerico, archetti fitti con caduta inesorabilmente lenta<br />

verso una massa compatta e invitante. Naso pulito ed espressivo di ottima intensità,<br />

ampio e complesso, con pennellate di zafferano, smalto, miele di acacia,<br />

albicocca e una nota di iodio che va a chiudere il finale ricordandoci la presenza<br />

della muffa nobile. Il gusto dolce e morbido si presenta con una vena<br />

acida che snellisce il gusto e lascia spazio nuovamente alla presenza di iodio e<br />

zafferano che gioca un ruolo fondamentale nella beva. Intenso, con una persistenza<br />

da manuale, chiude con sensazioni di frutti canditi e confetture gialle<br />

di media dolcezza. Interessante la nota sapida che aiuta il palato a prepararsi<br />

per un’altra serie di emozioni. Maturo e pronto da bere dimostra una bella armonia<br />

e grande impatto gustativo degno di un grande Sauternes. Da dedicare a<br />

momenti di conversazione con le migliori amicizie o a letture meditative.<br />

18


Mondiale Wsa<br />

Luca Gardini<br />

corona il sogno<br />

di una vita<br />

IL SOMMELIER ITALIANO<br />

VINCE IL MONDIALE<br />

WSA CHE SI È SVOLTO A<br />

SANTO DOMINGO. LA<br />

CRONACA DI UNA<br />

ESPERIENZA UNICA<br />

VISSUTA CON INTENSITÀ<br />

DA TUTTI I<br />

CONCORRENTI<br />

20<br />

di Emanuele Lavizzari<br />

Èil 5 dicembre 1492. Dopo aver<br />

toccato per la prima volta il<br />

continente americano sull’isola<br />

di San Salvador quasi due mesi<br />

prima e aver esplorato parte della<br />

costa di Cuba, Cristoforo Colombo<br />

sbarca su una spiaggia di sabbia<br />

bianca. «Es la isla mas hermosa que<br />

ojos humanos hayan visto» («È l’isola<br />

più bella che occhi umani abbiano<br />

visto»), scrive nel suo diario di<br />

bordo e senza esitare la battezza<br />

La Española. E a distanza di cinque<br />

▲ Luca Gardini insieme a Gian Carlo Mondini, Terenzio Medri<br />

e il padre Roberto<br />

secoli Hispaniola resta il nome geografico<br />

di questa terra circondata<br />

dall’Oceano Atlantico e dal Mar dei<br />

Carabi, divisa tra i territori di Haiti<br />

e della Repubblica Dominicana.<br />

Chissà cosa ha pensato Luca<br />

Gardini quando ha messo piede<br />

sullo stesso suolo al quale si erano<br />

accostate all’attracco la Pinta, la<br />

Niña e la Santa Maria. Di certo,<br />

similmente all’ammiraglio genovese,<br />

nutriva grandi aspettative e desideri<br />

di conquista. Di certo, come per<br />

Colombo, ha dovuto faticare anche<br />

lui parecchi anni prima raggiungere<br />

il suo obiettivo. Di certo, come è<br />

stato per il più grande esploratore<br />

di tutti i tempi, questo luogo ora ha<br />

un significato davvero particolare<br />

per lui. E come Cristoforo tornando<br />

alla corte di Spagna offre oro, tabacco<br />

e alcuni pappagalli ai sovrani di<br />

Castiglia e Aragona come segno tangibile<br />

della scoperta di un “Nuovo<br />

Mondo”, così ora Luca mostra alla<br />

sommellerie italiana un trofeo che<br />

ha un valore incalcolabile perché<br />

racchiude l’esperienza di una vita.<br />

Ma andiamo con ordine, perché il<br />

viaggio in terra dominicana non rappresenta<br />

solo il successo mondiale<br />

di un professionista di casa nostra,<br />

ma l’incontro da parte di un gruppo<br />

di sommelier “occidentali” con un<br />

Paese in cui c’è ancora tanto da scoprire<br />

e da capire.<br />

Thomas Sartori, responsabile della


didattica di Ais Caribe e principale<br />

organizzatore in loco del concorso,<br />

fa subito presente ai ragazzi, un po’<br />

spaesati nel traffico impazzito di<br />

Santo Domingo, che «dove finisce<br />

la logica, inizia la Repubblica<br />

Dominicana». È questo il primo insegnamento<br />

che ha ricevuto da queste<br />

parti. Buono a sapersi. Dopo l’arrivo<br />

all’aeroporto Las Américas, il<br />

gruppo conosce subito uno dei quartieri<br />

più affascinanti della capitale,<br />

la zona chiamata Ciudad Colonial<br />

(Città Coloniale), dove sorge quella<br />

che era la residenza di Nicolás De<br />

Ovando, governatore spagnolo dell’isola<br />

agli inizi del 1500, e che ora<br />

è un hotel che porta il nome del suo<br />

antico proprietario. Qui si possono<br />

riposare dopo il lungo viaggio perché<br />

l’indomani li attende una dura<br />

giornata con le prove della semifinale<br />

del concorso.<br />

Il giorno seguente al mattino presto<br />

sono tutti pronti per recarsi presso<br />

El Catador, la più prestigiosa enoteca<br />

e wine bar del Caribe, dove avrà<br />

inizio la competizione vera e propria.<br />

La temperatura supera i 30°, l’umidità<br />

già risponde «presente!», anzi,<br />

a dirla tutta non se n’è mai andata<br />

nemmeno durante la notte. Ma da<br />

queste parti ci dicono che da marzo<br />

a ottobre è così. Qui il termine frío<br />

(freddo) si usa solo per la birra perché<br />

in inverno (si fa per dire!) le temperature<br />

notturne più basse non<br />

sono mai troppo distanti dai 20°!<br />

I due minibus che conduco i sommelier<br />

all’enoteca attraversano<br />

mezza città ed esibiscono orgogliosi<br />

sugli sportelli laterali il logo del concorso<br />

Mejor <strong>Sommelier</strong> del Mundo.<br />

Qualcuno a bordo è preoccupato per<br />

le prove di selezione, qualcuno lo è<br />

perché la maggior parte dei veicoli<br />

dominicani non sembra accorgersi<br />

dei cartelli con scritto Pare (Stop) né<br />

tanto meno dei semafori: la precedenza<br />

qui è di chi se la prende per<br />

▲ Ivano Antonini durate la semifinale<br />

▲ Rudina Arapi, rappresentante<br />

dell'Albania, insieme a Luca<br />

Gardini<br />

▲ Il gruppo dei sommelier e dei loro<br />

accompagnatori al ristorante<br />

dominicano Sixteencuts<br />

21


Mondiale Wsa<br />

primo e le ammaccature su numerosi<br />

veicoli in circolazione fanno capire<br />

che non sempre in mezzo agli<br />

incroci si riesce a giungere a un<br />

accordo.<br />

Arrivati a El Catador i sommelier<br />

capiscono subito che non si tratta<br />

di una semplice enoteca, bensì di<br />

una vera e propria azienda che ha<br />

rappresentato e che continua a essere<br />

il principale veicolo di diffusione<br />

del vino in un’area geograficamente<br />

e culturalmente molto distante dal<br />

frutto della vite. Solo il tempo per<br />

una rapida occhiata alle bottiglie<br />

ordinate sui lunghi scaffali ed è già<br />

ora del compito scritto.<br />

Il test è veramente impegnativo e<br />

mette a dura prova anche i sommelier<br />

di lungo corso. Cinquanta<br />

domande che partono da quesiti<br />

generali di cultura enologica, passano<br />

dalla vinificazione, dall’enografia<br />

e dalla legislazione del vino, arri-<br />

22<br />

Alla scoperta dell’isola<br />

I giorni successivi al concorso hanno permesso ai<br />

sommelier di conoscere da vicino la Repubblica<br />

Dominicana e in particolare quelle tipicità<br />

enogastronomiche strettamente legate al territorio.<br />

Il rum, o meglio, il ron rappresenta senza dubbio il<br />

distillato caraibico per antonomasia. La grande<br />

varietà prodotta in questo Paese deriva dal fatto<br />

che molto elevata è la coltivazione di canna da<br />

zucchero. Non poteva mancare quindi la visita a<br />

una distilleria locale. Una delle aziende più<br />

antiche cha ha fatto la storia del ron dominicano<br />

è senza dubbio la Barceló, fondata nel 1930 da<br />

Julián Barceló, uno spagnolo originario di<br />

Mallorca sbarcato nel “Nuovo Mondo” in cerca<br />

di fortuna. Il ron Barceló si impone sul mercato nel<br />

corso dei decenni, fino a diventare negli anni<br />

Ottanta il più popolare della Repubblica<br />

Dominicana. Attualmente è esportato in più di 50<br />

Paesi. I sommelier hanno visitato la distilleria e<br />

hanno potuto constatare come in ogni fase della<br />

produzione, dalla preparazione e fermentazione<br />

fino alla distillazione e all’invecchiamento, venga<br />

ricercato un prefetto equilibrio tra alta tecnologia<br />

e rispetto delle affascinanti tradizioni del passato.<br />

La birra, in un’isola in cui la temperatura media è<br />

tra i 25 e i 30°C, costituisce una delle bevande<br />

più diffuse. Così è stato inevitabile un tour in quella<br />

Cervecería (birreria) che produce la birra<br />

nazionale Presidente, un prodotto a cui è legata<br />

la storia del Paese. Nel 1880 nasce la prima birreria<br />

a Santo Domingo, la Cervecería Dominicana,<br />

vano ai vitigni e agli abbinamenti e<br />

si concludono con birre, liquori,<br />

distillati, caffè, sigari, acqua, tè e<br />

saké. Insomma, tutto lo scibile o<br />

quasi richiesto in una manciata di<br />

fogli. Al ritiro del questionario, la<br />

prova prosegue con l’analisi sensoriale<br />

di un vino da stendere per<br />

iscritto nella lingua straniera scelta<br />

dal candidato. Dopo questa prima<br />

fase i sommelier possono finalmente<br />

riprendere fiato, rifocillarsi e prepararsi<br />

alla prova pratica di servizio.<br />

A questo punto inizia il lavoro<br />

frenetico della commissione giudicante<br />

che corregge il test e la degustazione<br />

e comincia ad annotare<br />

sulla prima scheda di valutazione i<br />

punteggi ottenuti dai singoli. Per<br />

tutto il pomeriggio, quindi, i sommelier<br />

passano in rassegna uno a<br />

uno innanzi alla giuria per la stappatura,<br />

la decantazione e il servizio<br />

di un vino rosso e solo al tramonto<br />

ed è lì che nel 1935 si crea questa famosa Pilsner<br />

in onore del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, che<br />

concede il permesso di chiamarla Presidente.<br />

Nella visita all’azienda, che per le vaste dimensioni<br />

rappresenta una vera e propria città nella<br />

città, si è scoperto un prodotto che esprime il<br />

comune sentire dominicano, accompagnando le<br />

manifestazioni folkloristiche, artistiche, culturali e<br />

la gastronomia criolla (creola). Una birra talmente<br />

diffusa in questo territorio da diventare ormai un’icona<br />

nazionale, oltre che l’orgoglio e l’espressione<br />

di un popolo che sorride sempre.<br />

Un’altra prodotto tipico di questa terra è il cacao<br />

e ogni bravo sommelier non può non conoscerlo.<br />

L’azienda Rizek, nata agli inizi del secolo scorso,<br />

ha ideato un vero e proprio itinerario alla scoperta<br />

di questo frutto, di cui la Repubblica<br />

Dominicana è tra i principali produttori ed<br />

esportatori mondiali. Così i nostri esperti si sono<br />

incamminati sul Sendero del Cacao all’interno<br />

delle piantagioni della Hacienda La Esmeralda a<br />

San Francisco de Macorís, nel nord dell’isola.<br />

Sono qui le origini di gran parte del cioccolato<br />

che arriva sulle tavole europee, come dimostrano<br />

le 47.000 tonnellate di cacao dominicano<br />

prodotte annualmente di cui l’80% è destinato<br />

all’esportazione. Questa esperienza ha condotto i<br />

sommelier dalla semina della pianta alla raccolta,<br />

passando poi dalla fermentazione e dall’essiccazione<br />

del frutto, fino a concludersi con una<br />

degustazione guidata di squisito cioccolato<br />

Valrhona.<br />

tutti i quattordici partecipanti concludono<br />

le proprie fatiche.<br />

Una giornata impegnativa, ma non<br />

ancora terminata. Previsto infatti in<br />

serata un appuntamento importante<br />

presso il Museo di Arte Moderna<br />

della capitale per la presentazione<br />

del concorso alla stampa dominicana<br />

e internazionale. Thomas Sartori<br />

dà il benvenuto ufficiale ai sommelier<br />

e presenta ai giornalisti e al pubblico<br />

accorso il programma dell’evento.<br />

A questo intervento segue il saluto<br />

del presidente della Worldwide<br />

<strong>Sommelier</strong> Association Terenzio<br />

Medri, il suo ringraziamento per gli<br />

sforzi profusi dagli organizzatori di<br />

Santo Domingo e il suo auspicio che<br />

l’azione di divulgazione della sommellerie<br />

internazionale possa diffondersi<br />

sempre più in tutti i Paesi<br />

caraibici. Nella stessa occasione<br />

sono consegnati i diplomi ai neosommelier<br />

Ais di Santo Domingo che


▲ Giuseppe Bonarelli riceve il titolo di <strong>Sommelier</strong> Onorario ▲ Il presidente Wsa Terenzio Medri insieme ai tre finalisti<br />

nel momento dell'Inno di Mameli<br />

hanno recentemente superato l’esame<br />

di terzo livello.<br />

L’indomani, finalmente, è il gran<br />

giorno. I sommelier si sono appena<br />

svegliati, quando dall’Italia ci chiedono<br />

già chi siano i finalisti. Troppo<br />

presto per saperlo. Sarà solo nella<br />

noche di Santo Domingo che si conosceranno<br />

i tre migliori degustatori<br />

del pianeta che daranno poi il via<br />

alla sfida per ottenere l’ambita fascia<br />

iridata. E quando la gara sarà conclusa<br />

in Europa appariranno già<br />

all’orizzonte le prime luci dell’alba.<br />

Il tempo passa per i concorrenti tra<br />

appunti, libri e manuali. Uno spuntino<br />

rapido a mezzogiorno e poi l’ultimo<br />

ripasso in camera o sotto i portici<br />

in cui amava discorrere con i<br />

suoi ospiti Nicolás De Ovando.<br />

Qualcuno sembra celare la tensione,<br />

ma in realtà tutti non vedono<br />

l’ora che arrivi il momento della finale<br />

per capire chi dovrà battagliare<br />

fino all’ultimo respiro, anzi, all’ultimo<br />

sorso.<br />

Rieccoci in marcia. I nostri minibus<br />

ci riconducono verso il centro della<br />

capitale, ma questa volta ci portano<br />

proprio nel cuore di Santo Domingo,<br />

al Palacio de Bellas Artes, nel cui<br />

teatro si svolge l’atto conclusivo del<br />

concorso. L’imponente edificio neoclassico<br />

è pronto a ospitare i migliori<br />

sommelier del pianeta e, attendendo<br />

un pubblico soprattutto di lingua<br />

spagnola, all’ingresso della sala si<br />

distribuiscono gli auricolari per<br />

seguire la traduzione degli interpreti.<br />

I ragazzi sono chiamati uno a uno<br />

sul palco ed ha così inizio il momento<br />

più atteso. Passano in rassegna<br />

le nazioni rappresentate e quando<br />

sono tutti schierati, come avviene in<br />

queste circostanze, ecco arrivare la<br />

busta contenente i tre nomi.<br />

O meglio, i tre numeri abbinati<br />

all’inizio della semifinale ai rispettivi<br />

sommelier. Così quando vengono<br />

lette le tre cifre nessuno sa subito<br />

chi siano i finalisti, ma loro, i protagonisti,<br />

l’hanno ben capito. Si alza<br />

subito Milan Krejc˘í della Repubblica<br />

Ceca e quindi uno dopo l’altro Luca<br />

Gardini ed Héctor García, il concorrente<br />

dominicano. C’è un sospiro di<br />

sollievo quando si capisce che la<br />

bandiera italiana colorerà la finale.<br />

A questo punto si sorteggia l’ordine<br />

di apparizione secondo cui i tre<br />

finalisti dovranno alternarsi sul<br />

palco. Gardini pesca il numero due,<br />

García è il primo mentre Krejc˘í chiude<br />

il terzetto.<br />

Il sommelier di Santo Domingo apre<br />

le danze. Dalla sua ha il sostegno<br />

della maggior parte del pubblico e<br />

inizia bene con la degustazione di<br />

tre vini e relativa analisi sensoriale.<br />

Poi segue il riconoscimento di cinque<br />

campioni di liquori e distillati<br />

e quindi la correzione di una carta<br />

dei vini. Tutto liscio fino alla prova<br />

di servizio in lingua straniera. È qui<br />

che a causa di un inglese non brillantissimo<br />

il veliero della Repubblica<br />

Dominicana ammaina la bandiera<br />

della vittoria. Resta, comunque, la<br />

grande soddisfazione per un Paese<br />

in cui la cultura del vino è relativa-<br />

▲ Gustavo De Hostos, Terenzio<br />

Medri e Thomas Sartori<br />

mente giovane di aver portato il proprio<br />

rappresentante sul podio di una<br />

competizione mondiale.<br />

È quindi la volta di Luca Gardini che<br />

sale sul palco determinato come non<br />

mai. Le degustazioni e il riconoscimento<br />

di liquori e distillati sono ineccepibili<br />

e la spigliatezza, la rapidità<br />

e la padronanza lessicale nelle<br />

descrizioni mettono a dura prova gli<br />

interpreti che fanno fatica a stargli<br />

dietro con la traduzione. Il servizio<br />

al tavolo dei commensali è a dir poco<br />

perfetto e l’ammirazione raggiunge<br />

il culmine quando, alla richiesta di<br />

abbinamenti per un’ospite ipoteticamente<br />

astemia, suggerisce quattro<br />

tipi di tè diversi in sequenza motivando<br />

la scelta. «Questa sera portiamo<br />

a casa la coppa!» esclama sottovoce<br />

suo padre Roberto al termine<br />

delle prove, mentre segue a distanza<br />

il figlio che sta uscendo dal teatro.<br />

Ottimista? No, semplicemente<br />

realista.<br />

Entra per ultimo in sala Milan Krejc˘í,<br />

esperto sommelier di Praga, professionista<br />

con un stile del tutto personale,<br />

ma estremamente raffinato<br />

ed elegante. La prova del ceco è di<br />

altissimo livello, ma con un Gardini<br />

così non si può fare a meno di<br />

lasciarsi scappare un “non ce n’è per<br />

nessuno!”<br />

Ed infatti dopo oltre due ore di competizione<br />

i tre sommelier sono richiamati<br />

sul palco per scoprire le etichette<br />

delle bottiglie e gli errori nella<br />

carta dei vini. La sensibilità di Luca<br />

Gardini è andata a segno: tre su tre<br />

sono i vini individuati, quattro su<br />

cinque i distillati e liquori riconosciuti.<br />

A questi si aggiungo una correzione<br />

eccellente, il servizio dello<br />

spumante da dieci e lode, i consigli,<br />

le risposte alle richieste dei commensali<br />

e la decantazione finale di un<br />

23


Mondiale Wsa<br />

vino rosso in cui ci ha messo il<br />

cuore. È tutto pronto per il verdetto<br />

finale, ma prima di annunciare il vincitore<br />

si crea una certa suspense<br />

prendendo qualche minuto di pausa<br />

con il conferimento del titolo di sommelier<br />

onorario dell’Ais a Giuseppe<br />

Bonarelli, imprenditore di origine<br />

campana da decenni sull’isola. Don<br />

Pepe, questo il nome con cui è noto<br />

a Santo Domingo, è stato in assoluto<br />

il primo tra i pionieri del vino in<br />

terra dominicana ad aver creduto<br />

nella diffusione del nettare di Bacco.<br />

E così ha dimostrato con i suoi risto-<br />

24<br />

ranti e la sua enoteca, El Catador,<br />

che si può diffondere la cultura enologica<br />

anche dove crescono solo<br />

caffè, banane, cacao e canna da zucchero.<br />

Dopo questa parentesi, rieccoci al<br />

concorso. Il pubblico non sta più<br />

nella pelle, gli interpreti sono nelle<br />

loro cabine quasi esanimi e i tre finalisti<br />

fremono già sul palco. «The winner<br />

is…», ma non viene pronunciato<br />

il nome vincitore: il volto di Luca<br />

Gardini e la bandiera italiana compaiono<br />

sul maxi-schermo centrale e<br />

parte subito l’inno di Mameli. Foto,<br />

I sommelier in gara a Santo Domingo<br />

Il concorso Mejor <strong>Sommelier</strong> del Mundo si è realizzato grazie a un lungo e impegnativo lavoro da parte<br />

di tante persone. Vogliamo ringraziare Thomas Sartori, Gustavo De Hostos, Giselle Alonzo e tutti i sommelier<br />

dominicani che non hanno avuto un attimo di pausa prima e durante le giornate della manifestazione.<br />

Un ringraziamento a Giuseppe Bonarelli, meglio conosciuto a Santo Domingo come don<br />

Pepe, che ha messo a disposizione numerose risorse e i locali del suo El Catador per le semifinali. Una<br />

citazione particolare a Gian Carlo Mondini che ha preparato le prove del concorso e ha poi ricoperto<br />

il ruolo di presidente della giuria. Un grazie a Sofia Biancolin e Andrea Rinaldi, delegati rispettivamente<br />

del Nord Germania e dell’Inghilterra, che con il loro intervento hanno dato testimonianza nella capitale<br />

dominicana della consolidata internazionalizzazione dell’Ais. Un saluto con viva riconoscenza, non<br />

da ultimo, a Terenzio Medri, che ha condotto la Wsa dalla sua fondazione sino a questa finale mondiale.<br />

Di certo dobbiamo ricordare anche tutti i professionisti che insieme a Luca Gardini, in gara come<br />

campione europeo in carica, hanno preso parte alla competizione.<br />

Rudina Arapi Albania<br />

Ristorante Paolo Teverini,<br />

Bagno di Romagna (FC), Italia<br />

Leandro Emanuel Orona Argentina<br />

Escuela Argentina de <strong>Sommelier</strong>s,<br />

Buenos Aires, Argentina<br />

Sebastien Giraldin Francia<br />

Selfridges Wine Shop,<br />

Londra, Regno Unito<br />

complimenti, baci, abbracci. Luca<br />

non sa più in quale obiettivo guardare<br />

tanto è abbagliato dai flash.<br />

Mentre i sommelier iniziano a festeggiare<br />

il campione del mondo, è fondamentale<br />

far sapere anche all’Italia<br />

e all’Europa cosa ha combinato Luca<br />

Gardini dall’altra parte dell’Atlantico.<br />

Così verso la mezzanotte, le sei in<br />

Italia, parte dalle linee adsl dominicane<br />

un comunicato stampa che<br />

raggiunge l’Ansa e le principali testate<br />

giornalistiche. Poche ore dopo<br />

decine di siti Internet riportano già<br />

la notizia e non appena Gardini<br />

Connor McClay Irlanda<br />

James Nicholson Wine Merchant, Downpatrick,<br />

Regno Unito<br />

Ivano Antonini Italia<br />

Relais & Chateaux Il Sole di Ranco,<br />

Ranco (VA), Italia<br />

Luca Gardini - Campione Europeo 2009 Italia<br />

Ristorante Cracco,<br />

Milano, Italia


accende il cellulare nella mattinata<br />

successiva, già pomeriggio in Italia,<br />

è preso d’assalto da giornalisti radiofonici,<br />

televisivi e della carta stampata.<br />

Non c’è altro da aggiungere se<br />

non un “missione compiuta!”<br />

Come terminare il racconto di questa<br />

trasferta? Ci sarebbero troppi<br />

aneddoti, ma uno rende al meglio<br />

l’idea di ciò che trasmette l’atmosfera<br />

dominicana. «Nelle mia città – ci<br />

rivela Milan Krejc˘í, originario di<br />

Praga – in questo momento ci sono<br />

zero gradi!» E lo ripete con una birra<br />

in mano a bordo vasca, pronto per<br />

un tuffo in piscina. Il concorso si è<br />

concluso da poche ore. È quasi l’una<br />

e mezza di notte. Nel cielo dei Caraibi<br />

non c’è una nuvola, solo le stelle. Le<br />

stesse che qualche secolo fa brillavano<br />

nell’oscurità e servivano ai conquistadores<br />

per trovare la rotta notturna.<br />

Dopo la tensione della gara<br />

si possono anche dimenticare per<br />

qualche istante le degustazioni alla<br />

cieca e le annate più importanti dei<br />

Grands Crus di Borgogna. E intanto<br />

ci ripensiamo: «Zero gradi…»<br />

Lasciamoli per qualche giorno ad<br />

altre latitudini. Buenas noches…<br />

Maksims Merkulovs Lettonia<br />

Galvin at Windows Restaurant<br />

Hilton on Park Lane, Londra, Regno Unito<br />

Sara Da Val Franco Paesi Bassi<br />

Ristorante Davide,<br />

Verden, Germania<br />

Marcin Andrzej Schilling Polonia<br />

Selfridges Wines&Spirits,<br />

Londra, Regno Unito<br />

Christopher Cooper Regno Unito<br />

The Wolseley Restaurant,<br />

Londra, Regno Unito<br />

▲ Il guéridon utilizzato durante la<br />

finale<br />

Milan Krejčí Repubblica Ceca<br />

Merlot d’Or,<br />

Praga, Repubblica Ceca<br />

Héctor García Repubblica Dominicana<br />

El Catador,<br />

Santo Domingo, Repubblica Dominicana<br />

Igor Sotric Slovenia<br />

China Tang, Dorchester Hotel,<br />

Londra, Regno Unito<br />

Angelo De Raimondo Svizzera<br />

Grand Hotel du Golf et Palace,<br />

Valais, Svizzera<br />

25


Degustazioni<br />

Le nobili<br />

Bollicine<br />

dall’Alto Adige<br />

NEL SUD TIROLO<br />

LA VOCAZIONE SPUMANTISTICA<br />

NASCE A FINE OTTOCENTO<br />

E OGGI IMPREZIOSISCE L’OFFERTA<br />

SEMPRE PIÙ ARTICOLATA DI QUESTA<br />

MAGNIFICA TERRA DA VINO<br />

anche l’Alto Adige, o Süd Tirol, come preferiscono<br />

chiamarlo in provincia di Bolzano, da<br />

C’è<br />

tenere in considerazione quando si desidera<br />

tracciare una mappa completa delle zone di produzione<br />

di metodo classico in Italia. Certo, la produzione,<br />

attestata intorno alle 220-230 mila bottiglie complessive,<br />

è una produzione quasi confidenziale, molto lontana<br />

dai 5 milioni di bottiglie totalizzate dal Trentino<br />

e dai 10 della Franciacorta, però nell’ambito di quel<br />

45% della produzione altoatesina destinata ai vini bianchi<br />

(il 55% è ancora appannaggio delle uve rosse, con<br />

un predominio della Schiava o Vernatsch) le bollicine<br />

nobili riescono con notevole efficacia a completare ed<br />

impreziosire l’offerta, sempre più articolata, di questa<br />

magnifica terra da vino.<br />

Otto in totale – vedere qui l’elenco http://www.vinialtoadige.it/it-6-330.aspx<br />

– le aziende produttrici, sei delle<br />

quali fanno parte della <strong>Associazione</strong> dei produttori altoatesini<br />

di spumante o, per dirla in tedesco, Vereinigung<br />

Südtiroler Sekterzeuger nach dem klassischen Verfahren,<br />

creata nel 1990 da nove membri fondatori, tra cui Josef<br />

Reiterer, Lorenz Martini e Alois Ochsenreiter, che si<br />

posero come obiettivo la comune difesa dei proprio inte-<br />

26<br />

di Franco Ziliani<br />

ressi nonché l’efficace promozione degli spumanti metodo<br />

classico e della produzione di qualità. Sono produzioni<br />

artigianali, l’azienda più “grande”, la Arunda Vivaldi<br />

di Meltina, incantevole località di montagna posta a<br />

1200 metri, distante una quindicina di chilometri da<br />

Terlano, non arriva a centomila bottiglie, fermandosi a<br />

novantamila, che propongono bottiglie destinate ad un<br />

mercato di nicchia, ad appassionati esigenti alla ricerca<br />

di produzioni particolari, che uniscono il pregio di<br />

uno spiccato carattere e goût de terroir, dato dalla collocazione<br />

in una situazione alto collinare o quasi “di<br />

montagna” dei vigneti, a un savoir faire collaudato nel<br />

tempo a una lunga presenza nel territorio di produzione<br />

delle uve.<br />

Come in altre zone di produzione sono lo Chardonnay<br />

e il Pinot nero le due varietà maggiormente utilizzate,<br />

ma a conferire particolarità, e una certa quale eleganza,<br />

alle basi “spumante” e quindi ai vini, è la presenza<br />

di una terza varietà, molto diffusa in Alto Adige, come<br />

il Pinot bianco, che nel delicato equilibrio della composizione<br />

delle cuvée conferisce il sapore fruttato, ma<br />

anche il “sale” e il nerbo ai vini, mentre lo Chardonnay<br />

assicura finezza e soavità e il Pinot Nero la pienezza e<br />

la struttura.<br />

Con il Pinot bianco, che in alcune cuvée è presente con<br />

quantità varianti dal 20 al 30 per cento, occorre fare<br />

molta attenzione, perché l’uso di uve provenienti da terreni<br />

con cospicuo contenuto di porfido può regalare, se<br />

le uve non sono mature al punto giusto e se le vinificazioni<br />

non vengono condotte con estremo rigore, note<br />

leggermente amare, ma il suo uso ben calibrato è un’arma<br />

in più, in termini di eleganza, di profondità, di ricchezza<br />

di sapore, di cui i produttori di bollicine metodo<br />

classico possono avvalersi. Le condizioni per la produzione<br />

di vini di alta qualità sono pressoché ideali,


perché soprattutto nelle aree al di sopra dei 500 metri<br />

di altitudine le uve sviluppano un’acidità tale da garantire,<br />

anche dopo la seconda fermentazione in bottiglia,<br />

quella vibrante freschezza che ci si aspetta. E dopo<br />

la seconda fermentazione in bottiglia i vini riposano sui<br />

lieviti per un periodo minimo di 15 mesi, che normalmente<br />

si protrae sino a due o tre anni o più per alcune<br />

cuvée “de prestige”. In questo modo i vini assumono<br />

la loro elegante struttura e un mix accattivante di<br />

freschezza e cremosità.<br />

Una vocazione spumantistica, quella dell’Alto Adige,<br />

che viene da lontano, da fine Ottocento, dall’epoca<br />

dell’Impero austro-ungarico, quando con il nome di<br />

Tiroler Gold, una cantina denominata Uberetscher<br />

Champagnerkellerei, con sede nel Castello Wickenburg<br />

di Appiano Monte, produsse dal 1896 al 1902, ma<br />

con uve Riesling, uno Champagne oro dell’Oltradige.<br />

Un vino, che all’epoca veniva ancora presentato come<br />

“Champagne”, e che veniva venduto anche a produttori<br />

di “Champagne” in Trentino, che risulta nell’elenco<br />

dei vini presentati all’edizione del 1911 del Mercato vinicolo<br />

dell’Alto Adige a Bolzano.<br />

E poco prima dello scoppio della Guerra Mondiale, la<br />

prima, anche un altro produttore, un certo H.M. Matha,<br />

produceva un “Kron Champagner” cioé Champagne<br />

della Corona. Queste cantine chiusero i battenti dopo<br />

la prima Guerra mondiale e oggi non si trovano etichette<br />

né bottiglie in quanto durante il fascismo tutti i vini<br />

etichettati con etichette in lingua tedesca dovevano<br />

essere distrutte.<br />

Nella storia, più vicina a noi, della produzione di metodo<br />

classico in provincia di Bolzano un ruolo importante<br />

va assegnato anche a un personaggio la cui piccola<br />

azienda oggi non fa parte dell’associazione, ma che<br />

già nei primi anni Sessanta, quando era già kellermei-<br />

ster (cantiniere ovviamente, ma anche direttore commerciale,<br />

responsabile dei rapporti con i soci viticoltori,<br />

ecc.) della Cantina Produttori di Terlano, ruolo che<br />

manterrà per oltre quarant’anni, pensò di produrre bollicine<br />

di qualità in Alto Adige.<br />

Parlo di Sebastian Stocker, che ancora oggi, con l’aiuto<br />

del figlio Sigmar, produce, considerando questa tipologia<br />

di prodotto “un’esaltazione della finezza del vino”,<br />

un Brut, un Nature e una riserva. Un grandissimo<br />

tecnico delle cui intuizioni sul modo di produrre metodo<br />

classico in provincia di Bolzano fanno ancora tesoro<br />

tutti gli spumantisti odierni. In occasione del ventesimo<br />

anniversario dell‘<strong>Associazione</strong> si sono tenute le elezioni<br />

per il rinnovo delle cariche associative, e sarà il<br />

più noto dei produttori del gruppo, Josef Reiterer, proprietario<br />

della cantina Arunda Vivaldi (www.arundavivaldi.it),<br />

a guidare per altri tre anni, in qualità di presidente,<br />

l’<strong>Associazione</strong>.<br />

Lorenz Martini, enologo presso la tenuta J. Niedermayr<br />

nonché produttore di spumante nella propria cantina<br />

di Cornaiano http://www.lorenz-martini.com affiancherà<br />

Reiterer in qualità di vicepresidente. Del consiglio<br />

di amministrazione farà parte inoltre Wolfgang<br />

Tratter, enologo della Cantina Produttori San Paolo<br />

http://www.kellereistpauls.com, Luis Ochsenreiter della<br />

Tenuta Haderburg http://www.haderburg.de, Josef<br />

Romen della Kettmeir http://www.kettmeir.com e Hannes<br />

Kleon della Cantina Von Braunbach http://www.braunbach.it/<br />

ricopriranno la carica di revisori dei conti.<br />

Dell’associazione, guidata dall’ufficio delle Tenute dell’Alto<br />

Adige, fanno parte le seguenti sei aziende: Arunda-Vivaldi<br />

di Meltina, Von Braunbach di Settequerce - Terlano, la<br />

Cantina San Paolo Praeclarus di San Paolo, Lorenz<br />

Martini Comitissa di Cornaiano, Kettmeir di Caldaro e<br />

la tenuta Haderburg di Salorno.<br />

27


Degustazioni<br />

LA DEGUSTAZIONE<br />

Alto Adige Brut Von Braunbach<br />

Cuvée di Chardonnay (70%) e Pinot bianco (30%), da vigneti in Appiano, con 36 mesi<br />

di affinamento sui lieviti. Sboccatura aprile 2010. Colore paglierino di bella intensità e<br />

vivacità naso con notevole espressione fruttata (mela), molto aperto vivo con una<br />

notevole dolcezza e maturità del frutto, con accenni di crosta di pane e lieviti e bella<br />

fragranza floreale. Bocca molto rotonda, succosa, sul frutto, con un notevole equilibrio:<br />

piacevole, immediato, diretto, beverino, non ha una grande complessità e profondità<br />

ma si fa bere molto bene.<br />

Alto Adige Brut Athesis Kettmeir<br />

Cuvée di Pinot bianco (50%), Chardonnay (30%), Pinot nero (20%). Colore paglierino<br />

oro, naso molto secco, compatto con una bella espressione floreale (fiori secchi e<br />

fieno) accenni fruttati di mela, ananas, agrumi, a comporre un insieme molto sapido<br />

lineare incisivo quasi nervoso. Notevole vinosità in bocca e spiccato gusto di mela verde<br />

e ricordo di frutta secca, acidità molto presente, ben secco, verticale profondo, ha buon<br />

nerbo ed equilibrio e una certa rotondità.<br />

Alto Adige Brut Praeclarus Cantina Produttori San Paolo<br />

Cuvée di Chardonnay (60%), Pinot bianco (30%) e Pinot nero (10%) , affinamento di<br />

36 mesi sui lieviti. Colore giallo paglierino verdognolo, naso molto secco salato con una<br />

buona articolazione aromatica: note di frutta secca, nocciola e mandorla non tostata,<br />

mela, fiori bianchi, crosta di pane e lieviti di fermentazione un lieve accenno verde.<br />

Bocca incisiva salata con un'acidità che spinge e dà al vino slancio e verticalità, non<br />

largo ma vivo pieno di energia con grande freschezza.<br />

Alto Adige Brut Haderburg<br />

Cuvée di Chardonnay (90%) e Pinot nero (10%) da vigneti a 350-500 metri di altezza<br />

posti nella zona di Salorno. 30 mesi di maturazione sui lieviti. Bella intensità di colore,<br />

paglierino intenso, e vivace presa di spuma. Naso molto secco compatto di interessante<br />

complessità, con note di frutta secca, frutta esotica, accenni agrumati, di alloro,<br />

cioccolato bianco, una leggera speziatura, crosta di pane e lieviti in sottofondo. Bocca<br />

larga, piena, succosa, molto matura e sul frutto con una bella dolcezza e ampiezza e<br />

un notevole equilibrio, emerge in secondo piano un'acidità viva e calibrata, nervosa il<br />

giusto, buona persistenza e lunghezza, molto beverino.<br />

Alto Adige Extra Brut Arunda<br />

Cuvée di Chardonnay (80%) e Pinot nero (20%), affinamento di 36 mesi sui lieviti. Colore<br />

di notevole intensità e brillantezza, naso molto secco, sapido, incisivo con accenni minerali<br />

petrosi, note di fiori secchi, alloro, agrumi e in secondo piano una mela succosa.<br />

Bouquet molto fragrante, aperto, pulito, di notevole freschezza con belle note di nocciola<br />

e mandorla in evidenza. Bocca viva nervosa, incisiva di grande energia e spinta,<br />

apre ricco di nerbo e asciutto e si sviluppa con bella verticalità, sapidità e mineralità<br />

petrosa, molto fresco, vivo, ancora giovane con buona possibilità evoluzione.<br />

