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Senato su “Allevamenti e cambiamenti<br />

climatici”, presso la Commissione<br />

Agricoltura, lo scorso 2 febbraio.<br />

Le filiere delle produzioni<br />

animali italiane rappresentano<br />

circa la metà del valore dell’agroalimentare<br />

nazionale, contribuiscono<br />

all’export del made in Italy, danno<br />

occupazione a circa 150.000 persone,<br />

presidiano il 40% del territorio<br />

rurale nazionale, contrastano lo spopolamento<br />

e il degrado delle “aree<br />

interne” e sono custodi di tradizioni<br />

culturali e gastronomiche che sarebbe<br />

dannoso perdere. Gli studiosi<br />

dell’Accademia dei Georgofili — la<br />

più antica entità italiana di ricerca<br />

nel campo agroalimentare fondata<br />

a Firenze nel 1753 — hanno preso<br />

in considerazione tutti gli impatti<br />

degli allevamenti, ossia l’emissione<br />

di gas climalteranti, l’emissione di<br />

ammoniaca e il rilascio dei nitriti<br />

nelle acque e il consumo delle risorse<br />

idriche. Dalla ricerca emerge<br />

che il contributo della zootecnia<br />

italiana alle emissioni gas-serrigeni è<br />

modesto e in continua diminuzione,<br />

rappresentando il 5,2% del totale<br />

nazionale.<br />

Le emissioni principali sono<br />

dovute:<br />

I. alla CO 2<br />

del ciclo produttivo;<br />

II. al metano emesso soprattutto<br />

dalle fermentazioni digestive dei<br />

ruminanti (impatto principale);<br />

III. al protossido di azoto derivante<br />

sia dalla gestione delle lettiere e<br />

dei liquami sia dai concimi azotati<br />

utilizzati per le coltivazioni<br />

di foraggi e mangimi.<br />

Lo studio ricorda che l’impatto<br />

dovuto al metano enterico è il più<br />

importante e che, rispetto al 1970,<br />

gli allevamenti italiani hanno ridotto<br />

del 40% le emissioni di metano. In<br />

più, questo impatto è un problema<br />

reversibile, considerando che la sua<br />

durata media nell’atmosfera è di<br />

soli 11 anni.<br />

Inoltre, la CO 2<br />

in cui viene<br />

convertito è da fonte rinnovabile<br />

a bilancio fotosintetico zero, come<br />

quella espirata dall’uomo e dagli<br />

animali. In altre parole, l’origine<br />

biogena del carbonio del metano<br />

emesso dalle fermentazioni ruminali<br />

(il 50% delle emissioni della<br />

zootecnia), che cioè deriva da quello<br />

fissato dalle piante con la fotosintesi<br />

e ingerito dagli animali con foraggi e<br />

concentrati per essere poi riassorbito<br />

dalle piante in un ciclo biologico,<br />

fa sì non si accumuli nell’atmosfera<br />

per centinaia di anni provocandone<br />

il riscaldamento.<br />

Per quanto riguarda le emissioni<br />

azotate legate agli allevamenti, la<br />

gestione corretta delle deiezioni in<br />

stalla e in campo (il che aumenta la<br />

fertilità dei suoli) riduce fortemente<br />

le fonti di impatto. Secondo l’ISPRA,<br />

infatti, la riduzione delle emissioni<br />

di ammoniaca degli allevamenti<br />

nel periodo 1990-2018 è stata del<br />

23,4%.<br />

Lo studio, infine, fa chiarezza<br />

sul consumo delle risorse idriche,<br />

considerato che le produzioni zootecniche<br />

sono accusate di essere le<br />

principali consumatrici di acqua: i<br />

super citati 1.000 litri di acqua per<br />

produrre un litro di latte e i 15.000<br />

litri per 1 kg di carne bovina sono<br />

cifre che considerano anche il<br />

contributo dell’acqua piovana, che<br />

vale oltre il 90%. Ma attenzione: se<br />

si considerano le acque di riciclo<br />

e l’acqua piovana raccolta, i dati<br />

dell’impronta idrica reale sono, per<br />

il latte, 100-300 litri, e per la carne<br />

500-1.000 litri, cioè in linea con gli<br />

altri prodotti agricoli.<br />

Lo studio, poi, va oltre nello<br />

smentire il più importante luogo<br />

comune sull’argomento: se si<br />

volesse comunque considerare<br />

l’acqua verde, questa dovrebbe<br />

essere valutata come differenza fra<br />

l’evapotraspirazione delle superfici<br />

foraggere e cerealicole destinate per<br />

la produzione degli alimenti zootecnici<br />

e quella delle superfici naturali<br />

indisturbate (con l’uso del metodo<br />

della net Water Footprint - nWFP): con<br />

questo metodo superfici investite<br />

a pascolo naturalmente inerbito<br />

possono addirittura mostrare, nei<br />

nostri ambienti mediterranei, un<br />

valore della nWFP negativo, conferendo<br />

ai prodotti ottenuti un<br />

valore positivo e non impattante<br />

sulla risorsa idrica.<br />

In conclusione, il progressivo<br />

miglioramento dell’efficienza produttiva<br />

e gestionale degli allevamenti<br />

può far intravedere l’ambizioso<br />

obiettivo Zero Carbon entro dieci<br />

anni. L’inserimento del bilancio di<br />

filiera del carbonio nel novero delle<br />

premialità previste dal prossimo<br />

Piano Nazionale di Sviluppo Rurale<br />

costituisce un obiettivo primario del<br />

prossimo ciclo di programmazione<br />

PAC per l’Italia.<br />

Fonte: EFA News<br />

European Food Agency<br />

Nota<br />

Photo © Alberto_Patron – stock.<br />

adobe.com<br />

Eurocarni, 4/21 105

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