Scarica l'Allegato - Associazione Italiana Sommelier
Scarica l'Allegato - Associazione Italiana Sommelier
Scarica l'Allegato - Associazione Italiana Sommelier
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
DCOOS5458<br />
GIPA/LO/CONV/028/2010<br />
DEVinis<br />
LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ,<br />
LA CUL TURA, IL PIACERE,<br />
IPROTAGONISTIDELBEREBENE<br />
Anno XVII - n. 96 - € 3,50<br />
Novembre / Dicembre 2010<br />
PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z<br />
www.sommelier.it - ais@sommeliersonline.it
Editoriale<br />
Lavoriamo<br />
per un’Ais<br />
sempre più forte<br />
di Antonello Maietta<br />
Da pochi giorni si è concluso l’iter che ogni quattro<br />
anni conduce l’Ais al rinnovo dei vertici associativi,<br />
iniziato in primavera con l’elezione dei<br />
Presidenti regionali. Grazie al voto unanime del Consiglio<br />
Nazionale, espressione delle singole realtà territoriali,<br />
avrò il compito di guidare un gruppo di colleghi di provata<br />
affidabilità e competenza, con cui da tempo condivido<br />
sentimenti di stima e amicizia. Ma il vero privilegio,<br />
di cui tutti ci sentiamo onorati, sarà quello di rappresentare,<br />
in Italia e all’estero, una <strong>Associazione</strong> dinamica<br />
e professionale, a cui l’intero mondo del vino guarda<br />
con simpatia e attenzione.<br />
Ci aspettano sfide significative in un momento difficile<br />
per il settore. Abbiamo bisogno del consolidamento e dell’affermazione<br />
generalizzata delle nostre eccellenze.<br />
Quindi, cari amici, serriamo le fila per presentarci come<br />
un interlocutore forte e coeso, recuperiamo tutti assieme<br />
quell’orgoglio di appartenenza a una comunità estesa<br />
ben oltre i confini nazionali, che in 45 anni di vita ha<br />
fatto sempre il proprio dovere per promuovere il vino di<br />
qualità, facendo crescere generazioni di professionisti<br />
e di appassionati.<br />
Saremo impegnati in una campagna di fidelizzazione del<br />
▲ Renato Paglia, Terenzio Medri,<br />
Antonello Maietta e Roberto Bellini<br />
socio attraverso una “tessera pesante”, da esibire con<br />
ambizione, che consentirà di beneficiare di agevolazioni<br />
esclusive. Azioneremo con efficacia le leve della comunicazione,<br />
per dare risalto ai grandi eventi che periodicamente<br />
prendono vita nei nostri territori. Un occhio<br />
attento sarà rivolto alla formazione e alla didattica, vero<br />
fiore all’occhiello dell’Ais, per mettere a disposizione di<br />
tutti il nostro innegabile patrimonio di conoscenza.<br />
Non nascondo la nostra emozione per le numerosissime<br />
attestazioni di stima e di incitamento che da più parti<br />
stiamo ricevendo; siamo lusingati nel constatare tangibilmente<br />
l’attaccamento a questa nostra <strong>Associazione</strong>.<br />
La percezione del vostro affetto ci accompagnerà quotidianamente<br />
e sarà determinante nell’infondere forza,<br />
energia ed entusiasmo alle nostre azioni. Vi chiediamo<br />
di rimanere al nostro fianco nei prossimi quattro anni<br />
e di non farci mai mancare il vostro sostegno e una critica<br />
costruttiva; da parte nostra ci impegniamo a onorare<br />
il mandato ricevuto con serietà, dedizione e spirito<br />
associativo.<br />
A voi tutti dedichiamo il nostro brindisi più speciale per<br />
le imminenti festività, con l’augurio di poterlo condividere<br />
con le persone che più vi sono care.<br />
3
AIS 2011<br />
Anno XVII novembre-dicembre 2010<br />
<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s Editore<br />
Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, terenzio.medri@sommeliersonline.it<br />
Coordinamento redazionale | Francesca Cantiani, francesca.cantiani@sommeliersonline.it<br />
Per la pubblicità | Top Communication Sas topcommunicationsas@live.it Tel. +39 392/8289316<br />
Redazione | <strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s<br />
Viale Monza 9 - 20125 Milano<br />
Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - devinis@sommeliersonline.it<br />
Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it<br />
Hanno collaborato | Ennio Baccianella, Fabio Brioschi, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Riccardo Castaldi,<br />
Pinuccio Del Menico, Elisa della Barba, Piermaurizio Di Rienzo, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Paolo<br />
Giarrusso, Maddalena Giuffrida, Emanuele Lavizzari, Michela Lugli, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Angelo<br />
Matteucci, Davide Oltolini, Fulvio Piccinino, Paolo Pirovano, Annalisa Raduano, Gabriele Ricci Alunni, Luigi Salvo,<br />
Ludovica Schiaroli, Gianluigi Zanovello, Paolo Zatta, Franco Ziliani.<br />
Fotografie | Archivio Ais<br />
Per l’articolo a firma di Alessandro Franceschini foto gentilmente concesse dal Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese<br />
Per l’articolo a firma di Annalisa Raduano foto di Nevio Diaz e Francesco Galifi<br />
Per l’articolo a firma di Ludovica Schiaroli foto di Beppe Cumbo<br />
Per l’articolo a firma di Riccardo Castaldi foto dello stesso autore<br />
Per l’articolo alle pagine 90-91 su Piero Lugano foto di Giuliano Cavallino<br />
4<br />
AIS <strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s<br />
Presidente | Antonello Maietta<br />
Vicepresidenti | Renato Paglia, Roberto Bellini<br />
Membri della Giunta Esecutiva Nazionale | Antonello Maietta, Renato Paglia, Cristiano Cini, Luca Panunzio,<br />
Gabriele Ricci Alunni, Marco Starace, Roberto Bellini, Mauro Carosso, Giorgio Rinaldi<br />
Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001<br />
Associato USPI<br />
Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 45,00<br />
Intestare ad “<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versamento<br />
da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità:<br />
- pagamento tramite c/c postale 000058623208<br />
- bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice<br />
SWIFT BPPIITRRXXX)<br />
- bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano,<br />
IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001)<br />
Chiuso in redazione il 09-11-2010<br />
Stampa | Grafiche Parole Nuove Srl - Brugherio Milano<br />
Copie di questo numero | 40.000<br />
È possibile rinnovare l’iscrizione nei<br />
seguenti modi:<br />
Internet<br />
basta collegarsi al sito<br />
www.sommelier.it,<br />
cliccare su “Rinnovi Online”<br />
e seguire le istruzioni<br />
per effettuare il pagamento<br />
tramite Carta di Credito<br />
(escluso Diners Card).<br />
La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene.<br />
Rinnovo quota associativa 2011<br />
c/c postale<br />
n. 58623208 intestato ad<br />
“<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s<br />
Viale Monza 9, 20125 Milano”,<br />
indicare nella causale<br />
“Quota associativa 2011”.<br />
Bonifico presso Banco Posta<br />
intestato ad “<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong><br />
<strong>Sommelier</strong>s” IBAN<br />
IT83K0760101600000058623208<br />
(aggiungere per versamenti<br />
dall’estero codice<br />
SWIFT BPPIITRRXXX).<br />
Bonifico bancario<br />
presso “Banca Intesa Sanpaolo,<br />
via Costa 1/A, Milano” intestato ad<br />
“<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s”<br />
codice IBAN<br />
IT26H0306909442625008307992<br />
(aggiungere per versamenti<br />
dall’estero codice<br />
SWIFT BCITIT22001)<br />
La quota associativa è di 80 euro<br />
e comprende l’abbonamento annuo<br />
alla rivista ufficiale AIS e alla Guida<br />
Duemilavini edizione 2012.
Il saluto<br />
Grazie<br />
a tutti voi<br />
di Terenzio Medri<br />
Èper me doveroso iniziare con<br />
un “grazie” a voi tutti, alla<br />
grande famiglia dell’Ais che<br />
ho avuto l’onore di guidare per otto<br />
anni, dal 2002 fino all’inizio di<br />
novembre. Otto anni che mi hanno<br />
arricchito professionalmente e umanamente.<br />
Uno straordinario viaggio<br />
attraverso i territori italiani del vino,<br />
a stretto contatto con i sommelier,<br />
i dirigenti, i produttori. A servizio<br />
dell’associazione, della sua unità e<br />
del suo sviluppo. Lascio un’Ais unita<br />
e forte. Unita grazie a una organizzazione<br />
che ha imparato a valorizzare<br />
le realtà regionali con la riforma<br />
statutaria del 2003 sull’autonomia<br />
(un federalismo “ante litteram”)<br />
e, al tempo stesso, a integrarle in<br />
un progetto comune di respiro<br />
nazionale.<br />
Forte, cioè autorevole, ascoltata,<br />
accreditata presso i produttori vitivinicoli,<br />
presso gli attori della filiera<br />
commerciale che da essi ha origine<br />
– enoteche, ristoranti, alberghi<br />
– e presso le istituzioni pubbliche.<br />
Forte perché solida economicamente,<br />
con un bilancio sano, in attivo,<br />
che consente, grazie a un strategia<br />
bene impostata, di programmare gli<br />
investimenti futuri in idee e progetti.<br />
E con la nuova sede, di cui abbiamo<br />
completato l’acquisto. Molto c’è<br />
ancora da fare, ma la strada è tracciata.<br />
Si può procedere spediti. In<br />
buona compagnia, con le altre associazioni<br />
del settore enogastronomico,<br />
con i centri di alta formazione<br />
e le università. La meta è certa: la<br />
▲ Terenzio Medri insieme ai suoi familiari e a Luca Gardini, Miglior<br />
<strong>Sommelier</strong> del Mondo<br />
presenza diffusa dell’Ais a livello<br />
mondiale.<br />
Desidero qui ringraziare i responsabili<br />
della formazione Ais che<br />
hanno saputo preparare professionisti<br />
che tutti ci invidiano con una<br />
didattica di alto profilo, moderna e<br />
aggiornata, della quale sono chiaro<br />
esempio i tre livelli corsuali e la<br />
nuova manualistica, già tradotta in<br />
diverse lingue.<br />
Abbiamo realizzato insieme una<br />
grande operazione culturale che ha<br />
radicalmente trasformato la figura<br />
del sommelier, posizionandolo come<br />
comunicatore esperto del mondo del<br />
vino e, oltre, delle eccellenze enogastronomiche<br />
italiane, del “made in<br />
Italy” agroalimentare.<br />
Continuerò come sommelier asso-<br />
ciato a seguirvi e a sostenervi. Mi<br />
attendono nuovi e importanti impegni<br />
nel turismo e nell’associazionismo<br />
imprenditoriale della mia regione,<br />
nei quali porterò il patrimonio<br />
umano e professionale di questi otto<br />
anni che mi rimarranno nel cuore<br />
indimenticabili come gli otto minuti<br />
di applausi dopo la mia relazione<br />
al Congresso nazionale di<br />
Perugia. Per concludere, oltre ad<br />
augurare a tutti voi buon Natale e<br />
felice 2011, voglio rivolgere un grazie<br />
anche a mia moglie Luciana, a<br />
mia figlia Barbara e al suo compagno<br />
Mario che aiutandomi nell’attività<br />
di albergatore, mi hanno consentito<br />
di dedicare il tempo all’associazione.<br />
Senza di loro non ce<br />
l’avrei fatta.<br />
5
Sommario<br />
Novembre / Dicembre 2010<br />
“SOTTO LA NEVE C’È IL PANE”,<br />
RECITA UN ANTICO<br />
ADAGIO POPOLARE!<br />
8<br />
La nostra squadra<br />
I NUOVI ORGANI DIRETTIVI DELL’AIS<br />
12 Il cuore dell’Umbria<br />
SI È SVOLTO A PERUGIA IL 44.MO CONGRESSO NAZIONALE<br />
14 Produttori e strategie comuni<br />
PERCHÉ L’ITALIA NON RIESCE A FARE SISTEMA?<br />
16 Sorsi di storia<br />
I VINI UMBRI DA RICORDARE<br />
20 Sul tetto del mondo<br />
LUCA GARDINI VINCE IL TITOLO IRIDATO<br />
26 I tesori del Südtirol<br />
DEGUSTAZIONE DELLE BOLLICINE ALTOATESINE<br />
30 Effervescenza con sfumature rosé<br />
LA VOCAZIONE SPUMANTISTICA DELL’OTREPÒ PAVESE<br />
38 L’uva della Serenissima<br />
VIGNETI IN LAGUNA A VENEZIA<br />
42 Le radici della Sicilia<br />
FARO, UNA DOC DA RISCOPRIRE<br />
46 La forza delle cooperative<br />
RISORSE E QUALITÀ PER VALORIZZARE IL TERRITORIO
52 La salute in un bicchiere<br />
IL VINO, RIMEDIO CURATIVO FIN DALL’ANTICHITÀ<br />
56 Viticoltura nel rispetto dell’ambiente<br />
IL SUCCESSO DELLA NUOVA ZELANDA<br />
62 Herzlich willkommen!<br />
PAESAGGI E SAPORI DELLA GERMANIA<br />
74 Profumi di erbe antiche<br />
LA TRADIZIONE DELLA LIQUORISTICA PIEMONTESE<br />
78 Miti e culture del passato<br />
IL VINO NELL’ANTICA GRECIA<br />
All’interno 48 Musei GLI AROMI E LA STORIA DEL CAFFÈ<br />
60 Mappamondo IN SVIZZERA ALLA SCOPERTA DEL VALLESE<br />
68 Olio SI CONSUMA MA SENZA CONOSCERLO<br />
70 Birra UN ARTIGIANO DEL SALENTO<br />
72 Distillati LE SUPERBE GRAPPE DEL TRENTINO<br />
84 Viticoltura I VINI DELL’ABBAZIA DI NOVACELLA<br />
88 Curiosità BRINDISI AI 50 ANNI DELLE FRECCE TRICOLORI<br />
97 Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI<br />
98 Io non ci sto! IN ITALIA C’È ANCORA BISOGNO DI VITIGNI “MIGLIORATIVI”?
Elezioni Ais<br />
I nuovi organi direttivi<br />
CONSIGLIO NAZIONALE<br />
eletto il 27 Ottobre 2010<br />
<strong>Sommelier</strong> Professionisti<br />
Luca Castelletti<br />
Cristiano Cini<br />
Antonello Maietta<br />
Renato Paglia<br />
Luca Panunzio<br />
Gabriele Ricci Alunni<br />
Marco Starace<br />
Leonardo Taddei<br />
<strong>Sommelier</strong><br />
Roberto Bellini<br />
Mauro Carosso<br />
Aldo Corrado<br />
Giorgio Rinaldi<br />
8<br />
GIUNTA ESECUTIVA NAZIONALE<br />
eletta l’8 novembre 2010<br />
<strong>Sommelier</strong> Professionisti<br />
Presidente: Antonello Maietta<br />
Vice Presidente: Renato Paglia<br />
Cristiano Cini<br />
Luca Panunzio<br />
Gabriele Ricci Alunni<br />
Marco Starace<br />
<strong>Sommelier</strong><br />
Vice Presidente: Roberto Bellini<br />
Mauro Carosso<br />
Giorgio Rinaldi<br />
COLLEGIO REVISORI DEI CONTI<br />
Roberto Armelisasso (Presidente)<br />
Guido Guetta<br />
Giovanni Luchetti
IL CONSIGLIO NAZIONALE<br />
Antonello Maietta - Presidente Renato Paglia - Vice Presidente Roberto Bellini - Vicepresidente<br />
Luca Castelletti Cristiano Cini Luca Panunzio<br />
Gabriele Ricci Alunni Marco Starace Leonardo Taddei<br />
Mauro Carosso Aldo Corrado Giorgio Rinaldi<br />
9
Elezioni Ais<br />
Presidenti Associazioni Regionali<br />
Consiglieri di diritto<br />
VALLE D’AOSTA<br />
Moreno Rossin<br />
TRENTINO<br />
Mariano Francesconi<br />
EMILIA<br />
Quirino Raffaele Piccirilli<br />
MARCHE<br />
Domenico Balducci<br />
CAMPANIA<br />
Nicoletta Gargiulo<br />
10<br />
PIEMONTE<br />
Fabio Gallo<br />
ALTO ADIGE<br />
Christine Mayr<br />
ROMAGNA<br />
Gian Carlo Mondini<br />
LAZIO<br />
Franco Ricci<br />
PUGLIA<br />
Vito Sante Cecere<br />
LOMBARDIA<br />
Fiorenzo Detti<br />
FRIULI VENEZIA GIULIA<br />
Renzo Zorzi<br />
TOSCANA<br />
Osvaldo Baroncelli<br />
ABRUZZO<br />
Gaudenzio D’Angelo<br />
CALABRIA<br />
Gennaro Convertini<br />
VENETO<br />
Dino Marchi<br />
LIGURIA<br />
Alex Molinari<br />
UMBRIA<br />
Sandro Camilli<br />
MOLISE<br />
Giovanna Di Pietro<br />
BASILICATA<br />
Vito Giuseppe D’Angelo
SICILIA<br />
Camillo Privitera<br />
GRAN BRETAGNA<br />
Andrea Rinaldi<br />
SARDEGNA<br />
Giuseppina Pilloni<br />
Collegio dei Revisori<br />
dei Conti<br />
Roberto Armelisasso Guido Guetta<br />
Giovanni Luchetti
Congresso Ais<br />
Il cuore nobile<br />
dell’Umbria<br />
conquista i sommelier<br />
IL 44° CONGRESSO<br />
NAZIONALE DELL’AIS A<br />
PERUGIA È STATO<br />
L’OCCASIONE PER<br />
APPREZZARE I VINI<br />
LOCALI E PRESENTARE<br />
NUOVE INIZIATIVE PER IL<br />
RILANCIO SUI MERCATI<br />
NAZIONALI ED ESTERI<br />
DELLE ECCELLENZE<br />
UMBRE<br />
12<br />
di Ennio Baccianella<br />
Si è concluso con una standing<br />
ovation il 44° Congresso<br />
dell’Ais tenutosi all’Hotel<br />
Brufani di Perugia. Il presidente<br />
dell’Ais Umbria, Gabriele Ricci<br />
Alunni, presentando l’evento, ha<br />
sottolineato come il lavoro dei sommelier<br />
abbia favorito la conoscenza<br />
e la valorizzazione delle eccellenze<br />
enologiche e del territorio. Per la<br />
prima volta sono arrivati importatori<br />
provenienti dalla Germania e<br />
dal Regno Unito che hanno visitato<br />
l’Umbria e, guidati dalla delegata<br />
dell’Ais della Germania del Nord,<br />
Sofia Biancolin, hanno potuto<br />
apprezzare le produzioni di alcune<br />
aziende regionali e partecipare<br />
alle degustazioni in programma.<br />
Cuore della manifestazione è stato<br />
il concorso “Miglior <strong>Sommelier</strong><br />
d’Italia-Premio Franciacorta”, che<br />
si è svolto al Teatro Pavone.<br />
Quindici i sommelier professionisti<br />
in gara. A vincere il titolo è stato<br />
Nicola Bonera, classe 1979, bresciano,<br />
miglior sommelier di<br />
Lombardia nel 2002 e master del<br />
Sangiovese nel 2006, che lavora<br />
come wine consultant per diversi<br />
ristoranti ed enoteche.<br />
«Questa vittoria significa il coronamento<br />
di un sogno, contatti, autostima,<br />
maggiore convinzione ma<br />
soprattutto soddisfazione personale.<br />
Ero contento anche le due volte<br />
in cui sono arrivato secondo ma<br />
questo è qualcosa in più» ha dichiarato<br />
Bonera a fine concorso. Bonera<br />
ha preceduto gli altri due finalisti,<br />
il toscano Gabriele Del Carlo, sommelier<br />
del Four Seasons Hotel<br />
George V di Parigi e Niccolò Baù,<br />
campione veneto lo scorso anno.<br />
L’Happy Hour 61, aperitivo di benvenuto<br />
offerto ai congressisti e alla<br />
città di Perugia dall’Azienda Guido<br />
Berlucchi, ha riscosso il previsto<br />
successo, coinvolgendo il centro<br />
della città in un evento unico, sulle<br />
note della musica degli anni<br />
Settanta.<br />
Il gran galà di benvenuto all’Egizia<br />
Dancing di Deruta è stata invece<br />
l’occasione per apprezzare i vini<br />
della Strada del Cantico e i cioccolatini<br />
preparati dal mastro cioccolatiere<br />
Alberto Farinelli della<br />
scuola del cioccolato Perugina, ma<br />
anche per applaudire i vincitori del<br />
Premio “Bonaventura Maschio – La<br />
ricerca dell’eccellenza”.<br />
Palazzo dei Priori e la splendida Sala
dei Notari hanno accolto l’apertura<br />
ufficiale del 44° Congresso nazionale<br />
e la tavola rotonda sul tema<br />
“Perché l’Italia del vino non riesce<br />
a fare sistema?”. Renzo Cotarella,<br />
Gianni Zonin, Vinzia Novara,<br />
Maurizio Zanella, Franco Maria<br />
Ricci, Marco Caprai e Pompeo<br />
Farchioni stimolati e provocati dal<br />
giornalista Rai (umbro Doc)<br />
Lamberto Sposini hanno affrontato<br />
l’argomento, analizzandolo sotto<br />
vari punti di vista.<br />
Franco Zonin ha affermato che con<br />
l’entrata in vigore del nuovo codice<br />
della strada, che a suo parere<br />
demonizza il gusto del bere, il consumo<br />
procapite è sceso di 3,4 litri.<br />
«Bisogna unire le forze ma soprattutto<br />
la politica deve assumere un<br />
ruolo centrale, da mediatrice, deve<br />
mettere ordine e farsi carico di un<br />
progetto comune» ha affermato<br />
Pompeo Farchioni. Marco Caprai<br />
ha sottolineato come manchi un<br />
“progetto vino” e Vinzia Novara<br />
(Cantine Firriato), raccontando<br />
l’esperienza siciliana, ha suggerito<br />
di partire dal territorio per unire i<br />
diversi interessi dei produttori e fare<br />
parte di un’unica squadra. Renzo<br />
Cotarella si è dimostrato più pessimista:<br />
«Fare squadra è un bel progetto<br />
ma è difficile da realizzare a<br />
causa delle numerose divergenze di<br />
interessi».<br />
Franco Maria Ricci ha ribadito invece<br />
il ruolo di educatore del sommelier<br />
contro la cultura dell’assaggio,<br />
poiché a suo dire è una forma<br />
di spreco che non porta nulla di<br />
positivo alle cantine. *<br />
A conclusione è stato presentato un<br />
nuovo progetto: il MOT, acronimo<br />
che sta per Montefalco - Orvieto -<br />
Torgiano. I sindaci di questi tre<br />
importanti comuni umbri hanno<br />
firmano un protocollo d’intenti per<br />
rilanciare un progetto unitario sul<br />
vino, iniziando con il “MOT Day”,<br />
prima tappa a Torgiano.<br />
Ancora un momento suggestivo al<br />
complesso monumentale di Santa<br />
Giuliana, in compagnia de “La Notte<br />
delle Stelle”. Gli chef stellati umbri<br />
Marco Bistarelli del ristorante Il<br />
Postale e Marco Gubbiotti del ristorante<br />
La Bastiglia hanno interpretato<br />
un menù stellato unitamente<br />
ai vini del Consorzio di Montefalco.<br />
Durante la serata la vicepresiden-<br />
te regionale Margherita Pierini ha<br />
consegnato a Gabriele Ricci Alunni,<br />
giunto al termine del suo mandato<br />
da presidente dell’Ais dell’Umbria,<br />
una targa per ringraziarlo dell’attività<br />
svolta in otto anni, dedicati alla<br />
crescita culturale e professionale<br />
dell’associazione e alla valorizzazione<br />
dei vini umbri.<br />
Vini che sono stati giustamente al<br />
centro della degustazione “I vini che<br />
hanno fatto la storia dell’Umbria”.<br />
Nella sala allestita per l’occasione<br />
all’Hotel Brufani Palace nel centro<br />
della città sono state presentate<br />
annate storiche di alcuni vini, che<br />
hanno portato la propria qualità a<br />
rimanere per sempre scritta nella<br />
storia enologica d’Italia e mondiale.<br />
Un successo oltre ogni previsione<br />
con oltre un centinaio di presenze.<br />
I vini in degustazione sono stati:<br />
Orvieto Classico Superiore “Campo<br />
del Guardiano” anno 1998 Cantina<br />
Palazzone, “Cervaro della Sala” anno<br />
1991 Castello della Sala Cantina<br />
Antinori, “Campoleone” anno 1999<br />
Cantina Lamborghini, “Rubino”<br />
anno 1997 Cantina La Palazzola,<br />
“Rosso d’Arquata” anno 1994<br />
Azienda Agricola Adanti, Torgiano<br />
Rosso Riserva “Vigna Monticchio”<br />
anno 1982 Cantina Lungarotti,<br />
“Sagrantino di Montefalco 25 anni”<br />
anno 1995 Cantina Arnaldo Caprai<br />
e “Calcaia” anno 1994 Cantine<br />
Barberani.<br />
* I contenuti della tavola rotonda<br />
sono approfonditi nell’articolo successivo<br />
▲ Gli importatori esteri presenti al Congresso<br />
▲ I vincitori del Premio Bonaventura<br />
Maschio, Pietro Caravello, Sabrina<br />
Somigli e Marco Catapano con Andrea<br />
Maschio<br />
▲ Gabriele Ricci Alunni, presidente<br />
uscente di Ais Umbria<br />
▼ Gabriele Del Carlo, Nicola<br />
Bonera e Niccolò Baù, i tre finalisti<br />
del Premio Franciacorta<br />
13
Congresso Ais<br />
I pro<br />
e i contro<br />
del fare squadra<br />
NEL CORSO DELLA<br />
TAVOLA ROTONDA I<br />
RELATORI HANNO<br />
DISCUSSO<br />
SULL’IMPORTANZA DI<br />
CREARE UN “SISTEMA<br />
VINO” CHE POSSA<br />
RILANCIARE IL MADE IN<br />
ITALY ENOLOGICO NEL<br />
MONDO<br />
14<br />
di Pinuccio Del Menico<br />
un problema atavico che deriva da una non voglia di stare<br />
insieme. E così l’Ais si propone come testimone di un patto<br />
«Esiste<br />
ideale per creare una squadra del vino con i produttori». Franco<br />
Maria Ricci ha così aperto il convegno tenutosi nella fantastica Sala dei<br />
Notari di Perugia. Sotto gli otto archi trasversali e immersi negli affreschi<br />
duecenteschi con cicli allegorici e biblici, poltroncine e antiche tribune lignee<br />
esaurite in ogni ordine di posti per discutere un tema che si può riassumere<br />
in una domanda fondamentale: «Che cosa fare per andare verso un futuro<br />
più roseo?». E con la chiarezza che lo contraddistingue ancora Franco<br />
M. Ricci: «Il nostro lavoro è insegnare il vino. In questo senso diventa fondamentale<br />
investire in cultura per spiegare il vino. Ma attenzione: non servono<br />
a nulla esposizioni con stand da un milione che poi finiscono in tasca<br />
ad architetti e falegnami e al nostro mondo non rimane nulla. Un esempio<br />
dei risultati ottenibili con una seria promozione viene dai dati ufficiali sul<br />
turismo negli Stati Uniti: al primo posto tra i siti visitati c’è Disneyland. Al<br />
secondo posto la California, ma non le sue spiagge, bensì Napavalley, la<br />
terra del vino. Senza dimenticare che il vino è rimasto l’ultimo, vero, made<br />
in Italy».<br />
D’accordo anche Antonello Maietta: «Oggi il made in Italy agricolo è l’unico<br />
che può garantire ai consumatori italiani e internazionali qualità e tracciabilità.<br />
Basti pensare al settore abbigliamento e accessori moda: hanno un<br />
marchio italiano ma chissà dove sono stati fatti». Dopo la provocazione del<br />
moderatore dell’incontro, il giornalista Lamberto Sposini («Ma siamo sicuri<br />
che non fare sistema sia un limite?»), i pareri di produttori ed enologi.<br />
Vinzia Novara: «Fare squadra è un bene da un lato, soprattutto per la nostra<br />
creatività. In Italia ci sono molte differenze tra nord e sud, di storia e di<br />
distanza tra le zone. Noi, per esempio, parliamo prima di marchio e poi di<br />
territorio. In effetti in Italia c’è separazione tra i produttori, al contrario di<br />
ciò che succede all’estero dove si lavora per raggiungere gli stessi obiettivi,<br />
ma senza cedere nell’omologazione».<br />
Pompeo Farchioni: «Credo sia una follia massificare la promozione perché<br />
in Italia ci sono vini di altissima qualità e prodotti da pochi euro. Quindi<br />
mai fare progetti in generale. Inoltre se federalismo deve essere ci sia in<br />
tutto, visto che ogni regione anche nel nostro settore ha esigenze e caratteristiche<br />
diverse. Io penso che sia giusto cominciare a lavorare sul punto<br />
che ci unisce anziché sui novantanove sui quali non siamo d’accordo.
▲ I relatori della tavola rotonda ''Perché l'Italia non riesce a fare sistema?''<br />
Potrebbe essere questo il punto di partenza per fare squadra».<br />
Marco Caprai: «Come paradosso potrei fare l’esempio dei soldi: forse in Italia<br />
ce ne sono addirittura troppi. Tutti si lamentano, poi ci sono delegazioni<br />
numerosissime che partono da Perugia alla volta di Riga per promuovere<br />
una specialità gastronomica. E spesso a danno degli agricoltori. Manca probabilmente<br />
una programmazione seria e dovremmo obbligare le rappresentanze<br />
di cui facciamo parte ad approcciate il “tema vino” in maniera diversa.<br />
L’Ais, in questo senso, ha un ruolo fondamentale nello spiegare il nostro<br />
prodotto, visto che abbiamo oltre cinquecento Doc contro i sette-otto vini<br />
dell’Australia, per esempio. Quindi per noi tutto è più difficile. Inoltre l’Ais<br />
potrebbe formare 10mila sommelier in Cina, il mercato del futuro».<br />
Maurizio Zanella: «Credo che la Franciacorta sia un esempio di zona che<br />
ha saputo mettere d’accordo i singoli e le esigenze del territorio. Certo è<br />
stato più facile perché non ci sono industriali del settore e cantine sociali.<br />
Ma fare sistema è comunque indispensabile anche per evitare sprechi come<br />
è capitato per lo stesso vino promosso a New York da persone diverse. Altro<br />
esempio l’assenza quando si parlava di tasso alcolemico e guida dell’auto.<br />
Nessuno ha mai scritto neppure una lettera al ministro».<br />
Renzo Cotarella: «Difficile fare squadra. Ci sono diversi interessi tra troppe<br />
categorie e una visione del vino generazionale. Un vino di qualità non<br />
può essere un vino di moda. Un vigneto dura per sempre, settanta, ottant’anni.<br />
Quindi un prodotto di moda non può essere una espressione di un<br />
territorio. Ripeto, ci sono troppi interessi diversi e per questo non so<br />
quanto fare squadra sia una cosa positiva».<br />
Gianni Zonin: «In troppi non capiscono nulla del nostro mondo. In Italia si<br />
stanno rimuovendo vigneti a 50-80 mila euro l’ettaro. Si parla di venti miliardi<br />
di euro per rimuovere il vigneto Italia. E poi ogni cinque anni cambia la<br />
moda. Prima il Pinot Grigio, poi il Nero d’Avola, adesso il Prosecco. Andrà<br />
a finire che finiremo in sovraproduzione. C’è poi una burocrazia che immobilizza.<br />
Negli Stati Uniti in novanta minuti si sono decisi i confini della<br />
Doc Monticello, il giorno dopo è stata spedita la lettera e dopo una settimana<br />
è arrivata l’autorizzazione. Anni fa visitai Australia e Usa. Avevano tecnologie<br />
che non valevano nulla: adesso ci hanno superato. Ecco, la funzione<br />
dei sommelier potrebbe essere quella di mettere tutti d’accordo: quale<br />
è la gradazione migliore? Quale quella giusta? Ecco questo potrebbe essere<br />
il compito dell’Ais: aiutare il nostro mondo a fare squadra».<br />
15
Congresso Ais<br />
I vini che fanno<br />
la storia<br />
dell’Umbria<br />
QUESTO CUORE VERDE D’ITALIA HA I REQUISITI GIUSTI PER ESSERE CONSIDERATO<br />
UN TERROIR ECCELLENTE DEL PANORAMA ENOLOGICO NAZIONALE<br />
▲ Uve di Sagrantino in appassimento<br />
16<br />
di Gabriele Ricci Alunni<br />
Protagonisti di questa batteria unica e irripetibile<br />
sono i vini che si sono contraddistinti per aver<br />
suscitato, magari in tempi diversi, l’interesse della<br />
stampa e degli appassionati accendendo i riflettori, per<br />
la prima volta, su un territorio fino a questo momento<br />
sconosciuto ai più. Analizzando bene la provenienza la<br />
prima cosa che si evidenzia è che c’è una copertura di<br />
tutte le zone viticole più importanti dell’Umbria a dimostrazione<br />
che questo territorio denominato “il cuore<br />
verde d’Italia” ha tutti i requisiti per essere considerato<br />
un terroir eccellente del panorama enologico nazionale.<br />
Oltre a grandi rossi che rappresentano la maggioranza,<br />
ci sono due grandi vini bianchi, che guardando<br />
l’annata presentano una venerabile età, sfatando,<br />
qualora ce ne fosse ancora bisogno, il luogo comune<br />
che i vini bianchi e soprattutto gli umbri non possano<br />
invecchiare. Conclude la batteria un muffato, una grande<br />
tipologia di vino dolce tipica della nostra zona di<br />
Orvieto e di poche altre al mondo.<br />
Vini impregnati di una storia autentica, forniti con slancio<br />
e cortesia da produttori che hanno attinto dalla loro<br />
cantina privata e che testimoniano la tenacia e la passione<br />
dei loro creatori.<br />
«Vi presentiamo questa degustazione come ultima iniziativa,<br />
sperando vivamente che contribuisca a trasmettere<br />
un’emozione “intensa, persistente e complessa”<br />
come suggello definitivo dei momenti di condivisione<br />
della vita associativa di questi giorni, diventando magari<br />
un ricordo indelebile della vostra gentile presenza<br />
nella nostra straordinaria terra». Con questa frase<br />
terminava nel book la presentazione che accompagnava<br />
la degustazione, con le descrizioni organolettiche e<br />
le emozioni soprattutto, dei quattro degustatori d’eccellenza<br />
che le hanno guidate dopo una presentazione<br />
storica fatta dai produttori.<br />
Luca Martini, miglior sommelier d’Italia 2009, Nicola<br />
Bonera, miglior sommelier d’Italia 2010, Gabriele Del<br />
Carlo, vice campione italiano 2010, Roberto Anesi, vincitore<br />
del quarto Gran Premio Sagrantino, con le loro<br />
descrizioni, precise, professionali ed emozionanti hanno<br />
accompagnato alla scoperta dei gioielli che hanno fatto<br />
la storia dell’Umbria.