Alto Adige Extra Brut Blanc de Blancs Arunda<br />

Chardonnay 100% e affinamento di almeno 36 mesi sui lieviti. Colore paglierino verdognolo<br />

brillante, naso variegato e complesso piuttosto maturo con lievi accenni di<br />

tostatura e una vena leggermente dolce vanigliata, frutto in secondo piano su note agrumate<br />

e di ananas. Bocca morbida, cremosa, ancora un po' contratta con una presenza<br />

di legno ancora non totalmente assorbito che dà spalla e ampiezza, sostegno e struttura<br />

al vino, ma blocca un po' l'equilibrio e la piacevolezza e dà una nota leggermente<br />

secca al finale<br />

Alto Adige Brut riserva Comitissa 2005 Lorenz Martini<br />

Cuvée di uve Chardonnay e Pinot bianco provenienti da un vigneto su terreno con elevato<br />

contenuto di porfido e calcio piantato nel 2003 agli 800 metri di altezza di San<br />

Genesio, con 36 mesi di affinamento sui lieviti. Colore paglierino verdognolo brillante,<br />

naso ben secco, incisivo, salato, molto minerale, con note di pietra focaia in evidenza,<br />

molto fresco pieno di energia. Bocca molto viva, nervosa, salatissima, di grande tensione<br />

ed espressività, vino lungo, nervoso, appuntito, con una vena minerale molto evidente<br />

che dà nerbo e sale, grande pulizia e piacevolezza.<br />

28


Alto Adige Pas Dosé 2006 Haderburg<br />

90% Chardonnay e 10% Pinot nero, 40 mesi di affinamento sui lieviti Colore paglierino<br />

verdognolo, naso molto secco, nervoso, incisivo, con buona fragranza, note agrumate<br />

in evidenza, di fieno e fiori secchi, con accenni minerali, sentori di frutta secca e<br />

leggera speziatura. Bocca larga, piena, succosa, con una bella maturità del frutto e una<br />

spalla solida, pieno persistente con una notevole vinosità e una bella piacevolezza.<br />

Alto Adige Praeclarus Noblesse 2005 Cantina Produttori San Paolo<br />

Cuvée di Chardonnay (80%) e Pinot nero (20%), una parte del vino si affina in legno.<br />

Colore molto intenso, paglierino oro di notevole vivacità e brillantezza, naso su note di<br />

frutta matura mela e pesca e accenni dolci di miele, cioccolato bianco, poi leggera<br />

vena agrumata e frutta secca, molto largo pieno succoso e dolce. In bocca è largo, pieno,<br />

ben strutturato, vinoso, ma manca un po' di tensione ed energia, di freschezza con una<br />

nota dolce di vaniglia che tende a prevalere.<br />

Alto Adige Extra Brut Cuvée Marianna Arunda<br />

Cuveé di Chardonnay (80% affinato in barrique per 12 mesi) e Pinot nero (20%), 48<br />

mesi di affinamento sui lieviti. Paglierino oro di bella vivacità e brillantezza, naso molto<br />

compatto, complesso, di notevole ricchezza, con accenni di agrumi, frutta esotica, fieno<br />

di montagna, fiori secchi, accenni di frutta secca leggermente tostata. Bocca ampia,<br />

ricca cremosa, di grande delicatezza ed eleganza, gusto largo pieno, ben strutturato,<br />

ma con una notevole freschezza e incisività ha spalla e carattere, grande equilibrio saldo<br />

corredo acido che dà verticalità, freschezza, sale e finezza.<br />

Alto Adige Extra Brut riserva 2006 Arunda<br />

Cuvée di Chardonnay, 60% e Pinot nero, 40%, vinificato in bianco, affinamento di almeno<br />

50 mesi sui lieviti. Colore paglierino oro brillante e luminoso, naso di grande complessità<br />

e ricchezza, note di frutta esotica, bella vena sapida minerale, accenni di fiori<br />

bianchi, miele d'acacia, alloro, cioccolato bianco, che aprono su una presenza agrumata<br />

molto evidente e poi su note di mela e pesca bianca. Bocca larga, piena, succosa,<br />

ben strutturata, ha una spalla molto salda, una notevole vinosità, gusto piuttosto largo<br />

ben strutturato e persistente, prodotto impegnativo ma di grande piacevolezza.<br />

Alto Adige Brut riserva Comitissa 2000 Lorenz Martini<br />

Cuvée di Pinot bianco (60%), Chardonnay e Pinot nero (20% ognuno) con 36 mesi di<br />

affinamento sui lieviti. Sorprendente cuvée d’annata, con bellissima vivacità e brillantezza<br />

cromatica, un paglierino oro pieno di riflessi, naso vivo, complesso ben strutturato,<br />

pieno di energia, con note di agrumi, fiori bianchi, notevole componente minerale<br />

petrosa salata. Al gusto grande equilibrio e piacevolezza, ben strutturato ancora<br />

con una bella polpa fruttata succosa, e poi incisivo ben articolato, ben secco asciutto<br />

con grande equilibrio e piacevolezza, ancora in splendida forma.<br />

Alto Adige Brut Rosé Arunda<br />

Cuvée paritaria di Pinot bianco e Pinot nero affinamento di 15 mesi sui lieviti. Colore<br />

buccia di cipolla, sangue di piccione, naso molto varietale con note di fragola e piccoli<br />

frutti di bosco, mirtillo più che lampone, fiori bianchi e una buona sapidità data da una<br />

vena agrumata. Bocca leggermente dolce, succosa, rotonda (8 gr. Zucchero), molto<br />

immediata e piacevole, ha succosità, bell'equilibrio, buona cremosità.<br />

Alto Adige Brut Rosé Excellor Arunda<br />

Pinot nero in purezza da un vigneto posto ad 800 metri, 20 mesi di affinamento sui lieviti.<br />

Colore bellissimo, brillante cerasuolo scarico, buccia di cipolla, di bella brillantezza<br />

e vivacità. Naso elegante cremoso, di grande fragranza, con sviluppo di delicate note<br />

di lampone, ribes, mirtilli maturi al punto giusto e succosi, e di nitida definizione. Bocca<br />

con una magnifica vivacità e nerbo, perfetto equilibrio tra la giusta dolcezza del frutto,<br />

con freschezza e succosità fruttata, largo pieno rotondo, e una calibrata dolcezza sapida<br />

e nervosa croccante. Bel mix dolce salato, un vino che bevi e t'invoglia a bere, ottimo<br />

in abbinamento a salmone affumicato e piatti impegnativi a base di pesce di mare.<br />

29


Degustazioni<br />

L’Oltrepò<br />

Pavese,<br />

30<br />

la culla<br />

della spumantistica<br />

italiana<br />

di Alessandro Franceschini<br />

Quando si pensa allo storico connubio esistente<br />

tra l’Oltrepò Pavese e la coltivazione della<br />

vite, possono fissarsi nell’immaginario di ognuno<br />

di noi molte istantanee. Alcune squisitamente<br />

soggettive e magari più familiari a chi abita nelle<br />

vicinanze della provincia pavese, altre, invece, comuni<br />

a chiunque ami il vino e sia spinto da curiosità. Parole<br />

come “rusticità”, “vino sfuso”, vino che “buscia”,<br />

Bonarda, Gianni Brera possono essere accostate ai vini<br />

di questa terra con facilità. Tutto indubbiamente corretto,<br />

ma è solo una parte. Se è vero che un territorio<br />

deve portare in sé il marchio della propria tradizione<br />

per poter progettare il proprio futuro, allora il pinot nero<br />

non può non entrare di diritto nella storia di questa<br />

propaggine meridionale della Lombardia.<br />

Le vie di lettura che questa splendida area collinare<br />

donano a chi gli si accosta senza pregiudizi, sono tante,<br />

quasi sterminate, ma spesso irrisolte o comunque<br />

mai sbocciate in tutta la loro maturità. Se la parte occidentale,<br />

quella che gravita intorno al piccolo comune<br />

di Rovescala è storicamente legata alla croatina e quindi<br />

a uno dei vini portabandiera di questa terra, vale a<br />

dire la Bonarda, quella occidentale, ha nella sua vicinanza<br />

con il Piemonte e quindi nella barbera, uno dei<br />

suoi emblemi più significativi. Non dimenticando aree<br />

storicamente vocate all’allevamento di uve a bacca bianca<br />

come Volpara per il moscato o ancora, nella parte<br />

centrale, Oliva Gessi, Montalto Pavese e Calvignano per<br />

il riesling, ma non solo, quando si affronta l’“affaire il<br />

pinot nero”, invece, ci si inerpica su una montagna da<br />

scalare ricca di insidie e contraddizioni.<br />

In Oltrepò Pavese il pinot nero è presente praticamente<br />

ovunque, ma non dappertutto riesce a trovare l’habitat<br />

ideale per dare il meglio di sé. Grandi vini, leggendari,<br />

così come bottiglie anonime o semplicemente banali:<br />

tutto e il suo contrario ci si può attendere quando ci


troviamo di fronte a un bottiglia di pinot nero, sia<br />

esso vinificato in bianco o rosso. Questa nervosa scontrosità<br />

che lo ha portato ad adattarsi con fatica fuori<br />

dai suoi confini storici, trova conferma anche in Oltrepò<br />

Pavese. Attraversare, seppur sommariamente, le vicende<br />

storiche che hanno legato questo nobile vitigno ad<br />

una parte consistente dell’imprenditoria locale, significa<br />

leggere un pezzo di storia del vino italiano, oggi in<br />

parte cambiata.<br />

■■■■L’OLTREPÒ PAVESE È TERRA DI PINOT NERO?<br />

Partiamo da un dato che spesso ai più sfugge: circa<br />

3.000 ettari vitati dicono che ci troviamo di fronte al<br />

giardino vitato a pinot nero più esteso della penisola<br />

(secondo al mondo dopo la Borgogna). Un mare di pinot<br />

nero che ha cominciato a insidiarsi intorno alla seconda<br />

metà del XIX secolo e che ha visto i primi impianti<br />

significativi a Rocca de’ Giorgi nel 1865 ad opera del<br />

Conte Carlo Giorgi di Vistarino. Qui è nato quello che<br />

un tempo veniva chiamato lo “Champagne Italiano”.<br />

“Gran Spumante SVIC”, dove l’acronimo sta per Società<br />

Vinicola <strong>Italiana</strong> di Casteggio, è la scritta che troneggia<br />

nel 1912 su un cartello pubblicitario posto accan-<br />

to alla statua della Libertà a New York, primo punto<br />

di approdo per molti italiani che in quegli anni emigravano<br />

inseguendo il sogno americano. La produzione<br />

di metodo champenois vede emergere aziende come<br />

quella di Angelo Ballabio a Casteggio o la Cantina Sociale<br />

La Versa che si impongono come le realtà italiane più<br />

importanti nella produzione di spumanti a rifermentazione<br />

in bottiglia. Il pinot nero rappresenta l’ossatura<br />

di questa cavalcata che non sembrava fermarsi più.<br />

Nomi piemontesi e oltrepadani cominciano a intrecciarsi<br />

all’interno di un percorso comune che vede questa<br />

terra diventare il grande serbatoio per le produzioni<br />

industriali della spumantistica italiana. I 150 anni di<br />

storia del pinot nero in Oltrepò Pavese sono segnati dall’incredibile<br />

incremento della sua produzione per le<br />

cosiddette “sette grandi sorelle Piemontesi”: Martini e<br />

Rossi, Cinzano, Gancia, Riccadonna, Contratto, Bosca<br />

e Fontanafredda. Realtà che acquistarono tra gli anni<br />

Sessanta e Settanta del secolo scorso ingenti quantità<br />

di uva proprio in questo lembo di terra lombarda.<br />

Diminuito, ma non interrotto, l’interesse del vicino<br />

Piemonte per il pinot nero, tocca all’emergente<br />

Franciacorta attingere da quest’area: nel 2003 l’azienda<br />

Guido Berlucchi di Cortefranca affitta una cantina<br />

di trasformazione a Casteggio e vinifica direttamente<br />

in Oltrepò Pavese le uve di pinot nero per le sue basi<br />

spumantistiche: circa 20.000 quintali acquistate dai<br />

viticoltori della zona. (Il volume Storia di un territorio<br />

rurale. Vigne e vini dell’Oltrepò Pavese di Luciano Maffi,<br />

edito da Franco Angeli nel 2010, è un’utilissima lettura<br />

per chi volesse approfondire dinamiche e storia della<br />

viticoltura in Oltrepò Pavese).<br />

■■■■CLONI, ZONAZIONE E…<br />

Se il pinot nero, dunque, storicamente, ha trovato in<br />

Oltrepò l’habitat ideale per la produzione di basi spumantistiche<br />

utilizzate qui come in Piemonte (circa il<br />

90% della produzione di pinot oltrepadano è finalizzato<br />

per la realizzazione di spumanti), è altresì vero che<br />

la vinificazione in rosso si è ritagliata in un periodo più<br />

recente un suo spazio ricco di spunti, ma al tempo stesso<br />

contraddizioni ed equivoci. L’errore principale che<br />

chiunque può commettere accostandosi sia alle versioni<br />

metodo classico, che ancor più a quelle rosse, è il<br />

confronto con pinot neri allevati altrove, sia in Italia<br />

che, soprattutto, in Francia. È un confronto che spesso<br />

si rivela al più didattico, quanto in realtà fuorviante.<br />

Errori ne sono stati fatti, specie in epoche dove non<br />

era certo la qualità, quanto la quantità, da vendere il<br />

più delle volte a terzi, a essere l’obiettivo principale.<br />

Non è difficile ascoltare dalla voce di molti produttori<br />

oltrepadani, particolarmente legati a questo vitigno,<br />

quasi un grido di lamento nei confronti del trattamento<br />

che in passato gli è stato riservato. Errori di valutazione<br />

commerciale piuttosto che di scelte clonali o culturali<br />

non idonee al raggiungimento dell’obiettivo che<br />

si voleva perseguire sono aspetti da tenere in considerazione<br />

quando si affronta la storia del rapporto tra<br />

questa nobile uva e l’Oltrepò Pavese. Oggi è presente,<br />

a disposizione di tutti i produttori locali, un fitto lavoro<br />

di zonazione e un elenco dettagliato dei cloni più<br />

31


Degustazioni<br />

▲ Carlo Alberto Panont, direttore<br />

del Consorzio Tutela Vini Oltrepò<br />

Pavese<br />

32<br />

adatti alla vinificazione in bianco per il metodo classico piuttosto che a<br />

quella in rosso. Sono state individuate sei unità territoriali dopo un lavoro<br />

durato 10 anni, partito nel 1999, ad opera delle Università di Milano e<br />

Piacenza (il volume Guida all’utilizzo della Denominazione di origine Pinot<br />

nero in Oltrepò Pavese edito dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese a<br />

fine 2008 riporta in dettaglio tutto il lavoro svolto a questo riguardo).<br />

Eppure, scavando, non sembra solo una questione squisitamente tecnica:<br />

quando ci si imbatte, per esempio, in una bottiglia di Pinot nero vinificato<br />

in rosso del 1996 di Travaglino ottenuta da una semplice selezione<br />

di ciò che di meglio di poteva trovare in vigna in quel periodo, indipendentemente<br />

dalla varietà di cloni presenti, e si rimane completamente stupiti,<br />

non solo per l’integrità, quanto per l’elegante finezza espressiva che<br />

porta la mente altrove, una riflessione, probabilmente ovvia e banale,<br />

sul ruolo fondante dell’uomo viene spontanea. Il mix tra scelta delle altitudini,<br />

dei terreni e dei cloni ha la sua importanza, ma la capacità, nonché<br />

volontà, di chi opera sia in vigna sia in cantina ha la stessa, se non<br />

realmente decisiva, incidenza.<br />

■■■■LA SFIDA DEL CRUASÉ<br />

Il Cruasé: un azzardo? Una sfida? C’è il tentativo di alzare finalmente la<br />

testa attraverso la valorizzazione di un vitigno storico. C’è la voglia, probabilmente,<br />

di abbandonare definitivamente la fama di “incompiuta”, di<br />

“realtà dalle potenzialità enormi, ma mai realmente espresse appieno” che<br />

da sempre viene associata all’Oltrepò Pavese. Il pinot nero, nonostante<br />

l’intima fusione con questa terra, ha sempre navigato in un limbo mai ben<br />

chiaro. Ripartire da questo nobile vitigno è stato dunque uno dei leitmotiv<br />

che sin dall’inizio ha contraddistinto l’azione del mandato del direttore<br />

del Consorzio, Carlo Alberto Panont, non senza polemiche e mugugni,<br />

tipici dell’enomondo e particolarmente di casa da queste parti. La successiva<br />

nascita del “Cruasé”, una scelta di campo precisa: valorizzare un vitigno<br />

“locale” dalle radici storiche, una metodologia, quella del metodo classico,<br />

che qui è di casa dagli inizi del secolo passato e infine una tipologia,<br />

il rosé, che quando ben eseguita, ha l’indubbio merito di affascinare<br />

e incuriosire fasce di mercato abbastanza eterogenee.<br />

La prima annata a essere etichettata e commercializzata con il nome<br />

“Cruasé” (per l’approfondimento della genesi del nome si veda il box) è<br />

datata 2007. Dodici aziende in tutto. «Già dal prossimo millesimo il numero<br />

di aziende crescerà e non nascondiamo l’obiettivo di voler raggiungere<br />

una quota di etichette ben superiore alle cinquanta» ci fa sapere dal<br />

Consorzio Emanuele Bottiroli. Ora bisogna crescere, sia in quantità sia<br />

in qualità, cercando di avere una visione comune, non necessariamente<br />

interpretativa, quanto di forma e stile.


IL CRUASÉ, UNA SCELTA OBBLIGATA<br />

Fabrizio Maria Marzi, oltre ad<br />

essere dal 1996 l’enologo della<br />

storica azienda Travaglino in quel<br />

di Calvignano in Oltrepò Pavese, è<br />

anche una figura nota a molti<br />

sommelier italiani. Commissario agli<br />

esami di terzo livello, formatore di<br />

lunga esperienza ai plurididattici, in<br />

passato ha ricoperto ruoli<br />

dirigenziali in seno all’<strong>Associazione</strong>.<br />

Oltrepò Pavese e pinot nero.<br />

Un’eredità importante.<br />

Sì. Se vogliamo l’Oltrepò Pavese si<br />

è ritrovato questa fortuna non<br />

completamente per meriti propri.<br />

In che senso?<br />

L’Oltrepò è stato il bacino di<br />

utenza principale per storiche<br />

aziende piemontesi che fornivano<br />

barbatelle di pinot nero.<br />

Ancora adesso?<br />

Certo. Però ad un certo punto<br />

quei produttori hanno deciso di<br />

puntare molto sull’Asti e questo ha<br />

fatto sì che gli equilibri<br />

cambiassero.<br />

A favore dell’Oltrepò Pavese?<br />

Non completamente in realtà. A<br />

quel punto è cominciata ad<br />

emergere la Franciacorta.<br />

Berlucchi comprava qui il suo pinot<br />

nero. È stata questa azienda, nella<br />

figura dell’enologo Franco Ziliani, a<br />

preparare il terreno per gli<br />

industriali che poi hanno deciso di<br />

investire i loro capitali nel settore<br />

della spumantistica. L’Oltrepò non<br />

è stato al passo, perché il<br />

comparto è rimasto legato all’idea<br />

di essere soprattutto il substrato per<br />

una produzione altrui.<br />

IL CRUASÉ IN PILLOLE<br />

■■■■Il nome “Cruasé” deriva dalla fusione di “Cru”<br />

e “Rosé” unite da una “a” che fa da congiunzione.<br />

In questa scelta è presente anche il tentativo di<br />

recuperare il nome di un antico vitigno dell’Oltrepò<br />

Pavese, il “Cruà”, considerato un’eccellenza intorno<br />

al 1700.<br />

■■■■Cruasé è un marchio collettivo di proprietà<br />

del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese ad esclusivo<br />

utilizzo delle aziende che rivendicano DOCG<br />

Oltrepò Metodo Classico Rosè. Le bottiglie devono<br />

Il Classese è stato un primo<br />

tentativo per rilanciare questo<br />

comparto?<br />

Sì, ma è rimasta una piccola realtà<br />

con pochi produttori e piccoli<br />

numeri. C’è però da sottolineare<br />

un aspetto: nonostante il pinot<br />

nero non sia decollato, qui si è<br />

mantenuto il vigneto. Ed è un<br />

valore importantissimo. Oggi<br />

abbiamo quasi 3000 ettari di<br />

vigneto a pinot nero ed a partire<br />

dagli anni Ottanta sono stati<br />

impiantati anche cloni per la<br />

vinificazione in rosso.<br />

Ci fu confusione, ad un certo<br />

punto, tra cloni adatti a<br />

vinificazioni diverse?<br />

Un po’ di confusione c’era, ma le<br />

difficoltà non dipendevano solo<br />

da questo aspetto. L’incapacità e<br />

la cattiva conoscenza<br />

nell’allevamento del pinot nero,<br />

specie per la vinificazione in rosso,<br />

sono stati il vero handicap.<br />

Arriviamo quindi al Cruasé<br />

Il Cruasé è stata una scelta<br />

obbligata. Se vuoi testimoniare<br />

qualcosa di diverso devi puntare<br />

sul rosé. Il Cruasé non è corretto<br />

chiamarlo semplicemente uno<br />

spumante rosé: è un pinot nero<br />

spumantizzato con il metodo<br />

classico.<br />

Perché questa sottolineatura?<br />

Perché il concetto che deve<br />

passare è che con il Cruasé porti a<br />

tavola prima di tutto un pinot nero,<br />

non solo un metodo classico.<br />

Credi quindi che con il Cruasé sia<br />

possibile anche un tentativo di<br />

destagionalizzazione di questa<br />

tipologia?<br />

Col Cruasé posso<br />

togliere questa<br />

tipologia dalle<br />

sole vendite<br />

natalizie.<br />

Che percezione<br />

c’è tra i produttori di questo nuovo<br />

progetto?<br />

Oggi in molti hanno preso<br />

coscienza che avere un pinot nero<br />

metodo classico ha senso, anche<br />

economicamente. Il lavoro di<br />

zonazione è stato un primo passo<br />

importante di presa di coscienza<br />

collettiva. Tutto l’Oltrepò Pavese<br />

può produrre ottime basi da<br />

spumante a base pinot nero.<br />

Ovvio che ci sono delle diversità<br />

tra la prima fascia collinare e le<br />

parti più elevate. Ma sono<br />

assolutamente convinto che le<br />

nostri basi da spumante non<br />

hanno nulla da invidiare alle altre.<br />

C’è o ci sarà competizione con la<br />

Franciacorta?<br />

No. Io credo molto nella<br />

Lombardia come polo del Metodo<br />

classico italiano. Insieme ci<br />

possiamo presentare con circa 12<br />

milioni di bottiglie sul mercato. Non<br />

credo che invece sia possibile<br />

cercare di identificare tutto il<br />

comparto spumantistico italiano in<br />

modo univoco, magari con un<br />

nome solo.<br />

Ti riferisci al tentativo di far<br />

rinascere il “Talento”?<br />

Certo. Se ce la fanno compiono<br />

un’impresa. Ma, personalmente,<br />

pur rispettando il loro tentativo, io<br />

non ci credo.<br />

essere “vestite” seguendo determinati parametri,<br />

dall’etichetta alla capsula, in modo da rendere<br />

distinguibile questa particolare tipologia.<br />

■■■■Il Cruasé fa riferimento al disciplinare della<br />

DOCG Oltrepò Pavese Metodo Classico approvato<br />

nel 2007. Il vitigno Pinot Nero dovrà essere utilizzato<br />

per un minimo dell’85%, con la specifica di vitigno<br />

appartenente alla DOCG. Affinamento sui lieviti<br />

di almeno 24 mesi e due tipologie consentite:<br />

Brut e Brut Nature.<br />

33


Degustazioni<br />

LA DEGUSTAZIONE<br />

Abbiamo degustato alla cieca 36 campioni grazie al supporto logistico e organizzativo del<br />

Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. 12 Cruasé Docg 2007, 5 Metodo Classico Rosé Pinot Nero<br />

Doc, 5 Pinot Nero Metodo Classico Docg e 14 Pinot Nero Metodo Classico Doc delle annate<br />

2006, 2005, 2004, 2003 e senza annata. Abbiamo selezionato gli otto, attingendo da tutte le tipologie<br />

degustate, che ci sono sembrati più significativi per qualità e carattere.<br />

Travaglino – Oltrepò Pavese Docg Montécerèsino Cruasé Brut 2007<br />

Calvignano (Pv)<br />

24 mesi sui lieviti, ottenuto dalla criomacerazione e successiva spremitura soffice delle bucce di<br />

pinot nero provenienti dall’appezzamento Monteceresino, situato a circa 350 metri di altitudine.<br />

È un cru aziendale e incarna in modo deciso l’idea di fondo che anima l’dea del Cruasé: vigna<br />

ben definita, solo pinot nero, macerazione sulle bucce e rifermentazione in bottiglia. Il colore è un<br />

rosa acceso, vivo: l’attacco olfattivo colpisce per intensità e un mix di piccoli frutti rossi, dal ribes<br />

ai lamponi e un tocco di mineralità che segna anche il palato. Struttura e carattere, succosità e<br />

un bell’allungo nel finale con note di pompelmo rosa.<br />

Piccolo Bacco dei Quaroni – Oltrepò Pavese Docg Cruasé Brut 2007<br />

Montù Beccaria (Pv)<br />

Arancio nel bicchiere e una personalità di bella suadenza: gioca sulle ossidazione senza mai perdere<br />

di vista la freschezza del frutto e delle note agrumate di bella vivacità. In bocca c’è tensione,<br />

apportata dalla piacevole vena fresca ed una persistenza che ricorda ancora le note agrumate.<br />

Tenuta il Bosco – Oltrepò Pavese Docg Cruasé Brut 2007 Oltrenero<br />

Zenevredo (Pv)<br />

Colore rosa acceso nel bicchiere e un’aromaticità che gioca già al naso sulle morbidezze e la<br />

dolcezza, senza mai scadere però nella stucchevolezza. Il frutto maturo e qualche nota di chinotto<br />

segnano un incedere olfattivo rassicurante e a tratti piacione.<br />

In bocca struttura e una fresca vivacità non mancano, anche se sono l’avvolgenza e la morbidezza<br />

a segnare il passo.<br />

Cantine Francesco Montagna – Berté Cordini Oltrepò Pavese Doc Cuvée Rosé S.A.<br />

Broni (Pv)<br />

Rosa pallido e una pulizia di bella precisione e sottigliezza. Le note di piccoli frutti, di ribes e lampone,<br />

ma soprattutto una beva incisiva, di grande freschezza con una vena sapida di grande<br />

potenza, donano a questo rosé metodo classico un tocco sferzante e di carattere. 8 mesi sui lieviti<br />

da vigneti posti a circa 250 metri di altitudine.<br />

Azienda Agricola Anteo – Oltrepò Pavese Doc Rosé 2005<br />

Rocca De’ Giorni (Pv)<br />

Colore tra l’arancio e il rosa, al naso offre un buon mix tra note fruttate più delicate di ribes e più<br />

mature e dense di ciliegia e fragola. Succoso, di buona persistenza con un finale fruttato e fresco.<br />

Lungamente affinato sui lieviti, viene prodotto eventualmente con l’aggiunta del “salasso”<br />

del pinot nero vinificato in rosso.<br />

F.lli Giorgi – Oltrepò Pavese Docg Extra Brut “Gianfranco Giorgi” 2007<br />

Canneto Pavese (Pv)<br />

Intensità e fragranza, complessità e finezza: all’interno della numerosa produzione, anche di vini<br />

spumanti, dei Fratelli Giorgi, questa selezione che risposa sui lieviti per 36 mesi si conquista sicuramente<br />

un ruolo di primo piano. Frutti di mela e pera maturi e note di pompelmo di bella trama. In<br />

bocca gioca su toni minerali, sapidi, con una bella e succosa persistenza agrumata di sottofondo.<br />

Ca’ del Gè – Oltrepò Pavese Doc Brut 2006<br />

Montalto Pavese (Pv)<br />

Una mineralità rocciosa, delicati frutti bianchi e una sferzata agrumata di bell’impatto insieme a<br />

note di lievito e pane. In bocca segue la linea interpretativa del naso, con un finale ancora agrumato<br />

e sapido e una persistenza di bell’impatto. Riposa tra i 36 ed i 48 mesi sui lieviti a seconda<br />

delle annate.<br />

Monterucco – Oltrepò Pavese Doc Classese 2005<br />

Cigognola (Pv)<br />

Note floreali e frutti bianchi di buona maturità insieme a quelle agrumate, incisive segnano il quadro<br />

olfattivo di questo metodo classico di bella finezza. Bocca di spessore, struttura, freschezza<br />

con una scioltezza gustativa di ottima fattura. Insieme al pinot nero, si unisce un 15% di chardonnay.<br />

48 mesi sui lieviti.<br />

34


Vino e territorio<br />

36<br />

Freisa,<br />

il vino di Torino<br />

di Piermaurizio Di Rienzo<br />

LE ORIGINI RISALGONO AL XVI SECOLO E GIÀ<br />

NELL’OTTOCENTO ERA CONSIDERATO UNO DEI<br />

MIGLIORI VINI D’ITALIA. PERSINO ERNEST<br />

HEMINGWAY NE ERA INCURIOSITO. OGGI IL FREISA<br />

È PRODOTTO SOLO DA CINQUE AZIENDE,<br />

RIUNITE IN UN CONSORZIO, PER UN<br />

MILIONE DI BOTTIGLIE COMPLESSIVE<br />

Èil vino rosso di Torino, quello prodotto<br />

dalle uve coltivate sulle colline intorno<br />

alla città e che da sempre si accompagna<br />

ai piatti tipici della tradizione piemontese. È il<br />

Freisa di Chieri, un vitigno ricco di storia, snobbato<br />

per anni dai critici, ma che ora sta pian<br />

piano guadagnando nuove fette di mercato.<br />

Le origini di questo vino risalgono al XVI secolo:<br />

una tariffa doganale del comune di<br />

Pancalieri del 1517 indica tra le uve più pregiate<br />

“carrate e somate Fresearum” senza<br />

specificare esattamente il luogo di provenienza<br />

che, data la vicinanza, si presume<br />

fosse sulla collina torinese. Poi c’è un celebre<br />

trattato di un orafo milanese, Giovanni<br />

Battista Croce, che nel 1606 parla «della<br />

eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna<br />

torinese si fanno e del modo di farli».<br />

Parla di Freisa anche il conte Nuvolone in<br />

occasione dell’adunanza della Reale Società<br />

agraria di Torino, nel 1798, dichiarando: «Freisa<br />

produce un vino acerbo, secco e robusto».<br />

Arriviamo quindi a Goffredo Casalis, cronista locale<br />

del XIX secolo, che descrive una “merenda sui<br />

prati della collina di Superga”, in occasione dei festeggiamenti<br />

per l’anniversario della liberazione dall’assedio<br />

francese del 1706. In quel caso i produttori di Freisa si<br />

improvvisavano osti itineranti che dalla vendita del loro vino<br />

ricavavano ottimi guadagni. Altri cenni arrivano dalla gran-


de Esposizione Ampelografica del 1881, dove il Freisa<br />

di Chieri era inserito nell’elenco dei migliori vini d’Italia.<br />

E ancora. Ernest Hemingway nel suo Addio alle armi<br />

ne parla come di un vino del quale era “molto incuriosito”.<br />

La Seconda Guerra Mondiale e il successivo abbandono<br />

delle campagne rappresentò una causa della riduzione<br />

della viticoltura nella zona. Il ritorno alla coltivazione<br />

del vitigno si colloca dopo il 1973, anno dell’istituzione<br />

della Doc Freisa di Chieri.<br />

Attualmente a questo vino sono dedicati novantacinque<br />

ettari della provincia di Torino, sulla catena collinare<br />

a sud del Po che si estende da Moncalieri a Verrua<br />

Savoia, con un’altimetria variabile tra i 300 e gli oltre<br />

550 metri. La zona di produzione è limitata a pochissimi<br />

comuni: Chieri, Pecetto Torinese, Pino Torinese,<br />

Pavarolo, Baldissero Torinese, Montaldo Torinese,<br />

Mombello Torinese, Andezeno, Arignano, Moriondo<br />

Torinese, Marentino e Riva presso Chieri. È un vino<br />

tipicamente rosso rubino, poco intenso dalla gradazione<br />

alcolica minima di undici gradi, prodotto solo da cinque<br />

aziende, riunite in un consorzio, per un milione<br />

di bottiglie complessive.<br />

«È un vitigno che si adatta bene per la consistenza della<br />

buccia, difficilmente attaccabile dalle muffe» racconta<br />

Stefano Rossotto, presidente del consorzio. «Nei terreni<br />

argillosi-sabbiosi, come le colline intorno a Chieri,<br />

sviluppa un’ottima vigoria, producendo acini di buone<br />

dimensioni, con elevato grado zuccherino, che danno<br />

vita a vini uniformi». Sono proprio i terreni, tra l’altro,<br />

a fare la differenza tra il Freisa di Chieri e quello di Asti<br />

(prodotto su una scala ben più vasta): nella prima zona<br />

si ha una predominanza di argilla e sabbia, nella seconda<br />

di calcare e limo. Il Freisa di Chieri viene tradizionalmente<br />

vinificato secco, nelle tipologie fermo e vivace.<br />

Quest’ultimo è il vino che più viene ricordato nel<br />

tempo, tipico della zona e che, come spiega Rossotto «si<br />

adatta perfettamente alla bagna caûda (tipico piatto a<br />

base di verdure e crema di acciughe e aglio)». C’è poi il<br />

Freisa Superiore, originato da uve verso la sovrammaturazione<br />

e immesso sul mercato circa un anno dopo<br />

la vendemmia. Infine, alcune realtà hanno cominciato<br />

a produrre Freisa Rosato e Freisa Spumante, come consentito<br />

dall’ultima modifica apportata al disciplinare<br />

della denominazione. L’omonima azienda del presidente<br />

Rossotto, a Cinzano, produce 30-35mila bottiglie<br />

all’anno. «Le principali guide ci hanno trascurato per<br />

anni a causa della fama pregressa di un prodotto onestamente<br />

problematico» osserva il titolare. «C’è stata<br />

un’evoluzione dal punto di vista qualitativo, anche grazie<br />

a corsi di formazione, prove di vinificazione e sperimentazioni<br />

in collaborazione con l’Università degli Studi<br />

di Torino».<br />

«È da sempre una produzione di nicchia» aggiunge Luca<br />

Balbiano dell’azienda vitivinicola Balbiano di Andezeno.<br />

«Anche se il calo dei consumi rappresenta un dato assodato,<br />

abbiamo la consapevolezza di produrre un vino<br />

di eccellenza».<br />

L’azienda, fondata nel 1941 da Melchiorre Balbiano,<br />

produce 130mila bottiglie all’anno, di cui 100mila solo<br />

di Freisa di Chieri vivace. Un’altra delle cinque realtà<br />

presenti è La Borgarella di Chieri, piccola azienda agri-<br />

cola produttrice di circa 20mila bottiglie annue, ma che<br />

vanta una tradizione secolare nella coltivazione dei<br />

vigneti. «È un vitigno appartenente alla famiglia del<br />

Nebbiolo, non sopporta grandi invecchiamenti, ma è<br />

ottimo da bere nell’annata» fa notare la titolare Enrica<br />

Gastaldi. «È un vino che può dare molto di più di quello<br />

che offre ora» dice Enrico Rubatto, giovane produttore<br />

di Baldissero Torinese. «Il Freisa di Chieri ha grandi<br />

potenzialità non ancora sfruttate, ma si sta lavorando<br />

bene». La sua azienda è la più piccola in termini di<br />

volumi: 6-7mila bottiglie all’anno, molte delle quali<br />

esportate all’estero. La restante quota di produzione è<br />

gestita dalla Cantina sociale del Freisa, che ha sede a<br />

Castelnuovo Don Bosco, comune della provincia di Asti,<br />

proprio a ridosso del Chierese. Per la promozione dei<br />

loro vini queste aziende possono contare su poche occasioni.<br />

A fianco al consolidato appuntamento del Vinitaly<br />

di Verona e del vicino Salone internazione del gusto di<br />

Torino, è nata la manifestazione Di Freisa in Freisa.<br />

La prima edizione, promossa dal comune di Chieri, si<br />

è svolta lo scorso aprile. Da segnalare anche La Corriera<br />

del Freisa che tra gennaio e febbraio parte ogni sabato<br />

da piazza Carlo Felice, a Torino, con fermate intermedie<br />

a Sassi e Chieri per portare enofili e buongustai<br />

alla Bottega del Vino di Moncucco, dove la Trattoria<br />

del Freisa propone menu tradizionali piemontesi. I partecipanti<br />

possono gustare i piatti della cucina tipica del<br />

territorio, abbinati ai vini delle aziende che aderiscono<br />

all’iniziativa.<br />

37


Vitigni autoctoni<br />

Splende l’uva d’oro<br />

della Serenissima<br />

NELLA LAGUNA DI<br />

VENEZIA SI È<br />

RECUPERATO UN ANTICO<br />

VITIGNO AUTOCTONO, LA<br />

DORONA. IL VINO SARÀ<br />

PRONTO NEL 2012 ESI CHIAMERÀ VENISSA.<br />

UN’OPERAZIONE DI<br />

TUTELA DEL TERRITORIO<br />

E CONSERVAZIONE<br />

DELLE TRADIZIONI<br />

REALIZZATE GRAZIE A<br />

UN PROGETTO PUBBLICO<br />

E PRIVATO<br />

▲ Uno scorcio insolito della<br />

Serenissima con i vigneti di Dorona<br />

all'interno della tenuta di Venissa<br />

nell'isola di Mazzorbo<br />

38<br />

di Annalisa Raduano<br />

Nell’isola veneziana di Mazzorbo c’è una tenuta che si chiama Venissa.<br />

Si tratta di un’area murata, oggi integrata con una struttura ricettiva,<br />

un ristorante (gestito da Paola Budel, chef bellunese formatasi<br />

alla scuola di Gualtiero Marchesi e di Michel Roux) e un centro di formazione<br />

e di ricerca agro-ambientale. La tenuta custodisce l’antico vigneto<br />

recuperato da Bisol. Qui infatti è stata piantata la Dorona, il vitigno<br />

autoctono a bacca bianca tipicamente veneziano, presente in Laguna fin<br />

dal XV secolo.<br />

«Entro il 2012, verranno prodotte poche migliaia di bottiglie di questo antico<br />

vino, che si chiamerà Venissa ed è già oggetto di prenotazioni» ha spiegato<br />

