amidacee per la produzione di biocarburanti, tenuto conto che queste necessitano di grandi superfici perchél’agricoltore possa ottenere coltivazioni remunerative.Se, da un lato, le produzioni energetiche (in alternativa per una azienda consolidata) possono contare sullalogistica e su un metodo produttivo analogo a quello <strong>delle</strong> produzioni food, potendo usufruire di macchinee strutture già presenti in azienda, consentendo di ottenere un prodotto finale standardizzato e facile daconservare, dall’altro tali produzioni presentano costi di produzione molto più alti rispetto all’ulteriore alternativa<strong>delle</strong> coltivazioni legnose (ad esempio cedui a corta rotazione per biomassa), con un bilancio energetico(BE) 1 relativamente basso a fronte di uno sfruttamento intensivo del suolo. Inoltre, riguardo alla trasformazione,la tecnologia della fermentazione per le colture zuccherine e amidacee si presenta strutturatae costosa per l’agricoltore, necessitando di impianti di grosse dimensioni e personale formato, mentre la venditasi inserisce in uno scenario complesso dove interagiscono numerosi fattori che vanno dai contratti di fornituraalla logistica, che risentono di equilibri e criticità economiche macro-territoriali. La trasformazione inazienda di semi oleosi in olio grezzo, che si ottiene attraverso un processo più semplice dai costi contenuti,si presenta, invece, come un’opportunità interessante per l’agricoltore che beneficia di sgravi fiscali qualorala destinazione d’uso <strong>delle</strong> proprie colture sia per autoconsumo a scopo termico.Va poi evidenziato che le ipotesi di sviluppo previste a livello comunitario per il sostegno alle colture energeticheattraverso la PAC (cfr. Paragrafo 1.2.2), risultano disattese in Italia a causa, come accennato, di vincolistrutturali ed economici a livello territoriale che rendono il premio comunitario poco remunerativo rispettoai costi di produzione 2 .Seppure l’Italia si collochi, attualmente, ai primi posti per la produzione e il consumo di biodiesel nell’UE, lemisure adottate a livello nazionale per la promozione dei biocarburanti si sono tradotte in un settore fortementesussidiato, con aliquote di accisa esenti o ridotte su quantitativi contingentati da parte dello Stato 3 ematerie prime agricole nazionali quasi inesistenti che risentono di una forte concorrenza estera a prezzi piùcompetitivi. La produzione del biodiesel, infatti, sconta una filiera incompleta e l’80% dei semi oleosi vieneimportato, mentre l’etanolo è ancora assente dal mercato energetico, anche a causa di politiche di supportonon realizzate 4 e nonostante le riconosciute potenzialità (Box 3.2). A seguito dei primi esperimenti sui motoricondotti negli anni ’90 e dei numerosi problemi tecnici riscontrati, il mercato italiano si è spinto verso unutilizzo alternativo del biodiesel e, contrariamente a quanto è accaduto in Europa, il 95% del biodiesel nazionaleprodotto da oli vegetali di importazione e, in misura minore, da oli ottenuti da colture oleaginose èstato finora utilizzato per il funzionamento di centrali termiche.1 Il BE è il rapporto fra energia prodotta e quella consumata per produrla secondo il parametro EROEI (Energy Return on Energy Investment) il cui valoredeve essere >1; la biomassa ha un EROI tra 3 e 5 contro 250 per l’energia idroelettrica (ENEA, 2005).2 Nel 2005, primo anno di applicazione in Italia della riforma della PAC, le domande in regime di aiuto hanno interessato solo 7.700 ettari a girasole dadestinare alla produzione di biodiesel e 300 ettari di colture legnose a pioppo ed eucalipto da destinare a biomassa (dati AGEA).3 La direttiva 2003/96/CE ha introdotto la possibilità di defiscalizzare le miscele contenenti biocarburanti fino al 100%.4 L’incertezza del quadro normativo di riferimento e le lungaggini nelle procedure di approvazione <strong>delle</strong> norme sugli aiuti di Stato si sono tradotte nell’indisponibilitàdei capitali ad affluire in misura adeguata verso il comparto.RETELEADER 69