LA DEGUSTAZIONE<br />
Orvieto Classico Superiore Doc “Campo del Guardiano” 1998, Palazzone<br />
Vino che si presenta subito di un colore oro compatto, vivo e vegeto, danza lento<br />
nel bicchiere, denotando struttura e corpo. Naso estremamente pulito, franco<br />
e fruttato arricchiscono il bouquet, ginestra, tiglio e miele d’acacia. Sul finale<br />
delicata percezione di frutta a polpa gialla, agrumi canditi e stella d’anice che<br />
chiude il suo intrigante olfatto. Il gusto è sicuramente secco, bella l’avvolgenza<br />
dell’alcol e delle morbidezze. La chiave di lettura di questo Orvieto è sicuramente<br />
l’acidità, che scorre e lascia spazio alla beva con un finale sapido di media<br />
percettibilità. Intenso e gradevole con un corpo atletico, stupisce con la sua corrispondenza<br />
tra naso e bocca che ricorda ancora l’agrume e esili note di spezie<br />
dolci ed erbe aromatiche. Semplicemente una grande espressione di Orvieto<br />
che esprime pienamente il carattere del territorio e conferma la buona longevità<br />
dei suoi prodotti migliori.<br />
Cervaro della Sala Umbria bianco Igt 1991, Castello della Sala<br />
Vino dalla grande luminosità, quasi brillante, di un bellissimo color oro verde,<br />
dalla consistenza notevole, ruota lentamente aggrappandosi al bevante. Impatto<br />
olfattivo disarmante, la nuova lettura dell’anno di vendemmia riporta alla realtà,<br />
increduli si assiste a un esplodere di toni fruttati e floreali, in alcuni passaggi<br />
addirittura freschi. Seguono le spezie, la vaniglia, il cardamomo e il coriandolo.<br />
Anche al gusto spiazza, ma ormai si è entrati in un’altra dimensione, di<br />
nuovo si perde il concetto del tempo, l’acidità è ancora importante, la sapidità<br />
decisa lascia una scia indelebile, aumentando notevolmente la presenza, quanto<br />
mai gradita, delle componenti dure. Vino con una intensità avvolgente, caldo,<br />
di buona morbidezza. Il corpo pieno, inusuale per dei vini bianchi, si fonde al<br />
meglio con il ventaglio di sensazioni che si alternano giocando con gli organi<br />
del senso.Vino che può ulteriormente “crescere” nonostante la maggiore età. Il<br />
ritorno di burro e di frutta secca chiude un esame gusto-olfattivo dalla lunga<br />
persistenza.<br />
Campoleone Umbria rosso Igt 1999, Lamborghini<br />
Il vino si presenta nel bicchiere con aspetto limpido, privo di particelle in sospensione<br />
e di buona luminosità. Colore rosso granato che al passaggio nel bicchiere<br />
disegna archetti con lacrimazione mediamente veloce, indice di buon corpo<br />
ed estratto.<br />
Al naso è intenso, apre con note speziate di radici amare, anice stellato, caffè<br />
d’orzo, fave di cacao, frutta sotto spirito, prugna secca e pot pourri di fiori. È<br />
complesso e va a chiudere il naso con note terrose di foglie bagnate, funghi porcini,<br />
scatola di sigari e foglie di te. Molto fine. In bocca entra ricco, dotato di<br />
medio calore alcolico e di buona morbidezza, sorretto da equilibrata freschezza,<br />
tannino sottile e ben polimerizzato ma sempre presente; sapido nel finale.<br />
È un vino di corpo con buon equilibrio, intenso e persistente che chiude con<br />
scie di spezie e frutta secca. Fine. È un vino maturo con margini di ulteriore<br />
sviluppo verso l’armonia.<br />
Rubino Umbria rosso Igt 1997, La Palazzola<br />
Vino dall’aspetto limpido con colore rosso rubino intenso profondo e dalla consistenza<br />
marcata e di buon spessore con archetti di lenta lacrimazione. Un tocco<br />
di ridotto all’apertura ma poi il naso si offre subito con frutti neri sotto spirito<br />
e note speziate che volgono al terziario, intenso e di bella finezza. Apre un<br />
ventaglio di profumi con ribes rosso, prugna secca e mora candita per poi<br />
passare a sensazioni balsamiche, anice, cardamomo e tabacco dolce. Un naso<br />
che per alcuni tratti ricorda molto un vino del Médoc. In bocca entra avvolgente,<br />
caldo e con morbidezza in crescita, freschezza su toni alti e un tannino<br />
presente, con qualche leggera spigolatura ma ben fuso nella massa del vino.<br />
Un corpo robusto dove le durezze sono ancora protagoniste ma con delle morbidezze<br />
che cominciano a levigare le spigolature tanniche. Intenso e con lunga<br />
persistenza avvolge la bocca con ricordi di frutta in confettura, spezie dolci e<br />
note balsamiche. La chiusura gustativa è con leggera nota amarognola e sapidità<br />
piacevole.<br />
17
Congresso Ais<br />
Arquata Umbria rosso Igt 1994, Adanti<br />
Limpido, granato con belle e vive tonalità e sfumature aranciate. Al naso si presenta<br />
fine e raffinato. L’intensità è marcata, mentre la complessità, inizialmente<br />
timida, esplode poi con frutti rossi e neri che volgono alla confettura, ben<br />
presente il ventaglio di spezie mentre si denotano, nel finale, toni erbacei e di<br />
sottobosco. È un vino di estrema delicatezza olfattiva ma di grande eleganza<br />
dove la prugna, la ciliegia di Vignola e il ribes in versione confettura sono<br />
ideali compagni di viaggio per note di caffè, cioccolato, cuoio e macis. In bocca<br />
è complesso, avvolgente e setoso, con un equilibrio da circense e con corpo facile<br />
e immediato da beva facile ed emozionante. I tannini sono di trama fitta e<br />
ben smussati. La freschezza, di buona percezione, è supportata da una sapidità<br />
presente e protagonista nella chiusura di bocca. Finale dove la persistenza,<br />
molto lunga, riporta alle sensazioni olfattive di cacao, prugna secca e caffè<br />
con un’aggiunta di tartufo e sottobosco. Vino maturo di bella e facile bevibilità.<br />
Un commento a caldo di uno dei partecipanti alla degustazione: «Ne berrei<br />
una damigiana».<br />
Torgiano rosso Riserva “Rubesco” Doc 1982, Lungarotti<br />
Limpido, granato di media intensità, aranciato appena accennato, stupisce la<br />
freschezza del colore in rapporto al millesimo. Generalmente questa colorazione<br />
si trova in vini con molti meno anni sulle spalle. Vino dall’impatto fine, per<br />
certi versi delicato, come la sua naturale attitudine. È un campione del mondo<br />
di resistenza all’ossigeno, a bottiglia aperta da molto tempo e versato da almeno<br />
un paio d’ore, nel calice si apre con una lentezza incredibile. La frutta è<br />
ben presente insieme alle spezie mentre sono netti i toni terrosi e tartufati. È<br />
un vino sussurrato e mai urlato, tocchi di cuoio e foglia di alloro secco si presentano<br />
di tanto in tanto, alternandosi a prugna secca. Vino complesso che<br />
ha alterato i dati sulla sua carta d’identità, riuscendoci! Al gusto è avvolgente<br />
e setoso, ma leggiadro, per certi tratti dal corpo facile e immediato. I tannini<br />
sono di trama fittissima ma lontano dall’essere completamente polimerizzati.<br />
La sapidità aiuta la freschezza, ancora capace di dare ritmo alla degustazione.<br />
In chiusura la persistenza, molto lunga, lascia ricordi di cacao, prugna secca<br />
e rabarbaro. Vino maturo ma che può riservare qualche guizzo e qualche istante<br />
di ritrovata, estrema, vitalità.<br />
Sagrantino di Montefalco “25 anni” Docg 1995, Arnaldo Caprai<br />
Vino dall’aspetto limpido con colore rosso granato e riflessi aranciati di buon<br />
spessore. Nel bicchiere si muove in modo uniforme lasciando al suo passaggio<br />
archetti di buona lacrimazione, continua, che fa presagire a un corpo importante,<br />
a un estratto secco e un tenore alcolico non comuni. Al naso si offre subito<br />
su note terziarie, intenso, apre con sensazioni di tostatura e torrefazione,<br />
caffè, tabacco, rabarbaro, confettura di mirtilli e more. È complesso-ampio e<br />
all’ossigenazione offre note di spezie nere, terra e di sottobosco. Fine. In bocca<br />
entra secco, dotato di pseudo calore importante e morbidezza in crescita, freschezza<br />
calibrata, tannino presente, fuso nella massa del vino. Buona la sapidità<br />
finale che accompagna un corpo robusto con durezze e morbidezze che iniziano<br />
a trovare un punto d’incontro. Intenso e persistente chiude in bocca<br />
con ricordi di cicoria, frutta in confettura e di erbe balsamiche. Vino maturo<br />
con potenziale evolutivo ampio e armonico.<br />
Orvieto Classico Superiore Doc Dolce “Calcaia”1994, Barberani<br />
Il campione, e che campione, è di veste color giallo dorato, vivo, con lieve accenno<br />
ambra pieno. Nel bicchiere si muove così lento che fa subito presagire al suo<br />
contenuto zuccherino e glicerico, archetti fitti con caduta inesorabilmente lenta<br />
verso una massa compatta e invitante. Naso pulito ed espressivo di ottima intensità,<br />
ampio e complesso, con pennellate di zafferano, smalto, miele di acacia,<br />
albicocca e una nota di iodio che va a chiudere il finale ricordandoci la presenza<br />
della muffa nobile. Il gusto dolce e morbido si presenta con una vena<br />
acida che snellisce il gusto e lascia spazio nuovamente alla presenza di iodio e<br />
zafferano che gioca un ruolo fondamentale nella beva. Intenso, con una persistenza<br />
da manuale, chiude con sensazioni di frutti canditi e confetture gialle<br />
di media dolcezza. Interessante la nota sapida che aiuta il palato a prepararsi<br />
per un’altra serie di emozioni. Maturo e pronto da bere dimostra una bella armonia<br />
e grande impatto gustativo degno di un grande Sauternes. Da dedicare a<br />
momenti di conversazione con le migliori amicizie o a letture meditative.<br />
18
Mondiale Wsa<br />
Luca Gardini<br />
corona il sogno<br />
di una vita<br />
IL SOMMELIER ITALIANO<br />
VINCE IL MONDIALE<br />
WSA CHE SI È SVOLTO A<br />
SANTO DOMINGO. LA<br />
CRONACA DI UNA<br />
ESPERIENZA UNICA<br />
VISSUTA CON INTENSITÀ<br />
DA TUTTI I<br />
CONCORRENTI<br />
20<br />
di Emanuele Lavizzari<br />
Èil 5 dicembre 1492. Dopo aver<br />
toccato per la prima volta il<br />
continente americano sull’isola<br />
di San Salvador quasi due mesi<br />
prima e aver esplorato parte della<br />
costa di Cuba, Cristoforo Colombo<br />
sbarca su una spiaggia di sabbia<br />
bianca. «Es la isla mas hermosa que<br />
ojos humanos hayan visto» («È l’isola<br />
più bella che occhi umani abbiano<br />
visto»), scrive nel suo diario di<br />
bordo e senza esitare la battezza<br />
La Española. E a distanza di cinque<br />
▲ Luca Gardini insieme a Gian Carlo Mondini, Terenzio Medri<br />
e il padre Roberto<br />
secoli Hispaniola resta il nome geografico<br />
di questa terra circondata<br />
dall’Oceano Atlantico e dal Mar dei<br />
Carabi, divisa tra i territori di Haiti<br />
e della Repubblica Dominicana.<br />
Chissà cosa ha pensato Luca<br />
Gardini quando ha messo piede<br />
sullo stesso suolo al quale si erano<br />
accostate all’attracco la Pinta, la<br />
Niña e la Santa Maria. Di certo,<br />
similmente all’ammiraglio genovese,<br />
nutriva grandi aspettative e desideri<br />
di conquista. Di certo, come per<br />
Colombo, ha dovuto faticare anche<br />
lui parecchi anni prima raggiungere<br />
il suo obiettivo. Di certo, come è<br />
stato per il più grande esploratore<br />
di tutti i tempi, questo luogo ora ha<br />
un significato davvero particolare<br />
per lui. E come Cristoforo tornando<br />
alla corte di Spagna offre oro, tabacco<br />
e alcuni pappagalli ai sovrani di<br />
Castiglia e Aragona come segno tangibile<br />
della scoperta di un “Nuovo<br />
Mondo”, così ora Luca mostra alla<br />
sommellerie italiana un trofeo che<br />
ha un valore incalcolabile perché<br />
racchiude l’esperienza di una vita.<br />
Ma andiamo con ordine, perché il<br />
viaggio in terra dominicana non rappresenta<br />
solo il successo mondiale<br />
di un professionista di casa nostra,<br />
ma l’incontro da parte di un gruppo<br />
di sommelier “occidentali” con un<br />
Paese in cui c’è ancora tanto da scoprire<br />
e da capire.<br />
Thomas Sartori, responsabile della
didattica di Ais Caribe e principale<br />
organizzatore in loco del concorso,<br />
fa subito presente ai ragazzi, un po’<br />
spaesati nel traffico impazzito di<br />
Santo Domingo, che «dove finisce<br />
la logica, inizia la Repubblica<br />
Dominicana». È questo il primo insegnamento<br />
che ha ricevuto da queste<br />
parti. Buono a sapersi. Dopo l’arrivo<br />
all’aeroporto Las Américas, il<br />
gruppo conosce subito uno dei quartieri<br />
più affascinanti della capitale,<br />
la zona chiamata Ciudad Colonial<br />
(Città Coloniale), dove sorge quella<br />
che era la residenza di Nicolás De<br />
Ovando, governatore spagnolo dell’isola<br />
agli inizi del 1500, e che ora<br />
è un hotel che porta il nome del suo<br />
antico proprietario. Qui si possono<br />
riposare dopo il lungo viaggio perché<br />
l’indomani li attende una dura<br />
giornata con le prove della semifinale<br />
del concorso.<br />
Il giorno seguente al mattino presto<br />
sono tutti pronti per recarsi presso<br />
El Catador, la più prestigiosa enoteca<br />
e wine bar del Caribe, dove avrà<br />
inizio la competizione vera e propria.<br />
La temperatura supera i 30°, l’umidità<br />
già risponde «presente!», anzi,<br />
a dirla tutta non se n’è mai andata<br />
nemmeno durante la notte. Ma da<br />
queste parti ci dicono che da marzo<br />
a ottobre è così. Qui il termine frío<br />
(freddo) si usa solo per la birra perché<br />
in inverno (si fa per dire!) le temperature<br />
notturne più basse non<br />
sono mai troppo distanti dai 20°!<br />
I due minibus che conduco i sommelier<br />
all’enoteca attraversano<br />
mezza città ed esibiscono orgogliosi<br />
sugli sportelli laterali il logo del concorso<br />
Mejor <strong>Sommelier</strong> del Mundo.<br />
Qualcuno a bordo è preoccupato per<br />
le prove di selezione, qualcuno lo è<br />
perché la maggior parte dei veicoli<br />
dominicani non sembra accorgersi<br />
dei cartelli con scritto Pare (Stop) né<br />
tanto meno dei semafori: la precedenza<br />
qui è di chi se la prende per<br />
▲ Ivano Antonini durate la semifinale<br />
▲ Rudina Arapi, rappresentante<br />
dell'Albania, insieme a Luca<br />
Gardini<br />
▲ Il gruppo dei sommelier e dei loro<br />
accompagnatori al ristorante<br />
dominicano Sixteencuts<br />
21
Mondiale Wsa<br />
primo e le ammaccature su numerosi<br />
veicoli in circolazione fanno capire<br />
che non sempre in mezzo agli<br />
incroci si riesce a giungere a un<br />
accordo.<br />
Arrivati a El Catador i sommelier<br />
capiscono subito che non si tratta<br />
di una semplice enoteca, bensì di<br />
una vera e propria azienda che ha<br />
rappresentato e che continua a essere<br />
il principale veicolo di diffusione<br />
del vino in un’area geograficamente<br />
e culturalmente molto distante dal<br />
frutto della vite. Solo il tempo per<br />
una rapida occhiata alle bottiglie<br />
ordinate sui lunghi scaffali ed è già<br />
ora del compito scritto.<br />
Il test è veramente impegnativo e<br />
mette a dura prova anche i sommelier<br />
di lungo corso. Cinquanta<br />
domande che partono da quesiti<br />
generali di cultura enologica, passano<br />
dalla vinificazione, dall’enografia<br />
e dalla legislazione del vino, arri-<br />
22<br />
Alla scoperta dell’isola<br />
I giorni successivi al concorso hanno permesso ai<br />
sommelier di conoscere da vicino la Repubblica<br />
Dominicana e in particolare quelle tipicità<br />
enogastronomiche strettamente legate al territorio.<br />
Il rum, o meglio, il ron rappresenta senza dubbio il<br />
distillato caraibico per antonomasia. La grande<br />
varietà prodotta in questo Paese deriva dal fatto<br />
che molto elevata è la coltivazione di canna da<br />
zucchero. Non poteva mancare quindi la visita a<br />
una distilleria locale. Una delle aziende più<br />
antiche cha ha fatto la storia del ron dominicano<br />
è senza dubbio la Barceló, fondata nel 1930 da<br />
Julián Barceló, uno spagnolo originario di<br />
Mallorca sbarcato nel “Nuovo Mondo” in cerca<br />
di fortuna. Il ron Barceló si impone sul mercato nel<br />
corso dei decenni, fino a diventare negli anni<br />
Ottanta il più popolare della Repubblica<br />
Dominicana. Attualmente è esportato in più di 50<br />
Paesi. I sommelier hanno visitato la distilleria e<br />
hanno potuto constatare come in ogni fase della<br />
produzione, dalla preparazione e fermentazione<br />
fino alla distillazione e all’invecchiamento, venga<br />
ricercato un prefetto equilibrio tra alta tecnologia<br />
e rispetto delle affascinanti tradizioni del passato.<br />
La birra, in un’isola in cui la temperatura media è<br />
tra i 25 e i 30°C, costituisce una delle bevande<br />
più diffuse. Così è stato inevitabile un tour in quella<br />
Cervecería (birreria) che produce la birra<br />
nazionale Presidente, un prodotto a cui è legata<br />
la storia del Paese. Nel 1880 nasce la prima birreria<br />
a Santo Domingo, la Cervecería Dominicana,<br />
vano ai vitigni e agli abbinamenti e<br />
si concludono con birre, liquori,<br />
distillati, caffè, sigari, acqua, tè e<br />
saké. Insomma, tutto lo scibile o<br />
quasi richiesto in una manciata di<br />
fogli. Al ritiro del questionario, la<br />
prova prosegue con l’analisi sensoriale<br />
di un vino da stendere per<br />
iscritto nella lingua straniera scelta<br />
dal candidato. Dopo questa prima<br />
fase i sommelier possono finalmente<br />
riprendere fiato, rifocillarsi e prepararsi<br />
alla prova pratica di servizio.<br />
A questo punto inizia il lavoro<br />
frenetico della commissione giudicante<br />
che corregge il test e la degustazione<br />
e comincia ad annotare<br />
sulla prima scheda di valutazione i<br />
punteggi ottenuti dai singoli. Per<br />
tutto il pomeriggio, quindi, i sommelier<br />
passano in rassegna uno a<br />
uno innanzi alla giuria per la stappatura,<br />
la decantazione e il servizio<br />
di un vino rosso e solo al tramonto<br />
ed è lì che nel 1935 si crea questa famosa Pilsner<br />
in onore del dittatore Rafael Leónidas Trujillo, che<br />
concede il permesso di chiamarla Presidente.<br />
Nella visita all’azienda, che per le vaste dimensioni<br />
rappresenta una vera e propria città nella<br />
città, si è scoperto un prodotto che esprime il<br />
comune sentire dominicano, accompagnando le<br />
manifestazioni folkloristiche, artistiche, culturali e<br />
la gastronomia criolla (creola). Una birra talmente<br />
diffusa in questo territorio da diventare ormai un’icona<br />
nazionale, oltre che l’orgoglio e l’espressione<br />
di un popolo che sorride sempre.<br />
Un’altra prodotto tipico di questa terra è il cacao<br />
e ogni bravo sommelier non può non conoscerlo.<br />
L’azienda Rizek, nata agli inizi del secolo scorso,<br />
ha ideato un vero e proprio itinerario alla scoperta<br />
di questo frutto, di cui la Repubblica<br />
Dominicana è tra i principali produttori ed<br />
esportatori mondiali. Così i nostri esperti si sono<br />
incamminati sul Sendero del Cacao all’interno<br />
delle piantagioni della Hacienda La Esmeralda a<br />
San Francisco de Macorís, nel nord dell’isola.<br />
Sono qui le origini di gran parte del cioccolato<br />
che arriva sulle tavole europee, come dimostrano<br />
le 47.000 tonnellate di cacao dominicano<br />
prodotte annualmente di cui l’80% è destinato<br />
all’esportazione. Questa esperienza ha condotto i<br />
sommelier dalla semina della pianta alla raccolta,<br />
passando poi dalla fermentazione e dall’essiccazione<br />
del frutto, fino a concludersi con una<br />
degustazione guidata di squisito cioccolato<br />
Valrhona.<br />
tutti i quattordici partecipanti concludono<br />
le proprie fatiche.<br />
Una giornata impegnativa, ma non<br />
ancora terminata. Previsto infatti in<br />
serata un appuntamento importante<br />
presso il Museo di Arte Moderna<br />
della capitale per la presentazione<br />
del concorso alla stampa dominicana<br />
e internazionale. Thomas Sartori<br />
dà il benvenuto ufficiale ai sommelier<br />
e presenta ai giornalisti e al pubblico<br />
accorso il programma dell’evento.<br />
A questo intervento segue il saluto<br />
del presidente della Worldwide<br />
<strong>Sommelier</strong> Association Terenzio<br />
Medri, il suo ringraziamento per gli<br />
sforzi profusi dagli organizzatori di<br />
Santo Domingo e il suo auspicio che<br />
l’azione di divulgazione della sommellerie<br />
internazionale possa diffondersi<br />
sempre più in tutti i Paesi<br />
caraibici. Nella stessa occasione<br />
sono consegnati i diplomi ai neosommelier<br />
Ais di Santo Domingo che
▲ Giuseppe Bonarelli riceve il titolo di <strong>Sommelier</strong> Onorario ▲ Il presidente Wsa Terenzio Medri insieme ai tre finalisti<br />
nel momento dell'Inno di Mameli<br />
hanno recentemente superato l’esame<br />
di terzo livello.<br />
L’indomani, finalmente, è il gran<br />
giorno. I sommelier si sono appena<br />
svegliati, quando dall’Italia ci chiedono<br />
già chi siano i finalisti. Troppo<br />
presto per saperlo. Sarà solo nella<br />
noche di Santo Domingo che si conosceranno<br />
i tre migliori degustatori<br />
del pianeta che daranno poi il via<br />
alla sfida per ottenere l’ambita fascia<br />
iridata. E quando la gara sarà conclusa<br />
in Europa appariranno già<br />
all’orizzonte le prime luci dell’alba.<br />
Il tempo passa per i concorrenti tra<br />
appunti, libri e manuali. Uno spuntino<br />
rapido a mezzogiorno e poi l’ultimo<br />
ripasso in camera o sotto i portici<br />
in cui amava discorrere con i<br />
suoi ospiti Nicolás De Ovando.<br />
Qualcuno sembra celare la tensione,<br />
ma in realtà tutti non vedono<br />
l’ora che arrivi il momento della finale<br />
per capire chi dovrà battagliare<br />
fino all’ultimo respiro, anzi, all’ultimo<br />
sorso.<br />
Rieccoci in marcia. I nostri minibus<br />
ci riconducono verso il centro della<br />
capitale, ma questa volta ci portano<br />
proprio nel cuore di Santo Domingo,<br />
al Palacio de Bellas Artes, nel cui<br />
teatro si svolge l’atto conclusivo del<br />
concorso. L’imponente edificio neoclassico<br />
è pronto a ospitare i migliori<br />
sommelier del pianeta e, attendendo<br />
un pubblico soprattutto di lingua<br />
spagnola, all’ingresso della sala si<br />
distribuiscono gli auricolari per<br />
seguire la traduzione degli interpreti.<br />
I ragazzi sono chiamati uno a uno<br />
sul palco ed ha così inizio il momento<br />
più atteso. Passano in rassegna<br />
le nazioni rappresentate e quando<br />
sono tutti schierati, come avviene in<br />
queste circostanze, ecco arrivare la<br />
busta contenente i tre nomi.<br />
O meglio, i tre numeri abbinati<br />
all’inizio della semifinale ai rispettivi<br />
sommelier. Così quando vengono<br />
lette le tre cifre nessuno sa subito<br />
chi siano i finalisti, ma loro, i protagonisti,<br />
l’hanno ben capito. Si alza<br />
subito Milan Krejc˘í della Repubblica<br />
Ceca e quindi uno dopo l’altro Luca<br />
Gardini ed Héctor García, il concorrente<br />
dominicano. C’è un sospiro di<br />
sollievo quando si capisce che la<br />
bandiera italiana colorerà la finale.<br />
A questo punto si sorteggia l’ordine<br />
di apparizione secondo cui i tre<br />
finalisti dovranno alternarsi sul<br />
palco. Gardini pesca il numero due,<br />
García è il primo mentre Krejc˘í chiude<br />
il terzetto.<br />
Il sommelier di Santo Domingo apre<br />
le danze. Dalla sua ha il sostegno<br />
della maggior parte del pubblico e<br />
inizia bene con la degustazione di<br />
tre vini e relativa analisi sensoriale.<br />
Poi segue il riconoscimento di cinque<br />
campioni di liquori e distillati<br />
e quindi la correzione di una carta<br />
dei vini. Tutto liscio fino alla prova<br />
di servizio in lingua straniera. È qui<br />
che a causa di un inglese non brillantissimo<br />
il veliero della Repubblica<br />
Dominicana ammaina la bandiera<br />
della vittoria. Resta, comunque, la<br />
grande soddisfazione per un Paese<br />
in cui la cultura del vino è relativa-<br />
▲ Gustavo De Hostos, Terenzio<br />
Medri e Thomas Sartori<br />
mente giovane di aver portato il proprio<br />
rappresentante sul podio di una<br />
competizione mondiale.<br />
È quindi la volta di Luca Gardini che<br />
sale sul palco determinato come non<br />
mai. Le degustazioni e il riconoscimento<br />
di liquori e distillati sono ineccepibili<br />
e la spigliatezza, la rapidità<br />
e la padronanza lessicale nelle<br />
descrizioni mettono a dura prova gli<br />
interpreti che fanno fatica a stargli<br />
dietro con la traduzione. Il servizio<br />
al tavolo dei commensali è a dir poco<br />
perfetto e l’ammirazione raggiunge<br />
il culmine quando, alla richiesta di<br />
abbinamenti per un’ospite ipoteticamente<br />
astemia, suggerisce quattro<br />
tipi di tè diversi in sequenza motivando<br />
la scelta. «Questa sera portiamo<br />
a casa la coppa!» esclama sottovoce<br />
suo padre Roberto al termine<br />
delle prove, mentre segue a distanza<br />
il figlio che sta uscendo dal teatro.<br />
Ottimista? No, semplicemente<br />
realista.<br />
Entra per ultimo in sala Milan Krejc˘í,<br />
esperto sommelier di Praga, professionista<br />
con un stile del tutto personale,<br />
ma estremamente raffinato<br />
ed elegante. La prova del ceco è di<br />
altissimo livello, ma con un Gardini<br />
così non si può fare a meno di<br />
lasciarsi scappare un “non ce n’è per<br />
nessuno!”<br />
Ed infatti dopo oltre due ore di competizione<br />
i tre sommelier sono richiamati<br />
sul palco per scoprire le etichette<br />
delle bottiglie e gli errori nella<br />
carta dei vini. La sensibilità di Luca<br />
Gardini è andata a segno: tre su tre<br />
sono i vini individuati, quattro su<br />
cinque i distillati e liquori riconosciuti.<br />
A questi si aggiungo una correzione<br />
eccellente, il servizio dello<br />
spumante da dieci e lode, i consigli,<br />
le risposte alle richieste dei commensali<br />
e la decantazione finale di un<br />
23
Mondiale Wsa<br />
vino rosso in cui ci ha messo il<br />
cuore. È tutto pronto per il verdetto<br />
finale, ma prima di annunciare il vincitore<br />
si crea una certa suspense<br />
prendendo qualche minuto di pausa<br />
con il conferimento del titolo di sommelier<br />
onorario dell’Ais a Giuseppe<br />
Bonarelli, imprenditore di origine<br />
campana da decenni sull’isola. Don<br />
Pepe, questo il nome con cui è noto<br />
a Santo Domingo, è stato in assoluto<br />
il primo tra i pionieri del vino in<br />
terra dominicana ad aver creduto<br />
nella diffusione del nettare di Bacco.<br />
E così ha dimostrato con i suoi risto-<br />
24<br />
ranti e la sua enoteca, El Catador,<br />
che si può diffondere la cultura enologica<br />
anche dove crescono solo<br />
caffè, banane, cacao e canna da zucchero.<br />
Dopo questa parentesi, rieccoci al<br />
concorso. Il pubblico non sta più<br />
nella pelle, gli interpreti sono nelle<br />
loro cabine quasi esanimi e i tre finalisti<br />
fremono già sul palco. «The winner<br />
is…», ma non viene pronunciato<br />
il nome vincitore: il volto di Luca<br />
Gardini e la bandiera italiana compaiono<br />
sul maxi-schermo centrale e<br />
parte subito l’inno di Mameli. Foto,<br />
I sommelier in gara a Santo Domingo<br />
Il concorso Mejor <strong>Sommelier</strong> del Mundo si è realizzato grazie a un lungo e impegnativo lavoro da parte<br />
di tante persone. Vogliamo ringraziare Thomas Sartori, Gustavo De Hostos, Giselle Alonzo e tutti i sommelier<br />
dominicani che non hanno avuto un attimo di pausa prima e durante le giornate della manifestazione.<br />
Un ringraziamento a Giuseppe Bonarelli, meglio conosciuto a Santo Domingo come don<br />
Pepe, che ha messo a disposizione numerose risorse e i locali del suo El Catador per le semifinali. Una<br />
citazione particolare a Gian Carlo Mondini che ha preparato le prove del concorso e ha poi ricoperto<br />
il ruolo di presidente della giuria. Un grazie a Sofia Biancolin e Andrea Rinaldi, delegati rispettivamente<br />
del Nord Germania e dell’Inghilterra, che con il loro intervento hanno dato testimonianza nella capitale<br />
dominicana della consolidata internazionalizzazione dell’Ais. Un saluto con viva riconoscenza, non<br />
da ultimo, a Terenzio Medri, che ha condotto la Wsa dalla sua fondazione sino a questa finale mondiale.<br />
Di certo dobbiamo ricordare anche tutti i professionisti che insieme a Luca Gardini, in gara come<br />
campione europeo in carica, hanno preso parte alla competizione.<br />
Rudina Arapi Albania<br />
Ristorante Paolo Teverini,<br />
Bagno di Romagna (FC), Italia<br />
Leandro Emanuel Orona Argentina<br />
Escuela Argentina de <strong>Sommelier</strong>s,<br />
Buenos Aires, Argentina<br />
Sebastien Giraldin Francia<br />
Selfridges Wine Shop,<br />
Londra, Regno Unito<br />
complimenti, baci, abbracci. Luca<br />
non sa più in quale obiettivo guardare<br />
tanto è abbagliato dai flash.<br />
Mentre i sommelier iniziano a festeggiare<br />
il campione del mondo, è fondamentale<br />
far sapere anche all’Italia<br />
e all’Europa cosa ha combinato Luca<br />
Gardini dall’altra parte dell’Atlantico.<br />
Così verso la mezzanotte, le sei in<br />
Italia, parte dalle linee adsl dominicane<br />
un comunicato stampa che<br />
raggiunge l’Ansa e le principali testate<br />
giornalistiche. Poche ore dopo<br />
decine di siti Internet riportano già<br />
la notizia e non appena Gardini<br />
Connor McClay Irlanda<br />
James Nicholson Wine Merchant, Downpatrick,<br />
Regno Unito<br />
Ivano Antonini Italia<br />
Relais & Chateaux Il Sole di Ranco,<br />
Ranco (VA), Italia<br />
Luca Gardini - Campione Europeo 2009 Italia<br />
Ristorante Cracco,<br />
Milano, Italia
accende il cellulare nella mattinata<br />
successiva, già pomeriggio in Italia,<br />
è preso d’assalto da giornalisti radiofonici,<br />
televisivi e della carta stampata.<br />
Non c’è altro da aggiungere se<br />
non un “missione compiuta!”<br />
Come terminare il racconto di questa<br />
trasferta? Ci sarebbero troppi<br />
aneddoti, ma uno rende al meglio<br />
l’idea di ciò che trasmette l’atmosfera<br />
dominicana. «Nelle mia città – ci<br />
rivela Milan Krejc˘í, originario di<br />
Praga – in questo momento ci sono<br />
zero gradi!» E lo ripete con una birra<br />
in mano a bordo vasca, pronto per<br />
un tuffo in piscina. Il concorso si è<br />
concluso da poche ore. È quasi l’una<br />
e mezza di notte. Nel cielo dei Caraibi<br />
non c’è una nuvola, solo le stelle. Le<br />
stesse che qualche secolo fa brillavano<br />
nell’oscurità e servivano ai conquistadores<br />
per trovare la rotta notturna.<br />
Dopo la tensione della gara<br />
si possono anche dimenticare per<br />
qualche istante le degustazioni alla<br />
cieca e le annate più importanti dei<br />
Grands Crus di Borgogna. E intanto<br />
ci ripensiamo: «Zero gradi…»<br />
Lasciamoli per qualche giorno ad<br />
altre latitudini. Buenas noches…<br />
Maksims Merkulovs Lettonia<br />
Galvin at Windows Restaurant<br />
Hilton on Park Lane, Londra, Regno Unito<br />
Sara Da Val Franco Paesi Bassi<br />
Ristorante Davide,<br />
Verden, Germania<br />
Marcin Andrzej Schilling Polonia<br />
Selfridges Wines&Spirits,<br />
Londra, Regno Unito<br />
Christopher Cooper Regno Unito<br />
The Wolseley Restaurant,<br />
Londra, Regno Unito<br />
▲ Il guéridon utilizzato durante la<br />
finale<br />
Milan Krejčí Repubblica Ceca<br />
Merlot d’Or,<br />
Praga, Repubblica Ceca<br />
Héctor García Repubblica Dominicana<br />
El Catador,<br />
Santo Domingo, Repubblica Dominicana<br />
Igor Sotric Slovenia<br />
China Tang, Dorchester Hotel,<br />
Londra, Regno Unito<br />
Angelo De Raimondo Svizzera<br />
Grand Hotel du Golf et Palace,<br />
Valais, Svizzera<br />
25
Degustazioni<br />
Le nobili<br />
Bollicine<br />
dall’Alto Adige<br />
NEL SUD TIROLO<br />
LA VOCAZIONE SPUMANTISTICA<br />
NASCE A FINE OTTOCENTO<br />
E OGGI IMPREZIOSISCE L’OFFERTA<br />
SEMPRE PIÙ ARTICOLATA DI QUESTA<br />
MAGNIFICA TERRA DA VINO<br />
anche l’Alto Adige, o Süd Tirol, come preferiscono<br />
chiamarlo in provincia di Bolzano, da<br />
C’è<br />
tenere in considerazione quando si desidera<br />
tracciare una mappa completa delle zone di produzione<br />
di metodo classico in Italia. Certo, la produzione,<br />
attestata intorno alle 220-230 mila bottiglie complessive,<br />
è una produzione quasi confidenziale, molto lontana<br />
dai 5 milioni di bottiglie totalizzate dal Trentino<br />
e dai 10 della Franciacorta, però nell’ambito di quel<br />
45% della produzione altoatesina destinata ai vini bianchi<br />
(il 55% è ancora appannaggio delle uve rosse, con<br />
un predominio della Schiava o Vernatsch) le bollicine<br />
nobili riescono con notevole efficacia a completare ed<br />
impreziosire l’offerta, sempre più articolata, di questa<br />
magnifica terra da vino.<br />
Otto in totale – vedere qui l’elenco http://www.vinialtoadige.it/it-6-330.aspx<br />
– le aziende produttrici, sei delle<br />
quali fanno parte della <strong>Associazione</strong> dei produttori altoatesini<br />
di spumante o, per dirla in tedesco, Vereinigung<br />
Südtiroler Sekterzeuger nach dem klassischen Verfahren,<br />
creata nel 1990 da nove membri fondatori, tra cui Josef<br />
Reiterer, Lorenz Martini e Alois Ochsenreiter, che si<br />
posero come obiettivo la comune difesa dei proprio inte-<br />
26<br />
di Franco Ziliani<br />
ressi nonché l’efficace promozione degli spumanti metodo<br />
classico e della produzione di qualità. Sono produzioni<br />
artigianali, l’azienda più “grande”, la Arunda Vivaldi<br />
di Meltina, incantevole località di montagna posta a<br />
1200 metri, distante una quindicina di chilometri da<br />
Terlano, non arriva a centomila bottiglie, fermandosi a<br />
novantamila, che propongono bottiglie destinate ad un<br />
mercato di nicchia, ad appassionati esigenti alla ricerca<br />
di produzioni particolari, che uniscono il pregio di<br />
uno spiccato carattere e goût de terroir, dato dalla collocazione<br />
in una situazione alto collinare o quasi “di<br />
montagna” dei vigneti, a un savoir faire collaudato nel<br />
tempo a una lunga presenza nel territorio di produzione<br />
delle uve.<br />
Come in altre zone di produzione sono lo Chardonnay<br />
e il Pinot nero le due varietà maggiormente utilizzate,<br />
ma a conferire particolarità, e una certa quale eleganza,<br />
alle basi “spumante” e quindi ai vini, è la presenza<br />
di una terza varietà, molto diffusa in Alto Adige, come<br />
il Pinot bianco, che nel delicato equilibrio della composizione<br />
delle cuvée conferisce il sapore fruttato, ma<br />
anche il “sale” e il nerbo ai vini, mentre lo Chardonnay<br />
assicura finezza e soavità e il Pinot Nero la pienezza e<br />
la struttura.<br />
Con il Pinot bianco, che in alcune cuvée è presente con<br />
quantità varianti dal 20 al 30 per cento, occorre fare<br />
molta attenzione, perché l’uso di uve provenienti da terreni<br />
con cospicuo contenuto di porfido può regalare, se<br />
le uve non sono mature al punto giusto e se le vinificazioni<br />
non vengono condotte con estremo rigore, note<br />
leggermente amare, ma il suo uso ben calibrato è un’arma<br />
in più, in termini di eleganza, di profondità, di ricchezza<br />
di sapore, di cui i produttori di bollicine metodo<br />
classico possono avvalersi. Le condizioni per la produzione<br />
di vini di alta qualità sono pressoché ideali,
perché soprattutto nelle aree al di sopra dei 500 metri<br />
di altitudine le uve sviluppano un’acidità tale da garantire,<br />
anche dopo la seconda fermentazione in bottiglia,<br />
quella vibrante freschezza che ci si aspetta. E dopo<br />
la seconda fermentazione in bottiglia i vini riposano sui<br />
lieviti per un periodo minimo di 15 mesi, che normalmente<br />
si protrae sino a due o tre anni o più per alcune<br />
cuvée “de prestige”. In questo modo i vini assumono<br />
la loro elegante struttura e un mix accattivante di<br />
freschezza e cremosità.<br />
Una vocazione spumantistica, quella dell’Alto Adige,<br />
che viene da lontano, da fine Ottocento, dall’epoca<br />
dell’Impero austro-ungarico, quando con il nome di<br />
Tiroler Gold, una cantina denominata Uberetscher<br />
Champagnerkellerei, con sede nel Castello Wickenburg<br />
di Appiano Monte, produsse dal 1896 al 1902, ma<br />
con uve Riesling, uno Champagne oro dell’Oltradige.<br />
Un vino, che all’epoca veniva ancora presentato come<br />
“Champagne”, e che veniva venduto anche a produttori<br />
di “Champagne” in Trentino, che risulta nell’elenco<br />
dei vini presentati all’edizione del 1911 del Mercato vinicolo<br />
dell’Alto Adige a Bolzano.<br />
E poco prima dello scoppio della Guerra Mondiale, la<br />
prima, anche un altro produttore, un certo H.M. Matha,<br />
produceva un “Kron Champagner” cioé Champagne<br />
della Corona. Queste cantine chiusero i battenti dopo<br />
la prima Guerra mondiale e oggi non si trovano etichette<br />
né bottiglie in quanto durante il fascismo tutti i vini<br />
etichettati con etichette in lingua tedesca dovevano<br />
essere distrutte.<br />
Nella storia, più vicina a noi, della produzione di metodo<br />
classico in provincia di Bolzano un ruolo importante<br />
va assegnato anche a un personaggio la cui piccola<br />
azienda oggi non fa parte dell’associazione, ma che<br />
già nei primi anni Sessanta, quando era già kellermei-<br />
ster (cantiniere ovviamente, ma anche direttore commerciale,<br />
responsabile dei rapporti con i soci viticoltori,<br />
ecc.) della Cantina Produttori di Terlano, ruolo che<br />
manterrà per oltre quarant’anni, pensò di produrre bollicine<br />
di qualità in Alto Adige.<br />
Parlo di Sebastian Stocker, che ancora oggi, con l’aiuto<br />
del figlio Sigmar, produce, considerando questa tipologia<br />
di prodotto “un’esaltazione della finezza del vino”,<br />
un Brut, un Nature e una riserva. Un grandissimo<br />
tecnico delle cui intuizioni sul modo di produrre metodo<br />
classico in provincia di Bolzano fanno ancora tesoro<br />
tutti gli spumantisti odierni. In occasione del ventesimo<br />
anniversario dell‘<strong>Associazione</strong> si sono tenute le elezioni<br />
per il rinnovo delle cariche associative, e sarà il<br />
più noto dei produttori del gruppo, Josef Reiterer, proprietario<br />
della cantina Arunda Vivaldi (www.arundavivaldi.it),<br />
a guidare per altri tre anni, in qualità di presidente,<br />
l’<strong>Associazione</strong>.<br />
Lorenz Martini, enologo presso la tenuta J. Niedermayr<br />
nonché produttore di spumante nella propria cantina<br />
di Cornaiano http://www.lorenz-martini.com affiancherà<br />
Reiterer in qualità di vicepresidente. Del consiglio<br />
di amministrazione farà parte inoltre Wolfgang<br />
Tratter, enologo della Cantina Produttori San Paolo<br />
http://www.kellereistpauls.com, Luis Ochsenreiter della<br />
Tenuta Haderburg http://www.haderburg.de, Josef<br />
Romen della Kettmeir http://www.kettmeir.com e Hannes<br />
Kleon della Cantina Von Braunbach http://www.braunbach.it/<br />
ricopriranno la carica di revisori dei conti.<br />
Dell’associazione, guidata dall’ufficio delle Tenute dell’Alto<br />
Adige, fanno parte le seguenti sei aziende: Arunda-Vivaldi<br />
di Meltina, Von Braunbach di Settequerce - Terlano, la<br />
Cantina San Paolo Praeclarus di San Paolo, Lorenz<br />
Martini Comitissa di Cornaiano, Kettmeir di Caldaro e<br />
la tenuta Haderburg di Salorno.<br />
27
Degustazioni<br />
LA DEGUSTAZIONE<br />
Alto Adige Brut Von Braunbach<br />
Cuvée di Chardonnay (70%) e Pinot bianco (30%), da vigneti in Appiano, con 36 mesi<br />
di affinamento sui lieviti. Sboccatura aprile 2010. Colore paglierino di bella intensità e<br />
vivacità naso con notevole espressione fruttata (mela), molto aperto vivo con una<br />
notevole dolcezza e maturità del frutto, con accenni di crosta di pane e lieviti e bella<br />
fragranza floreale. Bocca molto rotonda, succosa, sul frutto, con un notevole equilibrio:<br />
piacevole, immediato, diretto, beverino, non ha una grande complessità e profondità<br />
ma si fa bere molto bene.<br />
Alto Adige Brut Athesis Kettmeir<br />
Cuvée di Pinot bianco (50%), Chardonnay (30%), Pinot nero (20%). Colore paglierino<br />
oro, naso molto secco, compatto con una bella espressione floreale (fiori secchi e<br />
fieno) accenni fruttati di mela, ananas, agrumi, a comporre un insieme molto sapido<br />
lineare incisivo quasi nervoso. Notevole vinosità in bocca e spiccato gusto di mela verde<br />
e ricordo di frutta secca, acidità molto presente, ben secco, verticale profondo, ha buon<br />
nerbo ed equilibrio e una certa rotondità.<br />
Alto Adige Brut Praeclarus Cantina Produttori San Paolo<br />
Cuvée di Chardonnay (60%), Pinot bianco (30%) e Pinot nero (10%) , affinamento di<br />
36 mesi sui lieviti. Colore giallo paglierino verdognolo, naso molto secco salato con una<br />
buona articolazione aromatica: note di frutta secca, nocciola e mandorla non tostata,<br />
mela, fiori bianchi, crosta di pane e lieviti di fermentazione un lieve accenno verde.<br />
Bocca incisiva salata con un'acidità che spinge e dà al vino slancio e verticalità, non<br />
largo ma vivo pieno di energia con grande freschezza.<br />
Alto Adige Brut Haderburg<br />
Cuvée di Chardonnay (90%) e Pinot nero (10%) da vigneti a 350-500 metri di altezza<br />
posti nella zona di Salorno. 30 mesi di maturazione sui lieviti. Bella intensità di colore,<br />
paglierino intenso, e vivace presa di spuma. Naso molto secco compatto di interessante<br />
complessità, con note di frutta secca, frutta esotica, accenni agrumati, di alloro,<br />
cioccolato bianco, una leggera speziatura, crosta di pane e lieviti in sottofondo. Bocca<br />
larga, piena, succosa, molto matura e sul frutto con una bella dolcezza e ampiezza e<br />
un notevole equilibrio, emerge in secondo piano un'acidità viva e calibrata, nervosa il<br />
giusto, buona persistenza e lunghezza, molto beverino.<br />
Alto Adige Extra Brut Arunda<br />
Cuvée di Chardonnay (80%) e Pinot nero (20%), affinamento di 36 mesi sui lieviti. Colore<br />
di notevole intensità e brillantezza, naso molto secco, sapido, incisivo con accenni minerali<br />
petrosi, note di fiori secchi, alloro, agrumi e in secondo piano una mela succosa.<br />
Bouquet molto fragrante, aperto, pulito, di notevole freschezza con belle note di nocciola<br />
e mandorla in evidenza. Bocca viva nervosa, incisiva di grande energia e spinta,<br />
apre ricco di nerbo e asciutto e si sviluppa con bella verticalità, sapidità e mineralità<br />
petrosa, molto fresco, vivo, ancora giovane con buona possibilità evoluzione.<br />
Alto Adige Extra Brut Blanc de Blancs Arunda<br />
Chardonnay 100% e affinamento di almeno 36 mesi sui lieviti. Colore paglierino verdognolo<br />
brillante, naso variegato e complesso piuttosto maturo con lievi accenni di<br />
tostatura e una vena leggermente dolce vanigliata, frutto in secondo piano su note agrumate<br />
e di ananas. Bocca morbida, cremosa, ancora un po' contratta con una presenza<br />
di legno ancora non totalmente assorbito che dà spalla e ampiezza, sostegno e struttura<br />
al vino, ma blocca un po' l'equilibrio e la piacevolezza e dà una nota leggermente<br />
secca al finale<br />
Alto Adige Brut riserva Comitissa 2005 Lorenz Martini<br />
Cuvée di uve Chardonnay e Pinot bianco provenienti da un vigneto su terreno con elevato<br />
contenuto di porfido e calcio piantato nel 2003 agli 800 metri di altezza di San<br />
Genesio, con 36 mesi di affinamento sui lieviti. Colore paglierino verdognolo brillante,<br />
naso ben secco, incisivo, salato, molto minerale, con note di pietra focaia in evidenza,<br />
molto fresco pieno di energia. Bocca molto viva, nervosa, salatissima, di grande tensione<br />
ed espressività, vino lungo, nervoso, appuntito, con una vena minerale molto evidente<br />
che dà nerbo e sale, grande pulizia e piacevolezza.<br />
28
Alto Adige Pas Dosé 2006 Haderburg<br />
90% Chardonnay e 10% Pinot nero, 40 mesi di affinamento sui lieviti Colore paglierino<br />
verdognolo, naso molto secco, nervoso, incisivo, con buona fragranza, note agrumate<br />
in evidenza, di fieno e fiori secchi, con accenni minerali, sentori di frutta secca e<br />
leggera speziatura. Bocca larga, piena, succosa, con una bella maturità del frutto e una<br />
spalla solida, pieno persistente con una notevole vinosità e una bella piacevolezza.<br />
Alto Adige Praeclarus Noblesse 2005 Cantina Produttori San Paolo<br />
Cuvée di Chardonnay (80%) e Pinot nero (20%), una parte del vino si affina in legno.<br />
Colore molto intenso, paglierino oro di notevole vivacità e brillantezza, naso su note di<br />
frutta matura mela e pesca e accenni dolci di miele, cioccolato bianco, poi leggera<br />
vena agrumata e frutta secca, molto largo pieno succoso e dolce. In bocca è largo, pieno,<br />
ben strutturato, vinoso, ma manca un po' di tensione ed energia, di freschezza con una<br />
nota dolce di vaniglia che tende a prevalere.<br />
Alto Adige Extra Brut Cuvée Marianna Arunda<br />
Cuveé di Chardonnay (80% affinato in barrique per 12 mesi) e Pinot nero (20%), 48<br />
mesi di affinamento sui lieviti. Paglierino oro di bella vivacità e brillantezza, naso molto<br />
compatto, complesso, di notevole ricchezza, con accenni di agrumi, frutta esotica, fieno<br />
di montagna, fiori secchi, accenni di frutta secca leggermente tostata. Bocca ampia,<br />
ricca cremosa, di grande delicatezza ed eleganza, gusto largo pieno, ben strutturato,<br />
ma con una notevole freschezza e incisività ha spalla e carattere, grande equilibrio saldo<br />
corredo acido che dà verticalità, freschezza, sale e finezza.<br />
Alto Adige Extra Brut riserva 2006 Arunda<br />
Cuvée di Chardonnay, 60% e Pinot nero, 40%, vinificato in bianco, affinamento di almeno<br />
50 mesi sui lieviti. Colore paglierino oro brillante e luminoso, naso di grande complessità<br />
e ricchezza, note di frutta esotica, bella vena sapida minerale, accenni di fiori<br />
bianchi, miele d'acacia, alloro, cioccolato bianco, che aprono su una presenza agrumata<br />
molto evidente e poi su note di mela e pesca bianca. Bocca larga, piena, succosa,<br />
ben strutturata, ha una spalla molto salda, una notevole vinosità, gusto piuttosto largo<br />
ben strutturato e persistente, prodotto impegnativo ma di grande piacevolezza.<br />
Alto Adige Brut riserva Comitissa 2000 Lorenz Martini<br />
Cuvée di Pinot bianco (60%), Chardonnay e Pinot nero (20% ognuno) con 36 mesi di<br />
affinamento sui lieviti. Sorprendente cuvée d’annata, con bellissima vivacità e brillantezza<br />
cromatica, un paglierino oro pieno di riflessi, naso vivo, complesso ben strutturato,<br />
pieno di energia, con note di agrumi, fiori bianchi, notevole componente minerale<br />
petrosa salata. Al gusto grande equilibrio e piacevolezza, ben strutturato ancora<br />
con una bella polpa fruttata succosa, e poi incisivo ben articolato, ben secco asciutto<br />
con grande equilibrio e piacevolezza, ancora in splendida forma.<br />
Alto Adige Brut Rosé Arunda<br />
Cuvée paritaria di Pinot bianco e Pinot nero affinamento di 15 mesi sui lieviti. Colore<br />
buccia di cipolla, sangue di piccione, naso molto varietale con note di fragola e piccoli<br />
frutti di bosco, mirtillo più che lampone, fiori bianchi e una buona sapidità data da una<br />
vena agrumata. Bocca leggermente dolce, succosa, rotonda (8 gr. Zucchero), molto<br />
immediata e piacevole, ha succosità, bell'equilibrio, buona cremosità.<br />
Alto Adige Brut Rosé Excellor Arunda<br />
Pinot nero in purezza da un vigneto posto ad 800 metri, 20 mesi di affinamento sui lieviti.<br />
Colore bellissimo, brillante cerasuolo scarico, buccia di cipolla, di bella brillantezza<br />
e vivacità. Naso elegante cremoso, di grande fragranza, con sviluppo di delicate note<br />
di lampone, ribes, mirtilli maturi al punto giusto e succosi, e di nitida definizione. Bocca<br />
con una magnifica vivacità e nerbo, perfetto equilibrio tra la giusta dolcezza del frutto,<br />
con freschezza e succosità fruttata, largo pieno rotondo, e una calibrata dolcezza sapida<br />
e nervosa croccante. Bel mix dolce salato, un vino che bevi e t'invoglia a bere, ottimo<br />
in abbinamento a salmone affumicato e piatti impegnativi a base di pesce di mare.<br />
29
Degustazioni<br />
L’Oltrepò<br />
Pavese,<br />
30<br />
la culla<br />
della spumantistica<br />
italiana<br />
di Alessandro Franceschini<br />
Quando si pensa allo storico connubio esistente<br />
tra l’Oltrepò Pavese e la coltivazione della<br />
vite, possono fissarsi nell’immaginario di ognuno<br />
di noi molte istantanee. Alcune squisitamente<br />
soggettive e magari più familiari a chi abita nelle<br />
vicinanze della provincia pavese, altre, invece, comuni<br />
a chiunque ami il vino e sia spinto da curiosità. Parole<br />
come “rusticità”, “vino sfuso”, vino che “buscia”,<br />
Bonarda, Gianni Brera possono essere accostate ai vini<br />
di questa terra con facilità. Tutto indubbiamente corretto,<br />
ma è solo una parte. Se è vero che un territorio<br />
deve portare in sé il marchio della propria tradizione<br />
per poter progettare il proprio futuro, allora il pinot nero<br />
non può non entrare di diritto nella storia di questa<br />
propaggine meridionale della Lombardia.<br />
Le vie di lettura che questa splendida area collinare<br />
donano a chi gli si accosta senza pregiudizi, sono tante,<br />
quasi sterminate, ma spesso irrisolte o comunque<br />
mai sbocciate in tutta la loro maturità. Se la parte occidentale,<br />
quella che gravita intorno al piccolo comune<br />
di Rovescala è storicamente legata alla croatina e quindi<br />
a uno dei vini portabandiera di questa terra, vale a<br />
dire la Bonarda, quella occidentale, ha nella sua vicinanza<br />
con il Piemonte e quindi nella barbera, uno dei<br />
suoi emblemi più significativi. Non dimenticando aree<br />
storicamente vocate all’allevamento di uve a bacca bianca<br />
come Volpara per il moscato o ancora, nella parte<br />
centrale, Oliva Gessi, Montalto Pavese e Calvignano per<br />
il riesling, ma non solo, quando si affronta l’“affaire il<br />
pinot nero”, invece, ci si inerpica su una montagna da<br />
scalare ricca di insidie e contraddizioni.<br />
In Oltrepò Pavese il pinot nero è presente praticamente<br />
ovunque, ma non dappertutto riesce a trovare l’habitat<br />
ideale per dare il meglio di sé. Grandi vini, leggendari,<br />
così come bottiglie anonime o semplicemente banali:<br />
tutto e il suo contrario ci si può attendere quando ci
troviamo di fronte a un bottiglia di pinot nero, sia<br />
esso vinificato in bianco o rosso. Questa nervosa scontrosità<br />
che lo ha portato ad adattarsi con fatica fuori<br />
dai suoi confini storici, trova conferma anche in Oltrepò<br />
Pavese. Attraversare, seppur sommariamente, le vicende<br />
storiche che hanno legato questo nobile vitigno ad<br />
una parte consistente dell’imprenditoria locale, significa<br />
leggere un pezzo di storia del vino italiano, oggi in<br />
parte cambiata.<br />
■■■■L’OLTREPÒ PAVESE È TERRA DI PINOT NERO?<br />
Partiamo da un dato che spesso ai più sfugge: circa<br />
3.000 ettari vitati dicono che ci troviamo di fronte al<br />
giardino vitato a pinot nero più esteso della penisola<br />
(secondo al mondo dopo la Borgogna). Un mare di pinot<br />
nero che ha cominciato a insidiarsi intorno alla seconda<br />
metà del XIX secolo e che ha visto i primi impianti<br />
significativi a Rocca de’ Giorgi nel 1865 ad opera del<br />
Conte Carlo Giorgi di Vistarino. Qui è nato quello che<br />
un tempo veniva chiamato lo “Champagne Italiano”.<br />
“Gran Spumante SVIC”, dove l’acronimo sta per Società<br />
Vinicola <strong>Italiana</strong> di Casteggio, è la scritta che troneggia<br />
nel 1912 su un cartello pubblicitario posto accan-<br />
to alla statua della Libertà a New York, primo punto<br />
di approdo per molti italiani che in quegli anni emigravano<br />
inseguendo il sogno americano. La produzione<br />
di metodo champenois vede emergere aziende come<br />
quella di Angelo Ballabio a Casteggio o la Cantina Sociale<br />
La Versa che si impongono come le realtà italiane più<br />
importanti nella produzione di spumanti a rifermentazione<br />
in bottiglia. Il pinot nero rappresenta l’ossatura<br />
di questa cavalcata che non sembrava fermarsi più.<br />
Nomi piemontesi e oltrepadani cominciano a intrecciarsi<br />
all’interno di un percorso comune che vede questa<br />
terra diventare il grande serbatoio per le produzioni<br />
industriali della spumantistica italiana. I 150 anni di<br />
storia del pinot nero in Oltrepò Pavese sono segnati dall’incredibile<br />
incremento della sua produzione per le<br />
cosiddette “sette grandi sorelle Piemontesi”: Martini e<br />
Rossi, Cinzano, Gancia, Riccadonna, Contratto, Bosca<br />
e Fontanafredda. Realtà che acquistarono tra gli anni<br />
Sessanta e Settanta del secolo scorso ingenti quantità<br />
di uva proprio in questo lembo di terra lombarda.<br />
Diminuito, ma non interrotto, l’interesse del vicino<br />
Piemonte per il pinot nero, tocca all’emergente<br />
Franciacorta attingere da quest’area: nel 2003 l’azienda<br />
Guido Berlucchi di Cortefranca affitta una cantina<br />
di trasformazione a Casteggio e vinifica direttamente<br />
in Oltrepò Pavese le uve di pinot nero per le sue basi<br />
spumantistiche: circa 20.000 quintali acquistate dai<br />
viticoltori della zona. (Il volume Storia di un territorio<br />
rurale. Vigne e vini dell’Oltrepò Pavese di Luciano Maffi,<br />
edito da Franco Angeli nel 2010, è un’utilissima lettura<br />
per chi volesse approfondire dinamiche e storia della<br />
viticoltura in Oltrepò Pavese).<br />
■■■■CLONI, ZONAZIONE E…<br />
Se il pinot nero, dunque, storicamente, ha trovato in<br />
Oltrepò l’habitat ideale per la produzione di basi spumantistiche<br />
utilizzate qui come in Piemonte (circa il<br />
90% della produzione di pinot oltrepadano è finalizzato<br />
per la realizzazione di spumanti), è altresì vero che<br />
la vinificazione in rosso si è ritagliata in un periodo più<br />
recente un suo spazio ricco di spunti, ma al tempo stesso<br />
contraddizioni ed equivoci. L’errore principale che<br />
chiunque può commettere accostandosi sia alle versioni<br />
metodo classico, che ancor più a quelle rosse, è il<br />
confronto con pinot neri allevati altrove, sia in Italia<br />
che, soprattutto, in Francia. È un confronto che spesso<br />
si rivela al più didattico, quanto in realtà fuorviante.<br />
Errori ne sono stati fatti, specie in epoche dove non<br />
era certo la qualità, quanto la quantità, da vendere il<br />
più delle volte a terzi, a essere l’obiettivo principale.<br />
Non è difficile ascoltare dalla voce di molti produttori<br />
oltrepadani, particolarmente legati a questo vitigno,<br />
quasi un grido di lamento nei confronti del trattamento<br />
che in passato gli è stato riservato. Errori di valutazione<br />
commerciale piuttosto che di scelte clonali o culturali<br />
non idonee al raggiungimento dell’obiettivo che<br />
si voleva perseguire sono aspetti da tenere in considerazione<br />
quando si affronta la storia del rapporto tra<br />
questa nobile uva e l’Oltrepò Pavese. Oggi è presente,<br />
a disposizione di tutti i produttori locali, un fitto lavoro<br />
di zonazione e un elenco dettagliato dei cloni più<br />
31
Degustazioni<br />
▲ Carlo Alberto Panont, direttore<br />
del Consorzio Tutela Vini Oltrepò<br />
Pavese<br />
32<br />
adatti alla vinificazione in bianco per il metodo classico piuttosto che a<br />
quella in rosso. Sono state individuate sei unità territoriali dopo un lavoro<br />
durato 10 anni, partito nel 1999, ad opera delle Università di Milano e<br />
Piacenza (il volume Guida all’utilizzo della Denominazione di origine Pinot<br />
nero in Oltrepò Pavese edito dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese a<br />
fine 2008 riporta in dettaglio tutto il lavoro svolto a questo riguardo).<br />
Eppure, scavando, non sembra solo una questione squisitamente tecnica:<br />
quando ci si imbatte, per esempio, in una bottiglia di Pinot nero vinificato<br />
in rosso del 1996 di Travaglino ottenuta da una semplice selezione<br />
di ciò che di meglio di poteva trovare in vigna in quel periodo, indipendentemente<br />
dalla varietà di cloni presenti, e si rimane completamente stupiti,<br />
non solo per l’integrità, quanto per l’elegante finezza espressiva che<br />
porta la mente altrove, una riflessione, probabilmente ovvia e banale,<br />
sul ruolo fondante dell’uomo viene spontanea. Il mix tra scelta delle altitudini,<br />
dei terreni e dei cloni ha la sua importanza, ma la capacità, nonché<br />
volontà, di chi opera sia in vigna sia in cantina ha la stessa, se non<br />
realmente decisiva, incidenza.<br />
■■■■LA SFIDA DEL CRUASÉ<br />
Il Cruasé: un azzardo? Una sfida? C’è il tentativo di alzare finalmente la<br />
testa attraverso la valorizzazione di un vitigno storico. C’è la voglia, probabilmente,<br />
di abbandonare definitivamente la fama di “incompiuta”, di<br />
“realtà dalle potenzialità enormi, ma mai realmente espresse appieno” che<br />
da sempre viene associata all’Oltrepò Pavese. Il pinot nero, nonostante<br />
l’intima fusione con questa terra, ha sempre navigato in un limbo mai ben<br />
chiaro. Ripartire da questo nobile vitigno è stato dunque uno dei leitmotiv<br />
che sin dall’inizio ha contraddistinto l’azione del mandato del direttore<br />
del Consorzio, Carlo Alberto Panont, non senza polemiche e mugugni,<br />
tipici dell’enomondo e particolarmente di casa da queste parti. La successiva<br />
nascita del “Cruasé”, una scelta di campo precisa: valorizzare un vitigno<br />
“locale” dalle radici storiche, una metodologia, quella del metodo classico,<br />
che qui è di casa dagli inizi del secolo passato e infine una tipologia,<br />
il rosé, che quando ben eseguita, ha l’indubbio merito di affascinare<br />
e incuriosire fasce di mercato abbastanza eterogenee.<br />
La prima annata a essere etichettata e commercializzata con il nome<br />
“Cruasé” (per l’approfondimento della genesi del nome si veda il box) è<br />
datata 2007. Dodici aziende in tutto. «Già dal prossimo millesimo il numero<br />
di aziende crescerà e non nascondiamo l’obiettivo di voler raggiungere<br />
una quota di etichette ben superiore alle cinquanta» ci fa sapere dal<br />
Consorzio Emanuele Bottiroli. Ora bisogna crescere, sia in quantità sia<br />
in qualità, cercando di avere una visione comune, non necessariamente<br />
interpretativa, quanto di forma e stile.