Gianluca Bisol, durante la presentazione del progetto nella tenuta<br />

veneziana. «Grazie al coordinamento di mio fratello Desiderio, direttore<br />

tecnico, e alla consulenza di Roberto Cipresso, winemaker, produrremo<br />

uno fra i migliori dieci vini bianchi al mondo. Un vino che vuole essere<br />

anche un omaggio alla storia e alla cultura della laguna di Venezia, da<br />

sempre legata a Valdobbiadene».<br />

Il recupero della tenuta dove ha dimora la Dorona comprende un polo funzionale<br />

e di conservazione delle ricchezze della natura della laguna. Un<br />

progetto questo, premiato dal Comune di Venezia, giudicato il migliore (tra<br />

dodici progetti presentati) per la concreta azione di recupero e valorizzazione<br />

dell’area, che nasce grazie alla collaborazione fra Bisol e Vento di<br />

Venezia, Polo Nautico guidato da Alberto Sonino. Con il sostegno di Veneto<br />

Agricoltura è stato infatti possibile classificare e recuperare un antico vitigno<br />

lagunare di uva a bacca bianca, la Dorona, meglio conosciuta come<br />

Uva d’Oro, coltivata fin dal XV secolo e che era andato quasi perduto nei<br />

tempi moderni. Il recupero di questo vitigno si è celebrato proprio in occasione<br />

della prima vendemmia di quest’uva, cui hanno partecipato il presidente<br />

della Regione Luca Zaia, il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, il<br />

presidente della Biennale, Paolo Baratta, la scrittrice Camilla Baresani,<br />

lo scrittore e winemaker Roberto Cipresso, l’autore televisivo Alessandro<br />

Ippolito, lo scrittore e opionion leader Gelasio Gaetani D’Aragona Lovatelli.<br />

La tenuta di proprietà del comune di Venezia è stata ribattezzata con il<br />

nome Venissa, a seguito del progetto di recupero che la presenta oggi,<br />

come un parco che custodisce le ricchezze di questa terra.<br />

Accanto al vigneto di Dorona, vi sono anche orti coltivati dai pensionati<br />

con verdure tutte veneziane e una peschiera con pesci lagunari (cefali,<br />

anguille, granchi di laguna). La tenuta ripropone la fisionomia agraria dell’isola:<br />

coltivazioni di vigne, orti e frutteti sono stati realizzati grazie alle<br />

monache benedettine che curavano queste terre.<br />

La Dorona era un’uva prodotta nei secoli scorsi in tutta la laguna di Venezia<br />

e della quale sopravvivevano fino a pochi anni fa solo residue coltivazioni.<br />

Il dizionario dei vitigni antichi minori italiani, a cura del professor Attilio<br />

Scienza e di altri autori, pubblicato nel 2004 dice: «Quest’uva a bacca<br />

bianca viene chiamata anche Dorona o D’oro di Venezia ed è riconoscibile<br />

per il colore giallo dorato-ambrato dei suoi acini maturi che gli valgo-


no il nome. Poco sensibile alle crittogame, specialmente alla botrite, si può<br />

conservare a lungo sulla pianta o in fruttaio, qualità che ne suggerisce<br />

l’impiego per la realizzazione di vini passiti. È una varietà a doppia attitudine,<br />

utilizzata sia come uva da mensa che da vino, nel qual caso dà<br />

origine a bianchi di colore giallo paglierino, con tenue odore vinoso e un<br />

sapore asciutto con retrogusto leggermente<br />

amarognolo».<br />

La storia la vede florida ai tempi della<br />

Serenissima come la varietà che produceva<br />

il vino di Venezia anche se,<br />

in tempi più recenti, viene descritta<br />

come uva da consumo fresco nell’entroterra<br />

veneto. In effetti la coltivazione<br />

dei vigneti nella laguna di<br />

Venezia è antica quanto i suoi insediamenti<br />

e ampiamente documentata<br />

in scritti custoditi nell’Archivio di<br />

Stato di Venezia, come dimostra la<br />

ricerca effettuata dalla scrittrice Carla<br />

Coco. Grazie al catastico del 1341<br />

degli ufficiali del Piovego si scopre<br />

che al Lido c’erano complessivamente<br />

cinquantasette vigne.<br />

Ricchissime tracce di vigneto si trovano<br />

a Mazzorbo, la casa della Dorona,<br />

dove le vigne erano di proprietà del<br />

monastero di Santa Eufemia. La vite<br />

viene impiantata dai frati certosini<br />

subito dopo il loro insediamento<br />

(1421), tant’è che il monastero aveva una cantina con diverse linee di produzione,<br />

come si direbbe oggi: vino puro per la messa e vino allungato con<br />

l’acqua (in proporzioni rigorose e non casuali) per un prodotto leggero che<br />

veniva dato ai poveri come elemosina insieme al cibo. Un luogo quindi<br />

da sempre destinato alla coltivazione dell’uva, dove oggi la Dorona torna<br />

a splendere.<br />

Il taglio del primo grappolo lo ha fatto, con molta soddisfazione, Luca Zaia<br />

▲ Una veduta dall'alto della tenuta<br />

di Venissa<br />

▲ La degustazione dei vini veneti<br />

39


Vitigni autoctoni<br />

▲ La tenuta di Venissa<br />

▲ Da sinistra Luca Zaia, governatore del Veneto,<br />

Gianluca Bisol e altri ospiti e protagonisti del<br />

Progetto Venissa, inaugurato lo scorso 3 settembre<br />

40<br />

che non ha mancato di sottolineare quanto grande sia il suo Veneto e i<br />

suoi vini: «Il Veneto è la prima regione per produzione di vini e di vini<br />

Doc e Docg, dei quali quasi l’85 per cento sono ottenuti da uve autoctone.<br />

Qui nella tenuta di Venissa abbiamo voluto riportare la produzione<br />

vinicola, dove era scomparsa». Alla cerimonia erano presenti anche i ragazzi<br />

con sindrome di Down dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> Persone Down – Sezione<br />

della Marca Trevigiana, che da anni si dedicano al vino, proponendo<br />

bottiglie vendemmiate con uve da loro raccolte e imbottigliate con creatività:<br />

etichette personalizzate che poi vestono bottiglie vendute a un’asta<br />

di beneficenza che ogni anno si svolge a Verona, in occasione del Vinitaly.<br />

C’erano al taglio Gianluca Bisol e Giorgio Cecchetto delle omonime aziende<br />

e Raffaele Boscaini per Masi Agricola a testimoniare che la vite e il vino<br />

sono parte integrante delle tradizioni gastronomiche e dell’economia di<br />

questa regione. E la centralità dell’enologia per l’economia veneta è confermata<br />

anche dai numeri: in Veneto si producono circa otto milioni di<br />

ettolitri l’anno, dei quali quasi 3,2 milioni a denominazione. Gli esportatori<br />

della regione vendono all’estero una quantità di vini e mosti equivalenti<br />

a circa il 60 per cento della produzione regionale, per una quantità<br />

e un valore (attorno al miliardo di euro) equivalente al 28 per cento del<br />

totale dell’export italiano di vino. Il vino veneto Doc proviene per la gran<br />

▲ Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, e Luca Zaia alla<br />

vendemmia nella tenuta di Venissa


▲ Alcuni ambienti all'interno<br />

della tenuta di Venissa<br />

▲ Una vite di uva Dorona<br />

parte da vitigni autoctoni e originari (oltre l’80 per cento del totale) e anche<br />

da tecniche autoctone, come ad esempio, l’appassimento delle uve su graticci,<br />

per ottenere un vino maestoso come l’Amarone.<br />

Del resto, Prosecco, Valpolicella, Soave, Amarone, Recioto, Conegliano<br />

Valdobbiadene con il Cru Cartizze, Bardolino, Durello, Asolo, Lugana,<br />

Malanotte, Schiava, Casetta, Refrontolo, Torcolato, Pinello, Fior d’Arancio,<br />

Friularo, Enantio, Refosco, Colli di Conegliano, Casetta contraddistinguono<br />

vini Doc e Docg ottenuti da uve che da secoli vestono il Veneto e che<br />

da qui sono state portate altrove dai tanti veneti emigrati. Una curiosità:<br />

nel Veneto ci sono alcuni dei vigneti più preziosi al mondo. Nel territorio<br />

della Valpolicella classica sono 104 gli ettari a vite del Cartizze: per il terreno<br />

di queste colline c’è una valutazione di massima (si parla di due milioni<br />

e mezzo di euro ad ettaro) ma non un vero e proprio “prezzo”, perché<br />

solo un pazzo venderebbe anche un solo appezzamento. Questi vini si<br />

ottengono da antichi vitigni come Corvina, Molinara, Rondinella, Garganega,<br />

Glera, Durella, Raboso, Negrara, Vespaiola, Oseleta, Marzemino, Verdiso,<br />

Bianchetta o da moderni incroci qui realizzati come Manzoni Bianco e<br />

Manzoni Rosso. Sebastiano Carron che dagli uffici della regione descrive<br />

e racconta della cultura enogastronomia del territorio e delle sue valenze<br />

paesaggistiche spiega con orgoglio: «I nostri vini si bevono perché buoni.<br />

E anche con un conveniente rapporto prezzo-qualità. E poi chi li degusta<br />

sorseggia la storia, respira il territorio. Perché nel Veneto il vino è presente<br />

almeno da quando c’è l’uomo. E anche da prima, se si guarda l’impronta<br />

fossile di una foglia di ampelidea, vecchia di 50 milioni di anni,<br />

ritrovata in Lessinia, a Bolca». Carron prosegue illustrando l’evolversi<br />

del consumo di uva da parte degli antichi abitatori degli insediamenti palafitticoli<br />

del Garda e del Lago di Fimòn, delle prime coltivazioni di vite vinifera<br />

attribuibili alla civiltà paleoveneta ed etrusca, mentre spiega che le<br />

prime citazioni documentate dei vini locali sono quelle del Vino Retico, il<br />

vino dolce prodotto con uve appassite nella Retia, la regione collinare che<br />

agli albori di Roma si estendeva a settentrione della parte centrale della<br />

Pianura Padana. Testimonianze di vino si trovano da Cassiodoro al re longobardo<br />

Teodorico, che nel suo editto prevede pene per chi danneggi le<br />

viti o ne rubi i grappoli, passando per i Comuni e la Repubblica di Venezia.<br />

Tornando ai giorni nostri e alla Dorona, dopo la prima produzione, numerata,<br />

data la poca capacità produttiva, è in via di definizione il recupero<br />

di altre aeree lagunari da destinarsi alla vite, al vino e alla Dorona. Così<br />

la storia del vino e la tutela degli autoctoni lagunari nelle Serenissima e<br />

in Veneto proseguono guardando al futuro ma ben radicate nel passato.<br />

41


Degustazioni<br />

Il Faro<br />

per riscoprire le radici<br />

42<br />

della Sicilia<br />

INIZIALMENTE<br />

LA DOC FARO ESISTEVA<br />

SOLO SULLA CARTA.<br />

AGLI INIZI DEGLI ANNI<br />

NOVANTA IL MERITO<br />

DI AVER LOTTATO<br />

PER MANTENERLA<br />

IN VITA E RILANCIARLA<br />

SI DEVE<br />

A UN PRODUTTORE<br />

ILLUMINATO,<br />

SALVATORE<br />

GERACI<br />

di Luigi Salvo<br />

Sulle colline che si affacciano sullo Stretto di Messina in una lingua<br />

di terra chiusa tra il Mar Tirreno e il Mar Ionio nasce la denominazione<br />

d’origine controllata Faro. Il suo nome pare derivi dall’antica<br />

popolazione greca dei Pharii, che colonizzarono gran parte delle colline<br />

messinesi, svolgendo attività agricola e in particolare dedicandosi alla coltivazione<br />

delle vigne, o verosimilmente da Punta Faro o Capo Peloro, posta<br />

all’estremità dello stretto. La sua zona di produzione si sviluppa nel solo<br />

comune di Messina, proprio dal faro di Capo Peloro ai piedi del Monte<br />

Poverello, verso sud-est. Quest’area della Sicilia vanta un’antichissima<br />

vocazione vitivinicola, il vino Faro, infatti, era prodotto già in età Micenea<br />

(XIV secolo a.C.). Numerose testimonianze sono riconducibili a un’importante<br />

attività vitivinicola già dall’epoca greca, per arrivare fino al XIX secolo<br />

in cui furono davvero notevoli il commercio e l’esportazione di vino Faro<br />

in molte regioni della Francia, allora utilizzato come vino da taglio dei vini<br />

di Borgogna e di Bordeaux, in concomitanza con gli attacchi di fillossera<br />

che interessarono il Nord Europa e la Francia in particolare. Nell’intera<br />

provincia di Messina nel 1848 in totale gli ettari coltivati a vite erano<br />

18mila, nell’ultimo decennio dell’Ottocento raggiunsero i 40mila e la<br />

produzione annua di vino arrivò a 500mila ettolitri. Oggi gli ettari vitati<br />

a uva da vino nella provincia sono 900, ma proprio questo basso picco ha<br />

contribuito alla svolta della viticoltura messinese verso la qualità.<br />

Il Faro ha ottenuto il riconoscimento Doc nel 1976. Il disciplinare prevede<br />

l’utilizzo di Nerello Mascalese dal 45 per cento al 60 per cento, Nerello<br />

Cappuccio dal 15 al 30 per cento, Nocera dal 5 al 10 per cento ed eventuale<br />

aggiunta di Nero d’Avola e/o Gaglioppo e/o Sangiovese e/o altre uve<br />

a bacca rossa autoctone (massimo 15 per cento). La biodiversità dei vitigni<br />

autoctoni siciliani è un grandissimo patrimonio, alcuni di questi<br />

però non hanno grande plasticità e allevati al di fuori delle aree d’elezione<br />

non danno gli stessi risultati. Il Nerello Mascalese e il Cappuccio si<br />

esprimono al meglio nel particolare terroir vulcanico dell’Etna e riescono<br />

anche a offrire interessanti vini nella zona messinese del Faro, ove i terreni<br />

di coltivazione sono bruni, leggermente acidi e tendenzialmente compatti<br />

alle quote maggiori dei Nebrodi e dei Peloritani meridionali, alluvionali<br />

e generalmente molto fertili lungo la fascia costiera del litorale di<br />

Milazzo.<br />

In realtà la Doc Faro, dopo qualche anno dalla sua nascita, negli anni<br />

Ottanta era prodotta in esigua quantità, esisteva in pratica solo sulla carta.<br />

Agli inizi degli anni Novanta il gran merito di aver lungamente lottato per


▲ La degustazione di Luigi Salvo, a<br />

sinistra, con Francesco Giostra<br />

Reitano, presidente del Consorzio<br />

di Tutela<br />

mantenerla in vita e rilanciarla in quantità e qualità va dato a un produttore<br />

illuminato, l’architetto Salvatore Geraci. Spinto da Gino Veronelli a<br />

produrre un grande vino dalle sue vigne, cercò di comprendere al meglio<br />

il suo materiale esistente, alberelli con oltre settant’anni di vita. In quel<br />

fazzoletto di terra collinare che si affaccia sullo Stretto di Messina, dove<br />

la viticoltura andava scomparendo, vi erano terreni con paesaggi mozzafiato,<br />

dove la pendenza che supera il 70 per cento ha imposto la costruzione<br />

di numerosi terrazzamenti, strie di muretti a secco che definiscono<br />

le colline. Nel 1990 Salvatore Geraci per il suo Faro Palari sceglie l’enologo<br />

Donato Lanati. Il vino va in bottiglia senza chiarifiche e filtrazioni, la<br />

malolattica è svolta in barrique dove il vino permane dai 12 ai 18 mesi.<br />

Per quattro anni il vino prodotto non viene commercializzato, la prima<br />

vera annata è il 1995. Dal successo del suo vino parte la rinascita dell’intera<br />

denominazione. Grazie a questo impulso negli ultimi anni diverse<br />

aziende hanno scommesso sul valore di questa Doc che oggi può vantare<br />

anche un Consorzio di tutela, nato sette anni fa e che raggruppa<br />

quindici associati. Il presidente Francesco Giostra Reitano,<br />

anch’egli produttore, unisce e coordina le aziende facendo squadra<br />

allo scopo di valorizzare, promuovere e tutelare gli interessi<br />

relativi al piccolo comparto della Doc Faro.<br />

È una delle denominazioni siciliane più piccole. Oggi gli ettari<br />

vitati iscritti all’albo dei vigneti a Doc sono venticinque, ma è<br />

un’ottima espressione dell’autoctonia siciliana e proprio per questo<br />

ha un gran valore aggiunto. I produttori che oggi s’impegnano<br />

nella sua valorizzazione, alcuni anni fa hanno scelto di non<br />

estirpare gli antichi vitigni locali per fare posto agli internazionali<br />

in grado di globalizzare la produzione e facilitarne la commercializzazione,<br />

ma di dare invece una forte spinta a un’anima locale<br />

non del tutto espressa, attraverso il recupero di antichi vigneti e il reimpianto<br />

di nuovi. I vignaioli del Faro cercano di raccontare il loro territorio<br />

in maniera diretta, evitando il filtro della manipolazione enologica. La<br />

comune parola d’ordine in vigna e in cantina è rispetto della materia prima,<br />

facendo convivere in armonia tradizione e innovazioni tecnologiche. Sono<br />

orgogliosi di farlo proprio attraverso i vitigni siciliani Nerello Mascalese,<br />

Nerello Cappuccio, Nocera e alcuni altri dai nomi particolari: Core ‘e<br />

Palumba, Acitana, Galatena. «Nulla aggiungiamo e nulla togliamo a ciò<br />

che la natura ci dà, noi siamo semplicemente i traghettatori di un’essenza<br />

che partendo dalla terra e attraversando la vite si esprime nell’uva».<br />

43


Degustazioni<br />

LA DEGUSTAZIONE<br />

Bonavita – Faro Doc 2008 – 13,5% vol.<br />

Faro Superiore (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera<br />

I vigneti della famiglia Scarfone, dai 6 ai 50 anni d’età, si trovano su ripidi terrazzamenti<br />

a 250 m s.l.m. su terreno di medio impasto con strati argillosi e tufi calcarei.<br />

Le uve sono allevate con agricoltura naturale, basse dosi di rame e zolfo per la<br />

difesa antiparassitaria, sovesci annuali di leguminose seminate in autunno per<br />

l’apporto di sostanza organica naturale. Il vino affina 16 mesi in botti di rovere<br />

non nuove. Dal colore rosso rubino trasparente con lievi riflessi granato, ha naso<br />

di vivo frutto, con note di macchia mediterranea, spezie, humus e grafite. Al<br />

gusto evidenzia la sua gioventù nel frutto vibrante e nella spiccata acidità, chiude<br />

in lunghezza su toni speziati. Abbinamento consigliato falsomagro al ragù.<br />

Prezzo consigliato in enoteca: 22 euro.<br />

Tenuta Enza La Fauci – Faro Doc 2008 – 14,5% vol.<br />

Mezzana (Me) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera, Nero d’Avola<br />

Enza La Fauci ama la sua terra e il suo vino, alleva le uve in contrada Mezzana<br />

vicino Capo Peloro su terreni argillosi-calcarei. Le diverse varietà sono vinificate<br />

singolarmente con macerazione del mosto sulle bucce per 10 giorni, senza lieviti<br />

aggiunti e con impiego di solfiti ridotto al minimo, il vino affina 12 mesi in barrique<br />

nuove e usate. Nel bicchiere ha colore rosso rubino luminoso, ventaglio aromatico<br />

poliedrico, fruttato di marasca e ciliegia, note vegetali, di cioccolato e spezie<br />

balsamiche. Al sorso è di gran bevibilità, mostra vitalità dell’asse acido-tannico e<br />

piacevole ritorno nel finale persistente delle sensazioni gusto-olfattive di frutto e<br />

spezie. Ideale con bocconcini di capriolo in umido. Prezzo consigliato in enoteca:<br />

30 euro.<br />

Azienda Agricola Reitano – Faro Doc Rasocolmo 2008 – 13,5% vol.<br />

Rasocolmo (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera, Sangiovese<br />

Il vigneto di un ettaro dal quale deriva è in uno splendido scenario naturale, il<br />

promontorio di Rasocolmo che si affaccia sul mar Tirreno proprio di fronte l’isola<br />

di Stromboli. Il vino è frutto dell’unione dei tre classici vitigni del Faro e ha anche<br />

una piccola percentuale di Sangiovese. Fermentato in acciaio con controllo<br />

della temperatura è affinato esclusivamente in acciaio. Dal vivo colore rosso rubino,<br />

effonde particolari sentori floreali di rosa e viola, frutta rossa macerata e spezie.<br />

Elegante l’impatto gustativo caratterizzato da nerbo acido ben presente e<br />

tannino fitto, è piacevole nei ritorni frutto-sapidi retrolfattivi. Si sposa perfettamente<br />

con pesce spada alla ghiotta. Prezzo consigliato in enoteca: 18 euro.<br />

Fondo dei Barbera – Faro Doc 2008 – 13,5% vol.<br />

Faro Superiore (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera<br />

Il fondo dell’ingegnere Claudio Barbera è esteso per meno di un ettaro a Faro<br />

Superiore a 160 m s.l.m. Sin dal 1961 i Barbera vinificano in loco le loro uve, nel<br />

2004 la svolta con l’impianto delle nuove vigne e il rilancio qualitativo. Il vino fermenta<br />

in silos d’acciaio termocondizionato ed è maturato in botti di rovere per<br />

un anno. Dal bel colore rubino cupo con riflessi porpora, mostra un bel naso stratificato,<br />

sentori floreali di viola, fruttati freschi di mora e mirtilli, cioccolato, cannella<br />

percezioni speziate. All’assaggio esprime evidente freschezza di gioventù, tannino<br />

esuberante, le parti dure decisamente prevalenti hanno necessità di tempo<br />

per smussare gli angoli. In abbinamento con petto d’anatra al ginepro. Prezzo<br />

consigliato in enoteca: 25 euro.<br />

44


Vigna Sara – Faro Doc 2008 – 12,5% vol.<br />

Faro Superiore (Me) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio,<br />

Nocera, Nero d’Avola, Montonico, Sangiovese<br />

Dai 2,5 ettari di vigna Sara che sorgono a 220 m. s.l.m. a Faro Superiore su un<br />

declivio naturale verso lo stretto di Messina, prende nome il vino Faro della famiglia<br />

Caruso. Nella piccola cantina annessa al vigneto le operazioni di vinificazione<br />

prevedono l’utilizzo dell’acciaio inox termocondizionato e la follatura manuale,<br />

il vino è successivamente maturato per 12 mesi in barrique di rovere francese.<br />

Nel bicchiere mostra colore rubino con riflessi granato, all’olfatto profumi di frutti<br />

rossi scuri, quali ribes e mora, note speziate e boisé. Al palato dal corpo snello,<br />

evidenzia freschezza, tannino integrato, finale di frutto leggermente amaricante.<br />

Ottimo compagno del capretto alla messinese. Prezzo consigliato in enoteca: 22<br />

euro.<br />

Mimmo Paone – Faro Rosso Doc 2008 – 13,5% vol.<br />

Condrò (Me) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera, Nero D’Avola<br />

Quella dell’enologo Mimmo Paone è un’azienda che ama definirsi artigianale,<br />

da tempo valorizza le tre Doc della provincia di Messina ed in particolare i vitigni<br />

autoctoni che le compongono. La vigna dal quale deriva il Faro si estende per 2<br />

ettari a Castanea delle Furie a 400 m. s.l.m. Le uve sono vinificate con metodo<br />

Ganimede. Dal luminoso colore rosso rubino trasparente, offre intense sensazioni<br />

di marasche e frutti di bosco, tabacco, pepe nero, e pregevoli note di cannella.<br />

L’entrata in bocca è succosa e gradevole, il nerbo acido è ben presente, il tannino<br />

integrato, il finale è di lunghezza ed è corrispondente per aromi al gusto. Da<br />

provare in abbinamento allo stinco di maiale al forno. Prezzo consigliato in enoteca:<br />

30 euro.<br />

Azienda Agricola Bonfiglio – Vigna Beatrice faro Doc 2008 – 14% vol.<br />

Briga Marina (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera<br />

Nel territorio ionico di Contrada Greco a Briga Marina sorge il vigneto di Biagio<br />

Bonfiglio esteso per 1,5 ettari. Il giovane impianto è a cordone speronato, alla<br />

vinificazione a temperatura controllata in acciaio inox segue l’affinamento in<br />

barriques di rovere per tre mesi. L’etichetta del Faro Vigna Beatrice raffigura un<br />

quadro realizzato da un amico di famiglia, il pittore messinese Togo. Nel bicchiere<br />

dona concentrato colore rubino cupo, ha olfatto tratteggiato da timbri scuri, frutto<br />

sottobosco, macchia mediterranea e speziatura. Al sorso misurato e ben<br />

espresso ha morbide note gliceriche che fanno da contraltare all’acidità. In<br />

abbinamento con maialino dei Nebrodi alla brace. Prezzo consigliato in enoteca:<br />

18 euro<br />

Azienda Agricola Palari – Faro Doc 2007 – 13,5% vol.<br />

S. Stefano Briga (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera , Nero<br />

d’Avola, Acitana, Tignolino, Galatena<br />

Nella contrada Palari a S. Stefano Briga di Messina, si estendono i vigneti che in<br />

un microclima particolare producono le eccellenti uve che compongono il Faro<br />

di Salvatore Geraci. La fermentazione è svolta a temperatura controllata, il vino<br />

matura in barrique per non meno di 18 mesi.<br />

Nel bicchiere è luminoso rosso rubino con riflessi granato, l'impatto olfattivo è un<br />

insieme di mora, cassis e prugna sotto spirito, pepe nero, liquirizia, caffè e suadente<br />

vaniglia. Al palato di complessità ha il frutto sorretto da eleganti tannini, il<br />

nerbo acido e le note minerali bilanciano la piacevole morbidezza. Vino di struttura,<br />

di gran longevità, chiude con una Pai di valore tra frutto e spezie. Da<br />

accompagnare con filetto al cartoccio prosciutto e funghi. Prezzo consigliato in<br />

enoteca: 35 euro.<br />

45


Cooperative sociali<br />

Le molteplici<br />

potenzialità<br />

delle cooperative<br />

LEGAME STRETTISSIMO CON IL TERRITORIO E ORGANIZZAZIONE<br />

DEL LAVORO DEI SOCI. IL MONDO DELLE COOPERATIVE SI SVILUPPA<br />

E COME LA SICILIANA SETTESOLI, CONIUGANDO RISORSE E QUALITÀ,<br />

PUNTA ALLA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO<br />

alle Risorse agricole e alimentari della<br />

Regione Sicilia, Giambattista Bufardeci, pre-<br />

L’assessore<br />

sentando il piano di riorganizzazione del sistema<br />

cooperativistico vitivinicolo regionale, auspica la<br />

creazione di maxi strutture capaci di gestire produttività<br />

sempre maggiori. In disaccordo con i programmi<br />

di Bufardeci è Salvatore Li Petri, direttore generale della<br />

Settesoli, che afferma: «Non ci vogliono strutture più<br />

grandi ma solo un’azione di coordinamento. Ammiro<br />

il lavoro fatto da una cooperativa come la Cavit, che è<br />

riuscita a coniugare qualità e mercato, il tutto valorizzando<br />

il territorio».<br />

Con duemila soci che gestiscono seimila ettari di vigneto,<br />

la Cooperativa Settesoli rappresenta il 5 per cento<br />

di tutti i terreni vitati della Sicilia. Prima per fatturato<br />

– nel 2009 ha superato i 40 milioni di euro – e numero<br />

di bottiglie vendute, esporta in quaranta Paesi nel<br />

mondo fra Canada, Nord America, Inghilterra, Svezia,<br />

Danimarca, Svizzera, Belgio, Giappone e Sud America.<br />

Vincitrice nel 2009 del premio Sodalitas “per la capacità<br />

avuta attraverso la sua attività di valorizzare e promuovere<br />

il territorio”, la Settesoli sembra essere l’interlocutore<br />

più adatto per affrontare il delicato tema<br />

della cooperazione.<br />

Fondata nel 1958 a Menfi, nella parte sud occidentale<br />

della Sicilia, da ottantotto soci tra i quali Vito Planeta,<br />

padre di Diego, quest’ultimo nel 1973 è stato nominato<br />

presidente, carica che ancora oggi mantiene. «Per<br />

46<br />

di Ludovica Schiaroli<br />

noi è un grande punto di forza avere una persona come<br />

Diego Planeta in azienda ed è stato anche l’unico modo<br />

per portare avanti un progetto di sviluppo così impegnativo<br />

e a lungo termine» racconta Salvatore Li Petri,<br />

che dirige la cooperativa dal 1998. Menfitano, classe<br />

1964, è riuscito nella difficile impresa di coniugare gli<br />

studi in Economia alla passione per la terra e per la<br />

vigna, tramandatagli dal padre agricoltore. Ammette<br />

che le tante estati passate a lavorare nei campi sono<br />

un patrimonio di cultura e tradizione che l’hanno arricchito<br />

e che ogni giorno mette a frutto in azienda. Il<br />

legame strettissimo con il territorio, la cooperativa lo<br />

dichiara già nel nome. Settesoli è infatti uno dei due<br />

feudi che Tancredi ricevette in dote dal padre, il principe<br />

Fabrizio Salina, detto il Gattopardo. Ispirati al<br />

romanzo di Tomasi di Lampedusa sono anche alcuni<br />

nomi di vini della cantina. Ma le similitudini finiscono<br />

qui. Strutturalmente la cooperativa è formata da un<br />

consiglio di amministrazione di nove membri e da un<br />

presidente. C’è poi il reparto operativo con un direttore<br />

generale, cui rispondono la direzione tecnica e quella<br />

commerciale. Il passaggio più delicato è la comunicazione<br />

tra l’azienda e i suoi soci. «La nostra cooperativa<br />

ha due priorità: la qualità della materia prima,<br />

l’uva, e l’organizzazione e il coordinamento del lavoro<br />

di tutti i soci. Avere un obiettivo comune significa lavorare<br />

insieme come se fosse un unico grande vigneto di<br />

seimila ettari! Questo ci rende diversi dal resto del


▲ Salvatore Li Petri, direttore generale della Cooperativa<br />

Settesoli<br />

mondo cooperativo siciliano» conclude Li Petri. Con un<br />

occhio sempre rivolto al mercato, il direttore generale<br />

della Settesoli ammette di non essersi mai fatto prendere<br />

dalla “moda dell’autoctono”, perché convinto dell’importanza<br />

dei vini internazionali quali ambasciatori<br />

dell’azienda in terra straniera. La cooperativa esporta,<br />

infatti, il 60 per cento del vino prodotto, mentre il<br />

restante 40 per cento è suddiviso in parti uguali tra la<br />

Sicilia e il resto d’Italia. Risulta perciò chiaro perché<br />

l’azienda utilizzi poco la Doc. Una scelta difficile ma<br />

meditata perché «oggi tutti i nostri vini potrebbero rivendicare<br />

la Doc Menfi, ma sia per il mercato italiano che<br />

per quello estero, Menfi non è direttamente riconducibile<br />

alla Sicilia, perciò preferiamo utilizzare la dicitura<br />

Igt Sicilia» spiega Li Petri. Al momento la cooperativa<br />

sta valutando l’utilizzo della dicitura Menfi Doc<br />

all’interno del marchio Settesoli.<br />

Ancora una volta accade che<br />

un’azienda faccia da traino per<br />

comunicare il territorio.<br />

Negli ultimi dieci anni sono stati<br />

investiti oltre 20 milioni di euro<br />

per ammodernare le tre cantine<br />

di vinificazione, mentre un unico<br />

centro di imbottigliamento altamente<br />

automatizzato permette di<br />

confezionare i 25 milioni di bottiglie<br />

prodotte all’anno. A fronte<br />

di tale produzione è fondamentale avere più linee che<br />

possano diversificare l’offerta. Se MandraRossa rappresenta<br />

la selezione delle uve migliori destinate ad<br />

enoteche e ristoranti, Settesoli è pensato per il mercato<br />

italiano, mentre Inycon prende la strada del mercato<br />

estero. Eccetto MandraRossa, i restanti marchi sono<br />

distribuiti anche nella grande distribuzione, scelta quasi<br />

obbligata per garantire una capacità di penetrazione<br />

di quote di mercato sempre maggiori e contemporaneamente<br />

riuscire a distribuire tutto il vino vendemmiato.<br />

Un giusto equilibrio fra quantità e qualità rimane<br />

quindi la grande sfida che la cooperativa deve affrontare<br />

ogni anno.<br />

▲ Vigneti a Melfi<br />

Oggi in azienda lavorano duecento persone ma l’indotto<br />

che gravita intorno alla struttura è ben più ampio,<br />

se si pensa che circa il 70 per cento delle famiglie che<br />

vivono in zona traggono reddito dalla sua presenza. In<br />

una regione che da sempre soffre di un’endemica mancanza<br />

di lavoro, con un tasso di disoccupazione che è<br />

fra i più alti d’Italia, la Settesoli è l’esempio che la<br />

cooperazione può ancora fare la differenza.<br />

Salvatore Li Petri sottolinea l’importanza di una gestione<br />

meno “assistenziale” e più attenta al mercato, quando<br />

afferma: «In Sicilia il 75 per cento della produzione<br />

vitivinicola è ancora in mano alla cooperazione e oggi<br />

rappresenta un handicap perché commercializzando<br />

per lo più vino sfuso, non riusciranno a garantire ancora<br />

a lungo un futuro ai loro soci, che inevitabilmente<br />

dovranno confrontarsi con un mercato estero che vende<br />

a prezzi sempre più competitivi». Il<br />

direttore della Settesoli individua nel<br />

carattere dei siciliani “spesso autoreferenziali<br />

e poco inclini al confronto”<br />

le cause di una crescita non ancora<br />

compiuta.<br />

«Paradossalmente» continua Li Petri,<br />

«sono state le piccole aziende famigliari<br />

come Planeta, Donna Fugata e<br />

poche altre a dare nuovo appeal al<br />

vino siciliano». In effetti per molti<br />

anni la Sicilia è stata la più grande<br />

produttrice ed esportatrice di vino da taglio e solo a<br />

partire dalla fine degli anni Ottanta è iniziato un processo<br />

di rinascita vitivinicola che ha visto diminuire<br />

la produzione, mentre un terzo del suo vigneto veniva<br />

riconvertito con vini di qualità, dando vita a una rivoluzione<br />

culturale tanto inaspettata quanto redditizia.<br />

Gestire al meglio questo patrimonio è una sfida impegnativa<br />

ma con ottime potenzialità, come osserva Li<br />

Petri: «Se guardo al futuro vedo ottime possibilità di<br />

crescita ma soprattutto vorrei incrementare la produzione<br />

di vino in bottiglia perché è quello che dà più<br />

margine. L’auspicio è di realizzarlo nei prossimi sette,<br />

otto anni».<br />

47


Musei<br />

Nella tazzina<br />

aromi<br />

d’Oriente<br />

I SEGRETI DEL CAFFÈ CI<br />

SONO STATI TRASMESSI<br />

DAGLI ARABI E ANCHE IL<br />

NOME, IMPORTATO DAI<br />

NAVIGATORI VENEZIANI,<br />

VIENE DALL’ARABO<br />

“QUAHWAH” CHE<br />

SIGNIFICA BEVANDA<br />

ECCITANTE<br />

48<br />

di Letizia Magnani<br />

Da Santo Domingo a Palermo, passando per Praga, Parigi e<br />

Forlimpopoli, è questo l’itinerario per andare alla scoperta di<br />

tutti i segreti del caffè, vitamina dello spirito e bevanda che ha stregato<br />

il mondo. «Nero come il diavolo, caldo come l’inferno, puro come un<br />

angelo, dolce come l’amore» ecco le parole con le quali è stato definito da<br />

Talleyrand, vescovo, politico e diplomatico parigino di inizio Ottocento.<br />

Il caffè è da sempre la bevanda degli intellettuali, ma anche dei politici.<br />

Napoleone sostituì il caffè all’alcool tra le sue truppe, certo che questo<br />

liquido desse maggior vigore ai soldati, senza le controindicazioni dell’ubriachezza.<br />