Box 3.2 - La produzione di biocarburanti in Italia• La produzione di biodiesel è stata di 396.000 tonnellate di prodotto <strong>fini</strong>to nel 2005 e 447.000 tonnellatenel 2006 (EurObserv’ER, 2007), mentre i consumi sono passati da 172.000 tonnellate nel 2005 a 177.000del 2006 (dati European Biodiesel Board). L’80% della materia prima per la produzione di biodiesel italianoè importato e proviene per l’80% da oli di colza e per il 20% da girasole. La produzione di prodotto <strong>fini</strong>toè realizzata da 23 società con una capacità complessiva di produzione stimata intorno a 1 milione t/annodi biodiesel, circa il doppio della produzione effettiva; quest’ultima è immessa sul mercato nazionale neilimiti del quantitativo contingentato dallo Stato e per la parte eccedente è esportata verso Paesi in cui la produzioneè quasi del tutto inesistente.• Nonostante i 4 principali distillatori di alcool etilico abbiano formato nel 2004 la Società Italiana BioEtanolo(SIBE), le iniziative industriali, seppure di rilevanti dimensioni per la loro produzione, sono ancora nellafase di avvio. La produzione di bioetanolo è stata praticamente inesistente nel 2005, con appena 8.000tonnellate, ed ha raggiunto le 102.400 tonnellate di prodotto <strong>fini</strong>to nel 2006 per le nuove misure fiscali culminate,nel 2007, con l’avvio del Piano triennale di sviluppo della filiera.• Gli ettari coltivati a oleaginose sono stati poco più di 70.000 sia nel 2005 che nel 2006. Nel 2007, per effettodel contingente defiscalizzato di 70.000 tonnellate di biodiesel (legge finanziaria 2007) e al Contrattoquadro nazionale di settore, che rappresenta un primo passo per sostenere la produzione nazionale, sonostati messi a coltura 45.000 ettari tra girasole, colza e soia.La biomassa legnosa, costituita in prevalenza da cedui a corta rotazione, legna da ardere e potature, è inveceuna <strong>delle</strong> fonti “storiche”, in Italia, per la produzione di energia rinnovabile e rappresenta un mercatoin espansione per la domanda di materiale legnoso compattato in “pastiglie” (pellet) o in tronchetti (briquette),legna spaccata corta e legno sminuzzato (cippato) per le caldaie domestiche. La diffusione di sistemidi riscaldamento alternativi a quelli alimentati con il tradizionale gas o gasolio che funzionano a legno,granoturco o altro tipo di <strong>biomasse</strong>, infatti, è sostenuta sia dal risparmio economico per l’utenza 5 , sia dallacomponente ambientale, legata al contributo alla riduzione dell’emissione di gas a effetto serra. Inoltre, labiomassa legnosa ha un bilancio energetico relativamente alto a fronte di un basso impatto ambientale(mantenimento della fertilità del suolo; sink di carbonio).Le aziende agricole e forestali possono trasformare la biomassa legnosa per autoconsumo o venderla su scalalocale (filiera corta); tra l’altro, gli impianti di piccola taglia, con bacini di approvvigionamento locali, idoneia servire le utenze domestiche dei piccoli centri vicini alle aree di produzione o gruppi di utenze, offronobenefici economici maggiori. In tale contesto, Province e Comuni possono svolgere un ruolo importante sia5 Riscaldare un locale di 100 MQ con una caldaia alimentata a chicchi di granoturco che consuma 30 KG/giorno di carburante “verde”, integrato con l’utilizzodel pellet nella fase di accensione, ha un costo compreso tra 13 e 15 centesimi di euro/KG e un risparmio del 50-60% rispetto al gasolio o al metano(dati Coldiretti, 2007).70 RETELEADER
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