IL CRUASÉ, UNA SCELTA OBBLIGATA<br />
Fabrizio Maria Marzi, oltre ad<br />
essere dal 1996 l’enologo della<br />
storica azienda Travaglino in quel<br />
di Calvignano in Oltrepò Pavese, è<br />
anche una figura nota a molti<br />
sommelier italiani. Commissario agli<br />
esami di terzo livello, formatore di<br />
lunga esperienza ai plurididattici, in<br />
passato ha ricoperto ruoli<br />
dirigenziali in seno all’<strong>Associazione</strong>.<br />
Oltrepò Pavese e pinot nero.<br />
Un’eredità importante.<br />
Sì. Se vogliamo l’Oltrepò Pavese si<br />
è ritrovato questa fortuna non<br />
completamente per meriti propri.<br />
In che senso?<br />
L’Oltrepò è stato il bacino di<br />
utenza principale per storiche<br />
aziende piemontesi che fornivano<br />
barbatelle di pinot nero.<br />
Ancora adesso?<br />
Certo. Però ad un certo punto<br />
quei produttori hanno deciso di<br />
puntare molto sull’Asti e questo ha<br />
fatto sì che gli equilibri<br />
cambiassero.<br />
A favore dell’Oltrepò Pavese?<br />
Non completamente in realtà. A<br />
quel punto è cominciata ad<br />
emergere la Franciacorta.<br />
Berlucchi comprava qui il suo pinot<br />
nero. È stata questa azienda, nella<br />
figura dell’enologo Franco Ziliani, a<br />
preparare il terreno per gli<br />
industriali che poi hanno deciso di<br />
investire i loro capitali nel settore<br />
della spumantistica. L’Oltrepò non<br />
è stato al passo, perché il<br />
comparto è rimasto legato all’idea<br />
di essere soprattutto il substrato per<br />
una produzione altrui.<br />
IL CRUASÉ IN PILLOLE<br />
■■■■Il nome “Cruasé” deriva dalla fusione di “Cru”<br />
e “Rosé” unite da una “a” che fa da congiunzione.<br />
In questa scelta è presente anche il tentativo di<br />
recuperare il nome di un antico vitigno dell’Oltrepò<br />
Pavese, il “Cruà”, considerato un’eccellenza intorno<br />
al 1700.<br />
■■■■Cruasé è un marchio collettivo di proprietà<br />
del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese ad esclusivo<br />
utilizzo delle aziende che rivendicano DOCG<br />
Oltrepò Metodo Classico Rosè. Le bottiglie devono<br />
Il Classese è stato un primo<br />
tentativo per rilanciare questo<br />
comparto?<br />
Sì, ma è rimasta una piccola realtà<br />
con pochi produttori e piccoli<br />
numeri. C’è però da sottolineare<br />
un aspetto: nonostante il pinot<br />
nero non sia decollato, qui si è<br />
mantenuto il vigneto. Ed è un<br />
valore importantissimo. Oggi<br />
abbiamo quasi 3000 ettari di<br />
vigneto a pinot nero ed a partire<br />
dagli anni Ottanta sono stati<br />
impiantati anche cloni per la<br />
vinificazione in rosso.<br />
Ci fu confusione, ad un certo<br />
punto, tra cloni adatti a<br />
vinificazioni diverse?<br />
Un po’ di confusione c’era, ma le<br />
difficoltà non dipendevano solo<br />
da questo aspetto. L’incapacità e<br />
la cattiva conoscenza<br />
nell’allevamento del pinot nero,<br />
specie per la vinificazione in rosso,<br />
sono stati il vero handicap.<br />
Arriviamo quindi al Cruasé<br />
Il Cruasé è stata una scelta<br />
obbligata. Se vuoi testimoniare<br />
qualcosa di diverso devi puntare<br />
sul rosé. Il Cruasé non è corretto<br />
chiamarlo semplicemente uno<br />
spumante rosé: è un pinot nero<br />
spumantizzato con il metodo<br />
classico.<br />
Perché questa sottolineatura?<br />
Perché il concetto che deve<br />
passare è che con il Cruasé porti a<br />
tavola prima di tutto un pinot nero,<br />
non solo un metodo classico.<br />
Credi quindi che con il Cruasé sia<br />
possibile anche un tentativo di<br />
destagionalizzazione di questa<br />
tipologia?<br />
Col Cruasé posso<br />
togliere questa<br />
tipologia dalle<br />
sole vendite<br />
natalizie.<br />
Che percezione<br />
c’è tra i produttori di questo nuovo<br />
progetto?<br />
Oggi in molti hanno preso<br />
coscienza che avere un pinot nero<br />
metodo classico ha senso, anche<br />
economicamente. Il lavoro di<br />
zonazione è stato un primo passo<br />
importante di presa di coscienza<br />
collettiva. Tutto l’Oltrepò Pavese<br />
può produrre ottime basi da<br />
spumante a base pinot nero.<br />
Ovvio che ci sono delle diversità<br />
tra la prima fascia collinare e le<br />
parti più elevate. Ma sono<br />
assolutamente convinto che le<br />
nostri basi da spumante non<br />
hanno nulla da invidiare alle altre.<br />
C’è o ci sarà competizione con la<br />
Franciacorta?<br />
No. Io credo molto nella<br />
Lombardia come polo del Metodo<br />
classico italiano. Insieme ci<br />
possiamo presentare con circa 12<br />
milioni di bottiglie sul mercato. Non<br />
credo che invece sia possibile<br />
cercare di identificare tutto il<br />
comparto spumantistico italiano in<br />
modo univoco, magari con un<br />
nome solo.<br />
Ti riferisci al tentativo di far<br />
rinascere il “Talento”?<br />
Certo. Se ce la fanno compiono<br />
un’impresa. Ma, personalmente,<br />
pur rispettando il loro tentativo, io<br />
non ci credo.<br />
essere “vestite” seguendo determinati parametri,<br />
dall’etichetta alla capsula, in modo da rendere<br />
distinguibile questa particolare tipologia.<br />
■■■■Il Cruasé fa riferimento al disciplinare della<br />
DOCG Oltrepò Pavese Metodo Classico approvato<br />
nel 2007. Il vitigno Pinot Nero dovrà essere utilizzato<br />
per un minimo dell’85%, con la specifica di vitigno<br />
appartenente alla DOCG. Affinamento sui lieviti<br />
di almeno 24 mesi e due tipologie consentite:<br />
Brut e Brut Nature.<br />
33
Degustazioni<br />
LA DEGUSTAZIONE<br />
Abbiamo degustato alla cieca 36 campioni grazie al supporto logistico e organizzativo del<br />
Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. 12 Cruasé Docg 2007, 5 Metodo Classico Rosé Pinot Nero<br />
Doc, 5 Pinot Nero Metodo Classico Docg e 14 Pinot Nero Metodo Classico Doc delle annate<br />
2006, 2005, 2004, 2003 e senza annata. Abbiamo selezionato gli otto, attingendo da tutte le tipologie<br />
degustate, che ci sono sembrati più significativi per qualità e carattere.<br />
Travaglino – Oltrepò Pavese Docg Montécerèsino Cruasé Brut 2007<br />
Calvignano (Pv)<br />
24 mesi sui lieviti, ottenuto dalla criomacerazione e successiva spremitura soffice delle bucce di<br />
pinot nero provenienti dall’appezzamento Monteceresino, situato a circa 350 metri di altitudine.<br />
È un cru aziendale e incarna in modo deciso l’idea di fondo che anima l’dea del Cruasé: vigna<br />
ben definita, solo pinot nero, macerazione sulle bucce e rifermentazione in bottiglia. Il colore è un<br />
rosa acceso, vivo: l’attacco olfattivo colpisce per intensità e un mix di piccoli frutti rossi, dal ribes<br />
ai lamponi e un tocco di mineralità che segna anche il palato. Struttura e carattere, succosità e<br />
un bell’allungo nel finale con note di pompelmo rosa.<br />
Piccolo Bacco dei Quaroni – Oltrepò Pavese Docg Cruasé Brut 2007<br />
Montù Beccaria (Pv)<br />
Arancio nel bicchiere e una personalità di bella suadenza: gioca sulle ossidazione senza mai perdere<br />
di vista la freschezza del frutto e delle note agrumate di bella vivacità. In bocca c’è tensione,<br />
apportata dalla piacevole vena fresca ed una persistenza che ricorda ancora le note agrumate.<br />
Tenuta il Bosco – Oltrepò Pavese Docg Cruasé Brut 2007 Oltrenero<br />
Zenevredo (Pv)<br />
Colore rosa acceso nel bicchiere e un’aromaticità che gioca già al naso sulle morbidezze e la<br />
dolcezza, senza mai scadere però nella stucchevolezza. Il frutto maturo e qualche nota di chinotto<br />
segnano un incedere olfattivo rassicurante e a tratti piacione.<br />
In bocca struttura e una fresca vivacità non mancano, anche se sono l’avvolgenza e la morbidezza<br />
a segnare il passo.<br />
Cantine Francesco Montagna – Berté Cordini Oltrepò Pavese Doc Cuvée Rosé S.A.<br />
Broni (Pv)<br />
Rosa pallido e una pulizia di bella precisione e sottigliezza. Le note di piccoli frutti, di ribes e lampone,<br />
ma soprattutto una beva incisiva, di grande freschezza con una vena sapida di grande<br />
potenza, donano a questo rosé metodo classico un tocco sferzante e di carattere. 8 mesi sui lieviti<br />
da vigneti posti a circa 250 metri di altitudine.<br />
Azienda Agricola Anteo – Oltrepò Pavese Doc Rosé 2005<br />
Rocca De’ Giorni (Pv)<br />
Colore tra l’arancio e il rosa, al naso offre un buon mix tra note fruttate più delicate di ribes e più<br />
mature e dense di ciliegia e fragola. Succoso, di buona persistenza con un finale fruttato e fresco.<br />
Lungamente affinato sui lieviti, viene prodotto eventualmente con l’aggiunta del “salasso”<br />
del pinot nero vinificato in rosso.<br />
F.lli Giorgi – Oltrepò Pavese Docg Extra Brut “Gianfranco Giorgi” 2007<br />
Canneto Pavese (Pv)<br />
Intensità e fragranza, complessità e finezza: all’interno della numerosa produzione, anche di vini<br />
spumanti, dei Fratelli Giorgi, questa selezione che risposa sui lieviti per 36 mesi si conquista sicuramente<br />
un ruolo di primo piano. Frutti di mela e pera maturi e note di pompelmo di bella trama. In<br />
bocca gioca su toni minerali, sapidi, con una bella e succosa persistenza agrumata di sottofondo.<br />
Ca’ del Gè – Oltrepò Pavese Doc Brut 2006<br />
Montalto Pavese (Pv)<br />
Una mineralità rocciosa, delicati frutti bianchi e una sferzata agrumata di bell’impatto insieme a<br />
note di lievito e pane. In bocca segue la linea interpretativa del naso, con un finale ancora agrumato<br />
e sapido e una persistenza di bell’impatto. Riposa tra i 36 ed i 48 mesi sui lieviti a seconda<br />
delle annate.<br />
Monterucco – Oltrepò Pavese Doc Classese 2005<br />
Cigognola (Pv)<br />
Note floreali e frutti bianchi di buona maturità insieme a quelle agrumate, incisive segnano il quadro<br />
olfattivo di questo metodo classico di bella finezza. Bocca di spessore, struttura, freschezza<br />
con una scioltezza gustativa di ottima fattura. Insieme al pinot nero, si unisce un 15% di chardonnay.<br />
48 mesi sui lieviti.<br />
34
Vino e territorio<br />
36<br />
Freisa,<br />
il vino di Torino<br />
di Piermaurizio Di Rienzo<br />
LE ORIGINI RISALGONO AL XVI SECOLO E GIÀ<br />
NELL’OTTOCENTO ERA CONSIDERATO UNO DEI<br />
MIGLIORI VINI D’ITALIA. PERSINO ERNEST<br />
HEMINGWAY NE ERA INCURIOSITO. OGGI IL FREISA<br />
È PRODOTTO SOLO DA CINQUE AZIENDE,<br />
RIUNITE IN UN CONSORZIO, PER UN<br />
MILIONE DI BOTTIGLIE COMPLESSIVE<br />
Èil vino rosso di Torino, quello prodotto<br />
dalle uve coltivate sulle colline intorno<br />
alla città e che da sempre si accompagna<br />
ai piatti tipici della tradizione piemontese. È il<br />
Freisa di Chieri, un vitigno ricco di storia, snobbato<br />
per anni dai critici, ma che ora sta pian<br />
piano guadagnando nuove fette di mercato.<br />
Le origini di questo vino risalgono al XVI secolo:<br />
una tariffa doganale del comune di<br />
Pancalieri del 1517 indica tra le uve più pregiate<br />
“carrate e somate Fresearum” senza<br />
specificare esattamente il luogo di provenienza<br />
che, data la vicinanza, si presume<br />
fosse sulla collina torinese. Poi c’è un celebre<br />
trattato di un orafo milanese, Giovanni<br />
Battista Croce, che nel 1606 parla «della<br />
eccellenza e diversità dei vini che sulla montagna<br />
torinese si fanno e del modo di farli».<br />
Parla di Freisa anche il conte Nuvolone in<br />
occasione dell’adunanza della Reale Società<br />
agraria di Torino, nel 1798, dichiarando: «Freisa<br />
produce un vino acerbo, secco e robusto».<br />
Arriviamo quindi a Goffredo Casalis, cronista locale<br />
del XIX secolo, che descrive una “merenda sui<br />
prati della collina di Superga”, in occasione dei festeggiamenti<br />
per l’anniversario della liberazione dall’assedio<br />
francese del 1706. In quel caso i produttori di Freisa si<br />
improvvisavano osti itineranti che dalla vendita del loro vino<br />
ricavavano ottimi guadagni. Altri cenni arrivano dalla gran-
de Esposizione Ampelografica del 1881, dove il Freisa<br />
di Chieri era inserito nell’elenco dei migliori vini d’Italia.<br />
E ancora. Ernest Hemingway nel suo Addio alle armi<br />
ne parla come di un vino del quale era “molto incuriosito”.<br />
La Seconda Guerra Mondiale e il successivo abbandono<br />
delle campagne rappresentò una causa della riduzione<br />
della viticoltura nella zona. Il ritorno alla coltivazione<br />
del vitigno si colloca dopo il 1973, anno dell’istituzione<br />
della Doc Freisa di Chieri.<br />
Attualmente a questo vino sono dedicati novantacinque<br />
ettari della provincia di Torino, sulla catena collinare<br />
a sud del Po che si estende da Moncalieri a Verrua<br />
Savoia, con un’altimetria variabile tra i 300 e gli oltre<br />
550 metri. La zona di produzione è limitata a pochissimi<br />
comuni: Chieri, Pecetto Torinese, Pino Torinese,<br />
Pavarolo, Baldissero Torinese, Montaldo Torinese,<br />
Mombello Torinese, Andezeno, Arignano, Moriondo<br />
Torinese, Marentino e Riva presso Chieri. È un vino<br />
tipicamente rosso rubino, poco intenso dalla gradazione<br />
alcolica minima di undici gradi, prodotto solo da cinque<br />
aziende, riunite in un consorzio, per un milione<br />
di bottiglie complessive.<br />
«È un vitigno che si adatta bene per la consistenza della<br />
buccia, difficilmente attaccabile dalle muffe» racconta<br />
Stefano Rossotto, presidente del consorzio. «Nei terreni<br />
argillosi-sabbiosi, come le colline intorno a Chieri,<br />
sviluppa un’ottima vigoria, producendo acini di buone<br />
dimensioni, con elevato grado zuccherino, che danno<br />
vita a vini uniformi». Sono proprio i terreni, tra l’altro,<br />
a fare la differenza tra il Freisa di Chieri e quello di Asti<br />
(prodotto su una scala ben più vasta): nella prima zona<br />
si ha una predominanza di argilla e sabbia, nella seconda<br />
di calcare e limo. Il Freisa di Chieri viene tradizionalmente<br />
vinificato secco, nelle tipologie fermo e vivace.<br />
Quest’ultimo è il vino che più viene ricordato nel<br />
tempo, tipico della zona e che, come spiega Rossotto «si<br />
adatta perfettamente alla bagna caûda (tipico piatto a<br />
base di verdure e crema di acciughe e aglio)». C’è poi il<br />
Freisa Superiore, originato da uve verso la sovrammaturazione<br />
e immesso sul mercato circa un anno dopo<br />
la vendemmia. Infine, alcune realtà hanno cominciato<br />
a produrre Freisa Rosato e Freisa Spumante, come consentito<br />
dall’ultima modifica apportata al disciplinare<br />
della denominazione. L’omonima azienda del presidente<br />
Rossotto, a Cinzano, produce 30-35mila bottiglie<br />
all’anno. «Le principali guide ci hanno trascurato per<br />
anni a causa della fama pregressa di un prodotto onestamente<br />
problematico» osserva il titolare. «C’è stata<br />
un’evoluzione dal punto di vista qualitativo, anche grazie<br />
a corsi di formazione, prove di vinificazione e sperimentazioni<br />
in collaborazione con l’Università degli Studi<br />
di Torino».<br />
«È da sempre una produzione di nicchia» aggiunge Luca<br />
Balbiano dell’azienda vitivinicola Balbiano di Andezeno.<br />
«Anche se il calo dei consumi rappresenta un dato assodato,<br />
abbiamo la consapevolezza di produrre un vino<br />
di eccellenza».<br />
L’azienda, fondata nel 1941 da Melchiorre Balbiano,<br />
produce 130mila bottiglie all’anno, di cui 100mila solo<br />
di Freisa di Chieri vivace. Un’altra delle cinque realtà<br />
presenti è La Borgarella di Chieri, piccola azienda agri-<br />
cola produttrice di circa 20mila bottiglie annue, ma che<br />
vanta una tradizione secolare nella coltivazione dei<br />
vigneti. «È un vitigno appartenente alla famiglia del<br />
Nebbiolo, non sopporta grandi invecchiamenti, ma è<br />
ottimo da bere nell’annata» fa notare la titolare Enrica<br />
Gastaldi. «È un vino che può dare molto di più di quello<br />
che offre ora» dice Enrico Rubatto, giovane produttore<br />
di Baldissero Torinese. «Il Freisa di Chieri ha grandi<br />
potenzialità non ancora sfruttate, ma si sta lavorando<br />
bene». La sua azienda è la più piccola in termini di<br />
volumi: 6-7mila bottiglie all’anno, molte delle quali<br />
esportate all’estero. La restante quota di produzione è<br />
gestita dalla Cantina sociale del Freisa, che ha sede a<br />
Castelnuovo Don Bosco, comune della provincia di Asti,<br />
proprio a ridosso del Chierese. Per la promozione dei<br />
loro vini queste aziende possono contare su poche occasioni.<br />
A fianco al consolidato appuntamento del Vinitaly<br />
di Verona e del vicino Salone internazione del gusto di<br />
Torino, è nata la manifestazione Di Freisa in Freisa.<br />
La prima edizione, promossa dal comune di Chieri, si<br />
è svolta lo scorso aprile. Da segnalare anche La Corriera<br />
del Freisa che tra gennaio e febbraio parte ogni sabato<br />
da piazza Carlo Felice, a Torino, con fermate intermedie<br />
a Sassi e Chieri per portare enofili e buongustai<br />
alla Bottega del Vino di Moncucco, dove la Trattoria<br />
del Freisa propone menu tradizionali piemontesi. I partecipanti<br />
possono gustare i piatti della cucina tipica del<br />
territorio, abbinati ai vini delle aziende che aderiscono<br />
all’iniziativa.<br />
37
Vitigni autoctoni<br />
Splende l’uva d’oro<br />
della Serenissima<br />
NELLA LAGUNA DI<br />
VENEZIA SI È<br />
RECUPERATO UN ANTICO<br />
VITIGNO AUTOCTONO, LA<br />
DORONA. IL VINO SARÀ<br />
PRONTO NEL 2012 ESI CHIAMERÀ VENISSA.<br />
UN’OPERAZIONE DI<br />
TUTELA DEL TERRITORIO<br />
E CONSERVAZIONE<br />
DELLE TRADIZIONI<br />
REALIZZATE GRAZIE A<br />
UN PROGETTO PUBBLICO<br />
E PRIVATO<br />
▲ Uno scorcio insolito della<br />
Serenissima con i vigneti di Dorona<br />
all'interno della tenuta di Venissa<br />
nell'isola di Mazzorbo<br />
38<br />
di Annalisa Raduano<br />
Nell’isola veneziana di Mazzorbo c’è una tenuta che si chiama Venissa.<br />
Si tratta di un’area murata, oggi integrata con una struttura ricettiva,<br />
un ristorante (gestito da Paola Budel, chef bellunese formatasi<br />
alla scuola di Gualtiero Marchesi e di Michel Roux) e un centro di formazione<br />
e di ricerca agro-ambientale. La tenuta custodisce l’antico vigneto<br />
recuperato da Bisol. Qui infatti è stata piantata la Dorona, il vitigno<br />
autoctono a bacca bianca tipicamente veneziano, presente in Laguna fin<br />
dal XV secolo.<br />
«Entro il 2012, verranno prodotte poche migliaia di bottiglie di questo antico<br />
vino, che si chiamerà Venissa ed è già oggetto di prenotazioni» ha spiegato<br />
Gianluca Bisol, durante la presentazione del progetto nella tenuta<br />
veneziana. «Grazie al coordinamento di mio fratello Desiderio, direttore<br />
tecnico, e alla consulenza di Roberto Cipresso, winemaker, produrremo<br />
uno fra i migliori dieci vini bianchi al mondo. Un vino che vuole essere<br />
anche un omaggio alla storia e alla cultura della laguna di Venezia, da<br />
sempre legata a Valdobbiadene».<br />
Il recupero della tenuta dove ha dimora la Dorona comprende un polo funzionale<br />
e di conservazione delle ricchezze della natura della laguna. Un<br />
progetto questo, premiato dal Comune di Venezia, giudicato il migliore (tra<br />
dodici progetti presentati) per la concreta azione di recupero e valorizzazione<br />
dell’area, che nasce grazie alla collaborazione fra Bisol e Vento di<br />
Venezia, Polo Nautico guidato da Alberto Sonino. Con il sostegno di Veneto<br />
Agricoltura è stato infatti possibile classificare e recuperare un antico vitigno<br />
lagunare di uva a bacca bianca, la Dorona, meglio conosciuta come<br />
Uva d’Oro, coltivata fin dal XV secolo e che era andato quasi perduto nei<br />
tempi moderni. Il recupero di questo vitigno si è celebrato proprio in occasione<br />
della prima vendemmia di quest’uva, cui hanno partecipato il presidente<br />
della Regione Luca Zaia, il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, il<br />
presidente della Biennale, Paolo Baratta, la scrittrice Camilla Baresani,<br />
lo scrittore e winemaker Roberto Cipresso, l’autore televisivo Alessandro<br />
Ippolito, lo scrittore e opionion leader Gelasio Gaetani D’Aragona Lovatelli.<br />
La tenuta di proprietà del comune di Venezia è stata ribattezzata con il<br />
nome Venissa, a seguito del progetto di recupero che la presenta oggi,<br />
come un parco che custodisce le ricchezze di questa terra.<br />
Accanto al vigneto di Dorona, vi sono anche orti coltivati dai pensionati<br />
con verdure tutte veneziane e una peschiera con pesci lagunari (cefali,<br />
anguille, granchi di laguna). La tenuta ripropone la fisionomia agraria dell’isola:<br />
coltivazioni di vigne, orti e frutteti sono stati realizzati grazie alle<br />
monache benedettine che curavano queste terre.<br />
La Dorona era un’uva prodotta nei secoli scorsi in tutta la laguna di Venezia<br />
e della quale sopravvivevano fino a pochi anni fa solo residue coltivazioni.<br />
Il dizionario dei vitigni antichi minori italiani, a cura del professor Attilio<br />
Scienza e di altri autori, pubblicato nel 2004 dice: «Quest’uva a bacca<br />
bianca viene chiamata anche Dorona o D’oro di Venezia ed è riconoscibile<br />
per il colore giallo dorato-ambrato dei suoi acini maturi che gli valgo-
no il nome. Poco sensibile alle crittogame, specialmente alla botrite, si può<br />
conservare a lungo sulla pianta o in fruttaio, qualità che ne suggerisce<br />
l’impiego per la realizzazione di vini passiti. È una varietà a doppia attitudine,<br />
utilizzata sia come uva da mensa che da vino, nel qual caso dà<br />
origine a bianchi di colore giallo paglierino, con tenue odore vinoso e un<br />
sapore asciutto con retrogusto leggermente<br />
amarognolo».<br />
La storia la vede florida ai tempi della<br />
Serenissima come la varietà che produceva<br />
il vino di Venezia anche se,<br />
in tempi più recenti, viene descritta<br />
come uva da consumo fresco nell’entroterra<br />
veneto. In effetti la coltivazione<br />
dei vigneti nella laguna di<br />
Venezia è antica quanto i suoi insediamenti<br />
e ampiamente documentata<br />
in scritti custoditi nell’Archivio di<br />
Stato di Venezia, come dimostra la<br />
ricerca effettuata dalla scrittrice Carla<br />
Coco. Grazie al catastico del 1341<br />
degli ufficiali del Piovego si scopre<br />
che al Lido c’erano complessivamente<br />
cinquantasette vigne.<br />
Ricchissime tracce di vigneto si trovano<br />
a Mazzorbo, la casa della Dorona,<br />
dove le vigne erano di proprietà del<br />
monastero di Santa Eufemia. La vite<br />
viene impiantata dai frati certosini<br />
subito dopo il loro insediamento<br />
(1421), tant’è che il monastero aveva una cantina con diverse linee di produzione,<br />
come si direbbe oggi: vino puro per la messa e vino allungato con<br />
l’acqua (in proporzioni rigorose e non casuali) per un prodotto leggero che<br />
veniva dato ai poveri come elemosina insieme al cibo. Un luogo quindi<br />
da sempre destinato alla coltivazione dell’uva, dove oggi la Dorona torna<br />
a splendere.<br />
Il taglio del primo grappolo lo ha fatto, con molta soddisfazione, Luca Zaia<br />
▲ Una veduta dall'alto della tenuta<br />
di Venissa<br />
▲ La degustazione dei vini veneti<br />
39
Vitigni autoctoni<br />
▲ La tenuta di Venissa<br />
▲ Da sinistra Luca Zaia, governatore del Veneto,<br />
Gianluca Bisol e altri ospiti e protagonisti del<br />
Progetto Venissa, inaugurato lo scorso 3 settembre<br />
40<br />
che non ha mancato di sottolineare quanto grande sia il suo Veneto e i<br />
suoi vini: «Il Veneto è la prima regione per produzione di vini e di vini<br />
Doc e Docg, dei quali quasi l’85 per cento sono ottenuti da uve autoctone.<br />
Qui nella tenuta di Venissa abbiamo voluto riportare la produzione<br />
vinicola, dove era scomparsa». Alla cerimonia erano presenti anche i ragazzi<br />
con sindrome di Down dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> Persone Down – Sezione<br />
della Marca Trevigiana, che da anni si dedicano al vino, proponendo<br />
bottiglie vendemmiate con uve da loro raccolte e imbottigliate con creatività:<br />
etichette personalizzate che poi vestono bottiglie vendute a un’asta<br />
di beneficenza che ogni anno si svolge a Verona, in occasione del Vinitaly.<br />
C’erano al taglio Gianluca Bisol e Giorgio Cecchetto delle omonime aziende<br />
e Raffaele Boscaini per Masi Agricola a testimoniare che la vite e il vino<br />
sono parte integrante delle tradizioni gastronomiche e dell’economia di<br />
questa regione. E la centralità dell’enologia per l’economia veneta è confermata<br />
anche dai numeri: in Veneto si producono circa otto milioni di<br />
ettolitri l’anno, dei quali quasi 3,2 milioni a denominazione. Gli esportatori<br />
della regione vendono all’estero una quantità di vini e mosti equivalenti<br />
a circa il 60 per cento della produzione regionale, per una quantità<br />
e un valore (attorno al miliardo di euro) equivalente al 28 per cento del<br />
totale dell’export italiano di vino. Il vino veneto Doc proviene per la gran<br />
▲ Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, e Luca Zaia alla<br />
vendemmia nella tenuta di Venissa
▲ Alcuni ambienti all'interno<br />
della tenuta di Venissa<br />
▲ Una vite di uva Dorona<br />
parte da vitigni autoctoni e originari (oltre l’80 per cento del totale) e anche<br />
da tecniche autoctone, come ad esempio, l’appassimento delle uve su graticci,<br />
per ottenere un vino maestoso come l’Amarone.<br />
Del resto, Prosecco, Valpolicella, Soave, Amarone, Recioto, Conegliano<br />
Valdobbiadene con il Cru Cartizze, Bardolino, Durello, Asolo, Lugana,<br />
Malanotte, Schiava, Casetta, Refrontolo, Torcolato, Pinello, Fior d’Arancio,<br />
Friularo, Enantio, Refosco, Colli di Conegliano, Casetta contraddistinguono<br />
vini Doc e Docg ottenuti da uve che da secoli vestono il Veneto e che<br />
da qui sono state portate altrove dai tanti veneti emigrati. Una curiosità:<br />
nel Veneto ci sono alcuni dei vigneti più preziosi al mondo. Nel territorio<br />
della Valpolicella classica sono 104 gli ettari a vite del Cartizze: per il terreno<br />
di queste colline c’è una valutazione di massima (si parla di due milioni<br />
e mezzo di euro ad ettaro) ma non un vero e proprio “prezzo”, perché<br />
solo un pazzo venderebbe anche un solo appezzamento. Questi vini si<br />
ottengono da antichi vitigni come Corvina, Molinara, Rondinella, Garganega,<br />
Glera, Durella, Raboso, Negrara, Vespaiola, Oseleta, Marzemino, Verdiso,<br />
Bianchetta o da moderni incroci qui realizzati come Manzoni Bianco e<br />
Manzoni Rosso. Sebastiano Carron che dagli uffici della regione descrive<br />
e racconta della cultura enogastronomia del territorio e delle sue valenze<br />
paesaggistiche spiega con orgoglio: «I nostri vini si bevono perché buoni.<br />
E anche con un conveniente rapporto prezzo-qualità. E poi chi li degusta<br />
sorseggia la storia, respira il territorio. Perché nel Veneto il vino è presente<br />
almeno da quando c’è l’uomo. E anche da prima, se si guarda l’impronta<br />
fossile di una foglia di ampelidea, vecchia di 50 milioni di anni,<br />
ritrovata in Lessinia, a Bolca». Carron prosegue illustrando l’evolversi<br />
del consumo di uva da parte degli antichi abitatori degli insediamenti palafitticoli<br />
del Garda e del Lago di Fimòn, delle prime coltivazioni di vite vinifera<br />
attribuibili alla civiltà paleoveneta ed etrusca, mentre spiega che le<br />
prime citazioni documentate dei vini locali sono quelle del Vino Retico, il<br />
vino dolce prodotto con uve appassite nella Retia, la regione collinare che<br />
agli albori di Roma si estendeva a settentrione della parte centrale della<br />
Pianura Padana. Testimonianze di vino si trovano da Cassiodoro al re longobardo<br />
Teodorico, che nel suo editto prevede pene per chi danneggi le<br />
viti o ne rubi i grappoli, passando per i Comuni e la Repubblica di Venezia.<br />
Tornando ai giorni nostri e alla Dorona, dopo la prima produzione, numerata,<br />
data la poca capacità produttiva, è in via di definizione il recupero<br />
di altre aeree lagunari da destinarsi alla vite, al vino e alla Dorona. Così<br />
la storia del vino e la tutela degli autoctoni lagunari nelle Serenissima e<br />
in Veneto proseguono guardando al futuro ma ben radicate nel passato.<br />
41
Degustazioni<br />
Il Faro<br />
per riscoprire le radici<br />
42<br />
della Sicilia<br />
INIZIALMENTE<br />
LA DOC FARO ESISTEVA<br />
SOLO SULLA CARTA.<br />
AGLI INIZI DEGLI ANNI<br />
NOVANTA IL MERITO<br />
DI AVER LOTTATO<br />
PER MANTENERLA<br />
IN VITA E RILANCIARLA<br />
SI DEVE<br />
A UN PRODUTTORE<br />
ILLUMINATO,<br />
SALVATORE<br />
GERACI<br />
di Luigi Salvo<br />
Sulle colline che si affacciano sullo Stretto di Messina in una lingua<br />
di terra chiusa tra il Mar Tirreno e il Mar Ionio nasce la denominazione<br />
d’origine controllata Faro. Il suo nome pare derivi dall’antica<br />
popolazione greca dei Pharii, che colonizzarono gran parte delle colline<br />
messinesi, svolgendo attività agricola e in particolare dedicandosi alla coltivazione<br />
delle vigne, o verosimilmente da Punta Faro o Capo Peloro, posta<br />
all’estremità dello stretto. La sua zona di produzione si sviluppa nel solo<br />
comune di Messina, proprio dal faro di Capo Peloro ai piedi del Monte<br />
Poverello, verso sud-est. Quest’area della Sicilia vanta un’antichissima<br />
vocazione vitivinicola, il vino Faro, infatti, era prodotto già in età Micenea<br />
(XIV secolo a.C.). Numerose testimonianze sono riconducibili a un’importante<br />
attività vitivinicola già dall’epoca greca, per arrivare fino al XIX secolo<br />
in cui furono davvero notevoli il commercio e l’esportazione di vino Faro<br />
in molte regioni della Francia, allora utilizzato come vino da taglio dei vini<br />
di Borgogna e di Bordeaux, in concomitanza con gli attacchi di fillossera<br />
che interessarono il Nord Europa e la Francia in particolare. Nell’intera<br />
provincia di Messina nel 1848 in totale gli ettari coltivati a vite erano<br />
18mila, nell’ultimo decennio dell’Ottocento raggiunsero i 40mila e la<br />
produzione annua di vino arrivò a 500mila ettolitri. Oggi gli ettari vitati<br />
a uva da vino nella provincia sono 900, ma proprio questo basso picco ha<br />
contribuito alla svolta della viticoltura messinese verso la qualità.<br />
Il Faro ha ottenuto il riconoscimento Doc nel 1976. Il disciplinare prevede<br />
l’utilizzo di Nerello Mascalese dal 45 per cento al 60 per cento, Nerello<br />