Gli italiani hanno fatto del caffè un’abitudine e dell’espresso all’italiana<br />

un mito, anche se sono gli unici del mondo a berlo fuggevolmente in piedi,<br />

al bar la mattina presto. Per gli altri popoli il caffè è una bevanda da riposo,<br />

da qui la tradizione del caffè turco, che si beve in grandi tazze dal tardo<br />

pomeriggio in poi, ma anche quella del caffè americano. Starbucks è diventato<br />

luogo di ritrovo negli States, come in mezza Europa. D’altra parte,<br />

senza dover per forza citare Sex and the City, è nei caffè<br />

parigini che da sempre si sono consumate le storie del<br />

mondo. Dal cinema (celebri alcune scene come quella<br />

di Casablanca, del Rick’s Café, ma anche quella del film Amici<br />

miei, solo per citarne un paio) alla vita, diverse sono le storie<br />

che si possono scoprire andando in giro per il mondo a ricostruire<br />

il percorso del caffè, dal chicco alla tazzina.<br />

■■■■QUELL’AROMA UNICO RACCHIUSO IN UN CHICCO<br />

Il viaggio non può che partire da Santo Domingo, paradiso naturale,<br />

nel quale all’azzurro del mare si mescolano i colori accesi<br />

del caffè, dal verde del seme, al marrone dei chicchi, fino al nero<br />

della polvere tostata. È nel cuore del Paese, il cui clima tropicale<br />

è perfetto per le piantagioni di caffè, che si sviluppa la Ruta<br />

del Café, un progetto di Ucodep, Ong italiana che da oltre<br />

dieci anni lavora nella Repubblica Dominicana con progetti<br />

volti a migliorare le condizioni di vita della popolazione<br />

locale. Sono sei i percorsi possibili, tre lungo la Ruta


▲ Una serie di macchine da caffè<br />

storiche della collezione Enrico<br />

Maltoni<br />

▲ Un macinacaffè conservato<br />

al Museo del Caffè Morettino<br />

di Palermo<br />

del Café Atabey, nella provincia di Monseñor Nouel, a un’altitudine<br />

media di 950 metri e tre lungo la Ruta del Café<br />

Jamao, nella provincia di Salcedo. La Ruta del Café<br />

Atabey è situata sulle montagne della provincia di<br />

Monseñor Nouel. I tre sentieri sono El Higo, El Cafetal<br />

de Kakelo e El Candongo. La Ruta del Café Jamao<br />

si trova invece nella provincia di Salcedo, a un’altitudine<br />

di circa 900 metri e propone altri percorsi.<br />

El Cafetal è la passeggiata che porta al<br />

museo del caffè, dove è possibile degustare la<br />

qualità Jamao, ma anche scoprire come si coltiva,<br />

raccoglie, tosta e assaggia.<br />

■■■■DA SANTO DOMINGO A PALERMO<br />

Lasciando l’America Latina il caffè ci porta in<br />

Sicilia, dove, a Palermo, sorge il museo del caffè<br />

Morettino. La famiglia, da sempre produttrice di<br />

caffè, ha raccolto negli anni un vero e proprio patrimonio<br />

di oggetti legati alla bevanda più famosa al<br />

mondo. Nel museo ci sono tosta-caffè con un manico<br />

lungo, altri che hanno una curiosa forma sferica.<br />

Tra i macinini ci sono quello classico delle nonne,<br />

ma anche altri assolutamente insoliti, come macchine<br />

con doppie ruote dentate che sembrano marchingegni leonardeschi.<br />

Nel museo sono custoditi alcuni dei cimeli di<br />

Procopio Coltelli, il palermitano che nel Seicento fondò il celebre<br />

caffè Le Procope a Parigi e contribuì a diffondere la cultura<br />

del caffè d’Oltralpe. Infine c’è la stanza dedicata alle macchine per<br />

l’espresso, prodigi di ingegneria meccanica tutta italiana.<br />

■■■■IL MUSEO DELL’ESPRESSO<br />

Proprio all’espresso è dedicato un terzo museo assolutamente da conoscere.<br />

Si trova a Forlimpopoli ed è un vero atto d’amore all’espresso italiano.<br />

«La storia della macchina per caffè da bar in Italia – si legge nel sito<br />

del museo, che raccoglie centinaia di oggetti della collezione Enrico Maltoni<br />

– ha inizio nel novembre del 1901 con il deposito del brevetto del primo<br />

modello, studiato dall’ingegnere Luigi Bezzera di Milano».<br />

Si tratta di una versione a colonna, monumentale, destinata a diventare<br />

per molto tempo un modello di riferimento obbligato da parte delle case<br />

costruttrici. Anche in precedenza c’era l’usanza di consumare tale bevanda<br />

nei locali pubblici, ma ciò che distingueva una caffettiera domestica<br />

da una per bar era sostanzialmente il solo fattore dimensionale. L’idea di<br />

progettare un meccanismo a vapore per preparare caffè non poteva che<br />

venire nel periodo della rivoluzione industriale, durante il quale ogni azione<br />

viene di fatto meccanizzata. Da qui la progettazione degli elettrodomestici<br />

che si diffonderanno a metà del Novecento, come la lavatrice e<br />

l’asciuga capelli, ma anche la macchina per ottenere l’espresso. La collezione<br />

più grande e completa al mondo si trova in Italia ed è da visitare,<br />

anche solo virtualmente, www.espressomadeinitaly.com<br />

■■■■IN TOUR NELLA VECCHIA EUROPA<br />

È il cuore della vecchia Europa che raccoglie il testimone della storia centenaria<br />

del caffè. Per questo motivo, per un viaggiatore attento non solo<br />

ai luoghi e alle storie ma anche ai sapori, è interessante ripercorrere un<br />

cammino tutto moderno del caffè, che collega Praga ad Amsterdam, Vienna<br />

a Londra, la Svizzera all’Italia.<br />

Ebel Museum fa da raccordo fra le varie culture europee. Si trova infatti<br />

a Praga, ad Amsterdam, a Vienna e a Londra. Per chi è curioso e ama il<br />

caffè è possibile vedere raccontata la storia, dal chicco alla tazzina, passando<br />

per i macinini e per le macchine del caffè. Largo spazio è lasciato<br />

al caffè nella comunicazione e nella pubblicità.<br />

49


Musei<br />

▲ Una macchina da caffè ''La<br />

Pavoni'' della collezione Enrico<br />

Maltoni<br />

50<br />

Basta dare uno sguardo alla televisione italiana per rendersi conto che<br />

proprio la pubblicità ha esaltato e messo in scena forme diverse del caffè.<br />

Così, se hanno fatto il giro del mondo, in tempi recentissimi, i fotogrammi<br />

di George Clooney che baratta una moderna macchina per espresso<br />

per la propria vita, non si possono dimenticare altri interpreti della tazzina<br />

made in Italy, come Gigi Proietti e la coppia Paolo Bonolis e Luca<br />

Laurenti.<br />

Sorge in Svizzera poi il museo Chicco d’Oro, nel quale si può ripercorrere<br />

la storia di questa bevanda in tutte le sue fasi. La collezione è ricca di<br />

macchine, di oggetti curiosi ma anche di tante storie. Il museo, visitabile<br />

solo su appuntamento, vuole offrire una panoramica della produzione<br />

artigianale e industriale. Fra le cose da vedere ci sono i “robot” per fare il<br />

caffè, insoliti e unici nel loro genere. È forse il luogo nel quale la storia del<br />

caffè viene raccontata con più cura, dalla scoperta delle bacche, in Etiopia,<br />

alla loro diffusione, dopo essere state tostate, macinate e lasciate in<br />

infusione, in tutta l’Arabia e da lì nell’area del vicino Oriente e del<br />

Mediterraneo, dove nascono i primi utensili per la preparazione del<br />

caffè. È a Costantinopoli che viene aperta alla fine del XVI secolo la prima<br />

“bottega del caffè”, mentre a Vienna nel 1683, a seguito della fine dell’assedio<br />

turco, sorge una vera e propria “casa del caffè”. Occorre però<br />

attendere gli anni posteriori al blocco continentale di Napoleone, per avere<br />

con successo la diffusione del caffè nell’Ovest dell’Europa e naturalmente<br />

anche in Italia. www.chicchidoro.ch<br />

■■■■LE CAPRE FESTAIOLE E IL MONTEFELTRO<br />

Il viaggio termina però in Italia e precisamente ad Urbino. È insolito ma<br />

da non perdere il museo del caffè che sorge all’interno della Rocca feltresca.<br />

Nel cuore dell’Italia è raccontata la leggenda del vino d’Arabia. Nello<br />

Yemen un prete mussulmano, avendo osservato lo strano comportamento<br />

di alcune capre che mangiavano delle bacche a lui sconosciute, si incuriosisce.<br />

Le capre, infatti, erano più attive e “festaiole” dopo aver mangiato<br />

quelle bacche. L’uomo allora ne raccoglie alcune e prova ad abbrustolirle.<br />

Poi, non contento, le macina e fattane un’infusione scopre il caffè<br />

tale e quale noi lo beviamo.<br />

In una data imprecisata, forse attorno alla metà del XVI secolo, dall’Africa<br />

giunge in Europa questa nuova bevanda. È color della notte, ha il profumo<br />

esotico dell’harem e il sapore intenso dei frutti del deserto: si chiama<br />

caffè. Lo strano nome che i navigatori veneziani hanno<br />

udito pronunciare nelle contrade di Turchia, viene dall’arabo<br />

“quahwah” e significa “bevanda eccitante”. Kafà<br />

è pure il nome della regione a sud dell’Abissinia dove la pianta<br />

del caffè nasce spontaneamente a 1300 metri di altitudine. Dalla<br />

leggenda si passa alla storia e tutto diventa abitudine, tanto che<br />

il caffè si trasforma, a fine del Settecento, in quasi tutta Europa,<br />

in un vero rito. Nascono i primi caffè letterari e attorno all’aromatica<br />

infusione, tra rivoluzioni e fervori politici, sorgono le correnti<br />

artistiche e culturali che hanno cambiato il mondo.<br />

Dall’Europa il vino d’Arabia giunge anche all’Italia. Nella vallata<br />

del Montefeltro è Antonio Pascucci, capostipite della famiglia,<br />

che oggi produce caffè, ad appassionarsi a questo liquido scuro<br />

e aromatico. Nasce quindi in pieno Montefeltro una delle prime<br />

torrefazioni italiane. Siamo a metà degli anni Cinquanta.<br />

Da allora ad oggi molte cose sono cambiate ma non il<br />

desiderio e il bisogno di perdersi nell’aroma di quel “cafà”<br />

che tanto ha eccitato le anime e i corpi.


Vino e salute<br />

La natura<br />

ci ha regalato<br />

un prezioso alleato<br />

della salute<br />

IL VINO COME BEVANDA COMPLESSA ESERCITA UN EFFETTO BENEFICO SULLA<br />

NOSTRA SALUTE. I POLIFENOLI DA UN PUNTO DI VISTA FISIOLOGICO AIUTANO A<br />

VIVERE MEGLIO E A COMBATTERE L’ECCESSIVA PRODUZIONE DI RADICALI LIBERI<br />

▲ Fu il medico greco Ippocrate,<br />

padre della medicina, a ottenere<br />

per primo un vino corroborante e<br />

digestivo con l'aggiunta di fiori<br />

d'assenzio e foglie di dittamo.<br />

Quando, infatti, sorseggiamo il vermouth<br />

come aperitivo, o il Martini<br />

dry, la maggior parte di noi è del<br />

tutto inconsapevole di essere l'ultimo<br />

anello di una storia incredibile,<br />

lunga almeno 2.500 anni, che partendo<br />

dal Vicino Oriente e dalla<br />

Grecia Antica arriverà in tutto il<br />

mondo<br />

52<br />

di Paolo Zatta<br />

Il vino, nella sua plurimillenaria storia, oltre a donare momenti di colta<br />

piacevolezza come ad esempio nei convivi e nei simposi del mondo<br />

greco-romano, ha costituito assieme all’olio d’oliva una delle basi terapeutiche<br />

nella pratica medica. San Paolo nella prima lettera al diletto amico<br />

Timoteo così lo consigliava: «Smetti di bere soltanto acqua, ma fa uso di<br />

un po' di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni».<br />

Oggi sappiamo che il consiglio era quanto mai appropriato in quanto il<br />

vino esercita un’azione protettiva sulla mucosa gastrica oltre a possedere<br />

delle proprietà antibatteriche nei confronti dell’Helicobacter pylori, il<br />

più importante agente causale della gastrite cronica. Nel poema omerico,<br />

l’Iliade, l’uso del vino mescolato a formaggio di capra viene citato come<br />

pratica per lenire i postumi di un combattimento. E ancora, Ippocrate,<br />

medico greco del 460 a.C., padre della medicina e autore del giuramento<br />

che ogni medico pronuncia, usò per primo il vino talvolta in infusione con<br />

l’assenzio o con altre erbe medicamentose ad uso corroborante o digestivo.<br />

Forse un antesignano del vermouth?<br />

I primi esperimenti dell’età contemporanea sulle azioni antisettiche del<br />

vino risalgono al 1892 quando Arnold Pick, famoso patologo della Moravia,<br />

dimostrò che, aggiungendo del vino a dell’acqua contaminata da vibrioni<br />

del colera, l’acqua tornava ad essere potabile. Da allora le sperimentazioni<br />

con il vino contro virus e batteri continuarono coinvolgendo i microrganismi<br />

del tifo, della dissenteria e altri ancora. Nel 1977, curiosamente,<br />

alcuni medici canadesi riscontrarono che in quattro ore il virus della poliomielite<br />

veniva inattivato dal vin brûlé.<br />

Un tempo, specie tra le classi meno abbienti, il vino svolgeva un ruolo<br />

molto importante come fonte di energia alimentare con le sue circa 750<br />

kcal/litro. Va quindi ricordato in questo contesto che la Regola di San<br />

Benedetto consentiva un consumo quotidiano di un’emina di vino, pari<br />

a 0,275 l, come integrazione al parco pasto dei monaci, quantità che poteva<br />

essere aumentata per chi doveva svolgere il duro lavoro dei campi. Con


▲ La Regola di San Benedetto consentiva ai<br />

monaci il consumo quotidiano di una piccola<br />

quantità di vino<br />

l’evolversi delle condizioni socioeconomiche, soprattutto<br />

in quest’ultimo dopoguerra, il vino da necessità<br />

alimentare, è diventato sempre più occasione<br />

di piacevolezza conviviale; contemporaneamente<br />

ne sono diminuiti significativamente i consumi,<br />

mentre è andato aumentando l’apprezzamento per<br />

la qualità della preziosa bevanda e la saggezza del<br />

bere poco, ma bene. Occorre comunque non dimenticare<br />

mai che, se assunto in maniera sconsiderata,<br />

l’alcol etilico può essere la causa di varie patologie.<br />

Su scala mondiale le malattie cardiovascolari rappresentano<br />

la prima causa di morte e in particolare<br />

in Italia ogni anno i decessi per queste patologie<br />

sono circa 243mila. Alla base di questi eventi<br />

ci sono spesso degli errati stili di vita quali il<br />

fumo, diete ipercaloriche e troppo ricche di grassi<br />

animali, poca attività fisica e, non ultimo, l’esagerato<br />

consumo di alcolici. Il costo europeo annuo<br />

per la spesa sanitaria legata alle patologie cardiovascolari<br />

è stato stimato prossimo ai 169 miliardi<br />

di euro.<br />

Nelle ultime tre decadi, numerosi studi hanno consistentemente<br />

dimostrato una correlazione inversa<br />

tra un consumo moderato di vino e il manifestarsi<br />

di infarti al miocardio. Tutto ha avuto inizio<br />

nei primi anni ’80 quando tre epidemiologi francesi,<br />

J. L. Richard, F. Cambien e P. Ducimetière,<br />

sulle pagine della rivista «Nouvelle Press Medicale»,<br />

coniarono il termine “paradosso francese”, a signi-<br />

RAMANDOLO<br />

D. O. C. G.<br />

prossimi appuntamenti<br />

Serate Ramandolo<br />

Udine, 18 novembre 2010 ore 20.00<br />

Casa della contadinanza al Castello, p.zza della Libertà, 10<br />

A cura dell’ONAV, Delegazione Provinciale di Udine<br />

Como, 6 dicembre 2010 ore 21.00<br />

Grand Hotel di Como, via per Cernobbio<br />

A cura dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s della<br />

Lombardia, Delegazione di Como<br />

Zerman di Mogliano Veneto, 13 dicembre 2010 ore 20.30<br />

Hotel Villa Braida, via Bonisiolo, 16/b<br />

A cura dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s del<br />

Veneto, Delegazione di Treviso<br />

Morbegno (SO), 14 gennaio 2011 ore 20.00<br />

Hotel Margna, via Margna, 36<br />

A cura dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s della<br />

Lombardia, Delegazione di Sondrio<br />

enoteche e wine bar selezionati<br />

Emilia Romagna<br />

Cantina Tumedei V. Ortolani 32 Bologna Tel. 051-540239<br />

Friuli Venezia Giulia<br />

Acer V. Manin 16 Udine Tel. 0432-504186<br />

Ai Bintars V. Trento Trieste 67 S. Daniele UD Tel. 0432-957322<br />

Carnia Sapori Sauris di Sopra UD Tel. 0433-866378<br />

Costantini Rist. V. Pontebbana 12 Collalto UD Tel. 0432-792004<br />

Da Benito Largo Diaz 4 Nimis UD Tel. 0432-790019<br />

Enoteca Bischoff V. Mazzini 21 Trieste Tel. 040-380333<br />

Enot. Dawit V. Alpi Giulie 30 Camporosso UD Tel. 0428-63012<br />

Enot. di Buttrio V. Cividale 38 Buttrio UD Tel. 0432-683072<br />

Enot. La Serenissima V.Battisti30Gradiscad’I.GOTel.0481-954539<br />

Gelateria Montereale V.Montereale23PordenoneTel.0434-365107<br />

Rist. Al Monastero V. Ristori 9 Cividale del F. UD Tel. 0432-700808<br />

Rist.CialdeBrentV. Pordenone 1 Polcenigo PN Tel. 0434-748777<br />

Santanna srl V. Maniago 27 S. Quirino PN Tel. 0434-91122<br />

G. Scognamiglio V. Conti 34 Trieste Tel. 040-639582<br />

Trattoria al Grop V. Matteotti 7 Tavagnacco UD Tel. 0432-660240<br />

Lazio<br />

Enot. dei Desideri P.le Gregorio VII 17/18 Roma Tel. 06-6381507<br />

Enoteca Trimani V. Goito 20 Roma Tel. 06-4469661<br />

Lombardia<br />

Bottega del Vino Peck srl V. Hugo 4 Milano Tel. 02-861040<br />

Cantina la Frasca V. Ticino 15 S. Fruttuoso MB Tel. 039-2726243<br />

Enoteca ai Ronchi V. Galilei 89 Brescia Tel. 030-305354<br />

Enoteca Cotti V. Solferino 42 Milano Tel. 02-29001096<br />

Ottimo Rist. e Gastr. V. S. Marco 29 Milano Tel. 02-62694634<br />

Sarfati V.le Sabotino 38 Milano Tel. 02-58310687<br />

Winner Wines srl V. Roma 27 Leno BS Tel. 030-906374<br />

Toscana<br />

Enoteca Bonatti srl V. Gioberti 66/R Firenze Tel. 055-660050<br />

Selez. Fattorie V. Artigianato 50 Montespertoli FI Tel. 0571-670584<br />

Trentino Alto Adige<br />

Club Moritzino Piz La Ila Alta Badia BZ Tel. 0471-847407<br />

Enoteca Gandolfi V.le Druso 349 Bolzano Tel. 0471-920335<br />

Veneto<br />

Enoteca Centrale V.IVNovembre59MestrinoPDTel.049-9004947<br />

Enoteca Cortina V. Mercato 5 Cortina d’A. BL Tel. 0436-862040<br />

Enot. La Mia Cantina P.le S. Croce 21 Padova Tel. 049-8801330<br />

Quadri Gran Caffè P.zza S. Marco 120 Venezia Tel. 041-5222105<br />

Consorzio Tutela Vini Colli Orientali del Friuli e Ramandolo<br />

www.colliorientali.com www.ramandolo.it


Vino e salute<br />

ficare come, almeno in apparenza, una dieta ricca di<br />

grassi animali, possa essere contrastata, nei suoi effetti<br />

deleteri sulla salute, con un moderato consumo quotidiano<br />

di vino. In questo contesto, qualche tempo fa,<br />

la rivista medica «Circulation» ha pubblicato uno studio<br />

italiano che ha coinvolto oltre 200mila persone e<br />

che ha messo in evidenza come un consumo moderato<br />

di vino possa ridurre il rischio di patologie cardiovascolari.<br />

Alcuni studiosi ipotizzarono dapprima che la ragione<br />

fosse dovuta alla fluidificazione del sangue da parte dell’etanolo.<br />

Tale ipotesi venne tuttavia messa presto da<br />

parte in quanto fu dimostrato che era proprio il vino<br />

come bevanda complessa e non il solo etanolo che esercitava<br />

il riscontrato effetto benefico. Altri studiosi attribuirono<br />

invece gli effetti cardioprotettivi del vino ad<br />

alcuni composti presenti nell’uva, quali i polifenoli.<br />

Queste molecole sono dei metaboliti secondari di grande<br />

importanza biologica che agiscono in primis come<br />

fitoalessine, ossia contro l’invasione microbica delle<br />

piante. Da un punto di vista fisiologico, una dieta ricca<br />

di polifenoli aiuta a vivere meglio e a combattere l’eccessiva<br />

produzione di radicali liberi generata da eventi<br />

patogenici... e non solo!<br />

Fra i polifenoli più studiati c’è il resveratrolo che è presente<br />

in quantità importanti nei frutti di bosco, nelle<br />

more, nelle arachidi, nel rabarbaro e per quel che ci<br />

riguarda nell’uva, soprattutto in quella a bacca nera,<br />

dalla quale viene estratto con la macerazione durante<br />

i processi di vinificazione. La quantità di resveratrolo<br />

presente in una bottiglia di vino rosso varia in ragione<br />

a molteplici fattori come il tipo di vitigno, le condizioni<br />

pedo-microclimatiche, le tecniche di vinificazione, le<br />

pratiche in cantina e può raggiungere, e talvolta superare,<br />

i 20 mg/litro soprattutto per le tipologie di vini<br />

rossi come Merlot, Cabernet-Sauvignon, Cabernet Franc,<br />

Grenache, Amarone, Shiraz, Raboso-friularo, Nero<br />

d’Avola. La stessa fermentazione malolattica è in grado<br />

di aumentare la concentrazione di resveratrolo liberandone<br />

la frazione glicosilata.<br />

Le proprietà del resveratrolo sono molteplici essendo il<br />

polifenolo antiaggregante piastrinico, antiossidante,<br />

antitrombotico, antinfiammatorio, antiradicalico, vaso<br />

rilassante, modulatore del metabolismo lipidico, fitoestrogenico,<br />

antivirale e altro ancora. Baur e colleghi,<br />

in un articolo apparso nel 2006 nella prestigiosa rivista<br />

scientifica «Nature», hanno sottolineato come il resveratrolo<br />

possa agire da regolatore metabolico delle calorie<br />

alimentari in soggetti obesi aumentandone significativamente<br />

sia le aspettative di vita sia le performances<br />

fisiologiche compromesse dall’obesità, il tutto attivando<br />

processi biochimici legati al metabolismo dell’insulina.<br />

Ciò sembrerebbe far supporre che il resveratrolo possa<br />

aiutare a prevenire l’insorgere del diabete conseguente<br />

a una dieta ricca di grassi. Su questa linea di ricerca<br />

Joanne Ajmo e colleghi dell’università della Florida<br />

a Tampa hanno messo in evidenza la capacità del resveratrolo<br />

di ridurre la steatosi epatica. Ad ulteriore conforto,<br />

studi recenti dimostrano come il polifenolo in questione<br />

aiuti a prevenire l’accumulo nel fegato di grassi<br />

54<br />

▲ Il Prosecco contiene una significativa concentrazione<br />

di tirosolo, un potente antiossidante “cugino” del<br />

resveratrolo<br />

di origine non alcolica (Non-Alcoholic Fatty Liver Disease<br />

o NAFLD), una patologia non curabile che coinvolge<br />

circa 40 milioni di persone solo negli Stati Uniti.<br />

Studi svolti alla facoltà di Medicina di San Diego in<br />

California che hanno coinvolto circa 12mila persone,<br />

hanno recentemente sostenuto che il consumo di un<br />

paio di bicchieri di vino al giorno possa avere un acclarato<br />

effetto preventivo su tale accumulo di grassi. Questo<br />

dato diventa ancora più interessante quando si osserva<br />

che solo il vino, e non altre bevande alcoliche come<br />

la birra o liquori vari, è in grado di combattere la NAFLD.<br />

Ad ampliare lo spettro d’azione del resveratrolo,<br />

Charlotte Oomen e colleghi dell’università di Gröningen<br />

in Olanda hanno recentemente sostenuto come questo<br />

polifenolo influenzi il mantenimento delle funzioni cognitive<br />

nei processi dell’invecchiamento cerebrale. Già nell’antica<br />

medicina orientale, contro le malattie degenerative<br />

dell’invecchiamento, veniva utilizzato il Polygonum<br />

cuspidatum che oggi sappiamo contenere nelle radici<br />

quantità considerevoli di trans-resveratrolo.<br />

Per quanto riguarda invece l’effetto cardioprotettivo, il<br />

resveratrolo agisce da antiaggregante delle piastrine,<br />

similmente a quanto avviene in seguito all’assunzione<br />

di aspirina. Recentemente Andreas Markus e Brian<br />

Morris della facoltà di Medicina di Sidney in Australia<br />

hanno dimostrato come il resveratrolo, diversamente<br />

da altri polifenoli, sia particolarmente efficace nell’aumentare<br />

la sintesi dell’enzima NO-sintasi, direttamente<br />

coinvolto nei meccanismi vasodilatatori.<br />

Dall’università Zhejiang a Hangzhou in Cina giunge<br />

invece notizia che alcuni polifenoli come la procianidina<br />

B e la miricetina, ben presenti in alcune tipologie di<br />

vini come il Cabernet Sauvignon, hanno forti capacità<br />

inibitorie sulle aromatasi, una categoria di enzimi che<br />

giocano un ruolo importante nella carcinogenesi del


▲ Il Lambrusco Emiliano è caratterizzato da particolari<br />

cumarine, utilizzate sia come anticoagulanti sia per<br />

l’effetto che esercitano sui vasi sanguigni<br />

tumore al seno. Va ancora sottolineato come polifenoli<br />

come le catechine e le quercitine riscontrate ad esempio<br />

nei vini Chianti, Cirò, Cabernet Sauvignon e altri<br />

ancora, possono aiutare – lo dicono alcuni studi condotti<br />

all’università di Montpellier in Francia – a prevenire<br />

forme di aterosclerosi con l’assunzione di uno-due<br />

bicchieri di vino al giorno. Gli stessi autori sostengono<br />

che oltre ai vini rossi anche alcuni vini bianchi possano<br />

avere effetti importanti sull’inibizione della perossidazione<br />

dei grassi presenti nel sangue.<br />

Occorre però sfatare un po’ il giudizio improprio sulla<br />

carenza di attività antiossidante dei vini bianchi. Il molto<br />

apprezzato Prosecco ad esempio contiene una significativa<br />

concentrazione di tirosolo, un potente antiossidante<br />

“cugino” del resveratrolo che agisce sia come<br />

antinfiammatorio sia come regolatore dell’eccitazione<br />

nervosa.<br />

La rivista medica «Artheriosclerosis» ha recentemente<br />

riportato che il tirosolo e l’acido caffeico, contenuti in<br />

vari vini bianchi, hanno forti proprietà antiossidanti e<br />

antinfiammatorie anche in dosi molto ridotte. In alcuni<br />

vini bianchi inoltre l’acido caffeico è talvolta presente<br />

in concentrazioni doppie rispetto al vino rosso. I vini<br />

bianchi peraltro possono contribuire all’inibizione<br />

dell’attività delle citochine presenti nel sangue, che sono<br />

in grado di favorire l’insorgere di fenomeni infiammatori<br />

responsabili di malattie debilitanti quali l’artrite<br />

reumatoide oltre a concorrere in modo significativo alla<br />

formazione del trombo, della placca arteriosclerotica e<br />

dell’osteoporosi.<br />

Non possiamo non citare quindi l’idrossitirosolo, presente<br />

nel vino Soave, con proprietà attivanti le sirtuine,<br />

delle proteine coinvolte nella regolazione bioenergetica<br />

cellulare e nella longevità.<br />

L’endotelina-1 è una proteina di grande importanza per<br />

la regolazione di alcune funzioni cardiovascolari in grado<br />

di contrarre i vasi sanguigni intrappolando i grassi.<br />

Elevati livelli di endotelina-1 sono stati riscontrati nel<br />

sangue di pazienti affetti da ipertensione polmonare<br />

idiopatica e secondaria. Ricercatori dell’università di<br />

Leeds in Inghilterra hanno descritto come alcuni composti<br />

presenti nel vino rosso siano in grado di inibire<br />

la sintesi dell’endotelina-1.<br />

È infine di qualche anno fa la sorprendente osservazione<br />

sulla presenza di alcune particolari cumarine nel<br />

Lambrusco emiliano. Le cumarine sono note in farmacologia<br />

fin dai primi anni del ’900 e vengono utilizzate<br />

sia come anticoagulanti sia per l’effetto che esercitano<br />

sulla parete dei vasi sanguigni. Esse hanno una consolidata<br />

utilità in presenza di infarto miocardico acuto,<br />

nella protezione postinfartuale e in concomitanza con<br />

interventi di angioplastica coronarica. In una regione<br />

come l’Emilia dov’è noto il costume alimentare legato<br />

a un consumo di grassi, carni suine, latticini per un’abituale<br />

e consolidata dieta ipercalorica, si è osservato che<br />

le percentuali di mortalità e morbilità per patologie cerebro<br />

e cardiovascolari sono nettamente inferiori a quelle<br />

di regioni vicine quali Lombardia, Toscana e Veneto.<br />

Questo aspetto curioso, che andrà sicuramente approfondito,<br />

ha lanciato l’ipotesi di un nostrano paradosso<br />

emiliano.<br />

Ma i dati e le ipotesi sui potenziali effetti benefici dell’uva<br />

e del vino non finiscono qui.<br />

Oltre a produrre vino l’uva e i suoi numerosi derivati<br />

sono entrati da qualche anno da veri protagonisti nei<br />

centri wellness con la ampeloterapia: una pratica nata<br />

oltre un decennio fa a Bordeaux, da un’idea sviluppata<br />

da Mathilde Cathiard Thomas, figlia di vignaioli che,<br />

sfruttando le sue conoscenze sull’uva, ha “costruito” –<br />

assistita dal marito Bertrand – diversi prodotti salutistici<br />

e cosmetici con la collaborazione scientifica dell’università<br />

di Bordeaux. Quindi non solo mutuando<br />

il vecchio detto “un bicchiere di vino al giorno può togliere<br />

il medico di torno” ma molti altri prodotti derivati<br />

dalla vitis vinifera come foglie, tralci e vinaccioli, se<br />

opportunamente impiegati, possono agire beneficamente<br />

sulla pelle, sulla circolazione sanguigna, come antistressogeni,<br />

antinvecchiamento. La filosofia è quella<br />

descritta fino ad ora, ossia sfruttare le straordinarie<br />

proprietà dei polifenoli per un’avventura, come appunto<br />

quella dell’ampeloterapia, che sta dando ottimi risultati<br />

di mercato anche in Italia.<br />

L’ampeloterapia, oltre a essere impiegata in cosmetologia<br />

con l’uso di creme e oli può essere efficace a combattere<br />

patologie quali la nefrite, l’ipertensione, varie<br />

forme di dermatite, per la salute dei capillari venosi e<br />

molto altro ancora. Immergendosi in un bagno di succo<br />

d’uva o rilassandosi con massaggi con olio di vinaccioli<br />

si può godere nel corpo e nello spirito, aiutando<br />

contemporaneamente la salute della pelle e ritardandone<br />

l’invecchiamento. Sebbene l’ampeloterapia sia una<br />

pratica piuttosto recente, va ricordato che essa era<br />

già nota ai Greci e ai Romani, che in quanto a piaceri<br />

non si lasciavano sfuggire proprio nulla.<br />

Insomma, il binomio uva e benessere continua a stupirci<br />

senza sosta.<br />

55


Degustazioni<br />

Nuova Zelanda,<br />

la forza dei vini<br />

UN ECCEZIONALE<br />

AMBIENTE DI<br />

COLTIVAZIONE,<br />

METICOLOSITÀ<br />

ANGLOSASSONE,<br />

ASSENZA DI UNA<br />

TRADIZIONE DA<br />

RISPETTARE E GRANDE<br />

CAPACITÀ DI GUARDARE<br />

AVANTI SONO LE<br />

COMPONENTI DEL<br />

SUCCESSO CHE<br />

L’ENOLOGIA<br />

NEOZELANDESE STA<br />

RISCUOTENDO A LIVELLO<br />

PLANETARIO<br />

▲ Vigneti di Pinot Nero<br />

nel Central Otago<br />

56<br />

“sostenibili”<br />

di Riccardo Castaldi<br />

La Nuova Zelanda è uno dei<br />

Paesi vitivinicoli del Nuovo<br />

Mondo che in questi ultimi<br />

anni hanno maggiormente suscitato<br />

l’attenzione a livello internazionale,<br />

sia per lo standard qualitativo<br />

raggiunto dalla produzione enologica<br />

sia per la grande capacità di<br />

penetrazione nei mercati esteri di<br />

riferimento.<br />

Il successo neozelandese trova conferma<br />

in un aumento della superficie<br />

vitata del 296 per cento e in un<br />

incremento del valore delle esportazioni<br />

del 910 per cento negli ultimi<br />

dieci anni.<br />

La qualità dei vini è frutto di condizioni<br />

pedoclimatiche particolari e<br />

di una scelta strategica ben precisa,<br />

dato che le caratteristiche del<br />

contesto produttivo e la lontananza<br />

dai mercati principali non consentono<br />

alle aziende neozelandesi di<br />

competere sulla quantità e tanto<br />

meno sul prezzo. Per questo motivo<br />

l’obiettivo dei produttori neozelandesi,<br />

coordinati e guidati dalla New<br />

Zealand Winegrowers (NZW), è<br />

dichiaratamente quello di diventare<br />

leader nella fascia dei vini di eccellenza<br />

dei mercati più importanti.<br />

Esplosa negli ultimi quindici anni,<br />

dal punto di vista viticolo la Nuova<br />

Zelanda ha trasformato lo svantaggio<br />

di essere partita per ultima in<br />

un vantaggio, evitando gli errori<br />

commessi da altri e facendo le scelte<br />

giuste, in funzione delle proprie<br />

potenzialità e delle richieste del mercato.<br />

La sostenibilità e il rispetto<br />

ambientale sono tra le priorità della<br />

NZW, tanto che dal 2012 tutte le<br />

aziende neozelandesi saranno certificate<br />

come “sostenibili” secondo<br />

gli standard internazionali. In Nuova<br />

Zelanda esistono diverse aziende<br />

biologiche e biodinamiche e soprattutto<br />

la prima azienda al mondo certificata<br />

carbonzero, che segue un<br />

protocollo finalizzato alla riduzione<br />

delle emissioni di gas serra.<br />

Sotto il profilo organolettico i vini<br />

della Nuova Zelanda sono immediati<br />

e dotati di grande bevibilità e si<br />

distinguono in generale per l’elevato<br />

impatto olfattivo, intensamente<br />

fruttato, e per la ricchezza al palato.<br />

Approcciandoli ci si rende immediatamente<br />

conto che si tratta di vini<br />

differenti, con uno stile che si discosta<br />

nettamente dall’espressione che<br />

i vitigni forniscono nelle altre parti<br />

del mondo.<br />

■■■■IL PRIMATO DEL SAUVIGNON<br />

Il Sauvignon è il vitigno che in Nuova<br />

Zelanda ha trovato condizioni ideali<br />

di coltivazione e che è stato determinante<br />

per lo sviluppo del suo settore<br />

vitivinicolo. Con oltre 14.000<br />

ettari, distribuiti da nord a sud, rappresenta<br />

infatti circa il 50 per cento<br />

della superficie vitata.<br />

Grazie alle condizioni particolari<br />

degli ambienti di coltivazione, caratterizzati<br />

da basse temperature<br />

medie, forte escursione termica e<br />

autunni lunghi e secchi, l’espressione<br />

organolettica di questo vitigno è<br />

molto interessante e varia sensibilmente<br />

a seconda della regione in cui<br />

viene coltivato.


