2009_04_Aprile - Anpi Reggio Emilia
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di Massimo Becchi<br />
Fusione Enía-Iride:<br />
MA AL CITTADINO CONVIENE?<br />
La fusione fra Enìa e Iride porterebbe alla nascita della seconda multiutility italiana,<br />
servendo una realtà molto vasta, comprendente ampie fette del Piemonte, Liguria ed <strong>Emilia</strong>.<br />
Questo processo aggregativi è già<br />
in atto da alcuni anni soprattutto<br />
nel nord Italia, con qualche “testa<br />
di ponte” in altre realtà, teso soprattutto a<br />
creare una sinergia fra aziende che spesso<br />
forniscono gli stessi servizi su aree limitrofe<br />
o che hanno servizi complementari.<br />
Alla base di questo progetto non può esserci<br />
solo la regola o il convincimento<br />
che “grande è bello”, e che, per divenire<br />
grandi senza nulla perdere delle proprie<br />
specifi cità, sia suffi ciente porsi sotto le ali<br />
protettrici di una holding animata da intenzioni<br />
regional-patriottiche.<br />
Ogni fusione comunque è un caso a sé<br />
stante, anche se è logico e comprensibile<br />
aspettarsi una ricerca dell’aumento del<br />
profi tto. I Comuni, i principali azionisti,<br />
si troverebbero così in mano un’azienda<br />
competitiva e con maggiori profi tti, che<br />
signifi cano un dividendo maggiore a fi ne<br />
anno da reinvestire sul territorio.<br />
Ma per il cittadino, meglio forse dire<br />
utente in questo caso, spesso poco o nulla<br />
interessato alla governance della nuova<br />
società, al concambio fra le azioni delle<br />
due società o ai ricorsi e controricorsi del<br />
caso, cosa comporta tutto questo processo<br />
aggregativo? Se ci pensiamo lo abbiamo<br />
peraltro già visto con la nascita di Enìa,<br />
dalle ceneri di AGAC, AMPS e TESA.<br />
La maggior dimensione aziendale non ha<br />
portato ad un abbassamento dei costi per<br />
i cittadini, mentre è sempre più diffi cile<br />
per un singolo comune, anche se di grosse<br />
dimensioni, interloquire con i vertici<br />
aziendali, quindi di fatto i veri detentori<br />
delle scelte politiche strategiche di fondo<br />
sul sistema idrico integrato e sulla gestione<br />
dei rifi uti. Se prima AGAC era comunque<br />
un’azienda radicata sul territorio, che<br />
quindi permetteva ai Comuni una certa<br />
scelta dei servizio da offrire ai cittadini,<br />
adesso questo rapporto è molto ma molto<br />
più fl ebile. Lo si è visto piuttosto bene dalla<br />
scomparsa pressoché totale di politiche<br />
sulla raccolta differenziata, spesso nate da<br />
idee dei singoli assessori e messe in pratica<br />
dall’azienda, che hanno generato fra la<br />
fi ne degli anni ’80 ed inizio ’90 un fi orire<br />
di esperienze, ora solo un ricordo.<br />
La mission di queste aziende è aumentare<br />
il profi tto per i soci e gli amministratori<br />
delegati sono chiamati a questo. Questo<br />
può essere fatto con economie di scala<br />
o molto più semplicemente con un aumento<br />
delle tariffe. Mediterranea Acque<br />
del gruppo Iride ha aumentato le tariffe<br />
dell’acqua del 14 per cento per garantire<br />
i dividendi ai soci privati, che non è proprio<br />
in linea con il benessere dei cittadini,<br />
così come l’inverno relativamente mite<br />
del 2007 ha ridotto drasticamente i consumi<br />
di gas metano, infastidendo sia Enìa<br />
che Iride, che si sono viste mancare una<br />
quota importante del fatturato, questioni<br />
quindi ben al di là delle dichiarazioni di<br />
tono ambientale delle aziende stesse.<br />
E’ inoltre evidente, come già accennato<br />
prima, come in tutte queste fusioni il ruolo<br />
politico forte non è più giocato dai Sindaci<br />
delle città capoluogo, ma dal consiglio<br />
di amministrazione e dall’amministratore<br />
delegato. E se la quota del 51 percento<br />
detenuta dagli enti pubblici può sembrare<br />
una garanzia, in realtà è ben lungi dall’esserlo:<br />
controllare una multiutilities non è<br />
facile e in pochissimi anni per la necessità<br />
dei Comuni di fare cassa, vendendo loro<br />
quote dell’Azienda si scenderebbe sotto<br />
questa soglia psicologica. Questo venir<br />
meno dei patti para-sociali nel giro di cinque<br />
anni, nella migliore delle ipotesi, farà<br />
si che il nuovo gruppo quasi sicuramente<br />
perderà la maggioranza della compartecipazione<br />
pubblica per lasciare spazio<br />
ad una maggioranza di azionisti privati.<br />
Come noto la privatizzazione ha sempre<br />
signifi cato per un’azienda la ricerca di un<br />
miglior e massimo profi tto a discapito del<br />
servizio offerto e delle tariffe applicate.<br />
Occorre inoltre ragionare sulla proprietà<br />
di un bene fondamentale come l’acqua,<br />
ora delle aziende. Su questa questione,<br />
non certo di lana caprina, è in corso un<br />
ampio dibattito, per portare la proprietà<br />
dell’acqua in mano pubblica, in modo che<br />
non possa essere fonte di profi tto, come in<br />
molte parti del nostro Paese accade. Il presupposto<br />
è, infatti, che l’acqua è un bene<br />
comune ed è un bene fi nito indispensabile<br />
all’esistenza di tutti gli esseri viventi. La<br />
disponibilità e l’accesso all’acqua potabile<br />
sono diritti umani inalienabili e inviolabili<br />
di ciascuno. Per questo è necessario<br />
sottrarre l’acqua alle leggi del mercato e<br />
della concorrenza ed è urgente delineare<br />
politiche pubbliche che garantiscano una<br />
quantità minima vitale di acqua a tutti gli<br />
esseri umani del mondo assieme al diritto<br />
delle persone a partecipare attivamente<br />
alla gestione di questo bene.<br />
Il caso di Veolia (con l’aumento delle bollette<br />
del 300 percento) e di Parigi (il 24<br />
novembre 2008 ha votato per una ripubblicizzazione<br />
dell’acqua a seguito dell’esperimento<br />
di privatizzazione) credo siano<br />
precedenti da tenere bene a mente; infatti<br />
il primo probabile risultato di questa privatizzazione<br />
sarebbe proprio l’aumento<br />
dei costi dei servizi, quindi,delle bollette.<br />
E’ fondamentale inoltre procedere pensando<br />
all’ammodernamento delle reti che<br />
offrono servizi così importanti, ormai in<br />
molte realtà obsolete, realizzate perlopiù<br />
negli anni ’70 e ’80 e che oggi perdono<br />
circa il 25 percento dell’acqua durante<br />
il percorso. Per fare questo è necessario<br />
che il potere di indirizzo rimanga in mano<br />
pubblica.<br />
In pratica per il cittadino-utente si tratterà<br />
di pagare tariffe più alte per gli allacciamenti,<br />
di pagare di più le bollette di utenza,<br />
di dover confrontarsi con un’azienda<br />
privata che ha necessità e modi di gestire<br />
il cliente fi nale in maniera completamente<br />
diversa dall’azienda pubblica o a maggioranza<br />
pubblica.<br />
aprile <strong>2009</strong><br />
notiziario anpi<br />
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