Cappuccio dal 15 al 30 per cento, Nocera dal 5 al 10 per cento ed eventuale<br />
aggiunta di Nero d’Avola e/o Gaglioppo e/o Sangiovese e/o altre uve<br />
a bacca rossa autoctone (massimo 15 per cento). La biodiversità dei vitigni<br />
autoctoni siciliani è un grandissimo patrimonio, alcuni di questi<br />
però non hanno grande plasticità e allevati al di fuori delle aree d’elezione<br />
non danno gli stessi risultati. Il Nerello Mascalese e il Cappuccio si<br />
esprimono al meglio nel particolare terroir vulcanico dell’Etna e riescono<br />
anche a offrire interessanti vini nella zona messinese del Faro, ove i terreni<br />
di coltivazione sono bruni, leggermente acidi e tendenzialmente compatti<br />
alle quote maggiori dei Nebrodi e dei Peloritani meridionali, alluvionali<br />
e generalmente molto fertili lungo la fascia costiera del litorale di<br />
Milazzo.<br />
In realtà la Doc Faro, dopo qualche anno dalla sua nascita, negli anni<br />
Ottanta era prodotta in esigua quantità, esisteva in pratica solo sulla carta.<br />
Agli inizi degli anni Novanta il gran merito di aver lungamente lottato per
▲ La degustazione di Luigi Salvo, a<br />
sinistra, con Francesco Giostra<br />
Reitano, presidente del Consorzio<br />
di Tutela<br />
mantenerla in vita e rilanciarla in quantità e qualità va dato a un produttore<br />
illuminato, l’architetto Salvatore Geraci. Spinto da Gino Veronelli a<br />
produrre un grande vino dalle sue vigne, cercò di comprendere al meglio<br />
il suo materiale esistente, alberelli con oltre settant’anni di vita. In quel<br />
fazzoletto di terra collinare che si affaccia sullo Stretto di Messina, dove<br />
la viticoltura andava scomparendo, vi erano terreni con paesaggi mozzafiato,<br />
dove la pendenza che supera il 70 per cento ha imposto la costruzione<br />
di numerosi terrazzamenti, strie di muretti a secco che definiscono<br />
le colline. Nel 1990 Salvatore Geraci per il suo Faro Palari sceglie l’enologo<br />
Donato Lanati. Il vino va in bottiglia senza chiarifiche e filtrazioni, la<br />
malolattica è svolta in barrique dove il vino permane dai 12 ai 18 mesi.<br />
Per quattro anni il vino prodotto non viene commercializzato, la prima<br />
vera annata è il 1995. Dal successo del suo vino parte la rinascita dell’intera<br />
denominazione. Grazie a questo impulso negli ultimi anni diverse<br />
aziende hanno scommesso sul valore di questa Doc che oggi può vantare<br />
anche un Consorzio di tutela, nato sette anni fa e che raggruppa<br />
quindici associati. Il presidente Francesco Giostra Reitano,<br />
anch’egli produttore, unisce e coordina le aziende facendo squadra<br />
allo scopo di valorizzare, promuovere e tutelare gli interessi<br />
relativi al piccolo comparto della Doc Faro.<br />
È una delle denominazioni siciliane più piccole. Oggi gli ettari<br />
vitati iscritti all’albo dei vigneti a Doc sono venticinque, ma è<br />
un’ottima espressione dell’autoctonia siciliana e proprio per questo<br />
ha un gran valore aggiunto. I produttori che oggi s’impegnano<br />
nella sua valorizzazione, alcuni anni fa hanno scelto di non<br />
estirpare gli antichi vitigni locali per fare posto agli internazionali<br />
in grado di globalizzare la produzione e facilitarne la commercializzazione,<br />
ma di dare invece una forte spinta a un’anima locale<br />
non del tutto espressa, attraverso il recupero di antichi vigneti e il reimpianto<br />
di nuovi. I vignaioli del Faro cercano di raccontare il loro territorio<br />
in maniera diretta, evitando il filtro della manipolazione enologica. La<br />
comune parola d’ordine in vigna e in cantina è rispetto della materia prima,<br />
facendo convivere in armonia tradizione e innovazioni tecnologiche. Sono<br />
orgogliosi di farlo proprio attraverso i vitigni siciliani Nerello Mascalese,<br />
Nerello Cappuccio, Nocera e alcuni altri dai nomi particolari: Core ‘e<br />
Palumba, Acitana, Galatena. «Nulla aggiungiamo e nulla togliamo a ciò<br />
che la natura ci dà, noi siamo semplicemente i traghettatori di un’essenza<br />
che partendo dalla terra e attraversando la vite si esprime nell’uva».<br />
43
Degustazioni<br />
LA DEGUSTAZIONE<br />
Bonavita – Faro Doc 2008 – 13,5% vol.<br />
Faro Superiore (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera<br />
I vigneti della famiglia Scarfone, dai 6 ai 50 anni d’età, si trovano su ripidi terrazzamenti<br />
a 250 m s.l.m. su terreno di medio impasto con strati argillosi e tufi calcarei.<br />
Le uve sono allevate con agricoltura naturale, basse dosi di rame e zolfo per la<br />
difesa antiparassitaria, sovesci annuali di leguminose seminate in autunno per<br />
l’apporto di sostanza organica naturale. Il vino affina 16 mesi in botti di rovere<br />
non nuove. Dal colore rosso rubino trasparente con lievi riflessi granato, ha naso<br />
di vivo frutto, con note di macchia mediterranea, spezie, humus e grafite. Al<br />
gusto evidenzia la sua gioventù nel frutto vibrante e nella spiccata acidità, chiude<br />
in lunghezza su toni speziati. Abbinamento consigliato falsomagro al ragù.<br />
Prezzo consigliato in enoteca: 22 euro.<br />
Tenuta Enza La Fauci – Faro Doc 2008 – 14,5% vol.<br />
Mezzana (Me) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera, Nero d’Avola<br />
Enza La Fauci ama la sua terra e il suo vino, alleva le uve in contrada Mezzana<br />
vicino Capo Peloro su terreni argillosi-calcarei. Le diverse varietà sono vinificate<br />
singolarmente con macerazione del mosto sulle bucce per 10 giorni, senza lieviti<br />
aggiunti e con impiego di solfiti ridotto al minimo, il vino affina 12 mesi in barrique<br />
nuove e usate. Nel bicchiere ha colore rosso rubino luminoso, ventaglio aromatico<br />
poliedrico, fruttato di marasca e ciliegia, note vegetali, di cioccolato e spezie<br />
balsamiche. Al sorso è di gran bevibilità, mostra vitalità dell’asse acido-tannico e<br />
piacevole ritorno nel finale persistente delle sensazioni gusto-olfattive di frutto e<br />
spezie. Ideale con bocconcini di capriolo in umido. Prezzo consigliato in enoteca:<br />
30 euro.<br />
Azienda Agricola Reitano – Faro Doc Rasocolmo 2008 – 13,5% vol.<br />
Rasocolmo (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera, Sangiovese<br />
Il vigneto di un ettaro dal quale deriva è in uno splendido scenario naturale, il<br />
promontorio di Rasocolmo che si affaccia sul mar Tirreno proprio di fronte l’isola<br />
di Stromboli. Il vino è frutto dell’unione dei tre classici vitigni del Faro e ha anche<br />
una piccola percentuale di Sangiovese. Fermentato in acciaio con controllo<br />
della temperatura è affinato esclusivamente in acciaio. Dal vivo colore rosso rubino,<br />
effonde particolari sentori floreali di rosa e viola, frutta rossa macerata e spezie.<br />
Elegante l’impatto gustativo caratterizzato da nerbo acido ben presente e<br />
tannino fitto, è piacevole nei ritorni frutto-sapidi retrolfattivi. Si sposa perfettamente<br />
con pesce spada alla ghiotta. Prezzo consigliato in enoteca: 18 euro.<br />
Fondo dei Barbera – Faro Doc 2008 – 13,5% vol.<br />
Faro Superiore (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera<br />
Il fondo dell’ingegnere Claudio Barbera è esteso per meno di un ettaro a Faro<br />
Superiore a 160 m s.l.m. Sin dal 1961 i Barbera vinificano in loco le loro uve, nel<br />
2004 la svolta con l’impianto delle nuove vigne e il rilancio qualitativo. Il vino fermenta<br />
in silos d’acciaio termocondizionato ed è maturato in botti di rovere per<br />
un anno. Dal bel colore rubino cupo con riflessi porpora, mostra un bel naso stratificato,<br />
sentori floreali di viola, fruttati freschi di mora e mirtilli, cioccolato, cannella<br />
percezioni speziate. All’assaggio esprime evidente freschezza di gioventù, tannino<br />
esuberante, le parti dure decisamente prevalenti hanno necessità di tempo<br />
per smussare gli angoli. In abbinamento con petto d’anatra al ginepro. Prezzo<br />
consigliato in enoteca: 25 euro.<br />
44
Vigna Sara – Faro Doc 2008 – 12,5% vol.<br />
Faro Superiore (Me) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio,<br />
Nocera, Nero d’Avola, Montonico, Sangiovese<br />
Dai 2,5 ettari di vigna Sara che sorgono a 220 m. s.l.m. a Faro Superiore su un<br />
declivio naturale verso lo stretto di Messina, prende nome il vino Faro della famiglia<br />
Caruso. Nella piccola cantina annessa al vigneto le operazioni di vinificazione<br />
prevedono l’utilizzo dell’acciaio inox termocondizionato e la follatura manuale,<br />
il vino è successivamente maturato per 12 mesi in barrique di rovere francese.<br />
Nel bicchiere mostra colore rubino con riflessi granato, all’olfatto profumi di frutti<br />
rossi scuri, quali ribes e mora, note speziate e boisé. Al palato dal corpo snello,<br />
evidenzia freschezza, tannino integrato, finale di frutto leggermente amaricante.<br />
Ottimo compagno del capretto alla messinese. Prezzo consigliato in enoteca: 22<br />
euro.<br />
Mimmo Paone – Faro Rosso Doc 2008 – 13,5% vol.<br />
Condrò (Me) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio, Nocera, Nero D’Avola<br />
Quella dell’enologo Mimmo Paone è un’azienda che ama definirsi artigianale,<br />
da tempo valorizza le tre Doc della provincia di Messina ed in particolare i vitigni<br />
autoctoni che le compongono. La vigna dal quale deriva il Faro si estende per 2<br />
ettari a Castanea delle Furie a 400 m. s.l.m. Le uve sono vinificate con metodo<br />
Ganimede. Dal luminoso colore rosso rubino trasparente, offre intense sensazioni<br />
di marasche e frutti di bosco, tabacco, pepe nero, e pregevoli note di cannella.<br />
L’entrata in bocca è succosa e gradevole, il nerbo acido è ben presente, il tannino<br />
integrato, il finale è di lunghezza ed è corrispondente per aromi al gusto. Da<br />
provare in abbinamento allo stinco di maiale al forno. Prezzo consigliato in enoteca:<br />
30 euro.<br />
Azienda Agricola Bonfiglio – Vigna Beatrice faro Doc 2008 – 14% vol.<br />
Briga Marina (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera<br />
Nel territorio ionico di Contrada Greco a Briga Marina sorge il vigneto di Biagio<br />
Bonfiglio esteso per 1,5 ettari. Il giovane impianto è a cordone speronato, alla<br />
vinificazione a temperatura controllata in acciaio inox segue l’affinamento in<br />
barriques di rovere per tre mesi. L’etichetta del Faro Vigna Beatrice raffigura un<br />
quadro realizzato da un amico di famiglia, il pittore messinese Togo. Nel bicchiere<br />
dona concentrato colore rubino cupo, ha olfatto tratteggiato da timbri scuri, frutto<br />
sottobosco, macchia mediterranea e speziatura. Al sorso misurato e ben<br />
espresso ha morbide note gliceriche che fanno da contraltare all’acidità. In<br />
abbinamento con maialino dei Nebrodi alla brace. Prezzo consigliato in enoteca:<br />
18 euro<br />
Azienda Agricola Palari – Faro Doc 2007 – 13,5% vol.<br />
S. Stefano Briga (Me) – Nerello Macalese, Nerello Cappuccio, Nocera , Nero<br />
d’Avola, Acitana, Tignolino, Galatena<br />
Nella contrada Palari a S. Stefano Briga di Messina, si estendono i vigneti che in<br />
un microclima particolare producono le eccellenti uve che compongono il Faro<br />
di Salvatore Geraci. La fermentazione è svolta a temperatura controllata, il vino<br />
matura in barrique per non meno di 18 mesi.<br />
Nel bicchiere è luminoso rosso rubino con riflessi granato, l'impatto olfattivo è un<br />
insieme di mora, cassis e prugna sotto spirito, pepe nero, liquirizia, caffè e suadente<br />
vaniglia. Al palato di complessità ha il frutto sorretto da eleganti tannini, il<br />
nerbo acido e le note minerali bilanciano la piacevole morbidezza. Vino di struttura,<br />
di gran longevità, chiude con una Pai di valore tra frutto e spezie. Da<br />
accompagnare con filetto al cartoccio prosciutto e funghi. Prezzo consigliato in<br />
enoteca: 35 euro.<br />
45
Cooperative sociali<br />
Le molteplici<br />
potenzialità<br />
delle cooperative<br />
LEGAME STRETTISSIMO CON IL TERRITORIO E ORGANIZZAZIONE<br />
DEL LAVORO DEI SOCI. IL MONDO DELLE COOPERATIVE SI SVILUPPA<br />
E COME LA SICILIANA SETTESOLI, CONIUGANDO RISORSE E QUALITÀ,<br />
PUNTA ALLA VALORIZZAZIONE DEL TERRITORIO<br />
alle Risorse agricole e alimentari della<br />
Regione Sicilia, Giambattista Bufardeci, pre-<br />
L’assessore<br />
sentando il piano di riorganizzazione del sistema<br />
cooperativistico vitivinicolo regionale, auspica la<br />
creazione di maxi strutture capaci di gestire produttività<br />
sempre maggiori. In disaccordo con i programmi<br />
di Bufardeci è Salvatore Li Petri, direttore generale della<br />
Settesoli, che afferma: «Non ci vogliono strutture più<br />
grandi ma solo un’azione di coordinamento. Ammiro<br />
il lavoro fatto da una cooperativa come la Cavit, che è<br />
riuscita a coniugare qualità e mercato, il tutto valorizzando<br />
il territorio».<br />
Con duemila soci che gestiscono seimila ettari di vigneto,<br />
la Cooperativa Settesoli rappresenta il 5 per cento<br />
di tutti i terreni vitati della Sicilia. Prima per fatturato<br />
– nel 2009 ha superato i 40 milioni di euro – e numero<br />
di bottiglie vendute, esporta in quaranta Paesi nel<br />
mondo fra Canada, Nord America, Inghilterra, Svezia,<br />
Danimarca, Svizzera, Belgio, Giappone e Sud America.<br />
Vincitrice nel 2009 del premio Sodalitas “per la capacità<br />
avuta attraverso la sua attività di valorizzare e promuovere<br />
il territorio”, la Settesoli sembra essere l’interlocutore<br />
più adatto per affrontare il delicato tema<br />
della cooperazione.<br />
Fondata nel 1958 a Menfi, nella parte sud occidentale<br />
della Sicilia, da ottantotto soci tra i quali Vito Planeta,<br />
padre di Diego, quest’ultimo nel 1973 è stato nominato<br />
presidente, carica che ancora oggi mantiene. «Per<br />
46<br />
di Ludovica Schiaroli<br />
noi è un grande punto di forza avere una persona come<br />
Diego Planeta in azienda ed è stato anche l’unico modo<br />
per portare avanti un progetto di sviluppo così impegnativo<br />
e a lungo termine» racconta Salvatore Li Petri,<br />
che dirige la cooperativa dal 1998. Menfitano, classe<br />
1964, è riuscito nella difficile impresa di coniugare gli<br />
studi in Economia alla passione per la terra e per la<br />
vigna, tramandatagli dal padre agricoltore. Ammette<br />
che le tante estati passate a lavorare nei campi sono<br />
un patrimonio di cultura e tradizione che l’hanno arricchito<br />
e che ogni giorno mette a frutto in azienda. Il<br />
legame strettissimo con il territorio, la cooperativa lo<br />
dichiara già nel nome. Settesoli è infatti uno dei due<br />
feudi che Tancredi ricevette in dote dal padre, il principe<br />
Fabrizio Salina, detto il Gattopardo. Ispirati al<br />
romanzo di Tomasi di Lampedusa sono anche alcuni<br />
nomi di vini della cantina. Ma le similitudini finiscono<br />
qui. Strutturalmente la cooperativa è formata da un<br />
consiglio di amministrazione di nove membri e da un<br />
presidente. C’è poi il reparto operativo con un direttore<br />
generale, cui rispondono la direzione tecnica e quella<br />
commerciale. Il passaggio più delicato è la comunicazione<br />
tra l’azienda e i suoi soci. «La nostra cooperativa<br />
ha due priorità: la qualità della materia prima,<br />
l’uva, e l’organizzazione e il coordinamento del lavoro<br />
di tutti i soci. Avere un obiettivo comune significa lavorare<br />
insieme come se fosse un unico grande vigneto di<br />
seimila ettari! Questo ci rende diversi dal resto del
▲ Salvatore Li Petri, direttore generale della Cooperativa<br />
Settesoli<br />
mondo cooperativo siciliano» conclude Li Petri. Con un<br />
occhio sempre rivolto al mercato, il direttore generale<br />
della Settesoli ammette di non essersi mai fatto prendere<br />
dalla “moda dell’autoctono”, perché convinto dell’importanza<br />
dei vini internazionali quali ambasciatori<br />
dell’azienda in terra straniera. La cooperativa esporta,<br />
infatti, il 60 per cento del vino prodotto, mentre il<br />
restante 40 per cento è suddiviso in parti uguali tra la<br />
Sicilia e il resto d’Italia. Risulta perciò chiaro perché<br />
l’azienda utilizzi poco la Doc. Una scelta difficile ma<br />
meditata perché «oggi tutti i nostri vini potrebbero rivendicare<br />
la Doc Menfi, ma sia per il mercato italiano che<br />
per quello estero, Menfi non è direttamente riconducibile<br />
alla Sicilia, perciò preferiamo utilizzare la dicitura<br />
Igt Sicilia» spiega Li Petri. Al momento la cooperativa<br />
sta valutando l’utilizzo della dicitura Menfi Doc<br />
all’interno del marchio Settesoli.<br />
Ancora una volta accade che<br />
un’azienda faccia da traino per<br />
comunicare il territorio.<br />
Negli ultimi dieci anni sono stati<br />
investiti oltre 20 milioni di euro<br />
per ammodernare le tre cantine<br />
di vinificazione, mentre un unico<br />
centro di imbottigliamento altamente<br />
automatizzato permette di<br />
confezionare i 25 milioni di bottiglie<br />
prodotte all’anno. A fronte<br />
di tale produzione è fondamentale avere più linee che<br />
possano diversificare l’offerta. Se MandraRossa rappresenta<br />
la selezione delle uve migliori destinate ad<br />
enoteche e ristoranti, Settesoli è pensato per il mercato<br />
italiano, mentre Inycon prende la strada del mercato<br />
estero. Eccetto MandraRossa, i restanti marchi sono<br />
distribuiti anche nella grande distribuzione, scelta quasi<br />
obbligata per garantire una capacità di penetrazione<br />
di quote di mercato sempre maggiori e contemporaneamente<br />
riuscire a distribuire tutto il vino vendemmiato.<br />
Un giusto equilibrio fra quantità e qualità rimane<br />
quindi la grande sfida che la cooperativa deve affrontare<br />
ogni anno.<br />
▲ Vigneti a Melfi<br />
Oggi in azienda lavorano duecento persone ma l’indotto<br />
che gravita intorno alla struttura è ben più ampio,<br />
se si pensa che circa il 70 per cento delle famiglie che<br />
vivono in zona traggono reddito dalla sua presenza. In<br />
una regione che da sempre soffre di un’endemica mancanza<br />
di lavoro, con un tasso di disoccupazione che è<br />
fra i più alti d’Italia, la Settesoli è l’esempio che la<br />
cooperazione può ancora fare la differenza.<br />
Salvatore Li Petri sottolinea l’importanza di una gestione<br />
meno “assistenziale” e più attenta al mercato, quando<br />
afferma: «In Sicilia il 75 per cento della produzione<br />
vitivinicola è ancora in mano alla cooperazione e oggi<br />
rappresenta un handicap perché commercializzando<br />
per lo più vino sfuso, non riusciranno a garantire ancora<br />
a lungo un futuro ai loro soci, che inevitabilmente<br />
dovranno confrontarsi con un mercato estero che vende<br />
a prezzi sempre più competitivi». Il<br />
direttore della Settesoli individua nel<br />
carattere dei siciliani “spesso autoreferenziali<br />
e poco inclini al confronto”<br />
le cause di una crescita non ancora<br />
compiuta.<br />
«Paradossalmente» continua Li Petri,<br />
«sono state le piccole aziende famigliari<br />
come Planeta, Donna Fugata e<br />
poche altre a dare nuovo appeal al<br />
vino siciliano». In effetti per molti<br />
anni la Sicilia è stata la più grande<br />
produttrice ed esportatrice di vino da taglio e solo a<br />
partire dalla fine degli anni Ottanta è iniziato un processo<br />
di rinascita vitivinicola che ha visto diminuire<br />
la produzione, mentre un terzo del suo vigneto veniva<br />
riconvertito con vini di qualità, dando vita a una rivoluzione<br />
culturale tanto inaspettata quanto redditizia.<br />
Gestire al meglio questo patrimonio è una sfida impegnativa<br />
ma con ottime potenzialità, come osserva Li<br />
Petri: «Se guardo al futuro vedo ottime possibilità di<br />
crescita ma soprattutto vorrei incrementare la produzione<br />
di vino in bottiglia perché è quello che dà più<br />
margine. L’auspicio è di realizzarlo nei prossimi sette,<br />
otto anni».<br />
47
Musei<br />
Nella tazzina<br />
aromi<br />
d’Oriente<br />
I SEGRETI DEL CAFFÈ CI<br />
SONO STATI TRASMESSI<br />
DAGLI ARABI E ANCHE IL<br />
NOME, IMPORTATO DAI<br />
NAVIGATORI VENEZIANI,<br />
VIENE DALL’ARABO<br />
“QUAHWAH” CHE<br />
SIGNIFICA BEVANDA<br />
ECCITANTE<br />
48<br />
di Letizia Magnani<br />
Da Santo Domingo a Palermo, passando per Praga, Parigi e<br />
Forlimpopoli, è questo l’itinerario per andare alla scoperta di<br />
tutti i segreti del caffè, vitamina dello spirito e bevanda che ha stregato<br />
il mondo. «Nero come il diavolo, caldo come l’inferno, puro come un<br />
angelo, dolce come l’amore» ecco le parole con le quali è stato definito da<br />
Talleyrand, vescovo, politico e diplomatico parigino di inizio Ottocento.<br />
Il caffè è da sempre la bevanda degli intellettuali, ma anche dei politici.<br />
Napoleone sostituì il caffè all’alcool tra le sue truppe, certo che questo<br />
liquido desse maggior vigore ai soldati, senza le controindicazioni dell’ubriachezza.<br />
Gli italiani hanno fatto del caffè un’abitudine e dell’espresso all’italiana<br />
un mito, anche se sono gli unici del mondo a berlo fuggevolmente in piedi,<br />
al bar la mattina presto. Per gli altri popoli il caffè è una bevanda da riposo,<br />
da qui la tradizione del caffè turco, che si beve in grandi tazze dal tardo<br />
pomeriggio in poi, ma anche quella del caffè americano. Starbucks è diventato<br />
luogo di ritrovo negli States, come in mezza Europa. D’altra parte,<br />
senza dover per forza citare Sex and the City, è nei caffè<br />
parigini che da sempre si sono consumate le storie del<br />
mondo. Dal cinema (celebri alcune scene come quella<br />
di Casablanca, del Rick’s Café, ma anche quella del film Amici<br />
miei, solo per citarne un paio) alla vita, diverse sono le storie<br />
che si possono scoprire andando in giro per il mondo a ricostruire<br />
il percorso del caffè, dal chicco alla tazzina.<br />
■■■■QUELL’AROMA UNICO RACCHIUSO IN UN CHICCO<br />
Il viaggio non può che partire da Santo Domingo, paradiso naturale,<br />
nel quale all’azzurro del mare si mescolano i colori accesi<br />
del caffè, dal verde del seme, al marrone dei chicchi, fino al nero<br />
della polvere tostata. È nel cuore del Paese, il cui clima tropicale<br />
è perfetto per le piantagioni di caffè, che si sviluppa la Ruta<br />
del Café, un progetto di Ucodep, Ong italiana che da oltre<br />
dieci anni lavora nella Repubblica Dominicana con progetti<br />
volti a migliorare le condizioni di vita della popolazione<br />
locale. Sono sei i percorsi possibili, tre lungo la Ruta
▲ Una serie di macchine da caffè<br />
storiche della collezione Enrico<br />
Maltoni<br />
▲ Un macinacaffè conservato<br />
al Museo del Caffè Morettino<br />
di Palermo<br />
del Café Atabey, nella provincia di Monseñor Nouel, a un’altitudine<br />
media di 950 metri e tre lungo la Ruta del Café<br />
Jamao, nella provincia di Salcedo. La Ruta del Café<br />
Atabey è situata sulle montagne della provincia di<br />
Monseñor Nouel. I tre sentieri sono El Higo, El Cafetal<br />
de Kakelo e El Candongo. La Ruta del Café Jamao<br />
si trova invece nella provincia di Salcedo, a un’altitudine<br />
di circa 900 metri e propone altri percorsi.<br />
El Cafetal è la passeggiata che porta al<br />
museo del caffè, dove è possibile degustare la<br />
qualità Jamao, ma anche scoprire come si coltiva,<br />
raccoglie, tosta e assaggia.<br />
■■■■DA SANTO DOMINGO A PALERMO<br />
Lasciando l’America Latina il caffè ci porta in<br />
Sicilia, dove, a Palermo, sorge il museo del caffè<br />
Morettino. La famiglia, da sempre produttrice di<br />
caffè, ha raccolto negli anni un vero e proprio patrimonio<br />
di oggetti legati alla bevanda più famosa al<br />
mondo. Nel museo ci sono tosta-caffè con un manico<br />
lungo, altri che hanno una curiosa forma sferica.<br />
Tra i macinini ci sono quello classico delle nonne,<br />
ma anche altri assolutamente insoliti, come macchine<br />
con doppie ruote dentate che sembrano marchingegni leonardeschi.<br />
Nel museo sono custoditi alcuni dei cimeli di<br />
Procopio Coltelli, il palermitano che nel Seicento fondò il celebre<br />
caffè Le Procope a Parigi e contribuì a diffondere la cultura<br />
del caffè d’Oltralpe. Infine c’è la stanza dedicata alle macchine per<br />
l’espresso, prodigi di ingegneria meccanica tutta italiana.<br />
■■■■IL MUSEO DELL’ESPRESSO<br />
Proprio all’espresso è dedicato un terzo museo assolutamente da conoscere.<br />
Si trova a Forlimpopoli ed è un vero atto d’amore all’espresso italiano.<br />
«La storia della macchina per caffè da bar in Italia – si legge nel sito<br />
del museo, che raccoglie centinaia di oggetti della collezione Enrico Maltoni<br />
– ha inizio nel novembre del 1901 con il deposito del brevetto del primo<br />
modello, studiato dall’ingegnere Luigi Bezzera di Milano».<br />
Si tratta di una versione a colonna, monumentale, destinata a diventare<br />
per molto tempo un modello di riferimento obbligato da parte delle case<br />
costruttrici. Anche in precedenza c’era l’usanza di consumare tale bevanda<br />
nei locali pubblici, ma ciò che distingueva una caffettiera domestica<br />
da una per bar era sostanzialmente il solo fattore dimensionale. L’idea di<br />
progettare un meccanismo a vapore per preparare caffè non poteva che<br />
venire nel periodo della rivoluzione industriale, durante il quale ogni azione<br />
viene di fatto meccanizzata. Da qui la progettazione degli elettrodomestici<br />
che si diffonderanno a metà del Novecento, come la lavatrice e<br />
l’asciuga capelli, ma anche la macchina per ottenere l’espresso. La collezione<br />
più grande e completa al mondo si trova in Italia ed è da visitare,<br />
anche solo virtualmente, www.espressomadeinitaly.com<br />
■■■■IN TOUR NELLA VECCHIA EUROPA<br />
È il cuore della vecchia Europa che raccoglie il testimone della storia centenaria<br />
del caffè. Per questo motivo, per un viaggiatore attento non solo<br />
ai luoghi e alle storie ma anche ai sapori, è interessante ripercorrere un<br />
cammino tutto moderno del caffè, che collega Praga ad Amsterdam, Vienna<br />
a Londra, la Svizzera all’Italia.<br />
Ebel Museum fa da raccordo fra le varie culture europee. Si trova infatti<br />
a Praga, ad Amsterdam, a Vienna e a Londra. Per chi è curioso e ama il<br />
caffè è possibile vedere raccontata la storia, dal chicco alla tazzina, passando<br />
per i macinini e per le macchine del caffè. Largo spazio è lasciato<br />
al caffè nella comunicazione e nella pubblicità.<br />
49
Musei<br />
▲ Una macchina da caffè ''La<br />
Pavoni'' della collezione Enrico<br />
Maltoni<br />
50<br />
Basta dare uno sguardo alla televisione italiana per rendersi conto che<br />
proprio la pubblicità ha esaltato e messo in scena forme diverse del caffè.<br />
Così, se hanno fatto il giro del mondo, in tempi recentissimi, i fotogrammi<br />
di George Clooney che baratta una moderna macchina per espresso<br />
per la propria vita, non si possono dimenticare altri interpreti della tazzina<br />
made in Italy, come Gigi Proietti e la coppia Paolo Bonolis e Luca<br />
Laurenti.<br />
Sorge in Svizzera poi il museo Chicco d’Oro, nel quale si può ripercorrere<br />
la storia di questa bevanda in tutte le sue fasi. La collezione è ricca di<br />
macchine, di oggetti curiosi ma anche di tante storie. Il museo, visitabile<br />
solo su appuntamento, vuole offrire una panoramica della produzione<br />
artigianale e industriale. Fra le cose da vedere ci sono i “robot” per fare il<br />
caffè, insoliti e unici nel loro genere. È forse il luogo nel quale la storia del<br />
caffè viene raccontata con più cura, dalla scoperta delle bacche, in Etiopia,<br />
alla loro diffusione, dopo essere state tostate, macinate e lasciate in<br />
infusione, in tutta l’Arabia e da lì nell’area del vicino Oriente e del<br />
Mediterraneo, dove nascono i primi utensili per la preparazione del<br />
caffè. È a Costantinopoli che viene aperta alla fine del XVI secolo la prima<br />
“bottega del caffè”, mentre a Vienna nel 1683, a seguito della fine dell’assedio<br />
turco, sorge una vera e propria “casa del caffè”. Occorre però<br />
attendere gli anni posteriori al blocco continentale di Napoleone, per avere<br />
con successo la diffusione del caffè nell’Ovest dell’Europa e naturalmente<br />
anche in Italia. www.chicchidoro.ch<br />
■■■■LE CAPRE FESTAIOLE E IL MONTEFELTRO<br />
Il viaggio termina però in Italia e precisamente ad Urbino. È insolito ma<br />
da non perdere il museo del caffè che sorge all’interno della Rocca feltresca.<br />
Nel cuore dell’Italia è raccontata la leggenda del vino d’Arabia. Nello<br />
Yemen un prete mussulmano, avendo osservato lo strano comportamento<br />
di alcune capre che mangiavano delle bacche a lui sconosciute, si incuriosisce.<br />
Le capre, infatti, erano più attive e “festaiole” dopo aver mangiato<br />
quelle bacche. L’uomo allora ne raccoglie alcune e prova ad abbrustolirle.<br />
Poi, non contento, le macina e fattane un’infusione scopre il caffè<br />
tale e quale noi lo beviamo.<br />
In una data imprecisata, forse attorno alla metà del XVI secolo, dall’Africa<br />
giunge in Europa questa nuova bevanda. È color della notte, ha il profumo<br />
esotico dell’harem e il sapore intenso dei frutti del deserto: si chiama<br />
caffè. Lo strano nome che i navigatori veneziani hanno<br />
udito pronunciare nelle contrade di Turchia, viene dall’arabo<br />
“quahwah” e significa “bevanda eccitante”. Kafà<br />
è pure il nome della regione a sud dell’Abissinia dove la pianta<br />
del caffè nasce spontaneamente a 1300 metri di altitudine. Dalla<br />
leggenda si passa alla storia e tutto diventa abitudine, tanto che<br />
il caffè si trasforma, a fine del Settecento, in quasi tutta Europa,<br />
in un vero rito. Nascono i primi caffè letterari e attorno all’aromatica<br />
infusione, tra rivoluzioni e fervori politici, sorgono le correnti<br />
artistiche e culturali che hanno cambiato il mondo.<br />
Dall’Europa il vino d’Arabia giunge anche all’Italia. Nella vallata<br />
del Montefeltro è Antonio Pascucci, capostipite della famiglia,<br />
che oggi produce caffè, ad appassionarsi a questo liquido scuro<br />
e aromatico. Nasce quindi in pieno Montefeltro una delle prime<br />
torrefazioni italiane. Siamo a metà degli anni Cinquanta.<br />
Da allora ad oggi molte cose sono cambiate ma non il<br />
desiderio e il bisogno di perdersi nell’aroma di quel “cafà”<br />
che tanto ha eccitato le anime e i corpi.
