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Linee guida trauma cranico pediatrico grave SIAARTI-SARNEPI

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BARBITURICI<br />

Data la scarsità di pubblicazioni inerenti l’argomento, è stato necessario estendere la ricerca anche<br />

al di fuori dell’età pediatrica e oltre i limiti temporali previsti (ultimi 10 anni).<br />

Mentre in passato la terapia barbiturica veniva intrapresa precocemente nel <strong>trauma</strong>tizzato <strong>cranico</strong> a<br />

scopo “neuroprotettivo”, e cioè di riduzione delle richieste metaboliche cerebrali e di prevenzione<br />

dell’ipertensione endocranica, oggi è universalmente riconosciuto che tale approccio non è<br />

giustificato e che i barbiturici non fanno parte della terapia standard dell’ipertensione endocranica,<br />

ma vanno riservati ai casi refrattari e considerati come una terapia estrema.<br />

Eisenberg ha dimostrato con metodo scientifico rigoroso che l’effetto della terapia barbiturica è<br />

tanto maggiore quanto più lontano è il suo inizio dal momento del <strong>trauma</strong> (i pazienti con aumenti<br />

precoci e rapidi della PIC hanno minori possibilità di risposta rispetto a quelli con aumenti più<br />

tardivi e graduali).<br />

Non esiste indicazione all’utilizzo dei barbiturici come sedativi. I barbiturici, come è noto, riducono<br />

il metabolismo cerebrale, il consumo cerebrale di O2 e il flusso ematico cerebrale ad esso<br />

accoppiato. Secondo le pubblicazioni più recenti (Meyer), il meccanismo d’azione principale<br />

consisterebbe invece in una vasocostrizione cerebrale a cui conseguirebbe la diminuzione del<br />

CMRO2: ne deriva che se la riduzione di flusso ematico cerebrale indotta dai barbiturici supera la<br />

riduzione del metabolismo cerebrale può verificarsi ischemia (indicazione al monitoraggio della<br />

SjO2 durante terapia barbiturica). Inoltre i barbiturici inibiscono la perossidazione lipidica mediata<br />

dai radicali liberi e in questo consiste l’effetto neuroprotettivo modernamente inteso.<br />

La farmacocinetica dei barbiturici somministrati in infusione continua ad alte dosi è praticamente la<br />

stessa sia nell’adulto che nel bambino, come dimostrato da Russo e Demarquez. L’unica differenza<br />

è rappresentata da una diminuzione del 33% dell’emivita di eliminazione nei bambini. Ciò potrebbe<br />

dipendere da un aumento assoluto dell’attività microsomiale epatica o da una massa epatica<br />

maggiore relativamente al peso corporeo e determinerebbe un recupero più rapido dopo terapia<br />

barbiturica nei bambini rispetto agli adulti.<br />

Per quanto riguarda i farmaci utilizzati, gli autori anglosassoni danno la preferenza al pentobarbital<br />

per l’infusione continua, riservando il tiopentale (bolo 2-4 mg/kg) per gli incrementi acuti della PIC.<br />

In Italia, non essendo disponibile il pentobarbital, viene utilizzato il tiopentale anche per l’infusione<br />

continua. L’importanza della fissazione tissutale data la maggior liposolubilità del tiopentale con<br />

possibili problemi da accumulo, la scarsità di dati sulla infusione continua, la comparsa di tolleranza<br />

acuta e la difficoltà di stabilire tassi ematici efficaci sono alcune delle ragioni che hanno indotto<br />

alcune équipe a scegliere il pentobarbital.<br />

Non esiste unanimità di consensi sulle dosi a cui il tiopentale deve essere somministrato. Mentre i<br />

lavori più vecchi consigliano un bolo iniziale di 5 mg/kg seguito da un’infusione continua di 1–3<br />

mg/kg/h (Gold), altri autori indicano dosaggi più alti: bolo iniziale lento di 15–20 mg/kg seguito da<br />

infusione a 4–5 mg/kg/h secondo François oppure bolo iniziale lento di 30 mg/kg seguito da<br />

infusione continua al dosaggio minimo, solitamente compreso tra 2 e 10 mg/kg/h, efficace a<br />

determinare un tracciato tipo “burst-suppression” all’EEG secondo le linee-<strong>guida</strong> <strong>SIAARTI</strong> che si<br />

riferiscono all’adulto. Il pentobarbital deve essere somministrato secondo Eisenberg con un bolo<br />

iniziale di 10 mg/kg in 30 minuti, seguito da infusione continua a 5 mg/kg/h per 3 ore e poi a 1<br />

mg/kg/h, oppure, secondo Pittman e Greenwal, con un bolo lento di 3-5 mg/kg seguito da<br />

un’infusione continua a 1-2 mg/kg/h.<br />

Per quanto riguarda la durata della terapia barbiturica, le indicazioni più precise provengono dal<br />

lavoro di Eisenberg: ottenuto il controllo della PIC (< 20 mm Hg per 48 ore) l’infusione deve essere<br />

gradualmente sospesa in un periodo di tre giorni.<br />

Gli autori sono invece concordi nel ritenere che il controllo dell’efficacia della terapia deve basarsi<br />

sul monitoraggio EEG: l’obiettivo è la comparsa di un pattern tipo “burst-suppression” con periodi<br />

di silenzio di 10-20 secondi, che corrisponde ad una riduzione di metabolismo e flusso di circa il<br />

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