NUOVA ZELANDA<br />

Lingue ufficiali Inglese, māori<br />

lingua dei segni<br />

neozelandese<br />

Capitale Wellington<br />

386.000 ab.<br />

Superficie Totale 268.680 km²<br />

% delle acque 2,1 %<br />

Popolazione 4.396.000 ab.<br />

Densità 16,36 ab./km²<br />

Valuta Dollaro<br />

neozelandese<br />

▲ La strada del vino a Martinborough<br />

All’interno della Marlborough region,<br />

nella Wairau Valley, il Sauvignon<br />

produce vini con sentori olfattivi di<br />

frutti maturi, che rientrano nello<br />

spettro del frutto della passione, del<br />

guava e del pompelmo, talvolta con<br />

note minerali e di particolare lunghezza<br />

gustativa, mentre nella<br />

Awatere Valley questo vitigno si<br />

esprime all’olfatto con note erbacee<br />

dolci, di erba tagliata e di foglia di<br />

pomodoro e con note fruttate dolci<br />

al palato. Nell’ambito della Hawkes<br />

Bay, regione più calda della Nuova<br />

Zelanda, il Sauvignon si presenta<br />

ricco, con sentori di frutti maturi tra<br />

i quali prevalgono melone, nettarina<br />

e frutti tropicali, mentre nella<br />

Martinborough-Wairarapa si caratterizza<br />

per la particolare freschezza<br />

e per i marcati sentori di lime e di<br />

frutto della passione.<br />

■■■■CHARDONNAY E ALTRI BIANCHI<br />

Tra i vitigni bianchi di riferimento vi<br />

è anche lo Chardonnay che, conformemente<br />

allo stile “Nuovo Mondo”<br />

non di rado viene vinificato prevedendo<br />

un passaggio in legno, se non<br />

addirittura la seconda parte del processo<br />

fermentativo. La Gisborne<br />

region produce Chardonnay di buon<br />

corpo, che si caratterizzano per le<br />

note di ananas, di guava e di agrumi<br />

maturi, mentre nella Marlborough<br />

region il vitigno si esprime con sentori<br />

di limone, di lime e di pesca bianca,<br />

sorretti da una piacevole freschezza.<br />

Altri vitigni a bacca bianca, sui quali<br />

le aziende stanno puntando per<br />

ampliare la gamma dei vini prodotti,<br />

sono il Riesling, con il quale si<br />

ottengono vini profumati e fruttati,<br />

facili da bere, molto graditi ai giovani<br />

consumatori, il Gewürztraminer,<br />

che ha già portato a prodotti di elevato<br />

profilo qualitativo internazionalmente<br />

riconosciuti, e il Pinot grigio,<br />

al momento molto apprezzato<br />

soprattutto sul mercato interno ma<br />

che presto potrebbe farsi largo anche<br />

al di fuori dei confini nazionali.<br />

■■■■L’ECCELLENZA DEL PINOT NERO<br />

Tra i vitigni a bacca nera spicca il<br />

Pinot nero, secondo vitigno più coltivato<br />

dopo il Sauvignon blanc.<br />

Notoriamente ostico sia in vigneto<br />

che in cantina, in Nuova Zelanda<br />

riesce a esprimersi a livelli di eccellenza<br />

che gli consentono di non<br />

temere confronti. Il Pinot nero neozelandese,<br />

in genere molto differente<br />

da quelli prodotti nel Vecchio<br />

Continente, si contraddistingue per<br />

intensità di colorazione e struttura.<br />

I sentori di frutti rossi maturi, mora,<br />

amarena, ribes e prugna sono prevalenti<br />

e ben amalgamati con quelli<br />

speziati. Molto interessanti sono i<br />

Pinot nero della Central Otago<br />

region, che con 34° di latitudine sud<br />

è l’area viticola più meridionale del<br />

mondo.<br />

Nella Hawkes Bay, grazie al clima<br />

caldo, è conosciuta per la coltivazione<br />

di vitigni a bacca nera internazionali,<br />

quali Merlot, Cabernet<br />

Sauvignon, Syrah e Cabernet franc<br />

che, vinificati sia in purezza che in<br />

uvaggio, consentono di raggiungere<br />

livelli qualitativi sicuramente interessanti.<br />

57


Degustazioni<br />

LA DEGUSTAZIONE<br />

Vinoptima Ormond Reserve Gewürztraminer 2006<br />

Gisborne – 13% vol.<br />

Questa cantina è stata fondata a Gisborne nel 2000 da Nick Nobilo<br />

col preciso intento di produrre un Gewürztraminer di altissimo livello.<br />

Considerato il miglior Gewürztraminer del “Nuovo Mondo”, colpisce<br />

per l’eleganza e la finezza che esprime all’olfatto, contraddistinto<br />

da note di zenzero e mandarino. Al palato è ricco, equilibrato<br />

e dotato di un’eccezionale persistenza, con sentori speziati prevalenti<br />

su uno sfondo di zenzero, ananas e albicocche essiccate.<br />

Prezzo consigliato in enoteca: 38 euro.<br />

Palliser Estate Martinborough Sauvignon blanc 2009<br />

Martinborough – 13% vol.<br />

Fondata nel 1988 e da allora sapientemente diretta da Richard<br />

Riddiford, Palliser Estate è una cantina conosciuta ed apprezzata<br />

a livello internazionale. Questo elegante Sauvignon, uno dei fiori<br />

all’occhiello dell’enologo Allan Johnson, si presenta ampio ed intenso<br />

all’olfatto, con note di peperone, foglia di pomodoro e di frutta<br />

nel finale, mentre al palato risulta avvolgente, equilibrato e lungo,<br />

caratterizzato da sentori di pompelmo rosa e di lime. Prezzo consigliato<br />

in enoteca: 27 euro.<br />

Auntsfield Long Cow Sauvignon Blanc 2009<br />

Marlborough – 13,5% vol.<br />

Fondata nel 1873 da David Herd, Auntsfield Estate è la più antica<br />

cantina commerciale della Marlborough region. Dotato di spiccata<br />

personalità, questo Sauvignon blanc si distingue per la finezza olfattiva<br />

e gli intensi sentori di peperone, asparago, limone e frutti tropicali<br />

nonché per la pienezza al gusto, sapido, che richiama frutto<br />

della passione e uva spina. Accattivante e con buon rapporto qualità/prezzo<br />

è lo Sliding Hill Sauvignon blanc 2009 proposto da questa<br />

azienda. Prezzo consigliato in enoteca: 25 euro.<br />

Craggy Range Otago Station Vineyard Waitaki Valley Riesling 2008<br />

Havelock North, Hawkes Bay – 11% vol.<br />

Nata nel 1997 per volere dell’industriale australiano Terry Peabody<br />

e dell’agronomo/enologo Steve Smith, questa azienda possiede vigneti<br />

dislocati nelle aree viticole più vocate della Nuova Zelanda. Prodotto<br />

in North Otago, questo fine e piacevole Riesling stupisce per l’impatto<br />

olfattivo, in cui prevalgono intensi sentori di ananas, pompelmo<br />

e mela verde, in perfetta armonia con sensazioni gustative ampie<br />

e persistenti, con note fruttate, floreali e speziate. Prezzo consigliato<br />

in enoteca: 25 euro.<br />

Saint Clair Pioneer Block 4 Sawcut Pinot noir 2006<br />

Marlborough – 13,5% vol.<br />

Situata nella porzione meridionale della Wairau Valley (Marlborough),<br />

questa azienda è stata fondata da Neal e Jude Ibbotson nel 1978,<br />

divenendo in pochi anni molto apprezzata per i suoi Sauvignon<br />

blanc. Questo Pinot nero, dal colore intenso, è molto fine all’olfatto,<br />

che richiama frutti rossi maturi, quali amarena e prugna, e sentori<br />

tostati lievi; al palato esprime un buon corpo, tannini morbidi<br />

e una buona persistenza, con note speziate e fruttate prevalenti.<br />

Prezzo consigliato in enoteca: 25,50 euro.<br />

58


Cloudy Bay Marlborough Chardonnay 2007<br />

Blenheim – 14% vol.<br />

Tra le aziende neozelandesi più note in assoluto, Claudy Bay nasce<br />

nel 1985 col preciso intento di estrinsecare le potenzialità qualitative<br />

della Wairau Valley (Marlborough). Questo vino, affinato in barrique,<br />

si esprime all’olfatto con note tostate, burrose e di frutti maturi<br />

mentre al palato è strutturato, con buon equilibrio e sentori di<br />

agrumi e drupacee. Da non perdere il Sauvignon blanc di questa<br />

azienda, una delle icone dell’enologia neozelandese. Prezzo consigliato<br />

in enoteca: 30 euro.<br />

Clos Henri Marlborough Sauvignon blanc 2008<br />

Renwick Hill, Marlborough – 13,5% vol.<br />

I vigneti di questa azienda, fondata dalla famiglia Bourgeois, produttori<br />

di vino a Sancerre (Valle della Loira) da dieci generazioni,<br />

sono stati realizzati su terreni vergini a partire dal 2001. Questo<br />

vino, che riunisce terroir neozelandese e tecnica francese, si contraddistingue<br />

per i sentori olfattivi erbacei, di agrumi e di frutti tropicali<br />

maturi, che si fondono armonicamente con un gusto complesso<br />

e rotondo, caratterizzato da buona freschezza e note minerali.<br />

Prezzo consigliato in enoteca: 29 euro.<br />

Babich Hawke’s Bay Merlot Cabernet 2004<br />

Hawke’s Bay – 12,5% vol.<br />

Babich Wines è una delle aziende storiche della Nuova Zelanda, fondata<br />

nel 1895 da Josip Babich, uno dei tanti immigrati croati giunti<br />

in queste terre e dedicatisi con successo alla vitivinicoltura. Intenso<br />

ed elegante al naso, con sentori minerali ed evoluti, questo taglio si<br />

presenta in bocca equilibrato e rotondo, con note di piccoli frutti<br />

rossi e di prugna cotta nel finale. Molto interessante è anche il Babich<br />

Winemakers Reserve Sauvignon blanc 2007. Prezzo consigliato in<br />

enoteca: 15-20 euro.<br />

Clos Henri Bel Echo Marlborough Pinot noir 2007<br />

Renwick Hill, Marlborough – 13,5% vol.<br />

Questo Pinot nero di medio corpo, caratterizzato da uno stile delicato<br />

che richiama quelli francesi, viene prodotto da Clos Henri prestando<br />

una particolare attenzione alla fruttuosità. Armonico e dotato<br />

di un buon equilibrio, questo vino si esprime con intensi sentori<br />

di frutti rossi, tra i quali spiccano prugna, ciliegia e piccoli frutti<br />

rossi, e con note speziate di pepe nero; in bocca prevalgono le note<br />

speziate e tostate su quelle fruttate percepite nel finale. Prezzo consigliato<br />

in enoteca: 25 euro.<br />

Bishop’s Leap, Marlborough Sauvignon blanc 2008<br />

Marlborough Velley Wines Ltd. Blenheim – 12,5% vol.<br />

Bishop’s Leap è il nome di una rupe scoscesa situata lungo il corso<br />

del Wairau river, che la tradizione popolare vuole teatro del fatale<br />

balzo di uno dei primi vescovi del Marlborough inseguito dai guerrieri<br />

Maori. Ottimo per rapporto qualità/prezzo, è un vino dotato di<br />

elevata bevibilità e si esprime al naso per i lievi sentori floreali e<br />

fruttati, con sfumate note di pesca bianca e mela; al gusto è morbido,<br />

equilibrato, con sentori agrumati e di peperone nel finale.<br />

Prezzo consigliato in enoteca: 10 euro.<br />

59


Mappamondo<br />

Nel Valais<br />

il vigneto più alto<br />

e il più piccolo del mondo<br />

CONDIZIONI CLIMATICHE E GEOLOGICHE FAVOREVOLI FANNO DEL VALLESE<br />

NON SOLO UNA META TURISTICA VARIA MA ANCHE UNA COSIDDETTA TERRA<br />

DA VINO. ATTUALMENTE UN TERZO DELLA PRODUZIONE ELVETICA HA ORIGINE<br />

PROPRIO IN QUESTA REGIONE<br />

Il Vallese (Valais), terzo cantone più vasto della<br />

Svizzera, si estende a sud ovest della Confederazione<br />

per una lunghezza di 150 chilometri, in uno stretto<br />

territorio che forma la Valle del Rodano, tra l’omonimo<br />

ghiacciaio e il Lago Lemano. Considerato da molti<br />

come il paradiso dello sci, vanta ben una cinquantina<br />

di vette che raggiungono i 4mila metri, tra le quali il<br />

famoso Cervino, oltre a 2.200 chilometri di piste da sci<br />

e snowboard e mille chilometri di piste di sci di fondo.<br />

Numerose le località rinomate per questo sport oltre i<br />

confini nazionali, quali Zermatt, Saas Fee, Verbier e<br />

Crans Montana. Verbier appartiene al comprensorio<br />

sciistico “4 Vallées” e offre, oltre ai fantastici panorami,<br />

novanta fra skilift e ferrovie che collegano ben 410<br />

chilometri di piste e vette alpine come il Mont Fort, il<br />

punto panoramico più elevato della regione, posto a<br />

3.330 metri sul livello del mare, o stazioni meno conosciute<br />

come l’incantevole Champex Lac.<br />

Da non dimenticare poi, posta su un soleggiato altopiano,<br />

a strapiombo sulla Valle del Rodano a 1.500<br />

metri, Crans Montana (o meglio le vicine stazioni di<br />

Crans e di Montana) una località che presenta, al medesimo<br />

tempo, le caratteristiche di un villaggio di montagna<br />

e di una moderna città alpina. Un luogo rinomato,<br />

che scelto come “buen ritiro” da molti personaggi<br />

del jet set e che, durante la bella stagione, si trasforma<br />

nella capitale del golf, con l’European Golf Masters,<br />

e della musica con il famoso Caprices Festival. Condizioni<br />

climatiche e geologiche particolarmente favorevoli fanno,<br />

però, del Vallese non solo una meta turistica varia e<br />

interessante, ma anche una cosiddetta “terra da vino”.<br />

Attualmente un terzo della produzione elvetica ha, infat-<br />

60<br />

di Davide Oltolini<br />

ti, origine proprio in questa regione. Questo territorio<br />

trae beneficio da un singolare clima caratterizzato da<br />

estati calde e lunghi autunni miti. Le montagne, vero<br />

e proprio baluardo protettivo, favoriscono il clima secco<br />

che domina la regione, dove si registra la più scarsa<br />

densità di precipitazioni di tutta la Svizzera. Inoltre il<br />

Vallese presenta caratteristiche geologiche complesse<br />

(granito, calcare, scisto e gneis), che favoriscono la coltivazione<br />

di ben quarantasette differenti varietà di uve.<br />

Gli appezzamenti risultano estremamente frazionati con<br />

oltre 22mila diversi proprietari, a testimonianza dello<br />

stretto legame delle famiglie vallesane con le proprie<br />

vigne, spesso tramandate di padre in figlio da secoli.<br />

Tre i vitigni che da soli interessano l’85 per cento dell’intera<br />

superficie vitivinicola, ovvero Pinot Noir, Chasselas<br />

e Gamay. Tra i vini bianchi spicca il Fendant ottenuto,<br />

appunto dallo Chasselas, vino dalle tipiche note<br />

floreali e fruttate, dalla piacevole freschezza, apprezzato<br />

come aperitivo, ma abbinato con successo durante<br />

i pasti a numerose specialità vallesane, quali la Raclette,<br />

la fondue, la carne secca e i crauti.<br />

Lo Chasselas appare come un vitigno particolarmente<br />

sensibile al territorio che lo accoglie, variando lievemente<br />

la propria espressione, ovvero evidenziando note minerali,<br />

se coltivato nei terreni di Ardon e Vétroz, ricchezza<br />

e pienezza se coltivato a Sion e Saint Léonard e una<br />

gradevole, quanto lieve, nota amarognola a Sierre.<br />

L’invecchiamento gli permette di ottenere un’insospettabile<br />

complessità, mentre nelle grandi annate, se vinificato<br />

e affinato in condizioni ottimali, acquisisce sentori<br />

mielati con ricordi di noce e frutta secca, un’apprezzabile<br />

struttura e una spiccata personalità. Tra gli


altri vitigni a bacca bianca spiccano Johannisberg,<br />

Malvasia, Moscato, Chardonnay ed Ermitage, oltre a<br />

tipologie considerate autoctone dai coltivatori elvetici,<br />

quali Petite Arvine, Amigne, Païen/Heida e Humagne<br />

Blanche. Quest’ultimo, curiosamente considerato dalla<br />

tradizione come il vino ideale per dare conforto alle partorienti,<br />

esprime gradevoli sentori vinosi e delicatamente<br />

fruttati accanto a un’accattivante freschezza. Tra i<br />

vini rossi il più celebre è, certamente, il Dôle, ottenuto<br />

dall’85 per cento di Gamay e Pinot Noir, con prevalenza<br />

di quest’ultimo, che contribuisce a donargli il corpo<br />

e la cosiddetta “spina dorsale” e che all’assaggio si<br />

presenta rotondo e armonico grazie all’apporto, oltre<br />

del Gamay, di vitigni quali, ad esempio, l’Humagne<br />

Rouge o il Syrah. Tra i vitigni a bacca rossa anche il<br />

Cornalin, considerato al 100 per cento vallesano, capriccioso<br />

e dalla maturazione tardiva, che ha scoraggiato<br />

generazioni di viticoltori. Il Cornalin offre vini dal bouquet<br />

complesso, che l’invecchiamento smussa delle giovanili<br />

asperità, permettendogli di raggiungere una particolare<br />

finezza. Nella regione vengono prodotti anche<br />

vini rosati, tra i quali il particolare Oeil de Perdrix, ottenuto<br />

esclusivamente da uve Pinot noir.<br />

Il Vallese rappresenta anche uno dei micro territori che<br />

in Europa vantano le condizioni climatiche indispensabili<br />

per la produzione di vini botritizzati, per i quali si<br />

impiegano i vitigni di Petite Arvine, Ermitage,<br />

Johannisberg, Amigne o Malvasia. Da secoli, invece, in<br />

Val d’Anniviers viene prodotto un vino conservato in<br />

antichissime botti di rovere che non vengono mai svuotate,<br />

il cosiddetto “vino dei ghiacciai”, ottenuto dal vitigno<br />

Rèze che matura in prossimità<br />

dei ghiacciai della Val d’Anniviers.<br />

Il Vallese vanta anche il vigneto<br />

più alto d’Europa ovvero il<br />

vigneto di Visperterminen che,<br />

con le sue vigne situate tra i<br />

650 ed i 1.150 metri sul livello<br />

del mare, ha ottenuto<br />

fama internazionale. Su piccole<br />

terrazze, delimitate da<br />

alti muri a secco, supera in<br />

uno spazio ristretto ben 500<br />

metri di dislivello.<br />

L’esposizione a sud e le ampie<br />

superfici in pietra dei muri contribuiscono<br />

a mantenere le viti<br />

in una sorta di camera termica<br />

fino ad autunno inoltrato fornendo,<br />

con la complicità di<br />

qualche ventata di Föhn,<br />

il grado di maturazione<br />

necessario all’uva. Dalla<br />

varietà Savagnin (qui denominata<br />

Heida) si ottiene,<br />

pertanto, un vino bianco<br />

corposo e dall’acidità ben<br />

bilanciata chiamato anche<br />

“perla dei vini delle Alpi”. Nelle<br />

⊳ La Raclette du Valais<br />

annate migliori l’Heida può raggiungere un titolo alcolico<br />

volumetrico del 14 per cento.<br />

In memoria di Farinet, generoso falsario, soprannominato<br />

il “Robin Hood delle Alpi”, a Saillon è stato impiantato<br />

anche il più piccolo vigneto del mondo. Padrino<br />

della vigna di appena 1,67 metri quadrati è il tibetano<br />

Dalai Lama. Al vigneto di Farinet si dedicano ogni anno<br />

celebrità internazionali, tra gli altri Carolina di Monaco,<br />

Gina Lollobrigida, Michael Schuhmacher. Assemblato<br />

con altre uve del Vallese, il prodotto della vendemmia<br />

viene travasato in mille bottiglie e messo all’asta. Il ricavato<br />

della vendita permette di finanziare un fondo annuo<br />

di 20mila franchi con il quale si sostengono attività culturali<br />

e sociali.<br />

Anche la ristorazione appare di altro livello (e non potrebbe<br />

essere diversamente visto che proprio questa terra<br />

ha dato i natali al grande Cäsar Ritz, l’inventore dell’hotellerie<br />

e della moderna ristorazione internazionale)<br />

con chef come Didier de Courten o come Pierre<br />

Crepaud del ristorante Le Mont Blanc dell’Hotel Le Crans,<br />

che la nota guida «GaultMillau» ha incoronato come<br />

chef rivelazione della Svizzera francese. Tra i prodotti<br />

del territorio spiccano il particolare zafferano di Mund,<br />

la purissima acqua minerale Sembrancher, dal nome<br />

dell’omonimo centro abitato, capoluogo del distretto<br />

d’Entremont, conosciuta e apprezzata dal lontano 1239<br />

e, ovviamente, la Raclette vallesana. Si tratta di un<br />

formaggio Aoc (Appellation d’origine contrôlée) a pasta<br />

semidura, prodotto con latte vaccino crudo, sulle cui<br />

caratteristiche incidono la ricca flora delle regioni montane<br />

e alpine del Vallese. Il gusto è piacevolissimo,<br />

“lattoso” e deciso, caratterizzato da una leggera e accattivante<br />

nota acidula e dominato da aromi di piante e di<br />

frutti. Viene solitamente consumato dopo averlo posizionato<br />

in un apposito forno o accanto al fuoco, raschiandone<br />

lo strato fuso con un coltello, in accompagnamento<br />

a patate (alle quali è uso non togliere la buccia), cetrioli<br />

sott’aceto o cipolline.<br />

61


Turismo<br />

Germania,<br />

terra tutta<br />

NONOSTANTE LO<br />

STEREOTIPO DELLA<br />

BIRRA, LA GERMANIA È<br />

IL PAESE CHE CONSUMA<br />

PIÙ SPUMANTI AL MONDO<br />

E IMPORTA PIÙ VINO.<br />

GODE SICURAMENTE DI<br />

UNA SCELTA VINICOLA<br />

AMPIA MA CHE POCHI<br />

CONOSCONO<br />

▲ Alexanderplatz, Berlino<br />

62<br />

da scoprire<br />

di Elisa della Barba<br />

Circondata a est dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca, a sud dall’Austria<br />

e dalla Svizzera, a ovest da Francia, Belgio, Lussemburgo e Olanda,<br />

la Germania occupa circa 360mila chilometri quadrati ed è lo stato<br />

più popolato di tutta l’Europa Unita.<br />

La numerosa popolazione tedesca detiene anche un altro record: è fra<br />

quelle più devote al turismo outbound e cioè al turismo effettuato al di<br />

fuori del proprio Paese. Con una popolazione di circa ottantaquattro milioni<br />

di abitanti e ben trentatré siti nominati patrimonio dell’umanità dall’Unesco,<br />

i tedeschi amano la loro terra ma anche esplorare nuove opzioni.<br />

Ma l’inbound (il processo inverso, che porta gli stranieri nel Paese in esame)<br />

come si comporta? La Germania è fra i primi dieci Paesi più visitati al mondo<br />

con più di ventiquattro milioni di visitatori internazionali contati nel 2008<br />

(ma l’Italia la distacca comunque di molto).<br />

Olandesi, americani e svizzeri, in quest’ordine, i più affezionati alla Germania<br />

nel 2009, seguiti da Inghilterra, Italia e Austria. E chi si aspetta dati disastrosi<br />

in questi anni di crisi dovrà ricredersi.<br />

Con un Pil in crescita quest’anno del 3,7 per cento (l’Italia ha invece registrato<br />

solo un più 1,1 per cento) e un tasso di disoccupazione che sta scendendo<br />

sempre di più (a settembre 2010 è arrivato al 7,2 per cento mentre<br />

solo ad agosto si attestava al 7,6 per cento), la Germania esce relativamente<br />

illesa dalla crisi del 2009: Berlino è la grande star fra le capitali europee<br />

per quanto riguarda l’industria turistica. Il 2009 infatti è stato un anno<br />

record per il numero delle notti passate nella città dai turisti, aumentate del<br />

6,2 per cento rispetto all’anno precedente. Gli hotel di Berlino hanno migliorato<br />

la redditività del 42,7 per cento nel giugno 2010, ed eventi come il Gay<br />

and Lesbian Festival di Berlino, il Gay Pride e la Capitale delle Culture hanno<br />

aumentato il tasso d’occupazione delle camere d’albergo.<br />

Va inoltre detto che se per le altre capitali una notte in un albergo di qualità<br />

può arrivare a costare dalle 150 ai 160 euro, per Berlino viene a costare<br />

in media 80 euro. Questo aiuta sicuramente il turismo e invoglia a passare<br />

una o più notti nella città. Se è vero infatti che la crisi economica ha visto<br />

una diminuzione del 5,6 per cento per quanto riguarda la media di arrivi<br />

stranieri in tutta Europa, la Germania ha avuto una diminuzione solo del<br />

2,7 per cento (dati United Nations World Tourism Organization). E se la Spagna<br />

rimane leader del mercato in questo settore, la Germania ha dimostrato una


⊳ La Porta di Brandeburgo, munumento simbolo di Berlino ▲ Vigneti nella regione del Württemberg<br />

▲ L'Oktoberfest, uno dei principali<br />

eventi che attira turisti in<br />

Germania<br />

tale capacità di recupero che la vede pareggiare con la<br />

Francia, seguita subito dall’Italia.<br />

Per la Germania, il più grande mercato sul<br />

quale investire resta l’Olanda: l’anno scorso<br />

il numero dei visitatori è cresciuto<br />

del 2,8 per cento per un ammontare<br />

di dieci milioni di turisti.<br />

Peggiora il conteggio invece per i<br />

turisti americani che fino ad ora rappresentavano<br />

il 10 per cento della<br />

fetta di turismo inbound, è diminuito<br />

del 3,4 per cento a 4,3 milioni. È la<br />

regione della Baviera ad attirare il maggior<br />

numero di turisti, la seconda in lista<br />

è il Baden-Württemberg, terza arriva la<br />

regione del Nord Reno-Westfalia che quest’anno<br />

ha un motivo in più per essere visitata, essendo<br />

stata nominata capitale europea della cultura 2010.<br />

Molte le attrattive turistiche, ma è doveroso segnalare Berlino<br />

come prima tappa obbligata per chi vuole conoscere meglio la Germania e<br />

in particolare la visita al Denkmal für die ermordeten Juden Europas, il monumento<br />

agli ebrei vittime dell’Olocausto in Europa, inaugurato nel 2005,<br />

20mila metri quadrati cosparsi di 2.711 blocchi di cemento grigio situati nel<br />

centro della città, tra la porta di Brandeburgo e Potsdamer Platz, per ricordare.<br />

Sempre a Berlino, da visitare Alexanderplatz e piazza Gendarmenmarkt<br />

e i numerosi musei della città (stupefacente l’Altare di Pergamo al Pergamon<br />

Museum e il Museo del Muro). Ed è proprio a Berlino che il 5 settembre si<br />

sono festeggiati i cento anni dell’associazione che raccoglie le 195 aziende<br />

vinicole tedesche più rinomate del Paese, la Verband Deutscher<br />

Prädikatsweingüter, con degustazioni in gallerie d’arte distribuite in tutta la<br />

città.<br />

Da non perdere anche Monaco, con l’Oktoberfest e il Festival dell’Opera;<br />

Friburgo, rinomato centro vinicolo dominato dalla cattedrale; Colonia, con<br />

il suo carnevale; Postdam, la città dei castelli; Amburgo, con i negozi eleganti,<br />

i canali e la chiesa di S. Michele, oltre ai cinquanta musei della città;<br />

63


Turismo<br />

▲ Il castello di Heidelberg. La città<br />

è il primo centro universitario<br />

della Germania<br />

▲ L’Hackepeter, carne di maiale<br />

macinata e condita<br />

64<br />

Norimberga, città medievale con ottanta torri situate nel centro storico e il<br />

museo nazionale germanico con opere di Albrecht Dürer; Heidelberg, prima<br />

città universitaria della Germania; Trier, che ha origini romane (chiamata<br />

Augusta Trevirorum nel 16 a.C.); Dresda con i castelli sull’Elba e le storiche<br />

ferrovie di montagna.<br />

Dalle città alla campagna: sono alberi secolari quelli che si trovano sul<br />

sentiero che corre da Kap Arkona, sull’isola di Rügen, fino all’isola Reichenau,<br />

nel lago di Costanza e si può proseguire addirittura fino alla affascinante<br />

Foresta Nera, dividendo il percorso a seconda che si preferisca andare a<br />

piedi, in bici o in moto: 2.500 chilometri di strada per gli amanti della<br />

natura.<br />

Chi ama il verde deve assolutamente visitare la Turingia, costituita da piccoli<br />

principati. Terra di filosofi, poeti e pensatori, offre anche un’incredibile<br />

varietà gastronomica. E per gli amanti del pittoresco, la Romantische Strasse,<br />

350 chilomentri fra antichi centri storici e castelli principeschi.<br />

Molte le occasioni anche per chi ama sciare, dalla regione di Allgäu alle<br />

Alpi Bavaresi, dalla Berchtesgadener Land (per tutti ma specialmente per<br />

chi ama lo snowboard) alla parte sud ovest della Baviera (per lo sci di fondo).<br />

Con l’avvicinarsi del Natale è bello farsi trasportare dalla magia dei mercatini<br />

presenti in moltissimi paesini della Germania oppure organizzare una<br />

vacanza con la famiglia magari al parco divertimenti dell’Europa-Park di<br />

Rust, ma basta anche solo passeggiare per godere delle tipiche luminarie<br />

che ci fanno sentire lo spirito natalizio.<br />

Tante le attrattive dunque e le possibilità per chi decide di andare in Germania,<br />

dagli amanti delle città, della cultura e della storia ai patiti della natura.<br />

Manca sicuramente però l’offerta di turismo marittimo, che il nostro Paese<br />

non fatica a soddisfare, offrendo diverse possibilità. Se è infatti difficile fare<br />

paragoni viste le caratteristiche geografiche, climatiche e culturali sicuramente<br />

piuttosto differenti, rimanendo al confronto con gli altri Paesi d’Europa,<br />

ovviamente, è innegabile che l’Italia la faccia da padrona, con un territorio<br />

molto più avvantaggiato vista la varietà dell’offerta e un clima molto più “facile”,<br />

senza contare l’aspetto artistico. Se noi riusciamo però così, o dovremmo<br />

riuscire, a diversificare maggiormente l’offerta, non riusciamo però a raggiungere<br />

la Germania in termini di organizzazione e di tempestività.<br />

Sicuramente fra le attrattive e tra i primi fattori a far pendere la bilancia<br />

verso l’Italia c’è sicuramente l’enogastronomia. Ma la Germania, che cosa<br />

ha da offrire?


▲ La berlinese Potsdamer Platz<br />

▲ Gli Knödel, grossi gnocchi<br />

di un impasto di composizione<br />

variabile<br />

▲ L'Apfelstrudel, uno dei dolci tipici<br />

Le prime cose che vengono in mente sono birra e wurstel, ma non bisogna<br />

fermarsi alla prima impressione.<br />

La cucina regionale ha tanto da offrire, anche se gli ingredienti base sono<br />

semplici. Tra i piatti di carne vanno forte l’oca e il maiale, spesso servito<br />

come stinco o come porchetta e rigorosamente accompagnato da patate<br />

(Kartoffeln) o da cavoli (Kohl), ma anche dai crauti. Una verdura molto tipica<br />

sono i Sauerkraut, cavoli rossi sottaceto, spesso usati come antipasto ma<br />

anche come contorno. Anche il Gulasch (zuppa di manzo con cipolle e paprika),<br />

di origine ungherese, è molto comune, così come gli Knödel, polpette di<br />

mollica o patate, ma vengono cucinati anche i pesci (nel Nord), spesso<br />

affumicati, oppure granchi e aragoste. Fondamentale anche lo speciale pane<br />

nero che accompagna tutti i pasti, ricco di fibre e sostituivo della nostra<br />

pasta.<br />

A differenza nostra, si usa anche molto il dolce-salato all’interno dello stesso<br />

piatto (vedi pasta e marmellata). Ma è sbagliato generalizzare: terzo Paese<br />

al mondo per numero di immigrati internazionali, la cucina tedesca è stata<br />

decisamente influenzata dalle diverse nazionalità: è possibile, se non facile,<br />

trovare ristoranti di qualità che propongono cucine internazionali.<br />

Inoltre la Germania, divisa in sedici distretti, è caratterizzata da un diverso<br />

utilizzo di ingredienti nei piatti tipici a seconda delle regioni.<br />

A Berlino e Brandeburgo sono tipici l’anguilla con salsa di cavolo (Aal grün)<br />

e la carne di maiale macinata e condita (Hackepeter). In Pomerania si cucina<br />

il petto d’oca con salsa dolce e patate (Gänseschwarzsauer). In Renania-<br />

Palatinato si usa la zuppa di piselli con orecchie di maiale (Ähzezupp) mentre<br />

in Bassa Sassonia sono da provare le aringhe di Brema e la salsiccia in<br />

padella. I buonissimi Bretzel sono originari di Francoforte e dell’Assia, in<br />

Turingia si mangia il Meisser Kummel, un dolce che assomiglia alla sbrisolona<br />

mantovana. Da mangiare assolutamente anche il prosciutto della Foresta<br />

Nera, la salsiccia bianca di Monaco e il Schlachtplatte della Baviera, per stomaci<br />

forti: è un piatto misto con sanguinaccio nero, Knödel al fegato, salsicce<br />

di fegato, trippa e crauti. Per quanto riguarda i dolci, si trovano in tutta<br />

la Germania lo strudel di mele, la mela cotta con marmellata di albicocche<br />

e una torta di pasta frolla con ripieno al formaggio.<br />

La birra, invece, è uno stereotipo da superare: la Germania ha una storia<br />

secolare per quanto riguarda la viticoltura. Va però sottolineato che i metodi<br />

di produzione vinicola sono diversi da quelli dell’Italia o della Francia: qui<br />

è permesso lo zuccheraggio ed è proprio in base alla quantità di zuccheri<br />

65


Turismo<br />

▲ La valle della Mosella<br />

▲ I Bratwürste<br />

▲ Lo Schwarzbrot, il pane nero<br />

immancabile sulle tavole<br />

tedesche<br />

66<br />

fermentescibili contenuti nel mosto che si esegue la classificazione qualitativa<br />

dei vini. Comprensibile, visto che vi è una problematica di base (anche<br />

e soprattutto climatica) per la maturazione delle uve. Con 102mila ettari<br />

di vigneti, la produzione è notevole: nel 2008 sono stati prodotti dieci milioni<br />

di ettolitri di vino. Va sottolineato che nel territorio prevalgono i vini<br />

ottenuti da uve a bacche bianche che rappresentano i 2-3 del totale (64 per<br />

cento per le uve a bacca bianca e il 36 per cento per le uve a bacca nera).<br />

Per quello che riguarda questa tipologia, il vitigno più coltivato in Germania<br />

è il Riesling (il più fruttato è quello prodotto lungo il pendio della Mosella),<br />

che detiene l’80 per cento dell’intera superficie vitata in Europa dedicata a<br />

questa tipologia, seguito dal Müller Thurgau e il Sylvaner. Per le bacche a<br />

uva nera vince lo Spätburgunder, seguito dal Dornfelder e il Portugieser.<br />

Dato lo stereotipo di grandi bevitori di birra stupirà forse sapere che la<br />

Germania è il Paese che consuma più spumanti (di ogni tipologia) al mondo,<br />

con quasi 450 milioni di bottiglie prodotte all’anno. Non mancano gli<br />

Champagne e i Cava (uno per tutti il Mumm). La Germania è anche il<br />

Paese che importa più vino al mondo (con 14,2 milioni di ettolitri nel<br />

2007), mentre come esportatore si trova solo al nono posto.<br />

Riguardo al consumo, quello pro-capite arriva a 20,6 l/anno, una media ben<br />

lontana da quella di molti altri Paesi (inclusa l’Italia).<br />

Sono quattro le regioni che comprendono la maggior parte del territorio vitato,<br />

tutte concentrate su uve a bacca bianca: Rheinhessen, Pfalz, Baden e<br />

Württemberg.<br />

Fa eccezione la valle dell’Ahr, coltivata con uve provenienti dalla Francia<br />

fin dall’VIII secolo che producono Pinot nero, chiamato in Germania<br />

Spätburgunder o Laimberger. Qui la produzione di rossi raggiunge l’80 per<br />

cento della produzione totale del Paese.<br />

Tra i rosati ricordiamo lo Schillerwein, delicato, dal profumo di lampone e<br />

di frutti di bosco. Se quindi sicuramente c’è ancora da lavorare per quanto<br />

riguarda l’esportazione, che necessita decisamente di una spinta in più (anche<br />

se in ogni caso non si possono fare confronti con il territorio italiano), la<br />

Germania gode sicuramente di una scelta vinicola ampia ma che pochi conoscono<br />

nel dettaglio.<br />

Visitiamo dunque la Germania armati di un pizzico di curiosità enologica,<br />

che sicuramente il Paese merita. Ricordandoci, però, una volta all’estero,<br />

di (es)portare la nostra cultura con orgoglio, noi che, volendo cercarci un<br />

difetto, siamo un po’ troppo malati di esterofilia.


Oli d’Italia<br />

Si consuma l’olio<br />

ma senza conoscerlo<br />

Ci sono volte in cui è necessario far chiarezza. In Italia<br />

la centralità di cui gode un alimento simbolo come<br />

l’olio extra vergine di oliva è indiscutibile. Tuttavia,<br />

nello stesso Paese che mette al centro dei consumi l’olio<br />

ricavato dalle olive – da almeno due millenni e oltre – non<br />

esiste ancora una vera cultura collettiva dell’olio. A sostenerlo<br />

non soltanto gli esperti ma anche una serie di ricerche<br />

che offrono un quadro ancor più deludente, perché più<br />

circostanziato. In Italia, nel Paese delle 538 cultivar, in cui<br />

gli olivi vantano una biodiversità altrove non altrettanto<br />

significativa, né riproducibile, l’olio lo si consuma per pura<br />

abitudine, senza conoscerlo. È evidente che di fronte alla<br />

diffusa ignoranza dei consumatori vinca come al solito il<br />

prezzo e con tale limite di fondo si continueranno ad affermare,<br />

in maniera sempre più netta, fino a moltiplicarsi di<br />

continuo, i tanti luoghi comuni, così difficili da sradicare<br />

ogni qual volta entrano di fatto a far parte del corredo delle<br />

proprie convinzioni.<br />

A essere davvero onesti, possiamo anche dire che non soltanto<br />

i consumatori, non solo i commercianti, ma anche<br />

gli stessi produttori, a volte, pur producendo l’olio, non ne<br />

conoscono natura e dinamiche. È una materia prima che<br />

si produce da millenni, è vero, ma poi non sempre la si riesce<br />

a gestire. Una cosa alla quale in pochi stanno lavorando<br />

è l’applicazione pratica dell’olio in cucina, nelle sue varie<br />

formulazioni alimentari. Ed è ciò cui da qualche tempo chi<br />

scrive si sta dedicando, come ha fatto con il volume<br />

L’evoluzione dell’olio in cucina, attraverso l’impegno del<br />

Consorzio di tutela degli oli Dop Riviera Ligure e del Comune<br />

di Lucinasco.<br />

Nel libro vi è una guida ragionata agli abbinamenti oliocibo.<br />

Se non si conosce la complessità aromatica, la variabilità<br />

e l’intensità delle note olfattive e gustative di un olio<br />

extra vergine di oliva, qualsiasi utilizzo, a crudo o in cottura,<br />

può essere vanificato e risultare erroneamente inappropriato.<br />

Il fatto è che non si è in grado di scegliere tra le<br />

varie produzioni olearie, perché non si è mai approfondita<br />

la materia prima olio extra vergine di oliva. Di conseguenza,<br />

è inevitabile che alcuni sostengano che l’extra vergine<br />

sia troppo “carico” di gusto, al punto da coprire i sapori<br />

di altre materie prime. Ed è anche comprensibile che<br />

68<br />

di Luigi Caricato<br />

altri arrivino a sostenere che l’extra vergine risulti (infelicissima<br />

espressione) “pesante” e poco digeribile. Nonostante<br />

ciò, i consumi premiano l’extra vergine ma, per essere<br />

più esatti, a essere premiati sono gli extra vergini da primo<br />

prezzo, di cui è sempre opportuno diffidare, visto che si<br />

arriva in taluni casi a offerte assurde e offensive, l’ultima<br />

della quali sotto i due euro la bottiglia da litro. Tutto ciò è<br />

possibile perché non si è lavorato a sufficienza sulla leva<br />

culturale. Così, quando l’ignoranza vince sulla cultura, i<br />

risultati sono disastrosi e quasi irrimediabili. Bene ha fatto<br />

perciò Bayer CropScience, attraverso la rete dei saggi ad<br />

aver riunito, sotto il marchio di “Coltura & Cultura”, i massimi<br />

esperti sul fronte agroalimentare. Encomiabile l’impegno<br />

nell’organizzare un seminario rivolto al mondo distributivo<br />

e alla ristorazione. A Stresa, dove all’incontro di<br />

Bayer CropScience ho avuto modo di rappresentare il<br />

mondo dell’olio, chi scrive ha delineato lo scenario di riferimento<br />

e proposto alcune soluzioni concrete da cui partire<br />

per ridare valore all’olio extra vergine di oliva. Cosa<br />

può fare dunque la grande distribuzione organizzata a favore<br />

di tale alimento-condimento? Ecco alcuni punti da cui<br />

è bene partire per cercare una soluzione che possa dar<br />

luogo a una svolta:<br />

■ non limitarsi più alla pura vendita, ma pensare a forme<br />

alternative di promozione che non si fermino alla sola scontistica;<br />

■ distinguere gli oli extra vergini di oliva destinati al consumo<br />

di massa da quelli di alta gamma, espressione delle<br />

aziende agricole, attivando così due differenti forme di<br />

comunicazione;<br />

■ formare gli addetti agli acquisti attraverso incontri specifici,<br />

in modo da renderli in grado di valutare la bontà degli<br />

oli e fissare un prezzo di vendita adeguato;<br />

■ lavorare a un progetto comune che unisca i rappresentanti<br />

del mondo della produzione, aziende di marca e<br />

Gdo per fissare alcune regole-guida cui attenersi;<br />

■ attivare forme di comunicazione che coinvolgano il<br />

consumatore tra gli scaffali, coinvolgendo altri settori affini,<br />

come ad esempio l’ortofrutta, ambito in cui l’olio extra<br />

vergine di oliva è condimento d’elezione;<br />

■ vendere non solo un prodotto, ma anche un servizio.