Vino e salute<br />
La natura<br />
ci ha regalato<br />
un prezioso alleato<br />
della salute<br />
IL VINO COME BEVANDA COMPLESSA ESERCITA UN EFFETTO BENEFICO SULLA<br />
NOSTRA SALUTE. I POLIFENOLI DA UN PUNTO DI VISTA FISIOLOGICO AIUTANO A<br />
VIVERE MEGLIO E A COMBATTERE L’ECCESSIVA PRODUZIONE DI RADICALI LIBERI<br />
▲ Fu il medico greco Ippocrate,<br />
padre della medicina, a ottenere<br />
per primo un vino corroborante e<br />
digestivo con l'aggiunta di fiori<br />
d'assenzio e foglie di dittamo.<br />
Quando, infatti, sorseggiamo il vermouth<br />
come aperitivo, o il Martini<br />
dry, la maggior parte di noi è del<br />
tutto inconsapevole di essere l'ultimo<br />
anello di una storia incredibile,<br />
lunga almeno 2.500 anni, che partendo<br />
dal Vicino Oriente e dalla<br />
Grecia Antica arriverà in tutto il<br />
mondo<br />
52<br />
di Paolo Zatta<br />
Il vino, nella sua plurimillenaria storia, oltre a donare momenti di colta<br />
piacevolezza come ad esempio nei convivi e nei simposi del mondo<br />
greco-romano, ha costituito assieme all’olio d’oliva una delle basi terapeutiche<br />
nella pratica medica. San Paolo nella prima lettera al diletto amico<br />
Timoteo così lo consigliava: «Smetti di bere soltanto acqua, ma fa uso di<br />
un po' di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni».<br />
Oggi sappiamo che il consiglio era quanto mai appropriato in quanto il<br />
vino esercita un’azione protettiva sulla mucosa gastrica oltre a possedere<br />
delle proprietà antibatteriche nei confronti dell’Helicobacter pylori, il<br />
più importante agente causale della gastrite cronica. Nel poema omerico,<br />
l’Iliade, l’uso del vino mescolato a formaggio di capra viene citato come<br />
pratica per lenire i postumi di un combattimento. E ancora, Ippocrate,<br />
medico greco del 460 a.C., padre della medicina e autore del giuramento<br />
che ogni medico pronuncia, usò per primo il vino talvolta in infusione con<br />
l’assenzio o con altre erbe medicamentose ad uso corroborante o digestivo.<br />
Forse un antesignano del vermouth?<br />
I primi esperimenti dell’età contemporanea sulle azioni antisettiche del<br />
vino risalgono al 1892 quando Arnold Pick, famoso patologo della Moravia,<br />
dimostrò che, aggiungendo del vino a dell’acqua contaminata da vibrioni<br />
del colera, l’acqua tornava ad essere potabile. Da allora le sperimentazioni<br />
con il vino contro virus e batteri continuarono coinvolgendo i microrganismi<br />
del tifo, della dissenteria e altri ancora. Nel 1977, curiosamente,<br />
alcuni medici canadesi riscontrarono che in quattro ore il virus della poliomielite<br />
veniva inattivato dal vin brûlé.<br />
Un tempo, specie tra le classi meno abbienti, il vino svolgeva un ruolo<br />
molto importante come fonte di energia alimentare con le sue circa 750<br />
kcal/litro. Va quindi ricordato in questo contesto che la Regola di San<br />
Benedetto consentiva un consumo quotidiano di un’emina di vino, pari<br />
a 0,275 l, come integrazione al parco pasto dei monaci, quantità che poteva<br />
essere aumentata per chi doveva svolgere il duro lavoro dei campi. Con
▲ La Regola di San Benedetto consentiva ai<br />
monaci il consumo quotidiano di una piccola<br />
quantità di vino<br />
l’evolversi delle condizioni socioeconomiche, soprattutto<br />
in quest’ultimo dopoguerra, il vino da necessità<br />
alimentare, è diventato sempre più occasione<br />
di piacevolezza conviviale; contemporaneamente<br />
ne sono diminuiti significativamente i consumi,<br />
mentre è andato aumentando l’apprezzamento per<br />
la qualità della preziosa bevanda e la saggezza del<br />
bere poco, ma bene. Occorre comunque non dimenticare<br />
mai che, se assunto in maniera sconsiderata,<br />
l’alcol etilico può essere la causa di varie patologie.<br />
Su scala mondiale le malattie cardiovascolari rappresentano<br />
la prima causa di morte e in particolare<br />
in Italia ogni anno i decessi per queste patologie<br />
sono circa 243mila. Alla base di questi eventi<br />
ci sono spesso degli errati stili di vita quali il<br />
fumo, diete ipercaloriche e troppo ricche di grassi<br />
animali, poca attività fisica e, non ultimo, l’esagerato<br />
consumo di alcolici. Il costo europeo annuo<br />
per la spesa sanitaria legata alle patologie cardiovascolari<br />
è stato stimato prossimo ai 169 miliardi<br />
di euro.<br />
Nelle ultime tre decadi, numerosi studi hanno consistentemente<br />
dimostrato una correlazione inversa<br />
tra un consumo moderato di vino e il manifestarsi<br />
di infarti al miocardio. Tutto ha avuto inizio<br />
nei primi anni ’80 quando tre epidemiologi francesi,<br />
J. L. Richard, F. Cambien e P. Ducimetière,<br />
sulle pagine della rivista «Nouvelle Press Medicale»,<br />
coniarono il termine “paradosso francese”, a signi-<br />
RAMANDOLO<br />
D. O. C. G.<br />
prossimi appuntamenti<br />
Serate Ramandolo<br />
Udine, 18 novembre 2010 ore 20.00<br />
Casa della contadinanza al Castello, p.zza della Libertà, 10<br />
A cura dell’ONAV, Delegazione Provinciale di Udine<br />
Como, 6 dicembre 2010 ore 21.00<br />
Grand Hotel di Como, via per Cernobbio<br />
A cura dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s della<br />
Lombardia, Delegazione di Como<br />
Zerman di Mogliano Veneto, 13 dicembre 2010 ore 20.30<br />
Hotel Villa Braida, via Bonisiolo, 16/b<br />
A cura dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s del<br />
Veneto, Delegazione di Treviso<br />
Morbegno (SO), 14 gennaio 2011 ore 20.00<br />
Hotel Margna, via Margna, 36<br />
A cura dell’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>Sommelier</strong>s della<br />
Lombardia, Delegazione di Sondrio<br />
enoteche e wine bar selezionati<br />
Emilia Romagna<br />
Cantina Tumedei V. Ortolani 32 Bologna Tel. 051-540239<br />
Friuli Venezia Giulia<br />
Acer V. Manin 16 Udine Tel. 0432-504186<br />
Ai Bintars V. Trento Trieste 67 S. Daniele UD Tel. 0432-957322<br />
Carnia Sapori Sauris di Sopra UD Tel. 0433-866378<br />
Costantini Rist. V. Pontebbana 12 Collalto UD Tel. 0432-792004<br />
Da Benito Largo Diaz 4 Nimis UD Tel. 0432-790019<br />
Enoteca Bischoff V. Mazzini 21 Trieste Tel. 040-380333<br />
Enot. Dawit V. Alpi Giulie 30 Camporosso UD Tel. 0428-63012<br />
Enot. di Buttrio V. Cividale 38 Buttrio UD Tel. 0432-683072<br />
Enot. La Serenissima V.Battisti30Gradiscad’I.GOTel.0481-954539<br />
Gelateria Montereale V.Montereale23PordenoneTel.0434-365107<br />
Rist. Al Monastero V. Ristori 9 Cividale del F. UD Tel. 0432-700808<br />
Rist.CialdeBrentV. Pordenone 1 Polcenigo PN Tel. 0434-748777<br />
Santanna srl V. Maniago 27 S. Quirino PN Tel. 0434-91122<br />
G. Scognamiglio V. Conti 34 Trieste Tel. 040-639582<br />
Trattoria al Grop V. Matteotti 7 Tavagnacco UD Tel. 0432-660240<br />
Lazio<br />
Enot. dei Desideri P.le Gregorio VII 17/18 Roma Tel. 06-6381507<br />
Enoteca Trimani V. Goito 20 Roma Tel. 06-4469661<br />
Lombardia<br />
Bottega del Vino Peck srl V. Hugo 4 Milano Tel. 02-861040<br />
Cantina la Frasca V. Ticino 15 S. Fruttuoso MB Tel. 039-2726243<br />
Enoteca ai Ronchi V. Galilei 89 Brescia Tel. 030-305354<br />
Enoteca Cotti V. Solferino 42 Milano Tel. 02-29001096<br />
Ottimo Rist. e Gastr. V. S. Marco 29 Milano Tel. 02-62694634<br />
Sarfati V.le Sabotino 38 Milano Tel. 02-58310687<br />
Winner Wines srl V. Roma 27 Leno BS Tel. 030-906374<br />
Toscana<br />
Enoteca Bonatti srl V. Gioberti 66/R Firenze Tel. 055-660050<br />
Selez. Fattorie V. Artigianato 50 Montespertoli FI Tel. 0571-670584<br />
Trentino Alto Adige<br />
Club Moritzino Piz La Ila Alta Badia BZ Tel. 0471-847407<br />
Enoteca Gandolfi V.le Druso 349 Bolzano Tel. 0471-920335<br />
Veneto<br />
Enoteca Centrale V.IVNovembre59MestrinoPDTel.049-9004947<br />
Enoteca Cortina V. Mercato 5 Cortina d’A. BL Tel. 0436-862040<br />
Enot. La Mia Cantina P.le S. Croce 21 Padova Tel. 049-8801330<br />
Quadri Gran Caffè P.zza S. Marco 120 Venezia Tel. 041-5222105<br />
Consorzio Tutela Vini Colli Orientali del Friuli e Ramandolo<br />
www.colliorientali.com www.ramandolo.it
Vino e salute<br />
ficare come, almeno in apparenza, una dieta ricca di<br />
grassi animali, possa essere contrastata, nei suoi effetti<br />
deleteri sulla salute, con un moderato consumo quotidiano<br />
di vino. In questo contesto, qualche tempo fa,<br />
la rivista medica «Circulation» ha pubblicato uno studio<br />
italiano che ha coinvolto oltre 200mila persone e<br />
che ha messo in evidenza come un consumo moderato<br />
di vino possa ridurre il rischio di patologie cardiovascolari.<br />
Alcuni studiosi ipotizzarono dapprima che la ragione<br />
fosse dovuta alla fluidificazione del sangue da parte dell’etanolo.<br />
Tale ipotesi venne tuttavia messa presto da<br />
parte in quanto fu dimostrato che era proprio il vino<br />
come bevanda complessa e non il solo etanolo che esercitava<br />
il riscontrato effetto benefico. Altri studiosi attribuirono<br />
invece gli effetti cardioprotettivi del vino ad<br />
alcuni composti presenti nell’uva, quali i polifenoli.<br />
Queste molecole sono dei metaboliti secondari di grande<br />
importanza biologica che agiscono in primis come<br />
fitoalessine, ossia contro l’invasione microbica delle<br />
piante. Da un punto di vista fisiologico, una dieta ricca<br />
di polifenoli aiuta a vivere meglio e a combattere l’eccessiva<br />
produzione di radicali liberi generata da eventi<br />
patogenici... e non solo!<br />
Fra i polifenoli più studiati c’è il resveratrolo che è presente<br />
in quantità importanti nei frutti di bosco, nelle<br />
more, nelle arachidi, nel rabarbaro e per quel che ci<br />
riguarda nell’uva, soprattutto in quella a bacca nera,<br />
dalla quale viene estratto con la macerazione durante<br />
i processi di vinificazione. La quantità di resveratrolo<br />
presente in una bottiglia di vino rosso varia in ragione<br />
a molteplici fattori come il tipo di vitigno, le condizioni<br />
pedo-microclimatiche, le tecniche di vinificazione, le<br />
pratiche in cantina e può raggiungere, e talvolta superare,<br />
i 20 mg/litro soprattutto per le tipologie di vini<br />
rossi come Merlot, Cabernet-Sauvignon, Cabernet Franc,<br />
Grenache, Amarone, Shiraz, Raboso-friularo, Nero<br />
d’Avola. La stessa fermentazione malolattica è in grado<br />
di aumentare la concentrazione di resveratrolo liberandone<br />
la frazione glicosilata.<br />
Le proprietà del resveratrolo sono molteplici essendo il<br />
polifenolo antiaggregante piastrinico, antiossidante,<br />
antitrombotico, antinfiammatorio, antiradicalico, vaso<br />
rilassante, modulatore del metabolismo lipidico, fitoestrogenico,<br />
antivirale e altro ancora. Baur e colleghi,<br />
in un articolo apparso nel 2006 nella prestigiosa rivista<br />
scientifica «Nature», hanno sottolineato come il resveratrolo<br />
possa agire da regolatore metabolico delle calorie<br />
alimentari in soggetti obesi aumentandone significativamente<br />
sia le aspettative di vita sia le performances<br />
fisiologiche compromesse dall’obesità, il tutto attivando<br />
processi biochimici legati al metabolismo dell’insulina.<br />
Ciò sembrerebbe far supporre che il resveratrolo possa<br />
aiutare a prevenire l’insorgere del diabete conseguente<br />
a una dieta ricca di grassi. Su questa linea di ricerca<br />
Joanne Ajmo e colleghi dell’università della Florida<br />
a Tampa hanno messo in evidenza la capacità del resveratrolo<br />
di ridurre la steatosi epatica. Ad ulteriore conforto,<br />
studi recenti dimostrano come il polifenolo in questione<br />
aiuti a prevenire l’accumulo nel fegato di grassi<br />
54<br />
▲ Il Prosecco contiene una significativa concentrazione<br />
di tirosolo, un potente antiossidante “cugino” del<br />
resveratrolo<br />
di origine non alcolica (Non-Alcoholic Fatty Liver Disease<br />
o NAFLD), una patologia non curabile che coinvolge<br />
circa 40 milioni di persone solo negli Stati Uniti.<br />
Studi svolti alla facoltà di Medicina di San Diego in<br />
California che hanno coinvolto circa 12mila persone,<br />
hanno recentemente sostenuto che il consumo di un<br />
paio di bicchieri di vino al giorno possa avere un acclarato<br />
effetto preventivo su tale accumulo di grassi. Questo<br />
dato diventa ancora più interessante quando si osserva<br />
che solo il vino, e non altre bevande alcoliche come<br />
la birra o liquori vari, è in grado di combattere la NAFLD.<br />
Ad ampliare lo spettro d’azione del resveratrolo,<br />
Charlotte Oomen e colleghi dell’università di Gröningen<br />
in Olanda hanno recentemente sostenuto come questo<br />
polifenolo influenzi il mantenimento delle funzioni cognitive<br />
nei processi dell’invecchiamento cerebrale. Già nell’antica<br />
medicina orientale, contro le malattie degenerative<br />
dell’invecchiamento, veniva utilizzato il Polygonum<br />
cuspidatum che oggi sappiamo contenere nelle radici<br />
quantità considerevoli di trans-resveratrolo.<br />
Per quanto riguarda invece l’effetto cardioprotettivo, il<br />
resveratrolo agisce da antiaggregante delle piastrine,<br />
similmente a quanto avviene in seguito all’assunzione<br />
di aspirina. Recentemente Andreas Markus e Brian<br />
Morris della facoltà di Medicina di Sidney in Australia<br />
hanno dimostrato come il resveratrolo, diversamente<br />
da altri polifenoli, sia particolarmente efficace nell’aumentare<br />
la sintesi dell’enzima NO-sintasi, direttamente<br />
coinvolto nei meccanismi vasodilatatori.<br />
Dall’università Zhejiang a Hangzhou in Cina giunge<br />
invece notizia che alcuni polifenoli come la procianidina<br />
B e la miricetina, ben presenti in alcune tipologie di<br />
vini come il Cabernet Sauvignon, hanno forti capacità<br />
inibitorie sulle aromatasi, una categoria di enzimi che<br />
giocano un ruolo importante nella carcinogenesi del
▲ Il Lambrusco Emiliano è caratterizzato da particolari<br />
cumarine, utilizzate sia come anticoagulanti sia per<br />
l’effetto che esercitano sui vasi sanguigni<br />
tumore al seno. Va ancora sottolineato come polifenoli<br />
come le catechine e le quercitine riscontrate ad esempio<br />
nei vini Chianti, Cirò, Cabernet Sauvignon e altri<br />
ancora, possono aiutare – lo dicono alcuni studi condotti<br />
all’università di Montpellier in Francia – a prevenire<br />
forme di aterosclerosi con l’assunzione di uno-due<br />
bicchieri di vino al giorno. Gli stessi autori sostengono<br />
che oltre ai vini rossi anche alcuni vini bianchi possano<br />
avere effetti importanti sull’inibizione della perossidazione<br />
dei grassi presenti nel sangue.<br />
Occorre però sfatare un po’ il giudizio improprio sulla<br />
carenza di attività antiossidante dei vini bianchi. Il molto<br />
apprezzato Prosecco ad esempio contiene una significativa<br />
concentrazione di tirosolo, un potente antiossidante<br />
“cugino” del resveratrolo che agisce sia come<br />
antinfiammatorio sia come regolatore dell’eccitazione<br />
nervosa.<br />
La rivista medica «Artheriosclerosis» ha recentemente<br />
riportato che il tirosolo e l’acido caffeico, contenuti in<br />
vari vini bianchi, hanno forti proprietà antiossidanti e<br />
antinfiammatorie anche in dosi molto ridotte. In alcuni<br />
vini bianchi inoltre l’acido caffeico è talvolta presente<br />
in concentrazioni doppie rispetto al vino rosso. I vini<br />
bianchi peraltro possono contribuire all’inibizione<br />
dell’attività delle citochine presenti nel sangue, che sono<br />
in grado di favorire l’insorgere di fenomeni infiammatori<br />
responsabili di malattie debilitanti quali l’artrite<br />
reumatoide oltre a concorrere in modo significativo alla<br />
formazione del trombo, della placca arteriosclerotica e<br />
dell’osteoporosi.<br />
Non possiamo non citare quindi l’idrossitirosolo, presente<br />
nel vino Soave, con proprietà attivanti le sirtuine,<br />
delle proteine coinvolte nella regolazione bioenergetica<br />
cellulare e nella longevità.<br />
L’endotelina-1 è una proteina di grande importanza per<br />
la regolazione di alcune funzioni cardiovascolari in grado<br />
di contrarre i vasi sanguigni intrappolando i grassi.<br />
Elevati livelli di endotelina-1 sono stati riscontrati nel<br />
sangue di pazienti affetti da ipertensione polmonare<br />
idiopatica e secondaria. Ricercatori dell’università di<br />
Leeds in Inghilterra hanno descritto come alcuni composti<br />
presenti nel vino rosso siano in grado di inibire<br />
la sintesi dell’endotelina-1.<br />
È infine di qualche anno fa la sorprendente osservazione<br />
sulla presenza di alcune particolari cumarine nel<br />
Lambrusco emiliano. Le cumarine sono note in farmacologia<br />
fin dai primi anni del ’900 e vengono utilizzate<br />
sia come anticoagulanti sia per l’effetto che esercitano<br />
sulla parete dei vasi sanguigni. Esse hanno una consolidata<br />
utilità in presenza di infarto miocardico acuto,<br />
nella protezione postinfartuale e in concomitanza con<br />
interventi di angioplastica coronarica. In una regione<br />
come l’Emilia dov’è noto il costume alimentare legato<br />
a un consumo di grassi, carni suine, latticini per un’abituale<br />
e consolidata dieta ipercalorica, si è osservato che<br />
le percentuali di mortalità e morbilità per patologie cerebro<br />
e cardiovascolari sono nettamente inferiori a quelle<br />
di regioni vicine quali Lombardia, Toscana e Veneto.<br />
Questo aspetto curioso, che andrà sicuramente approfondito,<br />
ha lanciato l’ipotesi di un nostrano paradosso<br />
emiliano.<br />
Ma i dati e le ipotesi sui potenziali effetti benefici dell’uva<br />
e del vino non finiscono qui.<br />
Oltre a produrre vino l’uva e i suoi numerosi derivati<br />
sono entrati da qualche anno da veri protagonisti nei<br />
centri wellness con la ampeloterapia: una pratica nata<br />
oltre un decennio fa a Bordeaux, da un’idea sviluppata<br />
da Mathilde Cathiard Thomas, figlia di vignaioli che,<br />
sfruttando le sue conoscenze sull’uva, ha “costruito” –<br />
assistita dal marito Bertrand – diversi prodotti salutistici<br />
e cosmetici con la collaborazione scientifica dell’università<br />
di Bordeaux. Quindi non solo mutuando<br />
il vecchio detto “un bicchiere di vino al giorno può togliere<br />
il medico di torno” ma molti altri prodotti derivati<br />
dalla vitis vinifera come foglie, tralci e vinaccioli, se<br />
opportunamente impiegati, possono agire beneficamente<br />
sulla pelle, sulla circolazione sanguigna, come antistressogeni,<br />
antinvecchiamento. La filosofia è quella<br />
descritta fino ad ora, ossia sfruttare le straordinarie<br />
proprietà dei polifenoli per un’avventura, come appunto<br />
quella dell’ampeloterapia, che sta dando ottimi risultati<br />
di mercato anche in Italia.<br />
L’ampeloterapia, oltre a essere impiegata in cosmetologia<br />
con l’uso di creme e oli può essere efficace a combattere<br />
patologie quali la nefrite, l’ipertensione, varie<br />
forme di dermatite, per la salute dei capillari venosi e<br />
molto altro ancora. Immergendosi in un bagno di succo<br />
d’uva o rilassandosi con massaggi con olio di vinaccioli<br />
si può godere nel corpo e nello spirito, aiutando<br />
contemporaneamente la salute della pelle e ritardandone<br />
l’invecchiamento. Sebbene l’ampeloterapia sia una<br />
pratica piuttosto recente, va ricordato che essa era<br />
già nota ai Greci e ai Romani, che in quanto a piaceri<br />
non si lasciavano sfuggire proprio nulla.<br />
Insomma, il binomio uva e benessere continua a stupirci<br />
senza sosta.<br />
55
Degustazioni<br />
Nuova Zelanda,<br />
la forza dei vini<br />
UN ECCEZIONALE<br />
AMBIENTE DI<br />
COLTIVAZIONE,<br />
METICOLOSITÀ<br />
ANGLOSASSONE,<br />
ASSENZA DI UNA<br />
TRADIZIONE DA<br />
RISPETTARE E GRANDE<br />
CAPACITÀ DI GUARDARE<br />
AVANTI SONO LE<br />
COMPONENTI DEL<br />
SUCCESSO CHE<br />
L’ENOLOGIA<br />
NEOZELANDESE STA<br />
RISCUOTENDO A LIVELLO<br />
PLANETARIO<br />
▲ Vigneti di Pinot Nero<br />
nel Central Otago<br />
56<br />
“sostenibili”<br />
di Riccardo Castaldi<br />
La Nuova Zelanda è uno dei<br />
Paesi vitivinicoli del Nuovo<br />
Mondo che in questi ultimi<br />
anni hanno maggiormente suscitato<br />
l’attenzione a livello internazionale,<br />
sia per lo standard qualitativo<br />
raggiunto dalla produzione enologica<br />
sia per la grande capacità di<br />
penetrazione nei mercati esteri di<br />
riferimento.<br />
Il successo neozelandese trova conferma<br />
in un aumento della superficie<br />
vitata del 296 per cento e in un<br />
incremento del valore delle esportazioni<br />
del 910 per cento negli ultimi<br />
dieci anni.<br />
La qualità dei vini è frutto di condizioni<br />
pedoclimatiche particolari e<br />
di una scelta strategica ben precisa,<br />
dato che le caratteristiche del<br />
contesto produttivo e la lontananza<br />
dai mercati principali non consentono<br />
alle aziende neozelandesi di<br />
competere sulla quantità e tanto<br />
meno sul prezzo. Per questo motivo<br />
l’obiettivo dei produttori neozelandesi,<br />
coordinati e guidati dalla New<br />
Zealand Winegrowers (NZW), è<br />
dichiaratamente quello di diventare<br />
leader nella fascia dei vini di eccellenza<br />
dei mercati più importanti.<br />
Esplosa negli ultimi quindici anni,<br />
dal punto di vista viticolo la Nuova<br />
Zelanda ha trasformato lo svantaggio<br />
di essere partita per ultima in<br />
un vantaggio, evitando gli errori<br />
commessi da altri e facendo le scelte<br />
giuste, in funzione delle proprie<br />
potenzialità e delle richieste del mercato.<br />
La sostenibilità e il rispetto<br />
ambientale sono tra le priorità della<br />
NZW, tanto che dal 2012 tutte le<br />
aziende neozelandesi saranno certificate<br />
come “sostenibili” secondo<br />
gli standard internazionali. In Nuova<br />
Zelanda esistono diverse aziende<br />
biologiche e biodinamiche e soprattutto<br />
la prima azienda al mondo certificata<br />
carbonzero, che segue un<br />
protocollo finalizzato alla riduzione<br />
delle emissioni di gas serra.<br />
Sotto il profilo organolettico i vini<br />
della Nuova Zelanda sono immediati<br />
e dotati di grande bevibilità e si<br />
distinguono in generale per l’elevato<br />
impatto olfattivo, intensamente<br />
fruttato, e per la ricchezza al palato.<br />
Approcciandoli ci si rende immediatamente<br />
conto che si tratta di vini<br />
differenti, con uno stile che si discosta<br />
nettamente dall’espressione che<br />
i vitigni forniscono nelle altre parti<br />
del mondo.<br />
■■■■IL PRIMATO DEL SAUVIGNON<br />
Il Sauvignon è il vitigno che in Nuova<br />
Zelanda ha trovato condizioni ideali<br />
di coltivazione e che è stato determinante<br />
per lo sviluppo del suo settore<br />
vitivinicolo. Con oltre 14.000<br />
ettari, distribuiti da nord a sud, rappresenta<br />
infatti circa il 50 per cento<br />
della superficie vitata.<br />
Grazie alle condizioni particolari<br />
degli ambienti di coltivazione, caratterizzati<br />
da basse temperature<br />
medie, forte escursione termica e<br />
autunni lunghi e secchi, l’espressione<br />
organolettica di questo vitigno è<br />
molto interessante e varia sensibilmente<br />
a seconda della regione in cui<br />
viene coltivato.
NUOVA ZELANDA<br />
Lingue ufficiali Inglese, māori<br />
lingua dei segni<br />
neozelandese<br />
Capitale Wellington<br />
386.000 ab.<br />
Superficie Totale 268.680 km²<br />
% delle acque 2,1 %<br />
Popolazione 4.396.000 ab.<br />
Densità 16,36 ab./km²<br />
Valuta Dollaro<br />
neozelandese<br />
▲ La strada del vino a Martinborough<br />
All’interno della Marlborough region,<br />
nella Wairau Valley, il Sauvignon<br />
produce vini con sentori olfattivi di<br />
frutti maturi, che rientrano nello<br />
spettro del frutto della passione, del<br />
guava e del pompelmo, talvolta con<br />
note minerali e di particolare lunghezza<br />
gustativa, mentre nella<br />
Awatere Valley questo vitigno si<br />
esprime all’olfatto con note erbacee<br />
dolci, di erba tagliata e di foglia di<br />
pomodoro e con note fruttate dolci<br />
al palato. Nell’ambito della Hawkes<br />
Bay, regione più calda della Nuova<br />
Zelanda, il Sauvignon si presenta<br />
ricco, con sentori di frutti maturi tra<br />
i quali prevalgono melone, nettarina<br />
e frutti tropicali, mentre nella<br />
Martinborough-Wairarapa si caratterizza<br />
per la particolare freschezza<br />
e per i marcati sentori di lime e di<br />
frutto della passione.<br />
■■■■CHARDONNAY E ALTRI BIANCHI<br />
Tra i vitigni bianchi di riferimento vi<br />
è anche lo Chardonnay che, conformemente<br />
allo stile “Nuovo Mondo”<br />
non di rado viene vinificato prevedendo<br />
un passaggio in legno, se non<br />
addirittura la seconda parte del processo<br />
fermentativo. La Gisborne<br />
region produce Chardonnay di buon<br />
corpo, che si caratterizzano per le<br />
note di ananas, di guava e di agrumi<br />
maturi, mentre nella Marlborough<br />
region il vitigno si esprime con sentori<br />
di limone, di lime e di pesca bianca,<br />
sorretti da una piacevole freschezza.<br />
Altri vitigni a bacca bianca, sui quali<br />
le aziende stanno puntando per<br />
ampliare la gamma dei vini prodotti,<br />
sono il Riesling, con il quale si<br />
ottengono vini profumati e fruttati,<br />
facili da bere, molto graditi ai giovani<br />
consumatori, il Gewürztraminer,<br />
che ha già portato a prodotti di elevato<br />
profilo qualitativo internazionalmente<br />
riconosciuti, e il Pinot grigio,<br />
al momento molto apprezzato<br />
soprattutto sul mercato interno ma<br />
che presto potrebbe farsi largo anche<br />
al di fuori dei confini nazionali.<br />
■■■■L’ECCELLENZA DEL PINOT NERO<br />
Tra i vitigni a bacca nera spicca il<br />
Pinot nero, secondo vitigno più coltivato<br />
dopo il Sauvignon blanc.<br />
Notoriamente ostico sia in vigneto<br />
che in cantina, in Nuova Zelanda<br />
riesce a esprimersi a livelli di eccellenza<br />
che gli consentono di non<br />
temere confronti. Il Pinot nero neozelandese,<br />
in genere molto differente<br />
da quelli prodotti nel Vecchio<br />
Continente, si contraddistingue per<br />
intensità di colorazione e struttura.<br />
I sentori di frutti rossi maturi, mora,<br />
amarena, ribes e prugna sono prevalenti<br />
e ben amalgamati con quelli<br />
speziati. Molto interessanti sono i<br />
Pinot nero della Central Otago<br />
region, che con 34° di latitudine sud<br />
è l’area viticola più meridionale del<br />
mondo.<br />
Nella Hawkes Bay, grazie al clima<br />
caldo, è conosciuta per la coltivazione<br />
di vitigni a bacca nera internazionali,<br />
quali Merlot, Cabernet<br />
Sauvignon, Syrah e Cabernet franc<br />
che, vinificati sia in purezza che in<br />
uvaggio, consentono di raggiungere<br />
livelli qualitativi sicuramente interessanti.<br />
57
Degustazioni<br />
LA DEGUSTAZIONE<br />
Vinoptima Ormond Reserve Gewürztraminer 2006<br />
Gisborne – 13% vol.<br />
Questa cantina è stata fondata a Gisborne nel 2000 da Nick Nobilo<br />
col preciso intento di produrre un Gewürztraminer di altissimo livello.<br />
Considerato il miglior Gewürztraminer del “Nuovo Mondo”, colpisce<br />
per l’eleganza e la finezza che esprime all’olfatto, contraddistinto<br />
da note di zenzero e mandarino. Al palato è ricco, equilibrato<br />
e dotato di un’eccezionale persistenza, con sentori speziati prevalenti<br />
su uno sfondo di zenzero, ananas e albicocche essiccate.<br />
Prezzo consigliato in enoteca: 38 euro.<br />
Palliser Estate Martinborough Sauvignon blanc 2009<br />
Martinborough – 13% vol.<br />
Fondata nel 1988 e da allora sapientemente diretta da Richard<br />
Riddiford, Palliser Estate è una cantina conosciuta ed apprezzata<br />
a livello internazionale. Questo elegante Sauvignon, uno dei fiori<br />
all’occhiello dell’enologo Allan Johnson, si presenta ampio ed intenso<br />
all’olfatto, con note di peperone, foglia di pomodoro e di frutta<br />
nel finale, mentre al palato risulta avvolgente, equilibrato e lungo,<br />
caratterizzato da sentori di pompelmo rosa e di lime. Prezzo consigliato<br />
in enoteca: 27 euro.<br />
Auntsfield Long Cow Sauvignon Blanc 2009<br />
Marlborough – 13,5% vol.<br />
Fondata nel 1873 da David Herd, Auntsfield Estate è la più antica<br />
cantina commerciale della Marlborough region. Dotato di spiccata<br />
personalità, questo Sauvignon blanc si distingue per la finezza olfattiva<br />
e gli intensi sentori di peperone, asparago, limone e frutti tropicali<br />
nonché per la pienezza al gusto, sapido, che richiama frutto<br />
della passione e uva spina. Accattivante e con buon rapporto qualità/prezzo<br />
è lo Sliding Hill Sauvignon blanc 2009 proposto da questa<br />
azienda. Prezzo consigliato in enoteca: 25 euro.<br />
Craggy Range Otago Station Vineyard Waitaki Valley Riesling 2008<br />
Havelock North, Hawkes Bay – 11% vol.<br />
Nata nel 1997 per volere dell’industriale australiano Terry Peabody<br />
e dell’agronomo/enologo Steve Smith, questa azienda possiede vigneti<br />
dislocati nelle aree viticole più vocate della Nuova Zelanda. Prodotto<br />
in North Otago, questo fine e piacevole Riesling stupisce per l’impatto<br />
olfattivo, in cui prevalgono intensi sentori di ananas, pompelmo<br />
e mela verde, in perfetta armonia con sensazioni gustative ampie<br />
e persistenti, con note fruttate, floreali e speziate. Prezzo consigliato<br />
in enoteca: 25 euro.<br />
Saint Clair Pioneer Block 4 Sawcut Pinot noir 2006<br />
Marlborough – 13,5% vol.<br />
Situata nella porzione meridionale della Wairau Valley (Marlborough),<br />
questa azienda è stata fondata da Neal e Jude Ibbotson nel 1978,<br />
divenendo in pochi anni molto apprezzata per i suoi Sauvignon<br />
blanc. Questo Pinot nero, dal colore intenso, è molto fine all’olfatto,<br />
che richiama frutti rossi maturi, quali amarena e prugna, e sentori<br />
tostati lievi; al palato esprime un buon corpo, tannini morbidi<br />
e una buona persistenza, con note speziate e fruttate prevalenti.<br />
Prezzo consigliato in enoteca: 25,50 euro.<br />
58
Cloudy Bay Marlborough Chardonnay 2007<br />
Blenheim – 14% vol.<br />
Tra le aziende neozelandesi più note in assoluto, Claudy Bay nasce<br />
nel 1985 col preciso intento di estrinsecare le potenzialità qualitative<br />
della Wairau Valley (Marlborough). Questo vino, affinato in barrique,<br />
si esprime all’olfatto con note tostate, burrose e di frutti maturi<br />
mentre al palato è strutturato, con buon equilibrio e sentori di<br />
agrumi e drupacee. Da non perdere il Sauvignon blanc di questa<br />
azienda, una delle icone dell’enologia neozelandese. Prezzo consigliato<br />
in enoteca: 30 euro.<br />
Clos Henri Marlborough Sauvignon blanc 2008<br />
Renwick Hill, Marlborough – 13,5% vol.<br />
I vigneti di questa azienda, fondata dalla famiglia Bourgeois, produttori<br />
di vino a Sancerre (Valle della Loira) da dieci generazioni,<br />
sono stati realizzati su terreni vergini a partire dal 2001. Questo<br />
vino, che riunisce terroir neozelandese e tecnica francese, si contraddistingue<br />
per i sentori olfattivi erbacei, di agrumi e di frutti tropicali<br />
maturi, che si fondono armonicamente con un gusto complesso<br />
e rotondo, caratterizzato da buona freschezza e note minerali.<br />
Prezzo consigliato in enoteca: 29 euro.<br />
Babich Hawke’s Bay Merlot Cabernet 2004<br />
Hawke’s Bay – 12,5% vol.<br />
Babich Wines è una delle aziende storiche della Nuova Zelanda, fondata<br />
nel 1895 da Josip Babich, uno dei tanti immigrati croati giunti<br />
in queste terre e dedicatisi con successo alla vitivinicoltura. Intenso<br />
ed elegante al naso, con sentori minerali ed evoluti, questo taglio si<br />
presenta in bocca equilibrato e rotondo, con note di piccoli frutti<br />
rossi e di prugna cotta nel finale. Molto interessante è anche il Babich<br />
Winemakers Reserve Sauvignon blanc 2007. Prezzo consigliato in<br />
enoteca: 15-20 euro.<br />
Clos Henri Bel Echo Marlborough Pinot noir 2007<br />
Renwick Hill, Marlborough – 13,5% vol.<br />
Questo Pinot nero di medio corpo, caratterizzato da uno stile delicato<br />
che richiama quelli francesi, viene prodotto da Clos Henri prestando<br />
una particolare attenzione alla fruttuosità. Armonico e dotato<br />
di un buon equilibrio, questo vino si esprime con intensi sentori<br />
di frutti rossi, tra i quali spiccano prugna, ciliegia e piccoli frutti<br />
rossi, e con note speziate di pepe nero; in bocca prevalgono le note<br />
speziate e tostate su quelle fruttate percepite nel finale. Prezzo consigliato<br />
in enoteca: 25 euro.<br />
Bishop’s Leap, Marlborough Sauvignon blanc 2008<br />
Marlborough Velley Wines Ltd. Blenheim – 12,5% vol.<br />
Bishop’s Leap è il nome di una rupe scoscesa situata lungo il corso<br />
del Wairau river, che la tradizione popolare vuole teatro del fatale<br />
balzo di uno dei primi vescovi del Marlborough inseguito dai guerrieri<br />
Maori. Ottimo per rapporto qualità/prezzo, è un vino dotato di<br />
elevata bevibilità e si esprime al naso per i lievi sentori floreali e<br />
fruttati, con sfumate note di pesca bianca e mela; al gusto è morbido,<br />
equilibrato, con sentori agrumati e di peperone nel finale.<br />
Prezzo consigliato in enoteca: 10 euro.<br />
59
Mappamondo<br />
Nel Valais<br />
il vigneto più alto<br />
e il più piccolo del mondo<br />
CONDIZIONI CLIMATICHE E GEOLOGICHE FAVOREVOLI FANNO DEL VALLESE<br />
NON SOLO UNA META TURISTICA VARIA MA ANCHE UNA COSIDDETTA TERRA<br />
DA VINO. ATTUALMENTE UN TERZO DELLA PRODUZIONE ELVETICA HA ORIGINE<br />
PROPRIO IN QUESTA REGIONE<br />
Il Vallese (Valais), terzo cantone più vasto della<br />
Svizzera, si estende a sud ovest della Confederazione<br />
per una lunghezza di 150 chilometri, in uno stretto<br />
territorio che forma la Valle del Rodano, tra l’omonimo<br />
ghiacciaio e il Lago Lemano. Considerato da molti<br />
come il paradiso dello sci, vanta ben una cinquantina<br />
di vette che raggiungono i 4mila metri, tra le quali il<br />
famoso Cervino, oltre a 2.200 chilometri di piste da sci<br />
e snowboard e mille chilometri di piste di sci di fondo.<br />
Numerose le località rinomate per questo sport oltre i<br />
confini nazionali, quali Zermatt, Saas Fee, Verbier e<br />
Crans Montana. Verbier appartiene al comprensorio<br />
sciistico “4 Vallées” e offre, oltre ai fantastici panorami,<br />
novanta fra skilift e ferrovie che collegano ben 410<br />
chilometri di piste e vette alpine come il Mont Fort, il<br />
punto panoramico più elevato della regione, posto a<br />
3.330 metri sul livello del mare, o stazioni meno conosciute<br />
come l’incantevole Champex Lac.<br />
Da non dimenticare poi, posta su un soleggiato altopiano,<br />
a strapiombo sulla Valle del Rodano a 1.500<br />
metri, Crans Montana (o meglio le vicine stazioni di<br />
Crans e di Montana) una località che presenta, al medesimo<br />
tempo, le caratteristiche di un villaggio di montagna<br />
e di una moderna città alpina. Un luogo rinomato,<br />
che scelto come “buen ritiro” da molti personaggi<br />
del jet set e che, durante la bella stagione, si trasforma<br />
nella capitale del golf, con l’European Golf Masters,<br />
e della musica con il famoso Caprices Festival. Condizioni<br />
climatiche e geologiche particolarmente favorevoli fanno,<br />
però, del Vallese non solo una meta turistica varia e<br />
interessante, ma anche una cosiddetta “terra da vino”.<br />
Attualmente un terzo della produzione elvetica ha, infat-<br />
60<br />
di Davide Oltolini<br />
ti, origine proprio in questa regione. Questo territorio<br />
trae beneficio da un singolare clima caratterizzato da<br />
estati calde e lunghi autunni miti. Le montagne, vero<br />
e proprio baluardo protettivo, favoriscono il clima secco<br />
che domina la regione, dove si registra la più scarsa<br />
densità di precipitazioni di tutta la Svizzera. Inoltre il<br />
Vallese presenta caratteristiche geologiche complesse<br />
(granito, calcare, scisto e gneis), che favoriscono la coltivazione<br />
di ben quarantasette differenti varietà di uve.<br />
Gli appezzamenti risultano estremamente frazionati con<br />
oltre 22mila diversi proprietari, a testimonianza dello<br />
stretto legame delle famiglie vallesane con le proprie<br />
vigne, spesso tramandate di padre in figlio da secoli.<br />
Tre i vitigni che da soli interessano l’85 per cento dell’intera<br />
superficie vitivinicola, ovvero Pinot Noir, Chasselas<br />
e Gamay. Tra i vini bianchi spicca il Fendant ottenuto,<br />
appunto dallo Chasselas, vino dalle tipiche note<br />
floreali e fruttate, dalla piacevole freschezza, apprezzato<br />
come aperitivo, ma abbinato con successo durante<br />
i pasti a numerose specialità vallesane, quali la Raclette,<br />
la fondue, la carne secca e i crauti.<br />
Lo Chasselas appare come un vitigno particolarmente<br />
sensibile al territorio che lo accoglie, variando lievemente<br />
la propria espressione, ovvero evidenziando note minerali,<br />
se coltivato nei terreni di Ardon e Vétroz, ricchezza<br />
e pienezza se coltivato a Sion e Saint Léonard e una<br />
gradevole, quanto lieve, nota amarognola a Sierre.<br />
L’invecchiamento gli permette di ottenere un’insospettabile<br />
complessità, mentre nelle grandi annate, se vinificato<br />
e affinato in condizioni ottimali, acquisisce sentori<br />
mielati con ricordi di noce e frutta secca, un’apprezzabile<br />
struttura e una spiccata personalità. Tra gli
altri vitigni a bacca bianca spiccano Johannisberg,<br />
Malvasia, Moscato, Chardonnay ed Ermitage, oltre a<br />
tipologie considerate autoctone dai coltivatori elvetici,<br />
quali Petite Arvine, Amigne, Païen/Heida e Humagne<br />
Blanche. Quest’ultimo, curiosamente considerato dalla<br />
tradizione come il vino ideale per dare conforto alle partorienti,<br />
esprime gradevoli sentori vinosi e delicatamente<br />
fruttati accanto a un’accattivante freschezza. Tra i<br />
vini rossi il più celebre è, certamente, il Dôle, ottenuto<br />
dall’85 per cento di Gamay e Pinot Noir, con prevalenza<br />
di quest’ultimo, che contribuisce a donargli il corpo<br />
e la cosiddetta “spina dorsale” e che all’assaggio si<br />
presenta rotondo e armonico grazie all’apporto, oltre<br />
del Gamay, di vitigni quali, ad esempio, l’Humagne<br />
Rouge o il Syrah. Tra i vitigni a bacca rossa anche il<br />
Cornalin, considerato al 100 per cento vallesano, capriccioso<br />
e dalla maturazione tardiva, che ha scoraggiato<br />
generazioni di viticoltori. Il Cornalin offre vini dal bouquet<br />
complesso, che l’invecchiamento smussa delle giovanili<br />
asperità, permettendogli di raggiungere una particolare<br />
finezza. Nella regione vengono prodotti anche<br />
vini rosati, tra i quali il particolare Oeil de Perdrix, ottenuto<br />
esclusivamente da uve Pinot noir.<br />
Il Vallese rappresenta anche uno dei micro territori che<br />
in Europa vantano le condizioni climatiche indispensabili<br />
per la produzione di vini botritizzati, per i quali si<br />
impiegano i vitigni di Petite Arvine, Ermitage,<br />
Johannisberg, Amigne o Malvasia. Da secoli, invece, in<br />
Val d’Anniviers viene prodotto un vino conservato in<br />
antichissime botti di rovere che non vengono mai svuotate,<br />
il cosiddetto “vino dei ghiacciai”, ottenuto dal vitigno<br />
Rèze che matura in prossimità<br />
dei ghiacciai della Val d’Anniviers.<br />
Il Vallese vanta anche il vigneto<br />
più alto d’Europa ovvero il<br />
vigneto di Visperterminen che,<br />
con le sue vigne situate tra i<br />
650 ed i 1.150 metri sul livello<br />
del mare, ha ottenuto<br />
fama internazionale. Su piccole<br />
terrazze, delimitate da<br />
alti muri a secco, supera in<br />
uno spazio ristretto ben 500<br />
metri di dislivello.<br />
L’esposizione a sud e le ampie<br />
superfici in pietra dei muri contribuiscono<br />
a mantenere le viti<br />
in una sorta di camera termica<br />
fino ad autunno inoltrato fornendo,<br />
con la complicità di<br />
qualche ventata di Föhn,<br />
il grado di maturazione<br />
necessario all’uva. Dalla<br />
varietà Savagnin (qui denominata<br />
Heida) si ottiene,<br />
pertanto, un vino bianco<br />
corposo e dall’acidità ben<br />
bilanciata chiamato anche<br />
“perla dei vini delle Alpi”. Nelle<br />
⊳ La Raclette du Valais<br />
annate migliori l’Heida può raggiungere un titolo alcolico<br />
volumetrico del 14 per cento.<br />
In memoria di Farinet, generoso falsario, soprannominato<br />
il “Robin Hood delle Alpi”, a Saillon è stato impiantato<br />
anche il più piccolo vigneto del mondo. Padrino<br />
della vigna di appena 1,67 metri quadrati è il tibetano<br />
Dalai Lama. Al vigneto di Farinet si dedicano ogni anno<br />
celebrità internazionali, tra gli altri Carolina di Monaco,<br />
Gina Lollobrigida, Michael Schuhmacher. Assemblato<br />
con altre uve del Vallese, il prodotto della vendemmia<br />
viene travasato in mille bottiglie e messo all’asta. Il ricavato<br />
della vendita permette di finanziare un fondo annuo<br />
di 20mila franchi con il quale si sostengono attività culturali<br />
e sociali.<br />
Anche la ristorazione appare di altro livello (e non potrebbe<br />
essere diversamente visto che proprio questa terra<br />
ha dato i natali al grande Cäsar Ritz, l’inventore dell’hotellerie<br />
e della moderna ristorazione internazionale)<br />
con chef come Didier de Courten o come Pierre<br />
Crepaud del ristorante Le Mont Blanc dell’Hotel Le Crans,<br />
che la nota guida «GaultMillau» ha incoronato come<br />
chef rivelazione della Svizzera francese. Tra i prodotti<br />
del territorio spiccano il particolare zafferano di Mund,<br />
la purissima acqua minerale Sembrancher, dal nome<br />
dell’omonimo centro abitato, capoluogo del distretto<br />
d’Entremont, conosciuta e apprezzata dal lontano 1239<br />
e, ovviamente, la Raclette vallesana. Si tratta di un<br />
formaggio Aoc (Appellation d’origine contrôlée) a pasta<br />
semidura, prodotto con latte vaccino crudo, sulle cui<br />
caratteristiche incidono la ricca flora delle regioni montane<br />
e alpine del Vallese. Il gusto è piacevolissimo,<br />
“lattoso” e deciso, caratterizzato da una leggera e accattivante<br />
nota acidula e dominato da aromi di piante e di<br />
frutti. Viene solitamente consumato dopo averlo posizionato<br />
in un apposito forno o accanto al fuoco, raschiandone<br />
lo strato fuso con un coltello, in accompagnamento<br />
a patate (alle quali è uso non togliere la buccia), cetrioli<br />
sott’aceto o cipolline.<br />
61
Turismo<br />
Germania,<br />
terra tutta<br />
NONOSTANTE LO<br />
STEREOTIPO DELLA<br />
BIRRA, LA GERMANIA È<br />
IL PAESE CHE CONSUMA<br />
PIÙ SPUMANTI AL MONDO<br />
E IMPORTA PIÙ VINO.<br />
GODE SICURAMENTE DI<br />
UNA SCELTA VINICOLA<br />
AMPIA MA CHE POCHI<br />
CONOSCONO<br />
▲ Alexanderplatz, Berlino<br />
62<br />
da scoprire<br />
di Elisa della Barba<br />
Circondata a est dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca, a sud dall’Austria<br />
e dalla Svizzera, a ovest da Francia, Belgio, Lussemburgo e Olanda,<br />
la Germania occupa circa 360mila chilometri quadrati ed è lo stato<br />
più popolato di tutta l’Europa Unita.<br />
La numerosa popolazione tedesca detiene anche un altro record: è fra<br />
quelle più devote al turismo outbound e cioè al turismo effettuato al di<br />
fuori del proprio Paese. Con una popolazione di circa ottantaquattro milioni<br />
di abitanti e ben trentatré siti nominati patrimonio dell’umanità dall’Unesco,<br />
i tedeschi amano la loro terra ma anche esplorare nuove opzioni.<br />
Ma l’inbound (il processo inverso, che porta gli stranieri nel Paese in esame)<br />
come si comporta? La Germania è fra i primi dieci Paesi più visitati al mondo<br />
con più di ventiquattro milioni di visitatori internazionali contati nel 2008<br />
(ma l’Italia la distacca comunque di molto).<br />
Olandesi, americani e svizzeri, in quest’ordine, i più affezionati alla Germania<br />
nel 2009, seguiti da Inghilterra, Italia e Austria. E chi si aspetta dati disastrosi<br />
in questi anni di crisi dovrà ricredersi.<br />
Con un Pil in crescita quest’anno del 3,7 per cento (l’Italia ha invece registrato<br />
solo un più 1,1 per cento) e un tasso di disoccupazione che sta scendendo<br />
sempre di più (a settembre 2010 è arrivato al 7,2 per cento mentre<br />
solo ad agosto si attestava al 7,6 per cento), la Germania esce relativamente<br />
illesa dalla crisi del 2009: Berlino è la grande star fra le capitali europee<br />
per quanto riguarda l’industria turistica. Il 2009 infatti è stato un anno<br />
record per il numero delle notti passate nella città dai turisti, aumentate del<br />
6,2 per cento rispetto all’anno precedente. Gli hotel di Berlino hanno migliorato<br />
la redditività del 42,7 per cento nel giugno 2010, ed eventi come il Gay<br />
and Lesbian Festival di Berlino, il Gay Pride e la Capitale delle Culture hanno<br />
aumentato il tasso d’occupazione delle camere d’albergo.<br />
Va inoltre detto che se per le altre capitali una notte in un albergo di qualità<br />
può arrivare a costare dalle 150 ai 160 euro, per Berlino viene a costare<br />
in media 80 euro. Questo aiuta sicuramente il turismo e invoglia a passare<br />
una o più notti nella città. Se è vero infatti che la crisi economica ha visto<br />
una diminuzione del 5,6 per cento per quanto riguarda la media di arrivi<br />
stranieri in tutta Europa, la Germania ha avuto una diminuzione solo del<br />
2,7 per cento (dati United Nations World Tourism Organization). E se la Spagna<br />
rimane leader del mercato in questo settore, la Germania ha dimostrato una
⊳ La Porta di Brandeburgo, munumento simbolo di Berlino ▲ Vigneti nella regione del Württemberg<br />
▲ L'Oktoberfest, uno dei principali<br />
eventi che attira turisti in<br />
Germania<br />
tale capacità di recupero che la vede pareggiare con la<br />
Francia, seguita subito dall’Italia.<br />
Per la Germania, il più grande mercato sul<br />
quale investire resta l’Olanda: l’anno scorso<br />
il numero dei visitatori è cresciuto<br />
del 2,8 per cento per un ammontare<br />
di dieci milioni di turisti.<br />
Peggiora il conteggio invece per i<br />
turisti americani che fino ad ora rappresentavano<br />
il 10 per cento della<br />
fetta di turismo inbound, è diminuito<br />
del 3,4 per cento a 4,3 milioni. È la<br />
regione della Baviera ad attirare il maggior<br />
numero di turisti, la seconda in lista<br />
è il Baden-Württemberg, terza arriva la<br />
regione del Nord Reno-Westfalia che quest’anno<br />
ha un motivo in più per essere visitata, essendo<br />
stata nominata capitale europea della cultura 2010.<br />
Molte le attrattive turistiche, ma è doveroso segnalare Berlino<br />
come prima tappa obbligata per chi vuole conoscere meglio la Germania e<br />
in particolare la visita al Denkmal für die ermordeten Juden Europas, il monumento<br />
agli ebrei vittime dell’Olocausto in Europa, inaugurato nel 2005,<br />
20mila metri quadrati cosparsi di 2.711 blocchi di cemento grigio situati nel<br />
centro della città, tra la porta di Brandeburgo e Potsdamer Platz, per ricordare.<br />
Sempre a Berlino, da visitare Alexanderplatz e piazza Gendarmenmarkt<br />
e i numerosi musei della città (stupefacente l’Altare di Pergamo al Pergamon<br />
Museum e il Museo del Muro). Ed è proprio a Berlino che il 5 settembre si<br />
sono festeggiati i cento anni dell’associazione che raccoglie le 195 aziende<br />
vinicole tedesche più rinomate del Paese, la Verband Deutscher<br />
Prädikatsweingüter, con degustazioni in gallerie d’arte distribuite in tutta la<br />
città.<br />
Da non perdere anche Monaco, con l’Oktoberfest e il Festival dell’Opera;<br />
Friburgo, rinomato centro vinicolo dominato dalla cattedrale; Colonia, con<br />
il suo carnevale; Postdam, la città dei castelli; Amburgo, con i negozi eleganti,<br />
i canali e la chiesa di S. Michele, oltre ai cinquanta musei della città;<br />
63
Turismo<br />
▲ Il castello di Heidelberg. La città<br />
è il primo centro universitario<br />
della Germania<br />
▲ L’Hackepeter, carne di maiale<br />
macinata e condita<br />
64<br />
Norimberga, città medievale con ottanta torri situate nel centro storico e il<br />
museo nazionale germanico con opere di Albrecht Dürer; Heidelberg, prima<br />
città universitaria della Germania; Trier, che ha origini romane (chiamata<br />
Augusta Trevirorum nel 16 a.C.); Dresda con i castelli sull’Elba e le storiche<br />
ferrovie di montagna.<br />
Dalle città alla campagna: sono alberi secolari quelli che si trovano sul<br />
sentiero che corre da Kap Arkona, sull’isola di Rügen, fino all’isola Reichenau,<br />
nel lago di Costanza e si può proseguire addirittura fino alla affascinante<br />
Foresta Nera, dividendo il percorso a seconda che si preferisca andare a<br />
piedi, in bici o in moto: 2.500 chilometri di strada per gli amanti della<br />
natura.<br />
Chi ama il verde deve assolutamente visitare la Turingia, costituita da piccoli<br />
principati. Terra di filosofi, poeti e pensatori, offre anche un’incredibile<br />
varietà gastronomica. E per gli amanti del pittoresco, la Romantische Strasse,<br />
350 chilomentri fra antichi centri storici e castelli principeschi.<br />
Molte le occasioni anche per chi ama sciare, dalla regione di Allgäu alle<br />
Alpi Bavaresi, dalla Berchtesgadener Land (per tutti ma specialmente per<br />
chi ama lo snowboard) alla parte sud ovest della Baviera (per lo sci di fondo).<br />
Con l’avvicinarsi del Natale è bello farsi trasportare dalla magia dei mercatini<br />
presenti in moltissimi paesini della Germania oppure organizzare una<br />
vacanza con la famiglia magari al parco divertimenti dell’Europa-Park di<br />
Rust, ma basta anche solo passeggiare per godere delle tipiche luminarie<br />
che ci fanno sentire lo spirito natalizio.<br />
Tante le attrattive dunque e le possibilità per chi decide di andare in Germania,<br />
dagli amanti delle città, della cultura e della storia ai patiti della natura.<br />
Manca sicuramente però l’offerta di turismo marittimo, che il nostro Paese<br />
non fatica a soddisfare, offrendo diverse possibilità. Se è infatti difficile fare<br />
paragoni viste le caratteristiche geografiche, climatiche e culturali sicuramente<br />
piuttosto differenti, rimanendo al confronto con gli altri Paesi d’Europa,<br />
ovviamente, è innegabile che l’Italia la faccia da padrona, con un territorio<br />
molto più avvantaggiato vista la varietà dell’offerta e un clima molto più “facile”,<br />
senza contare l’aspetto artistico. Se noi riusciamo però così, o dovremmo<br />
riuscire, a diversificare maggiormente l’offerta, non riusciamo però a raggiungere<br />
la Germania in termini di organizzazione e di tempestività.<br />
Sicuramente fra le attrattive e tra i primi fattori a far pendere la bilancia<br />
verso l’Italia c’è sicuramente l’enogastronomia. Ma la Germania, che cosa<br />
ha da offrire?
