FuoriAsse n21_HD
Officina della cultura
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Luci d’artista.<br />
Un esemplare caso di arte pubblica a Torino<br />
Nella città antica l’arte pubblica era<br />
demandata al monumento con funzione<br />
di celebrazione, ricordo, o monito, di<br />
personalità o eventi. Nella metropoli<br />
contemporanea essa “scende dal piedistallo”<br />
e diventa installazione e murale.<br />
Questo processo di rimozione dell’aura<br />
sacrale ha origine negli anni Sessanta<br />
quando l’arte inizia ad uscire da musei e<br />
gallerie, ovvero dai luoghi deputati alla<br />
sua fruizione e divulgazione, per entrare<br />
prepotentemente nello spazio pubblico.<br />
Nel decennio successivo questa pratica<br />
si fa intensa e coinvolge sia i territori<br />
naturali che l’ambiente urbanizzato. Se<br />
la “Land Art” trova la sua più feconda<br />
applicazione soprattutto negli Stati Uniti,<br />
grazie alla fascinazione che la vastità<br />
degli ambienti naturali produce sugli<br />
artisti, la “Public Art” vede la città come<br />
luogo elettivo della propria indagine.<br />
Tale interesse per lo spazio pubblico<br />
può essere ricercato nei cambiamenti<br />
economici e sociali che, a partire dagli<br />
anni Settanta, hanno portato da un’attività<br />
legata alla divisione, come accadeva<br />
nella prospettiva fordista (ovvero legata<br />
al lavoro parcellizzato e concentrato in<br />
un luogo fisico in cui ciascun processo<br />
di lavorazione è suddiviso in movimenti<br />
semplici e organizzato in compiti frammentari),<br />
a quella legata invece alla condivisione<br />
(nella prospettiva post-fordista<br />
le fabbriche sono delocalizzate, le macchine<br />
informatizzate e connesse in rete,<br />
i dati condivisi). Lo spazio pubblico,<br />
quale luogo della condivisione (e in scala<br />
ancor più ampia quello della città tout<br />
court) diventa quindi il campo d’indagine<br />
privilegiato di numerosi artisti attraverso<br />
l’elaborazione di linguaggi interdisciplinari.<br />
Essi, tramite le proprie opere,<br />
creano innesti tra le varie discipline:<br />
arte, architettura, design, sociologia, filosofia,<br />
linguistica, ecologia, ecc. in un<br />
approccio inedito, che aiuta a «comprendere<br />
ed a svelare» e attraverso il quale lo<br />
spazio pubblico viene rielaborato, «restituendone<br />
complessità e diversità, significato<br />
e valore» 1 .<br />
In tal senso il termine luogo è inteso da<br />
un lato come spazio caratterizzato dalla<br />
dimensione soggettiva e personale dell’individuo,<br />
legato alla memoria e alla<br />
relazione, e dall’altro come luogo<br />
d’incontro, condiviso con gli altri soggetti.<br />
Uno spazio che si fa discorso,<br />
quindi un luogo praticato: «lo spazio<br />
sarebbe rispetto al luogo ciò che diventa<br />
la parola quando è parlata» 2 .<br />
Con diverso avviso, come ben sappiamo,<br />
scriverà Marc Augè per il quale un luogo<br />
è per definizione “identitario, relazionale<br />
e storico” e contrapposto a quegli spazi,<br />
privi di tali caratteristiche e prodotti<br />
dalla “surmodernità”, che egli definirà<br />
con l’ormai abusata locuzione di nonluoghi<br />
3 .<br />
Dovendo parlare di un caso concreto, e<br />
che mi ha coinvolto direttamente, non<br />
posso non citare una manifestazione<br />
1 Bartolomeo Pietromarchi, Il luogo [non] comune. Arte, spazio pubblico ed estetica urbana in Europa, Barcellona,<br />
Actar, 2005.<br />
2 Michel de Certeau, L’Invention du Quotidien Vol. 1, Arts de Faire, Union générale d’éditions, 1980. Trad. it.<br />
L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 1990.<br />
3 Marc Augé, Non-lieux. Introduction a une anthropologie de la surmodernité, Paris, Édition du Seuil, 1992. Trad.<br />
it. Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1996.<br />
FUOR ASSE 107<br />
INTERFERENZE