GLI ASSAGGI<br />

Agricola I Poggetti<br />

“I Poggetti” da olive Frantoio (40%), Leccino (40), Pendolino (10),<br />

Maurino e altre.<br />

Nel bicchiere. È verde dai riflessi oro, limpido. Al naso ha profumi<br />

mediamente intensi, dalle connotazioni erbacee nette e dai richiami<br />

al carciofo. Al palato è sapido e armonico, con note amare e piccanti<br />

in ottimo equilibrio. Ha buona fluidità e gusto vegetale di carciofo<br />

e cardo, progressiva punta piccante in chiusura.<br />

L’abbinamento. Farinata di ceci, zuppa di fagioli, tagliata di manzo<br />

con salsa di capperi e acciughe.<br />

Agricola I Poggetti, loc. Ampio, 58043 Castiglione della Pescaia<br />

(Grosseto), tel. 0564.944113, info@ipoggetti.it, www.ipoggetti.it<br />

Oleificio Montenovo<br />

“Penelope” da olive Leccino, Frantoio, Raggia.<br />

Nel bicchiere. È giallo dorato dai riflessi verdi, limpido. Al naso ha<br />

profumi fruttati di media intensità, erbacei, con sentori di carciofo. Al<br />

palato ha buona fluidità e sensazione vellutata, gusto vegetale,<br />

amaro e piccante netti e armonici. In chiusura una punta piccante e<br />

sentori mandorlati.<br />

L’abbinamento. Minestra di cozze e verdure, insalate verdi e di mare,<br />

sella di coniglio ai porcini.<br />

Oleificio Montenovo, via San Pietro 11, 60010 Ostra Vetere (Ancona),<br />

tel. 071.964471, oliomontenovo@libero.it, www.oleificiomontenovo.it<br />

Agrestis<br />

“Agrestis- Bell’omio” da agricoltura biologica, da olive Tonda Iblea<br />

in purezza.<br />

Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdi, limpido. Al naso ha profumi<br />

fruttati di media intensità, erbacei, con sentori di pomodoro e di<br />

mela. Al palato è morbido e avvolgente, armonico nelle note amare<br />

e piccanti. Dal gusto vegetale, è sapido, in chiusura il ritorno del<br />

pomodoro e note di frutta bianca.<br />

L’abbinamento. Risotto di cardi e acciughe, insalata di arance, sella<br />

di coniglio in salsa mediterranea.<br />

Agrestis soc. coop. agricola, via Pappalardo 11, 96010 Buccheri<br />

(Siracusa), tel. 0931.873939, fax 0931.880256, info@agrestis.it,<br />

www.agrestis.it<br />

Azienda agricola olivicola Carlo Siffredi<br />

“Carlo Siffredi” Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori, ottenuto da olive<br />

Taggiasca<br />

Nel bicchiere. È giallo dai riflessi verdi, limpido. Ha sentori di mandorla<br />

freschi e vegetali al naso, con percezione mediamente intensa delle<br />

note fruttate. Al palato è morbido e armonico, di buona fluidità, con<br />

gusto vegetale e sensazione dolce al primo impatto e una lieve ed<br />

elegante punta amara e piccante. In chiusura i richiami alle erbe di<br />

campo.<br />

L’abbinamento. Ravioli di tonno ai gianchetti, filetto di merluzzo al<br />

pomodoro e olive nere Taggiasca, frittelle di mele.<br />

Azienda agricola olivicola Carlo Siffredi, via Roma 1, 18027 Lucinasco<br />

(Imperia), tel. 0183.52662, carlo.siffredi@alice.it<br />

TOSCANA<br />

MARCHE<br />

SICILIA<br />

LIGURIA<br />

69


Birra di qualità<br />

Il Salento<br />

profuma di birra<br />

L’ESTREMO LEMBO DELLA PUGLIA È UNA TERRA DI RARA BELLEZZA,<br />

CONOSCIUTA ANCHE PER I VIGNETI E PER LA CUCINA. MA NON MANCANO<br />

NEPPURE DELLE OTTIME BIRRE ARTIGIANALI, NATE DALLA PASSIONE<br />

DI UN RAGAZZO CHE HA CREDUTO NEL SUO SOGNO<br />

Raffaele Longo è tanto affabile quanto determinato.<br />

I modi sono cortesi e parlare con lui, magari<br />

con una birra in mano, è facile. Tuttavia a<br />

ripercorrerne la storia, si capisce che è una di quelle<br />

persone che, se si mette in testa una cosa, non molla.<br />

È lui oggi l’alfiere della birra artigianale in terra salentina,<br />

quell’affascinante tacco d’Italia impreziosito ulteriormente<br />

da un mare che potrebbe competere con le<br />

Maldive.<br />

Ha iniziato in maniera strampalata, lavorando da stagionale<br />

in un locale che era un po’ di tutto: pizzeria,<br />

bar, tabaccheria… «A fine stagione mi accorsi che erano<br />

rimaste invendute alcune bottiglie di birra un po’ strane”»<br />

ricorda, «ed è così che ho cominciato una sorta di<br />

collezione. Quello è stato il mio primo vero incontro con<br />

la birra».<br />

Un incontro casuale, come casuale è<br />

anche quello di qualche anno dopo,<br />

quando in una libreria di Genova, Longo<br />

mette gli occhi su uno dei primi libri<br />

birrari di Michael Jackson tradotti in<br />

italiano e su un libricino su come fare<br />

la birra in casa scritto da Luigi Odello.<br />

«Era il 1994 e in quel momento mi è<br />

scattata una molla. Ci ho provato facendo<br />

le prime birre da estratto, ma intanto<br />

dovevo studiare (Economia bancaria)<br />

per cui la birra restava un po’ un hobby.<br />

Non conoscevo la comunità, già esistente,<br />

dei birrai casalinghi, attivi soprattutto<br />

al Nord. Ero insomma un po’ iso-<br />

lato dal resto del movimento artigianale<br />

che stava muovendo i primi passi<br />

ma, senza rendermene forse conto, ci<br />

70<br />

di Maurizio Maestrelli<br />

▲ Raffaele Longo, titolare<br />

del birrificio B94<br />

stavo entrando anch’io». Ed entrando a piedi pari,<br />

verrebbe da dire adesso. Perché, laurea in tasca, Raffaele<br />

Longo passa tre anni circa a Bologna ma poi rientra<br />

nella sua Lecce e si licenzia. «Cambio lavoro ma restando<br />

sempre in ambito commerciale mi butto a capofitto<br />

nella produzione casalinga. Passo all’all grain e faccio<br />

una cotta alla settimana e ho proseguito a questo ritmo<br />

fino al 2007, iniziando a partecipare anche a diversi<br />

concorsi per homebrewer». A quel punto il destino era<br />

tracciato, si trattava solo di capire come si sarebbe realizzato.<br />

La chiave di volta per Longo è un altro birraio<br />

pugliese, Donato Di Palma che alla fine del 2007 stava<br />

aprendo il suo impianto, Birranova (www.birranova.it),<br />

nel barese, a circa 130 chilometri da dove stava Longo.<br />

Tra i due nasce una collaborazione, nel senso che<br />

Raffaele inizia a produrre le sue birre,<br />

le sue ricette, in un impianto professionale.<br />

«Per me era la prima volta, il vero<br />

debutto. Il primo anno, il 2008, riuscii<br />

a produrre circa settanta ettolitri, l’anno<br />

scorso sono salito a centoquaranta<br />

e quest’anno conto di chiudere a duecento».<br />

Due anni di duro lavoro e di quotidiane<br />

trasferte nel birrificio amico non<br />

sono cose da niente ma Longo è determinato.<br />

«Carico i sacchi di malto la mattina<br />

o le bottiglie sul furgoncino e poi<br />

parto, qualche volta mi fermo a dormire<br />

lì ma, ho famiglia, e di norma preferisco<br />

rientrare a casa la sera». Giorno<br />

dopo giorno nascono così le birre che,<br />

adesso, costituiscono l’offerta del birrificio<br />

di Raffaele Longo, il B94. La prima,<br />

ma solo per minore gradazione alcoli-


ca, si chiama November Ray ed è una pale ale inglese<br />

da 4,7 % vol. di facile approccio e molto godibile.<br />

Note fruttate e di malto al naso, un finale gradevolmente<br />

luppolato ma senza esagerare. La Dellacava<br />

è invece la blanche della casa ottenuta impiegando<br />

anche una piccola percentuale di frumento locale e<br />

aromatizzata con buccia d’arancia amara, coriandolo<br />

e ginepro. Fresca e leggera, con i suoi 5 % vol. ha<br />

note speziate e fruttate e una bevibilità estrema.<br />

Stessa gradazione, ma profumo e gusto diversi, per<br />

la Terrarossa, una extra special bitter ambrata con<br />

profumi caldi di caramello, mou e malto equilibrati<br />

tuttavia dall’apporto agrumato del luppolo. Si sale<br />

in struttura quindi con la Porteresa, una porter da<br />

7% vol. Ovviamente scura come richiede la tipologia,<br />

la Porteresa offre un bel ventaglio di note tostate,<br />

che ricordano il caffè, la liquirizia e le carrube.<br />

Raffaele Longo ne sta studiando una versione dove<br />

le carrube appariranno anche tra gli ingredienti. Ma<br />

è la Malagrika la prima vera birra del territorio, come<br />

la definisce lo stesso birraio, perché di tratta di<br />

una personale interpretazione sullo stile “belgian<br />

fruit” impiegando, nella ricetta, confettura di mele<br />

cotogne coltivate nel territorio. La Malagrika è un po’<br />

il fiore all’occhiello del B94,<br />

in attesa che Longo realizzi<br />

una futura birra, adesso<br />

in fase di studio, con<br />

sciroppo al melograno e<br />

soprattutto segna l’apertura<br />

di questo giovane birraio<br />

alle collaborazioni con<br />

altri artigiani del gusto<br />

salentini. «Questa è l’avventura<br />

che mi affascina<br />

oltremodo» conferma lui,<br />

«perché mi piace l’idea di<br />

dare vita a tutta una serie<br />

di birre legate all’area geografica<br />

dove vivo e lavoro e<br />

possibilmente vorrei farlo<br />

sviluppando sinergie con<br />

altri artigiani come me».<br />

Ecco, nel caso di Raffaele<br />

Longo e del suo Birrificio<br />

B94 (www.birrificiob94.it)<br />

di Lecce, la parola “artigiano”,<br />

quanto mai abusata<br />

di questi tempi, è calzante. Raffaele Longo è al lavoro<br />

da solo, aiutato in parte dal fratello Fernando, ma<br />

è lui a progettare le birre, lui a produrle, lui a imbottigliarle<br />

(circa 16mila pezzi quest’anno tra 0,75 e 0,37<br />

cl). «So di avere una formazione commerciale» dice,<br />

«ma non riesco a fare a meno della parte produzione.<br />

Mi piace macinare il malto, adoro il profumo che<br />

si respira nel birrificio durante le cotte, non potrei<br />

rinunciarci».<br />

E non lo farà nemmeno nel prossimo futuro quando,<br />

a partire da gennaio 2011, il suo nuovo impianto<br />

sarà operativo, a Lecce, sulla via provinciale<br />

Lecce/Cavallino. Magari gli mancherà fare sempre<br />

su e giù da Bari, ma non gli mancheranno le buone<br />

idee che per ora sono cinque, ma in futuro chissà…<br />

E di buone idee ha oggi bisogno il mondo della birra<br />

artigianale italiana.<br />

DEGUSTAZIONE<br />

TRASHY BLONDE<br />

Produttore: Brewdog – Fraserburgh (Scozia)<br />

Distributore: Ales & Co. (www.alesandco.it)<br />

Da un birrificio indipendente scozzese nato<br />

appena nel 2007, “peschiamo” tre birre “normali”.<br />

Normali nei parametri di un birrificio che,<br />

da quando è nato, continua a<br />

crescere e a stupire con prodotti spesso<br />

estremi e quasi provocatori, per<br />

gradazioni alcoliche e per ingredienti.<br />

Tuttavia i due giovani titolari sanno<br />

anche fare splendide birre beverine<br />

ma non prive di carattere. La Trashy<br />

Blonde è una Golden ale da 4,1% vol.,<br />

caratterizzata negli aromi dal luppolo<br />

neozelandese (Motueka) e americano<br />

(Amarillo). Si presenta di colore dorato<br />

scarico nel bicchiere con intriganti<br />

profumi agrumati. Estremamente dissetante,<br />

è una soluzione ideale come aperitivo.<br />

PUNK IPA<br />

Produttore: Brewdog – Fraserburgh (Scozia)<br />

Distributore: Ales & Co. (www.alesandco.it)<br />

La Punk Ipa è sicuramente la birra bestseller di<br />

Brewdog, capace di ottenere un successo<br />

di vendita nel Regno Unito che<br />

ha pochi precedenti nella storia.<br />

Profumi fruttati e luppolati, anche qui<br />

un mix di varietà neozelandesi e americane,<br />

corpo deciso e finale secco e<br />

pulito. Ha 6% vol., ma è senza dubbio<br />

una birra difficile da dimenticare. Da<br />

provare in abbinamento a piatti leggeri,<br />

magari a base di carni bianche<br />

grigliate o a primi piatti di pasta con<br />

sughi di verdure. Bene pure con formaggi<br />

di breve o media stagionatura come<br />

certi Raschera o alcune Caciotte toscane.<br />

CHAOS THEORY<br />

Produttore: Brewdog – Fraserburgh (Scozia)<br />

Distributore: Ales & Co. (www.alesandco.it)<br />

Nome affascinante e facilmente comprensibile<br />

per una birra che si annuncia un po’ più<br />

alcolica delle precedenti: 7,1% vol.<br />

Come le altre due sue sorelle, anche<br />

questa è reperibile in Italia in bottiglia<br />

da 0,33. La Chaos Theory ha un gusto<br />

decisamente più maltato e dolce, sorretto<br />

dalla alcolicità, ma dopo il primo<br />

sorso si avverte con sicurezza anche il<br />

profilo aromatico dettato dal luppolo<br />

che rimane a lungo nel palato. Da<br />

provare con carni rosse arrosto, di<br />

manzo e di maiale ma anche con<br />

faraona e anatra, primi piatti con sughi<br />

di carne e formaggi stagionati, fino al<br />

Parmigiano Reggiano.<br />

71


Distillati<br />

Le superbe grappe<br />

“made” in Trentino<br />

LE DISTILLERIE TRENTINE SONO NELLA MAGGIOR PARTE ARTIGIANALI<br />

E PRODUCONO POCHE DECINE DI MIGLIAIA DI BOTTIGLIE.<br />

INSOMMA LA QUALITÀ VINCE RISPETTO ALLA QUANTITÀ<br />

Il Trentino è senza dubbio la regione di primissimo<br />

piano per quanto riguarda l’attenzione, la ricerca e<br />

il rispetto della tradizione. Le grappe trentine sono<br />

apprezzate dai consumatori per la loro indiscutibile<br />

qualità, grazie all’ottimo lavoro e ai controlli particolari<br />

effettuati sia sul territorio sia sul prodotto. Non a<br />

caso nacque qui, per volere dei produttori, nel 1960<br />

l’Istituto di tutela della grappa del Trentino con la firma<br />

di un protocollo o codice di autodisciplina firmato con<br />

le autorità regionali. Oggi fanno parte di questo ente<br />

ventuno soci distillatori. Ciò obbliga gli operatori a utilizzare<br />

esclusivamente vinaccia da uve prodotte in<br />

Trentino e di sottoporre i propri distillati ai controlli e<br />

alle analisi da parte dell’Istituto agrario di San Michele<br />

all’Adige. Solo dopo aver superato i vari esami le bottiglie<br />

possono fregiarsi del bollino di garanzia con il<br />

famoso tridente.<br />

Il Trentino, che vanta circa trenta distillerie attive sulle<br />

centotrenta nazionali, di fatto produce meno di un decimo<br />

della produzione totale di grappa. Ne consegue che<br />

le distillerie in questione, a parte un paio di media grandezza,<br />

sono nella maggior parte artigianali, spesso familiari,<br />

e producono poche decine di migliaia di bottiglie.<br />

Qui la qualità vince rispetto alla quantità, le piccole<br />

distillerie operano generalmente con alambicchi a vapore<br />

metodo Tulio Zadra, il grande ramiere che, nella<br />

seconda metà del secolo scorso, con una serie di modifiche<br />

agli alambicchi tradizionali, aggiungendo oblò,<br />

manometri e bacinelle di raccolta della testa e della<br />

coda, rese i suoi alambicchi più tecnici con un sensibile<br />

miglioramento della qualità.<br />

A Santa Massenza, una frazione nel comune di Vezzano,<br />

verso la metà dell’800 all’interno del Palazzo vescovile<br />

si registrò una prima distilleria utilizzata dai contadini<br />

del luogo che portavano le vinacce per ottenere il<br />

72<br />

di Angelo Matteucci<br />

proprio fabbisogno di grappa ed eventualmente per<br />

essere utilizzata come merce di scambio. Dall’inizio del<br />

’900 praticamente ogni famiglia acquistò un alambicco<br />

fino ad avere ben tredici distillerie operanti in un<br />

paese di soli cento abitanti. Oggi ne troviamo cinque<br />

che portano il nome Poli e operano in armonia ma separatamente.<br />

La distilleria Francesco Poli, lavorando secondo la strategia<br />

trentina di smaltire nel più breve tempo possibile<br />

le vinacce, ha acquisito nel 1996 due alambicchi a<br />

bagnomaria in sostituzione del vecchio apparecchio<br />

distillatore. Particolare importante è il fatto che il vapore<br />

viene iniettato in intercapedine ed è quindi separato<br />

dalla vasca che contiene le vinacce. Questo metodo<br />

permette di ottenere grappe eleganti, morbide con una<br />

particolare pulizia gustativa. L’attenzione alla freschezza<br />

delle vinacce è per nostra fortuna oggi divenuto<br />

un’esigenza di tutti i distillatori che vogliono ottenere<br />

un risultato finale di pregio, atto a essere apprezzato<br />

dall’esperto consumatore.<br />

La gamma di Francesco Poli comprende le grappe monovitigno<br />

di Cabernet, Moscato, Nosiola, Traminer,<br />

Marzemino, Muller e Schiava oltre alla Riserva invecchiata<br />

24 mesi e a una speciale grappa di Vin Santo<br />

trentino derivante dall’uva Nosiola con vendemmia tardiva.<br />

Giovanni Poli nella propria distilleria si affida, a<br />

buona ragione, al suo naso e alle proprie mani di esperto<br />

distillatore trentino per produrre le sue grappe monovitigno<br />

di sette qualità, utilizzando vinacce fresche dalle<br />

tradizionali uve trentine. Offre alla propria clientela la<br />

sua grappa bianca Santa Massenza e la Vecchia Riserva<br />

oltre alla Grappa Amara e Grappa Asperula con infuso<br />

di erbe.<br />

Giulio e il figlio Mauro Poli conducono la distilleria omonima<br />

e producono anch’essi le grappe monovitigno da


▲ Gli alambicchi della distilleria di Francesco Poli ▲ Gli interni della distilleria Pilzer<br />

uve trentine con alcune grappe aromatizzate definite<br />

Amara, Asperula e Liquirizia. Inoltre offrono ai propri<br />

clienti la grappa di Saros, il nome della propria vigna<br />

coltivata a Sauvignon Bianco.<br />

A Faver, in val di Cembria, troviamo la famiglia Pilzer.<br />

La distilleria fu fondata da Vincenzo nel 1957 ed è ora<br />

guidata dai figli Ivano e Bruno. Ancora una volta si<br />

riscontra la volontà di produrre una grappa artigianale<br />

rivolta ai più sofisticati consumatori. Le qualità ricavate<br />

dalle vinacce trentine ci sono praticamente tutte,<br />

dal Moscato giallo al Müller Thurgau e Chardonnay, dal<br />

Traminer alla Nosiola, dal Cabernet al<br />

Pinot Nero, Schiava e Teroldego. I Pilzer<br />

comunque acquisiscono anche vinacce<br />

fuori dal territorio (Toscana, Puglia,<br />

Campania) arricchendo così la loro<br />

gamma.<br />

Sempre in Val di Cembria a Segonzano<br />

accanto alle piramidi naturali vi è la<br />

distilleria Giacomozzi Renzo, fondata<br />

nel 1866. Qui si produce grappa<br />

secondo il metodo a vapore diretto<br />

(senza intercapedine) per conto proprio, con la grappa<br />

invecchiata e grappa Müller, e anche e per conto terzi.<br />

Nel 1949 a Brancolino di Nogaredo in Vallegarina alle<br />

porte di Rovereto Attilio e la sorella Sabina Marzadro<br />

aprirono i battenti della loro distilleria, che è oggi una<br />

delle più importanti del Trentino con una vasta gamma<br />

e una produzione di circa un milione di bottiglie, prevalentemente<br />

legate al territorio. Oggi operano i nipoti<br />

di Attilio a ritmo sostenuto, lavorando per cento giorni<br />

ininterrotti, 24 ore su 24, da settembre a dicembre.<br />

Questo permette di ricevere in varie fasi le vinacce<br />

fresche e di provvedere alla immediata lavorazione e<br />

distillazione in alambicchi discontinui a vapore. La<br />

gamma ha nella qualità “18 lune” il suo punto di forza.<br />

È composta da vinacce a bacca rossa (70%) e bacca<br />

bianca e la grappa è sapientemente invecchiata in<br />

piccoli barili di diverse tipologie di legno pregiato per<br />

almeno diciotto mesi. L’azienda, pur producendo alcune<br />

grappe monovitigno, non dimentica la tradizione<br />

delle grappe bianche e affinate, offrendo alla clientela<br />

anche grappe riserva e stravecchie.<br />

La più antica distilleria trentina si trova a Mezzocorona,<br />

nella Piana Rotaliana, dove nel 1870 Edoardo Bertagnolli<br />

e la moglie Giulia de Kreutzenberg crearono quella che<br />

oggi è conosciuta come la premiata distilleria G.<br />

Bertagnolli, fornitori ufficiali della Casa imperiale asburgica<br />

dal 1886. Fu soprattutto la signora Giulia che<br />

dette impulso all’impresa che porta tuttora il suo nome.<br />

Oggi condotta ancora da una signora, Livia Bertagnolli<br />

e dal cugino Beppe, è stata la prima distilleria ad avere<br />

la produzione a larga scala con alambicchi tradizionali<br />

discontinui a bagnomaria (del sopranominato Tullio<br />

Zadra) con sistemi completamente<br />

automatici. Operano con sei alambicchi<br />

di rame della capacità di circa 1.500<br />

chili.<br />

La distilleria Segnana di Trento, di proprietà<br />

della famiglia Lunelli, produttrice<br />

del Ferrari, uno dei vanti dell’enologia<br />

italiana, acquistò nel 1982 la<br />

distilleria, fondata da Paolo Segnana<br />

nel 1860, quando con il proprio alambicco<br />

montato su un carro girava le<br />

campagne per distillare le vinacce “entro 24 ore dalla<br />

pressatura” come richiedeva la legge austroungarica,<br />

legge molto restrittiva ma che indicava già allora la<br />

necessità di distillare vinacce fresche per ottenere la<br />

migliore grappa morbida senza gravi difetti (muffa e<br />

altro). La scelta dei Lunelli, che già conferivano alla<br />

distilleria le loro vinacce, è stata una logica conseguenza<br />

che ha portato a una ristrutturazione su ampia scala.<br />

È importante sottolineare che la distillazione avviene<br />

rigorosamente in alambicchi discontinui a bagnomaria<br />

con accorgimenti e brevetti speciali atti a produrre<br />

grappe di qualità. Nulla è lasciato al caso come, ad<br />

esempio, la riduzione di grado prima dell’imbottigliamento<br />

con acqua sorgiva. Le bottiglie si presentano con<br />

un packaging particolarmente attraente. La gamma<br />

spazia con nomi classici come le monovitigno delle varie<br />

uve “trentine” e altri come le grappe Gentine. Estrema,<br />

Solera di Solera, Solera Selezione, Sherry Cask,<br />

Cinquanta (dal grado alcolico) e Segnana Anniversario<br />

150°, che ricorre quest’anno, indicano la lunga e straordinaria<br />

storia delle grappe trentine.<br />

73


Liquoristica<br />

Liquori<br />

che profumano<br />

di erbe antiche<br />

LA PRODUZIONE<br />

LIQUORISTICA<br />

PIEMONTESE HA UNA<br />

STORIA CENTENARIA.<br />

OGGI ALCUNE AZIENDE A<br />

CONDUZIONE FAMILIARE<br />

RINNOVANO LA<br />

TRADIZIONE CON<br />

PRODOTTI UNICI NEL<br />

LORO GENERE<br />

74<br />

di Fulvio Piccinino<br />

Il Piemonte gode di una grandissima fama per i suoi vini e può vantare<br />

un riconosciuto prestigio dato da una ristretta cerchia qualificata<br />

di produttori di grappa, come diretta conseguenza della sua vocazione<br />

primaria. Ma pochi sanno che, grazie alla sua posizione strategica a<br />

ridosso delle Alpi, ha anche una grossa tradizione nella produzione di<br />

amari e liquori monoerbe.<br />

Questo sapere è in mano a un gruppo di artigiani che tramandano con<br />

amore e passione la conoscenza centenaria della farmacopea casalinga<br />

medioevale, presente dalle Alpi agli Appennini, rispettando le regole rigide<br />

dell’infusione a freddo, unita al rifiuto totale per l’utilizzo di aromi di<br />

sintesi.<br />

La produzione liquoristica ha una storia centenaria certificata. Le prime<br />

notizie risalgono ai primi del 1300, quando Arnaldo da Villanova detto il<br />

Catalano, un alchimista famoso dell’epoca, mise a punto un elisir in grado<br />

di curare papa Bonifacio VII, colpito da una colica renale. Questa notizia<br />

fece molto scalpore e diede risalto ai nuovi rimedi che facevano la comparsa,<br />

per la prima volta, nel mondo medioevale.<br />

Dobbiamo però arrivare al 1737, quando il padre putativo e nume tutelare<br />

di tutti i liquoristi, il frate certosino Jérôme Maubec mise a punto,<br />

dopo decenni di prove, una formula donatagli dal Maresciallo d’Estress,<br />

denominata Elisir di lunga vita, creando di fatto la Chartreuse Vert, un’infusione<br />

di oltre centotrenta erbe a 55 gradi alcolici, summa di tutto il sapere<br />

erboristico dell’epoca.<br />

Il monastero della Grande Chartreuse, situato a pochi chilometri da<br />

Grenoble, nei pressi di Voiron , dove si trova l’attuale liquorificio dei frati<br />

certosini, fu certamente il fulcro di tutta l’attività liquoristica-farmaceutica<br />

del Medioevo ed è stato dal suo opificio che il sapere sull’infusione ha


▲ Tini in acciaio per le infusioni ▲ Lo studio di Teodoro Negro<br />

▲ Il monastero della Grande<br />

Chartreuse vicino a Grenoble,<br />

centro dell'attività liquoristicofarmaceutica<br />

del Medioevo<br />

attraversato le Alpi, per arrivare fino a noi, grazie all’opera divulgativa dei<br />

confratelli.<br />

Come allora, anche i moderni adepti dell’arte liquoristica si trovano sulle<br />

pendici delle Alpi, con le uniche eccezioni del Laboratorio Origine a Cengio,<br />

sul confine fra Liguria e Piemonte, in Valle Bormida e dell’Opificio, lungo<br />

il corso di questo fiume.<br />

Il Laboratorio Origine è una realtà di recente formazione, ma la sua storia<br />

affonda le radici a fine Ottocento, quando i bisnonni degli attuali proprietari,<br />

Alessandro Pancini e Luca Graffo, avevano una trattoria, dove<br />

si era soliti chiudere il pasto con i liquorini preparati dall’oste.<br />

Con la creazione dell’azienda i due giovani hanno deciso di proseguire l’attività<br />

di famiglia legata alla produzione di liquori, che grazie al passaparola<br />

aveva guadagnato clienti ed estimatori nella zona.<br />

Tutti i prodotti appartengono alla tradizione locale e vedono un eccezionale<br />

Nocino, prodotto tipico dell’Appennino, dall’evocativo e inquietante<br />

nome Uomo Nero, di infantile memoria: un infuso di malli di noce, cui viene<br />

aggiunto dell’assenzio, per un finale gradevolmente amaro. Non da meno<br />

è un liquore al caffè, di italica tradizione, realizzato con la collaborazione<br />

di una torrefazione locale.<br />

Altri liquori monoerbe interessanti sono a base di semi di finocchio, di fiori<br />

di camomilla, fino ai classici digestivi con liquirizia e menta e a un innovativo<br />

liquore al ginepro, di fatto un gin italiano, prodotto secondo la scuola<br />

olandese, leggermente dolcificato.<br />

Risalendo idealmente il magnifico corso del fiume Negro, circondati da<br />

incontaminati boschi, ripide colline e falesie sabbiose che creano panorami<br />

mozzafiato, incontriamo a Cessole, in provincia di Asti, l’Antico Opificio<br />

Negro, fondato da Teodoro Negro. Nato settimino, come tutti i prematuri,<br />

secondo la tradizione contadina, era dotato di poteri soprannaturali:<br />

la rabdomanzia, che gli fece scoprire decine di pozzi d’acqua e l’empatia<br />

unita a un’innata passione per le erbe, che gli fruttò la fama di guaritore.<br />

A un certo punto aveva quasi una media di trenta appuntamenti al<br />

giorno, con persone ammalate che venivano curate con tisane preparate<br />

da lui stesso.<br />

Dimostrando lungimiranza e talento, Teodoro frequentò per un certo periodo<br />

un monastero dei Frati Scolopi, per apprendere l’arte dell’infusione e<br />

al suo ritorno mise a punto un amaro con trentasette erbe che curavano<br />

75


Liquoristica<br />

▲ Il Liquorificio Bernard ▲ L'esterno dell'erboristeria Artemy<br />

▲ La Spiritosa:<br />

Genepy, Ramasin, Serpol<br />

▲ Anche i mirtilli diventano<br />

protagonisti nei liquori<br />

76<br />

le patologie più frequenti.<br />

Il suo amaro ebbe un immediato successo e fu battezzato dai suoi clienti<br />

"Toccasana", per le sue qualità molteplici che andavano dalla cattiva<br />

digestione, al mal di testa a cui si aggiungevano doti calmanti ed antipiretiche.<br />

L’attuale proprietario è Valter Porro, figlio della commessa dell’erboristeria<br />

che per mezzo secolo ha affiancato Teodoro Negro ed è lui che tramanda<br />

la ricetta originale, per la produzione del liquore che conta moltissimi<br />

affezionati sul territorio del Basso Piemonte.<br />

La gamma si è ampliata recentemente con la Riserva del Fondatore, un<br />

infuso di erbe invecchiato tre anni, il cui passaggio in legno conferisce<br />

profumi eleganti e sorprendenti per la tipologia amaro, più simili a un vino<br />

passito, mentre in bocca lascia una deliziosa e ben calibrata persistenza<br />

amarognola.<br />

Completano la gamma i classici liquori monoerbe tipici come la genziana,<br />

mentre spicca per originalità un liquore al basilico Dop di Andora, dalle<br />

spiccate note balsamiche mediterranee che risulta essere un ottimo digestivo.<br />

Spostiamoci sulle Alpi, in piena Occitania e arriviamo a Vinadio, dominata<br />

dallo splendido forte savoiardo, voluto da Carlo Alberto, dove ha sede<br />

l’Artemy, il cui laboratorio nasce negli anni Settanta, ma le cui ricette<br />

risalgono al bisnonno, erborista e farmacista che possedeva un negozio<br />

di coloniali, uno “spesiari”, vicino alle famose terme.<br />

La ricetta più famosa è l’Artemy, un amaro che dà anche il nome all’azienda,<br />

un’infusione di dodici erbe fra cui spicca l’Artemisia Mutellina, nata<br />

per le difficoltà digestive, e sempre a scopo curativo calmante l’Iva Alpina,<br />

ottenuta con Camomilla di montagna e erba Peverina, il cui termine dialettale<br />

indica l’Achillea e l’antica abitudine di scambiarla con il prezioso<br />

pepe.<br />

La gamma si completa con il Chais, nome dialettale del patuà occitano<br />

per indicare il ginepro che in quest’area cresce rigoglioso e profumato, per<br />

donare al prodotto il tipico profumo balsamico pungente e il Carvidor, prodotto<br />

di scuola tedesca fatto con il Carum Carvi al secolo il Cumino.<br />

Chiudono i classici Genepy e Genzianella, dalla forte e tipica chiusura<br />

amara, in linea con la tradizione di queste montagne.<br />

Sempre in piena zona occitana, regione da sempre a stretto contatto con<br />

la cultura francese, incontriamo la più recente realtà produttiva. In questo<br />

caso qui non ci sono storie antiche da narrare, ma la semplice passione<br />

unita a un pizzico di follia, per entrare in un mercato che si dice<br />

saturo e in fase calante.<br />

A Montegrosso Grana si incontra La Spiritosa di Dania Dutto, dimostrazione<br />

di come entusiasmo e idee innovative possano far bruciare le<br />

tappe e cancellare le valenze storiche tipiche di questo settore.<br />

La titolare gestisce un’azienda famigliare di vivaistica, ha un passato come<br />

navigatrice professionista di rally e al contempo coltiva una passione innata<br />

per la preparazione di liquorini artigianali che regala agli amici.