▲ La berlinese Potsdamer Platz<br />
▲ Gli Knödel, grossi gnocchi<br />
di un impasto di composizione<br />
variabile<br />
▲ L'Apfelstrudel, uno dei dolci tipici<br />
Le prime cose che vengono in mente sono birra e wurstel, ma non bisogna<br />
fermarsi alla prima impressione.<br />
La cucina regionale ha tanto da offrire, anche se gli ingredienti base sono<br />
semplici. Tra i piatti di carne vanno forte l’oca e il maiale, spesso servito<br />
come stinco o come porchetta e rigorosamente accompagnato da patate<br />
(Kartoffeln) o da cavoli (Kohl), ma anche dai crauti. Una verdura molto tipica<br />
sono i Sauerkraut, cavoli rossi sottaceto, spesso usati come antipasto ma<br />
anche come contorno. Anche il Gulasch (zuppa di manzo con cipolle e paprika),<br />
di origine ungherese, è molto comune, così come gli Knödel, polpette di<br />
mollica o patate, ma vengono cucinati anche i pesci (nel Nord), spesso<br />
affumicati, oppure granchi e aragoste. Fondamentale anche lo speciale pane<br />
nero che accompagna tutti i pasti, ricco di fibre e sostituivo della nostra<br />
pasta.<br />
A differenza nostra, si usa anche molto il dolce-salato all’interno dello stesso<br />
piatto (vedi pasta e marmellata). Ma è sbagliato generalizzare: terzo Paese<br />
al mondo per numero di immigrati internazionali, la cucina tedesca è stata<br />
decisamente influenzata dalle diverse nazionalità: è possibile, se non facile,<br />
trovare ristoranti di qualità che propongono cucine internazionali.<br />
Inoltre la Germania, divisa in sedici distretti, è caratterizzata da un diverso<br />
utilizzo di ingredienti nei piatti tipici a seconda delle regioni.<br />
A Berlino e Brandeburgo sono tipici l’anguilla con salsa di cavolo (Aal grün)<br />
e la carne di maiale macinata e condita (Hackepeter). In Pomerania si cucina<br />
il petto d’oca con salsa dolce e patate (Gänseschwarzsauer). In Renania-<br />
Palatinato si usa la zuppa di piselli con orecchie di maiale (Ähzezupp) mentre<br />
in Bassa Sassonia sono da provare le aringhe di Brema e la salsiccia in<br />
padella. I buonissimi Bretzel sono originari di Francoforte e dell’Assia, in<br />
Turingia si mangia il Meisser Kummel, un dolce che assomiglia alla sbrisolona<br />
mantovana. Da mangiare assolutamente anche il prosciutto della Foresta<br />
Nera, la salsiccia bianca di Monaco e il Schlachtplatte della Baviera, per stomaci<br />
forti: è un piatto misto con sanguinaccio nero, Knödel al fegato, salsicce<br />
di fegato, trippa e crauti. Per quanto riguarda i dolci, si trovano in tutta<br />
la Germania lo strudel di mele, la mela cotta con marmellata di albicocche<br />
e una torta di pasta frolla con ripieno al formaggio.<br />
La birra, invece, è uno stereotipo da superare: la Germania ha una storia<br />
secolare per quanto riguarda la viticoltura. Va però sottolineato che i metodi<br />
di produzione vinicola sono diversi da quelli dell’Italia o della Francia: qui<br />
è permesso lo zuccheraggio ed è proprio in base alla quantità di zuccheri<br />
65
Turismo<br />
▲ La valle della Mosella<br />
▲ I Bratwürste<br />
▲ Lo Schwarzbrot, il pane nero<br />
immancabile sulle tavole<br />
tedesche<br />
66<br />
fermentescibili contenuti nel mosto che si esegue la classificazione qualitativa<br />
dei vini. Comprensibile, visto che vi è una problematica di base (anche<br />
e soprattutto climatica) per la maturazione delle uve. Con 102mila ettari<br />
di vigneti, la produzione è notevole: nel 2008 sono stati prodotti dieci milioni<br />
di ettolitri di vino. Va sottolineato che nel territorio prevalgono i vini<br />
ottenuti da uve a bacche bianche che rappresentano i 2-3 del totale (64 per<br />
cento per le uve a bacca bianca e il 36 per cento per le uve a bacca nera).<br />
Per quello che riguarda questa tipologia, il vitigno più coltivato in Germania<br />
è il Riesling (il più fruttato è quello prodotto lungo il pendio della Mosella),<br />
che detiene l’80 per cento dell’intera superficie vitata in Europa dedicata a<br />
questa tipologia, seguito dal Müller Thurgau e il Sylvaner. Per le bacche a<br />
uva nera vince lo Spätburgunder, seguito dal Dornfelder e il Portugieser.<br />
Dato lo stereotipo di grandi bevitori di birra stupirà forse sapere che la<br />
Germania è il Paese che consuma più spumanti (di ogni tipologia) al mondo,<br />
con quasi 450 milioni di bottiglie prodotte all’anno. Non mancano gli<br />
Champagne e i Cava (uno per tutti il Mumm). La Germania è anche il<br />
Paese che importa più vino al mondo (con 14,2 milioni di ettolitri nel<br />
2007), mentre come esportatore si trova solo al nono posto.<br />
Riguardo al consumo, quello pro-capite arriva a 20,6 l/anno, una media ben<br />
lontana da quella di molti altri Paesi (inclusa l’Italia).<br />
Sono quattro le regioni che comprendono la maggior parte del territorio vitato,<br />
tutte concentrate su uve a bacca bianca: Rheinhessen, Pfalz, Baden e<br />
Württemberg.<br />
Fa eccezione la valle dell’Ahr, coltivata con uve provenienti dalla Francia<br />
fin dall’VIII secolo che producono Pinot nero, chiamato in Germania<br />
Spätburgunder o Laimberger. Qui la produzione di rossi raggiunge l’80 per<br />
cento della produzione totale del Paese.<br />
Tra i rosati ricordiamo lo Schillerwein, delicato, dal profumo di lampone e<br />
di frutti di bosco. Se quindi sicuramente c’è ancora da lavorare per quanto<br />
riguarda l’esportazione, che necessita decisamente di una spinta in più (anche<br />
se in ogni caso non si possono fare confronti con il territorio italiano), la<br />
Germania gode sicuramente di una scelta vinicola ampia ma che pochi conoscono<br />
nel dettaglio.<br />
Visitiamo dunque la Germania armati di un pizzico di curiosità enologica,<br />
che sicuramente il Paese merita. Ricordandoci, però, una volta all’estero,<br />
di (es)portare la nostra cultura con orgoglio, noi che, volendo cercarci un<br />
difetto, siamo un po’ troppo malati di esterofilia.
Oli d’Italia<br />
Si consuma l’olio<br />
ma senza conoscerlo<br />
Ci sono volte in cui è necessario far chiarezza. In Italia<br />
la centralità di cui gode un alimento simbolo come<br />
l’olio extra vergine di oliva è indiscutibile. Tuttavia,<br />
nello stesso Paese che mette al centro dei consumi l’olio<br />
ricavato dalle olive – da almeno due millenni e oltre – non<br />
esiste ancora una vera cultura collettiva dell’olio. A sostenerlo<br />
non soltanto gli esperti ma anche una serie di ricerche<br />
che offrono un quadro ancor più deludente, perché più<br />
circostanziato. In Italia, nel Paese delle 538 cultivar, in cui<br />
gli olivi vantano una biodiversità altrove non altrettanto<br />
significativa, né riproducibile, l’olio lo si consuma per pura<br />
abitudine, senza conoscerlo. È evidente che di fronte alla<br />
diffusa ignoranza dei consumatori vinca come al solito il<br />
prezzo e con tale limite di fondo si continueranno ad affermare,<br />
in maniera sempre più netta, fino a moltiplicarsi di<br />
continuo, i tanti luoghi comuni, così difficili da sradicare<br />
ogni qual volta entrano di fatto a far parte del corredo delle<br />
proprie convinzioni.<br />
A essere davvero onesti, possiamo anche dire che non soltanto<br />
i consumatori, non solo i commercianti, ma anche<br />
gli stessi produttori, a volte, pur producendo l’olio, non ne<br />
conoscono natura e dinamiche. È una materia prima che<br />
si produce da millenni, è vero, ma poi non sempre la si riesce<br />
a gestire. Una cosa alla quale in pochi stanno lavorando<br />
è l’applicazione pratica dell’olio in cucina, nelle sue varie<br />
formulazioni alimentari. Ed è ciò cui da qualche tempo chi<br />
scrive si sta dedicando, come ha fatto con il volume<br />
L’evoluzione dell’olio in cucina, attraverso l’impegno del<br />
Consorzio di tutela degli oli Dop Riviera Ligure e del Comune<br />
di Lucinasco.<br />
Nel libro vi è una guida ragionata agli abbinamenti oliocibo.<br />
Se non si conosce la complessità aromatica, la variabilità<br />
e l’intensità delle note olfattive e gustative di un olio<br />
extra vergine di oliva, qualsiasi utilizzo, a crudo o in cottura,<br />
può essere vanificato e risultare erroneamente inappropriato.<br />
Il fatto è che non si è in grado di scegliere tra le<br />
varie produzioni olearie, perché non si è mai approfondita<br />
la materia prima olio extra vergine di oliva. Di conseguenza,<br />
è inevitabile che alcuni sostengano che l’extra vergine<br />
sia troppo “carico” di gusto, al punto da coprire i sapori<br />
di altre materie prime. Ed è anche comprensibile che<br />
68<br />
di Luigi Caricato<br />
altri arrivino a sostenere che l’extra vergine risulti (infelicissima<br />
espressione) “pesante” e poco digeribile. Nonostante<br />
ciò, i consumi premiano l’extra vergine ma, per essere<br />
più esatti, a essere premiati sono gli extra vergini da primo<br />
prezzo, di cui è sempre opportuno diffidare, visto che si<br />
arriva in taluni casi a offerte assurde e offensive, l’ultima<br />
della quali sotto i due euro la bottiglia da litro. Tutto ciò è<br />
possibile perché non si è lavorato a sufficienza sulla leva<br />
culturale. Così, quando l’ignoranza vince sulla cultura, i<br />
risultati sono disastrosi e quasi irrimediabili. Bene ha fatto<br />
perciò Bayer CropScience, attraverso la rete dei saggi ad<br />
aver riunito, sotto il marchio di “Coltura & Cultura”, i massimi<br />
esperti sul fronte agroalimentare. Encomiabile l’impegno<br />
nell’organizzare un seminario rivolto al mondo distributivo<br />
e alla ristorazione. A Stresa, dove all’incontro di<br />
Bayer CropScience ho avuto modo di rappresentare il<br />
mondo dell’olio, chi scrive ha delineato lo scenario di riferimento<br />
e proposto alcune soluzioni concrete da cui partire<br />
per ridare valore all’olio extra vergine di oliva. Cosa<br />
può fare dunque la grande distribuzione organizzata a favore<br />
di tale alimento-condimento? Ecco alcuni punti da cui<br />
è bene partire per cercare una soluzione che possa dar<br />
luogo a una svolta:<br />
■ non limitarsi più alla pura vendita, ma pensare a forme<br />
alternative di promozione che non si fermino alla sola scontistica;<br />
■ distinguere gli oli extra vergini di oliva destinati al consumo<br />
di massa da quelli di alta gamma, espressione delle<br />
aziende agricole, attivando così due differenti forme di<br />
comunicazione;<br />
■ formare gli addetti agli acquisti attraverso incontri specifici,<br />
in modo da renderli in grado di valutare la bontà degli<br />
oli e fissare un prezzo di vendita adeguato;<br />
■ lavorare a un progetto comune che unisca i rappresentanti<br />
del mondo della produzione, aziende di marca e<br />
Gdo per fissare alcune regole-guida cui attenersi;<br />
■ attivare forme di comunicazione che coinvolgano il<br />
consumatore tra gli scaffali, coinvolgendo altri settori affini,<br />
come ad esempio l’ortofrutta, ambito in cui l’olio extra<br />
vergine di oliva è condimento d’elezione;<br />
■ vendere non solo un prodotto, ma anche un servizio.
GLI ASSAGGI<br />
Agricola I Poggetti<br />
“I Poggetti” da olive Frantoio (40%), Leccino (40), Pendolino (10),<br />
Maurino e altre.<br />
Nel bicchiere. È verde dai riflessi oro, limpido. Al naso ha profumi<br />
mediamente intensi, dalle connotazioni erbacee nette e dai richiami<br />
al carciofo. Al palato è sapido e armonico, con note amare e piccanti<br />
in ottimo equilibrio. Ha buona fluidità e gusto vegetale di carciofo<br />
e cardo, progressiva punta piccante in chiusura.<br />
L’abbinamento. Farinata di ceci, zuppa di fagioli, tagliata di manzo<br />
con salsa di capperi e acciughe.<br />
Agricola I Poggetti, loc. Ampio, 58043 Castiglione della Pescaia<br />
(Grosseto), tel. 0564.944113, info@ipoggetti.it, www.ipoggetti.it<br />
Oleificio Montenovo<br />
“Penelope” da olive Leccino, Frantoio, Raggia.<br />
Nel bicchiere. È giallo dorato dai riflessi verdi, limpido. Al naso ha<br />
profumi fruttati di media intensità, erbacei, con sentori di carciofo. Al<br />
palato ha buona fluidità e sensazione vellutata, gusto vegetale,<br />
amaro e piccante netti e armonici. In chiusura una punta piccante e<br />
sentori mandorlati.<br />
L’abbinamento. Minestra di cozze e verdure, insalate verdi e di mare,<br />
sella di coniglio ai porcini.<br />
Oleificio Montenovo, via San Pietro 11, 60010 Ostra Vetere (Ancona),<br />
tel. 071.964471, oliomontenovo@libero.it, www.oleificiomontenovo.it<br />
Agrestis<br />
“Agrestis- Bell’omio” da agricoltura biologica, da olive Tonda Iblea<br />
in purezza.<br />
Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdi, limpido. Al naso ha profumi<br />
fruttati di media intensità, erbacei, con sentori di pomodoro e di<br />
mela. Al palato è morbido e avvolgente, armonico nelle note amare<br />
e piccanti. Dal gusto vegetale, è sapido, in chiusura il ritorno del<br />
pomodoro e note di frutta bianca.<br />
L’abbinamento. Risotto di cardi e acciughe, insalata di arance, sella<br />
di coniglio in salsa mediterranea.<br />
Agrestis soc. coop. agricola, via Pappalardo 11, 96010 Buccheri<br />
(Siracusa), tel. 0931.873939, fax 0931.880256, info@agrestis.it,<br />
www.agrestis.it<br />
Azienda agricola olivicola Carlo Siffredi<br />
“Carlo Siffredi” Dop Riviera Ligure – Riviera dei Fiori, ottenuto da olive<br />
Taggiasca<br />
Nel bicchiere. È giallo dai riflessi verdi, limpido. Ha sentori di mandorla<br />
freschi e vegetali al naso, con percezione mediamente intensa delle<br />
note fruttate. Al palato è morbido e armonico, di buona fluidità, con<br />
gusto vegetale e sensazione dolce al primo impatto e una lieve ed<br />
elegante punta amara e piccante. In chiusura i richiami alle erbe di<br />
campo.<br />
L’abbinamento. Ravioli di tonno ai gianchetti, filetto di merluzzo al<br />
pomodoro e olive nere Taggiasca, frittelle di mele.<br />
Azienda agricola olivicola Carlo Siffredi, via Roma 1, 18027 Lucinasco<br />
(Imperia), tel. 0183.52662, carlo.siffredi@alice.it<br />
TOSCANA<br />
MARCHE<br />
SICILIA<br />
LIGURIA<br />
69
Birra di qualità<br />
Il Salento<br />
profuma di birra<br />
L’ESTREMO LEMBO DELLA PUGLIA È UNA TERRA DI RARA BELLEZZA,<br />
CONOSCIUTA ANCHE PER I VIGNETI E PER LA CUCINA. MA NON MANCANO<br />
NEPPURE DELLE OTTIME BIRRE ARTIGIANALI, NATE DALLA PASSIONE<br />
DI UN RAGAZZO CHE HA CREDUTO NEL SUO SOGNO<br />
Raffaele Longo è tanto affabile quanto determinato.<br />
I modi sono cortesi e parlare con lui, magari<br />
con una birra in mano, è facile. Tuttavia a<br />
ripercorrerne la storia, si capisce che è una di quelle<br />
persone che, se si mette in testa una cosa, non molla.<br />
È lui oggi l’alfiere della birra artigianale in terra salentina,<br />
quell’affascinante tacco d’Italia impreziosito ulteriormente<br />
da un mare che potrebbe competere con le<br />
Maldive.<br />
Ha iniziato in maniera strampalata, lavorando da stagionale<br />
in un locale che era un po’ di tutto: pizzeria,<br />
bar, tabaccheria… «A fine stagione mi accorsi che erano<br />
rimaste invendute alcune bottiglie di birra un po’ strane”»<br />
ricorda, «ed è così che ho cominciato una sorta di<br />
collezione. Quello è stato il mio primo vero incontro con<br />
la birra».<br />
Un incontro casuale, come casuale è<br />
anche quello di qualche anno dopo,<br />
quando in una libreria di Genova, Longo<br />
mette gli occhi su uno dei primi libri<br />
birrari di Michael Jackson tradotti in<br />
italiano e su un libricino su come fare<br />
la birra in casa scritto da Luigi Odello.<br />
«Era il 1994 e in quel momento mi è<br />
scattata una molla. Ci ho provato facendo<br />
le prime birre da estratto, ma intanto<br />
dovevo studiare (Economia bancaria)<br />
per cui la birra restava un po’ un hobby.<br />
Non conoscevo la comunità, già esistente,<br />
dei birrai casalinghi, attivi soprattutto<br />
al Nord. Ero insomma un po’ iso-<br />
lato dal resto del movimento artigianale<br />
che stava muovendo i primi passi<br />
ma, senza rendermene forse conto, ci<br />
70<br />
di Maurizio Maestrelli<br />
▲ Raffaele Longo, titolare<br />
del birrificio B94<br />
stavo entrando anch’io». Ed entrando a piedi pari,<br />
verrebbe da dire adesso. Perché, laurea in tasca, Raffaele<br />
Longo passa tre anni circa a Bologna ma poi rientra<br />
nella sua Lecce e si licenzia. «Cambio lavoro ma restando<br />
sempre in ambito commerciale mi butto a capofitto<br />
nella produzione casalinga. Passo all’all grain e faccio<br />
una cotta alla settimana e ho proseguito a questo ritmo<br />
fino al 2007, iniziando a partecipare anche a diversi<br />
concorsi per homebrewer». A quel punto il destino era<br />
tracciato, si trattava solo di capire come si sarebbe realizzato.<br />
La chiave di volta per Longo è un altro birraio<br />
pugliese, Donato Di Palma che alla fine del 2007 stava<br />
aprendo il suo impianto, Birranova (www.birranova.it),<br />
nel barese, a circa 130 chilometri da dove stava Longo.<br />
Tra i due nasce una collaborazione, nel senso che<br />
Raffaele inizia a produrre le sue birre,<br />
le sue ricette, in un impianto professionale.<br />
«Per me era la prima volta, il vero<br />
debutto. Il primo anno, il 2008, riuscii<br />
a produrre circa settanta ettolitri, l’anno<br />
scorso sono salito a centoquaranta<br />
e quest’anno conto di chiudere a duecento».<br />
Due anni di duro lavoro e di quotidiane<br />
trasferte nel birrificio amico non<br />
sono cose da niente ma Longo è determinato.<br />
«Carico i sacchi di malto la mattina<br />
o le bottiglie sul furgoncino e poi<br />
parto, qualche volta mi fermo a dormire<br />
lì ma, ho famiglia, e di norma preferisco<br />
rientrare a casa la sera». Giorno<br />
dopo giorno nascono così le birre che,<br />
adesso, costituiscono l’offerta del birrificio<br />
di Raffaele Longo, il B94. La prima,<br />
ma solo per minore gradazione alcoli-
ca, si chiama November Ray ed è una pale ale inglese<br />
da 4,7 % vol. di facile approccio e molto godibile.<br />
Note fruttate e di malto al naso, un finale gradevolmente<br />
luppolato ma senza esagerare. La Dellacava<br />
è invece la blanche della casa ottenuta impiegando<br />
anche una piccola percentuale di frumento locale e<br />
aromatizzata con buccia d’arancia amara, coriandolo<br />
e ginepro. Fresca e leggera, con i suoi 5 % vol. ha<br />
note speziate e fruttate e una bevibilità estrema.<br />
Stessa gradazione, ma profumo e gusto diversi, per<br />
la Terrarossa, una extra special bitter ambrata con<br />
profumi caldi di caramello, mou e malto equilibrati<br />
tuttavia dall’apporto agrumato del luppolo. Si sale<br />
in struttura quindi con la Porteresa, una porter da<br />
7% vol. Ovviamente scura come richiede la tipologia,<br />
la Porteresa offre un bel ventaglio di note tostate,<br />
che ricordano il caffè, la liquirizia e le carrube.<br />
Raffaele Longo ne sta studiando una versione dove<br />
le carrube appariranno anche tra gli ingredienti. Ma<br />
è la Malagrika la prima vera birra del territorio, come<br />
la definisce lo stesso birraio, perché di tratta di<br />
una personale interpretazione sullo stile “belgian<br />
fruit” impiegando, nella ricetta, confettura di mele<br />
cotogne coltivate nel territorio. La Malagrika è un po’<br />
il fiore all’occhiello del B94,<br />
in attesa che Longo realizzi<br />
una futura birra, adesso<br />
in fase di studio, con<br />
sciroppo al melograno e<br />
soprattutto segna l’apertura<br />
di questo giovane birraio<br />
alle collaborazioni con<br />
altri artigiani del gusto<br />
salentini. «Questa è l’avventura<br />
che mi affascina<br />
oltremodo» conferma lui,<br />
«perché mi piace l’idea di<br />
dare vita a tutta una serie<br />
di birre legate all’area geografica<br />
dove vivo e lavoro e<br />
possibilmente vorrei farlo<br />
sviluppando sinergie con<br />
altri artigiani come me».<br />
Ecco, nel caso di Raffaele<br />
Longo e del suo Birrificio<br />
B94 (www.birrificiob94.it)<br />
di Lecce, la parola “artigiano”,<br />
quanto mai abusata<br />
di questi tempi, è calzante. Raffaele Longo è al lavoro<br />
da solo, aiutato in parte dal fratello Fernando, ma<br />
è lui a progettare le birre, lui a produrle, lui a imbottigliarle<br />
(circa 16mila pezzi quest’anno tra 0,75 e 0,37<br />
cl). «So di avere una formazione commerciale» dice,<br />
«ma non riesco a fare a meno della parte produzione.<br />
Mi piace macinare il malto, adoro il profumo che<br />
si respira nel birrificio durante le cotte, non potrei<br />
rinunciarci».<br />
E non lo farà nemmeno nel prossimo futuro quando,<br />
a partire da gennaio 2011, il suo nuovo impianto<br />
sarà operativo, a Lecce, sulla via provinciale<br />
Lecce/Cavallino. Magari gli mancherà fare sempre<br />
su e giù da Bari, ma non gli mancheranno le buone<br />
idee che per ora sono cinque, ma in futuro chissà…<br />
E di buone idee ha oggi bisogno il mondo della birra<br />
artigianale italiana.<br />
DEGUSTAZIONE<br />
TRASHY BLONDE<br />
Produttore: Brewdog – Fraserburgh (Scozia)<br />
Distributore: Ales & Co. (www.alesandco.it)<br />
Da un birrificio indipendente scozzese nato<br />
appena nel 2007, “peschiamo” tre birre “normali”.<br />
Normali nei parametri di un birrificio che,<br />
da quando è nato, continua a<br />
crescere e a stupire con prodotti spesso<br />
estremi e quasi provocatori, per<br />
gradazioni alcoliche e per ingredienti.<br />
Tuttavia i due giovani titolari sanno<br />
anche fare splendide birre beverine<br />
ma non prive di carattere. La Trashy<br />
Blonde è una Golden ale da 4,1% vol.,<br />
caratterizzata negli aromi dal luppolo<br />
neozelandese (Motueka) e americano<br />
(Amarillo). Si presenta di colore dorato<br />
scarico nel bicchiere con intriganti<br />
profumi agrumati. Estremamente dissetante,<br />
è una soluzione ideale come aperitivo.<br />
PUNK IPA<br />
Produttore: Brewdog – Fraserburgh (Scozia)<br />
Distributore: Ales & Co. (www.alesandco.it)<br />
La Punk Ipa è sicuramente la birra bestseller di<br />
Brewdog, capace di ottenere un successo<br />
di vendita nel Regno Unito che<br />
ha pochi precedenti nella storia.<br />
Profumi fruttati e luppolati, anche qui<br />
un mix di varietà neozelandesi e americane,<br />
corpo deciso e finale secco e<br />
pulito. Ha 6% vol., ma è senza dubbio<br />
una birra difficile da dimenticare. Da<br />
provare in abbinamento a piatti leggeri,<br />
magari a base di carni bianche<br />
grigliate o a primi piatti di pasta con<br />
sughi di verdure. Bene pure con formaggi<br />
di breve o media stagionatura come<br />
certi Raschera o alcune Caciotte toscane.<br />
CHAOS THEORY<br />
Produttore: Brewdog – Fraserburgh (Scozia)<br />
Distributore: Ales & Co. (www.alesandco.it)<br />
Nome affascinante e facilmente comprensibile<br />
per una birra che si annuncia un po’ più<br />
alcolica delle precedenti: 7,1% vol.<br />
Come le altre due sue sorelle, anche<br />
questa è reperibile in Italia in bottiglia<br />
da 0,33. La Chaos Theory ha un gusto<br />
decisamente più maltato e dolce, sorretto<br />
dalla alcolicità, ma dopo il primo<br />
sorso si avverte con sicurezza anche il<br />
profilo aromatico dettato dal luppolo<br />
che rimane a lungo nel palato. Da<br />
provare con carni rosse arrosto, di<br />
manzo e di maiale ma anche con<br />
faraona e anatra, primi piatti con sughi<br />
di carne e formaggi stagionati, fino al<br />
Parmigiano Reggiano.<br />
71
Distillati<br />
Le superbe grappe<br />
“made” in Trentino<br />
LE DISTILLERIE TRENTINE SONO NELLA MAGGIOR PARTE ARTIGIANALI<br />
E PRODUCONO POCHE DECINE DI MIGLIAIA DI BOTTIGLIE.<br />
INSOMMA LA QUALITÀ VINCE RISPETTO ALLA QUANTITÀ<br />
Il Trentino è senza dubbio la regione di primissimo<br />
piano per quanto riguarda l’attenzione, la ricerca e<br />
il rispetto della tradizione. Le grappe trentine sono<br />
apprezzate dai consumatori per la loro indiscutibile<br />
qualità, grazie all’ottimo lavoro e ai controlli particolari<br />
effettuati sia sul territorio sia sul prodotto. Non a<br />
caso nacque qui, per volere dei produttori, nel 1960<br />
l’Istituto di tutela della grappa del Trentino con la firma<br />
di un protocollo o codice di autodisciplina firmato con<br />
le autorità regionali. Oggi fanno parte di questo ente<br />
ventuno soci distillatori. Ciò obbliga gli operatori a utilizzare<br />
esclusivamente vinaccia da uve prodotte in<br />
Trentino e di sottoporre i propri distillati ai controlli e<br />
alle analisi da parte dell’Istituto agrario di San Michele<br />
all’Adige. Solo dopo aver superato i vari esami le bottiglie<br />
possono fregiarsi del bollino di garanzia con il<br />
famoso tridente.<br />
Il Trentino, che vanta circa trenta distillerie attive sulle<br />
centotrenta nazionali, di fatto produce meno di un decimo<br />
della produzione totale di grappa. Ne consegue che<br />
le distillerie in questione, a parte un paio di media grandezza,<br />
sono nella maggior parte artigianali, spesso familiari,<br />
e producono poche decine di migliaia di bottiglie.<br />
Qui la qualità vince rispetto alla quantità, le piccole<br />
distillerie operano generalmente con alambicchi a vapore<br />
metodo Tulio Zadra, il grande ramiere che, nella<br />
seconda metà del secolo scorso, con una serie di modifiche<br />
agli alambicchi tradizionali, aggiungendo oblò,<br />
manometri e bacinelle di raccolta della testa e della<br />
coda, rese i suoi alambicchi più tecnici con un sensibile<br />
miglioramento della qualità.<br />
A Santa Massenza, una frazione nel comune di Vezzano,<br />
verso la metà dell’800 all’interno del Palazzo vescovile<br />
si registrò una prima distilleria utilizzata dai contadini<br />
del luogo che portavano le vinacce per ottenere il<br />
72<br />
di Angelo Matteucci<br />
proprio fabbisogno di grappa ed eventualmente per<br />
essere utilizzata come merce di scambio. Dall’inizio del<br />
’900 praticamente ogni famiglia acquistò un alambicco<br />
fino ad avere ben tredici distillerie operanti in un<br />
paese di soli cento abitanti. Oggi ne troviamo cinque<br />
che portano il nome Poli e operano in armonia ma separatamente.<br />
La distilleria Francesco Poli, lavorando secondo la strategia<br />
trentina di smaltire nel più breve tempo possibile<br />
le vinacce, ha acquisito nel 1996 due alambicchi a<br />
bagnomaria in sostituzione del vecchio apparecchio<br />
distillatore. Particolare importante è il fatto che il vapore<br />
viene iniettato in intercapedine ed è quindi separato<br />
dalla vasca che contiene le vinacce. Questo metodo<br />
permette di ottenere grappe eleganti, morbide con una<br />
particolare pulizia gustativa. L’attenzione alla freschezza<br />
delle vinacce è per nostra fortuna oggi divenuto<br />
un’esigenza di tutti i distillatori che vogliono ottenere<br />
un risultato finale di pregio, atto a essere apprezzato<br />
dall’esperto consumatore.<br />
La gamma di Francesco Poli comprende le grappe monovitigno<br />
di Cabernet, Moscato, Nosiola, Traminer,<br />
Marzemino, Muller e Schiava oltre alla Riserva invecchiata<br />
24 mesi e a una speciale grappa di Vin Santo<br />
trentino derivante dall’uva Nosiola con vendemmia tardiva.<br />
Giovanni Poli nella propria distilleria si affida, a<br />
buona ragione, al suo naso e alle proprie mani di esperto<br />
distillatore trentino per produrre le sue grappe monovitigno<br />
di sette qualità, utilizzando vinacce fresche dalle<br />
tradizionali uve trentine. Offre alla propria clientela la<br />
sua grappa bianca Santa Massenza e la Vecchia Riserva<br />
oltre alla Grappa Amara e Grappa Asperula con infuso<br />
di erbe.<br />
Giulio e il figlio Mauro Poli conducono la distilleria omonima<br />
e producono anch’essi le grappe monovitigno da
▲ Gli alambicchi della distilleria di Francesco Poli ▲ Gli interni della distilleria Pilzer<br />
uve trentine con alcune grappe aromatizzate definite<br />
Amara, Asperula e Liquirizia. Inoltre offrono ai propri<br />
clienti la grappa di Saros, il nome della propria vigna<br />
coltivata a Sauvignon Bianco.<br />
A Faver, in val di Cembria, troviamo la famiglia Pilzer.<br />
La distilleria fu fondata da Vincenzo nel 1957 ed è ora<br />
guidata dai figli Ivano e Bruno. Ancora una volta si<br />
riscontra la volontà di produrre una grappa artigianale<br />
rivolta ai più sofisticati consumatori. Le qualità ricavate<br />
dalle vinacce trentine ci sono praticamente tutte,<br />
dal Moscato giallo al Müller Thurgau e Chardonnay, dal<br />
Traminer alla Nosiola, dal Cabernet al<br />
Pinot Nero, Schiava e Teroldego. I Pilzer<br />
comunque acquisiscono anche vinacce<br />
fuori dal territorio (Toscana, Puglia,<br />
Campania) arricchendo così la loro<br />
gamma.<br />
Sempre in Val di Cembria a Segonzano<br />
accanto alle piramidi naturali vi è la<br />
distilleria Giacomozzi Renzo, fondata<br />
nel 1866. Qui si produce grappa<br />
secondo il metodo a vapore diretto<br />
(senza intercapedine) per conto proprio, con la grappa<br />
invecchiata e grappa Müller, e anche e per conto terzi.<br />
Nel 1949 a Brancolino di Nogaredo in Vallegarina alle<br />
porte di Rovereto Attilio e la sorella Sabina Marzadro<br />
aprirono i battenti della loro distilleria, che è oggi una<br />
delle più importanti del Trentino con una vasta gamma<br />
e una produzione di circa un milione di bottiglie, prevalentemente<br />
legate al territorio. Oggi operano i nipoti<br />
di Attilio a ritmo sostenuto, lavorando per cento giorni<br />
ininterrotti, 24 ore su 24, da settembre a dicembre.<br />
Questo permette di ricevere in varie fasi le vinacce<br />
fresche e di provvedere alla immediata lavorazione e<br />
distillazione in alambicchi discontinui a vapore. La<br />
gamma ha nella qualità “18 lune” il suo punto di forza.<br />
È composta da vinacce a bacca rossa (70%) e bacca<br />
bianca e la grappa è sapientemente invecchiata in<br />
piccoli barili di diverse tipologie di legno pregiato per<br />
almeno diciotto mesi. L’azienda, pur producendo alcune<br />
grappe monovitigno, non dimentica la tradizione<br />
delle grappe bianche e affinate, offrendo alla clientela<br />
anche grappe riserva e stravecchie.<br />
La più antica distilleria trentina si trova a Mezzocorona,<br />
nella Piana Rotaliana, dove nel 1870 Edoardo Bertagnolli<br />
e la moglie Giulia de Kreutzenberg crearono quella che<br />
oggi è conosciuta come la premiata distilleria G.<br />
Bertagnolli, fornitori ufficiali della Casa imperiale asburgica<br />
dal 1886. Fu soprattutto la signora Giulia che<br />
dette impulso all’impresa che porta tuttora il suo nome.<br />
Oggi condotta ancora da una signora, Livia Bertagnolli<br />
e dal cugino Beppe, è stata la prima distilleria ad avere<br />
la produzione a larga scala con alambicchi tradizionali<br />
discontinui a bagnomaria (del sopranominato Tullio<br />
Zadra) con sistemi completamente<br />
automatici. Operano con sei alambicchi<br />
di rame della capacità di circa 1.500<br />
chili.<br />
La distilleria Segnana di Trento, di proprietà<br />
della famiglia Lunelli, produttrice<br />
del Ferrari, uno dei vanti dell’enologia<br />
italiana, acquistò nel 1982 la<br />
distilleria, fondata da Paolo Segnana<br />
nel 1860, quando con il proprio alambicco<br />
montato su un carro girava le<br />
campagne per distillare le vinacce “entro 24 ore dalla<br />
pressatura” come richiedeva la legge austroungarica,<br />
legge molto restrittiva ma che indicava già allora la<br />
necessità di distillare vinacce fresche per ottenere la<br />
migliore grappa morbida senza gravi difetti (muffa e<br />
altro). La scelta dei Lunelli, che già conferivano alla<br />
distilleria le loro vinacce, è stata una logica conseguenza<br />
che ha portato a una ristrutturazione su ampia scala.<br />
È importante sottolineare che la distillazione avviene<br />
rigorosamente in alambicchi discontinui a bagnomaria<br />
con accorgimenti e brevetti speciali atti a produrre<br />
grappe di qualità. Nulla è lasciato al caso come, ad<br />
esempio, la riduzione di grado prima dell’imbottigliamento<br />
con acqua sorgiva. Le bottiglie si presentano con<br />
un packaging particolarmente attraente. La gamma<br />
spazia con nomi classici come le monovitigno delle varie<br />
uve “trentine” e altri come le grappe Gentine. Estrema,<br />
Solera di Solera, Solera Selezione, Sherry Cask,<br />
Cinquanta (dal grado alcolico) e Segnana Anniversario<br />
150°, che ricorre quest’anno, indicano la lunga e straordinaria<br />
storia delle grappe trentine.<br />
73
Liquoristica<br />
Liquori<br />
che profumano<br />
di erbe antiche<br />
LA PRODUZIONE<br />
LIQUORISTICA<br />
PIEMONTESE HA UNA<br />
STORIA CENTENARIA.<br />
OGGI ALCUNE AZIENDE A<br />
CONDUZIONE FAMILIARE<br />
RINNOVANO LA<br />
TRADIZIONE CON<br />
PRODOTTI UNICI NEL<br />
LORO GENERE<br />
74<br />
di Fulvio Piccinino<br />
Il Piemonte gode di una grandissima fama per i suoi vini e può vantare<br />
un riconosciuto prestigio dato da una ristretta cerchia qualificata<br />
di produttori di grappa, come diretta conseguenza della sua vocazione<br />
primaria. Ma pochi sanno che, grazie alla sua posizione strategica a<br />
ridosso delle Alpi, ha anche una grossa tradizione nella produzione di<br />
amari e liquori monoerbe.<br />
Questo sapere è in mano a un gruppo di artigiani che tramandano con<br />
amore e passione la conoscenza centenaria della farmacopea casalinga<br />
medioevale, presente dalle Alpi agli Appennini, rispettando le regole rigide<br />
dell’infusione a freddo, unita al rifiuto totale per l’utilizzo di aromi di<br />
sintesi.<br />
La produzione liquoristica ha una storia centenaria certificata. Le prime<br />
notizie risalgono ai primi del 1300, quando Arnaldo da Villanova detto il<br />
Catalano, un alchimista famoso dell’epoca, mise a punto un elisir in grado<br />
di curare papa Bonifacio VII, colpito da una colica renale. Questa notizia<br />
fece molto scalpore e diede risalto ai nuovi rimedi che facevano la comparsa,<br />
per la prima volta, nel mondo medioevale.<br />
Dobbiamo però arrivare al 1737, quando il padre putativo e nume tutelare<br />
di tutti i liquoristi, il frate certosino Jérôme Maubec mise a punto,<br />
dopo decenni di prove, una formula donatagli dal Maresciallo d’Estress,<br />
denominata Elisir di lunga vita, creando di fatto la Chartreuse Vert, un’infusione<br />
di oltre centotrenta erbe a 55 gradi alcolici, summa di tutto il sapere<br />
erboristico dell’epoca.<br />
Il monastero della Grande Chartreuse, situato a pochi chilometri da<br />
Grenoble, nei pressi di Voiron , dove si trova l’attuale liquorificio dei frati<br />
certosini, fu certamente il fulcro di tutta l’attività liquoristica-farmaceutica<br />
del Medioevo ed è stato dal suo opificio che il sapere sull’infusione ha
▲ Tini in acciaio per le infusioni ▲ Lo studio di Teodoro Negro<br />
▲ Il monastero della Grande<br />
Chartreuse vicino a Grenoble,<br />
centro dell'attività liquoristicofarmaceutica<br />
del Medioevo<br />
attraversato le Alpi, per arrivare fino a noi, grazie all’opera divulgativa dei<br />
confratelli.<br />
Come allora, anche i moderni adepti dell’arte liquoristica si trovano sulle<br />
pendici delle Alpi, con le uniche eccezioni del Laboratorio Origine a Cengio,<br />
sul confine fra Liguria e Piemonte, in Valle Bormida e dell’Opificio, lungo<br />
il corso di questo fiume.<br />
Il Laboratorio Origine è una realtà di recente formazione, ma la sua storia<br />
affonda le radici a fine Ottocento, quando i bisnonni degli attuali proprietari,<br />
Alessandro Pancini e Luca Graffo, avevano una trattoria, dove<br />
si era soliti chiudere il pasto con i liquorini preparati dall’oste.<br />
Con la creazione dell’azienda i due giovani hanno deciso di proseguire l’attività<br />
di famiglia legata alla produzione di liquori, che grazie al passaparola<br />
aveva guadagnato clienti ed estimatori nella zona.<br />
Tutti i prodotti appartengono alla tradizione locale e vedono un eccezionale<br />
Nocino, prodotto tipico dell’Appennino, dall’evocativo e inquietante<br />
nome Uomo Nero, di infantile memoria: un infuso di malli di noce, cui viene<br />
aggiunto dell’assenzio, per un finale gradevolmente amaro. Non da meno<br />
è un liquore al caffè, di italica tradizione, realizzato con la collaborazione<br />
di una torrefazione locale.<br />
Altri liquori monoerbe interessanti sono a base di semi di finocchio, di fiori<br />
di camomilla, fino ai classici digestivi con liquirizia e menta e a un innovativo<br />
liquore al ginepro, di fatto un gin italiano, prodotto secondo la scuola<br />
olandese, leggermente dolcificato.<br />
Risalendo idealmente il magnifico corso del fiume Negro, circondati da<br />
incontaminati boschi, ripide colline e falesie sabbiose che creano panorami<br />
mozzafiato, incontriamo a Cessole, in provincia di Asti, l’Antico Opificio<br />
Negro, fondato da Teodoro Negro. Nato settimino, come tutti i prematuri,<br />
secondo la tradizione contadina, era dotato di poteri soprannaturali:<br />
la rabdomanzia, che gli fece scoprire decine di pozzi d’acqua e l’empatia<br />
unita a un’innata passione per le erbe, che gli fruttò la fama di guaritore.<br />
A un certo punto aveva quasi una media di trenta appuntamenti al<br />
giorno, con persone ammalate che venivano curate con tisane preparate<br />
da lui stesso.<br />
Dimostrando lungimiranza e talento, Teodoro frequentò per un certo periodo<br />
un monastero dei Frati Scolopi, per apprendere l’arte dell’infusione e<br />
al suo ritorno mise a punto un amaro con trentasette erbe che curavano<br />
75
Liquoristica<br />
▲ Il Liquorificio Bernard ▲ L'esterno dell'erboristeria Artemy<br />
▲ La Spiritosa:<br />
Genepy, Ramasin, Serpol<br />
▲ Anche i mirtilli diventano<br />
protagonisti nei liquori<br />
76<br />
le patologie più frequenti.<br />
Il suo amaro ebbe un immediato successo e fu battezzato dai suoi clienti<br />
"Toccasana", per le sue qualità molteplici che andavano dalla cattiva<br />
digestione, al mal di testa a cui si aggiungevano doti calmanti ed antipiretiche.<br />
L’attuale proprietario è Valter Porro, figlio della commessa dell’erboristeria<br />
che per mezzo secolo ha affiancato Teodoro Negro ed è lui che tramanda<br />
la ricetta originale, per la produzione del liquore che conta moltissimi<br />
affezionati sul territorio del Basso Piemonte.<br />
La gamma si è ampliata recentemente con la Riserva del Fondatore, un<br />
infuso di erbe invecchiato tre anni, il cui passaggio in legno conferisce<br />
profumi eleganti e sorprendenti per la tipologia amaro, più simili a un vino<br />
passito, mentre in bocca lascia una deliziosa e ben calibrata persistenza<br />
amarognola.<br />
Completano la gamma i classici liquori monoerbe tipici come la genziana,<br />
mentre spicca per originalità un liquore al basilico Dop di Andora, dalle<br />
spiccate note balsamiche mediterranee che risulta essere un ottimo digestivo.<br />
Spostiamoci sulle Alpi, in piena Occitania e arriviamo a Vinadio, dominata<br />
dallo splendido forte savoiardo, voluto da Carlo Alberto, dove ha sede<br />
l’Artemy, il cui laboratorio nasce negli anni Settanta, ma le cui ricette<br />
risalgono al bisnonno, erborista e farmacista che possedeva un negozio<br />
di coloniali, uno “spesiari”, vicino alle famose terme.<br />
La ricetta più famosa è l’Artemy, un amaro che dà anche il nome all’azienda,<br />
un’infusione di dodici erbe fra cui spicca l’Artemisia Mutellina, nata<br />
per le difficoltà digestive, e sempre a scopo curativo calmante l’Iva Alpina,<br />
ottenuta con Camomilla di montagna e erba Peverina, il cui termine dialettale<br />
indica l’Achillea e l’antica abitudine di scambiarla con il prezioso<br />
pepe.<br />
La gamma si completa con il Chais, nome dialettale del patuà occitano<br />
per indicare il ginepro che in quest’area cresce rigoglioso e profumato, per<br />
donare al prodotto il tipico profumo balsamico pungente e il Carvidor, prodotto<br />
di scuola tedesca fatto con il Carum Carvi al secolo il Cumino.<br />
Chiudono i classici Genepy e Genzianella, dalla forte e tipica chiusura<br />
amara, in linea con la tradizione di queste montagne.<br />
Sempre in piena zona occitana, regione da sempre a stretto contatto con<br />
la cultura francese, incontriamo la più recente realtà produttiva. In questo<br />
caso qui non ci sono storie antiche da narrare, ma la semplice passione<br />
unita a un pizzico di follia, per entrare in un mercato che si dice<br />
saturo e in fase calante.<br />
A Montegrosso Grana si incontra La Spiritosa di Dania Dutto, dimostrazione<br />
di come entusiasmo e idee innovative possano far bruciare le<br />
tappe e cancellare le valenze storiche tipiche di questo settore.<br />
La titolare gestisce un’azienda famigliare di vivaistica, ha un passato come<br />
navigatrice professionista di rally e al contempo coltiva una passione innata<br />
per la preparazione di liquorini artigianali che regala agli amici.
