SUONO n° 527
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KEITH JARRETT<br />
lentin Silvestrov alla RSO di Vienna. Dico<br />
questo perché rivedendo oggi il libretto<br />
assai speciale dell’album corrispondente,<br />
con tutte le foto messe in sequenza da<br />
Manfred Eicher, vedo rispettato il frutto<br />
di queste attese, valorizzato anzi. Trovo<br />
conferma che l’inquadratura fissa, quasi<br />
cinematografica nel comporsi in sequenza,<br />
coglie, accetta, compone e scompone<br />
il gesto bloccandolo dove si trova, anche<br />
fosse all’estremo limite del fotogramma.<br />
Questo a patto di “ascoltare” la sequenza.<br />
I negativi di una lunga storia<br />
Se vado a cercare tra i libri che mescolano<br />
negativi dei festival di Bologna, di<br />
Milano, di Bergamo, trovo appena un<br />
paio di strisce dell’esibizione di Keith Jarrett<br />
a Bergamo il 16 marzo del 1973, i<br />
fotogrammi dal <strong>n°</strong> 3888 al <strong>n°</strong> 3897. Fotografai<br />
il personaggio la mattina successiva<br />
al concerto. Di lui trovo fotografie al<br />
Comunale di Bologna nel 1969, la prima<br />
esibizione italiana ed europea di un proprio<br />
trio (con Gus Nemeth al contrabbasso<br />
e Bob Ventrello alla batteria), poi altre<br />
realizzate alla Philharmonie di Berlino<br />
durante il Jazz Tage nel novembre 1971,<br />
doppiato al conservatorio di Milano con<br />
il gruppo di Miles Davis. Successivamente<br />
una lunga serie di appuntamenti<br />
giusto fino ad alcune stagioni fa. Lo<br />
trovo a Pescara, a Perugia, a Venezia, a<br />
Ravenna, a Bregenz, a Zurigo, a Monaco,<br />
Cagliari, Lucca, Milano, Roma, Verona.<br />
Nel primo pannello della mostra Jazz Area<br />
(Pavia, 1999) scrivevo, a corredo di tre<br />
fotografie, le primissime da me scattate:<br />
“Le mie fotografie iniziali in ambito jazz<br />
sono state realizzate negli ultimi anni 60<br />
con un apparecchio semplice, con ottica<br />
fissa, molto più silenzioso di qualsiasi<br />
reflex. Una Rolleiflex 6x6 di proprietà di<br />
mio padre, che ho poi malauguratamente<br />
ceduto; riguardo alle immagini prodotte<br />
allora, ingrandite senza taglio alcuno,<br />
mi trovo perfettamente a mio agio<br />
«UN RITRATTO<br />
NON È SOLO SU<br />
KEITH JARRETT PUR<br />
ESSENDONE LUI<br />
IL FULCRO, LA GUIDA,<br />
IL PROTAGONISTA»<br />
ROBERTO MASOTTI<br />
nel riproporle. Sono anzi convinto che le<br />
forti limitazioni tecniche e una curiosità<br />
spasmodica abbiano stimolato soluzioni<br />
dirette quanto ‘sfacciate’. L’energia della<br />
musica ha fatto il resto”. Quella manciata<br />
di fotogrammi scattati con una pellicola<br />
Ilford FP4 riportano anche la scritta in<br />
stampatello hypersensitive, la pellicola, il<br />
soggetto, il fotografo…<br />
L’appuntamento di Bergamo nasceva da<br />
una sorta di commissione: «Musica Jazz»<br />
avrebbe tratto dal servizio una copertina.<br />
Ci sarebbe stata un’intervista. Mi ritrovai<br />
al Cappello d’Oro con Giacomo Pellicciotti,<br />
non ricordo se l’intervista si fece prima<br />
o dopo. Con Jarrett andammo a Bergamo<br />
Alta alla ricerca di scenari alla luce del<br />
giorno. Anche se per tradizione i soldi che<br />
l’editore dava erano pochissimi, l’idea di<br />
piazzare qualcosa sulla rivista di Arrigo<br />
Polillo, il critico jazz italiano più celebre,<br />
che ti parlasse dalla copertina era stimolante.<br />
Fu in ogni caso un ingaggio professionale<br />
cui dedicammo (Pellicciotti, io,<br />
Jarrett compreso) una buona dose d’impegno<br />
ed energia. Al festival di Bergamo,<br />
come a Bologna del resto, era un problema<br />
fotografare. I festival erano molto<br />
impacciati con permessi e regole, arrivavano<br />
ordini e contrordini, spesso insensati.<br />
Era nell’aria la spiacevole sensazione<br />
che il fotografo fosse sostanzialmente un<br />
rompiscatole, cosa relativamente vera,<br />
ma in paragone all’atmosfera così burocratizzata<br />
e formale di oggi il rimpianto<br />
scatta quasi automatico.<br />
Jarrett era già allora il musicista che oggi<br />
conosciamo; la sua avventura di proporsi<br />
in solo, improvvisando al pianoforte,<br />
reinventandolo, aveva scosso il mondo<br />
del jazz facendone saltare alcuni parametri.<br />
Il risultato, oltre che la poetica, si<br />
discostava assai dalla tradizione, anche<br />
quella più recente. Appena cominciai ad<br />
armeggiare (così si dice) con la macchina<br />
e gli obbiettivi prima vicino a un lavatoio,<br />
poi al battistero, il tutto vicino alla basilica<br />
di Santa Maria Maggiore, mi resi conto di<br />
avere di fronte a me un personaggio vero.<br />
Piccolo, capelli stile afro, baffetti, vestito<br />
informalmente come avrebbe continuato<br />
a fare, docile, scherzoso, collaborativo e<br />
tuttavia ben determinato a sostenere un<br />
ruolo artistico sempre e comunque.<br />
Ricavai dei primi piani intensi, con scorci<br />
riconoscibili; una posa “faustiana”, Keith<br />
stava allora leggendo Doctor Faustus di<br />
Thomas Mann, una foto ricordo assieme a<br />
Pellicciotti, un po’ smargiassa. Si viaggiava<br />
su un buon ritmo, una piacevole intesa.<br />
Non ricordo nulla di discorsi fatti in quei<br />
momenti, di quelle frasi che condiscono le<br />
photo-session. Si parla per superare e far<br />
superare la tensione. Con moderazione,<br />
ma si parla, anche della musica, del pubblico,<br />
della cucina italiana, un classico.<br />
I COLORI DEL 93