▲ Con il basilico Dop di Andora si prepara un originale<br />

liquore<br />

▲ Il ginepro conferisce al liquore<br />

un tipico profumo balsamico<br />

pungente<br />

▲ Il Genepy, ingrediente per uno<br />

dei più classici dei liquori<br />

▲ Dalla genziana si ottiene uno dei<br />

liquori monoerbe<br />

▲ Dal tanaceto si ottiene un liquore antico, tipico della<br />

farmacopea casalinga e medioevale<br />

L’apprezzamento per i suoi liquori spinge Didi (nome con cui è conosciuta<br />

fra gli amici) nel 1999 ad aprire un piccolo laboratorio per la produzione<br />

di liquori e per far ciò si affida a uno dei migliori professionisti del<br />

settore, l’enologo Cordero, mentre lo sviluppo delle originali etichette è<br />

affidato al pittore cuneese Berlia, che per lei realizza una serie di dipinti<br />

con bambole stilizzate.<br />

I prodotti sono invece improntati a una proposta classica di erbe tipiche<br />

di queste montagne, come il Genepy, il Timo Serpillo e il Tanaceto, meglio<br />

conosciuto come Arquebuse , liquore antico, tipico della farmacopea casalinga<br />

e medioevale, depositario di una storia affascinante che suscita ricordi<br />

e profumi familiari.<br />

Il Tanaceto è un’erba il cui nome deriva dal latino medioevale Tanazia,<br />

che a sua volta trae origine dal greco Athanasia, immortale, perché si credeva,<br />

che il prodotto della sua infusione potesse donare la vita eterna.<br />

Il nome attuale Arquebuse invece si deve ai francesi, i quali solevano curare<br />

con l’infuso, i feriti da pallettoni di archibugio. Infatti pare che il prodotto<br />

avesse doti cicatrizzanti importanti, unite a una gradazione alcolica<br />

corroborante in grado di dare sollievo al ferito.<br />

Tornando alla gamma della Spiritosa sono proposti nei liquori di frutta il<br />

proseguimento dei classica con mirtillo e prugna, vere specialità di queste<br />

montagne, preparati con infusioni delicate e rispettose dei profumi.<br />

Risalendo verso Nord a Pomaretto, in Val Germanasca, ha sede il liquorificio<br />

Bernard, fondato nel 1902, dall’omonima famiglia, in un’area a prevalenza<br />

di Valdesi, da sempre detentori del sapere dell’infusione e della<br />

distillazione.<br />

Il liquorificio inizialmente si focalizza sulla produzione di bevande gassate<br />

che ancora oggi sono rappresentate dall’ottima gassosa, per poi convertirsi<br />

alla produzione di amari e monoerbe con l’acquisizione della ditta<br />

Coucord, produttrice del dimenticato Amaro Cozio.<br />

L’amaro, leggermente addolcito rispetto ai canoni precedenti che vedevano<br />

prodotti secchi e poco gradevoli, viene proposto con il nome di<br />

Barathier, in onore di un generale francese di stanza in quel tempo in<br />

zona, mentre la proposta di monoerbe viene ampliata con il classico Genepy,<br />

Timo Serpillo e Genzianella.<br />

Il primo monoerbe vede anche una declinazione di eccellenza, la versione<br />

bianca, dove il Genepy non viene posto in infusione ma viene lasciato<br />

in ceste sollevate per un anno all’interno di una vasca, in modo che<br />

l’aromatizzazione dell’alcol avvenga lentamente e solo tramite i vapori che<br />

condensandosi ricadono.<br />

Altra chicca eccezionale è l’Apricot Brandy, ottenuto dalla lenta infusione<br />

di noccioli di albicocche biologiche coltivate nella pianura adiacente.<br />

Il prodotto, privo di aromi di sintesi, ha un’aromaticità leggera rispetto<br />

ai prodotti industriali comunemente proposti, ma in bocca ha un’eleganza<br />

superiore che sfuma in una persistenza suadente che lo fanno compagno<br />

ideale del fine pasto.<br />

77


Vino e mito<br />

78<br />

La carica rituale<br />

e simbolica<br />

del vino<br />

PER GLI ANTICHI GRECI<br />

BERE IL VINO<br />

AVEVA UN SENSO<br />

COLLETTIVO<br />

E DI COMUNICAZIONE<br />

CON IL MONDO DIVINO<br />

MA OCCORREVA<br />

NON ECCEDERE<br />

di Maddalena Giuffrida<br />

Bevanda d’elezione nei simposi, dono degli dei, spartiacque tra civiltà<br />

e barbarie: intorno al vino gli antichi Greci hanno sviluppato<br />

una mitologia difficilmente comparabile con le altre civiltà mediterranee<br />

dell’antichità.<br />

Anche se ormai oggi la consumazione del vino e del cibo sono fortemente<br />

secolarizzate e hanno irrimediabilmente perduto la sacralità del rito, la<br />

civiltà greca, e più in generale il mondo antico, rappresentano un territorio<br />

privilegiato per recuperare e ricostruire le radici sacrali, i modelli<br />

culturali che governano ancora le nostre abitudini alimentari.<br />

È analisi dei miti, dei riti e dei simboli di quel mondo sono al centro dell’interesse<br />

di Paolo Scarpi, docente rispettivamente di Storia delle Religioni<br />

e di Cultura e simbologia dei cibi a Padova e che alla mitologia e cultura<br />

enoica nella civiltà greca ha dedicato numerosi articoli, saggi, seminari e<br />

conferenze.<br />

Su questo ricco percorso intellettuale si inserisce il progetto Homo Edens,<br />

un’associazione internazionale fondata nel 1987 da Scarpi, insieme a<br />

Oddone Longo, attuale presidente dell’Accademia galileiana di Padova, e<br />

ad alcuni amici universitari, che, attraverso colloqui internazionali e pubblicazioni,<br />

si prefigge l’obiettivo di esplorare i regimi, i miti e le pratiche<br />

dell’alimentazione nella civiltà mediterranea come chiave preziosa per<br />

recuperare il sistema di valori che caratterizzano ancora oggi il rapporto<br />

cibo e società.<br />

In questa prospettiva la vite e il vino, insieme ai cereali e all’ulivo, giocarono<br />

per i Greci un ruolo fondamentale nella configurazione di un siste-


⊳ Ulisse porge una coppa di vino a Polifemo<br />

nel mosaico di Villa del Casale a Piazza Armerina (EN)<br />

▲ Simonide di Ceo<br />

▲ La scena di un simposio su un cratere<br />

attico a figure rosso del V sec. a.C.<br />

ma mitico-rituale che identificava con la civiltà il loro regime e confinava<br />

invece gli altri popoli nello spazio della brutalità e bestialità.<br />

Professor Scarpi, gli antichi Greci si consideravano uomini perché<br />

bevevano vino e mangiavano pane, doni divini rispettivamente di<br />

Dioniso e Demetra. In che misura il mito ha contribuito nell’immaginario<br />

dei Greci a fondare la loro superiore identità culturale rispetto<br />

agli altri popoli?<br />

«Il mito è uno strumento di comunicazione e ha un ruolo importante nel<br />

fondare modelli e forme di pensiero che hanno senso solo se condivisi. Il<br />

mito greco, come i racconti mitici di altre popolazioni, condiviso dunque<br />

dai Greci stessi che ne erano stati creatori, serviva a fondare la realtà, cioè<br />

il presente in cui essi vivevano. Nel mito riposavano le categorie interpretative<br />

del mondo, del rapporto tra gli uomini e gli dei, ma anche delle<br />

relazioni tra gli uomini. Se i Greci avevano chiamato se stessi uomini, perché<br />

avevano imparato a controllare gli effetti del vino, gli altri diventavano<br />

a loro volta barbari, selvaggi, cannibali, perché bevevano il vino puro<br />

ubriacandosi».<br />

Un poeta greco, Simonide di Ceo, affermava che nulla doveva essere<br />

rifiutato dei doni di Dioniso, nemmeno un chicco d'uva. Bere vino,<br />

insomma, era in qualche modo una scelta obbligata, che non poteva<br />

essere rifiutata.<br />

«Non era una scelta forzata. Bere il vino aveva un senso collettivo e di<br />

comunicazione con il mondo divino, ma bisognava saperlo bere. Dioniso,<br />

il dio sotto la cui tutela stavano la viticultura, la vinificazione e il consumo<br />

del vino, aveva addirittura insegnato a mitigare la forza del vino, mescolandolo<br />

con l’acqua.<br />

79


Vino e mito<br />

▲ Un ritratto di Omero. Il poeta<br />

greco nell'Iliade elogia le virtù<br />

del vino<br />

▲ Una statua di Dioniso del II secolo<br />

esposta al Museo del Louvre<br />

Dioniso, (in greco: Διόνυσος o<br />

anche Διώνυσος) è identificato a<br />

Roma con Bacco, con il Fufluns<br />

venerato dagli Etruschi, e la divinità<br />

italica Liber Pater.<br />

In senso più generale, Dioniso rappresentava<br />

quell'energia naturale<br />

che, per effetto del calore e dell'umidità,<br />

portava i frutti delle piante<br />

alla piena maturità.<br />

80<br />

Il vino, tuttavia, essendo un dono divino, anzi il vino era lo stesso Dioniso,<br />

non poteva né doveva essere sprecato».<br />

Vino come dono divino, eppure mai i Greci hanno parlato di viti sacre<br />

o di luoghi sacri legati al vino.<br />

«In effetti è così. Solo nel caso della vite o vitigno (difficile a dirsi) da cui<br />

si ricavava il più antico dei vini greci, già noto all’autore dell’Iliade, che ne<br />

elogia le virtù nel canto XI e cioè il vino di Pramno, si incontra presso gli<br />

autori antichi l’epiteto “sacra”. Era una vite coltivata nell’isola Icaria, oggi<br />

Nicaria, nell’Egeo orientale, che veniva così chiamata davanti agli stranieri,<br />

mentre gli abitanti del luogo, non a caso aveva nome Oinoe (dal greco<br />

oinos=vino), la designavano semplicemente come “dionisia” e cioè di Dioniso».<br />

Da dove ha origine la forte carica rituale e simbolica che ha accompagnato<br />

il vino lungo tutta la storia dell’Occidente e che ancora<br />

oggi perdura?<br />

«A questo è difficile rispondere. Di certo l’espansione della viticoltura e della<br />

vinificazione è da porre in relazione con l’espansione di quelle popolazioni<br />

che abitavano la regione transcaucasica, conosciute come indo-europee.<br />

A parte ciò possiamo solo supporre che il potere inebriante della bevanda<br />

fermentata avesse determinato un atteggiamento di reverenza e di sospetto<br />

nei confronti di questo succo, che bevuto in eccesso possedeva letteralmente<br />

gli individui, facendoli uscire di senno, non diversamente dal consumo<br />

di droghe. Per il resto non sappiamo quali siano state le tappe e i<br />

meccanismi che hanno condotto le popolazioni del Mediterraneo – il vino<br />

è essenzialmente un prodotto delle popolazioni mediterranee – a caricarlo<br />

di valori simbolici. Certo è che senza quei valori simbolici, il vino anche<br />

oggi rischia di chiudere la sua storia. Ed è una storia fortemente carica di<br />

simboli, il vino è Dioniso, così come per i cristiani è il sangue di Cristo».<br />

Se il vino rappresentava da una parte una linea di confine tra essere<br />

uomini e non esserlo, dall’altra portava con sé una forte ambiguità<br />

dovuta agli effetti negativi del bere smodato. Quanto era lecito berne<br />

per evitare di sconfinare nel “non umano”?<br />

«Il vino era stato il dono migliore che gli dei avessero fatto agli uomini<br />

per liberarli dai loro affanni. Nondimeno, bisognava berlo con misura e,<br />

come ho accennato, il vino andava mescolato con l’acqua. Nell’Odissea<br />

Ulisse sconfigge il ciclope con il vino di Ismaro, che era talmente potente<br />

da richiedere di essere mescolato con venti misure d’acqua. Il rapporto<br />

normale invece sembra fosse di 2:3, cioè due parti di vino e tre di acqua.<br />

Di fatto l’acqua, diluendo il vino, permette al bevitore di percepire e controllare<br />

meglio gli effetti dell’alcol. Gli antichi poeti suggerivano di non<br />

berne più di due coppe, anche nei simposi, che erano, per così dire, dei<br />

momenti conviviali, separati dal banchetto vero e proprio. In queste occasioni,<br />

mentre si beveva si dialogava, si ascoltava la musica, si recitavano<br />

poesie e si cantava. Al cosiddetto simposiarca spettava il compito di determinare<br />

la misura di acqua e vino. La prima bevuta doveva essere in onore<br />

delle Cariti, delle Ore e di Dioniso; la seconda in onore di Afrodite e<br />

ancora di Dioniso, ma non ci si doveva avventurare a scolare la terza coppa,<br />

perché il brindisi sarebbe stato in onore di Hybris, la dismisura, e di Ate,<br />

l’accecamento della mente».<br />

Pare che Alessandro Magno fosse un gran bevitore di vino e dedito<br />

agli eccessi. Nonostante tutto c’era quindi anche chi lo beveva così<br />

com’era.<br />

«Indubbiamente accadeva anche questo. I Greci definivano questo costume<br />

o, se preferiamo, questo modo di bere il vino “alla scitica”, perché gli<br />

Sciti lo bevevano puro. Il re spartano Cleomene, che aveva imitato proprio<br />

gli Sciti nel bere il vino, perse la ragione, tanto che la frase bere il vino<br />

“alla moda scita” era un’espressione convenzionale per indicare che si<br />

voleva bere il vino puro».


▲ Coppa a figure rosse, pittore di<br />

Epèleios, raffigurante un<br />

personaggio imberbe che si<br />

accosta ad un vaso per mischiare<br />

il vino con l'acqua recando in<br />

mano uno skyphos (una coppa),<br />

e con la mano sinistra protesa<br />

verso la bevanda. (Ca. 510 a.C.)<br />

▲ La kylix, una coppa da vino in<br />

ceramica, il cui uso è attestato a<br />

partire dal VI secolo<br />

⊳ Alessandro Magno in una scultura di Lisippo conservata al Museo del<br />

Louvre. Il re di Macedonia era un gran bevitore<br />

ALESSANDRO MAGNO (greco: Μέγας Ἀλέξανδρος, Mégas Aléxandros)<br />

Ufficialmente Alessandro III (Pella, 356 a.C. – Babilonia, 323 a.C.) fu re di<br />

Macedonia a partire dal 336 a.C., succedendo al padre Filippo II.<br />

È conosciuto anche come Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore<br />

o Alessandro il Macedone. Il termine "magno" deriva dal latino magnus che<br />

significa per l'appunto "grande", che in<br />

greco antico è mégas. È considerato<br />

uno dei più celebri conquistatori e<br />

strateghi della storia.<br />

In soli dodici anni conquistò l'intero<br />

Impero Persiano, dall'Asia Minore<br />

all'Egitto fino agli attuali Pakistan,<br />

Afghanistan e India settentrionale.<br />

Le sue vittorie sul campo di battaglia,<br />

accompagnate da una diffusione<br />

universale della cultura greca e dalla<br />

sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero<br />

l'avvio al periodo ellenistico della storia greca.<br />

Morì a Babilonia il 30 del mese di daisios (targelione) del 323 a.C., forse<br />

avvelenato, oppure per una recidiva della malaria che aveva contratto in<br />

precedenza o, secondo congetture più recenti, per una cirrosi epatica<br />

provocata dall'abuso di vino.<br />

Il vino buono da bere e da pensare aveva un ruolo fondamentale anche<br />

nell’ambito delle feste?<br />

«Direi che lo spazio festivo è il luogo deputato al consumo del vino. Lo<br />

vediamo ancor oggi quando nelle occasioni più importanti non consumiamo<br />

vino comune o da tavola. Il vino entra in gioco fortemente nelle celebrazioni<br />

religiose e così pure era indispensabile nelle cerimonie sacrificali<br />

antiche. Anzi, come si può leggere nelle Baccanti di Euripide, il vino<br />

è lo stesso dio Dioniso che viene offerto come sacrificio agli dei. E la Grecia<br />

conosceva un grande numero di feste in cui il vino era, per così dire, il<br />

prodotto attorno al quale ruotava l’intera cerimonia. In queste occasioni<br />

il carattere eccezionale del vino sfociava nel prodigio, come nel caso di<br />

quello prodotto dalle viti effimere del Parnaso, in Eubea, che al mattino<br />

del giorno della festa mettevano le foglie, a mezzogiorno davano il grappolo<br />

e a sera il vino o come a Teo, dove il vino sgorgava spontaneamente<br />

dalle fonti, in alcuni giorni dell’anno fissati ritualmente».<br />

Si dice che il vino greco fosse il migliore al mondo tanto che gli scrittori<br />

antichi davano ricette per fare vino greco. Qual era la peculiarità<br />

di questi vini e quali erano i più ricercati?<br />

«Probabilmente le cose non stavano realmente in questi termini, se i Greci<br />

lo dovevano addirittura truccare, mescolandolo con ingredienti vari per<br />

addolcirlo, compresa l’acqua di mare. In realtà ogni vino aveva caratteristiche<br />

diverse, come possiamo desumere dalla “carta dei vini” di Ateneo<br />

di Naucrati, un autore oscuro, che ci ha lasciato un’opera di grandi dimensioni<br />

e fonte di ricche in formazioni, I filosofi a banchetto.<br />

Da Ateneo, ma non solo, sappiamo che in Grecia il vino ha ricevuto ben<br />

presto delle classificazioni e dei nomi, tali da circoscriverlo e riconoscerlo,<br />

nomi che coincidevano quasi sempre con il luogo fisico di produzione.<br />

Il buon Ateneo ci fornisce una prima classificazione per età e colore, distinguendo<br />

genericamente il vino nuovo, preferito dagli uomini, dal vino vecchio,<br />

gradito alle cortigiane.<br />

Per quanto riguarda il colore, venivano suddivisi in rossi e bianchi. Un po'<br />

oscura, nel testo di Ateneo, una terza classificazione cromatica che riguar-<br />

81


Vino e mito<br />

▲ Il Partenone sull'Acropoli di Atene<br />

▲ Una giara dell'VIII secolo a.C.<br />

82<br />

da il vino bianco e che oggi potremmo, forse, rendere con il termine paglierino.<br />

Infine vi erano le maggiori differenze determinate dai luoghi di produzione.<br />

Così tra i vini di Fenicia, si segnalava il Biblo, così denominato dalla<br />

città di Biblo, definito naturalmente dolce, dunque privo di aggiunte dolcificanti.<br />

Uno dei migliori vini greci era considerato il rosso di Chio, l’isola<br />

dove, secondo la tradizione mitica, per la prima volta gli uomini appresero<br />

l’arte di piantare e coltivare le vigne e dove, in seguito, la viticultura<br />

fu fatta conoscere agli altri uomini. Il vino di Taso, isola situata nell’Egeo<br />

settentrionale, era capace di rinvigorire un uomo; il vino di Erea, in Arcadia,<br />

a sua volta aveva il potere di eccitare gli uomini e di rendere feconde le<br />

donne. Al contrario, un vigneto dell’Acaia produceva un vino che faceva<br />

abortire le donne gravide, mentre quello di Trezene rendeva addirittura<br />

sterili. Sempre a Taso si producevano due vini dagli effetti collaterali contrastanti:<br />

uno induceva il sonno e l’altro teneva svegli.<br />

Addirittura “pipì degli dei” era ritenuto il vino di Mende, città situata sulla<br />

lingua occidentale della penisola Calcidica, e nettare era definito quello di<br />

Lesbo da Archestrato di Gela. C’era da credergli, essendo Archestrato l’autore<br />

della prima Gastronomia. Vini per tutti i gusti e situazioni, insomma.<br />

E l’elenco potrebbe continuare a lungo».<br />

Professor Scarpi, grazie al suo ruolo di insegnante ha giornalmente<br />

modo di interagire con i giovani. A che punto sono, secondo lei, le<br />

istituzioni scolastiche e accademiche nel veicolare questo binomio<br />

vino-cultura di cui il mondo greco e antico era convinto sostenitore?<br />

«Credo che si stia facendo ancora poco. Non si coglie bene, da parte delle<br />

istituzioni, l’importanza culturale, proprio perché carica di valori simbolici,<br />

di questo prodotto di cui l’Italia può andare fiera. Nello stesso tempo,<br />

da parte di chi lo produce, si fa ancora fatica a cogliere che il destino del<br />

vino con i suoi mille nomi, come l’antico Dioniso, il dio dai molti nomi, è<br />

legato al sottilissimo filo del suo valore simbolico, cioè al valore del bagaglio<br />

culturale che esso porta con sé. Se infatti viene svuotato dei codici<br />

simbolici, il vino rischia di subire la sorte toccata al tabacco».


Viticoltura<br />

Tra canti e preghiere<br />

nasce il vino<br />

dell’abbazia<br />

ESPERIENZA<br />

PLURISECOLARE E<br />

TECNOLOGIE MODERNE<br />

FANNO DI NOVACELLA IL<br />

CENTRO DI ALCUNI TRA I<br />

MIGLIORI VINI EUROPEI.<br />

NUMERI E<br />

ORGANIZZAZIONE SONO<br />

QUELLI DI UNA GRANDE<br />

AZIENDA, CON 650MILA<br />

BOTTIGLIE PRODOTTE<br />

OGNI ANNO<br />

▲ La cantina<br />

84<br />

di Fabio Brioschi<br />

dei Canonici Agostiniani di Novacella, nelle immediate<br />

vicinanze di Bressanone, in provincia di Bolzano, è una delle più<br />

L’abbazia<br />

prestigiose abbazie del Nord Italia e uno di quei luoghi che trasudano<br />

storia da ogni angolo. Una visita affrettata a questo luogo di pace e<br />

di cultura non è consigliata. Chi viene a Novacella deve prendersi il tempo<br />

per immergersi fra queste mura secolari e condividere con esse la pace e<br />

la profondità di spirito delle innumerevoli generazioni di religiosi che l’hanno<br />

animata nel corso dei secoli.<br />

A Novacella si producono alcuni fra i migliori vini italiani ed europei e non<br />

è certo dall’altro ieri che questa grande fondazione religiosa si è guadagnata<br />

la meritata fama enologica. Meglio però andare per gradi, perché<br />

la Storia con la “s” maiuscola non ha mai avuto fretta.<br />

Se al principio di tutto si può inserire la figura di sant’Agostino di Ippona,<br />

considerato il fondatore dell’ordine canonicale cui appartiene Novacella<br />

e autore nel 397 d.C. di una regola di vita per i religiosi della sua comunità<br />

monastica, la vicenda vera e propria di Novacella iniziò nell’anno 1142.<br />

La peculiarità di questa fondazione religiosa è che i suoi ventisei canonici<br />

ancora oggi fanno vita comune, dividendo la mensa ed esercitando la<br />

cura delle anime, ossia facendo i parroci in ben venti parrocchie della<br />

zona. Il modello di vita comune di questa particolare congregazione di religiosi,<br />

che sono preti e non monaci, affonda le sue radici in pieno Medioevo.<br />

Inizialmente la vita comune dei sacerdoti era presente soprattutto presso<br />

le cattedrali, nelle quali viveva un numero elevato di religiosi, che<br />

avevano funzione di supporto all’attività del vescovo. A questa comunità<br />

dunque, già da tempi molto antichi si chiese di vivere in comune, dividendo<br />

la mensa e il dormitorio. Il nome “canonici” derivò loro dal fatto che i<br />

nomi erano inscritti nella lista (canone) dei coadiutori del vescovo. Con il<br />

passare del tempo il modello canonicale, quasi in antagonismo con quello<br />

monastico vero e proprio, cominciò a diffondersi anche ad abbazie indipendenti<br />

dalle cattedrali e assunse due forme principali: i canonici regolari<br />

che seguivano la regola di sant’Agostino (in cui si esercitava la vita<br />

comunitaria e si praticava la povertà personale) e i canonici secolari (che<br />

vivevano in abitazioni separate e ammettevano la proprietà privata).<br />

Novacella venne fondata dal vescovo di Bressanone Hartmann e già una<br />

quarantina di anni più tardi raggiunse sotto la guida dell’abate Konrad<br />

II di Rodank una prima fioritura culturale. Il momento di massimo splendore<br />

fu tra il XV e il XVI secolo, periodo al quale risalgono i sontuosi arazzi<br />

e l’imponente coro tardo-gotico della chiesa abbaziale. Novacella divenne<br />

in breve un luogo deputato alla trasmissione delle opere letterarie, con<br />

uno scriptorium fra i più affermati della Cristianità e una scuola di canto<br />

molto invidiata.


I vini dell'Abbazia di Novacella �<br />

Sant'Agostino di Ippona,<br />

fondatore dell’ordine canonicale<br />

a cui appartiene Novacella<br />

▼<br />

Con il secolo XVI iniziò per l’abbazia un periodo di grave crisi, legato alle<br />

profonde trasformazioni sociali ed economiche. Nel 1525, durante la rivolta<br />

dei contadini tirolesi, l’abbazia venne depredata in modo brutale e progressivamente<br />

il numero dei religiosi residenti scese fino a toccare, nel<br />

1560, la soglia minima di sei unità. Fu solo grazie all’abate Jakob<br />

Fischer e al suo successore Markus Hauser che, a partire dalla fine<br />

del secolo, le cose cominciarono a volgere per il meglio. La fondazione<br />

di un istituto accademico portò nuova linfa alla vita della<br />

comunità agostiniana, che cominciò nuovamente a crescere<br />

di numero, parallelamente all’arrivo di sempre più numerosi<br />

studenti.<br />

Il peggio, però, doveva ancora venire. Nel 1805 la contea<br />

del Tirolo passò alla Baviera e nel 1807 il governo<br />

bavarese decretò la soppressione di tutte le abbazie<br />

tirolesi. Fu solo con la riannessione del Tirolo<br />

all’Austria nel 1816 che Novacella e le altre abbazie<br />

vennero ripristinate. La situazione era molto<br />

pesante, gran parte dei beni immobili era perduta<br />

e il complesso abbaziale era in condizioni precarie.<br />

La chiesa e il convento erano quasi privi<br />

di mobilio e il personale molto scarso.<br />

L’accademia che nel corso dei secoli aveva prodotto<br />

numerose leve di studenti era a terra. I canonici<br />

vennero obbligati a insegnare nell’Imperial<br />

regio collegio di Bressanone.<br />

Fu solo nel 1844 che il collegio di Bressanone<br />

venne assegnato interamente ai canonici di<br />

Novacella. Il Collegio agostiniano cominciò, allora,<br />

a guadagnarsi una nuova e meritata fama e<br />

fu attivo sino al 1926, quando venne chiuso dalle<br />

autorità fasciste perché scuola tedesca. La sua<br />

storia proseguì come scuola privata fino alla fine<br />

degli anni Sessanta, insieme alla scuola per giovani<br />

cantori, un istituto in cui i fanciulli ricevevano<br />

oltre a una buona formazione generale,<br />

anche l’insegnamento del canto e della musica<br />

strumentale.<br />

Nel corso della Prima Guerra Mondiale l’abbazia<br />

venne ripetutamente occupata dai soldati e tutte<br />

le campane dovettero essere cedute, con l’eccezione<br />

della campana da morto e di quella per<br />

85


Viticoltura<br />

▲ L'Abbazia con i suoi vigneti<br />

gli incendi. Peggio ancora successe durante la Seconda<br />

Guerra Mondiale, quando Novacella fu bersagliata da<br />

un bombardamento alleato, che mirava a colpire i<br />

magazzini e la tipografia della Wehrmacht, installati<br />

negli edifici dell’abbazia. Vennero danneggiati soprattutto<br />

il lato nord della chiesa abbaziale, la sagrestia, il<br />

campanile e la cappella della Pietà.<br />

Oggi, a oltre 850 anni dalla sua fondazione, la comunità<br />

dei canonici è chiamata a un gran numero di compiti,<br />

che riguardano la cura pastorale nel senso più<br />

ampio del termine. Ancora oggi sono affidate ai canonici<br />

più di venti parrocchie. All’inizio degli anni Settanta<br />

il convitto di Novacella aprì i battenti a quasi cento bambini<br />

e allo stesso tempo con la fondazione del centro<br />

turistico vennero poste le basi per la fondazione dell’attuale<br />

centro convegni. Ogni anno, infatti, sono circa<br />

60mila le persone che fanno visita a Novacella e che<br />

usufruiscono del tour guidato. Approssimativamente<br />

altre 40 mila persone visitano il complesso in piena<br />

libertà. Ancora oggi l’abbazia si sostiene economicamente<br />

con la coltivazione e la vendita di prodotti agricoli,<br />

come erbe aromatiche e frutta ma è soprattutto la<br />

cantina con i suoi rinomati vini che l’ha riportata negli<br />

ultimi anni alla ribalta internazionale. Qui si apre<br />

sostanzialmente un altro capitolo della storia di<br />

Novacella.<br />

Le attuali attività del monastero sono varie e ben diversificate,<br />

segno di un’attenzione alle proprie potenzialità<br />

economiche degna di una grande impresa internazionale:<br />

settecento ettari di boschi, quattrocento di malghe,<br />

due riserve di caccia, due aziende agricole (Marklhof<br />

nei pressi di Appiano, con venti ettari di vitigno e tredici<br />

di alberi da frutto e Novacella con cinque ettari di<br />

vitigno e tredici di alberi da frutto), la cantina dell’abbazia,<br />

il negozio dell’abbazia, la mescita (centosessan-<br />

86<br />

ta posti a sedere), una rete di distribuzione diretta in<br />

tutta Italia, le visite guidate; il collegio (novanta studenti<br />

che vivono in convento), il centro convegni (cinquanta<br />

posti letto), la cucina (serve il convento, il collegio,<br />

i collaboratori, per un totale di centotrenta pasti<br />

più, eventualmente, gli ospiti del centro convegni), una<br />

centrale elettrica in Val di Sacleres.<br />

A capo di tutto l’abate Georg Franz Untergassmair, che<br />

è il legale rappresentante dell’azienda, al cui fianco<br />

opera l’amministratore delegato Urban Von Klebelsberg,<br />

agronomo laureato in Scienze agrarie a Firenze.<br />

«Ogni attività del monastero» dichiara Von Klebelsberg,<br />

«ha il compito di creare prodotti-offerte con un ottimo<br />

rapporto qualità-prezzo, così che il nome della casa<br />

possa essere e rimanere garanzia di qualità e serietà.<br />

Ulteriore compito di ciascun ambito è di essere economicamente<br />

indipendente: la cantina, così come la mescita<br />

e il negozio devono realizzare regolari profitti, che<br />

vengono utilizzati soprattutto per la copertura delle<br />

spese di restauro e di risanamento del complesso monasteriale<br />

e per il mantenimento della comunità dei canonici<br />

stessi».<br />

Numeri e organizzazione sono quelli di una grande azienda.<br />

«Sono 650mila le bottiglie che produciamo ogni<br />

anno» aggiunge Von Klebelsberg. «Tre quarti sono bianchi<br />

e un quarto rossi. Le uve per i bianchi provengono<br />

dalla conca di Bressanone, mentre le uve rosse provengono<br />

da altri poderi: il Lagrein proviene dal podere bolzanino<br />

di Mariaheim, mentre il Lago di Caldaro, il Pinot<br />

Nero e il Moscato rosa vengono dal podere Marklhof<br />

di Appiano, dove abbiamo anche la cantina dedicata.<br />

Dopo la prima fase di produzione, il vino rosso viene<br />

portato qui a Novacella, dove viene imbottigliato e dove<br />

si esegue l’affinamento».<br />

Questa zona è la regione vitivinicola più settentriona-


▲ La Cantina Abbazia<br />

le d’Italia e su questi pendii posti fra i 600 e i 900<br />

metri si trovano i terreni ricchi di minerali ideali<br />

per produrre i bianchi dall’aromaticità e dalla sapidità<br />

tipiche. «Con la linea Praepositus» prosegue<br />

il direttore, «abbiamo raggiunto i risultati più<br />

importanti: non solo con il Kerner, che è uno dei<br />

nostri prodotti più famosi, ma anche con il<br />

Sylvaner e con il Riesling».<br />

La linea dei vini bianchi classici conta otto etichette,<br />

mentre sei ne ha la linea dei rossi, ma è<br />

soprattutto con la linea Praepositus che a Novacella<br />

cercano di stupire i palati di tutta Europa. Fra<br />

questi, sette bianchi e due rossi, è probabilmente<br />

il Kerner a essere il prodotto di punta dell’azienda:<br />

un vitigno autoctono coltivato esclusivamente<br />

nel territorio dei comuni di Bressanone e di<br />

Varna, su terreni che si trovano a circa 700 metri<br />

d’altitudine. La vinificazione viene effettuata in<br />

acciaio inox e dopo l’imbottigliamento viene affinato<br />

per ulteriori tre mesi.<br />

Risultati così importanti e numeri così alti sono<br />

davvero notevoli in una zona come questa, segno<br />

di un’imprenditorialità che non parla solo di attaccamento<br />

alla propria storia, ma che guarda alle<br />

tecnologie più innovative e moderne. «L’azienda<br />

conta oggi sessanta dipendenti fissi e una quarantina<br />

di stagionali» conclude Von Klebelsberg con il<br />

sorriso sulle labbra, «e quasi il 15 per cento delle<br />

nostre bottiglie (100mila circa) sono vendute direttamente<br />

al piccolo dettaglio dalla nostra enoteca,<br />

che si trova qui all’abbazia. I nostri canonici non<br />

si occupano della vigna e della cantina, perché il<br />

loro compito è quello della cura pastorale delle parrocchie<br />

loro affidate, ma il legame con l’azienda<br />

vitivinicola è saldo, non solo perché secolare».


Curiosità<br />

Vino e volo,<br />

due passioni<br />

in perfetta simbiosi<br />

IL VINO È DA SEMPRE<br />

PRESENTE NEL MONDO<br />

DELL’AVIAZIONE<br />

ITALIANA, I CIRCOLI<br />

UFFICIALI O<br />

SOTTUFFICIALI<br />

ORGANIZZANO INCONTRI<br />

PER INSEGNARE LA<br />

CULTURA DELLA<br />

DEGUSTAZIONE<br />

88<br />

di Gianluigi Zanovello<br />

Diciotto miglia nautiche corrispondono a trentatré chilometri. Una<br />

distanza che l’Aermacchi 339A, il velivolo delle Frecce Tricolori,<br />

percorre in tre minuti scarsi.<br />

È questo il tratto che separa il Collio, nell’estremo lembo orientale del<br />

Friuli Venezia Giulia, a ridosso del confine con la Slovenia e zona di produzione<br />

di vini pregiati, dall’aeroporto militare di Rivolto, sede della Pattuglia<br />

Acrobatica Nazionale (PAN).<br />

Una vicinanza simbolica che unisce la PAN e gli uomini che vestono la<br />

divisa azzurra con l’universo intenso e invitante di Bacco. Si tratta di un<br />

legame antico e genuino, costruito nel corso degli anni attraverso la condivisione<br />

di momenti festosi e di altri meno gioiosi, mantenutosi grazie<br />

alle qualità e all’autenticità degli uomini e delle donne che ne fanno parte.<br />

Il vino è sempre stato presente nel mondo aviatorio italiano.<br />

In aeronautica militare non esistono circoli ufficiali o sottufficiali che non<br />

organizzino incontri per insegnare la cultura del “saper degustare”.<br />

È un rapporto per certi versi bizzarro e complicato di entità che spesso<br />

si attraggono in perfetta simbiosi, ma che alle volte, forzatamente, si devono<br />

respingere.<br />

Sembra quasi il destino dei poli di uno stesso magnete, che pur risiedendo<br />

sul medesimo elemento, a seconda di come si dispongono<br />

nello spazio si allontanano oppure si uniscono in maniera perfetta.<br />

Amore per il volo e passione per il vino sono emozioni mai simultanee,<br />

ma senz’altro complementari, che si rincorrono gioiosamente<br />

con lo stesso obiettivo: assaporare appieno il gusto e il<br />

piacere della vita.<br />

In questo senso, piloti e sommelier sono senz’altro fratelli e vicini<br />

di casa. D’altra parte, essendo la base delle Frecce Tricolori<br />

in Friuli, una terra che a buona ragione fa della qualità dei propri<br />

vini un vanto, non poteva essere diversamente.<br />

Ingredienti base che sintetizzano il lavoro, la riuscita e il successo<br />

delle Frecce Tricolori sono l’operosità, il dinamismo, l’allegria,<br />

l’estro, la precisione e… un po’ di fortuna. E questi sono anche gli elementi<br />

che caratterizzano il prodotto vinicolo italiano e che lo hanno reso così<br />

ricercato e conosciuto nel mondo.<br />

Gli aviatori delle Frecce se ne accorsero nel 1986, quando la PAN varcò<br />

per la prima volta l’Atlantico per giungere nel territorio nordamericano.<br />

Alla fine dei due mesi e mezzo di manifestazioni aeree, venne organizza-


▲ I sommelier in servizio per l'evento<br />

GIANLUIGI ZANOVELLO<br />

ta una splendida cena, presso la Famee Furlane di Toronto, fondata nel<br />

1932 da un gruppo di friulani allo scopo di creare e promuovere i legami<br />

di amicizia, di fratellanza, di comprensione reciproca e di assistenza tra<br />

la gente che proveniva da quella regione. Fu un successo strepitoso. Non<br />

poteva che essere così, con il supporto fondamentale di due amici storici<br />

delle Frecce: Aldo Morassutti, proprietario del ristorante Da Toni a<br />

Gradiscutta di Varmo e Piero Pittaro, proprietario dei Vigneti Pittaro, di<br />

fronte all’aeroporto di Rivolto. Un’atmosfera magica, con oltre mille ospiti<br />

e vivande e pietanze straordinarie.<br />

Si conversò sui successi e sull’accoglienza che la PAN aveva ricevuto, ma<br />

anche sull’Italia, sugli italiani, sulle difficoltà dei primi emigrati in Nord<br />

America. Si parlò di come erano riusciti a costruire una credibilità e un’onorabilità<br />

umana e professionale. E si riconobbe che se tutto questo era stato<br />

possibile, era anche per il lavoro di molti operatori che dall’Italia riuscivano<br />

a esportare prodotti di grande qualità, diversi e migliori degli altri.<br />

Prodotti unici e inconfondibili. Proprio come il vino italiano. Proprio come<br />

le Frecce Tricolori. Quando, a fine serata, solo pochi rimasero spuntò a<br />

sorpresa, quasi fosse un regalo, una piccola bottiglia di vero Picolit. In<br />

quel momento, tutto d’un tratto, la magia parve ricominciare.<br />

Gianluigi Zanovello ha fatto<br />

parte delle Frecce Tricolori dal<br />

1983 al 1987 e dal 1990 al 1994,<br />

ricoprendo varie posizioni all’interno<br />

della formazione, tra cui<br />

quella di leader in volo e di<br />

comandante di gruppo. Duca<br />

dei vini friulani e sommelier dal<br />

1991, è stato nominato sommelier<br />

ad honorem nel 1994. Dal<br />

2000 è comandante nella compagnia<br />

Air Dolomiti e vive a<br />

Verona con sua moglie Claudia.<br />

89


Pillole<br />

90<br />

Abissi, il vino cullato<br />

dalle onde del mare<br />

Dopo oltre tredici mesi di riposo sul fondale di<br />

Cala degli Inglesi, nella riserva marina di Portofino,<br />

da settanta metri di profondità sono riemerse le<br />

tredici casse di Abissi, il primo spumante metodo<br />

Champenoise made in Liguria. Incontriamo Piero<br />

Lugano nella sua cantina di Chiavari, accompagnati<br />

da Alex Molinari, presidente dell’Ais Liguria e<br />

Marco Quaini, enologo e relatore dell’Ais, per<br />

assaggiare in anteprima lo spumante Abissi 2008.<br />

L’idea di produrre uno spumante in Liguria ha<br />

incuriosito molti e, visti i risultati ottenuti, non si<br />

comprende perché i produttori liguri ci si dedichino<br />

così poco. «Le ragioni sono diverse» spiega<br />

Molinari, «il nostro territorio è caratterizzato, per lo<br />

più, da aziende molto piccole con produzioni limitate,<br />

manca lo spazio e forse siamo ancora un<br />

po’ tradizionalisti». In effetti è stata la mancanza<br />

di un luogo adatto dove fare maturare il vino a<br />

spingere Lugano a immergere le sue bottiglie sottacqua<br />

ma anche la voglia di sperimentare, di<br />

tentare qualcosa di nuovo. «Ho pensato che l’assenza<br />

di ossigeno avrebbe garantito una minore<br />

ossidazione, poi la penombra e una temperatura<br />

costante di quindici gradi avrebbero fatto il<br />

resto». Decisamente interessante è l’utilizzo di un<br />

vitigno autoctono, poco conosciuto fuori dalla<br />

Liguria, come la Bianchetta genovese. «Credo<br />

molto in questo vitigno e mi sta dando ottimi risultati.<br />

Oggi ho più richiesta di Bianchetta che di<br />

Vermentino, anche se in Liguria quest’ultimo è<br />

sempre stato il vino più venduto» puntualizza<br />

Molinari. La Bianchetta non è un vitigno<br />

facile da coltivare, cresce bene in terreni<br />

magri e asciutti, ha la sua forza nella<br />

dimensione ridotta dei suoi acini, dove<br />

la buccia prevale sulla polpa, regalando<br />

un mosto di grande qualità. Marco<br />

Quaini condivide le scelte del produttore<br />

chiavarese e aggiunge: «Tra i vitigni<br />

della zona è il più indicato, quello<br />

con le potenzialità maggiori, perché<br />

patisce meno in fase di maturazione<br />

ed è più resistente alle muffe».<br />

Spesso messo in ombra dal più<br />

famoso Vermentino, la Bianchetta<br />

potrebbe avere una sorte diversa<br />

dopo il successo mediatico del vino<br />

degli Abissi. Seimilacinquecento bottiglie<br />

andate letteralmente a ruba,<br />

visto che a luglio mentre effettuava<br />

un’operazione di recupero e controllo<br />

Lugano si accorse che ne erano<br />

scomparse trenta. Come nella miglio-<br />

re tradizione marinaresca, c’è sempre un tesoro in<br />

fondo al mare da rubare. Fonte d’ispirazione per<br />

tanti poeti, navigatori e adesso anche viticoltori, il<br />

mare è senza dubbio un elemento imprescindibile<br />

per questo vino: la sua sapidità e la sua maturazione<br />

sono infatti il frutto del lavorio lento e prezioso<br />

del vento e delle onde. Meno romantico e più<br />

pratico, Molinari coglie gli aspetti positivi del lavoro<br />

di Lugano che considera «un’occasione straordinaria<br />

per fare conoscere i vini liguri, un’operazione<br />

di marketing di successo che dimostra la<br />

vitalità e il fermento che c’è nella nostra regione».<br />

L’entusiasmo dei media ha stimolato un mercato<br />

assopito e in crisi che risvegliandosi ha decretato il<br />

suo interesse per le bollicine degli Abissi, comprando<br />

a scatola chiusa l’intera produzione. Se<br />

non fosse che Lugano è un viticoltore stimato<br />

e di grande esperienza, si potrebbe pensare<br />

che più del vino sia piaciuta l’idea di mettere<br />

il vino sottoacqua. Lugano non nasconde di<br />

temere qualche critica ma è anche certo<br />

della qualità del suo spumante. «Sono convinto<br />

che la sapidità e la mineralità del<br />

nostro terroir sarà riconoscibile nel bicchiere,<br />

ci credo talmente tanto che non ho<br />

aggiunto zuccheri». Uno spumante nature,<br />

dosage zéro, impegnativo, non per<br />

tutti i palati. Marco Quaini trova nel vino<br />

le caratteristiche di chi lo ha prodotto:<br />

schietto, sincero, non vuole piacere a<br />

tutti i costi, va compreso con attenzione<br />

come tutte le cose di valore.<br />

D’altronde non potrebbe che essere<br />

così. Con una produzione annua di seimilacinquecento<br />

bottiglie non si può<br />

certo rincorrere la quantità. Puntare<br />

sulla qualità sembra essere l’unica strada<br />

da percorrere.<br />

(L.S)