▲ Con il basilico Dop di Andora si prepara un originale<br />
liquore<br />
▲ Il ginepro conferisce al liquore<br />
un tipico profumo balsamico<br />
pungente<br />
▲ Il Genepy, ingrediente per uno<br />
dei più classici dei liquori<br />
▲ Dalla genziana si ottiene uno dei<br />
liquori monoerbe<br />
▲ Dal tanaceto si ottiene un liquore antico, tipico della<br />
farmacopea casalinga e medioevale<br />
L’apprezzamento per i suoi liquori spinge Didi (nome con cui è conosciuta<br />
fra gli amici) nel 1999 ad aprire un piccolo laboratorio per la produzione<br />
di liquori e per far ciò si affida a uno dei migliori professionisti del<br />
settore, l’enologo Cordero, mentre lo sviluppo delle originali etichette è<br />
affidato al pittore cuneese Berlia, che per lei realizza una serie di dipinti<br />
con bambole stilizzate.<br />
I prodotti sono invece improntati a una proposta classica di erbe tipiche<br />
di queste montagne, come il Genepy, il Timo Serpillo e il Tanaceto, meglio<br />
conosciuto come Arquebuse , liquore antico, tipico della farmacopea casalinga<br />
e medioevale, depositario di una storia affascinante che suscita ricordi<br />
e profumi familiari.<br />
Il Tanaceto è un’erba il cui nome deriva dal latino medioevale Tanazia,<br />
che a sua volta trae origine dal greco Athanasia, immortale, perché si credeva,<br />
che il prodotto della sua infusione potesse donare la vita eterna.<br />
Il nome attuale Arquebuse invece si deve ai francesi, i quali solevano curare<br />
con l’infuso, i feriti da pallettoni di archibugio. Infatti pare che il prodotto<br />
avesse doti cicatrizzanti importanti, unite a una gradazione alcolica<br />
corroborante in grado di dare sollievo al ferito.<br />
Tornando alla gamma della Spiritosa sono proposti nei liquori di frutta il<br />
proseguimento dei classica con mirtillo e prugna, vere specialità di queste<br />
montagne, preparati con infusioni delicate e rispettose dei profumi.<br />
Risalendo verso Nord a Pomaretto, in Val Germanasca, ha sede il liquorificio<br />
Bernard, fondato nel 1902, dall’omonima famiglia, in un’area a prevalenza<br />
di Valdesi, da sempre detentori del sapere dell’infusione e della<br />
distillazione.<br />
Il liquorificio inizialmente si focalizza sulla produzione di bevande gassate<br />
che ancora oggi sono rappresentate dall’ottima gassosa, per poi convertirsi<br />
alla produzione di amari e monoerbe con l’acquisizione della ditta<br />
Coucord, produttrice del dimenticato Amaro Cozio.<br />
L’amaro, leggermente addolcito rispetto ai canoni precedenti che vedevano<br />
prodotti secchi e poco gradevoli, viene proposto con il nome di<br />
Barathier, in onore di un generale francese di stanza in quel tempo in<br />
zona, mentre la proposta di monoerbe viene ampliata con il classico Genepy,<br />
Timo Serpillo e Genzianella.<br />
Il primo monoerbe vede anche una declinazione di eccellenza, la versione<br />
bianca, dove il Genepy non viene posto in infusione ma viene lasciato<br />
in ceste sollevate per un anno all’interno di una vasca, in modo che<br />
l’aromatizzazione dell’alcol avvenga lentamente e solo tramite i vapori che<br />
condensandosi ricadono.<br />
Altra chicca eccezionale è l’Apricot Brandy, ottenuto dalla lenta infusione<br />
di noccioli di albicocche biologiche coltivate nella pianura adiacente.<br />
Il prodotto, privo di aromi di sintesi, ha un’aromaticità leggera rispetto<br />
ai prodotti industriali comunemente proposti, ma in bocca ha un’eleganza<br />
superiore che sfuma in una persistenza suadente che lo fanno compagno<br />
ideale del fine pasto.<br />
77
Vino e mito<br />
78<br />
La carica rituale<br />
e simbolica<br />
del vino<br />
PER GLI ANTICHI GRECI<br />
BERE IL VINO<br />
AVEVA UN SENSO<br />
COLLETTIVO<br />
E DI COMUNICAZIONE<br />
CON IL MONDO DIVINO<br />
MA OCCORREVA<br />
NON ECCEDERE<br />
di Maddalena Giuffrida<br />
Bevanda d’elezione nei simposi, dono degli dei, spartiacque tra civiltà<br />
e barbarie: intorno al vino gli antichi Greci hanno sviluppato<br />
una mitologia difficilmente comparabile con le altre civiltà mediterranee<br />
dell’antichità.<br />
Anche se ormai oggi la consumazione del vino e del cibo sono fortemente<br />
secolarizzate e hanno irrimediabilmente perduto la sacralità del rito, la<br />
civiltà greca, e più in generale il mondo antico, rappresentano un territorio<br />
privilegiato per recuperare e ricostruire le radici sacrali, i modelli<br />
culturali che governano ancora le nostre abitudini alimentari.<br />
È analisi dei miti, dei riti e dei simboli di quel mondo sono al centro dell’interesse<br />
di Paolo Scarpi, docente rispettivamente di Storia delle Religioni<br />
e di Cultura e simbologia dei cibi a Padova e che alla mitologia e cultura<br />
enoica nella civiltà greca ha dedicato numerosi articoli, saggi, seminari e<br />
conferenze.<br />
Su questo ricco percorso intellettuale si inserisce il progetto Homo Edens,<br />
un’associazione internazionale fondata nel 1987 da Scarpi, insieme a<br />
Oddone Longo, attuale presidente dell’Accademia galileiana di Padova, e<br />
ad alcuni amici universitari, che, attraverso colloqui internazionali e pubblicazioni,<br />
si prefigge l’obiettivo di esplorare i regimi, i miti e le pratiche<br />
dell’alimentazione nella civiltà mediterranea come chiave preziosa per<br />
recuperare il sistema di valori che caratterizzano ancora oggi il rapporto<br />
cibo e società.<br />
In questa prospettiva la vite e il vino, insieme ai cereali e all’ulivo, giocarono<br />
per i Greci un ruolo fondamentale nella configurazione di un siste-
⊳ Ulisse porge una coppa di vino a Polifemo<br />
nel mosaico di Villa del Casale a Piazza Armerina (EN)<br />
▲ Simonide di Ceo<br />
▲ La scena di un simposio su un cratere<br />
attico a figure rosso del V sec. a.C.<br />
ma mitico-rituale che identificava con la civiltà il loro regime e confinava<br />
invece gli altri popoli nello spazio della brutalità e bestialità.<br />
Professor Scarpi, gli antichi Greci si consideravano uomini perché<br />
bevevano vino e mangiavano pane, doni divini rispettivamente di<br />
Dioniso e Demetra. In che misura il mito ha contribuito nell’immaginario<br />
dei Greci a fondare la loro superiore identità culturale rispetto<br />
agli altri popoli?<br />
«Il mito è uno strumento di comunicazione e ha un ruolo importante nel<br />
fondare modelli e forme di pensiero che hanno senso solo se condivisi. Il<br />
mito greco, come i racconti mitici di altre popolazioni, condiviso dunque<br />
dai Greci stessi che ne erano stati creatori, serviva a fondare la realtà, cioè<br />
il presente in cui essi vivevano. Nel mito riposavano le categorie interpretative<br />
del mondo, del rapporto tra gli uomini e gli dei, ma anche delle<br />
relazioni tra gli uomini. Se i Greci avevano chiamato se stessi uomini, perché<br />
avevano imparato a controllare gli effetti del vino, gli altri diventavano<br />
a loro volta barbari, selvaggi, cannibali, perché bevevano il vino puro<br />
ubriacandosi».<br />
Un poeta greco, Simonide di Ceo, affermava che nulla doveva essere<br />
rifiutato dei doni di Dioniso, nemmeno un chicco d'uva. Bere vino,<br />
insomma, era in qualche modo una scelta obbligata, che non poteva<br />
essere rifiutata.<br />
«Non era una scelta forzata. Bere il vino aveva un senso collettivo e di<br />
comunicazione con il mondo divino, ma bisognava saperlo bere. Dioniso,<br />
il dio sotto la cui tutela stavano la viticultura, la vinificazione e il consumo<br />
del vino, aveva addirittura insegnato a mitigare la forza del vino, mescolandolo<br />
con l’acqua.<br />
79
Vino e mito<br />
▲ Un ritratto di Omero. Il poeta<br />
greco nell'Iliade elogia le virtù<br />
del vino<br />
▲ Una statua di Dioniso del II secolo<br />
esposta al Museo del Louvre<br />
Dioniso, (in greco: Διόνυσος o<br />
anche Διώνυσος) è identificato a<br />
Roma con Bacco, con il Fufluns<br />
venerato dagli Etruschi, e la divinità<br />
italica Liber Pater.<br />
In senso più generale, Dioniso rappresentava<br />
quell'energia naturale<br />
che, per effetto del calore e dell'umidità,<br />
portava i frutti delle piante<br />
alla piena maturità.<br />
80<br />
Il vino, tuttavia, essendo un dono divino, anzi il vino era lo stesso Dioniso,<br />
non poteva né doveva essere sprecato».<br />
Vino come dono divino, eppure mai i Greci hanno parlato di viti sacre<br />
o di luoghi sacri legati al vino.<br />
«In effetti è così. Solo nel caso della vite o vitigno (difficile a dirsi) da cui<br />
si ricavava il più antico dei vini greci, già noto all’autore dell’Iliade, che ne<br />
elogia le virtù nel canto XI e cioè il vino di Pramno, si incontra presso gli<br />
autori antichi l’epiteto “sacra”. Era una vite coltivata nell’isola Icaria, oggi<br />
Nicaria, nell’Egeo orientale, che veniva così chiamata davanti agli stranieri,<br />
mentre gli abitanti del luogo, non a caso aveva nome Oinoe (dal greco<br />
oinos=vino), la designavano semplicemente come “dionisia” e cioè di Dioniso».<br />
Da dove ha origine la forte carica rituale e simbolica che ha accompagnato<br />
il vino lungo tutta la storia dell’Occidente e che ancora<br />
oggi perdura?<br />
«A questo è difficile rispondere. Di certo l’espansione della viticoltura e della<br />
vinificazione è da porre in relazione con l’espansione di quelle popolazioni<br />
che abitavano la regione transcaucasica, conosciute come indo-europee.<br />
A parte ciò possiamo solo supporre che il potere inebriante della bevanda<br />
fermentata avesse determinato un atteggiamento di reverenza e di sospetto<br />
nei confronti di questo succo, che bevuto in eccesso possedeva letteralmente<br />
gli individui, facendoli uscire di senno, non diversamente dal consumo<br />
di droghe. Per il resto non sappiamo quali siano state le tappe e i<br />
meccanismi che hanno condotto le popolazioni del Mediterraneo – il vino<br />
è essenzialmente un prodotto delle popolazioni mediterranee – a caricarlo<br />
di valori simbolici. Certo è che senza quei valori simbolici, il vino anche<br />
oggi rischia di chiudere la sua storia. Ed è una storia fortemente carica di<br />
simboli, il vino è Dioniso, così come per i cristiani è il sangue di Cristo».<br />
Se il vino rappresentava da una parte una linea di confine tra essere<br />
uomini e non esserlo, dall’altra portava con sé una forte ambiguità<br />
dovuta agli effetti negativi del bere smodato. Quanto era lecito berne<br />
per evitare di sconfinare nel “non umano”?<br />
«Il vino era stato il dono migliore che gli dei avessero fatto agli uomini<br />
per liberarli dai loro affanni. Nondimeno, bisognava berlo con misura e,<br />
come ho accennato, il vino andava mescolato con l’acqua. Nell’Odissea<br />
Ulisse sconfigge il ciclope con il vino di Ismaro, che era talmente potente<br />
da richiedere di essere mescolato con venti misure d’acqua. Il rapporto<br />
normale invece sembra fosse di 2:3, cioè due parti di vino e tre di acqua.<br />
Di fatto l’acqua, diluendo il vino, permette al bevitore di percepire e controllare<br />
meglio gli effetti dell’alcol. Gli antichi poeti suggerivano di non<br />
berne più di due coppe, anche nei simposi, che erano, per così dire, dei<br />
momenti conviviali, separati dal banchetto vero e proprio. In queste occasioni,<br />
mentre si beveva si dialogava, si ascoltava la musica, si recitavano<br />
poesie e si cantava. Al cosiddetto simposiarca spettava il compito di determinare<br />
la misura di acqua e vino. La prima bevuta doveva essere in onore<br />
delle Cariti, delle Ore e di Dioniso; la seconda in onore di Afrodite e<br />
ancora di Dioniso, ma non ci si doveva avventurare a scolare la terza coppa,<br />
perché il brindisi sarebbe stato in onore di Hybris, la dismisura, e di Ate,<br />
l’accecamento della mente».<br />
Pare che Alessandro Magno fosse un gran bevitore di vino e dedito<br />
agli eccessi. Nonostante tutto c’era quindi anche chi lo beveva così<br />
com’era.<br />
«Indubbiamente accadeva anche questo. I Greci definivano questo costume<br />
o, se preferiamo, questo modo di bere il vino “alla scitica”, perché gli<br />
Sciti lo bevevano puro. Il re spartano Cleomene, che aveva imitato proprio<br />
gli Sciti nel bere il vino, perse la ragione, tanto che la frase bere il vino<br />
“alla moda scita” era un’espressione convenzionale per indicare che si<br />
voleva bere il vino puro».
▲ Coppa a figure rosse, pittore di<br />
Epèleios, raffigurante un<br />
personaggio imberbe che si<br />
accosta ad un vaso per mischiare<br />
il vino con l'acqua recando in<br />
mano uno skyphos (una coppa),<br />
e con la mano sinistra protesa<br />
verso la bevanda. (Ca. 510 a.C.)<br />
▲ La kylix, una coppa da vino in<br />
ceramica, il cui uso è attestato a<br />
partire dal VI secolo<br />
⊳ Alessandro Magno in una scultura di Lisippo conservata al Museo del<br />
Louvre. Il re di Macedonia era un gran bevitore<br />
ALESSANDRO MAGNO (greco: Μέγας Ἀλέξανδρος, Mégas Aléxandros)<br />
Ufficialmente Alessandro III (Pella, 356 a.C. – Babilonia, 323 a.C.) fu re di<br />
Macedonia a partire dal 336 a.C., succedendo al padre Filippo II.<br />
È conosciuto anche come Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore<br />
o Alessandro il Macedone. Il termine "magno" deriva dal latino magnus che<br />
significa per l'appunto "grande", che in<br />
greco antico è mégas. È considerato<br />
uno dei più celebri conquistatori e<br />
strateghi della storia.<br />
In soli dodici anni conquistò l'intero<br />
Impero Persiano, dall'Asia Minore<br />
all'Egitto fino agli attuali Pakistan,<br />
Afghanistan e India settentrionale.<br />
Le sue vittorie sul campo di battaglia,<br />
accompagnate da una diffusione<br />
universale della cultura greca e dalla<br />
sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero<br />
l'avvio al periodo ellenistico della storia greca.<br />
Morì a Babilonia il 30 del mese di daisios (targelione) del 323 a.C., forse<br />
avvelenato, oppure per una recidiva della malaria che aveva contratto in<br />
precedenza o, secondo congetture più recenti, per una cirrosi epatica<br />
provocata dall'abuso di vino.<br />
Il vino buono da bere e da pensare aveva un ruolo fondamentale anche<br />
nell’ambito delle feste?<br />
«Direi che lo spazio festivo è il luogo deputato al consumo del vino. Lo<br />
vediamo ancor oggi quando nelle occasioni più importanti non consumiamo<br />
vino comune o da tavola. Il vino entra in gioco fortemente nelle celebrazioni<br />
religiose e così pure era indispensabile nelle cerimonie sacrificali<br />
antiche. Anzi, come si può leggere nelle Baccanti di Euripide, il vino<br />
è lo stesso dio Dioniso che viene offerto come sacrificio agli dei. E la Grecia<br />
conosceva un grande numero di feste in cui il vino era, per così dire, il<br />
prodotto attorno al quale ruotava l’intera cerimonia. In queste occasioni<br />
il carattere eccezionale del vino sfociava nel prodigio, come nel caso di<br />
quello prodotto dalle viti effimere del Parnaso, in Eubea, che al mattino<br />
del giorno della festa mettevano le foglie, a mezzogiorno davano il grappolo<br />
e a sera il vino o come a Teo, dove il vino sgorgava spontaneamente<br />
dalle fonti, in alcuni giorni dell’anno fissati ritualmente».<br />
Si dice che il vino greco fosse il migliore al mondo tanto che gli scrittori<br />
antichi davano ricette per fare vino greco. Qual era la peculiarità<br />
di questi vini e quali erano i più ricercati?<br />
«Probabilmente le cose non stavano realmente in questi termini, se i Greci<br />
lo dovevano addirittura truccare, mescolandolo con ingredienti vari per<br />
addolcirlo, compresa l’acqua di mare. In realtà ogni vino aveva caratteristiche<br />
diverse, come possiamo desumere dalla “carta dei vini” di Ateneo<br />
di Naucrati, un autore oscuro, che ci ha lasciato un’opera di grandi dimensioni<br />
e fonte di ricche in formazioni, I filosofi a banchetto.<br />
Da Ateneo, ma non solo, sappiamo che in Grecia il vino ha ricevuto ben<br />
presto delle classificazioni e dei nomi, tali da circoscriverlo e riconoscerlo,<br />
nomi che coincidevano quasi sempre con il luogo fisico di produzione.<br />
Il buon Ateneo ci fornisce una prima classificazione per età e colore, distinguendo<br />
genericamente il vino nuovo, preferito dagli uomini, dal vino vecchio,<br />
gradito alle cortigiane.<br />
Per quanto riguarda il colore, venivano suddivisi in rossi e bianchi. Un po'<br />
oscura, nel testo di Ateneo, una terza classificazione cromatica che riguar-<br />
81
Vino e mito<br />
▲ Il Partenone sull'Acropoli di Atene<br />
▲ Una giara dell'VIII secolo a.C.<br />
82<br />
da il vino bianco e che oggi potremmo, forse, rendere con il termine paglierino.<br />
Infine vi erano le maggiori differenze determinate dai luoghi di produzione.<br />
Così tra i vini di Fenicia, si segnalava il Biblo, così denominato dalla<br />
città di Biblo, definito naturalmente dolce, dunque privo di aggiunte dolcificanti.<br />
Uno dei migliori vini greci era considerato il rosso di Chio, l’isola<br />
dove, secondo la tradizione mitica, per la prima volta gli uomini appresero<br />
l’arte di piantare e coltivare le vigne e dove, in seguito, la viticultura<br />
fu fatta conoscere agli altri uomini. Il vino di Taso, isola situata nell’Egeo<br />
settentrionale, era capace di rinvigorire un uomo; il vino di Erea, in Arcadia,<br />
a sua volta aveva il potere di eccitare gli uomini e di rendere feconde le<br />
donne. Al contrario, un vigneto dell’Acaia produceva un vino che faceva<br />
abortire le donne gravide, mentre quello di Trezene rendeva addirittura<br />
sterili. Sempre a Taso si producevano due vini dagli effetti collaterali contrastanti:<br />
uno induceva il sonno e l’altro teneva svegli.<br />
Addirittura “pipì degli dei” era ritenuto il vino di Mende, città situata sulla<br />
lingua occidentale della penisola Calcidica, e nettare era definito quello di<br />
Lesbo da Archestrato di Gela. C’era da credergli, essendo Archestrato l’autore<br />
della prima Gastronomia. Vini per tutti i gusti e situazioni, insomma.<br />
E l’elenco potrebbe continuare a lungo».<br />
Professor Scarpi, grazie al suo ruolo di insegnante ha giornalmente<br />
modo di interagire con i giovani. A che punto sono, secondo lei, le<br />
istituzioni scolastiche e accademiche nel veicolare questo binomio<br />
vino-cultura di cui il mondo greco e antico era convinto sostenitore?<br />
«Credo che si stia facendo ancora poco. Non si coglie bene, da parte delle<br />
istituzioni, l’importanza culturale, proprio perché carica di valori simbolici,<br />
di questo prodotto di cui l’Italia può andare fiera. Nello stesso tempo,<br />
da parte di chi lo produce, si fa ancora fatica a cogliere che il destino del<br />
vino con i suoi mille nomi, come l’antico Dioniso, il dio dai molti nomi, è<br />
legato al sottilissimo filo del suo valore simbolico, cioè al valore del bagaglio<br />
culturale che esso porta con sé. Se infatti viene svuotato dei codici<br />
simbolici, il vino rischia di subire la sorte toccata al tabacco».
Viticoltura<br />
Tra canti e preghiere<br />
nasce il vino<br />
dell’abbazia<br />
ESPERIENZA<br />
PLURISECOLARE E<br />
TECNOLOGIE MODERNE<br />
FANNO DI NOVACELLA IL<br />
CENTRO DI ALCUNI TRA I<br />
MIGLIORI VINI EUROPEI.<br />
NUMERI E<br />
ORGANIZZAZIONE SONO<br />
QUELLI DI UNA GRANDE<br />
AZIENDA, CON 650MILA<br />
BOTTIGLIE PRODOTTE<br />
OGNI ANNO<br />
▲ La cantina<br />
84<br />
di Fabio Brioschi<br />
dei Canonici Agostiniani di Novacella, nelle immediate<br />
vicinanze di Bressanone, in provincia di Bolzano, è una delle più<br />
L’abbazia<br />
prestigiose abbazie del Nord Italia e uno di quei luoghi che trasudano<br />
storia da ogni angolo. Una visita affrettata a questo luogo di pace e<br />
di cultura non è consigliata. Chi viene a Novacella deve prendersi il tempo<br />
per immergersi fra queste mura secolari e condividere con esse la pace e<br />
la profondità di spirito delle innumerevoli generazioni di religiosi che l’hanno<br />
animata nel corso dei secoli.<br />
A Novacella si producono alcuni fra i migliori vini italiani ed europei e non<br />
è certo dall’altro ieri che questa grande fondazione religiosa si è guadagnata<br />
la meritata fama enologica. Meglio però andare per gradi, perché<br />
la Storia con la “s” maiuscola non ha mai avuto fretta.<br />
Se al principio di tutto si può inserire la figura di sant’Agostino di Ippona,<br />
considerato il fondatore dell’ordine canonicale cui appartiene Novacella<br />
e autore nel 397 d.C. di una regola di vita per i religiosi della sua comunità<br />
monastica, la vicenda vera e propria di Novacella iniziò nell’anno 1142.<br />
La peculiarità di questa fondazione religiosa è che i suoi ventisei canonici<br />
ancora oggi fanno vita comune, dividendo la mensa ed esercitando la<br />
cura delle anime, ossia facendo i parroci in ben venti parrocchie della<br />
zona. Il modello di vita comune di questa particolare congregazione di religiosi,<br />
che sono preti e non monaci, affonda le sue radici in pieno Medioevo.<br />
Inizialmente la vita comune dei sacerdoti era presente soprattutto presso<br />
le cattedrali, nelle quali viveva un numero elevato di religiosi, che<br />
avevano funzione di supporto all’attività del vescovo. A questa comunità<br />
dunque, già da tempi molto antichi si chiese di vivere in comune, dividendo<br />
la mensa e il dormitorio. Il nome “canonici” derivò loro dal fatto che i<br />
nomi erano inscritti nella lista (canone) dei coadiutori del vescovo. Con il<br />
passare del tempo il modello canonicale, quasi in antagonismo con quello<br />
monastico vero e proprio, cominciò a diffondersi anche ad abbazie indipendenti<br />
dalle cattedrali e assunse due forme principali: i canonici regolari<br />
che seguivano la regola di sant’Agostino (in cui si esercitava la vita<br />
comunitaria e si praticava la povertà personale) e i canonici secolari (che<br />
vivevano in abitazioni separate e ammettevano la proprietà privata).<br />
Novacella venne fondata dal vescovo di Bressanone Hartmann e già una<br />
quarantina di anni più tardi raggiunse sotto la guida dell’abate Konrad<br />
II di Rodank una prima fioritura culturale. Il momento di massimo splendore<br />
fu tra il XV e il XVI secolo, periodo al quale risalgono i sontuosi arazzi<br />
e l’imponente coro tardo-gotico della chiesa abbaziale. Novacella divenne<br />
in breve un luogo deputato alla trasmissione delle opere letterarie, con<br />
uno scriptorium fra i più affermati della Cristianità e una scuola di canto<br />
molto invidiata.
I vini dell'Abbazia di Novacella �<br />
Sant'Agostino di Ippona,<br />
fondatore dell’ordine canonicale<br />
a cui appartiene Novacella<br />
▼<br />
Con il secolo XVI iniziò per l’abbazia un periodo di grave crisi, legato alle<br />
profonde trasformazioni sociali ed economiche. Nel 1525, durante la rivolta<br />
dei contadini tirolesi, l’abbazia venne depredata in modo brutale e progressivamente<br />
il numero dei religiosi residenti scese fino a toccare, nel<br />
1560, la soglia minima di sei unità. Fu solo grazie all’abate Jakob<br />
Fischer e al suo successore Markus Hauser che, a partire dalla fine<br />
del secolo, le cose cominciarono a volgere per il meglio. La fondazione<br />
di un istituto accademico portò nuova linfa alla vita della<br />
comunità agostiniana, che cominciò nuovamente a crescere<br />
di numero, parallelamente all’arrivo di sempre più numerosi<br />
studenti.<br />
Il peggio, però, doveva ancora venire. Nel 1805 la contea<br />
del Tirolo passò alla Baviera e nel 1807 il governo<br />
bavarese decretò la soppressione di tutte le abbazie<br />
tirolesi. Fu solo con la riannessione del Tirolo<br />
all’Austria nel 1816 che Novacella e le altre abbazie<br />
vennero ripristinate. La situazione era molto<br />
pesante, gran parte dei beni immobili era perduta<br />
e il complesso abbaziale era in condizioni precarie.<br />
La chiesa e il convento erano quasi privi<br />
di mobilio e il personale molto scarso.<br />
L’accademia che nel corso dei secoli aveva prodotto<br />
numerose leve di studenti era a terra. I canonici<br />
vennero obbligati a insegnare nell’Imperial<br />
regio collegio di Bressanone.<br />
Fu solo nel 1844 che il collegio di Bressanone<br />
venne assegnato interamente ai canonici di<br />
Novacella. Il Collegio agostiniano cominciò, allora,<br />
a guadagnarsi una nuova e meritata fama e<br />
fu attivo sino al 1926, quando venne chiuso dalle<br />
autorità fasciste perché scuola tedesca. La sua<br />
storia proseguì come scuola privata fino alla fine<br />
degli anni Sessanta, insieme alla scuola per giovani<br />
cantori, un istituto in cui i fanciulli ricevevano<br />
oltre a una buona formazione generale,<br />
anche l’insegnamento del canto e della musica<br />
strumentale.<br />
Nel corso della Prima Guerra Mondiale l’abbazia<br />
venne ripetutamente occupata dai soldati e tutte<br />
le campane dovettero essere cedute, con l’eccezione<br />
della campana da morto e di quella per<br />
85
Viticoltura<br />
▲ L'Abbazia con i suoi vigneti<br />
gli incendi. Peggio ancora successe durante la Seconda<br />
Guerra Mondiale, quando Novacella fu bersagliata da<br />
un bombardamento alleato, che mirava a colpire i<br />
magazzini e la tipografia della Wehrmacht, installati<br />
negli edifici dell’abbazia. Vennero danneggiati soprattutto<br />
il lato nord della chiesa abbaziale, la sagrestia, il<br />
campanile e la cappella della Pietà.<br />
Oggi, a oltre 850 anni dalla sua fondazione, la comunità<br />
dei canonici è chiamata a un gran numero di compiti,<br />
che riguardano la cura pastorale nel senso più<br />
ampio del termine. Ancora oggi sono affidate ai canonici<br />
più di venti parrocchie. All’inizio degli anni Settanta<br />
il convitto di Novacella aprì i battenti a quasi cento bambini<br />
e allo stesso tempo con la fondazione del centro<br />
turistico vennero poste le basi per la fondazione dell’attuale<br />
centro convegni. Ogni anno, infatti, sono circa<br />
60mila le persone che fanno visita a Novacella e che<br />
usufruiscono del tour guidato. Approssimativamente<br />
altre 40 mila persone visitano il complesso in piena<br />
libertà. Ancora oggi l’abbazia si sostiene economicamente<br />
con la coltivazione e la vendita di prodotti agricoli,<br />
come erbe aromatiche e frutta ma è soprattutto la<br />
cantina con i suoi rinomati vini che l’ha riportata negli<br />
ultimi anni alla ribalta internazionale. Qui si apre<br />
sostanzialmente un altro capitolo della storia di<br />
Novacella.<br />
Le attuali attività del monastero sono varie e ben diversificate,<br />
segno di un’attenzione alle proprie potenzialità<br />
economiche degna di una grande impresa internazionale:<br />
settecento ettari di boschi, quattrocento di malghe,<br />
due riserve di caccia, due aziende agricole (Marklhof<br />
nei pressi di Appiano, con venti ettari di vitigno e tredici<br />
di alberi da frutto e Novacella con cinque ettari di<br />
vitigno e tredici di alberi da frutto), la cantina dell’abbazia,<br />
il negozio dell’abbazia, la mescita (centosessan-<br />
86<br />
ta posti a sedere), una rete di distribuzione diretta in<br />
tutta Italia, le visite guidate; il collegio (novanta studenti<br />
che vivono in convento), il centro convegni (cinquanta<br />
posti letto), la cucina (serve il convento, il collegio,<br />
i collaboratori, per un totale di centotrenta pasti<br />
più, eventualmente, gli ospiti del centro convegni), una<br />
centrale elettrica in Val di Sacleres.<br />
A capo di tutto l’abate Georg Franz Untergassmair, che<br />
è il legale rappresentante dell’azienda, al cui fianco<br />
opera l’amministratore delegato Urban Von Klebelsberg,<br />
agronomo laureato in Scienze agrarie a Firenze.<br />
«Ogni attività del monastero» dichiara Von Klebelsberg,<br />
«ha il compito di creare prodotti-offerte con un ottimo<br />
rapporto qualità-prezzo, così che il nome della casa<br />
possa essere e rimanere garanzia di qualità e serietà.<br />
Ulteriore compito di ciascun ambito è di essere economicamente<br />
indipendente: la cantina, così come la mescita<br />
e il negozio devono realizzare regolari profitti, che<br />
vengono utilizzati soprattutto per la copertura delle<br />
spese di restauro e di risanamento del complesso monasteriale<br />
e per il mantenimento della comunità dei canonici<br />
stessi».<br />
Numeri e organizzazione sono quelli di una grande azienda.<br />
«Sono 650mila le bottiglie che produciamo ogni<br />
anno» aggiunge Von Klebelsberg. «Tre quarti sono bianchi<br />
e un quarto rossi. Le uve per i bianchi provengono<br />
dalla conca di Bressanone, mentre le uve rosse provengono<br />
da altri poderi: il Lagrein proviene dal podere bolzanino<br />
di Mariaheim, mentre il Lago di Caldaro, il Pinot<br />
Nero e il Moscato rosa vengono dal podere Marklhof<br />
di Appiano, dove abbiamo anche la cantina dedicata.<br />
Dopo la prima fase di produzione, il vino rosso viene<br />
portato qui a Novacella, dove viene imbottigliato e dove<br />
si esegue l’affinamento».<br />
Questa zona è la regione vitivinicola più settentriona-
▲ La Cantina Abbazia<br />
le d’Italia e su questi pendii posti fra i 600 e i 900<br />
metri si trovano i terreni ricchi di minerali ideali<br />
per produrre i bianchi dall’aromaticità e dalla sapidità<br />
tipiche. «Con la linea Praepositus» prosegue<br />
il direttore, «abbiamo raggiunto i risultati più<br />
importanti: non solo con il Kerner, che è uno dei<br />
nostri prodotti più famosi, ma anche con il<br />
Sylvaner e con il Riesling».<br />
La linea dei vini bianchi classici conta otto etichette,<br />
mentre sei ne ha la linea dei rossi, ma è<br />
soprattutto con la linea Praepositus che a Novacella<br />
cercano di stupire i palati di tutta Europa. Fra<br />
questi, sette bianchi e due rossi, è probabilmente<br />
il Kerner a essere il prodotto di punta dell’azienda:<br />
un vitigno autoctono coltivato esclusivamente<br />
nel territorio dei comuni di Bressanone e di<br />
Varna, su terreni che si trovano a circa 700 metri<br />
d’altitudine. La vinificazione viene effettuata in<br />
acciaio inox e dopo l’imbottigliamento viene affinato<br />
per ulteriori tre mesi.<br />
Risultati così importanti e numeri così alti sono<br />
davvero notevoli in una zona come questa, segno<br />
di un’imprenditorialità che non parla solo di attaccamento<br />
alla propria storia, ma che guarda alle<br />
tecnologie più innovative e moderne. «L’azienda<br />
conta oggi sessanta dipendenti fissi e una quarantina<br />
di stagionali» conclude Von Klebelsberg con il<br />
sorriso sulle labbra, «e quasi il 15 per cento delle<br />
nostre bottiglie (100mila circa) sono vendute direttamente<br />
al piccolo dettaglio dalla nostra enoteca,<br />
che si trova qui all’abbazia. I nostri canonici non<br />
si occupano della vigna e della cantina, perché il<br />
loro compito è quello della cura pastorale delle parrocchie<br />
loro affidate, ma il legame con l’azienda<br />
vitivinicola è saldo, non solo perché secolare».
Curiosità<br />
Vino e volo,<br />
due passioni<br />
in perfetta simbiosi<br />
IL VINO È DA SEMPRE<br />
PRESENTE NEL MONDO<br />
DELL’AVIAZIONE<br />
ITALIANA, I CIRCOLI<br />
UFFICIALI O<br />
SOTTUFFICIALI<br />
ORGANIZZANO INCONTRI<br />
PER INSEGNARE LA<br />
CULTURA DELLA<br />
DEGUSTAZIONE<br />
88<br />
di Gianluigi Zanovello<br />
Diciotto miglia nautiche corrispondono a trentatré chilometri. Una<br />
distanza che l’Aermacchi 339A, il velivolo delle Frecce Tricolori,<br />
percorre in tre minuti scarsi.<br />
È questo il tratto che separa il Collio, nell’estremo lembo orientale del<br />
Friuli Venezia Giulia, a ridosso del confine con la Slovenia e zona di produzione<br />
di vini pregiati, dall’aeroporto militare di Rivolto, sede della Pattuglia<br />
Acrobatica Nazionale (PAN).<br />
Una vicinanza simbolica che unisce la PAN e gli uomini che vestono la<br />
divisa azzurra con l’universo intenso e invitante di Bacco. Si tratta di un<br />
legame antico e genuino, costruito nel corso degli anni attraverso la condivisione<br />
di momenti festosi e di altri meno gioiosi, mantenutosi grazie<br />
alle qualità e all’autenticità degli uomini e delle donne che ne fanno parte.<br />
Il vino è sempre stato presente nel mondo aviatorio italiano.<br />
In aeronautica militare non esistono circoli ufficiali o sottufficiali che non<br />
organizzino incontri per insegnare la cultura del “saper degustare”.<br />
È un rapporto per certi versi bizzarro e complicato di entità che spesso<br />
si attraggono in perfetta simbiosi, ma che alle volte, forzatamente, si devono<br />
respingere.<br />
Sembra quasi il destino dei poli di uno stesso magnete, che pur risiedendo<br />
sul medesimo elemento, a seconda di come si dispongono<br />
nello spazio si allontanano oppure si uniscono in maniera perfetta.<br />
Amore per il volo e passione per il vino sono emozioni mai simultanee,<br />
ma senz’altro complementari, che si rincorrono gioiosamente<br />
con lo stesso obiettivo: assaporare appieno il gusto e il<br />
piacere della vita.<br />
In questo senso, piloti e sommelier sono senz’altro fratelli e vicini<br />
di casa. D’altra parte, essendo la base delle Frecce Tricolori<br />
in Friuli, una terra che a buona ragione fa della qualità dei propri<br />
vini un vanto, non poteva essere diversamente.<br />
Ingredienti base che sintetizzano il lavoro, la riuscita e il successo<br />
delle Frecce Tricolori sono l’operosità, il dinamismo, l’allegria,<br />
l’estro, la precisione e… un po’ di fortuna. E questi sono anche gli elementi<br />
che caratterizzano il prodotto vinicolo italiano e che lo hanno reso così<br />
ricercato e conosciuto nel mondo.<br />
Gli aviatori delle Frecce se ne accorsero nel 1986, quando la PAN varcò<br />
per la prima volta l’Atlantico per giungere nel territorio nordamericano.<br />
Alla fine dei due mesi e mezzo di manifestazioni aeree, venne organizza-
▲ I sommelier in servizio per l'evento<br />
GIANLUIGI ZANOVELLO<br />
ta una splendida cena, presso la Famee Furlane di Toronto, fondata nel<br />
1932 da un gruppo di friulani allo scopo di creare e promuovere i legami<br />
di amicizia, di fratellanza, di comprensione reciproca e di assistenza tra<br />
la gente che proveniva da quella regione. Fu un successo strepitoso. Non<br />
poteva che essere così, con il supporto fondamentale di due amici storici<br />
delle Frecce: Aldo Morassutti, proprietario del ristorante Da Toni a<br />
Gradiscutta di Varmo e Piero Pittaro, proprietario dei Vigneti Pittaro, di<br />
fronte all’aeroporto di Rivolto. Un’atmosfera magica, con oltre mille ospiti<br />
e vivande e pietanze straordinarie.<br />
Si conversò sui successi e sull’accoglienza che la PAN aveva ricevuto, ma<br />
anche sull’Italia, sugli italiani, sulle difficoltà dei primi emigrati in Nord<br />
America. Si parlò di come erano riusciti a costruire una credibilità e un’onorabilità<br />
umana e professionale. E si riconobbe che se tutto questo era stato<br />
possibile, era anche per il lavoro di molti operatori che dall’Italia riuscivano<br />
a esportare prodotti di grande qualità, diversi e migliori degli altri.<br />
Prodotti unici e inconfondibili. Proprio come il vino italiano. Proprio come<br />
le Frecce Tricolori. Quando, a fine serata, solo pochi rimasero spuntò a<br />
sorpresa, quasi fosse un regalo, una piccola bottiglia di vero Picolit. In<br />
quel momento, tutto d’un tratto, la magia parve ricominciare.<br />
Gianluigi Zanovello ha fatto<br />
parte delle Frecce Tricolori dal<br />
1983 al 1987 e dal 1990 al 1994,<br />
ricoprendo varie posizioni all’interno<br />
della formazione, tra cui<br />
quella di leader in volo e di<br />
comandante di gruppo. Duca<br />
dei vini friulani e sommelier dal<br />
1991, è stato nominato sommelier<br />
ad honorem nel 1994. Dal<br />
2000 è comandante nella compagnia<br />
Air Dolomiti e vive a<br />
Verona con sua moglie Claudia.<br />
89
Pillole<br />
90<br />
Abissi, il vino cullato<br />
dalle onde del mare<br />
Dopo oltre tredici mesi di riposo sul fondale di<br />
Cala degli Inglesi, nella riserva marina di Portofino,<br />
da settanta metri di profondità sono riemerse le<br />
tredici casse di Abissi, il primo spumante metodo<br />
Champenoise made in Liguria. Incontriamo Piero<br />
Lugano nella sua cantina di Chiavari, accompagnati<br />
da Alex Molinari, presidente dell’Ais Liguria e<br />
Marco Quaini, enologo e relatore dell’Ais, per<br />
assaggiare in anteprima lo spumante Abissi 2008.<br />
L’idea di produrre uno spumante in Liguria ha<br />
incuriosito molti e, visti i risultati ottenuti, non si<br />
comprende perché i produttori liguri ci si dedichino<br />
così poco. «Le ragioni sono diverse» spiega<br />
Molinari, «il nostro territorio è caratterizzato, per lo<br />
più, da aziende molto piccole con produzioni limitate,<br />
manca lo spazio e forse siamo ancora un<br />
po’ tradizionalisti». In effetti è stata la mancanza<br />
di un luogo adatto dove fare maturare il vino a<br />
spingere Lugano a immergere le sue bottiglie sottacqua<br />
ma anche la voglia di sperimentare, di<br />
tentare qualcosa di nuovo. «Ho pensato che l’assenza<br />
di ossigeno avrebbe garantito una minore<br />
ossidazione, poi la penombra e una temperatura<br />
costante di quindici gradi avrebbero fatto il<br />
resto». Decisamente interessante è l’utilizzo di un<br />
vitigno autoctono, poco conosciuto fuori dalla<br />
Liguria, come la Bianchetta genovese. «Credo<br />
molto in questo vitigno e mi sta dando ottimi risultati.<br />
Oggi ho più richiesta di Bianchetta che di<br />
Vermentino, anche se in Liguria quest’ultimo è<br />
sempre stato il vino più venduto» puntualizza<br />
Molinari. La Bianchetta non è un vitigno<br />
facile da coltivare, cresce bene in terreni<br />
magri e asciutti, ha la sua forza nella<br />
dimensione ridotta dei suoi acini, dove<br />
la buccia prevale sulla polpa, regalando<br />
un mosto di grande qualità. Marco<br />
Quaini condivide le scelte del produttore<br />
chiavarese e aggiunge: «Tra i vitigni<br />
della zona è il più indicato, quello<br />
con le potenzialità maggiori, perché<br />
patisce meno in fase di maturazione<br />
ed è più resistente alle muffe».<br />
Spesso messo in ombra dal più<br />
famoso Vermentino, la Bianchetta<br />
potrebbe avere una sorte diversa<br />
dopo il successo mediatico del vino<br />
degli Abissi. Seimilacinquecento bottiglie<br />
andate letteralmente a ruba,<br />
visto che a luglio mentre effettuava<br />
un’operazione di recupero e controllo<br />
Lugano si accorse che ne erano<br />
scomparse trenta. Come nella miglio-<br />
re tradizione marinaresca, c’è sempre un tesoro in<br />
fondo al mare da rubare. Fonte d’ispirazione per<br />
tanti poeti, navigatori e adesso anche viticoltori, il<br />
mare è senza dubbio un elemento imprescindibile<br />
per questo vino: la sua sapidità e la sua maturazione<br />
sono infatti il frutto del lavorio lento e prezioso<br />
del vento e delle onde. Meno romantico e più<br />
pratico, Molinari coglie gli aspetti positivi del lavoro<br />
di Lugano che considera «un’occasione straordinaria<br />
per fare conoscere i vini liguri, un’operazione<br />
di marketing di successo che dimostra la<br />
vitalità e il fermento che c’è nella nostra regione».<br />
L’entusiasmo dei media ha stimolato un mercato<br />
assopito e in crisi che risvegliandosi ha decretato il<br />
suo interesse per le bollicine degli Abissi, comprando<br />
a scatola chiusa l’intera produzione. Se<br />
non fosse che Lugano è un viticoltore stimato<br />
e di grande esperienza, si potrebbe pensare<br />
che più del vino sia piaciuta l’idea di mettere<br />
il vino sottoacqua. Lugano non nasconde di<br />
temere qualche critica ma è anche certo<br />
della qualità del suo spumante. «Sono convinto<br />
che la sapidità e la mineralità del<br />
nostro terroir sarà riconoscibile nel bicchiere,<br />
ci credo talmente tanto che non ho<br />
aggiunto zuccheri». Uno spumante nature,<br />
dosage zéro, impegnativo, non per<br />
tutti i palati. Marco Quaini trova nel vino<br />
le caratteristiche di chi lo ha prodotto:<br />
schietto, sincero, non vuole piacere a<br />
tutti i costi, va compreso con attenzione<br />
come tutte le cose di valore.<br />
D’altronde non potrebbe che essere<br />
così. Con una produzione annua di seimilacinquecento<br />
bottiglie non si può<br />
certo rincorrere la quantità. Puntare<br />
sulla qualità sembra essere l’unica strada<br />
da percorrere.<br />
(L.S)
LA DEGUSTAZIONE<br />
Alex Molinari, presidente dell’Ais Liguria<br />
Abissi 2008, Spumante Metodo Classico, senza aggiunta di zuccheri o di solforosa. Sboccato da Piero<br />
Lugano a la volée. Campione in prova. Non in vendita.<br />
All’aspetto visivo il vino si presenta di colore giallo paglierino con tonalità vivace, il fine pérlage, numeroso<br />
e di notevole persistenza, colpisce subito favorevolmente. Al naso, come primo impatto, evidenzia note<br />
fruttate di agrumi, che lasciano poi spazio a un leggero e gradevole sentore di mandorla. In seconda<br />
battuta veniamo catturati da una sensazione di mineralità vagamente salmastra e da note riconducibili<br />
alle erbe aromatiche. In bocca il vino regala una sensazione<br />
di palato perfettamente asciutto, secco e<br />
tagliente. La chiara impronta sapida e la buona freschezza<br />
rendono l’Abissi decisamente invitante alla<br />
beva. Una persistenza di tutto rispetto richiama il<br />
gusto acre dell’ardesia e il salmastro della Liguria. Un<br />
blanc des blancs piacevole e di grande fascino.<br />
Marco Quaini, enologo<br />
Abissi 2008 Spumante Metodo Classico – Dosage Zéro<br />
Sboccatura sperimentale eseguita a metà settembre<br />
da Piero Lugano nelle Cantine Bisson. In vendita da<br />
dicembre 2010. Giallo paglierino con tonalità lievemente<br />
scariche, ha un colore luminoso e un pérlage<br />
vivace e persistente che ricorda i migliori<br />
Champagne della Côte des Blancs. Dal punto di<br />
vista olfattivo, dopo un’iniziale chiusura dovuta a ▲ Alex Molinari, Piero Lugano e Marco Quaini<br />
una lieve riduzione, si manifesta la personalità di<br />
questo spumante, che si esprime con delle note che ricordano erbe aromatiche unite a sensazioni lievemente<br />
muschiate. Nella sincerità e nella purezza dei suoi profumi si riconosce il vitigno, la Bianchetta genovese.<br />
In bocca percepiamo un vino autentico e immediato che si contraddistingue per le sue gradevoli<br />
durezze. Sensazioni di freschezza e sapidità evidenziano una personalità decisa e intraprendente in termini<br />
di longevità. La sua struttura e la sua persistenza gusto-olfattiva fanno presagire un miglioramento dopo<br />
un affinamento in bottiglia. La totale assenza di zuccheri aggiunti, lo rende un prodotto unico, non per<br />
tutti, che va compreso, non un vino di tendenza, ma di territorio, di mare, degli abissi.<br />
PIERO LUGANO: L’UOMO DEGLI ABISSI<br />
Ci pensava da dieci anni e alla fine l’ha fatto: 6500 bottiglie in<br />
fondo al mare in attesa della presa di spuma. L’idea di affinare<br />
il vino sottoacqua è di Piero Lugano, viticoltore e patron<br />
delle cantine Bisson o come si definisce lui «contadino appassionato<br />
di vino, storia e mare». Fondata nel 1978, con i suoi<br />
attuali dieci ettari di terreno vitato, l’azienda rappresenta la<br />
realtà agricola più estesa della provincia di Genova. I vigneti si<br />
trovano fra il Golfo del Tigullio e le Cinque Terre. La produzione<br />
annua si aggira intorno alle centomila bottiglie, di cui la metà<br />
vengono assorbite dal mercato locale, mentre le restanti sono<br />
distribuite equamente tra l’Italia e l’estero. Lugano ama sperimentare<br />
e oltre ai vitigni tipici del territorio (Bianchetta,<br />
Vermentino, Dolcetto e Barbera) da qualche anno ha impiantato<br />
Pigato e Granaccia che vinifica in purezza. Unico produttore<br />
a Levante a cimentarsi con i due vitigni ponentini, si dice<br />
molto soddisfatto dei risultati ottenuti soprattutto dalla<br />
Granaccia. La Bianchetta genovese rimane il vitigno più<br />
importante e rappresentativo per l’azienda, su cui puntare<br />
anche in futuro, soprattutto visti i risultati ottenuti dalla prima<br />
annata dello spumante Abissi. Ma le sorprese non sono ancora<br />
finite. Lugano ha già in mente il prossimo obiettivo: riportare<br />
la viticultura sul monte di Portofino. Le idee sono chiare e la<br />
macchina è già in moto. Dopo lo spumante degli Abissi aspettiamoci<br />
il Vermentino dal Paradiso!<br />
91
Pillole<br />
92<br />
Un italiano<br />
promosso Oltralpe<br />
Secondo Jean-Luc Toula-Breysse esperto di cultura<br />
ed enogastronomia di «Le Monde», il noto<br />
quotidiano francese, considerato tra i più prestigiosi<br />
del mondo, è Davide Oltolini, critico<br />
enogastronomico pavese, il “maestro”<br />
italiano della difficile, quanto<br />
affascinante arte della degustazione.<br />
Il mensile «Ulysse» (Courrier<br />
International), rivista di cultura e turismo<br />
del gruppo «Le Monde» presente<br />
in tutte le edicole d’Oltralpe (ma<br />
distribuita anche in molti Paesi del<br />
mondo, fra i quali Canada,<br />
Lussemburgo, Portogallo e Belgio),<br />
ha parlato delle particolari competenze del critico<br />
enogastronomico italiano per quanto<br />
riguarda le tecniche<br />
di analisi sensoriale<br />
di formaggi,<br />
salumi, cioccolato,<br />
gelati e acque<br />
(oltre che di vini e<br />
di distillati), nonché<br />
nella valutazione<br />
di prepara-<br />
8<br />
la france vue par...<br />
Davide Oltolini<br />
Davide Oltolini est<br />
journaliste, critique<br />
gastronomique en Italie.<br />
Il a été nommé<br />
ambassadeur des fromages<br />
français pour une<br />
campagne de promotion.<br />
Enfant de Lombardie, Davide<br />
Oltolini est né et habite<br />
à Pavie, ville non loin de Milan<br />
connue dans les livres<br />
d’histoire pour sa bataille en<br />
1525, là-même où fut fait<br />
prisonnier François Ier .Journaliste<br />
à Capital (édition italienne),<br />
au magazine La Cu-<br />
cina del Corriere della Sera<br />
et au guide transalpin Gambero<br />
rosso, Davide apprécie<br />
“même si c’est banal, le raffinement<br />
du goût français”.<br />
Ce critique gastronomique,<br />
expert en analyse sensorielle,<br />
se souvient de ses premiers<br />
délices gourmands enfant<br />
“des fruits du verger et des<br />
légumes du potager, de la<br />
charcuterie en particulier le<br />
saucissonVarzi, une spécialitédelarégiondePavie,des<br />
petits plats de ma grandmère<br />
Maria. Mon père Luigi<br />
m’a appris à apprécier un<br />
morceaudepainfraisavec<br />
un peu d’huile d’olive. Encore<br />
aujourd’hui, quand ma<br />
mère Piera cuisine un minestrone<br />
(soupe de légumes<br />
avec du riz), un risotto à la<br />
milanaise avec des champignons<br />
ou fait ses fantastiques<br />
gâteaux, je retrouve le goût<br />
de l’enfance.”<br />
Mais ce spécialiste insiste sur<br />
le fait qu’il n’y a pas que le<br />
goût pour apprécier un produit.<br />
“Il faut prendre en<br />
compte la forme, la couleur,<br />
observées dès le premier regard,<br />
les sensations tactiles<br />
dans la bouche, bref faire<br />
jouer tous les sens.” Avant de<br />
déguster un vin, un spiritueux<br />
ou une eau, l’homme<br />
regarde, hume sans cérémonial,<br />
juste dans le respect du<br />
produit. D’ailleurs l’esthète<br />
et l’épicurien a été choisi<br />
cette année pour être membre<br />
du jury en Italie de la finale<br />
du concours organisé<br />
par le comité interprofessionnel<br />
des vins de Cham-<br />
? Davide Oltolini,<br />
un grand connaisseur de la<br />
gastronomie française.<br />
pagne.<br />
Il vient en France pour la<br />
première fois en 1982. Lycéen,<br />
il séjourne en Franche-<br />
Comté à Besançon. “C’était<br />
la première fois que j’allais à<br />
l’étranger. La ville était très<br />
agréable et surtout c’est là<br />
que mon amour pour la<br />
France est né. J’étais impressionné<br />
car les Français<br />
pour se dire bonjour se faisaient<br />
la bise. Et puis j’ai découvert<br />
les fromages français<br />
qui avaient une gamme de<br />
choix aussi importante qu’en<br />
Italie.” Depuis, le gourmet a<br />
arpenté bien de nos régions,<br />
“la Loire, la Champagne, la<br />
Côte d’Azur, la Provence, la<br />
Corse, le Roussillon et évidemment<br />
Paris, qui à mes<br />
zioni gastronomiche. A tal proposito nell’intervista<br />
è stata richiesta all’esperto pavese una<br />
disamina critica sull’enogastronomia<br />
d’Oltralpe. Lo scorso anno Oltolini era stato<br />
nominato tramite il CNIEL (Centre National<br />
Interprofessionnel de l’Economie Laitière)<br />
ambasciatore dei formaggi di Francia in Italia.<br />
Acquavite Italia:<br />
la vetrina del distillato<br />
A PERUGIA LA QUARTA EDIZIONE,<br />
CON NUMEROSE NOVITÀ IN PROGRAMMA<br />
E IL CAMPIONATO ITALIANO BARMAN UNDER 21<br />
Migliaia di appassionati e tecnici attendono l’inizio<br />
della quarta edizione di Acquavite Italia - Mostra<br />
nazionale del distillato, che si svolgerà a Perugia dal<br />
28 al 30 gennaio 2011. Alla manifestazione organizzata<br />
dall’ANAG Umbria, dall’<strong>Associazione</strong> A tavola con<br />
Bacco e dalla società Eventi DOP di Perugia, sono<br />
stati offerti i patrocini dell’assessorato allo Sviluppo<br />
economico e Turismo di Perugia,<br />
dell’Istituto Nazionale Grappa,<br />
dell’ANAG Federazione nazionale e, per<br />
il terzo anno consecutivo, dell’Ais Umbria.<br />
Tante le aspettative per un evento<br />
diventato un appuntamento da non<br />
perdere per i visitatori che affollano ogni<br />
anno la Rocca Paolina sede principale<br />
della manifestazione.<br />
Protagoniste più di 500 acquaviti tra<br />
grappe, rum, whisky e cognac provenienti da tutta<br />
Italia e dal mondo. Molte le novità in programma tra<br />
cui: la distribuzione gratuita di un alcooltest monouso<br />
a tutti i visitatori che acquisteranno il calice da degustazione<br />
all’ingresso; l’incontro dedicato ai giovani,<br />
durante il quale saranno spiegate le tabelle alcolo-<br />
Critique gastronomique :“À l’heure où le monde<br />
se normalise, il est important de préserver le<br />
bœuf bourguignon, le cassoulet…”<br />
crédit<br />
yeux reste unique pour son<br />
atmosphère si française et en<br />
même temps internationale.”<br />
“En France comme en Italie,<br />
vous avez beaucoup de plats<br />
typiques régionaux. À l’heure<br />
où le monde se normalise et<br />
où chacun perd son identité<br />
culinaire, il est particulièrement<br />
important de préserver<br />
la soupe à l’oignon, le bœuf<br />
bourguignon, le cassoulet, le<br />
confit de canard ou la tartiflette.<br />
Mes préférences : la<br />
bouillabaisse et les fromages.”<br />
Grand connaisseur de notre<br />
gastronomie, il a été nommé<br />
cette année ambassadeur des<br />
fromages français (le seul<br />
Italien) pour la campagne E<br />
viva les fromages !<br />
“Le grand professionnalisme<br />
des Français et leur grande<br />
capacité à promouvoir leurs<br />
terroirs, leurs produits,<br />
m’impressionnent.” Maestro<br />
des techniques de dégustation,<br />
Davide Oltolini a pour<br />
passion le vin, le fromage,<br />
l’eau, le chocolat, les glaces,<br />
le café et aussi la bière et la<br />
charcuterie. Pour Ulysse,il<br />
livre une de ses découvertes<br />
sur l’accord entre les fromages<br />
et les eaux : “Une pâte<br />
riche en matière grasse et<br />
une eau gazeuse s’associent<br />
harmonieusement, à l’exemple<br />
d’un comté bien affiné et<br />
d’une eau à grosses bulles<br />
comme la San Pellegrino.”<br />
JEAN-LUC TOULA-BREYSSE<br />
metriche emanate dal ministero del Lavoro, della<br />
Salute e delle Politiche Sociali, per informarli dei rischi;<br />
visite gratuite alla Galleria nazionale dell’Umbria di<br />
Perugia; tour guidati agli stand espositivi, in compagnia<br />
dei tecnici assaggiatori dell’ANAG Umbria, che<br />
insegneranno come bere in modo consapevole; la<br />
possibilità di acquistare la “special card” che permetterà<br />
di ricevere omaggi e ottenere sconti presso<br />
le società aderenti all’iniziativa; degustazioni a tema,<br />
abbinamenti cibo-acquaviti e cene di fuoco.<br />
Inoltre è previsto lo svolgimento del Premio<br />
Acquavite Italia, campionato italiano barman<br />
– categoria under 21, riservato agli<br />
studenti degli istituti alberghieri d’Italia, che<br />
frequentano le classi monoennio sala bar,<br />
IV e V ristorazione, di età compresa tra i 16<br />
e i 21 anni. La competizione è tesa a valorizzare<br />
la grappa stimolando la fantasia<br />
professionale dei giovani alunni, inserendola<br />
tra gli elementi base della composizione<br />
di cocktail. «Tengo a sottolineare» afferma<br />
Ennio Baccianella, portavoce e organizzatore della<br />
manifestazione, «quanto sia cresciuta l’importanza di<br />
Acquavite Italia, in quanto è considerata nel settore<br />
dei distillati, dagli operatori del settore e dal pubblico,<br />
seconda solo a Vinitaly». Tutte le informazioni su<br />
www.acquaviteitalia.it
Pillole<br />
Vola a Londra<br />
il premio Villa Sandi<br />
Alessandra Celio, senior assistant restaurant manager al Marcus Wareing Restaurant del Berkely<br />
Hotel di Londra; Carlo Ferrigno, food and beverage manager presso NH Hotel du Grand Sablon di<br />
Bruxelles; Filippo Lanciotti, responsabile della gestione della cantina dell’Hotel Ristorante Anita di<br />
Cupra Marittima, in provincia di Ascoli Piceno. Sono i tre giovani professionisti che hanno vinto la<br />
decima edizione del premio internazionale Innovazione nella professione, istituito da Villa Sandi di<br />
Crocetta del Montello nel Trevigiano, prestigiosa realtà enologica che prende il nome dall’edificio<br />
di scuola palladiana risalente al 1622, cuore dell’azienda, unitamente all’<strong>Associazione</strong> <strong>Italiana</strong><br />
<strong>Sommelier</strong>s. Il prestigioso riconoscimento, un assegno da 1550 euro, è indirizzato ai sommelier<br />
under 29 che hanno lavorato o lavorano all’estero in strutture alberghiere e ristorative e che rappresentano<br />
quindi gli ambasciatori per eccellenza del vino italiano nel mondo. Il premio da un<br />
paio di stagioni ha varcato i confini nazionali ed è stato consegnato<br />
ai vincitori durante una cena di gala che si è tenuta per la prima<br />
volta a Londra all’Hotel Ritz e alla quale ha preso parte anche l’ambasciatore<br />
italiano a Londra, Alain Giorgio Maria Economides, segno<br />
del carattere sempre più internazionale dell’iniziativa e dell’importanza<br />
del mercato inglese per i vini italiani.<br />
Creatività, professionalità e spirito di iniziativa sono i tratti distintivi dei<br />
giovani sommelier vincitori, la cui selezione è stata effettuata da una<br />
giuria qualificata composta da giornalisti enogastronomici di fama<br />
internazionale, dal presidente di Villa Sandi, Giancarlo Moretti<br />
Polegato e dal presidente dell’Ais, Terenzio Medri. Questi giovani<br />
sommelier sono sempre più consapevoli del proprio ruolo, che non è<br />
solo quello di suggerire l’abbinamento migliore tra un vino e un piat-<br />
▲ I tre sommelier premiati con Terenzio to, ma anche di essere divulgatori della cultura del vino, comunica-<br />
Medri, Giancarlo Moretti Polegato e tori della storia e del territorio che ogni vino porta con sé e promotori<br />
Alberto Schieppati<br />
di un modo di bere responsabile e consapevole.<br />
Un successo quindi per un concorso che continua nel tempo a valorizzare<br />
i giovani che stanno maturando la propria esperienza nel mondo della sommellerie internazionale<br />
e che si sono già distinti per professionalità e competenza e che prende il nome dalla<br />
storica cantina trevigiana che si trova ai piedi delle colline, tra le zone del Prosecco di<br />
Valdobbiadene e quelle del Montello e del Piave. Un felice esempio di come architettura e<br />
ambiente naturale possano coesistere e mettersi vicendevolmente in risalto in un binomio vincente<br />
che combina il piacere del vino e l’amore per l’arte e il territorio.<br />
(Paolo Giarrusso)<br />
94
Pillole<br />
96<br />
Invitiamo tutti i soci a comunicare la propria e-mail<br />
per ricevere la Newsletter ufficiale dell’Ais<br />
e anche eventuali variazioni dei recapiti telefonici<br />
e dell’indirizzo di riferimento.<br />
Scrivete a<br />
devinis@sommeliersonline.it<br />
ais@sommeliersonline.it<br />
o telefonate allo 02-2846237<br />
Magis: un progetto<br />
tutto da scoprire<br />
Dopo aver fatto capire di non essere un progetto<br />
qualsiasi in occasione della propria nascita,<br />
Magis torna a far parlare di sé. A soli sei mesi di<br />
vita è già sotto le luci della ribalta figurando tra i<br />
finalisti nella categoria Sistemi gestionali integrati<br />
del Premio innovazione ICT – Oltre la crisi: l’Italia<br />
che innova, alla cerimonia di apertura di Smau<br />
2010. A ricevere gli onori del prestigioso riconoscimento,<br />
Angelo Maranzia, food chain specialist<br />
di Bayer Crop Science, tra i partner promotori.<br />
Nato lo scorso anno, il progetto Magis vede<br />
coinvolte oltre a Bayer anche l’Unione italiana<br />
vini, le università di Milano, di<br />
Torino e di Firenze, il CNR-ISPA di<br />
Bari, Assoenologi e Image Line per<br />
quanto concerne la piattaforma<br />
gestionale contenente i dati<br />
aziendali dal vigneto alla cantina.<br />
Puntando dritto all’obiettivo di<br />
creare una nuova mentalità nel<br />
mondo del vino, orientata a produzioni<br />
vitivinicole di qualità realmente<br />
sostenibili in tutti i loro<br />
aspetti, la piattaforma, facendo sistema e passando<br />
attraverso innovazione, formazione e<br />
comunicazione, fornisce al produttore contemporaneamente<br />
il servizio e il mezzo tecnico.<br />
Ciò che si sta creando nella fase di sperimentazione<br />
è un enorme sistema che raccoglie<br />
un’enorme quantità di dati che, grazie all’azione<br />
sinergica delle competenze messe a disposizione<br />
a titolo volontario dai partner, vengono<br />
elaborati per creare protocolli produttivi di<br />
sostenibilità. Anche l’importanza di un corretto<br />
impiego dei mezzi tecnici al fine di ottenere una<br />
vera eco-compatibilità delle produzioni trova<br />
concretezza in giornate di formazione rivolte<br />
agli operatori e incentrate, ad esempio, sulla<br />
corretta taratura degli ugelli delle macchine<br />
irroratrici. Gli appezzamenti sui quali viene svolta<br />
la sperimentazione, di minimo un ettaro, sono<br />
messi a disposizione dalle aziende (per ora set-<br />
tantaquattro) coinvolte nel progetto. Le produzioni<br />
ottenute dagli “appezzamenti Magis” sono<br />
poi messe a confronto con quelle di appezzamenti<br />
standard assolutamente sovrapponibili<br />
per caratteristiche. Le aziende che in questo<br />
primo anno di sperimentazione hanno vendemmiato<br />
(circa il 45 per cento del totale) stanno<br />
inviando i primi dati sia dagli appezzamenti<br />
Magis che da quelli “confronto” e le elaborazioni,<br />
effettuate dall’Università di Piacenza, sapranno<br />
certamente essere eloquenti sulla grandezza<br />
del progetto. Per il momento, le anticipazioni<br />
evidenziano come una gestione Magis delle<br />
colture sia in grado di generare vantaggi<br />
economici e ambientali (riduzione<br />
del numero di trattamenti, della<br />
manodopera e degli ingressi in vigna)<br />
oltre che salutistici, derivanti dalla<br />
possibilità di effettuare, per la prima<br />
volta, una mappatura del rischio<br />
ocratossina (una micotossina ad attività<br />
principalmente nefrotossica) su<br />
uve, mosti e vini che arriva fino all’individuazione<br />
di misure per la sua prevenzione<br />
in campo.<br />
La presenza di una piattaforma informatica di<br />
condivisione dei dati (unica che consente di<br />
accedervi impiegando telefono, i-pod o pc) è<br />
poi in grado di generare un servizio di previsioni<br />
meteo specifiche per singola azienda (calcolate<br />
su una maglia di 2.5x2.5 chilometri rilevate<br />
due volte al giorno), comprensive anche di<br />
velocità del vento calcolata a due metri dal<br />
suolo: un vantaggio netto in fase di decisione su<br />
quando effettuare un trattamento.<br />
Forse in futuro avremo modo di parlare di Magis<br />
in veste di marchio a garanzia della sostenibilità<br />
sociale e ambientale di prodotto magari non<br />
solo sul vino ma anche su altre filiere. Per il<br />
momento, sappiamo che dall’anno prossimo<br />
Magis partirà anche per l’uva da tavola e per le<br />
orticole.<br />
(Michela Lugli)
Libri<br />
SULLO SCAFFALE di Natalia Franchi<br />
BORDERWINE<br />
Autore: Martina Tommasi<br />
Editore: Luglioeditore<br />
Prezzo: 15,00 euro<br />
Finiti i tempi della richiesta di un “bianco” o di un “rosso”<br />
qualsiasi, l’ormai incontrovertibile processo di “acculturazione”<br />
del gusto da parte di un pubblico molto ampio<br />
ha determinato una consapevolezza del consumatore che<br />
va di pari passo con la diversificazione e il raffinamento<br />
del prodotto vino. Un miglioramento coraggioso e progressivo<br />
che prende le mosse dal Settecento del Razionalismo<br />
e dell’Illuminismo: il periodo analizzato da Martina<br />
Tommasi – autrice del saggio – che del vino ha colto la<br />
squisita trasversalità tra epoche, estimatori e detrattori.<br />
Triestina doc, la Tommasi dedica l’analisi alla sua terra:<br />
quel Friuli terra di confine, di scambi commerciali e culturali.<br />
Terra generosa, le cui testimonianze documentarie<br />
sulla produzione del vino risalgono a ben prima del<br />
Settecento, collocandosi nel 180 a.C. con<br />
la fondazione di Aquileia. Ma è nel<br />
Settecento che l’autrice vede la scintilla<br />
da cui è nata la più recente tensione al<br />
costante miglioramento del vino. Uno spirito<br />
pionieristico che ha portato a sperimentazioni<br />
concrete con mente aperta<br />
e libera, seguendo sempre una logica di<br />
confronto e riscontro pratico, dapprima<br />
presso i nobili e i benestanti, per estendersi<br />
poi alle cosiddette persone comuni.<br />
Tanti i pionieri di cui vengono narrate<br />
le gesta. Tra questi colui che viene<br />
definito un vero e proprio guru del marketing<br />
ante litteram: Fabio Asquini, conte<br />
in Fagagna, creatore di un vino unico, il Picolit. Che la<br />
qualità del Picolit fosse notevole è fuori discussione, ma<br />
fu il “piano di marketing” di Asquini a decretare il successo<br />
travolgente di un vino che divenne un mito enologico.<br />
Correva l’anno 1761 e il nobile puntò sulla nicchia<br />
del vino da dessert in un momento in cui il maggior<br />
concorrente, la Francia, non trattava questo genere. Unica<br />
minaccia il Tokaj ungherese, il cui flusso di esportazioni<br />
era ostacolato dalla guerra dei Sette Anni (1756-1763).<br />
La collaborazione con l’agronomo veneto Antonio Zanon<br />
diede l’avvio a un attento marketing relazionale, basato<br />
su una fitta rete di conoscenze altolocate e fidelizzate che<br />
ben presto aprirono al Picolit le porte dell’estero, grazie<br />
al supporto di aristocratici che frequentavano le maggiori<br />
corti europee. Per non parlare della cura dei dettagli:<br />
dai migliori tappi fatti giungere da Londra, all’attenta<br />
scelta della bottiglia, per finire con l’etichetta (ai tempi<br />
applicata al turacciolo, quasi alla stregua di sigillo) dove<br />
il nome del casato Asquini non apparve mai, dal momento<br />
che all’epoca il lavoro nobiliare era visto come un’onta,<br />
anche nel caso di un’attività commerciale di lusso.<br />
Nobiltà illuminata.<br />
SAPERE DI VINO<br />
Autore: Giacomo Tachis<br />
Editore: Mondadori<br />
Prezzo: 18,00 euro<br />
Diplomatosi alla Scuola di enologia di Alba, trasferitosi<br />
in Toscana, nel 1961 Giacomo Tachis approda alla<br />
casa vinicola Marchesi Antinori dove, per trentadue<br />
anni, ricoprirà il ruolo di indimenticato direttore tecnico.<br />
Membro dell’Accademia dei Georgofili, ritenuto<br />
il principe degli enologi per aver promosso il<br />
Rinascimento del vino italiano e scoperto i<br />
Supertuscans, a 77 anni Tachis<br />
lascia l’attività e ci regala questo<br />
saggio quale tributo alla passione<br />
di una vita. Un viaggio pieno<br />
di sorprese tra vigneti, tradizioni<br />
storiche e geografiche, cultura<br />
gastronomica e made in Italy, in<br />
cui svela tutti i segreti del vino,<br />
della selezione della terra, della<br />
viticoltura, delle tecniche di invecchiamento<br />
e della degustazione.<br />
Per Tachis il vino non conoscerà<br />
mai crisi, perché la gente lo beve<br />
e lo berrà sempre. Ma occorre<br />
un’ulteriore innovazione, nel pieno rispetto della natura<br />
e della semplicità del vino. Soprattutto grande attenzione<br />
dovrà essere riservata al ricorso alla chimica,<br />
alla biologia molecolare e all’ingegneria genetica. E<br />
sarà necessario indulgere meno alle lusinghe delle<br />
mode, a decretare successi – si pensi alla notorietà<br />
recente dei vitigni Cabernet e Syrah – piuttosto effimeri<br />
e creatori di falsi miti.<br />
Innumerevoli gli ingannevoli luoghi comuni citati nel<br />
saggio, a cominciare dall’impiego spinto della barrique,<br />
intesa come rimedio universale per dare carattere<br />
ai vini deboli, per finire con il ricorso a trattamenti<br />
chimici per accelerare i processi naturali.<br />
Mentre l’autentica natura del vino rifugge l’inganno,<br />
essendo ogni vino il risultato di una storia e di una<br />
cultura millenaria e della mano di un uomo, l’avanguardia<br />
scientifica deve aiutare ma mai snaturare o<br />
sovrastare.<br />
La qualità del vino è dovuta principalmente alla qualità<br />
dell’uva e della vigna; all’uomo il compito di influenzarne<br />
le caratteristiche organolettiche, operando<br />
comunque su una dote di valore oggettivo. Per questo<br />
Tachis ci accompagna in un viaggio nelle sue terre<br />
d’Italia: in Toscana, tra gli ulivi piantati dagli Etruschi,<br />
in Sardegna, dove da secoli sferzata dal vento cresce<br />
l’uva Nuragus, in Sicilia, dove si produce il Mamertino,<br />
che Giulio Cesare pretendeva ogni giorno sulla sua<br />
tavola, fino nelle isolette del Mediterraneo, luogo di<br />
felicità e di sogni.<br />
“Il futuro dell’enologia sarà quello di esaltare la bevanda<br />
di Bacco in uno dei contesti più cari alla vite per<br />
clima, tradizione e storia: il nostro Paese”.<br />
97
Io non ci sto<br />
Ma il vino italiano nel 2010<br />
ha ancora bisogno<br />
di vitigni “migliorativi”?<br />
Non avrei mai pensato di vedere un Paese dalla antichissima<br />
tradizione enoica come l’Italia ricevere<br />
lezioni di realismo e l’invito a credere di più in quello<br />
che è e in quanto fa, senza indulgere ad assurdi provincialismi,<br />
da una terra dove produrre e consumare vino<br />
è storia molto ma molto più recente come gli Stati Uniti!<br />
Leggendo però una column, come al solito efficace, della<br />
corrispondente americana della rivista britannica Decanter,<br />
Linda Murphy, pubblicata sul numero di ottobre ho capito<br />
che ne abbiamo ancora di strada da fare, e di lezioni<br />
da prendere, prima di poter veramente affermare che crediamo<br />
davvero nei nostri mezzi senza alcun complesso di<br />
inferiorità e senza più tentazioni di scimmiottare quello<br />
che fanno gli altri.<br />
Cosa ha scritto la Murphy? Ha solo invitato i produttori<br />
americani, dopo 40 anni di successi e di affermazioni che<br />
hanno portato gli Stati Uniti (in particolare la California)<br />
a diventare uno dei protagonisti della scena vinicola internazionale,<br />
a fare affidamento solo su se stessi. E di smetterla,<br />
per darsi un tono, per apparire più importanti, di<br />
imitare la Francia. Smetterla di utilizzare termini francesi<br />
come Château, clos, domaine per dare un nome alle<br />
loro aziende (come hanno spesso fatto nei decenni precedenti),<br />
smetterla di scrivere che i loro Chardonnay e<br />
Pinot noir sono prodotti con uve piantate con cloni che<br />
arrivano direttamente dalla Borgogna. Questo perché è<br />
ormai un atteggiamento puramente provinciale, ostentare<br />
l’uso di “Dijon clones”, e perché non è assolutamente<br />
detto che questi cloni, che funzionano perfettamente nei<br />
terroir e nei microclimi borgognoni, si adattino, meglio<br />
di come facciano invece cloni locali delle stesse uve, nei<br />
climi, più caldi, e con epoche di maturazione diverse, di<br />
svariate aree californiane, dove “sviluppano più rapidamente<br />
alti tenori zuccherini, con il rischio di dare vita ad<br />
elevati tenori alcolici” che oggi i consumatori tendono a<br />
rifiutare. Per la wine writer californiana, «l’imitazione può<br />
anche essere una forma di adulazione e di lusinga, anche<br />
per il vino americano, ma è tempo che l’industria vinicola<br />
americana la finisca di rubacchiare dalla Francia (o<br />
dall’Italia o dalla Spagna) e inizi ad usare un proprio linguaggio<br />
per comunicare con i consumatori che non capiscono<br />
parole come ancien, saignée o tirage». Questo l’appello<br />
della giornalista americana ai produttori americani.<br />
In Italia invece, se si guarda a quanto sta succedendo in<br />
molte denominazioni, si è portati a concludere non solo<br />
che invece di guardare al futuro si guardi indietro, ma<br />
che il mondo del vino di un certo deteriore provincialismo<br />
non si sia ancora liberato. Anzi, che non ci pensi<br />
nemmeno. Ricordate gli anni Ottanta e buona parte dei<br />
Novanta caratterizzati dalla parola d’ordine “vitigni migliorativi”?<br />
In tutta Italia si era diffusa la convinzione che<br />
non si potesse produrre un vino di alta qualità e che<br />
non si potessi essere presi in seria considerazione dal<br />
mondo come Paese produttore di alto livello, se nei vigneti,<br />
fossero piemontesi o toscani, siciliani piuttosto che<br />
veneti o pugliesi, non fossero state piantate dosi sostanziose<br />
di uve ritenute in grado di riscattare e nobilitare la<br />
98<br />
di Franco Ziliani<br />
sorte di un Vigneto Italia schiavo di troppe varietà locali<br />
giudicate di scarso livello. E allora vai con gli Chardonnay<br />
e i Sauvignon (piantato anche in Puglia…), e via con i<br />
Cabernet, i Merlot, i Syrah (e in seguito il Petit Verdot)<br />
chiamati a “migliorare” con le loro doti miracolose i nostri<br />
“provincialissimi” vini… Estremismi, errori di gioventù,<br />
malattie d’infanzia di una viticoltura in via di trasformazione,<br />
incline a ingenuità ed esagerazioni anche comprensibili.<br />
Si pensava però che trascorsi vent’anni, studiate e riscoperte,<br />
com’è accaduto nel caso del Sangiovese, tutte le<br />
potenzialità (sinora inesplorate) di molte nostre uve di<br />
valore, e forti del successo incontrato, in Italia e all’estero,<br />
dai nostri vitigni autoctoni, non fosse rimasto più nessuno<br />
a pensare seriamente che per produrre grandi vini<br />
nei nostri terroir fosse indispensabile la “stampella”, l’aiuto,<br />
il miglioramento, di varietà indubbiamente grandi<br />
altrove, ma tutt’altro che indispensabili. Uve che quantomeno,<br />
nel migliore dei casi, hanno favorito un appiattimento<br />
del gusto mediante vini ben poco di terroir e molto<br />
varietali, spesso tutti uguali tra loro.<br />
Ragionamento errato. In Italia, anche se i consumatori<br />
hanno detto chiaramente che sono stanchi di vini omologati<br />
e sono invece alla ricerca di vini originali, evidentemente<br />
molti continuano a pensare che la salvezza e il<br />
successo potranno venire solo dopo l’assunzione di dosi<br />
abbondanti di vitigni bordolesi. Guardate, per credere, in<br />
quanti disciplinari di produzione, che si cerca di cambiare<br />
in tutta fretta, disciplinari di vini di sicura personalità,<br />
si vogliono introdurre dosi robuste dei soliti noti,<br />
Cabernet e Merlot in primis. Accade a Cirò, in Calabria,<br />
dove nella storica Doc Cirò hanno previsto un allargamento<br />
facoltativo della base ampelografica ad altri vitigni<br />
autorizzati e raccomandati per la regione Calabria per<br />
un massimo del 20%. E poi in Toscana, a Montepulciano,<br />
dove alla produzione del Vino Nobile potrebbero concorrere<br />
fino a un massimo del 30% di vitigni complementari<br />
idonei alla coltivazione nella Regione Toscana, e poi in<br />
Maremma, dove per il Morellino di Scansano si è chiesto<br />
il contributo del 15% di altre uve che non siano il<br />
Sangiovese. Ed in Piemonte per la Docg Barbera d’Asti,<br />
per la quale si richiede la possibilità di ricorrere ad un<br />
10% di “altri vitigni a bacca nera, non aromatici”, oppure<br />
a Carema, per l’omonima Doc “di montagna” che potrebbe<br />
essere prodotta con “l’aiutino” di un 15% massimo di<br />
altre uve ben poco “montanare” tipo Merlot o Syrah. E<br />
mi limito a citare solo i casi più clamorosi. Ma perché mai<br />
oggi, se non per fini puramente commerciali e per una<br />
malintesa idea di quello che chiede il mercato, magari<br />
illudendosi di rispondere così alla crisi in atto, introdurre<br />
vitigni internazionali nelle denominazioni storiche?<br />
Come non capire che in questo modo si ottiene solo il<br />
risultato di conformare e standardizzare i vini e di renderli<br />
molto meno interessanti anche commercialmente?<br />
Dicano pure che non ci sono alternative, che è il mercato<br />
globale a costringere a simili scelte. La mia risposta,<br />
forse monotona, ma coerente, sarà sempre la stessa: mi<br />
spiace, ma io non ci sto!