LA DEGUSTAZIONE<br />

Alex Molinari, presidente dell’Ais Liguria<br />

Abissi 2008, Spumante Metodo Classico, senza aggiunta di zuccheri o di solforosa. Sboccato da Piero<br />

Lugano a la volée. Campione in prova. Non in vendita.<br />

All’aspetto visivo il vino si presenta di colore giallo paglierino con tonalità vivace, il fine pérlage, numeroso<br />

e di notevole persistenza, colpisce subito favorevolmente. Al naso, come primo impatto, evidenzia note<br />

fruttate di agrumi, che lasciano poi spazio a un leggero e gradevole sentore di mandorla. In seconda<br />

battuta veniamo catturati da una sensazione di mineralità vagamente salmastra e da note riconducibili<br />

alle erbe aromatiche. In bocca il vino regala una sensazione<br />

di palato perfettamente asciutto, secco e<br />

tagliente. La chiara impronta sapida e la buona freschezza<br />

rendono l’Abissi decisamente invitante alla<br />

beva. Una persistenza di tutto rispetto richiama il<br />

gusto acre dell’ardesia e il salmastro della Liguria. Un<br />

blanc des blancs piacevole e di grande fascino.<br />

Marco Quaini, enologo<br />

Abissi 2008 Spumante Metodo Classico – Dosage Zéro<br />

Sboccatura sperimentale eseguita a metà settembre<br />

da Piero Lugano nelle Cantine Bisson. In vendita da<br />

dicembre 2010. Giallo paglierino con tonalità lievemente<br />

scariche, ha un colore luminoso e un pérlage<br />

vivace e persistente che ricorda i migliori<br />

Champagne della Côte des Blancs. Dal punto di<br />

vista olfattivo, dopo un’iniziale chiusura dovuta a ▲ Alex Molinari, Piero Lugano e Marco Quaini<br />

una lieve riduzione, si manifesta la personalità di<br />

questo spumante, che si esprime con delle note che ricordano erbe aromatiche unite a sensazioni lievemente<br />

muschiate. Nella sincerità e nella purezza dei suoi profumi si riconosce il vitigno, la Bianchetta genovese.<br />

In bocca percepiamo un vino autentico e immediato che si contraddistingue per le sue gradevoli<br />

durezze. Sensazioni di freschezza e sapidità evidenziano una personalità decisa e intraprendente in termini<br />

di longevità. La sua struttura e la sua persistenza gusto-olfattiva fanno presagire un miglioramento dopo<br />

un affinamento in bottiglia. La totale assenza di zuccheri aggiunti, lo rende un prodotto unico, non per<br />

tutti, che va compreso, non un vino di tendenza, ma di territorio, di mare, degli abissi.<br />

PIERO LUGANO: L’UOMO DEGLI ABISSI<br />

Ci pensava da dieci anni e alla fine l’ha fatto: 6500 bottiglie in<br />

fondo al mare in attesa della presa di spuma. L’idea di affinare<br />

il vino sottoacqua è di Piero Lugano, viticoltore e patron<br />

delle cantine Bisson o come si definisce lui «contadino appassionato<br />

di vino, storia e mare». Fondata nel 1978, con i suoi<br />

attuali dieci ettari di terreno vitato, l’azienda rappresenta la<br />

realtà agricola più estesa della provincia di Genova. I vigneti si<br />

trovano fra il Golfo del Tigullio e le Cinque Terre. La produzione<br />

annua si aggira intorno alle centomila bottiglie, di cui la metà<br />

vengono assorbite dal mercato locale, mentre le restanti sono<br />

distribuite equamente tra l’Italia e l’estero. Lugano ama sperimentare<br />

e oltre ai vitigni tipici del territorio (Bianchetta,<br />

Vermentino, Dolcetto e Barbera) da qualche anno ha impiantato<br />

Pigato e Granaccia che vinifica in purezza. Unico produttore<br />

a Levante a cimentarsi con i due vitigni ponentini, si dice<br />

molto soddisfatto dei risultati ottenuti soprattutto dalla<br />

Granaccia. La Bianchetta genovese rimane il vitigno più<br />

importante e rappresentativo per l’azienda, su cui puntare<br />

anche in futuro, soprattutto visti i risultati ottenuti dalla prima<br />

annata dello spumante Abissi. Ma le sorprese non sono ancora<br />

finite. Lugano ha già in mente il prossimo obiettivo: riportare<br />

la viticultura sul monte di Portofino. Le idee sono chiare e la<br />

macchina è già in moto. Dopo lo spumante degli Abissi aspettiamoci<br />

il Vermentino dal Paradiso!<br />

91


Pillole<br />

92<br />

Un italiano<br />

promosso Oltralpe<br />

Secondo Jean-Luc Toula-Breysse esperto di cultura<br />

ed enogastronomia di «Le Monde», il noto<br />

quotidiano francese, considerato tra i più prestigiosi<br />

del mondo, è Davide Oltolini, critico<br />

enogastronomico pavese, il “maestro”<br />

italiano della difficile, quanto<br />

affascinante arte della degustazione.<br />

Il mensile «Ulysse» (Courrier<br />

International), rivista di cultura e turismo<br />

del gruppo «Le Monde» presente<br />

in tutte le edicole d’Oltralpe (ma<br />

distribuita anche in molti Paesi del<br />

mondo, fra i quali Canada,<br />

Lussemburgo, Portogallo e Belgio),<br />

ha parlato delle particolari competenze del critico<br />

enogastronomico italiano per quanto<br />

riguarda le tecniche<br />

di analisi sensoriale<br />

di formaggi,<br />

salumi, cioccolato,<br />

gelati e acque<br />

(oltre che di vini e<br />

di distillati), nonché<br />

nella valutazione<br />

di prepara-<br />

8<br />

la france vue par...<br />

Davide Oltolini<br />

Davide Oltolini est<br />

journaliste, critique<br />

gastronomique en Italie.<br />

Il a été nommé<br />

ambassadeur des fromages<br />

français pour une<br />

campagne de promotion.<br />

Enfant de Lombardie, Davide<br />

Oltolini est né et habite<br />

à Pavie, ville non loin de Milan<br />

connue dans les livres<br />

d’histoire pour sa bataille en<br />

1525, là-même où fut fait<br />

prisonnier François Ier .Journaliste<br />

à Capital (édition italienne),<br />

au magazine La Cu-<br />

cina del Corriere della Sera<br />

et au guide transalpin Gambero<br />

rosso, Davide apprécie<br />

“même si c’est banal, le raffinement<br />

du goût français”.<br />

Ce critique gastronomique,<br />

expert en analyse sensorielle,<br />

se souvient de ses premiers<br />

délices gourmands enfant<br />

“des fruits du verger et des<br />

légumes du potager, de la<br />

charcuterie en particulier le<br />

saucissonVarzi, une spécialitédelarégiondePavie,des<br />

petits plats de ma grandmère<br />

Maria. Mon père Luigi<br />

m’a appris à apprécier un<br />

morceaudepainfraisavec<br />

un peu d’huile d’olive. Encore<br />

aujourd’hui, quand ma<br />

mère Piera cuisine un minestrone<br />

(soupe de légumes<br />

avec du riz), un risotto à la<br />

milanaise avec des champignons<br />

ou fait ses fantastiques<br />

gâteaux, je retrouve le goût<br />

de l’enfance.”<br />

Mais ce spécialiste insiste sur<br />

le fait qu’il n’y a pas que le<br />

goût pour apprécier un produit.<br />

“Il faut prendre en<br />

compte la forme, la couleur,<br />

observées dès le premier regard,<br />

les sensations tactiles<br />

dans la bouche, bref faire<br />

jouer tous les sens.” Avant de<br />

déguster un vin, un spiritueux<br />

ou une eau, l’homme<br />

regarde, hume sans cérémonial,<br />

juste dans le respect du<br />

produit. D’ailleurs l’esthète<br />

et l’épicurien a été choisi<br />

cette année pour être membre<br />

du jury en Italie de la finale<br />

du concours organisé<br />

par le comité interprofessionnel<br />

des vins de Cham-<br />

? Davide Oltolini,<br />

un grand connaisseur de la<br />

gastronomie française.<br />

pagne.<br />

Il vient en France pour la<br />

première fois en 1982. Lycéen,<br />

il séjourne en Franche-<br />

Comté à Besançon. “C’était<br />

la première fois que j’allais à<br />

l’étranger. La ville était très<br />

agréable et surtout c’est là<br />

que mon amour pour la<br />

France est né. J’étais impressionné<br />

car les Français<br />

pour se dire bonjour se faisaient<br />

la bise. Et puis j’ai découvert<br />

les fromages français<br />

qui avaient une gamme de<br />

choix aussi importante qu’en<br />

Italie.” Depuis, le gourmet a<br />

arpenté bien de nos régions,<br />

“la Loire, la Champagne, la<br />

Côte d’Azur, la Provence, la<br />

Corse, le Roussillon et évidemment<br />

Paris, qui à mes<br />

zioni gastronomiche. A tal proposito nell’intervista<br />

è stata richiesta all’esperto pavese una<br />

disamina critica sull’enogastronomia<br />

d’Oltralpe. Lo scorso anno Oltolini era stato<br />

nominato tramite il CNIEL (Centre National<br />

Interprofessionnel de l’Economie Laitière)<br />

ambasciatore dei formaggi di Francia in Italia.<br />

Acquavite Italia:<br />

la vetrina del distillato<br />

A PERUGIA LA QUARTA EDIZIONE,<br />

CON NUMEROSE NOVITÀ IN PROGRAMMA<br />

E IL CAMPIONATO ITALIANO BARMAN UNDER 21<br />

Migliaia di appassionati e tecnici attendono l’inizio<br />

della quarta edizione di Acquavite Italia - Mostra<br />

nazionale del distillato, che si svolgerà a Perugia dal<br />

28 al 30 gennaio 2011. Alla manifestazione organizzata<br />

dall’ANAG Umbria, dall’<strong>Associazione</strong> A tavola con<br />

Bacco e dalla società Eventi DOP di Perugia, sono<br />

stati offerti i patrocini dell’assessorato allo Sviluppo<br />

economico e Turismo di Perugia,<br />

dell’Istituto Nazionale Grappa,<br />

dell’ANAG Federazione nazionale e, per<br />

il terzo anno consecutivo, dell’Ais Umbria.<br />

Tante le aspettative per un evento<br />

diventato un appuntamento da non<br />

perdere per i visitatori che affollano ogni<br />

anno la Rocca Paolina sede principale<br />

della manifestazione.<br />

Protagoniste più di 500 acquaviti tra<br />

grappe, rum, whisky e cognac provenienti da tutta<br />

Italia e dal mondo. Molte le novità in programma tra<br />

cui: la distribuzione gratuita di un alcooltest monouso<br />

a tutti i visitatori che acquisteranno il calice da degustazione<br />

all’ingresso; l’incontro dedicato ai giovani,<br />

durante il quale saranno spiegate le tabelle alcolo-<br />

Critique gastronomique :“À l’heure où le monde<br />

se normalise, il est important de préserver le<br />

bœuf bourguignon, le cassoulet…”<br />

crédit<br />

yeux reste unique pour son<br />

atmosphère si française et en<br />

même temps internationale.”<br />

“En France comme en Italie,<br />

vous avez beaucoup de plats<br />

typiques régionaux. À l’heure<br />

où le monde se normalise et<br />

où chacun perd son identité<br />

culinaire, il est particulièrement<br />

important de préserver<br />

la soupe à l’oignon, le bœuf<br />

bourguignon, le cassoulet, le<br />

confit de canard ou la tartiflette.<br />

Mes préférences : la<br />

bouillabaisse et les fromages.”<br />

Grand connaisseur de notre<br />

gastronomie, il a été nommé<br />

cette année ambassadeur des<br />

fromages français (le seul<br />

Italien) pour la campagne E<br />

viva les fromages !<br />

“Le grand professionnalisme<br />

des Français et leur grande<br />

capacité à promouvoir leurs<br />

terroirs, leurs produits,<br />

m’impressionnent.” Maestro<br />

des techniques de dégustation,<br />

Davide Oltolini a pour<br />

passion le vin, le fromage,<br />

l’eau, le chocolat, les glaces,<br />

le café et aussi la bière et la<br />

charcuterie. Pour Ulysse,il<br />

livre une de ses découvertes<br />

sur l’accord entre les fromages<br />

et les eaux : “Une pâte<br />

riche en matière grasse et<br />

une eau gazeuse s’associent<br />

harmonieusement, à l’exemple<br />

d’un comté bien affiné et<br />

d’une eau à grosses bulles<br />

comme la San Pellegrino.”<br />

JEAN-LUC TOULA-BREYSSE<br />

metriche emanate dal ministero del Lavoro, della<br />

Salute e delle Politiche Sociali, per informarli dei rischi;<br />

visite gratuite alla Galleria nazionale dell’Umbria di<br />

Perugia; tour guidati agli stand espositivi, in compagnia<br />

dei tecnici assaggiatori dell’ANAG Umbria, che<br />

insegneranno come bere in modo consapevole; la<br />

possibilità di acquistare la “special card” che permetterà<br />

di ricevere omaggi e ottenere sconti presso<br />

le società aderenti all’iniziativa; degustazioni a tema,<br />

abbinamenti cibo-acquaviti e cene di fuoco.<br />

Inoltre è previsto lo svolgimento del Premio<br />

Acquavite Italia, campionato italiano barman<br />

– categoria under 21, riservato agli<br />

studenti degli istituti alberghieri d’Italia, che<br />

frequentano le classi monoennio sala bar,<br />

IV e V ristorazione, di età compresa tra i 16<br />

e i 21 anni. La competizione è tesa a valorizzare<br />

la grappa stimolando la fantasia<br />

professionale dei giovani alunni, inserendola<br />

tra gli elementi base della composizione<br />

di cocktail. «Tengo a sottolineare» afferma<br />

Ennio Baccianella, portavoce e organizzatore della<br />

manifestazione, «quanto sia cresciuta l’importanza di<br />

Acquavite Italia, in quanto è considerata nel settore<br />

dei distillati, dagli operatori del settore e dal pubblico,<br />

seconda solo a Vinitaly». Tutte le informazioni su<br />

www.acquaviteitalia.it


Pillole<br />

Vola a Londra<br />

il premio Villa Sandi<br />

Alessandra Celio, senior assistant restaurant manager al Marcus Wareing Restaurant del Berkely<br />

Hotel di Londra; Carlo Ferrigno, food and beverage manager presso NH Hotel du Grand Sablon di<br />

Bruxelles; Filippo Lanciotti, responsabile della gestione della cantina dell’Hotel Ristorante Anita di<br />

Cupra Marittima, in provincia di Ascoli Piceno. Sono i tre giovani professionisti che hanno vinto la<br />

decima edizione del premio internazionale Innovazione nella professione, istituito da Villa Sandi di<br />

Crocetta del Montello nel Trevigiano, prestigiosa realtà enologica che prende il nome dall’edificio<br />

di scuola palladiana risalente al 1622, cuore dell’azienda, unitamente all’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong><br />

<strong>Sommelier</strong>s. Il prestigioso riconoscimento, un assegno da 1550 euro, è indirizzato ai sommelier<br />

under 29 che hanno lavorato o lavorano all’estero in strutture alberghiere e ristorative e che rappresentano<br />

quindi gli ambasciatori per eccellenza del vino italiano nel mondo. Il premio da un<br />

paio di stagioni ha varcato i confini nazionali ed è stato consegnato<br />

ai vincitori durante una cena di gala che si è tenuta per la prima<br />

volta a Londra all’Hotel Ritz e alla quale ha preso parte anche l’ambasciatore<br />

italiano a Londra, Alain Giorgio Maria Economides, segno<br />

del carattere sempre più internazionale dell’iniziativa e dell’importanza<br />

del mercato inglese per i vini italiani.<br />

Creatività, professionalità e spirito di iniziativa sono i tratti distintivi dei<br />

giovani sommelier vincitori, la cui selezione è stata effettuata da una<br />

giuria qualificata composta da giornalisti enogastronomici di fama<br />

internazionale, dal presidente di Villa Sandi, Giancarlo Moretti<br />

Polegato e dal presidente dell’Ais, Terenzio Medri. Questi giovani<br />

sommelier sono sempre più consapevoli del proprio ruolo, che non è<br />

solo quello di suggerire l’abbinamento migliore tra un vino e un piat-<br />

▲ I tre sommelier premiati con Terenzio to, ma anche di essere divulgatori della cultura del vino, comunica-<br />

Medri, Giancarlo Moretti Polegato e tori della storia e del territorio che ogni vino porta con sé e promotori<br />

Alberto Schieppati<br />

di un modo di bere responsabile e consapevole.<br />

Un successo quindi per un concorso che continua nel tempo a valorizzare<br />

i giovani che stanno maturando la propria esperienza nel mondo della sommellerie internazionale<br />

e che si sono già distinti per professionalità e competenza e che prende il nome dalla<br />

storica cantina trevigiana che si trova ai piedi delle colline, tra le zone del Prosecco di<br />

Valdobbiadene e quelle del Montello e del Piave. Un felice esempio di come architettura e<br />

ambiente naturale possano coesistere e mettersi vicendevolmente in risalto in un binomio vincente<br />

che combina il piacere del vino e l’amore per l’arte e il territorio.<br />

(Paolo Giarrusso)<br />

94


Pillole<br />

96<br />

Invitiamo tutti i soci a comunicare la propria e-mail<br />

per ricevere la Newsletter ufficiale dell’Ais<br />

e anche eventuali variazioni dei recapiti telefonici<br />

e dell’indirizzo di riferimento.<br />

Scrivete a<br />

devinis@sommeliersonline.it<br />

ais@sommeliersonline.it<br />

o telefonate allo 02-2846237<br />

Magis: un progetto<br />

tutto da scoprire<br />

Dopo aver fatto capire di non essere un progetto<br />

qualsiasi in occasione della propria nascita,<br />

Magis torna a far parlare di sé. A soli sei mesi di<br />

vita è già sotto le luci della ribalta figurando tra i<br />

finalisti nella categoria Sistemi gestionali integrati<br />

del Premio innovazione ICT – Oltre la crisi: l’Italia<br />

che innova, alla cerimonia di apertura di Smau<br />

2010. A ricevere gli onori del prestigioso riconoscimento,<br />

Angelo Maranzia, food chain specialist<br />

di Bayer Crop Science, tra i partner promotori.<br />

Nato lo scorso anno, il progetto Magis vede<br />

coinvolte oltre a Bayer anche l’Unione italiana<br />

vini, le università di Milano, di<br />

Torino e di Firenze, il CNR-ISPA di<br />

Bari, Assoenologi e Image Line per<br />

quanto concerne la piattaforma<br />

gestionale contenente i dati<br />

aziendali dal vigneto alla cantina.<br />

Puntando dritto all’obiettivo di<br />

creare una nuova mentalità nel<br />

mondo del vino, orientata a produzioni<br />

vitivinicole di qualità realmente<br />

sostenibili in tutti i loro<br />

aspetti, la piattaforma, facendo sistema e passando<br />

attraverso innovazione, formazione e<br />

comunicazione, fornisce al produttore contemporaneamente<br />

il servizio e il mezzo tecnico.<br />

Ciò che si sta creando nella fase di sperimentazione<br />

è un enorme sistema che raccoglie<br />

un’enorme quantità di dati che, grazie all’azione<br />

sinergica delle competenze messe a disposizione<br />

a titolo volontario dai partner, vengono<br />

elaborati per creare protocolli produttivi di<br />

sostenibilità. Anche l’importanza di un corretto<br />

impiego dei mezzi tecnici al fine di ottenere una<br />

vera eco-compatibilità delle produzioni trova<br />

concretezza in giornate di formazione rivolte<br />

agli operatori e incentrate, ad esempio, sulla<br />

corretta taratura degli ugelli delle macchine<br />

irroratrici. Gli appezzamenti sui quali viene svolta<br />

la sperimentazione, di minimo un ettaro, sono<br />

messi a disposizione dalle aziende (per ora set-<br />

tantaquattro) coinvolte nel progetto. Le produzioni<br />

ottenute dagli “appezzamenti Magis” sono<br />

poi messe a confronto con quelle di appezzamenti<br />

standard assolutamente sovrapponibili<br />

per caratteristiche. Le aziende che in questo<br />

primo anno di sperimentazione hanno vendemmiato<br />

(circa il 45 per cento del totale) stanno<br />

inviando i primi dati sia dagli appezzamenti<br />

Magis che da quelli “confronto” e le elaborazioni,<br />

effettuate dall’Università di Piacenza, sapranno<br />

certamente essere eloquenti sulla grandezza<br />

del progetto. Per il momento, le anticipazioni<br />

evidenziano come una gestione Magis delle<br />

colture sia in grado di generare vantaggi<br />

economici e ambientali (riduzione<br />

del numero di trattamenti, della<br />

manodopera e degli ingressi in vigna)<br />

oltre che salutistici, derivanti dalla<br />

possibilità di effettuare, per la prima<br />

volta, una mappatura del rischio<br />

ocratossina (una micotossina ad attività<br />

principalmente nefrotossica) su<br />

uve, mosti e vini che arriva fino all’individuazione<br />

di misure per la sua prevenzione<br />

in campo.<br />

La presenza di una piattaforma informatica di<br />

condivisione dei dati (unica che consente di<br />

accedervi impiegando telefono, i-pod o pc) è<br />

poi in grado di generare un servizio di previsioni<br />

meteo specifiche per singola azienda (calcolate<br />

su una maglia di 2.5x2.5 chilometri rilevate<br />

due volte al giorno), comprensive anche di<br />

velocità del vento calcolata a due metri dal<br />

suolo: un vantaggio netto in fase di decisione su<br />

quando effettuare un trattamento.<br />

Forse in futuro avremo modo di parlare di Magis<br />

in veste di marchio a garanzia della sostenibilità<br />

sociale e ambientale di prodotto magari non<br />

solo sul vino ma anche su altre filiere. Per il<br />

momento, sappiamo che dall’anno prossimo<br />

Magis partirà anche per l’uva da tavola e per le<br />

orticole.<br />

(Michela Lugli)


Libri<br />

SULLO SCAFFALE di Natalia Franchi<br />

BORDERWINE<br />

Autore: Martina Tommasi<br />

Editore: Luglioeditore<br />

Prezzo: 15,00 euro<br />

Finiti i tempi della richiesta di un “bianco” o di un “rosso”<br />

qualsiasi, l’ormai incontrovertibile processo di “acculturazione”<br />

del gusto da parte di un pubblico molto ampio<br />

ha determinato una consapevolezza del consumatore che<br />

va di pari passo con la diversificazione e il raffinamento<br />

del prodotto vino. Un miglioramento coraggioso e progressivo<br />

che prende le mosse dal Settecento del Razionalismo<br />

e dell’Illuminismo: il periodo analizzato da Martina<br />

Tommasi – autrice del saggio – che del vino ha colto la<br />

squisita trasversalità tra epoche, estimatori e detrattori.<br />

Triestina doc, la Tommasi dedica l’analisi alla sua terra:<br />

quel Friuli terra di confine, di scambi commerciali e culturali.<br />

Terra generosa, le cui testimonianze documentarie<br />

sulla produzione del vino risalgono a ben prima del<br />

Settecento, collocandosi nel 180 a.C. con<br />

la fondazione di Aquileia. Ma è nel<br />

Settecento che l’autrice vede la scintilla<br />

da cui è nata la più recente tensione al<br />

costante miglioramento del vino. Uno spirito<br />

pionieristico che ha portato a sperimentazioni<br />

concrete con mente aperta<br />

e libera, seguendo sempre una logica di<br />

confronto e riscontro pratico, dapprima<br />

presso i nobili e i benestanti, per estendersi<br />

poi alle cosiddette persone comuni.<br />

Tanti i pionieri di cui vengono narrate<br />

le gesta. Tra questi colui che viene<br />

definito un vero e proprio guru del marketing<br />

ante litteram: Fabio Asquini, conte<br />

in Fagagna, creatore di un vino unico, il Picolit. Che la<br />

qualità del Picolit fosse notevole è fuori discussione, ma<br />

fu il “piano di marketing” di Asquini a decretare il successo<br />

travolgente di un vino che divenne un mito enologico.<br />

Correva l’anno 1761 e il nobile puntò sulla nicchia<br />

del vino da dessert in un momento in cui il maggior<br />

concorrente, la Francia, non trattava questo genere. Unica<br />

minaccia il Tokaj ungherese, il cui flusso di esportazioni<br />

era ostacolato dalla guerra dei Sette Anni (1756-1763).<br />

La collaborazione con l’agronomo veneto Antonio Zanon<br />

diede l’avvio a un attento marketing relazionale, basato<br />

su una fitta rete di conoscenze altolocate e fidelizzate che<br />

ben presto aprirono al Picolit le porte dell’estero, grazie<br />

al supporto di aristocratici che frequentavano le maggiori<br />

corti europee. Per non parlare della cura dei dettagli:<br />

dai migliori tappi fatti giungere da Londra, all’attenta<br />

scelta della bottiglia, per finire con l’etichetta (ai tempi<br />

applicata al turacciolo, quasi alla stregua di sigillo) dove<br />

il nome del casato Asquini non apparve mai, dal momento<br />

che all’epoca il lavoro nobiliare era visto come un’onta,<br />

anche nel caso di un’attività commerciale di lusso.<br />

Nobiltà illuminata.<br />

SAPERE DI VINO<br />

Autore: Giacomo Tachis<br />

Editore: Mondadori<br />

Prezzo: 18,00 euro<br />

Diplomatosi alla Scuola di enologia di Alba, trasferitosi<br />

in Toscana, nel 1961 Giacomo Tachis approda alla<br />

casa vinicola Marchesi Antinori dove, per trentadue<br />

anni, ricoprirà il ruolo di indimenticato direttore tecnico.<br />

Membro dell’Accademia dei Georgofili, ritenuto<br />

il principe degli enologi per aver promosso il<br />

Rinascimento del vino italiano e scoperto i<br />

Supertuscans, a 77 anni Tachis<br />

lascia l’attività e ci regala questo<br />

saggio quale tributo alla passione<br />

di una vita. Un viaggio pieno<br />

di sorprese tra vigneti, tradizioni<br />

storiche e geografiche, cultura<br />

gastronomica e made in Italy, in<br />

cui svela tutti i segreti del vino,<br />

della selezione della terra, della<br />

viticoltura, delle tecniche di invecchiamento<br />

e della degustazione.<br />

Per Tachis il vino non conoscerà<br />

mai crisi, perché la gente lo beve<br />

e lo berrà sempre. Ma occorre<br />

un’ulteriore innovazione, nel pieno rispetto della natura<br />

e della semplicità del vino. Soprattutto grande attenzione<br />

dovrà essere riservata al ricorso alla chimica,<br />

alla biologia molecolare e all’ingegneria genetica. E<br />

sarà necessario indulgere meno alle lusinghe delle<br />

mode, a decretare successi – si pensi alla notorietà<br />

recente dei vitigni Cabernet e Syrah – piuttosto effimeri<br />

e creatori di falsi miti.<br />

Innumerevoli gli ingannevoli luoghi comuni citati nel<br />

saggio, a cominciare dall’impiego spinto della barrique,<br />

intesa come rimedio universale per dare carattere<br />

ai vini deboli, per finire con il ricorso a trattamenti<br />

chimici per accelerare i processi naturali.<br />

Mentre l’autentica natura del vino rifugge l’inganno,<br />

essendo ogni vino il risultato di una storia e di una<br />

cultura millenaria e della mano di un uomo, l’avanguardia<br />

scientifica deve aiutare ma mai snaturare o<br />

sovrastare.<br />

La qualità del vino è dovuta principalmente alla qualità<br />

dell’uva e della vigna; all’uomo il compito di influenzarne<br />

le caratteristiche organolettiche, operando<br />

comunque su una dote di valore oggettivo. Per questo<br />

Tachis ci accompagna in un viaggio nelle sue terre<br />

d’Italia: in Toscana, tra gli ulivi piantati dagli Etruschi,<br />

in Sardegna, dove da secoli sferzata dal vento cresce<br />

l’uva Nuragus, in Sicilia, dove si produce il Mamertino,<br />

che Giulio Cesare pretendeva ogni giorno sulla sua<br />

tavola, fino nelle isolette del Mediterraneo, luogo di<br />

felicità e di sogni.<br />

“Il futuro dell’enologia sarà quello di esaltare la bevanda<br />

di Bacco in uno dei contesti più cari alla vite per<br />

clima, tradizione e storia: il nostro Paese”.<br />

97


Io non ci sto<br />

Ma il vino italiano nel 2010<br />

ha ancora bisogno<br />

di vitigni “migliorativi”?<br />

Non avrei mai pensato di vedere un Paese dalla antichissima<br />

tradizione enoica come l’Italia ricevere<br />

lezioni di realismo e l’invito a credere di più in quello<br />

che è e in quanto fa, senza indulgere ad assurdi provincialismi,<br />

da una terra dove produrre e consumare vino<br />

è storia molto ma molto più recente come gli Stati Uniti!<br />

Leggendo però una column, come al solito efficace, della<br />

corrispondente americana della rivista britannica Decanter,<br />

Linda Murphy, pubblicata sul numero di ottobre ho capito<br />

che ne abbiamo ancora di strada da fare, e di lezioni<br />

da prendere, prima di poter veramente affermare che crediamo<br />

davvero nei nostri mezzi senza alcun complesso di<br />

inferiorità e senza più tentazioni di scimmiottare quello<br />

che fanno gli altri.<br />

Cosa ha scritto la Murphy? Ha solo invitato i produttori<br />

americani, dopo 40 anni di successi e di affermazioni che<br />

hanno portato gli Stati Uniti (in particolare la California)<br />

a diventare uno dei protagonisti della scena vinicola internazionale,<br />

a fare affidamento solo su se stessi. E di smetterla,<br />

per darsi un tono, per apparire più importanti, di<br />

imitare la Francia. Smetterla di utilizzare termini francesi<br />

come Château, clos, domaine per dare un nome alle<br />

loro aziende (come hanno spesso fatto nei decenni precedenti),<br />

smetterla di scrivere che i loro Chardonnay e<br />

Pinot noir sono prodotti con uve piantate con cloni che<br />

arrivano direttamente dalla Borgogna. Questo perché è<br />

ormai un atteggiamento puramente provinciale, ostentare<br />

l’uso di “Dijon clones”, e perché non è assolutamente<br />

detto che questi cloni, che funzionano perfettamente nei<br />

terroir e nei microclimi borgognoni, si adattino, meglio<br />

di come facciano invece cloni locali delle stesse uve, nei<br />

climi, più caldi, e con epoche di maturazione diverse, di<br />

svariate aree californiane, dove “sviluppano più rapidamente<br />

alti tenori zuccherini, con il rischio di dare vita ad<br />

elevati tenori alcolici” che oggi i consumatori tendono a<br />

rifiutare. Per la wine writer californiana, «l’imitazione può<br />

anche essere una forma di adulazione e di lusinga, anche<br />

per il vino americano, ma è tempo che l’industria vinicola<br />

americana la finisca di rubacchiare dalla Francia (o<br />

dall’Italia o dalla Spagna) e inizi ad usare un proprio linguaggio<br />

per comunicare con i consumatori che non capiscono<br />

parole come ancien, saignée o tirage». Questo l’appello<br />

della giornalista americana ai produttori americani.<br />

In Italia invece, se si guarda a quanto sta succedendo in<br />

molte denominazioni, si è portati a concludere non solo<br />

che invece di guardare al futuro si guardi indietro, ma<br />

che il mondo del vino di un certo deteriore provincialismo<br />

non si sia ancora liberato. Anzi, che non ci pensi<br />

nemmeno. Ricordate gli anni Ottanta e buona parte dei<br />

Novanta caratterizzati dalla parola d’ordine “vitigni migliorativi”?<br />

In tutta Italia si era diffusa la convinzione che<br />

non si potesse produrre un vino di alta qualità e che<br />

non si potessi essere presi in seria considerazione dal<br />

mondo come Paese produttore di alto livello, se nei vigneti,<br />

fossero piemontesi o toscani, siciliani piuttosto che<br />

veneti o pugliesi, non fossero state piantate dosi sostanziose<br />

di uve ritenute in grado di riscattare e nobilitare la<br />

98<br />

di Franco Ziliani<br />

sorte di un Vigneto Italia schiavo di troppe varietà locali<br />

giudicate di scarso livello. E allora vai con gli Chardonnay<br />

e i Sauvignon (piantato anche in Puglia…), e via con i<br />

Cabernet, i Merlot, i Syrah (e in seguito il Petit Verdot)<br />

chiamati a “migliorare” con le loro doti miracolose i nostri<br />

“provincialissimi” vini… Estremismi, errori di gioventù,<br />

malattie d’infanzia di una viticoltura in via di trasformazione,<br />

incline a ingenuità ed esagerazioni anche comprensibili.<br />

Si pensava però che trascorsi vent’anni, studiate e riscoperte,<br />

com’è accaduto nel caso del Sangiovese, tutte le<br />

potenzialità (sinora inesplorate) di molte nostre uve di<br />

valore, e forti del successo incontrato, in Italia e all’estero,<br />

dai nostri vitigni autoctoni, non fosse rimasto più nessuno<br />

a pensare seriamente che per produrre grandi vini<br />

nei nostri terroir fosse indispensabile la “stampella”, l’aiuto,<br />

il miglioramento, di varietà indubbiamente grandi<br />

altrove, ma tutt’altro che indispensabili. Uve che quantomeno,<br />

nel migliore dei casi, hanno favorito un appiattimento<br />

del gusto mediante vini ben poco di terroir e molto<br />

varietali, spesso tutti uguali tra loro.<br />

Ragionamento errato. In Italia, anche se i consumatori<br />

hanno detto chiaramente che sono stanchi di vini omologati<br />

e sono invece alla ricerca di vini originali, evidentemente<br />

molti continuano a pensare che la salvezza e il<br />

successo potranno venire solo dopo l’assunzione di dosi<br />

abbondanti di vitigni bordolesi. Guardate, per credere, in<br />

quanti disciplinari di produzione, che si cerca di cambiare<br />

in tutta fretta, disciplinari di vini di sicura personalità,<br />

si vogliono introdurre dosi robuste dei soliti noti,<br />

Cabernet e Merlot in primis. Accade a Cirò, in Calabria,<br />

dove nella storica Doc Cirò hanno previsto un allargamento<br />

facoltativo della base ampelografica ad altri vitigni<br />

autorizzati e raccomandati per la regione Calabria per<br />

un massimo del 20%. E poi in Toscana, a Montepulciano,<br />

dove alla produzione del Vino Nobile potrebbero concorrere<br />

fino a un massimo del 30% di vitigni complementari<br />

idonei alla coltivazione nella Regione Toscana, e poi in<br />

Maremma, dove per il Morellino di Scansano si è chiesto<br />

il contributo del 15% di altre uve che non siano il<br />

Sangiovese. Ed in Piemonte per la Docg Barbera d’Asti,<br />

per la quale si richiede la possibilità di ricorrere ad un<br />

10% di “altri vitigni a bacca nera, non aromatici”, oppure<br />

a Carema, per l’omonima Doc “di montagna” che potrebbe<br />

essere prodotta con “l’aiutino” di un 15% massimo di<br />

altre uve ben poco “montanare” tipo Merlot o Syrah. E<br />

mi limito a citare solo i casi più clamorosi. Ma perché mai<br />

oggi, se non per fini puramente commerciali e per una<br />

malintesa idea di quello che chiede il mercato, magari<br />

illudendosi di rispondere così alla crisi in atto, introdurre<br />

vitigni internazionali nelle denominazioni storiche?<br />

Come non capire che in questo modo si ottiene solo il<br />

risultato di conformare e standardizzare i vini e di renderli<br />

molto meno interessanti anche commercialmente?<br />

Dicano pure che non ci sono alternative, che è il mercato<br />

globale a costringere a simili scelte. La mia risposta,<br />

forse monotona, ma coerente, sarà sempre la stessa: mi<br />

spiace, ma io non ci sto!

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